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https://it.wikipedia.org/wiki/Provincia%20di%20Firenze
Provincia di Firenze
La provincia di Firenze è stata una provincia italiana della Toscana di 1.007.252 abitanti. Era la prima provincia toscana per numero di abitanti e la terza provincia toscana per superficie. Confinava a nord e a est con l'Emilia-Romagna (province di Bologna, Forlì-Cesena e Ravenna), a sud-est con la provincia di Arezzo, a sud con la provincia di Siena, a ovest con le province di Pisa, Lucca, Pistoia e Prato. Storia La provincia deriva dall'omonima prefettura granducale istituita nel 1848, che comprendeva la parte più antica dei domini fiorentini. Precedentemente fin dall'epoca comunale era costituita dal "nobile contado fiorentino" (XIV secolo), suddiviso nei tre grossi vicariati di Scarperia e Mugello, San Giovanni Valdarno e alto Valdarno, Certaldo e Chianti, ripartiti in varie podesterie e numerose leghe rurali, e dal "Distretto fiorentino" costituito dalle città, borghi e terre sottomesse da Firenze durante i secoli. Con l'unità d'Italia venne creato nel 1860, il compartimento fiorentino sostanzialmente sovrapposto alla prefettura granducale, presieduto da Luigi Guglielmo Cambray-Digny che manterrà la carica fino al 1906. Nel 1865, con l'approvazione della legge comunale e provinciale (legge del 20 marzo 1865, n. 2248), furono definite le province, governate da un consiglio provinciale eletto ma presieduta dal prefetto di nomina regia. Con la legge 30 dicembre 1888 n. 5865 il consiglio elegge il presidente, Paolo Onorato Vigliani a cui succede nel 1919 Gismondo Morelli Gualtierotti. In seguito all'ascesa del regime fascista, nel 1922, il consiglio e la deputazione provinciale sono sciolti e sostituiti da una commissione straordinaria. Inizia un periodo di distacchi territoriali. Nel 1923 avviene il distacco del circondario di Rocca San Casciano, la cosiddetta "Romagna Toscana" (comuni di Bagno di Romagna, Dovadola, Galeata, Modigliana, Portico e San Benedetto, Premilcuore, Rocca San Casciano, Santa Sofia, Sorbano, Castrocaro Terme e Terra del Sole, Tredozio e Verghereto), il cui territorio venne annesso alla provincia di Forlì. Nel 1925 avvenne la cessione alla provincia di Pisa dei comuni di Castelfranco di Sotto, Montopoli in Val d'Arno, San Miniato, Santa Croce sull'Arno e Santa Maria a Monte, e la creazione del nuovo circondario di Prato con sette comuni. Nel 1927 venne distaccato il territorio del circondario di Pistoia (più il comune di Tizzana), che costituì la nuova provincia di Pistoia. Non andò in porto il progetto di trasformazione in provincia del Circondario di Empoli, lanciato da un deputato fascista della zona, sembra per il veto del Duce che non aveva dimenticato i fatti del 1921 avvenuti nella cittadina. Nello stesso anno fu abolito il Circondario di Prato: il regime fascista cercò di placare le ire dei pratesi, che avevano visto contemporaneamente l'elevazione a provincia dell'eterna rivale Pistoia, nominando spesso un loro concittadino a capo della Provincia e dando inizio ad una imponente serie di lavori pubblici. Il regime fascista promulga la legge comunale e provinciale del 1928, che pone a vertice della provincia un preside in luogo della deputazione e un rettorato, composto da 4 a 8 rettori, al posto del consiglio, entrambi nominati su proposta del Ministro dell'Interno. Nel 1934, la proposta di passare alla regione Emilia-Romagna i tre comuni di quello che rimaneva della Romagna Toscana (Firenzuola, Palazzuolo sul Senio e Marradi) fu bloccata dal gerarca fiorentino Alessandro Pavolini, nome emergente del Fascismo, che prese le difese dei confini provinciali già drasticamente ridotti nei dieci anni precedenti. Durante la seconda guerra mondiale, l'11 agosto del 1944, il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, al termine della battaglia per la liberazione di Firenze, si insedia in Palazzo Medici Riccardi (sede della provincia) e ristabilisce la Deputazione provinciale, sancita da un decreto del 4 aprile 1944 (R.D.L. 4 aprile 1944, n. 11). Primo presidente è Mario Augusto Martini. La nomina resterà prefettizia fino alle elezioni del 1951. A seguito della nuova legge dell'8 marzo 1951, n. 122, il 10 giugno si tengono le elezioni e, il 10 luglio, il nuovo consiglio provinciale elegge presidente Mario Fabiani, primo sindaco della Firenze nel dopoguerra, che rimarrà in carica fino al 1962. Nel 1992 avviene il distacco dei comuni di Prato, Cantagallo, Carmignano, Montemurlo, Poggio a Caiano, Vaiano e Vernio che formano la provincia di Prato. Dal 1º gennaio 2015, la Provincia è stata soppressa e sostituita dalla Città metropolitana di Firenze, ente territoriale con nuovi poteri, istituito a seguito della riforma costituzionale e delle leggi conseguenti. Comuni Appartenevano alla provincia di Firenze i seguenti 41 comuni: Bagno a Ripoli Barberino di Mugello Barberino Tavarnelle Borgo San Lorenzo Calenzano Campi Bisenzio Capraia e Limite Castelfiorentino Cerreto Guidi Certaldo Dicomano Empoli Fiesole Figline e Incisa Valdarno Firenze Firenzuola Fucecchio Gambassi Terme Greve in Chianti Impruneta Lastra a Signa Londa Marradi Montaione Montelupo Fiorentino Montespertoli Palazzuolo sul Senio Pelago Pontassieve Reggello Rignano sull'Arno Rufina San Casciano in Val di Pesa San Godenzo Scandicci Scarperia e San Piero Sesto Fiorentino Signa Vaglia Vicchio Vinci Amministrazione Elenco dei presidenti Note Bibliografia AA.VV., La Provincia di Firenze per i 150 anni dell'Unità d'Italia, a cura di Luigi Ulivieri, Edifir, 2011 Voci correlate Palazzo Medici Riccardi Toponimi latini dei comuni della provincia di Firenze Altri progetti Collegamenti esterni Firenze
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https://it.wikipedia.org/wiki/Psicologia
Psicologia
La psicologia è la scienza che studia gli stati mentali e i processi emotivi, cognitivi, sociali e comportamentali nelle loro componenti consce e inconsce, mediante l'uso del metodo scientifico e/o appoggiandosi ad una prospettiva soggettiva intrapersonale; si occupa anche dello studio e del trattamento delle funzioni psichiche sia in condizioni di benessere che di sofferenza o disagio mentale, dovute a dinamiche soggettive (intrapsichiche), ambientali e/o relazionali (interpsichiche). Il termine è stato coniato, secondo alcuni, da Filippo Melantone nel 1520, mentre secondo altri, il primato spetterebbe al logico tedesco Rodolfo Goclenio, ma il suo uso estensivo si deve a Christian Wolff, allievo di Gottfried Wilhelm von Leibniz, che volle definire con esso una delle quattro parti che compongono la metafisica (le altre tre sono l'ontologia, la cosmologia e la teologia). Questa distinzione caratterizzerà la ricerca filosofica tedesca sino agli inizi del Novecento. Wolff, tra l'altro, distingueva la psicologia empirica, antesignana della psicologia sperimentale, dalla psicologia razionale, dove la prima si sarebbe dovuta occupare di determinare leggi psicofisiche universali ricavate dall'esperienza e dal metodo scientifico, e la seconda dell'essenza dell'anima e delle sue facoltà, attraverso il metodo razionale, proprio della disciplina filosofica. La nascita della psicologia empirica o sperimentale, che è poi di fatto la sua fondazione come scienza moderna, viene comunemente fatta risalire al 1879, quando Wilhelm Wundt fondò a Lipsia il primo laboratorio di psicologia sperimentale. Storia Etimologia e nascita del termine Il termine "psicologia" deriva dal greco psyché (ψυχή) = spirito, anima e da logos (λόγος) = discorso, studio, letteralmente ad indicare quindi lo studio dello spirito o dell'anima. Il significato del termine, introdotto durante il XVI secolo, rimase immutato fino al XVII secolo, quando assunse il significato di "scienza della mente" Il termine "psicologia", nella forma latina psychologia fu probabilmente introdotto nel 1520, anche se nei suoi scritti non compare, dall'umanista Filippo Melantone e appare (nella forma greca psychologia) anche nelle opere dei suoi discepoli Rodolfo Goclenio (Psychologia, 1590) e Othone Casmanno (Psychologia anthropologica; siue animae humanae doctrina - Psicologia antropologica, o la conoscenza dell'anima umana, Hanau, 1594), ma già in precedenza Johann Thomas Freig, nella sua opera Quaestiones logicae ed ethicae del 1574, si occupa di argomenti che appartengono alla psicologia e per la prima volta usa questo termine per descriverli. Recenti ricerche hanno anche individuato un uso del termine nell'opera perduta dell'umanista dalmata Marco Marulo (Psychologia de ratione animae humanae, 1511-1518), sebbene non sia chiaro il significato della parola usata in quel tempo. Il termine "psicologia" divenne popolare nel Settecento, grazie al tedesco Christian Wolff, che lo utilizzò nel titolo di due sue opere: Psychologia empirica (1732) e Psychologia rationalis (1734); con queste opere egli fece distinzione tra psicologia empirica e psicologia filosofica, con la prima che cercava di individuare dei princìpi che potessero spiegare il comportamento dell'anima umana, mentre la seconda indagava sulle facoltà dell'anima stessa. Successivamente Kant criticò questa distinzione, affermando che non poteva esistere una psicologia razionale, accettando tuttavia la validità della psicologia empirica, anche se non la considerava scienza esatta per il fatto che, mancando la forma a priori dello spazio, era impossibile applicare la matematica ai fenomeni psichici: con Kant dunque si posero le basi di una psicologia non più puramente filosofica, ma costruita con criteri empirici. L'inizio della storia della psicologia come disciplina a sé viene convenzionalmente fissato nella seconda metà dell'Ottocento, quando l'indagine psicologica si aprì ai metodi delle scienze naturali; vi è però da sottolineare che la psicologia odierna è legata agli oggetti di indagine che, da Aristotele e poi nel Medioevo fino al secolo XIX, sono rimasti quasi sempre gli stessi: la percezione che l'uomo ha del mondo, la ritenzione dei ricordi (memoria), la capacità razionale (l'intelligenza); anche l'antica suddivisione della mente in facoltà rivive inalterata nella moderna divisione in processi mentali. Il XX secolo è testimone di un fiorire di prospettive e visioni della psicologia, diverse sul piano metodologico e sul piano speculativo: si è passati dallo strutturalismo al funzionalismo, dal comportamentismo al cognitivismo, dall'epistemologia genetica alla scuola storico-culturale; ancora, dal cognitivismo HIP al cognitivismo realista, fino ad arrivare alle neuroscienze. Le origini La psicologia, come molte altre discipline, ha le sue radici nella filosofia. Già alcuni filosofi greci, come Platone e Aristotele, posero interrogativi che ancor oggi sono alla base della ricerca psicologica, ma è solo a partire dal Seicento che iniziò un confronto più serrato su questi argomenti. Furono sempre filosofi, come Cartesio, Thomas Hobbes e John Locke, a portare avanti riflessioni e a proporre teorie sulla mente umana. Cartesio, in particolare, sosteneva l'esistenza di una netta divisione fra mente (res cogitans) e corpo (res extensa), ritenendo che alcune idee fossero innate (cioè presenti nella mente fin dalla nascita). Hobbes e Locke, al contrario, affermavano il predominio dell'esperienza, vista come l'unico processo in grado di sviluppare e organizzare la mente umana, oltre a criticare la divisione di mente e corpo proposta da Cartesio. Nonostante i numerosi sforzi, queste ricerche non diedero mai vita a una psicologia intesa come materia scientifica. La nascita della psicologia scientifica Il termine "psicologia" risale al XV secolo, ideato dal tedesco Filippo Melantone (Philipp Schwarzerd), intendeva l'insieme delle conoscenze psicologiche, filosofiche, religiose, pedagogiche e letterarie di un essere umano. Nel 1690 il filosofo inglese Locke pubblicò il suo saggio sull'intelletto umano, che ricostruiva il funzionamento della mente e dava una base solida ai ragionamenti. La psicologia come materia scientifica nacque in Europa nella seconda metà dell'Ottocento. Tra il 1850 e il 1870 vari scienziati, in particolare fisici e medici, iniziarono a occuparsi dello studio della psiche analizzando le sensazioni, le emozioni e le attività intellettive. Questi scienziati applicarono allo studio della mente le metodologie applicate alle scienze naturali, dando vita alla moderna psicologia scientifica. Questa svolta fondamentale innescò il processo che porterà la psicologia a diventare una vera disciplina scientifica. Se finora la psicologia era stata strettamente legata alla filosofia, perché questa si occupava della natura o dell'essenza dell'anima, ora era una scienza, e non filosofica bensì su base sperimentale: scienza perché rigorosa, sperimentale perché basata sul metodo induttivo, fatto di osservazioni e di esperimenti da cui si formulano ipotesi e leggi. Fra i precursori della moderna psicologia si possono citare: Charles Darwin, che propose varie teorie sulle emozioni, Franciscus Donders, che compì studi sui tempi di reazione, Ernst Weber e Gustav Theodor Fechner, che diedero vita alla psicofisica, studiando i rapporti tra stimoli e sensazioni, Hermann Ebbinghaus, tra i primi ad applicare il metodo sperimentale allo studio della memoria, Francis Galton, padre della psicologia differenziale, Théodule Ribot che contribuì decisamente a far assumere un'identità alla psicopatologia, Alfred Binet e Arnold Gesell, fondamentali pionieri nella "psicologia infantile". Il padre fondatore della psicologia sperimentale Il merito di aver fondato la psicologia come disciplina accademica spetta al tedesco Wilhelm Wundt. Questi raccolse e scrisse una mole gigantesca di materiale riguardante la nascente disciplina e, grazie alla sua cultura, riuscì a dare alla materia una base concettuale e un assetto organico. Wundt, nel 1873-1874, pubblicò i "Fondamenti di psicologia fisiologica", opera considerata il primo trattato psicologico-scientifico della storia. Nel 1875 Wundt divenne professore di filosofia a Lipsia, città nella quale nel 1879 fondò un laboratorio di ricerca psicologica. A questo laboratorio affluirono da tutto il mondo allievi e scienziati, che compirono studi sui tempi di reazione, l'attenzione, le associazioni mentali e la psicofisiologia dei sensi. Per Wundt oggetto della psicologia doveva essere l'esperienza immediata, contrapposta all'esperienza mediata, che era invece oggetto delle scienze fisiche. Grazie a questa definizione e all'uso negli esperimenti di un metodo rigoroso, si strutturò definitivamente la psicologia, intesa come disciplina scientifica e accademica. Per l'impegno e gli studi, Wundt è acclamato come il fondatore della psicologia. Franz Brentano Negli anni in cui operava il laboratorio di Wundt, il filosofo austriaco Franz Brentano propose un approccio diverso alla psicologia, basato non sul rigore del metodo scientifico e sulla sperimentazione, ma su un concetto più filosofico e perciò meno sperimentale, che Brentano definiva "intenzionalità". Con le sue idee diede vita alla cosiddetta scuola di Brentano (prima a Würzburg e poi a Vienna). Brentano può essere ritenuto il secondo padre della psicologia. Le tradizioni wundtiana e brentaniana rappresentarono per decenni i due grandi filoni di ricerca nella psicologia sperimentale e teorica. La scuola, in particolare, influenzò Sigmund Freud e i concetti della psicologia della Gestalt e della psicologia sociale. Un altro ricercatore tedesco, Hermann Ebbinghaus, applicò per primo il metodo sperimentale allo studio della memoria. La psicologia della Gestalt La psicologia della Gestalt nacque e si sviluppò agli inizi del XX secolo in Germania e proseguì la sua articolazione negli Stati Uniti. Anche se le vicende dei suoi maggiori rappresentanti (molti abbandonarono la Germania all'avvento del nazismo) diffusero la teoria in ambiente statunitense, il clima culturale di riferimento rimase quello europeo. La scuola ebbe successo anche in Italia fra gli anni cinquanta e ottanta, prima di essere assorbita dal cognitivismo. Gli psicologi della Gestalt cercarono di dimostrare sperimentalmente il criterio della "totalità" delle funzioni psichiche. Per essi, infatti, non era giusto dividere l'esperienza nelle sue componenti elementari, occorreva invece considerare l'intero come fenomeno sovraordinato rispetto all'insieme dei componenti. In altre parole, per gli psicologi della Gestalt: "L'insieme è più della somma delle sue singole parti". È chiaro quindi come questa Scuola si opponesse alle teorie associazionistiche di Wundt e a quelle comportamentistiche di Watson, per spostare l'accento sulla tendenza degli insiemi percettivi e per estensione delle rappresentazioni del pensiero, a presentarsi al soggetto sotto forma di unità coerenti. La psicologia della Gestalt ricorse al metodo fenomenologico, col quale i dati dell'esperienza non vengono scomposti e interpretati, ma descritti totalmente nella loro immediatezza, come appaiono al soggetto. I gestaltisti, studiando in modo approfondito la percezione, intuirono che la realtà fenomenologica si struttura in unità nel campo di esperienza del soggetto ogni volta che gli elementi di un insieme presentano determinate caratteristiche. Individuarono così cinque leggi (dette "leggi della formazione delle unità fenomeniche"), che stanno alla base del nostro modo di cogliere le cose e di organizzare i dati percepiti. Esse sono: Legge della somiglianza: elementi identici o simili tendono a essere percepiti come unità. Legge della buona forma: figure geometriche sovrapposte tendono a essere percepite come separate, ognuna con la sua forma. Legge della vicinanza: più gli elementi di un insieme sono vicini, maggiore sarà la tendenza a percepirli come unità. Legge della buona continuazione: si tendono a percepire come unità gli elementi che minimizzano i cambiamenti di direzione. Legge del destino comune: vengono percepiti come un'unità elementi in movimento con uno spostamento coerente. Legge della chiusura: elementi figurali chiusi o tendenti a chiudersi vengono percepiti come appartenenti alla stessa unità. Queste sono solo alcune delle regole alla base della percezione; permettono, ad es., di capire come operano le illusioni ottiche. Punto centrale della psicologia della Gestalt era, perciò, la convinzione che riuscendo a comprendere come si organizzano le percezioni, si poteva anche comprendere il modo in cui il soggetto organizza e struttura i pensieri. Queste tendenze all'auto-organizzazione erano viste come una caratteristica innata, ridimensionando l'importanza di esperienza e di apprendimento nella strutturazione del pensiero. Gli psicologi della Gestalt sono noti soprattutto per i loro contributi nel campo della percezione. L'approccio della Gestalt non si propose però solo come studio della percezione fine a se stesso, ma anche come paradigma e metodo d'indagine generale dello psichismo, basato sull'assunto per cui la Gestalt (l'insieme) è più della somma delle parti. Al riguardo sono proliferati studi, concetti e campi di ricerca assai numerosi: gli studi sull'intelligenza nei primati per opera di Köhler (1917) furono talmente importanti da far nascere il