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Nel 1924 la scrittrice Virginia Woolf affrontò nel saggio Mr Bennett e Mrs
Brown il tema della costruzione e della struttura del romanzo, genere
all’epoca considerato in declino a causa dell’incapacità degli autori e
delle autrici di creare personaggi realistici. Woolf raccontò di aver a
lungo osservato, durante un viaggio in treno da Richmond a Waterloo, una
signora di oltre 60 anni seduta davanti a lei, chiamata signora Brown. Ne
rimase affascinata, per la capacità di quella figura di evocare storie
possibili e fare da spunto per un romanzo: «tutti i romanzi cominciano con
una vecchia signora seduta in un angolo». Immagini come quella della
signora Brown, secondo Woolf, «costringono qualcuno a cominciare, quasi
automaticamente, a scrivere un romanzo». Nel saggio Woolf provò ad
analizzare le tecniche narrative utilizzate da tre noti scrittori inglesi
dell’epoca – H. G. Wells, John Galsworthy e Arnold Bennett – per
comprendere perché le convenzioni stilistiche dell’Ottocento risultassero
ormai inadatte alla descrizione dei «caratteri» umani degli anni Venti. In
un lungo e commentato articolo del New Yorker, la critica letteraria e
giornalista Parul Sehgal, a lungo caporedattrice dell’inserto culturale
del New York Times dedicato alle recensioni di libri, ha provato a
compiere un esercizio simile a quello di Woolf, chiedendosi come gli
autori e le autrici di oggi tratterebbero la signora Brown. E ha
immaginato che probabilmente quella figura non eserciterebbe su di loro
una curiosità e un fascino legati alla sua incompletezza e al suo aspetto
misterioso, ma con ogni probabilità trasmetterebbe loro l’indistinta e
generica impressione di aver subìto un trauma. Facendo riferimento non
soltanto ai romanzi ma anche ai film, alle serie televisive e ad altri
prodotti culturali della nostra epoca, il New Yorker si è chiesto setrauma
non sia diventato un cliché alla base di innumerevoli narrazioni
stereotipate e incapaci di generare trame che siano sostanzialmente
differenti le une dalle altre. Ciò che accomunerebbe quelle di film, serie
e racconti attuali sarebbe il costante indirizzamento dell’attenzione e
della curiosità del pubblico verso il passato dei personaggi, come se il
presupposto di ciascuna di quelle storie fosse il danno psicologico subìto
da ciascuno di essi.
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I lavori di ristrutturazione dell’interno della cattedrale di Notre-Dame a
Parigi, seguiti al grande incendio che nel 2019 bruciò la guglia e buona
parte del tetto, sono da settimane al centro di un acceso dibattito sui
giornali francesi per via di alcune proposte di rinnovamento degli interni
che hanno suscitato critiche e allarmi tra esperti e opinionisti
conservatori. Il progetto ha ricevuto una prima approvazione dalla
commissione nazionale competente, ma dovrà ancora essere soggetto a varie
revisioni e ratifiche che coinvolgeranno tecnici e politici locali e
nazionali, fino al presidente Emmanuel Macron. Ma le modifiche previste al
sistema di viabilità per i visitatori, all’illuminazione, ai posti a
sedere e alle opere d’arte che si vorrebbero esporre hanno portato alcuni
critici a parlare di «parco a tema woke» e «Disneyland del politicamente
corretto». Descrivendo il piano di restauro, Le Monde dice che la proposta
è di far entrare i visitatori attraverso il portale centrale, e non più
attraverso quello a sud. L’obiettivo, secondo il coordinatore padre
Drouin, è «farsi catturare dall’assialità dell’edificio» e essere
incoraggiati a spostarsi da nord a sud e non viceversa. Tutto intorno alla
navata, il “percorso catecumenale” tenterà di spiegare al visitatore il
cammino della fede, un percorso per passare simbolicamente «dalle tenebre
alla luce». Sei delle sette cappelle a nord della navata sarebbero
dedicate ciascuna a un passo dell’Antico Testamento. Superato il
transetto, il visitatore entrerebbe poi nell’ambulacro «per vivere il
mistero della fede» e vedere la corona di spine, la reliquia che avrebbe
ricoperto il capo di Cristo. L’idea è poi quella di abbassare
l’illuminazione e di rendere più soffusa la luce, «per ritrovare qualcosa
del mistero della cattedrale», dice Le Monde. Le sedie in paglia
dovrebbero essere sostituite con panche e banchi appositamente studiati
per illuminare i messali durante le funzioni serali e notturne. Le sedute
dovrebbero essere mobili: pensate, cioè, per essere spostate durante le
funzioni meno frequentate. I banchi, poi, scrive sempre Le Monde, avranno
anche la funzione di casse di risonanza «per dare voce al coro dei
fedeli».
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Nel 1924 la scrittrice Virginia Woolf affrontò nel saggio Mr Bennett e Mrs Brown il tema della costruzione e della struttura del romanzo, genere all’epoca considerato in declino a causa dell’incapacità degli autori e delle autrici di creare personaggi realistici. Woolf raccontò di aver a lungo osservato, durante un viaggio in treno da Richmond a Waterloo, una signora di oltre 60 anni seduta davanti a lei, chiamata signora Brown. Ne rimase affascinata, per la capacità di quella figura di evocare storie possibili e fare da spunto per un romanzo: «tutti i romanzi cominciano con una vecchia signora seduta in un angolo».
Immagini come quella della signora Brown, secondo Woolf, «costringono qualcuno a cominciare, quasi automaticamente, a scrivere un romanzo». Nel saggio Woolf provò ad analizzare le tecniche narrative utilizzate da tre noti scrittori inglesi dell’epoca – H. G. Wells, John Galsworthy e Arnold Bennett – per comprendere perché le convenzioni stilistiche dell’Ottocento risultassero ormai inadatte alla descrizione dei «caratteri» umani degli anni Venti.
In un lungo e commentato articolo del New Yorker, la critica letteraria e giornalista Parul Sehgal, a lungo caporedattrice dell’inserto culturale del New York Times dedicato alle recensioni di libri, ha provato a compiere un esercizio simile a quello di Woolf, chiedendosi come gli autori e le autrici di oggi tratterebbero la signora Brown. E ha immaginato che probabilmente quella figura non eserciterebbe su di loro una curiosità e un fascino legati alla sua incompletezza e al suo aspetto misterioso, ma con ogni probabilità trasmetterebbe loro l’indistinta e generica impressione di aver subìto un trauma.
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Overview
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