concetto di insight; Kurt Lewin, allievo di Wolfgang Köhler, svilupperà il concetto di campo generando importanti contributi per la psicologia sociale; Kurt Koffka fece notare che i princìpi della Gestalt sono applicabili pressoché a uno spettro d'indagine illimitato (percezione e intelligenza, ma anche nello studio del sociale, dell'educazione e dello sviluppo, fino ad arrivare a legami con concetti di elettromagnetismo); James Gibson porterà la sua critica a un modo di fare ricerca troppo legato al laboratorio, nei confronti della psicologia cognitiva, proprio basandosi su una matrice di ricerca in linea con la Gestalt. Diffusione in America La psicologia, come già accennato, nacque e si sviluppò inizialmente in Europa, soprattutto in Germania, grazie al laboratorio di Lipsia e la psicologia della Gestalt. Ben presto, però, essa approdò e si diffuse anche negli Stati Uniti. Questo avvenne in gran parte per merito di due personalità: gli americani Edward Titchener e William James. Il primo era un allievo di Wundt che, dopo aver studiato presso il suo laboratorio, tornò in patria e tradusse l'opera del maestro, diffondendo così la psicologia nel Nuovo Mondo. Titchener fondò inoltre una nuova scuola di psicologia, lo strutturalismo, che ebbe però vita breve. William James era un medico e filosofo statunitense interessato agli aspetti psicologici dell'uomo. Tenne il primo corso di psicologia (ad Harvard), intitolato I rapporti tra fisiologia e psicologia. Nel 1890 pubblicò "Principi di psicologia", un manuale che ebbe molto successo, anche fra i lettori comuni. Al pari del suo collega, James fondò una nuova scuola di psicologia, il funzionalismo, che si contrappose allo strutturalismo di Titchener. Le scuole russe Sempre verso la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento nacquero nuove Scuole di psicologia in Russia. In particolare, ebbero grande risonanza le ricerche di Ivan Pavlov. Pavlov (nel 1904, premio Nobel per la medicina) fu un fisiologo e non volle mai essere considerato uno psicologo. Nonostante ciò, i suoi studi diedero grande impulso e influenzarono notevolmente una delle successive Scuole psicologiche che avrà maggior successo: il comportamentismo. Pavlov compì studi, mediante esperimenti su animali, su quello che venne chiamato riflesso condizionato, dimostrando come fosse possibile far sorgere un dato comportamento associandolo a un determinato stimolo. La maggior parte delle Scuole russe di psicologia continuarono questo filone di ricerche e per questo sono state accomunate sotto il nome di riflessologia russa. La teoria alla base di tutte queste Scuole era la convinzione che i processi psichici potessero essere ridotti a semplici riflessi, cioè i processi psichici erano visti come semplici processi fisiologici ed elementari. Un discorso a parte merita il russo Lev Vygotskij e la sua Scuola storico-culturale. Per Vygotskij l'esperienza storica (storicità) era l'aspetto fondante dell'esperienza umana e della stessa psicologia. Per Vygotskij lo sviluppo cognitivo del bambino doveva essere valutato e studiato in rapporto alle sue componenti sociali, culturali e ambientali. Queste originali e innovative riflessioni, che si contrapponevano in modo netto al rigido e deterministico comportamentismo che stava nascendo negli Stati Uniti, furono a lungo ignorate, anche per la mancata traduzione delle opere di Vygotskij dalla lingua russa a quella inglese. Solo a partire dagli anni ottanta questo autore è stato oggetto di riscoperta, divenendo uno dei principali ispiratori della psicologia postmoderna e della psicopedagogia. Freud e la psicoanalisi Il predominio del comportamentismo Nel 1913, negli Stati Uniti, John Watson, diede vita a una nuova Scuola psicologica, detta comportamentismo, attraverso la pubblicazione di un celebre articolo intitolato "La psicologia considerata dal punto di vista comportamentistico". Il comportamentismo, detto anche behaviorismo, dominerà la scena internazionale per circa cinquant'anni, cioè per tutta la prima metà del XX secolo. Il comportamentismo rivoluzionò i concetti della precedente psicologia, concentrando i suoi sforzi e studi non più sulla "coscienza", bensì attorno al "comportamento". Il nuovo e unico oggetto della psicologia divenne, perciò, il comportamento pubblicamente osservabile degli organismi viventi. Il comportamentismo criticò fortemente anche il concetto di innatismo, in quanto prevedeva che ogni comportamento umano fosse determinato solamente dagli stimoli ambientali. Questo portò alla nascita dello schema Stimolo-Risposta (S-R), che prevedeva che a una stimolazione che agisce su un organismo segua una reazione dell'organismo stesso. Come già accennato, il comportamentismo fece tesoro anche degli esperimenti sul condizionamento di Pavlov, e arrivò a ipotizzare che ogni comportamento umano potesse essere appreso mediante condizionamento. Quasi la totalità degli psicologi americani di questo periodo era di matrice comportamentista e, fra i maggiori autori che diedero impulso a questa Scuola, si possono ricordare Burrhus Skinner, Edward Tolman e Clark Hull. Il comportamentismo entrò in crisi nei primi anni sessanta, in quanto risultò evidente come queste teorie semplicistiche non fossero in grado di spiegare i comportamenti umani più complessi, come ad esempio le relazioni sociali. Il comportamentismo, inoltre, venne anche criticato per il suo ridurre l'essere umano a un organismo passivo che rispondeva solo alle leggi del condizionamento. Nonostante tutto, il comportamentismo è sopravvissuto fino ai giorni nostri in alcune correnti come il neo-comportamentismo e, va sottolineato, la Scuola di Watson ha comunque grandi meriti nell'aver dato un forte impulso di ricerca e una dignità scientifica alla psicologia. L'ascesa del cognitivismo A partire dagli anni sessanta un nuovo orientamento iniziò a farsi largo in psicologia: il cognitivismo. Questo è oggi l'orientamento dominante in psicologia. Alle sue origini troviamo diverse matrici che si sono espresse fra gli anni cinquanta e sessanta, in buona parte nate all'interno dello stesso comportamentismo. La rapida ascesa del cognitivismo fu dovuta, innanzitutto, al fallimento dello stesso comportamentismo, che con le sue teorie semplicistiche non era riuscito a spiegare i comportamenti umani complessi. Lo schema S-R (Stimolo-Risposta) del comportamentismo era, infatti, divenuto insufficiente e fu gradualmente sostituito dallo schema S-O-R in cui O (organismo) rappresentava la mediazione fra lo stimolo e la risposta. A differenza del comportamentismo, dove l'uomo era visto come un semplice insieme di comportamenti da osservare, il cognitivismo poneva l'accento sull'attività pensante dell'uomo, visto come organismo attivo e non più passivo. In altre parole il simbolo "O" iniziò a rappresentare la "mente", che per i cognitivisti divenne l'unico oggetto di studio. Storicamente la prima volta in cui venne presentata in maniera compiuta la teoria cognitivista fu nel libro "Psicologia cognitivista", di Ulric Neisser, pubblicato nel 1967. Come accennato, però, i presupposti dell'approccio cognitivista erano già presenti e rintracciabili in teorie e orientamenti precedenti, ad esempio nelle opere degli psicologi Kenneth Craik, George Armitage Miller e del linguista americano Noam Chomsky. E ancora prima con Oswald Külpe, Karl Bühler, Frederic Bartlett, James McKeen Cattell, Alfred Binet, James Baldwin, Jean Piaget. Come detto, il cognitivismo non è una scuola psicologica ma un orientamento ove confluiscono scuole e matrici di ricerca. Le principali sono la psicologia dell'atto (inaugurata da Franz Brentano), l'informatica e la cibernetica. In particolare negli anni settanta, si diffuse il modello HIP, il quale proponeva la metafora della mente come elaboratore di informazioni. La mente, cioè, era vista come un computer, nel quale lo stimolo-risposta comportamentista si trasformò in input-elaborazione-output: input: informazioni in entrata nella mente, corrispondenti agli "stimoli" del comportamentismo; elaborazione: conversione delle informazioni che mutano, e vengono rielaborate dai processi mentali; output: uscita delle informazioni sotto forma di comportamento manifesto, linguaggio, mimica facciale, postura, ecc., corrispondenti alle "risposte" o "reazioni" del comportamentismo. Il modello HIP fu però criticato in quanto dipinge un uomo artificiale, che non corrisponde all'uomo reale inserito nel suo ambiente naturale. Altro orientamento fortemente ravvisabile nel cognitivismo è lo studio del comportamento finalizzato a una meta ("goal-driven"): il comportamento non è più visto come atto passivo, tipico del comportamentismo, bensì attivo al fine di raggiungere la soluzione di un problema. La nozione di retroazione (feedback), proveniente dalla cibernetica, è centrale in questa ottica dello studio del comportamento umano. Il testo ove esplicitamente si propose questo modello fu il noto "Piani e struttura del comportamento", di George Armitage Miller (psicologo sperimentale), Karl Pribram (neuroscienziato), e Eugene Galanter (psicologo matematico); queste diverse formazioni sono da sottolineare, al fine di comprendere il nuovo cognitivismo come confluenza di matrici di ricerca, e il carattere interdisciplinare del loro curriculum. In "Piani e struttura del comportamento" si esprime il modello T-O-T-E: il comportamento è rivolto a un fine mediante l'esame della realtà (test), l'elaborazione dell'informazione (operate), un successivo esame di ciò che è stato elaborato (test), eventuale retroazione al fine di migliorare l'elaborazione stessa dell'informazione, e successiva uscita (exit) dell'informazione sotto forma di comportamento manifesto, linguaggio, mimica facciale, postura, e così via. La neuropsicologia e le neuroscienze cognitive Nell'ultimo decennio hanno acquisito una grande importanza le diverse neuroscienze. Esse non sono parte della psicologia, ma fungono da ponte tra quest'ultima e le altre discipline come la neurologia, la medicina, la biologia e la psichiatria. La neuropsicologia studia i processi cognitivi e comportamentali, correlandoli con i meccanismi anatomo funzionali che ne permettono il funzionamento. Si tratta di una scienza interdisciplinare, come tutte le neuroscienze, le cui basi possono essere fatte risalire a Paul Broca. Gli obiettivi della neuropsicologia sono l'indagine delle basi anatomiche dei processi mentali e cognitivi tramite lo studio di sistemi cerebrali danneggiati, vale a dire di soggetti cerebrolesi a diversa eziologia. Le neuroscienze cognitive hanno avuto grande sviluppo a seguito dello sviluppo delle tecniche di visualizzazione in vivo delle strutture cerebrali, quali la TC e la risonanza magnetica. Un'altra prospettiva di indagine è rappresentata dagli studi di "attivazione", tramite i quali, con le tecniche SPECT, PET e fMRI, è possibile studiare in soggetti normali e cerebrolesi i substrati neurali a seguito dello svolgimento di determinati compiti o cognitivi. La psicofisiologia, al contrario della psicologia fisiologica, si occupa di individuare i cambiamenti fisiologici secondari a determinate attività cerebrali, comportamenti o processi cognitivi. Anche se le tecniche in uso sono molteplici, la più utilizzata è senz'altro la registrazione dei potenziali elettrici cerebrali dallo scalpo. Clinicamente queste tecniche sono l'elettroencefalogramma e i potenziali evocati. La MEG consente invece di registrare i potenziali magnetici cerebrali. Sia la neuropsicologia che le tecniche di neuroimaging e le tecniche elettrofisiologiche possono essere categorizzate come neuroscienze cognitive, cioè la scienza che collega la psicologia con le neuroscienze. Descrizione Attualmente la psicologia è una disciplina composita; i suoi metodi di ricerca sono sperimentali (di laboratorio o sul campo) oppure etnograficamente orientati (ad esempio: alcuni approcci della psicologia culturale); hanno una dimensione individuale (ad esempio: studi di psicofisica, psicoterapia individuale, ecc.) oppure una maggiore attenzione all'aspetto sociale e di gruppo (ad esempio: lo studio delle dinamiche psicologiche nelle organizzazioni, la psicologia del lavoro, ecc.). Queste diversità di approccio hanno prodotto diverse sottodiscipline psicologiche, con differenti matrici epistemologico-culturali di riferimento. In particolare l'uso del metodo scientifico in taluni ambiti si evidenzia nell'osservazione/misurazione dall'esterno dei fenomeni psichici-cognitivi e all'uso congiunto della statistica come strumento di analisi dei dati rilevati. La psicologia si differenzia dalla psichiatria, che è una disciplina medica focalizzata sull'intervento di tipo farmacologico in merito ai disturbi psicopatologici, in comune però con la psicologia clinica e i relativi interventi psicoterapeutici. Il professionista abilitato all'esercizio della psicologia è detto psicologo. Oggetto di studio La psicologia, come esemplificato dalla definizione iniziale, studia la personalità, i processi mentali e i comportamenti di un individuo. Studio della personalità La personalità è definita come l'insieme caratteristico di atteggiamenti, cognizioni e modelli emotivi, che si evolvono da fattori biologici e ambientali, e guidano il comportamento di un individuo. Sebbene non vi sia una definizione generalmente concordata sulla personalità, la maggior parte delle teorie si concentra sulla motivazione e sulle interazioni psicologiche con il proprio ambiente. Le teorie della personalità basate sui tratti, come quelle definite da Raymond Cattell, definiscono la personalità come i tratti che predicono il comportamento di una persona. D'altra parte, approcci più comportamentali definiscono la personalità attraverso l'apprendimento e le abitudini. La maggior parte delle teorie considera comunque la personalità come un costrutto relativamente stabile. Lo studio della psicologia della personalità ha l'obiettivo di spiegare le tendenze alla base delle differenze individuali di comportamento. Sono stati adottati molti approcci per studiare la personalità, comprese teorie biologiche, cognitive, di apprendimento e basate sui tratti, nonché approcci psicodinamici e umanistici. Alcune teorie influenti sul tema della personalità sono state proposte da Sigmund Freud, Alfred Adler, Gordon Allport, Hans Eysenck, Abraham Maslow e Carl Rogers. I processi mentali I processi mentali, in psicologia, si possono suddividere in due ampie categorie: processi cognitivi e processi dinamici. Processi cognitivi I processi cognitivi sono quei processi che permettono a un organismo di raccogliere informazioni sull'ambiente, immagazzinarle, analizzarle, valutarle, trasformarle, per poi utilizzarle nel proprio agire sul mondo circostante. I principali processi cognitivi sono la percezione, l'attenzione, la coscienza, il pensiero, il linguaggio, l'intelligenza, l'immaginazione, la memoria. Processi dinamici I processi dinamici sono quei processi mentali non riconducibili a meccanismi biologici e a processi fisiologici, i quali sono riconducibili a una personalità integrata, caratterizzati da una continua interazione e non sono definibili come apparati statici. I principali processi dinamici sono: il bisogno, la pulsione, l'attaccamento, l'emozione, la motivazione, la personalità. Particolare importanza assumono inoltre le leggi della frustrazione e della gratificazione. Altri processi mentali Processi mentali che non rientrano nella classificazione precedente perché differenti e più complessi sono: la sensazione, l'opinione, l'atteggiamento, il comportamento manifesto. Psicologia moderna e psicologia postmoderna La psicologia moderna e la psicologia postmoderna sono due modalità di studio dei processi psichici dell'uomo che coesistono nella storia del pensiero occidentale fin dal periodo classico. Nei primordi dello studio della psiche è rilevabile la classificazione aristotelica, che darà la scintilla alla psicologia moderna, e il dialogo socratico (maieutica) che darà la nascita alla psicologia postmoderna. Le due visioni della psicologia (moderna e postmoderna) vivono contemporaneamente lo stesso periodo storico. Si definiscono l'una moderna, poiché ha avuto il suo massimo splendore nella modernità, e l'altra postmoderna in quanto il suo periodo di massima espansione si è avuto in seguito alla prima (in un periodo che va dagli anni ottanta del XX secolo in poi). Psicologia moderna Il frantumarsi della psicologia era già in corso fin dagli anni venti del Novecento; già in questo periodo si riscontrano molti testi dai titoli inequivocabili: La crisi della psicologia di Driesch (1925), La crisi della psicologia di Koffka (1926), Il senso storico della crisi della psicologia di Vygotskij (1926), La crisi della psicologia di Bühler (1927). In quegli anni il proliferare di prospettive psicologiche aveva portato con sé uno studio dei processi mentali settario, di categoria. Gli psicologi non si interessarono dei processi mentali in quanto oggetto della psicologia, bensì, si interessarono a essi in forza della prospettiva di appartenenza: gli psicoanalisti studiarono l'inconscio, i gestaltisti la percezione, i comportamentisti il comportamento manifesto, gli strutturalisti gli elementi non altrimenti riducibili presenti nella psiche. Inoltre tali studi vennero effettuati con metodiche differenti, sempre in base alla matrice culturale di appartenenza: introspezione, retrospezione, condizionamento, e così via. Questa ramificazione, così netta, è da attribuire allo stesso oggetto di studio della psicologia: la psiche. Difatti la psicologia, a differenza di altre discipline scientifiche, non ha un oggetto di studio operazionalizzabile e misurabile in maniera perfettamente aderente a un rigoroso metodo galileiano: l'uso della statistica da parte degli psicologi è una modalità attraverso cui è possibile generalizzare concetti derivati dallo studio dei casi singoli (nomotetizzazione del dato idiografico), in un contesto epistemico in cui la stessa osservazione e misurazione diretta dell'oggetto di studio (la mente e i suoi processi funzionali) è di difficile definizione e realizzabilità. In quest'ambito di definizione dell'oggetto di studio, si evince tutta l'attualità del problema rappresentato dal dualismo cartesiano di res cogitans e res extensa; dualismo che pone difficili problemi epistemici e operativi, e che farà dire allo psichiatra svizzero Binswanger che esso "è il cancro di ogni psicologia". Due tematiche ricorrenti del discorso psicologico sono, da una parte, i due assi del "problema cartesiano" e dall'altra la necessità dell'approccio quantitativo sperimentale di matrice galileiana. Si tratta di ostacoli epistemologici di vasta portata e complessità, e le diverse modalità di gestione degli stessi nei vari periodi storici hanno portato al nascere e all'articolarsi dei diversi paradigmi di ricerca della psicologia sperimentale. Per questo hanno via via provato a escludere la coscienza dalla loro indagine (comportamentisti in primis), hanno "sezionato" la mente fino a cercare di considerarne i suoi elementi non altrimenti riducibili (strutturalisti), hanno ideato ipotesi che potessero collegare la mente al corpo (l'isomorfismo Khöleriano e il concetto di pulsione in Freud), hanno provato a rappresentare la mente sulla base del modello di elaborazione delle informazioni che rappresenta la matrice concettuale dei computer (scienza cognitiva), e altri tentativi finalizzati a modellizzare e operazionalizzare in maniera efficace il proprio sfuggente oggetto di ricerca. Kenneth Gergen descrive la psicologia fin qui riportata come psicologia moderna, la quale si basa su quattro presupposti epistemologici: gli psicologi hanno un oggetto di ricerca comune; ovvero, gli psicologi devono pervenire a definire e operare su un solo e comune oggetto di studio, a prescindere che esso sia la mente, il comportamento manifesto, o le relazioni interpersonali (come i fisici possono avere la relatività, lo studio del pendolo, o la traiettoria di una meteora come specificazione di leggi fisiche unitarie e universali). lo psicologo, una volta individuato il suo oggetto di studio, lo studia nei casi particolari per giungere a leggi universali (dall'idiografia alla nomotetia). il metodo di studio dell'oggetto deve essere la ricerca empirica, preferibilmente mediante il metodo sperimentale. In questa visione il metodo sperimentale è oggettivo, scevro da posizioni personali, etiche, morali, sociali, politiche. fiducia nella crescita della conoscenza verso la "reale" natura dei fenomeni studiati dalla psicologia, mediante una continua verifica sperimentale delle ipotesi. Psicologia postmoderna Psicologia teorica e psicologia applicata Fin qui si è parlato dell'evoluzione storica del concetto di psicologia, analizzando brevemente come sono cambiati nel tempo i paradigmi e le teorie di riferimento. La psicologia, però, si ramifica anche in varie branche. Tradizionalmente si distingue fra psicologia teorica o pura e psicologia applicata. La prima studia il comportamento umano in generale e il funzionamento dei processi cognitivi. Nella psicologia applicata l'interesse è invece rivolto alla soluzione di problemi "pratici", sia psicologici sia di altro genere, ma che implichino sempre meccanismi psicologici. Ovviamente la psicologia teorica sta alla base della psicologia applicata. La psicologia teorica si suddivide a sua volta in quattro diramazioni principali: Psicologia generale, ha per oggetto l'attività psichica dell'adulto sano. Essa cerca leggi universali per i processi psichici (percezione, memoria, apprendimento ecc.) che valgano a prescindere dalle differenze di personalità, età, condizione sociale e culturale; Psicologia evolutiva, che studia come i processi psichici cambino con l'età, dall'infanzia alla vecchiaia. Psicologia delle differenze individuali, che analizza e valuta le diverse qualità psichiche (personalità) riscontrabili nelle persone, spesso attraverso l'uso di test psicologici; Psicologia transculturale, che paragona, in ragione del medesimo aspetto (percezione, comportamento, ecc. ecc.), gruppi di persone appartenenti a culture differenti al fine di studiare quale siano gli aspetti universali (non dipendenti dalla cultura di origine) e quali siano gli aspetti specifici derivanti dalla cultura di origine. Anche la psicologia applicata ha numerose ramificazioni. Fra le principali troviamo la psicologia clinica, che si occupa essenzialmente delle malattie di natura psicologica, la psicologia del lavoro, utilizzata ad esempio per la selezione del personale, la psicologia forense, applicata in ambito giudiziario, carcerario e criminale. Questa, però, è solo una suddivisione che ha valore euristico e che non può essere completamente soddisfacente, in quanto non rispecchia la vera situazione in psicologia. In realtà, infatti, è impossibile pensare che la psicologia applicata, nel cercare di risolvere i problemi, non si ponga ipotesi ed elabori teorie. Allo stesso modo anche la psicologia teorica, che fu a suo tempo criticata per un'eccessiva astrattezza, è al giorno d'oggi una disciplina che elabora le sue teorie ponendo maggiore attenzione al contesto ambientale e sociale. Il dominio della psicologia è particolarmente ampio e diversificato. In quanto l'interazione persona-ambiente modifica la persona, la quale viene modificata dall'ambiente stesso. A causa di questo stretto legame, studiare il campo di applicazione (per esempio: lo sviluppo di una persona, lo sport) porta a studiare la psiche che si esprime mediante l'interazione stessa. Questo porta ad affermare che non esiste una psiche astratta, ma esiste la psiche in quanto facente parte di una interazione persona-ambiente; per questo, spesso e volentieri, lo studio della psiche è accompagnato dallo studio del comportamento, quest'ultimo ne è il mezzo, il ponte fra i due, lo strumento principe mediante il quale la psiche si esprime e modella l'ambiente, e mediante il quale l'ambiente entra in relazione con la psiche di ogni persona. La valutazione di questa interazione porta lo psicologo ad affrontare numerosi ambiti di studio, i quali, storicizzandosi, si innestano col tempo nella psicologia stessa divenendone una parte. Questo ha portato a un fiorire di branche della psicologia assai numeroso e particolareggiato. La psicopatologia La psicopatologia è una disciplina psicologica che studia il funzionamento anormale dei processi psichici, mirando a indagarne ed elaborarne in forma sistematica le cause specifiche finalizzate a sviluppare metodologie e pratiche di intervento terapeutiche e adattative. Per essa il sintomo è un segno che indica uno dei modi di elaborare l'esperienza; dunque normale e patologico sono solo due diversi modi di elaborare l'esperienza: il primo adattivo e funzionale, il secondo disadattivo e disfunzionale. La psicopatologia si divide in: Interpretativa. Esistono assunti interpretativi basati su presupposti prospettici (comportamentali, cognitivi, psicoanalitici, sistemici e così via). Descrittiva. Cercando di limitare i presupposti culturali interpretativi, l'esperienza è descritta e rigorosamente categorizzata basandosi sul resoconto effettuato dal paziente, e osservando il suo comportamento. A prescindere dal tipo di psicopatologia adottata, il concetto chiave che descrive a pieno l'atto d'indagine dello psicopatologo è la comprensione (verstehen). Karl Jaspers distingue: « [...] anche terminologicamente due differenti significati: il comprendere statico, l'attualizzarsi di stati psichici e l'oggettivazione di qualità psichiche, e il comprendere genetico, l'immedesimarsi nell'altro, il comprendere le relazioni psichiche». La descrizione fenomenologica avviene mediante la valutazione, da parte del terapeuta, dell'esperienza soggettiva (cioè per come viene esperita direttamente) del paziente, da cui si produce un quadro statico del qui e ora, di quel che voglia significare tale esperire per il paziente nell'attuale. La comprensione fenomenologica genetica è utilizzata dal terapeuta al fine di immedesimarsi, mediante l'empatia, nella soggettività del paziente, al fine di comprendere gli antecedenti che hanno portato all'attuale esperienza. Per esempio una grave offesa ricevuta nei confronti della propria moglie morta ha portato il paziente ad avere un attacco d'ira e a commettere un omicidio "riparatore". Il terapeuta mediante l'empatia può collocarsi al posto del paziente e provare, esperire, valutare nella soggettività come l'omicidio di risposta del paziente possa esser avvenuto. È da notare che vi è solo "immedesimazione" ("come mi sarei comportato io se mi fosse accaduto ciò che il paziente mi sta riferendo?") e non "giudizio", anzi, si ha una sospensione del giudizio, al fine di avere un'autentica empatia con il paziente. La spiegazione si attua al fine di rendicontare gli avvenimenti: il terapeuta si pone da un punto di vista neutrale. La spiegazione statica è un rendiconto esterno del qui e ora: per esempio, il paziente "in questo istante mi sta dicendo che il giorno 8 settembre 1940 è nato". È assimilabile a una descrizione dei fatti di tipo giornalistico, con un punto di vista neutrale. La spiegazione genetica si ha quando si vuole dipanare relazioni causali: "quella persona si è alzata poiché voleva aprire la porta". Siamo al livello di causa-effetto, e della relazione che lega i due fattori. È assimilabile al metodo galileano. Dibattito scientifico e filosofico sulla psicologia Essenzialmente le critiche alla scientificità della psicologia riguardano il confronto con altre discipline scientifiche (tipicamente fisica, chimica, biologia e scienze mediche) e le differenze, entro la psicologia stessa, fra le varie prospettive o correnti (es. psicologia generale, psicologia sociale, psicologia dinamica, neuroscienze). Sebbene nel senso comune pochi abbiano dubbi sulla scientificità della fisica, molti invece nutrono dubbi sulla scientificità della psicologia. La scienza infatti si caratterizza rispetto ad altre attività umane oltre che per la ricerca di regolarità attraverso la scoperta di leggi fisiche e naturali, anche per il rigore metodologico attraverso il metodo scientifico volto a smascherare eventuali fallacie o bias. Secondo la prospettiva "scientista" molti principi della psicologia non sarebbero pienamente verificabili sperimentalmente, ma la loro bontà ovvero validità sarebbe in diretta dipendenza con l'efficacia o meno delle terapie psicologiche, ma diversi dubbi sono stati sollevati in merito (vedi efficacia della psicoterapia). Le critiche riguardanti la psicologia riguardano dunque la sua metodologia: sebbene la psicologia non applichi il metodo scientifico in toto o in senso stretto come nelle scienze matematiche fisiche e naturali tanto da essere relegata/considerata come scienza molle al pari di altre scienze umane, secondo alcuni, malgrado gli argomenti di studio siano molto differenti, vi sono elementi ed aspetti metodologici ed un nucleo essenziale di elementi epistemologici comuni tra scienza e psicologia che inducono a considerala comunque come una scienza, intesa sia come corpo organico e sistematico di conoscenze, sia come scienza rigorosa per l'applicazione del metodo osservativo sui contenuti della psiche/mente riferiti dal paziente e sull'osservazione diretta sul comportamento individuale di un soggetto definito "normale" oppure "patologico" ovvero deviante (concetti quest'ultimi però soggetti a critica) (es. in psicologia clinica), nonché il ricorso in alcuni casi alla misura e l'appoggio alla statistica in diverse sue branche. Vi sono infatti diversi mezzi di conoscenza, sommariamente divisi in empirici e non: tra i non empirici includiamo la logica e l'autorità; tra i metodi empirici, la scienza e l'intuizione. La scienza è caratterizzata dall'uso del cosiddetto metodo scientifico, o meglio dai metodi scientifici, non uno, ma diversi, accomunati dalla strutturazione concettuale seguente: definizione del problema; formulazione di ipotesi; raccolta dati; elaborazione di conclusioni. Tale percorso è utilizzato sempre anche in psicologia. I sostenitori della psicologia sostengono inoltre che essa presenti caratteristiche sufficienti per essere definita scienza, perché possiede: empirismo; obiettività; possibilismo; parsimonia; ed ha un interessamento privilegiato per la teoria. Un'altra critica forte alla psicologia, rispetto alle "scienze dure" e che la accomuna ad altre "scienze molli", è il non essere cumulativa ovvero le conoscenze e nuove scoperte non sempre si "sommano" in una teoria nuova più completa, ma spesso danno vita a nuove correnti di pensiero diverse e inconciliabili tra loro, che espone la psicologia a continue possibili falsificazioni. Un aspetto specifico della ricerca in psicologia è che il ricercatore modifica "l'oggetto" in esame nell'interagire con esso. Seppure questa affermazione sia in alcuni casi vera (v. ad es. l'Effetto Hawthorne), lo è per un settore della psicologia con ambito di applicazione abbastanza ristretto. Del resto, forme di interazione tra osservatore e oggetto osservato esistono anche in fisica sebbene nel mondo microscopico (vedi principio di indeterminazione di Heisenberg) e nelle ricerche etnografiche. Una considerazione simile è effettuabile anche in merito "all'osservazione". Tutti i soggetti, in un certo senso, "osservano" continuativamente, in ogni momento e ogni luogo e per questa caratteristica la ricerca osservativa era stata bandita dalla scienza. In seguito si è capito che il problema di fondo era che cosa si doveva intendere per "osservazione"; si è quindi passati da un tipo di ricerca a un metodo di ricerca, con regole e limiti per la raccolta di dati non ottenibili altrimenti. Un'altra critica classica è stata rivolta alla ricerca psicologica di laboratorio, nella quale si ha un alto valore metodologico, ma scarso successo speculativo: l'ambiente, poiché artificiale, tende a modificare l'oggetto di studio. D'altra parte, il laboratorio può garantire il controllo di tutte le principali variabili, permettendo così di esaminare solo la variabile di interesse. In psicologia la ricerca di laboratorio incontra delle limitazioni nei contesti in cui l'ambiente stesso del laboratorio può modificare in maniera disfunzionale alcune variabili relazionali: ad esempio, se consideriamo certi studi di psicologia sociale, emerge che non possono essere studiati al meglio in laboratorio, ma richiedono spesso uno studio nell'ambiente sociale naturale. Questa differenza tra metodi utilizzabili nelle diverse discipline psicologiche è riassumibile nel concetto stesso dei diversi metodi scientifici utilizzabili. Essendo la psicologia un campo molto ampio, saranno necessari metodi, strumenti e tecniche di indagine molto diversificate tra loro, a seconda di cosa si voglia studiare (es.: la percezione visiva è può essere studiata anche mediante l'ausilio del computer, gli atteggiamenti razzistici hanno bisogno di essere valutati sul campo). Un'altra critica classica è quella secondo cui spesso in psicologia venga osservato il risultato di un "processo" (come ad esempio il comportamento, l'atteggiamento, i valori psicofisiologici, ecc.), ma non il processo stesso (ad es., il sostrato mentale di tali manifestazioni esterne). Sebbene queste critiche siano rintracciabili principalmente nel periodo del comportamentismo, in qualche subdisciplina psicologica è possibile rilevare ancora lo stesso problema (ad esempio, nella psicologia del pensiero). Vengono quindi adottate tutte le tecniche sperimentali per indagare il processo stesso nelle sue subcomponenti, per cercare di capirne il funzionamento. Lo stesso principio è utilizzato anche dalla fisica: non posso osservare la gravità, ma solo i suoi effetti sui gravi; e da questi effetti posso desumerne le caratteristiche intrinseche. L'aumento di sofisticazione teorico-metodologica dei test statistici e dei disegni di ricerca, come la moltiplicazione di approfondimenti, in ambito accademico e formativo, di discipline statistiche, metodologiche, tecniche sperimentali, di filosofia della scienza, sono un correlato dell'uso del metodo scientifico in psicologia. Tuttavia, la scientificità della psicologia è assicurata dalle numerose Società di ricercatori e docenti di discipline psicologiche, esistenti in tutti i paesi: in Italia, l'Associazione AIP. In Europa, la EFPA raccoglie le società di psicologia scientifica dei diversi paesi europei. I test psicologici e la misura in psicologia Un test psicologico è una misurazione oggettiva e standardizzata di un campione di comportamento, che si ritiene essere indicativo di un costrutto teorico. Ad esempio un test che vuole misurare la socievolezza (costrutto teorico), prende in considerazione comportamenti che sono associati a questo tratto di personalità (essere loquaci, amare la compagnia, ecc...). Difatti la caratteristica insita nella misurazione in psicologia è che l'oggetto che si ha intenzione di misurare spesso non ha caratteristiche fisiche dirette e concrete, ma è un costrutto teorico, di cui vengono valutati gli indicatori comportamentali. Un esempio può essere la creatività. La "creatività" è un costrutto teorico, non un oggetto fisico: coerentemente, si dovrà affermare che il test psicologico somministrato differenzia le persone più creative da quelle meno creative, in base a un certo tipo di definizione di creatività. In altre parole, l'atto del misurare (mediante test psicologici) è connesso al significato del costrutto teorico (l'oggetto di misura); perciò lo psicologo quando misura deve tener conto: Del test psicologico utilizzato per misurare (cioè le caratteristiche psicometriche dello strumento quali attendibilità, validità e standardizzazione) Del significato del costrutto teorico (il costrutto sottoposto a misura) Sebbene possano sembrare limitanti, un qualsiasi comportamento è composto da segni e sintomi caratteristici. L'insieme di questi segni e sintomi caratteristici possono essere presi come riferimento per la creazione di un test riferito a quel dato comportamento. Ovviamente intervengono diversi fattori inerenti allo strumento, che può essere più o meno adatto a rilevare quel tipo di comportamento. Va anche detto che un dato comportamento può essere rilevato nella popolazione scelta per quel test. Poiché vi sono differenze genetiche e culturali nelle diverse culture, possono esserci delle differenze nei risultati dei test somministrati a gruppi diversi. Elenco delle principali branche della psicologia Branche prevalentemente teoriche e di ricerca (espresse in ordine alfabetico) Comportamentismo Cognitivismo Costruttivismo Neuropsicologia Psicologia comparata Psicologia clinica Psicologia dinamica Psicoanalisi Psicologia analitica Psicosintesi Psicologia individuale Psicologia culturale Psicologia del lavoro e delle organizzazioni Psicologia del lavoro Psicologia dell'orientamento Psicologia della formazione Psicologia delle organizzazioni Psicologia dello sport Psicologia della religione Psicologia della salute Psicologia dello sviluppo Psicologia emotocognitiva Psicologia fisiologica Psicologia generale Psicologia militare Psicologia morale Psicologia narrativa Psicologia positiva Psicologia sociale Psicologia ambientale Psicologia dei gruppi Psicologia sperimentale Psicologia transpersonale Psicologia umanistica Psicometria Test di personalità Branche prevalentemente terapeutiche e di intervento (espresse in ordine alfabetico) Analisi transazionale Automotivazione Ipnoterapia Psicoanalisi Psicodiagnostica Psicodramma Psicologia clinica Psicologia dell'emergenza Psicologia dello sport Psicologia di comunità Psicosomatica Psicotecnica Psicoterapia Psicoterapia con la procedura immaginativa Psicoterapia della Gestalt Psicoterapia transpersonale Psicoterapie corporee Riabilitazione neuropsicologica Terapia breve strategica Terapia cognitiva Terapia cognitivo-comportamentale Terapia comportamentale Terapia di gruppo Terapia familiare Vegetoterapia Altro Autori Alcuni fra i più eminenti psicologi nella storia della psicologia. I "premi" della psicologia I principali premi (awards) della psicologia sono: lAwards of the APA Divisions; il Grawemeyer Award; il Premio Balzan; lo Psi Chi, the National Honor Society in Psychology; lo Psi Beta National Honor Society in Psychology for Community & Junior Colleges (versione per gli studenti delle università americane dello Psi Chi, the National Honor Society in Psychology); il Wolfgang Metzger Award. Gli "incontri" degli psicologi Nella storia della psicologia vi sono stati molti "incontri": gruppi più o meno ufficiali di psicologi appartenenti a questa o a quella prospettiva, che avevano in comune la stessa matrice culturale. Sono ravvisabili fra i più noti: la Società psicoanalitica del mercoledì, fondata da Freud e alla quale faranno parte: Alfred Adler, Otto Rank e Carl Jung; la Quasselstrippe («in tedesco quasseln significa vagare, divagare; strippe, filo, spago. Così la Quasselstrippe era un gruppo con il quale ci si poteva unire e discutere liberamente») fu una specie di club, formato da Kurt Lewin, Maria Ovsiankina, Tamara Dembo, Bluma Zeigarnik, Gita Birenbaum, Usao Onoshima, Kanae Sakuma. Il loro ritrovo era al Schwedische Café posto innanzi all'Istituto di psicologia, nella piazza Schlossplatz. Wertheimer, Köhler e Koffka si ritrovavano settimanalmente allo Smith College. Erano praticamente inseparabili e ciò che studiava l'uno lo poneva a giudizio degli altri due: «Wertheimer era l'artista ispirato e appassionato, Köhler era il fisico un po' riservato e Koffka il logico di grande talento verbale che cercava di inserire tutto in un sistema totale». i Mercoledì pavloviani, nei quali Ivan Pavlov discuteva con i suoi allievi delle sue ricerche; questi incontri vennero registrati e forniscono un materiale ineguagliabile sulla figura di Pavlov. Note Bibliografia Cartacea Roberto Pavese - Il Meccanismo della Coscienza. Milano-Catania, Isis, 1922. Online Gianni Vita, Psicologia quotidiana , su Internet, 2014 Sigmund Freud, Psicopatologia della vita quotidiana, su Internet, 1971 Voci correlate American Psychological Association Associazionismo Cibernetica Comportamentismo Costruttivismo (psicologia) Discipline psicologiche Epistemologia Filosofia della scienza Funzionalismo (psicologia) Meta-analisi Metodo scientifico Neuropsicologia Neuroscienze Pedagogia Persuasione Propaganda Pseudoscienza Psicoanalisi Psicodiagnostica Psicodinamica Psicologo Psicologia comparata Psicologia cognitiva Psicologia della Gestalt Psicologia della pubblicità Psicologia delle folle Psicoterapia Scienza Scuola storico-culturale Sociologia Statistica Storia della psicologia Storia della psicoterapia Strutturalismo (psicologia) Suggestione Transazione (psicologia) Altri progetti Collegamenti esterni Premi Principali associazioni e società italiane di psicologia Società scientifiche Associazioni di categoria Professione & Solidarietà, su https://professioneesolidarieta.it/ Neuroscienze
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Premio Nobel per la pace
Il premio Nobel per la pace (Nobel Peace Prize) è stato istituito dal testamento di Alfred Nobel del 1895 ed è stato assegnato per la prima volta nel 1901, come gli altri premi istituiti da Nobel stesso. A differenza degli altri premi Nobel, quello per la pace viene assegnato in Norvegia, e non in Svezia: la cerimonia di consegna del Nobel per la pace si tiene infatti a Oslo, questo perché all'epoca dell'istituzione dei premi Nobel la Norvegia era ancora unita alla Svezia. Il vincitore del premio viene scelto dal Comitato per il Nobel norvegese, composto da cinque persone scelte dal Parlamento norvegese. L'annuncio della decisione viene effettuato a metà ottobre e la consegna del premio avviene presso il municipio di Oslo. È anche l'unico premio Nobel che può essere assegnato non solo a singole persone, ma anche a intere organizzazioni. L'assegnazione del premio non si è svolta in 19 occasioni: durante la prima guerra mondiale (1914, 1915, 1916, 1918), nel primo dopoguerra (1923, 1924, 1928 e 1932), durante la seconda guerra mondiale (1939, 1940, 1941, 1942 e 1943) e negli anni della guerra fredda (1948, 1955, 1956) e della guerra del Vietnam (1966, 1967, 1972). Nel 1917 e nel 1944 venne assegnato alla Croce Rossa internazionale. Inizialmente occidentale, l'origine dei candidati si estese gradualmente a tutto il mondo. Il Premio Nobel per la Pace ha oggi una straordinaria importanza politica, alcuni premi hanno valore di disconoscimento di governi autoritari come quello di Aung San Suu Kyi nel 1991 nei confronti della giunta birmana o quello di Liu Xiaobo in 2010 per quanto riguarda il governo cinese. Certe nomine ebbero una particolare risonanza come quella di Theodore Roosevelt nel 1906 che fu fortemente contestata perché Roosevelt era "militarista". Degne di nota anche quella del giornalista antinazista tedesco Carl von Ossietzky nel 1935 e quella del 14º Dalai Lama, Tenzin Gyatso, nel 1989. Nel complesso, il Premio Nobel viene assegnato soprattutto a personaggi storici dell'azione umanitaria, della lotta all'oppressione politica o della difesa dei diritti egualitari come Albert Schweitzer, Martin Luther King e Madre Teresa di Calcutta. Procedura di assegnazione Il premio Nobel per la pace viene assegnato con una procedura diversa rispetto agli altri premi Nobel. Nel suo testamento, Alfred Nobel stabilì che, mentre i premi per la scienza e per la letteratura dovevano essere decisi da istituzioni svedesi (l'Accademia reale svedese delle scienze per i Nobel della chimica e della fisica, l'Istituto Karolinska per la medicina, l'Accademia svedese per la letteratura), quello per la pace avrebbe dovuto essere deciso da un Comitato nominato dal Parlamento norvegese, visto che la Norvegia, nel 1901, era ancora parte del Regno di Svezia e Norvegia. Ogni anno, il Comitato invia richieste di suggerimenti di candidati a: componenti passati e presenti e consiglieri nominati dall'Istituto norvegese dei Nobel; membri delle assemblee nazionali e dei governi di diversi paesi e ai membri dell'Unione interparlamentare; componenti della Corte internazionale di giustizia dell'Aja e della Corte di arbitrato; membri della Commissione dell'ufficio permanente internazionale di pace; membri di Istituti di diritto internazionale; professori universitari di diritto, scienze politiche, storia e filosofia; personaggi insigniti del Nobel per la pace; direttori di Istituti di studi militari o di organizzazioni che lavorano per la pace. Entro il primo febbraio, devono arrivare le segnalazioni, che vengono esaminate con l'aiuto di alcuni esperti. Dopo una prima selezione, si passa al voto finale. Critiche e controversie Il Premio Nobel per la Pace ha spesso contraddistinto una particolare azione senza che questa sia necessariamente sottoposta alla prova del tempo: quella di una persona o una struttura che ha risolto un conflitto internazionale e costruito un consenso pacifico. Sono stati infatti assegnati diversi premi senza tener conto del passato del vincitore o della sua politica e dei suoi atti intermedi spesso in contraddizione con la definizione del premio. Ciò ha ampiamente messo in discussione la credibilità o addirittura la legittimità della distinzione quando si trattava di personalità come Theodore Roosevelt, Anwar al-Sadat, Menachem Begin, Shimon Peres, Yitzhak Rabin, Yasser Arafat, Lê Đức Thọ, Henry Kissinger o Eisaku Satō: scelte tanto sofferte quanto controverse. Di conseguenza, Nel 2005, il Comitato per il Nobel ha pubblicamente affermato che il premio sarà assegnato solo a persone, gruppi o organizzazioni che hanno impegnato la loro esistenza al servizio dei diritti umani, la promozione del Modello Liberale nonché la difesa dei modi di diplomazia. Alcuni destinatari sono stati criticati anche per alcune azioni che sembrano contrarie alle aspirazioni del Nobel: dal 2017 la stampa rimprovera in particolare Aung San Suu Kyi vincitrice del premio nel 1991, per la sua inerzia e la sua mancanza di condanna della pulizia etnica contro i Rohingya. Un altro esempio è quello del primo ministro dell'Etiopia Abiy Ahmed Ali, premiato nel 2019, che a partire dal 2020 è stato coinvolto nella guerra del Tigrè, nella quale sarebbe stato responsabile di crimini di guerra: per questo motivo è stata chiesta la revoca del premio. Tuttavia, durante gli anni 2000, il premio è andato ad un ex presidente, un ex vicepresidente e un presidente in carica degli Stati Uniti (Jimmy Carter, Al Gore e Barack Obama dopo appena nove mesi di presidenza), nonostante questo paese abbia un forte impegno militare oltre i suoi confini. L'altra critica importante rivolta ai giurati del Nobel riguarda la notevole omissione dalla sua lista di individui i cui contributi alla pace sono stati accolti all'unanimità. L'elenco dei grandi dimenticati comprende in particolare il Mahatma Gandhi, la cui omissione è stata fortemente criticata, anche nelle dichiarazioni di diversi membri del Comitato norvegese. Quest'ultimo ha ammesso di aver nominato il Mahatma Gandhi nel 1937, 1938, 1939, 1947 e, infine, pochi giorni prima del suo assassinio, nel gennaio 1948. In quell'anno, si era rifiutato di assegnare un premio, giudicando che "non c'era un candidato vivente idoneo". L'omissione di Gandhi fu pubblicamente e all'unanimità deplorata dai successivi membri del Comitato norvegese. Più tardi, quando il premio è stato assegnato a Tenzin Gyatso nel 1989, il presidente del comitato Egil Aarvik, ha detto che la decisione è stata "in parte un tributo alla memoria del Mahatma Gandhi". L'ultimo e importante rimprovero rivolto al Nobel riguarda l'efficacia e il valore reale di questa ricompensa quando è andata a personalità i cui sforzi diplomatici sono stati giudicati "vani" quanto "sterili" come l'ex presidente statunitense Jimmy Carter, l'ex segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan o l'ex direttore dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica Muhammad al-Barādeʿī. Premi Nobel per la pace Note Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Pascal%20%28linguaggio%20di%20programmazione%29
Pascal (linguaggio di programmazione)
Il Pascal, in informatica, è un linguaggio di programmazione creato da Niklaus Wirth e basato sul linguaggio ALGOL; il nome è dedicato a Blaise Pascal che inventò nel 1645 la Pascalina, considerata la prima calcolatrice. Storia Pare che Wirth, docente di programmazione negli anni Sessanta, avvertisse la mancanza di un linguaggio di programmazione adatto all'insegnamento della propria materia e dotato di strutture dati avanzate. Il BASIC, creato nel 1964, era facile da imparare ma non aveva strutture dati avanzate e non incoraggiava abbastanza ad analizzare il problema prima di scrivere effettivamente il codice. Nemmeno linguaggi come ALGOL e Fortran sembravano adatti per i suoi fini didattici. Perciò, Wirth creò da zero il linguaggio Pascal, inserendovi il concetto di programmazione strutturata. La prima implementazione del linguaggio divenne operativa nel 1970, ma raggiunse una discreta diffusione nel campo industriale a partire dal 1974, con la pubblicazione del libro "Pascal User Manual and Report", considerato il riferimento standard per il linguaggio. TeX e parte delle prime versioni del sistema operativo del Macintosh e di Microsoft Windows furono scritte in Pascal. Essendo un linguaggio pensato per studenti e utenti inesperti, i compilatori Pascal hanno un atteggiamento protettivo nei confronti del programmatore (partendo dal presupposto che qualunque irregolarità del codice scritto sia un errore), che spesso infastidisce un po' gli esperti. Per esempio i dati e le funzioni sono verificati dal compilatore usando la cosiddetta tipizzazione forte (strong type checking), ovvero uno stretto rigore riguardo alla definizione ed al modo di usare i tipi di dati, a differenza di linguaggi a tipizzazione debole (per esempio JavaScript) che invece consentono ai programmatori esperti una maggiore libertà di scrittura del codice al costo della possibilità di rendere più arduo rilevare errori di struttura e sintassi. Il Pascal è un linguaggio che impone sia l'uso di un buono stile di programmazione, sia di analizzare a fondo il problema prima di cominciare a scrivere codice sorgente. Data la diffusione negli ambienti scolastici e l'evoluzione della tecnologia e delle esigenze del mercato, ne sono state create versioni ad oggetti, come per esempio il Turbo Pascal e l'Object Pascal (utilizzato nell'ambiente di sviluppo Delphi di Borland, ora di proprietà di Embarcadero). Caratteristiche Le caratteristiche principali del Pascal sono una sintassi chiara e rigida con l'obbligo di dividere il programma in sezioni ben definite (specifiche uses e implementation) e di dichiarare in anticipo tutte le variabili usate nel programma. Anche la sequenza di definizione degli elementi nel codice sorgente è rigidamente codificata e sequenziale, ovvero: etichette, costanti, tipi, variabili, procedure e funzioni (label, const, type, var, procedure, function). Inoltre, permette l'uso di tipi di dati complessi e definibili dal programmatore (record) tramite la specifica di sezionetype. Permette anche l'uso dei puntatori e l'allocazione dinamica della memoria (specifiche new e dispose), in modo comunque più controllato per esempio del linguaggio C tradizionale. Benché il Pascal sia identificato come linguaggio dalle origini didattiche, in realtà il suo sviluppo non si è mai fermato negli anni ed ha superato il concetto iniziale di programmazione strutturata introducendo, già con Delphi, la programmazione ad oggetti. Negli anni sono state introdotte caratteristiche dei moderni linguaggi di programmazione come ad esempio le interfacce ed i generics, mentre le funzioni anonime erano già state anticipate da Wirth con le funzioni e procedure nidificate, che hanno il pregio di rendere più leggibile il codice sorgente. Questi miglioramenti lo hanno reso un linguaggio molto versatile, tanto da poter essere considerato ad alto livello, ma anche a basso livello in quanto può gestire puntatori e codice unmanaged. La forte tipizzazione lo rende un linguaggio che presenta tendenzialmente meno bug, la semplicità sintattica permette uno sviluppo veloce e, essendo compilato, gli eseguibili sono generalmente molto veloci. Da sottolineare che, nella sua formulazione originale, il linguaggio era privo dell'istruzione GOTO, concettualmente nemica della strutturazione corretta dei programmi, aggiunta poi in seguito ma della quale è comunque scoraggiato l'uso. Tutte queste caratteristiche fanno del Pascal un linguaggio evergreen adatto a sviluppare un ampio ventaglio di applicazioni. Compilatori gratuiti Free Pascal, un compilatore con licenza GPL, con sintassi compatibile con Object Pascal; Lazarus, nato come sottoprogetto di Free Pascal, un clone avanzato GPL di Borland Delphi; Dev-Pascal, IDE per Windows 9X, parzialmente compatibile con la serie NT/2K/XP.. e non più sviluppato, basato sul compilatore Free Pascal. Programmi di esempio Hello, world! Il seguente esempio stampa a video il testo "Hello world". program hello; uses crt; <----non obbligatoria begin clrscr; <----non obbligatoria writeln('Hello World'); readln end. Note La prima riga introduce il programma con la parola chiave program, a cui segue il titolo del programma. Non possono essere utilizzati caratteri speciali né spazi. La terza riga contiene l'istruzione begin, usata per iniziare a scrivere il programma vero e proprio. La quinta riga contiene l'istruzione writeln, usata per scrivere a video il testo ("Hello World") riportato tra parentesi, mentre la sesta, con l'istruzione readln, pone il programma in attesa di un input da tastiera, in modo da non far scomparire immediatamente la scritta. Quando verrà premuto il tasto invio, il programma procederà eseguendo l'istruzione end, che pone fine alla sequenza. Tale comando è l'unico, in ambiente Pascal, ad essere seguito da un punto anziché da un punto e virgola. Variabili Il Pascal mette a disposizione molti tipi di variabili: Tipi interi, utilizzati per memorizzare valori numerici interi, con o senza segno e compresi entro determinati intervalli numerici. In Pascal sono: integer: variabile di tipo intero a 16 bit con segno (numeri da -32.768 a 32.767) word: variabile di tipo intero a 16 bit senza segno, con valori compresi tra 0 e 65.535. byte: come già suggerisce il nome, questo tipo occupa un byte in memoria e consente differenti valori, da 0 a 255. Questo tipo è completamente compatibile con il tipo char: l'unica differenza consiste nel fatto che un tipo byte ha come visualizzazione predefinita quella di un numero, mentre il char quella di un carattere. short: come il precedente occupa un solo byte, ma rappresenta numeri dotati di segno, perciò i valori possono variare da -128 a 127. longint: occupa 4 byte (ovvero 32 bit) e permette di gestire diversi valori con segno, compresi fra -2147483648 e 2147483647. comp: è il tipo intero più grande. Occupa 8 byte (64 bit), pertanto permette di gestire diversi valori con segno, compresi tra -9.2E18 e 9.2E18. Tipi reali: real: numero reale con segno (numeri da -2.9E-39 a 1.7E38), rappresentabili in notazione scientifica o esponenziale. Se si inseriscono da tastiera numeri real, bisogna scriverli in notazione esponenziale. Per stampare a video un numero reale in formato decimale utilizzare la seguente sintassi: ... {Altre istruzioni} Var R:Real; ... {Altre istruzioni} Writeln('Il numero reale è ',R:10:3); ... {Altre istruzioni} In questo caso vengono visualizzate in tutto 10 cifre, di cui 3 decimali. Tipo carattere (char): variabile di carattere, rappresenta un solo carattere generalmente codificati in otto bit con formato ASCII. Tipo stringa (string): variabile che contiene più caratteri, di fatto è un vettore di caratteri (array of char). Per accedere ai singoli caratteri contenuti in una stringa è sufficiente usare le parentesi quadre [] specificando al loro interno il numero del carattere che si vuole utilizzare (lettura/scrittura). Si può indicare la lunghezza massima della stringa inserendo [n] durante la dichiarazione, se non viene specificata, la lunghezza, sarà di 256 caratteri. Tipo booleano (boolean): variabile binaria (vero/falso). Puntatori Si possono specificare puntatori a variabili usando nella dichiarazione un nome seguito dal simbolo ^ che precede il tipo di variabile a cui deve puntare il puntatore. I puntatori funzionano come in C/C++:var pointer : ^int; number : int; begin number := 10; pointer := @number end.In questo modo pointer punterà a number. Mentre per assegnare un valore allo spazio di memoria indirizzato da pointer, si userà ^ in coda al nome, ovvero come operatore di dereferenziazione:pointer^ := 15; Array Gli array in Pascal sono una sequenza ordinata, in quantità prestabilita, di elementi dello stesso tipo. Gli elementi possono essere composti da qualunque tipo di dati, nativo o definito dal programmatore usando type. Una caratteristica importante del linguaggio Pascal sta nel fatto che nel momento della dichiarazione di un array, viene definito anche il valore iniziale dell'indice da utilizzare per la scansione dei vari elementi: Array di un tipo generico: Var nome : array [inizio..fine] of tipo; Stringhe: Come in molti altri linguaggi le stringhe sono semplicemente degli array di caratteri. La dichiarazione di una variabile stringa è quindi la dichiarazione di un array composto da una quantità predefinita di caratteri. Nell'esempio seguente viene creato una variabile stringa di 20 caratteri. La variabile dichiarata in questo modo può essere usata come un array, cioè accedendo alle informazioni carattere per carattere oppure nel suo insieme. Se si utilizza un'assegnazione di quest'ultimo tipo vengono interessati anche gli elementi successivi alla lunghezza della stringa letterale assegnata. Quindi, seguendo l'esempio, l'array riceve il nome «Paolo» nei suoi primi cinque elementi, mentre negli altri viene comunque inserito uno spazio. Nelle più recenti implementazioni di Pascal è tuttavia possibile usare il tipo String, che sostituisce la dichiarazione array [0..n] of char Var nome : array [1..20] of char; ..... {Altre istruzioni} nome := 'Paolo'; {assegnazione nel suo insieme} nome[5] :='a'; {assegnazione del solo quinto carattere} Record In Pascal è possibile definire un tipo personalizzato (custom), strutturato dal programmatore stesso. La sintassi si basa sulla specifica type:type persona = record nome:string[30]; eta:int end;per poi usare il tipo di variabile personalizzato in questo modo:var qualcuno : persona; begin qualcuno.nome := 'Asdrubale' qualcuno.eta := 35 end. Input e output Linput di dati da tastiera viene effettuato tramite l'utilizzo del comando readln(nome_variabile).Loutput invece usa il comando writeln(nome_variabile); la stampa a video usa lo stesso il comando writeln, però il testo è tra singoli apici ' ' (writeln('ciao mondo');) Esistono anche le due funzioni write() e read() che differiscono dalle precedenti per il fatto che non scrivono un codice di "ritorno a capo" (carriage return) a fine riga.Un esempio di I/O di numeri interi: program input_output(input, output); var n1,n2,ris:integer; {Dichiarazione tipo intero} begin writeln('Inserisci n1'); {viene visualizzato il testo tra ' '} readln(n1); {comando di input, la variabile introdotta viene inserita in n1} writeln('Inserisci n2'); readln(n2); ris:=n1+n2; {fa la somma di n1 e n2 e il risultato viene inserito in ris} writeln('La somma e'' uguale a ',ris); {stampa il messaggio tra ' ' e la variabile ris} readln {questo evita che il programma si chiuda senza che sia possibile leggere l'ultima riga, il programma si aspetta che l'utente scriva qualcosa e poi prema INVIO. In questo modo il programma si chiuderà.} end. I/O reali: per l'input di numeri reali il metodo resta sempre lo stesso (readln (variabile)), invece per l'output, per vedere numeri comprensibili bisogna usare una sintassi diversa nel writeln program input_output(input, output); var n1,n2,ris:real; {Dichiarazione tipo reale} begin writeln('Inserisci n1'); {viene visualizzato il testo tra ' '} readln(n1); {comando di input, la variabile introdotta viene messa in n1} writeln('Inserisci n2'); readln(n2); ris:=n1+n2; {fa la somma di n1 e n2 e il risultato viene messo in ris} writeln('La somma e'' uguale a ',ris:6:2); {stampa il messaggio tra ' ' e la variabile ris, con 6 numeri prima della "," , la "," stessa e 2 dopo} readln end. Nella stampa a video abbiamo usata un'alterazione del comando writeln, aggiungendo var:n:m dove var è il nome della variabile da visualizzare, n è il numero di cifre complessive (compresa la ",") da visualizzare e m sono quelle dopo la virgola. Se ci sono più cifre da visualizzare di quelle indicate, esse non vengono inviate sul dispositivo di uscita. I/O caratteri: l'input e l'output di caratteri (numeri, lettere, simboli), è lo stesso per caratteri e numeri interi:program input_output(input, output); var ch:char; {Dichiarazione tipo carattere} begin writeln('Inserisci il carattere'); {viene visualizzato il testo tra ' '} readln(ch); {comando di input, la variabile introdotta viene messa in ch} writeln('Il carattere inserito e'' ',ch); {stampa il messaggio tra ' ' e la variabile ch} readln end. I/O stringhe: le variabili stringhe come già detto sono array di char (vettori di caratteri). Strutture di controllo Alternative Program alternativa; var n:integer; begin write('inserisci un numero: '); readln(n); if n > 0 {controlla se il valore è positivo} then write('il numero e'' positivo.') else write('il numero e'' negativo.'); readln end. Iterazione I seguenti frammenti di codice riportano un esempio dei cicli di iterazione in linguaggio Pascal. Program ciclo_for; var i, n, num:integer; begin write('quanti numeri vuoi inserire?'); readln(n); for i:=1 to n do begin write('inserisci il numero: '); readln(num); end; readln end. Dopo la specifica for, occorre l'assegnazione di un valore a una variabile (in questo caso i:=1). Questa variabile verrà incrementata automaticamente ad ogni ripetizione del ciclo, ovvero del codice indicato dopo for tra do e end: una volta uguale al numero (o alla variabile) dopo il to, il ciclo terminerà. Il valore di una variabile può essere incrementato anche usando la stessa variabile come riferimento. Ovviamente non bisogna fare confusione tra queste espressioni in Pascal, e in molti altri linguaggi, con le convenzioni delle equazioni matematiche. Il ciclo for...to...do ripete un blocco di istruzioni un numero determinato di volte, perciò sono vietati valori reali decimali prima e dopo il to, e le variabili da utilizzare dovranno sempre essere state dichiarate di tipo intero (integer). Si può eseguire un ciclo for..to..do anche in ordine inverso, ossia dal numero più alto a quello più basso, utilizzando la parola chiave downto al posto di to. In questo caso ad ogni ripetizione del ciclo la variabile verrà decrementata invece che incrementata. Program Esempio2; Uses Crt,WinDos; Var nome1,nome2,stringa:string; file1,file2:text; begin clrscr; write('Inserire il nome di un file: '); readln(nome1); write('Inserire il nome del file copia: '); readln(nome2); Assign(file1,nome1); Assign(file2,nome2); Reset(file1); Rewrite(file2); repeat readln(file1,stringa); writeln(file2,stringa); until eof(file1); Close(file1); Close(file2); writeln('Copia completata!'); readln end. Assign(file1,nome1): Questa specifica assegna alla variabile file 1 di tipo testo il nome del file contenuto nella stringa nome1. Occorre precisare come il linguaggio Pascal tradizionale utilizza i nomi dei file. Un nome può essere composto al massimo da 8 caratteri, estensione esclusa. Se il nome supera gli 8 caratteri viene troncato a 6 e si aggiunge un ~1 (il codice ASCII della tilde, ~, è 126). Perciò il nome testouno.txt è corretto e viene mantenuto inalterato. Invece, testoquattro.txt è sbagliato e il compilatore produrrà messaggio di errore (error 2: File not found); testoq~1.txt è la versione corretta dell'esempio precedente: i caratteri vengono troncati a 6 e aggiunto un ~1. Reset(file1); : l'istruzione reset(x), dove x è una variabile inizializzata con Assign e di tipo text o file, serve per aprire il file x, in vista di operazioni di lettura/scrittura su di esso. Rewrite(file2); : valgono le stesse regole di reset. Rewrite(x:text o file) è una procedura che crea un nuovo file x (se non è specificata la directory nel suo nome, viene creato nel path corrente). Se esiste già un file di nome x, lo sovrascrive. repeat...until eof(file1); : ripete un ciclo di istruzioni finché l'espressione indicata dopo until è vera. Nel nostro caso, il programma continua a leggere, riga per riga, ogni sequenza di caratteri contenuta in file1 e la copia in file2, finché la variabile reimpostata eof (che significa End Of File; supporta solo parametri di tipo text o file) non è vera, e quindi il file da cui leggere è al termine. Close(file1); : la procedura close chiude un file. Come si è ben visto, il ciclo repeat ... until serve per ripetere un'istruzione o un blocco di istruzioni fino a che una condizione non è vera. Non serve racchiudere il blocco di istruzioni fra un begin ed un end, poiché i confini del blocco sono già definiti da repeat e until. Program esempio3; Uses Crt; Var x,y:word; begin clrscr; write('Inserire due coordinate: '); readln(x,y); while (x<>0) and (y<>0) do begin read(x,y); gotoxy(x,y); write((,x,;,y,)); end; readln end. Questo programma legge da tastiera due coordinate, sposta il cursore a quelle date coordinate e scrive in quel punto le ascisse e le ordinate tra parentesi, separate da un punto e virgola. Il ciclo si ripete ogni volta che la condizione indicata è vera: in questo caso quando sia x che y sono diversi da 0. La procedura gotoxy(x,y:word) sposta il cursore alle coordinare (x;y) sullo schermo. Anche con while è opportuno prestare attenzione ai cicli infiniti e si noti che con while è necessario includere il blocco di istruzioni fra begin ed end; Note Bibliografia Voci correlate Cronologia dei linguaggi di programmazione Turbo Pascal BASIC Free Pascal Lazarus (software) Delphi Altri progetti Collegamenti esterni Linguaggi di programmazione strutturati Linguaggi di programmazione imperativi Blaise Pascal
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Passo di Resia
Il passo di Resia (1.504 - Reschenpass o anche solo Reschen in tedesco) è un valico alpino in Italia, situato non lontano dal confine austriaco, in prossimità della Svizzera e del punto di triplice frontiera, separando dal punto di vista orografico le Alpi Retiche occidentali dalle Alpi Retiche orientali e mettendo in comunicazione il Tirolo e l'Alto Adige (in realtà geograficamente il valico è in pieno territorio italiano, mentre il confine si trova poco oltre questo e quindi ad un'altitudine leggermente inferiore). Storia In epoca preromana un sentiero collegava già la valle dell'Inn con l'alta Val Venosta. L'attuale Passo di Resia venne incorporato nella Via Claudia Augusta, inaugurata nel 50 d.C. Nel Medioevo e ancora all'inizio dell'Età Moderna il passo faceva concorrenza ai valichi dei Grigioni. Fino al 1854 sui ponti fortificati dell'Inn a Finstermünz, a nord di Nauders, si trovavano i posti di dogana tra l'Austria e la Svizzera. Negli anni 1850-54 Carl Ritter von Ghega (già costruttore della ferrovia del Semmering, dalla Bassa Austria alla Stiria, tra Vienna e Graz) e Joseph Duile costruirono la nuova strada dal forte Nauders fino alla Kajetansbrücke. I progetti di una strada del Reschen non poterono esser portati a compimento. All'inizio del Novecento fu anche previsto il proseguimento della ferrovia Merano-Malles fino al passo, per poi scendere a Landeck, in Austria. I lavori per la ferrovia del Resia furono iniziati durante la prima guerra mondiale, ma con la fine del conflitto, vennero sospesi. Alcune opere parzialmente incomplete sono tuttora visibili. Il governo fascista avviò un piano che prevedeva la costruzione di un lago artificiale, il lago di Resia, con relativa diga. Il progetto prevedeva che un piccolo villaggio e numerosi masi venissero evacuati e sommersi; lo scoppio della seconda guerra mondiale bloccò il progetto che venne ripreso e completato nel 1950; del vecchio villaggio sommerso venne "salvato" solo il campanile, che ora si erge dalle acque di fronte al villaggio di Curon Venosta. Durante la fine degli anni trenta furono costruiti presso il passo due sbarramenti: lo sbarramento Passo Resia e lo sbarramento Pian dei Morti. Questi, formati da diversi bunker, dovevano impedire una possibile invasione dell'esercito nazista in Italia. Nel dopo guerra alcune di queste strutture furono nuovamente impiegate in ambito NATO durante la Guerra Fredda. Il fiume Adige Nei pressi del passo di Resia si trova la sorgente dell'Adige, il secondo fiume italiano per lunghezza. Galleria d'immagini Note Voci correlate Lago di Resia Ferrovia del Resia Museo Alta Val Venosta Piste ciclabili dell'Alto Adige Via Claudia Augusta Vallo Alpino Sacrario militare di Passo Resia Vallo Alpino in Alto Adige Sbarramento Pian dei Morti Sbarramento Passo Resia. Adige Altri progetti Collegamenti esterni Resia Resia Resia Resia Resia Curon Venosta Nauders
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Probabilità
Il concetto di probabilità, utilizzato a partire dal XVII secolo, è diventato con il passare del tempo la base di diverse discipline scientifiche rimanendo tuttavia non univoco. In particolare su di esso si basa una branca della statistica (la statistica inferenziale), cui fanno ricorso numerose scienze sia naturali che sociali. Storia I primi studi che portarono successivamente a concetti legati alla probabilità possono essere trovati a metà del XVI secolo in Liber de ludo aleæ di Cardano (scritto nel 1526, ma pubblicato solo un secolo e mezzo dopo, nel 1663) e in Sulla scoperta dei dadi di Galilei (pubblicato nel 1656). In particolare, Galileo spiegò come mai, lanciando tre dadi, la probabilità di uscita delle somme 10 e 11 sia più probabile dell'uscita del 9 e del 12, nonostante entrambi i risultati si ottengano da un uguale numero di combinazioni. Il problema della ripartizione della posta in gioco nel caso che un gioco d'azzardo debba essere interrotto venne affrontato da Pacioli nella Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalita (pubblicata nel 1494) e successivamente da Tartaglia, per poi essere risolto da Pascal e Fermat. La nascita del concetto moderno di probabilità viene attribuita a Pascal e Fermat. Il Cavalier de Méré (un accanito giocatore) aveva calcolato che ottenere almeno un 6 in 4 lanci di un dado non truccato era equivalente ad ottenere almeno un doppio 6 in 24 lanci, sempre di un dado non truccato. Tuttavia, giocando secondo tale convinzione, invece di vincere perdeva e scrisse a Pascal lamentando che la matematica falliva di fronte all'evidenza empirica. Da ciò scaturì una corrispondenza tra Pascal e Fermat in cui iniziò a delinearsi il concetto di probabilità nell'accezione frequentista. Pascal annunciò nel 1654 all'Accademia di Parigi che stava lavorando sul problema della ripartizione della messa in gioco. E in una lettera del 29 luglio dello stesso anno a Fermat propose la soluzione del problema, affrontato con il metodo per ricorrenza, mentre Fermat utilizzava metodi basati sulle combinazioni. Nel 1657 Huygens scrisse un Libellus de ratiociniis in ludo aleæ,, il primo trattato sul calcolo delle probabilità, nel quale introduceva il concetto di valore atteso. I suoi lavori influenzarono tra l'altro Montmort, che scrisse nel 1708 un Essai d'analyse sur le jeux de hasard, ma anche Jakob Bernoulli e de Moivre. Nel 1713 viene pubblicato postumo Ars conjectandi di Jakob Bernoulli, dove veniva dimostrato il teorema che porta il suo nome, noto anche come legge dei grandi numeri. Successivamente, de Moivre pervenne a una prima formulazione, poi generalizzata da Laplace, del teorema centrale del limite. La teoria delle probabilità raggiunse così basi matematicamente solide e, con esse, il rango di nuova disciplina. In essa esercita un ruolo centrale il rapporto tra casi favorevoli e casi possibili e la probabilità è un numero intrinsecamente legato ad un evento. Negli anni centrali del XX secolo, tuttavia, prima de Finetti e poi Savage hanno elaborato una concezione soggettiva della probabilità, secondo cui essa è il grado di fiducia che una persona ha nel verificarsi dell'evento. Nello stesso periodo, Kolmogorov ha dato inizio alla moderna teoria assiomatica (Grundbegriffe der Wahrscheinlichkeitsrechnung, 1933), ispirandosi alla teoria della misura. Si è così affermata una teoria della probabilità puramente matematica, che generalizza il patrimonio matematico comune alle diverse impostazioni. Definizioni In probabilità si considera un fenomeno osservabile esclusivamente dal punto di vista della possibilità o meno del suo verificarsi, prescindendo dalla sua natura. Tra due estremi, detti evento certo (ad esempio: lanciando un dado a sei facce si ottiene un numero compreso tra 1 e 6) ed evento impossibile (ottenere 1 come somma dal lancio di due dadi), si collocano eventi più o meno probabili (aleatori). Si usa il linguaggio della teoria degli insiemi: un insieme non vuoto (detto spazio delle alternative) ha come elementi tutti i risultati possibili di un esperimento; l'evento che risulta verificato da un unico risultato (un unico elemento di ) viene detto evento elementare; altri eventi sono sottoinsiemi di costituiti da più risultati. Gli eventi vengono normalmente indicati con lettere maiuscole. Dati due eventi e , si indica con la loro unione, ovvero l'evento costituito dal verificarsi dell'evento oppure dell'evento . Si indica con la loro intersezione, ovvero l'evento costituito dal verificarsi sia dell'evento che dell'evento . Se i due eventi e vengono detti incompatibili (non possono verificarsi simultaneamente). Il complemento di un evento rispetto a , , è detto negazione di e indica il suo non verificarsi (ovvero il verificarsi dell'evento complementare). Definizione classica Secondo la prima definizione di probabilità, per questo detta «classica», la probabilità di un evento è il rapporto tra il numero dei casi favorevoli e il numero dei casi possibili. Indicando con l'insieme di casi possibili e con la sua cardinalità, con un evento e con la sua cardinalità, ovvero il numero dei casi favorevoli ad (ad esempio, nel lancio di un dado , , "esce un numero pari", ), la probabilità di , indicata con , è pari a: Dalla definizione seguono tre regole: la probabilità di un evento aleatorio è un numero compreso tra e ; la probabilità dell'evento certo è pari a , la probabilità dell'evento impossibile è pari a : ad es. se "esce un numero compreso tra 1 e 6", e , se invece "esce un numero maggiore di 6", e . la probabilità del verificarsi di uno di due eventi incompatibili, ossia di due eventi che non possono verificarsi simultaneamente, è uguale alla somma delle probabilità dei due eventi; ad esempio se "esce un numero pari", con , e "esce il numero 3", con , la probabilità che tirando un dado si ottenga un numero pari oppure un 3 è: . Frequenza dell'evento Come elemento propedeutico alla successiva definizione frequentista Introduciamo, appunto, il concetto di frequenza. Nell'esempio del lancio del dado con evento "numero pari", indichiamo come successi () il numero di volte che otteniamo un numero pari ed () il totale dei lanci effettuati, la frequenza è uguale a . Il rapporto indica la frequenza dell'evento favorevole "uscita numero pari". Inoltre per la legge dei grandi numeri con un numero elevatissimo di lanci il valore di tende a quello di che è interpretata, dalla definizione frequentista della probabilità descritta di seguito, come limite a cui tende . Definizione frequentista La definizione classica consente di calcolare effettivamente la probabilità in molte situazioni. Inoltre, è una definizione operativa e fornisce quindi un metodo per il calcolo. Presenta tuttavia diversi aspetti negativi non irrilevanti: dal punto di vista formale, è una definizione circolare: richiede che i casi possiedano tutti la medesima probabilità, che è però ciò che si vuole definire; non definisce la probabilità in caso di eventi non equiprobabili; presuppone un numero finito di risultati possibili e di conseguenza non è utilizzabile nel continuo. Per superare tali difficoltà, von Mises propose di definire la probabilità di un evento come il limite cui tende la frequenza relativa dell'evento al crescere del numero degli esperimenti: La definizione frequentista si applica ad esperimenti casuali i cui eventi elementari non siano ritenuti ugualmente possibili, ma assume che l'esperimento sia ripetibile più volte, idealmente infinite, sotto le stesse condizioni. Anche tale definizione consente di calcolare la probabilità di molti eventi e da essa si ricavano le stesse tre regole che seguono dalla definizione classica. È sufficiente, infatti, sostituire il rapporto tra numero dei casi favorevoli e numero dei casi possibili con il limite del rapporto per tendente all'infinito. Tuttavia: il "limite" delle frequenze relative non è paragonabile all'analogo concetto matematico; ad esempio, data una successione , si dice che è il suo limite se per ogni esiste un numero naturale tale che per ogni , e, comunque dato , è sempre possibile calcolare ; nella definizione frequentista, invece, non è sempre calcolabile; non tutti gli esperimenti sono ripetibili; ad esempio, ha sicuramente senso chiedersi quale sia la probabilità che vi sia vita su Marte o che tra 50 anni il tasso di natalità in Africa diventi la metà di quello attuale, ma in casi simili non è possibile immaginare esperimenti ripetibili all'infinito. Definizione soggettiva De Finetti e Savage hanno proposto una definizione di probabilità applicabile ad esperimenti casuali i cui eventi elementari non siano ritenuti ugualmente possibili e che non siano necessariamente ripetibili più volte sotto le stesse condizioni: la probabilità di un evento è il prezzo che un individuo ritiene equo pagare per ricevere 1 se l'evento si verifica, 0 se l'evento non si verifica. Al fine di rendere concretamente applicabile la definizione, si aggiunge un criterio di coerenza: le probabilità degli eventi devono essere attribuite in modo tale che non sia possibile ottenere una vincita o una perdita certa. In tal modo è possibile ricavare dalla definizione soggettiva le stesse tre regole già viste. : infatti se fosse si avrebbe un guadagno certo, viceversa se fosse si avrebbe una perdita certa; : se l'evento è certo, si riceverà sicuramente 1, ma se fosse si avrebbe un guadagno certo, pari a , se invece fosse si avrebbe una perdita certa; se . Si osserva preliminarmente che se gli n eventi sono incompatibili (non possono presentarsi insieme) e necessari (uno di loro deve necessariamente verificarsi), allora si ha : infatti si paga per ciascun evento , quindi se la somma fosse inferiore a 1 si avrebbe un guadagno certo, se fosse superiore si avrebbe una perdita certa. Si considerano poi gli eventi incompatibili e e l'evento complemento della loro unione; i tre eventi sono incompatibili e necessari e si ha:Sono però incompatibili anche l'unione di e ed il suo complemento:Dalle due uguaglianze segue:se , allora La definizione soggettiva consente quindi di calcolare la probabilità di eventi anche quando gli eventi elementari non sono equiprobabili e quando l'esperimento non può essere ripetuto. Rimane fondata, tuttavia, sull'opinione di singoli individui, che potrebbero presentare diverse propensioni al rischio. Basta pensare che molti sarebbero disposti a giocare 1 euro per vincerne 1000, ma pochi giocherebbero un milione di euro per vincerne un miliardo. Definizione assiomatica L'impostazione assiomatica della probabilità venne proposta da Andrey Nikolaevich Kolmogorov nel 1933 in Grundbegriffe der Wahrscheinlichkeitsrechnung (Concetti fondamentali del calcolo delle probabilità), sviluppando la ricerca che era ormai cristallizzata sul dibattito fra quanti consideravano la probabilità come limiti di frequenze relative (cfr. impostazione frequentista) e quanti cercavano un fondamento logico della stessa. Va notato che la definizione assiomatica non è una definizione operativa e non fornisce indicazioni su come calcolare la probabilità. È quindi una definizione utilizzabile sia nell'ambito di un approccio oggettivista che nell'ambito di un approccio soggettivista. Il nome deriva dal procedimento per "assiomatizzazione" quindi nell'individuare i concetti primitivi, da questi nell'individuare i postulati da cui poi si passava a definire i teoremi. L'impostazione assiomatica muove dal concetto di σ-algebra, o classe additiva. Dato un qualsiasi esperimento casuale, i suoi possibili risultati costituiscono gli elementi di un insieme non vuoto , detto spazio campionario, e ciascun evento è un sottoinsieme di . La probabilità viene vista, in prima approssimazione, come una misura, cioè come una funzione che associa a ciascun sottoinsieme di un numero reale non negativo tale che la somma delle probabilità di tutti gli eventi sia pari a . Se ha cardinalità finita o infinita numerabile, l'insieme di tutti i suoi sottoinsiemi, detto insieme delle parti, ha, rispettivamente, cardinalità o la cardinalità del continuo. Tuttavia, se ha la cardinalità del continuo, il suo insieme delle parti ha cardinalità superiore e risulta "troppo grande" perché si possa definire su di esso una misura. Si considerano pertanto i soli sottoinsiemi di che costituiscono una classe additiva , ovvero un insieme non vuoto tale che se un evento appartiene ad , vi appartiene anche il suo complemento: se un'infinità numerabile di eventi, , appartiene ad , vi appartiene anche l'evento costituito dalla loro unione: Una classe additiva è quindi un sottoinsieme dell'insieme delle parti di che risulta chiuso rispetto alle operazioni di complemento e di unione numerabile. Si può aggiungere che una classe additiva è chiusa anche rispetto all'intersezione, finita o numerabile, in quanto per le leggi di De Morgan si ha: dove il secondo membro dell'uguaglianza appartiene alla classe in quanto complemento di un'unione numerabile dei complementi di insiemi che vi appartengono. Si pongono i seguenti assiomi (che includono le tre regole ricavabili dalle definizioni precedenti): Gli eventi sono sottoinsiemi di uno spazio e formano una classe additiva . Ad ogni evento è assegnato un numero reale non negativo , detto probabilità di . , ossia la probabilità dell'evento certo è uguale a . Se l'intersezione tra due eventi e è vuota, allora . Se è una successione decrescente di eventi e al tendere di n all'infinito l'intersezione degli tende all'insieme vuoto, allora tende a zero: La funzione viene detta funzione di probabilità, o anche distribuzione di probabilità. La terna viene detta spazio di probabilità. Dagli assiomi si ricavano immediatamente alcune proprietà elementari della probabilità: Se è la probabilità di un evento , la probabilità dell'evento complementare è . Infatti, poiché l'intersezione di e del suo complemento è vuota e la loro unione è , dagli assiomi 3 e 4 si ricava: La probabilità dell'evento impossibile è pari a zero. Infatti l'insieme vuoto è il complemento di e si ha: La probabilità di un evento è minore o uguale a . Infatti, dovendo la probabilità essere non negativa per il secondo assioma, si ha: Se un evento è incluso in un evento , allora la sua probabilità è minore o uguale a quella di . Infatti, se include può essere espresso come unione di insiemi disgiunti e si ha: Teoremi di base Dai suddetti assiomi derivano alcuni teoremi e concetti fondamentali. Il teorema della probabilità totale consente di calcolare la probabilità dell'unione di due o più eventi, ovvero la probabilità che si verifichi almeno uno di essi. Essa è la somma delle probabilità dei singoli eventi se sono a due a due incompatibili; in caso contrario, alla somma va sottratta la somma delle probabilità delle intersezioni due a due, poi aggiunta la somma delle probabilità delle intersezioni a tre a tre e così via. Ad esempio, nel caso di tre eventi: Si dice probabilità condizionata di dato , e si scrive , la probabilità che l'evento ha di verificarsi quando si sa che si è verificato: Attraverso tale concetto si perviene al teorema della probabilità composta, che consente di calcolare la probabilità dell'intersezione di due o più eventi, ovvero la probabilità che essi si verifichino tutti. Nel caso di due eventi (che può essere generalizzato), si ha: Se , i due eventi e vengono definiti indipendenti stocasticamente (o probabilisticamente) e dalla stessa definizione segue una diversa formulazione della probabilità composta, caso particolare del precedente: . Il teorema di Bayes consente di calcolare la probabilità a posteriori di un evento , quando si sappia che si è verificato un evento . Se appartiene ad un insieme finito o numerabile di eventi a due a due incompatibili, e se si verifica allora si verifica necessariamente uno degli eventi di tale insieme (ed uno solo, dato che sono incompatibili), allora, conoscendo le probabilità a priori degli eventi e le probabilità condizionate e sapendo che si è verificato , si può calcolare la probabilità a posteriori di un particolare : Più discorsivamente: se si conoscono sia le probabilità a priori delle diverse possibili "cause" di (ma non si sa per effetto di quale di esse si è verificato), sia le probabilità condizionate di data ciascuna delle cause, è possibile calcolare la probabilità che si sia verificato per effetto di una particolare causa. Difficoltà nell'utilizzo delle probabilità Quante insidie vi siano nei ragionamenti sulle probabilità - al di là delle difficoltà nella comprensione di cosa possa essere la probabilità - viene messo in evidenza da alcuni cosiddetti paradossi, dove in realtà si tratta di domande con risposte controintuitive: nel paradosso delle tre carte l'errore consiste solitamente nel non avere identificato correttamente quali siano gli eventi: i lati delle carte e non le carte stesse; nel paradosso dei due bambini l'errore consiste solitamente nel non distinguere eventi diversi, ossia nel considerare un unico evento quelli che in realtà sono due; nel problema di Monty Hall la difficoltà consiste anzitutto nell'accettare l'idea che una nuova informazione può modificare le probabilità di eventi, senza che il mondo reale cambi, l'altro errore consiste nel non analizzare completamente e dunque valutare correttamente la nuova informazione acquisita. Un'ulteriore fonte di confusione può essere data dal presupporre (sbagliando) che il fatto che un evento abbia probabilità implica che esso avvenga sempre (invece che quasi certamente). Note Bibliografia Parte Seconda, Cap. VIII, pp. 215–291 Probabilità Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani Probabilità Istituto dell'Enciclopedia italiana Treccani Voci correlate Teoria della probabilità Probabilismo Evento (teoria della probabilità) Teorema di Cox Campionamento statistico Legge dei grandi numeri Andrey Nikolaevich Kolmogorov Bruno de Finetti Meccanica quantistica Matematica Indeterminismo Statistica Statistica inferenziale Storia della statistica Calcolo combinatorio Altri progetti Collegamenti esterni Journal sur l'histoire des probabilités et des statistiques et site associé (articles, bibliographie, biographies) Teoria della probabilità
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https://it.wikipedia.org/wiki/Patriarca%20%28cristianesimo%29
Patriarca (cristianesimo)
Patriarca (dal greco antico πατήρ ἄρχων patèr àrchōn, cioè "padre-capo") è un alto titolo tra i vescovi delle Chiese che accettano la successione apostolica, in particolare nella Chiesa ortodossa e cattolica. L'ufficio, la diocesi e il gruppo di diocesi soggette all'autorità del patriarca sono detti patriarcato; si indicano come “patriarcali” la diocesi e la chiesa che sono sede del patriarcato e del patriarca. Storia dell'istituzione patriarcale I nomi dei dignitari cristiani derivano originariamente dalla vita civile (vescovo, presbitero, diacono), e altre volte delle dignità giudaiche. Il termine patriarca appartiene a quest'ultima categoria. Nella Chiesa dei primi tre secoli ci furono dignità ecclesiastiche con i diritti e le prerogative dei patriarchi, ma solo in seguito troviamo menzione esplicita di questo titolo. Per la prima volta il termine patriarca compare riferito a papa Leone I (come patriarca d'Occidente) in una lettera di Teodosio II. Ma in questa fase patriarca è un titolo onorifico che può essere dato a ogni vescovo. San Gregorio Nazianzeno dice: "i vescovi anziani, o meglio, i patriarchi". Ancora nel V e nel VI secolo Celidonio di Besançon e Nicezio di Lione sono chiamati patriarchi. Gradualmente – a partire dall'ottavo e dal IX secolo – il termine diventa un titolo ufficiale, usato solo per denotare un definito grado della gerarchia, quello di vescovo-capo che presiedeva i metropoliti come i metropoliti presiedevano i loro vescovi suffraganei, restando soggetti solo al relativo patriarca, quello di Roma. I canoni più antichi ammettono solo tre patriarchi petrini: i vescovi di Roma, Alessandria e Antiochia. Il successore di san Pietro a Roma ha il primo posto e riunisce nella sua persona tutte le dignità: egli era un vescovo che era pure metropolita, primate e patriarca. Prima del Concilio di Nicea (325) anche due vescovi orientali, quelli di Alessandria e di Antiochia, avevano autorità patriarcale sopra vasti territori. Il vescovo di Alessandria divenne il capo di tutti i vescovi e metropoliti d'Egitto; il vescovo di Antiochia ebbe lo stesso ruolo in Siria e lo estese in Asia Minore, Grecia e al resto dell'Oriente. Quando i pellegrini cominciarono ad affluire in Terra Santa, il vescovo di Gerusalemme iniziò ad essere considerato più di un semplice suffraganeo di Cesarea. Il concilio di Nicea gli diede un primato d'onore, fatti salvi i diritti metropolitani di Cesarea. Giovenale di Gerusalemme (420-458) riuscì infine, dopo molte dispute, a mutare il titolo onorario in un vero patriarcato di diritto. Il concilio di Calcedonia (451) separò la Palestina e l'Arabia (Sinai) da Antiochia e costituì il patriarcato di Gerusalemme. La novità più importante, e quella che suscitò più obiezioni, fu la promozione di Costantinopoli al rango patriarcale. Dopo che Costantino I fece di Bisanzio la "Nuova Roma", il suo vescovo, un tempo suffraganeo di Eraclea, pensò di dovere essere secondo soltanto, se non pari, al vescovo della vecchia Roma, quale capitale imperiale. Per secoli i papi si opposero a questa ambizione solo politica. Nel 381 il Concilio di Costantinopoli dichiarò che: "Il Vescovo di Costantinopoli avrà il primato d'onore dopo il Vescovo di Roma, perché Costantinopoli è la Nuova Roma". I vescovi romani, ora pure pontefici dopo la rinuncia di Graziano, (Damaso, Gregorio I) rifiutarono di confermare questo canone. Nonostante ciò Costantinopoli, quale sede imperiale, crebbe per il favore dell'imperatore. Il concilio di Calcedonia stabilì Costantinopoli come patriarcato con giurisdizione sull'Asia Minore e sulla Tracia e gli diede il secondo posto dopo Roma. Papa Leone I (440-461) rifiutò questo canone, che era stato approvato in assenza dei suoi legati. Solo il concilio Lateranense IV (1215) approvò il secondo posto per il nuovo Patriarca latino di Costantinopoli; nel 1439 il concilio di Firenze lo assegnò al Patriarca greco (rientrato nel 1261). Patriarchi della Chiesa cattolica Per i cattolici la dignità patriarcale è subordinata alla dignità suprema del vescovo di Roma, quale vicario di Cristo e successore di Pietro, come capo del Collegio episcopale. Per gli ortodossi il papa è primus inter pares fra i patriarchi. All'interno di tale riconoscimento del primato papale, detto comunione, la Chiesa cattolica riconosce una serie di Chiese con proprio rito e propria giurisdizione, dette Chiese sui iuris. A capo delle più antiche di queste vi sono dei patriarchi. Nella Chiesa latina, che è quella chiesa che riconosce nel Papa anche il proprio patriarca (sebbene papa Benedetto XVI e il suo successore Francesco non abbiano più utilizzato il titolo di patriarca d'Occidente), vi sono ancora dei patriarchi, il cui titolo è però solo onorifico, non comportando alcuna particolare giurisdizione in più rispetto a quella di un arcivescovo metropolita (questo è il caso ad esempio del patriarca di Venezia). Le giurisdizioni dei patriarchi orientali, che possono essere anche cardinali, corrispondono invece, in linea di massima, a tutti i fedeli del proprio rito. Si hanno così: il papa, patriarca della Chiesa latina, a capo della Chiesa latina, alla quale appartengono anche: il patriarca di Gerusalemme, il patriarca di Venezia, il patriarca di Lisbona, il patriarca delle Indie orientali (ad honorem all'arcivescovo di Goa e Damão), il patriarca delle Indie occidentali (titolo vacante dal 1963); titoli oggi soppressi: patriarca di Grado (titolo trasferito a Venezia nel 1451), patriarca di Aquileia (soppresso nel 1751), patriarca di Alessandria dei Latini (soppresso nel 1964), patriarca di Costantinopoli dei Latini (soppresso nel 1964), patriarca di Antiochia dei Latini (soppresso nel 1964), patriarca di Cartagine (titolo storicamente dubbio), patriarca di Etiopia (dal 1555 al 1636); il patriarca di Alessandria dei Copti, capo della Chiesa cattolica copta e della Chiesa cattolica etiope; il patriarca di Antiochia, Alessandria, Gerusalemme e tutto l'Oriente dei Melchiti, capo della Chiesa cattolica greco-melchita di lingua araba e rito bizantino; il patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente dei Siri, capo della Chiesa cattolica sira, di lingua tradizionale aramaica e rito siriaco; il patriarca di Antiochia e di tutto l'Oriente dei Maroniti, capo della Chiesa maronita; il patriarca di Baghdad dei Caldei, capo della Chiesa cattolica caldea, di lingua tradizionale aramaica e rito assiro; il patriarca di Cilicia degli Armeni, capo della Chiesa armeno-cattolica. Insegne I patriarchi della Chiesa cattolica indossano gli abiti vescovili color paonazzo. I patriarchi di Venezia e di Lisbona non cardinali rappresentano un'eccezione, infatti hanno diritto di indossare vesti cardinalizie (fatta eccezione per la berretta rossa con fiocco, in modo tale da non essere confusa con quella senza fiocco imposta dal papa durante il concistoro), ma solo all'interno del territorio della propria metropolia. A differenza dei porporati, il colore rosso delle loro vesti non è marezzato. Per quanto riguarda la sede veneziana, il patriarca non cardinale fa uso della porpora da tempi immemori, ma ne ha diritto solo all'interno della propria metropolia. Per quanto concerne la sede di Lisbona la pratica acquisisce validità a partire dal 1717, con il pontificato di papa Clemente XI. Si distinguono ancora oggi gli arcivescovi metropoliti di Udine, perché erano discendenti dell'antico patriarcato di Aquileia, soppresso nel 1751, portando il colore rosso cremisi, detto anche colore patriarchino, che li distingue dagli altri vescovi, e che anche altri arcivescovi con dignità storica particolare portano per secolare conferimento pontificio (ad esempio l'arcivescovo di Vercelli e l'arcivescovo di Lucca) il pileolo rosso. Lo stemma dei patriarchi cattolici (non cardinali) prevede un galero verde con quindici fiocchi per parte, che si distingue da quello dei cardinali per i colori verde e oro, anziché rosso. Patriarchi delle Chiese ortodosse Nelle chiese ortodosse e orientali quello di patriarca è il titolo del vescovo a capo di una antica Chiesa patriarcale, ma oggi anche solo nazionale autocefala, cioè di una Chiesa autonoma che elegge il proprio capo. In alcune Chiese, nate fuori dall'impero romano, il titolo di Catholicos è usato con lo stesso significato. Ricordando però che i titoli patriarcali conciliarmente riconosciuti sono solo cinque (Roma, Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme), quelli cioè della storica Pentarchia romana. Fra i patriarchi ortodossi il patriarca di Costantinopoli occupa tradizionalmente un posto speciale, espresso nel titolo di patriarca ecumenico - cioè "patriarca comune" - (dal greco οἰκομένη oikomène, derivato dal verbo οἰκέω oikèō, "abitare insieme"), aggettivo adottato da Giovanni IV, nonostante le proteste degli altri patriarchi. Si hanno così i patriarchi delle chiese della Comunione ortodossa: il patriarca ecumenico di Costantinopoli, a capo della Chiesa greco-ortodossa; il patriarca di Mosca e di tutta la Russia, a capo della Chiesa ortodossa russa; il patriarca della Chiesa ortodossa serba, a capo della Chiesa ortodossa serba; il patriarca di Gerusalemme, a capo della Chiesa greco-ortodossa di Gerusalemme; il patriarca di Alessandria, a capo della Chiesa greco-ortodossa di Alessandria e chiamato Papa; il patriarca di Romania, a capo della Chiesa ortodossa rumena; il patriarca di Bulgaria, a capo della Chiesa ortodossa bulgara; il Catholicos patriarca di tutta la Georgia, a capo della Chiesa apostolica ortodossa georgiana. Vi sono poi patriarchi di Chiese che si definiscono ortodosse, ma che non sono in comunione con Costantinopoli: il patriarca di Mosca della Chiesa vetero-ortodossa russa Patriarchi delle Chiese orientali Come nelle Chiese della Comunione ortodossa, i patriarchi delle Chiese orientali (Chiese dei 2, 3 o 5 concili) sono a capo di Chiese autocefale per lo più su base nazionale. Tra i più noti: Patriarca di Alessandria, capo della Chiesa ortodossa copta e chiamato Papa; Patriarca di Antiochia e di tutto l'oriente, capo della Chiesa siriaca; Patriarca di Gerusalemme degli Armeni, capo della Chiesa apostolica armena in Israele e Palestina; Patriarca di Costantinopoli degli armeni, capo della Chiesa apostolica armena in Turchia; Patriarca dell'arcidiocesi di Seleucia-Ctesifonte, capo della Chiesa d'Oriente; Catholicos patriarca di tutta l'Armenia, capo della Chiesa apostolica armena; Note Voci correlate Mafriano Patriarcato (cristianesimo) Altri progetti Collegamenti esterni Patriarcati Clero cristiano
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https://it.wikipedia.org/wiki/Pesce%20d%27aprile
Pesce d'aprile
Il pesce d'aprile indica una tradizione, seguita in diversi paesi del mondo, che consiste nella realizzazione di scherzi da mettere in atto il 1º aprile. Gli scherzi possono essere di varia natura, anche molto sofisticati e hanno sostanzialmente lo scopo bonario di burlarsi delle "vittime" di tali scherzi. La tradizione ha caratteristiche simili a quelle di alcune festività quali l'Hilaria dell'antica Roma, celebrata il 25 marzo, e l'Holi induista, entrambe ricorrenze legate all'equinozio di primavera. Storia Le origini del pesce d'aprile non sono note, anche se sono state proposte diverse teorie. Una delle più remote riguarderebbe il beato Bertrando di San Genesio, patriarca di Aquileia dal 1334 al 1350, il quale avrebbe liberato miracolosamente un papa soffocato in gola da una spina di pesce; per gratitudine il pontefice avrebbe decretato che ad Aquileia, il primo aprile, non si mangiasse pesce. Un'altra teoria tra le più accreditate colloca la nascita della tradizione nella Francia del XVI secolo. In origine, prima dell'adozione del calendario gregoriano nel 1582, in Europa era usanza celebrare il Capodanno tra il 25 marzo e il 1º aprile, occasione in cui venivano scambiati pacchi dono. La riforma di papa Gregorio XIII spostò la festività indietro al 1º gennaio, motivo per cui sembra sia nata la tradizione di consegnare dei pacchi regalo vuoti in corrispondenza del 1º di aprile, volendo scherzosamente simboleggiare la festività ormai obsoleta. Il nome che venne dato alla strana usanza fu poisson d'Avril, per l'appunto "pesce d'aprile". Un'altra ipotesi vede protagoniste le prime pesche primaverili del passato. Spesso accadeva che i pescatori, non trovando pesci sui fondali nei primi giorni di aprile, tornassero in porto a mani vuote e per questo motivo erano oggetto di ilarità e scherno da parte dei compaesani. Alcuni studiosi hanno inoltre ipotizzato come origine del pesce d'aprile l'età classica e, in particolare, hanno intravisto alcune possibili comunanze con l'usanza attuale sia nel mito di Proserpina (che dopo essere stata rapita da Plutone viene cercata invano dalla madre, ingannata da una ninfa), sia nella festa pagana dei Veneralia (dedicata a Venere Verticordia e alla Fortuna Virile) che si teneva il 1º aprile. Nel mondo Nei Paesi in cui ricorre la tradizione del 1º aprile, questa può assumere diverse sfaccettature a seconda della cultura locale. In Scozia la ricorrenza è nota col nome di Gowkie Day (dallo scozzese gowk = "cuculo"), e pare che proprio qui sia nato il popolare scherzo che consiste nell'attaccare un avviso recitante "calciami" (kick me) sulla schiena della vittima. Note Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Premio%20Pulitzer
Premio Pulitzer
Il Premio Pulitzer è un premio statunitense, considerato come la più prestigiosa onorificenza nazionale per il giornalismo, successi letterari e composizioni musicali. Venne istituito da Joseph Pulitzer ed è gestito dalla Columbia University di New York. Storia Fu istituito dal giornalista ungherese-americano e magnate della stampa statunitense Joseph Pulitzer (1847-1911) che, alla sua morte, lasciò tutti i suoi averi alla Columbia University. Una parte del suo lascito è stata usata per la Scuola di giornalismo dell'università nel 1912. Il premio fu assegnato per la prima volta nel 1917, nelle sole categorie Reporting (internazionale, per una serie di articoli sull'Impero tedesco), Editoriale, Storico e Biografico. Caratteristiche I premi vengono assegnati annualmente (tradizionalmente nel mese di aprile) a coloro che si sono distinti particolarmente in una delle 21 categorie considerate, dalla cronaca, alla fotografia, alla vignetta, alla fiction, alla letteratura, alla musica. L'ambito riconoscimento premia non solo il lavoro di giornalisti e fotoreporter distintisi in vari settori dell'informazione e nella documentazione audiovisiva dei principali avvenimenti dell'anno, ma anche autori di testi di narrativa, storici, drammaturghi e compositori. Può essere assegnato sia al singolo giornalista sia alla redazione. In venti di queste categorie ogni vincitore riceve un certificato e una ricompensa in contanti di 10 000 dollari statunitensi. Il vincitore nella categoria di pubblico servizio nel giornalismo riceve una medaglia d'oro, che va sempre al giornale, anche se il giornalista può essere nominato nella citazione. Nel 2010, per la prima volta, il Premio Pulitzer è stato assegnato a un sito web, ProPublica.org, nella sezione relativa al giornalismo investigativo per l'inchiesta sugli ospedali dopo il passaggio dell'uragano Katrina. Categorie Giornalismo di pubblico servizio (Public Service) di ultim'ora (Breaking News Reporting) divulgativo (Explanatory Reporting) Investigativo (Investigative Reporting) Locale (Local Reporting) Nazionale (National Reporting) Internazionale (International Reporting) Miglior articolo (Feature Writing) di commento (Commentary) di critica (Criticism) Editoriale (Editorial Writing) Vignetta editoriale (Editorial Cartooning) Fotografia di ultim'ora (Breaking News Photography) Servizio fotografico (Feature Photography) Arti e lettere Narrativa (Fiction) Drammaturgia (Drama) Storia (History) Biografia e autobiografia (Biography or Autobiography) Poesia (Poetry) Saggistica (General Non-Fiction) Musica (Music) Note Voci correlate Columbia University Premio Pulitzer per il romanzo Giornalista Giornalismo Joseph Pulitzer Anja Niedringhaus Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Premio%20Nobel%20per%20la%20fisica
Premio Nobel per la fisica
Il premio Nobel per la fisica (Svedese: Nobelpriset i fysik), istituito dal testamento di Alfred Nobel del 1895, viene assegnato, con cadenza annuale, tendenzialmente nel quarto trimestre dell'anno, dall'Accademia reale svedese delle scienze. Assegnato per la prima volta nel 1901, come gli altri premi istituiti da Nobel stesso, il premio consiste in una somma di denaro (otto milioni di corone svedesi nel 2013), un diploma personalizzato per ogni vincitore e una medaglia d'oro recante l'effigie di Alfred Nobel. Il primo vincitore fu il fisico Wilhelm Röntgen per la scoperta dei raggi X. Solo quattro donne hanno vinto il premio: Marie Curie nel 1903, Maria Goeppert-Mayer nel 1963, Donna Strickland nel 2018 e Andrea Ghez nel 2020. Non è stato assegnato in sei occasioni (1916, 1931, 1934, 1940, 1941 e 1942). Per dieci anni è stato dotato di dieci milioni di corone svedesi, poco più di un milione di euro. Tuttavia, nel giugno 2012, la Fondazione Nobel ha deciso che i vincitori del premio avrebbero ricevuto un bonus inferiore del 20% rispetto a quello pagato ai loro predecessori. Il motivo di questa revisione al ribasso "è una misura necessaria per evitare di mettere a repentaglio il capitale della fondazione che finanzia i premi a lungo termine" vista la crisi finanziaria. L'importo della dotazione ammonta a otto milioni di corone svedesi (ovvero circa nel 2012). Contesto Alfred Nobel, nel suo testamento, affermò che la sua ricchezza sarebbe stata utilizzata per creare una serie di premi per coloro che portano un "grandissimo beneficio al genere umano" nei campi di fisica, chimica, pace, fisiologia o medicina, e letteratura. Sebbene Nobel avesse scritto molte volontà nel corso della sua vita, l'ultima fu scritta un anno prima della sua morte e fu firmata a Parigi il 27 novembre 1895. Nobel lasciò in eredità il 94% dei suoi beni, 31 milioni di corone svedesi (nel 2016 equivalenti a 198 milioni di dollari, 176 milioni di euro), per istituire e assegnare i cinque Premi. A causa dello scetticismo riguardante la volontà, non fu approvato dallo Storting (il Parlamento norvegese) fino al 26 aprile 1897. Gli esecutori testamentari furono Ragnar Sohlman e Rudolf Lilljequist, che formarono la Fondazione Nobel per occuparsi del patrimonio di Nobel e organizzare i premi. I membri del Comitato norvegese per il Nobel che avrebbero dovuto conferire il Premio per la Pace vennero nominati poco dopo l'approvazione della volontà. Seguirono le altre organizzazioni per consegnare i premi: l'Istituto Karolinska il 7 giugno, l'Accademia svedese il 9 giugno, e l'Accademia reale svedese delle scienze l'11 giugno. La Fondazione Nobel ha raggiunto un accordo riguardo alle linee guida per conferire i premi Nobel. Nel 1900, i nuovi statuti della Fondazione Nobel furono promulgati dal re Oscar II. Secondo la volontà di Nobel, il premio per la fisica sarebbe stato conferito dall'Accademia reale svedese delle scienze. Designazione dei vincitori Secondo il testamento di Alfred Nobel, il premio deve essere ricompensato. Il Nobel voleva che fosse assegnato dalla Accademia reale svedese delle scienze, come per il premio in chimica. L'Accademia delega lo studio delle candidature al Comitato Nobel, che dipende dalla Fondazione Nobel, determinando la specificità di ciascuno dei rami da premiare. Ci sono cinque membri del comitato. Sono nominati per cooptazione tra i membri della Accademia reale per un periodo di tre anni. Si affidano a diverse figure di autorità per stabilire i loro incarichi: fisici riconosciuti, circoli di eminenti professori universitari, associazioni di ricercatori, ex premiati, direttori di importanti centri di ricerca scientifica nazionali o internazionali, ecc. del comitato vengono inviati in autunno per essere ricambiati per la scelta del vincitore dell'anno successivo. È vietato a ciascuna delle persone sollecitate a votare per sé. Diverse centinaia di proposte annuali, necessariamente argomentate e dettagliate, vengono così sottoposte alla commissione, che ne studia l'affidabilità, la legittimità e la credibilità. Il comitato conserva solo una cinquantina di domande presentate in primavera ad altri accademici che devono sottoscrivere alcune raccomandazioni. L'elenco finale, deciso dal comitato Nobel, comprende cinque nomi o gruppi di nomi associati a una ricerca specifica. L'elezione dei vincitori avviene nel mese di ottobre a maggioranza dei voti. Tutti i membri della Accademia reale partecipano al voto. L'identità del / i destinatario / i viene rivelata durante una conferenza stampa ufficiale. Le candidature e il quadro delle deliberazioni sono normalmente tenuti segreti per cinquant'anni prima dell'apertura degli archivi della Fondazione Nobel. I giurati sono tenuti a rispettare le istruzioni del testamento di Alfred Nobel per l'assegnazione del premio. Tra la scoperta dello scienziato e la sua designazione come destinatario può trascorrere un periodo molto lungo, fino a diversi decenni. Così, Subrahmanyan Chandrasekhar è stato premiato nel 1983 per le sue ricerche sulla struttura e l'evoluzione delle stelle risalenti agli anni trenta. Molti scienziati il cui lavoro è stato essenziale per migliorare la conoscenza in fisica non sono stati premiati, in quanto il premio non può essere assegnato postumo. Selezioni Vincitori del premio Dal 1901 al 2022 sono stati assegnati 211 premi Nobel per la fisica. Note Voci correlate Comitato Nobel Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Papa%20Pio%20XI
Papa Pio XI
Biografia Formazione Achille Ratti nacque il 31 maggio 1857, a Desio, nella casa che attualmente è sede del Museo Casa Natale Pio XI e del "Centro Internazionale di Studi e Documentazione Pio XI" (al civico 4 di via Pio XI, all'epoca via Lampugnani). Quarto di cinque figli, fu battezzato il giorno dopo la nascita, nella prepositurale dei Santi Siro e Materno con il nome di Ambrogio Damiano Achille Ratti (il nome Ambrogio in onore del nonno paterno, suo padrino di battesimo). Il padre Francesco fu attivo - con non molto successo come attestato dai continui trasferimenti - quale direttore in vari stabilimenti per la lavorazione della seta, mentre la madre Teresa Galli, originaria di Saronno, era la figlia di un albergatore. Avviato alla carriera ecclesiastica dall'esempio dello zio don Damiano Ratti, Achille studiò a partire dal 1867 nel seminario di Seveso, poi in quello di Monza, attualmente sede del Liceo Ginnasio Bartolomeo Zucchi. Si preparò per la maturità presso il Collegio San Carlo e superò gli esami presso il Liceo Parini. Dal 1874 fece parte dell'ordine terziario francescano. Nel 1875 iniziò gli studi teologici; i primi tre anni nel Seminario Maggiore di Milano e l'ultimo nel Seminario di Seveso. Nel 1879 è a Roma presso il Collegio Lombardo. Fu ordinato sacerdote il 20 dicembre 1879 a Roma dal cardinale Raffaele Monaco La Valletta. Studi Frequentò assiduamente biblioteche e archivi, in Italia e all'estero. Fu dottore della Biblioteca Ambrosiana e dall'8 marzo 1907 prefetto della stessa biblioteca. Intraprese studi di vasta portata: gli Acta Ecclesiae Mediolanensis, la collezione completa degli atti dell'arcidiocesi di Milano, di cui pubblicò i volumi II, III e IV rispettivamente nel 1890, nel 1892 e nel 1897, e il Liber diurnus Romanorum Pontificum, una collezione di formule utilizzate nei documenti ecclesiastici. Scoprì anche la biografia più antica di sant'Agnese di Boemia e per studio soggiornò a Praga; inoltre a Savona, casualmente, scoprì gli atti di un concilio provinciale milanese del 1311, di cui si era persa memoria. Ratti fu uomo di vasta erudizione; ottenne infatti tre lauree nei suoi anni di studio romani: in filosofia all'Accademia di San Tommaso d'Aquino di Roma, in diritto canonico all'Università Gregoriana e in teologia all'Università La Sapienza. Aveva inoltre una forte passione sia per gli studi letterari, dove preferiva Dante e Manzoni, sia per gli studi scientifici, tanto che era stato in dubbio se intraprendere lo studio della matematica; a tal proposito fu grande amico e, per un certo periodo, collaboratore di don Giuseppe Mercalli, noto geologo e creatore dell'omonima scala dei terremoti, che aveva conosciuto come insegnante nel seminario di Milano. Educatore Ratti fu anche un valido educatore, non solo nell'ambito scolastico. Dal 1878 fu professore di matematica al seminario minore. Mons. Ratti, che aveva studiato l'ebraico al corso del seminario arcivescovile e aveva approfondito gli studi con il rabbino capo di Milano Alessandro Da Fano, divenne docente di ebraico in seminario nel 1907 e mantenne l'incarico per tre anni. Come docente portava i suoi allievi nella Sinagoga di Milano, affinché familiarizzassero con l'ebraico orale, iniziativa ardita che era inusuale nei seminari. Come cappellano del Cenacolo di Milano, una comunità religiosa dedita all'educazione delle ragazze (incarico tenuto dal 1892 al 1914), ebbe modo di esercitare un'attività pastorale ed educativa molto efficace, entrando in contatto con fanciulle e ragazze di ogni stato e condizione, ma soprattutto con la buona società milanese: i Gonzaga, i Castiglione, i Borromeo, i Della Somaglia, i Belgioioso, i Greppi, i Thaon di Revel, gli Jacini, gli Osio, i Gallarati Scotti. Questo ambiente era attraversato da opinioni diverse: alcune famiglie erano più vicine alla monarchia e al cattolicesimo liberale, altre erano intransigenti, in linea con lOsservatore Cattolico di don Davide Albertario. Pur non manifestando un'esplicita simpatia per nessuna delle due correnti, il giovane don Ratti ebbe rapporti assai stretti con i Gallarati Scotti, che erano intransigenti; fu catechista e precettore (su consiglio del nonno omonimo) del giovane Tommaso Gallarati Scotti, figlio di Gian Carlo, principe di Molfetta, e di Maria Luisa Melzi d'Eril, che in seguito sarebbe diventato un noto diplomatico e scrittore. Le tensioni tra cattolici liberali e intransigenti erano comuni nell'ambiente cattolico dell'epoca, basti ricordare che Achille Ratti aveva ricevuto la tonsura e il diaconato dall'arcivescovo Luigi Nazari di Calabiana, il protagonista della crisi che porta il suo nome.. Fra i suoi educatori ebbe don Francesco Sala, che teneva il corso di teologia dogmatica sulla base di un rigoroso tomismo, e don Ernesto Fontana, che insegnava teologia morale con posizioni antirosminiane. In questo ambiente don Ratti sviluppò una tendenza antiliberale, che espresse ad esempio nel 1891 in occasione di una conversazione informale con il cardinal Gruscha, arcivescovo di Vienna: «Il vostro paese ha la fortuna di non essere dominato da un liberalismo anticlericale, né da uno Stato che cerca di legare la Chiesa con catene di ferro». Dopo il 1904 Tommaso Gallarati Scotti divenne rappresentante del modernismo, la dottrina secondo cui sarebbe necessario un «adattamento del Vangelo alla condizione mutevole dell'umanità» e nel 1907 fondò la rivista Il Rinnovamento. Mentre papa Pio X pubblicava l'enciclica Pascendi che condannava il modernismo, mons. Ratti cercava di mettere in guardia l'amico, fungendo da mediatore e correndo il rischio di attirarsi i sospetti degli antimodernisti intransigenti. Tommaso Gallarati Scotti aveva già deciso di dimettersi dalla rivista, quando fu colpito dalla scomunica. La Santa Sede indagò sulla responsabilità dell'arcivescovo Andrea Carlo Ferrari in merito alla diffusione delle idee moderniste nella sua arcidiocesi e mons. Ratti lo dovette difendere davanti al papa e al cardinale Gaetano De Lai. Alpinista Ratti fu pure un appassionato alpinista: scalò diverse vette delle Alpi e fu il primo - il 31 luglio 1889 - a raggiungere la cima del Monte Rosa dalla parete orientale; conquistò, sebbene gravato del peso di un ragazzo che portava sulle spalle, il Gran Paradiso; il 7 agosto 1889 scala il Monte Cervino, e a fine luglio 1890 il Monte Bianco, aprendo la via successivamente chiamata "Via Ratti - Grasselli". Papa Ratti fu un assiduo e appassionato frequentatore del gruppo delle Grigne e per molti anni, a cavallo dei due secoli, fu ospite della parrocchia di Esino Lario, base logistica delle sue escursioni. Le ultime scalate del futuro Papa risalgono al 1913. Per l'intero periodo Ratti fu membro, collaboratore e redattore di articoli per il Club Alpino Italiano. Lo stesso Ratti disse dell'alpinismo che "non fosse cosa da scavezzacolli, ma al contrario tutto e solo questione di prudenza, e di un po' di coraggio, di forza e di costanza, di sentimento della natura e delle sue più riposte bellezze". Appena eletto papa, lAlpine Club di Londra cooptò Pio XI come proprio socio, motivando tale invito con le tre ascensioni alle più alte cime alpine (l'invito fu declinato, pur con il ringraziamento del papa). Ratti, nel 1899, ebbe un colloquio con il famoso esploratore Luigi d'Aosta Duca degli Abruzzi per partecipare alla spedizione al Polo Nord che il Duca stava organizzando. Ratti non venne preso, si dice, perché un sacerdote, per quanto eccellente alpinista, avrebbe intimidito gli altri compagni di viaggio, rudi uomini di mare e montagna. Nel 1935, venendo meno al rigido protocollo dello Stato Vaticano, durante la cerimonia d'inaugurazione della Scuola centrale militare di alpinismo di Aosta, inviò un telegramma di felicitazioni. Carriera ecclesiastica La profonda competenza negli studi portò Ratti all'attenzione di papa Leone XIII. Nel giugno 1891 e nel 1893 fu così invitato a partecipare ad alcune missioni diplomatiche al seguito di monsignor Giacomo Radini-Tedeschi in Austria e in Francia. Ciò avvenne su segnalazione dello stesso Radini-Tedeschi, il quale aveva studiato con Ratti presso il Pontificio Seminario Lombardo di Roma. Nell'agosto 1882 fu nominato parroco sostituto di Barni, ove ancora oggi è affissa una targa in suo onore nella chiesa parrocchiale dedicata all'Annunciazione. Nel 1888 entrò a far parte del collegio dei dottori della Biblioteca Ambrosiana, per diventarne prefetto nel 1907. Il 6 marzo 1907 fu nominato prelato di Sua Santità con il titolo di monsignore. Intanto nel 1894 era entrato a far parte degli Oblati dei Santi Ambrogio e Carlo, un istituto di sacerdoti secolari profondamente milanese, radicato nella spiritualità di san Carlo Borromeo e sant'Ignazio di Loyola. Agli esercizi spirituali ignaziani don Ratti resterà sempre legato, ad esempio mediterà gli esercizi del 1908, del 1910 e del 1911 presso i gesuiti di Feldkirch, in Austria. Chiamato da Pio X a Roma, fu socio del Circolo San Pietro, fu nominato l'8 novembre 1911 viceprefetto con diritto di successione e, il 27 settembre 1914, regnante Benedetto XV, prefetto della Biblioteca Vaticana. Missione in Polonia Nel 1918 papa Benedetto XV lo nominò visitatore apostolico per la Polonia e la Lituania e successivamente, nel 1919, nunzio apostolico (cioè rappresentante diplomatico presso la Polonia) e all'età di 62 anni fu elevato al rango di arcivescovo con il titolo di Lepanto. Scelse come suo segretario don Ermenegildo Pellegrinetti, dottore in teologia e diritto canonico e soprattutto poliglotta, che tenne un diario della missione in Polonia di mons. Ratti. La sua missione lo portò ad affrontare la difficile situazione verificatasi con l'invasione sovietica nell'agosto del 1920 per i problemi creati dalla formulazione dei nuovi confini dopo la prima guerra mondiale. Ratti chiese a Roma di restare a Varsavia prossima all'assedio ma Benedetto XV, temendo per la sua vita, gli ordinò di raggiungere il governo polacco in esilio, cosa che fece dopo che si erano ritirate tutte le altre postazioni diplomatiche. Fu in seguito nominato Alto Commissario ecclesiastico per il plebiscito nell'Alta Slesia, plebiscito che si doveva svolgere tra la popolazione per scegliere fra l'adesione alla Polonia o alla Germania. Nella regione era forte la presenza del clero tedesco (sostenuto dall'arcivescovo di Breslavia cardinale Bertram), che spingeva per il ricongiungimento con la Germania. Il governo polacco, allora, chiese al Papa di nominare un rappresentante ecclesiastico che fosse al di sopra delle parti, in grado di garantire l'imparzialità in occasione del plebiscito. Il compito specifico di Ratti, infatti, era quello di richiamare alla concordia il clero tedesco e quello polacco e, tramite costoro, la popolazione tutta. Avvenne però che l'arcivescovo Bertram vietò ai sacerdoti stranieri della sua arcidiocesi (in pratica i polacchi) di prendere parte al dibattito sul plebiscito. Inoltre Bertram fece sapere di avere avuto l'appoggio della Santa Sede: il Segretario di Stato, cardinale Gasparri, aveva dato l'appoggio a Bertram e al clero tedesco, senza informare però Ratti. Non solo Ratti dovette subire questo sgarbo, ma vide scatenarsi contro di lui la stampa polacca, che lo accusava, ingiustamente, di essere filotedesco. Fu pertanto richiamato a Roma e il 4 giugno 1921 Ratti lasciò la Polonia. Un suo successo fu ottenere la liberazione di Eduard von der Ropp, arcivescovo di Mahilëŭ, arrestato dalle autorità sovietiche nell'aprile del 1919 con l'accusa di attività controrivoluzionaria e rilasciato nell'ottobre dello stesso anno. Nei primi mesi del 1920 compì un lungo viaggio diplomatico in Lituania, recandosi in pellegrinaggio nei luoghi più cari ai cattolici lituani, e in Lettonia. In quest'ultimo Stato gettò le basi del futuro concordato, che sarà il primo concordato da lui concluso dopo l'ascesa al pontificato. Si occupò anche della diocesi di Riga, da poco ristabilita, che subiva una grande penuria di clero e l'assenza di ordini religiosi; si progettava anche l'elevazione ad arcidiocesi. Tuttavia nell'ottobre 1921, una volta divenuto arcivescovo di Milano, dall'Università di Varsavia ricevette la laurea honoris causa in teologia. In questo periodo nel cardinale Ratti probabilmente si venne a formare la convinzione che il pericolo principale dal quale la Chiesa cattolica si doveva difendere fosse il bolscevismo. Di qui la cifra che spiega il suo operato successivo: la sua politica sociale volta a contendere le masse al comunismo e ai nazionalismi. Arcivescovo di Milano e cardinale Nel concistoro del 13 giugno 1921 Achille Ratti fu nominato arcivescovo di Milano e lo stesso giorno fu creato cardinale del titolo dei Santi Silvestro e Martino ai Monti. Prese possesso dell'arcidiocesi l'8 settembre. Nel suo breve episcopato dispose che il Catechismo di Pio X dovesse essere l'unico usato nell'arcidiocesi, inaugurò l'Università Cattolica del Sacro Cuore e iniziò la fase diocesana della causa di canonizzazione di padre Giorgio Maria Martinelli, il fondatore degli Oblati di Rho. Il conclave del 1922 e l'elezione a pontefice Achille Ratti fu eletto papa il 6 febbraio 1922 alla quattordicesima votazione di un conclave contrastato. Gli elettori erano in effetti divisi in due fazioni: da un lato i "conservatori", che puntavano sul cardinale Merry del Val (ex Segretario di Stato sotto papa Pio X), dall'altro i "liberali", riuniti nella preferenza per il Segretario di Stato uscente, cardinale Pietro Gasparri. La convergenza sul nome del cardinale lombardo risultò dunque frutto di un compromesso. Una volta accettata l'elezione e scelto il nome pontificale, Pio XI, rivestito dell'abito corale, chiese di potersi affacciare dalla loggia esterna della basilica vaticana (in luogo di quella interna utilizzata dai suoi tre ultimi predecessori): la possibilità gli fu accordata e, una volta recuperato uno stendardo per adornare il balcone (nello specifico quello di Pio IX, il più recente tra quelli a disposizione), il nuovo pontefice poté presentarsi alla folla raccolta in Piazza San Pietro, alla quale impartì una semplice benedizione Urbi et Orbi, senza tuttavia pronunziare alcuna parola. La scelta di presentarsi con lo sguardo rivolto verso la città di Roma e non entro le mura vaticane indicò la sua volontà di risolvere la questione romana, con l'irrisolto conflitto tra i suoi ruoli di capitale d'Italia e sede del potere temporale del papa. Significativamente, dagli astanti accorsi dinnanzi alla basilica petrina si levò il grido Viva Pio XI! Viva l'Italia!. Pontificato Encicliche La sua prima enciclica Ubi arcano Dei consilio, del 23 dicembre 1922, manifestò il programma del suo pontificato, peraltro ben riassunto nel suo motto "pax Christi in regno Christi", la pace di Cristo nel Regno di Cristo. Detto altrimenti, a fronte della tendenza a ridurre la fede a questione privata, papa Pio XI pensava invece che i cattolici dovessero operare per creare una società totalmente cristiana, nella quale Cristo regnasse su ogni aspetto della vita. Egli intendeva dunque costruire una nuova cristianità che, rinunciando alle forme istituzionali dell'''Ancien Régime, si sforzasse di muoversi nel seno della società contemporanea. Nuova cristianità che soltanto la Chiesa cattolica costituita da Dio e interprete delle verità rivelate era in grado di promuovere. Questo programma fu completato dalle encicliche Quas primas (11 dicembre 1925), con la quale fu pure istituita la festa di Cristo Re e Miserentissimus Redemptor (8 maggio 1928), sul culto del Sacro Cuore. In campo morale, le sue encicliche più importanti sono ricordate come le "quattro colonne". Nella Divini Illius Magistri del 31 dicembre 1929 sancisce il diritto della famiglia di educare i figli, come diritto originario e anteriore a quello dello Stato. Nella Casti Connubii del 31 dicembre 1930 ribadisce la dottrina tradizionale il sacramento del matrimonio: i primi doveri degli sposi devono essere la reciproca fedeltà, il mutuo e caritatevole amore e la retta e cristiana educazione della prole. Dichiarò moralmente illecita l'interruzione di gravidanza mediante aborto e, all'interno delle relazioni coniugali, ogni rimedio per evitare la procreazione. In campo sociale intervenne con l'enciclica Quadragesimo Anno, che celebrava il quarantesimo anniversario della Rerum Novarum di papa Leone XIII, insegnando che «per evitare l'estremo dell'individualismo da una parte, come del socialismo dall'altra, si dovrà soprattutto avere riguardo del pari alla doppia natura, individuale e sociale propria, tanto del capitale o della proprietà, quanto del lavoro». Questi tre temi, educazione cristiana, matrimonio e dottrina sociale, sono riassunti nell'enciclica Ad Catholici Sacerdotii del 20 dicembre 1935 sul sacerdozio cattolico «Il sacerdote è, per vocazione e mandato divino, il precipuo apostolo e l'indefesso promotore dell'educazione cristiana della gioventù; il sacerdote in nome di Dio benedice il matrimonio cristiano e ne difende la santità ed indissolubilità contro gli attentati e le deviazioni suggerite dalla cupidigia e dalla sensualità; il sacerdote porta il più valido contributo alla soluzione o almeno alla mitigazione dei conflitti sociali, predicando la fratellanza cristiana, a tutti ricordando i mutui doveri della giustizia e della carità evangelica, pacificando gli animi inaspriti dal disagio morale ed economico, additando ai ricchi e ai poveri gli unici beni a cui tutti possono e devono aspirare». Trattò della natura della Chiesa nell'enciclica Mortalium Animos del 6 gennaio 1928, ribandendo l'unità della Chiesa sotto la guida del Romano Pontefice: Esponendo che l'unità della Chiesa non possa avvenire a danno della fede, auspica il ritorno alla Chiesa cattolica dei cristiani separati. Invece vieta la partecipazione dei cattolici ai tentativi di stabilire una Chiesa pancristiana, per non dare «autorità ad una falsa religione cristiana, assai lontana dall'unica Chiesa di Cristo». Secondo Roger Aubert con le sue encicliche Pio XI aveva elaborato una «teologia per la vita», trattando i grandi problemi di ordine morale e sociale. Giubilei Pio XI istituì un giubileo ordinario nel 1925 e uno straordinario nel diciannovesimo centenario della Redenzione (2 aprile 1933-2 aprile 1934). Canonizzazioni e beatificazioni In campo politico Pio XI normalizzò i rapporti con lo Stato italiano grazie ai Patti Lateranensi (Trattato e Concordato) dell'11 febbraio 1929, che ponevano fine alla cosiddetta "Questione Romana" e facevano tornare regolari i rapporti fra l'Italia e la Santa Sede. Il 7 giugno, a mezzogiorno, nasceva il nuovo Stato della Città del Vaticano, di cui il Sommo Pontefice era sovrano assoluto. Nello stesso periodo furono creati diversi Concordati con varie Nazioni europee. Non pregiudizialmente ostile a Benito Mussolini, papa Ratti limitò fortemente l'azione del Partito Popolare favorendone lo scioglimento, e rinnegò ogni tentativo di Sturzo di ricostituire il partito. Ebbe però ad affrontare controversie e scontri con il fascismo a causa dei tentativi del regime di egemonizzare l'educazione della gioventù e per le ingerenze del regime nella vita della Chiesa. Emise l'enciclica Quas Primas dove veniva stabilita la festa di Cristo Re a ricordare il diritto della religione a pervadere tutti i campi della vita quotidiana: dallo Stato, all'economia, all'arte. Per richiamare i laici ad un maggiore coinvolgimento religioso, nel 1923 venne riorganizzata l'Azione Cattolica (di cui disse "questa è la pupilla dei miei occhi"). In campo missionario, si batté per l'integrazione con le culture locali invece dell'imposizione di una cultura occidentale. Pio XI fu estremamente critico anche con il ruolo passivo tenuto in campo sociale dal capitalismo. Nella sua enciclica Quadragesimo Anno del 1931 richiamò l'urgenza delle riforme sociali già indicate quaranta anni prima da papa Leone XIII, inoltre ribadì la condanna del liberalismo e di ogni forma di socialismo. Economia Pio XI ritornò più volte nell'enciclica sul legame fra moneta, economia e potere. Nell'enciclica Quadragesimus annus affermò: Nell'enciclica Divini Redemptoris Pio XI sviluppa riflessioni abbastanza consuete sulla necessità della sopportazione e della pazienza da parte dei poveri, che devono stimare più i beni spirituali che i beni e i godimenti terreni. E sui ricchi come amministratori di Dio, che devono dare ai poveri quello che loro avanza: Risoluzione della questione romana Il primo segno di apertura Pio XI lo aveva manifestato immediatamente dopo l'elezione. Il novello pontefice - contrariamente ai suoi immediati predecessori Leone XIII, Pio X e Benedetto XV - decise di affacciarsi alla loggia esterna della Basilica Vaticana, cioè su piazza San Pietro, sia pur senza dire nulla, limitandosi a benedire la folla presente, mentre i fedeli di Roma gli rispondevano con applausi e grida di gioia. Il gesto "dovuto", ma che si verificava dopo i fatti del 20 settembre 1870, era da considerare di portata storica; ciò accadeva perché Pio XI era convinto che la fine del potere temporale, sia pure in maniera "violenta" era, per la missione della Chiesa nel mondo, la liberazione dalle catene delle passioni umane. La Questione romana incontrava non solo le preoccupazioni e le speranze dei cattolici in Italia, ma anche di tutti i cattolici del mondo, tanto da indurre zelanti sacerdoti, peraltro missionari, come per esempio don Luigi Orione, a prendere iniziative personali e scrivere più volte al capo del governo fascista Benito Mussolini; altri sacerdoti intervennero con propri studi presso la Segreteria di Stato Vaticana, nella persona del delegato del papa, cardinale Pietro Gasparri. L'11 febbraio 1929 il papa fu l'artefice della firma dei Patti Lateranensi tra il cardinale Pietro Gasparri e il governo fascista di Benito Mussolini, giunta al termine di un lungo processo negoziale per chiudere il più spinoso dossier tra l'Italia e la Santa Sede. Il 13 febbraio 1929 pronunciò un discorso agli studenti e ai docenti dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, che passò alla storia per una definizione, secondo cui Mussolini sarebbe stato «un uomo [...] che la Provvidenza Ci ha fatto incontrare»: Malgrado questo, nella sua enciclica Non Abbiamo Bisogno di due anni dopo, Pio XI definì il fascismo, il cui fondatore era notoriamente Mussolini, come «statolatria pagana». La Santa Sede con la firma di un concordato con uno Stato non necessariamente ne approva la politica, come confermato ad esempio da Pio XII nella sua allocuzione nel concistoro del 2 giugno 1945 (AAS 37 pag. 152) a riguardo del nazismo. Già nel 1922, prima della sua elezione a Papa nel febbraio dello stesso anno, in occasione di un'intervista concessa al giornalista francese Luc Valti (pubblicata integralmente nel 1937 su L'illustration), il cardinale Achille Ratti aveva dichiarato a proposito di Mussolini: Nell'agosto 1923 Ratti confidò all'ambasciatore del Belgio che Mussolini “non è certo Napoleone, e forse neppure Cavour. Ma lui solo ha compreso di che cosa il suo paese abbia bisogno per uscire dall'anarchia in cui un parlamentarismo impotente e tre anni di guerra l'hanno gettato. Voi vedete come abbia trascinato con sé la Nazione. Possa essergli concesso di portare l'Italia alla sua rinascita”. Il 31 ottobre 1926 l'adolescente Anteo Zamboni aveva sparato a Mussolini, a Bologna, mancando il bersaglio. Papa Ratti intervenne condannando «tale criminale attentato il cui solo pensiero ci rattrista [...] e ci fa rendere grazie a Dio del suo fallimento». L'anno successivo Pio XI esaltò Mussolini come l'uomo «il quale con tanta energia governa le sorti del paese, da fare giustamente ritenere pericolare il paese stesso ogni qualvolta pericola la sua persona. Il pronto e quasi visibile intervento della Divina Provvidenza faceva sì che quella prima tempesta poté subito venir sorpassata da un vero uragano di giubilo, di rallegramenti, di azioni di grazie, per lo scampato pericolo per la perfetta, e, si può ben dire, portentosa incolumità di chi ne doveva essere la vittima», esprimendo altresì «indignazione e orrore» per l'attentatoEmilio Gentile, Contro Cesare, Feltrinelli, Milano, 2010. Con i Patti Lateranensi, stipulati nel palazzo di San Giovanni in Laterano e costituiti da due atti distinti (Trattato e Concordato), veniva messa la parola fine alla freddezza e ostilità fra i due poteri, durate per cinquantanove anni. Con lo storico trattato veniva data alla Santa Sede la sovranità sullo Stato della Città del Vaticano, riconoscendolo come soggetto di diritto internazionale, in cambio dell'abbandono da parte della Santa Sede di pretese territoriali sul precedente Stato Pontificio; mentre la Santa Sede riconosceva il Regno d'Italia con la capitale a Roma. A compensazione delle perdite territoriali e come supporto nel periodo transitorio, il governo garantiva (Convenzione finanziaria, allegata al Trattato) un trasferimento di denaro consistente in 750 milioni di lire in contanti e di un miliardo in titoli di Stato al 5 per cento che, investito da Bernardino Nogara sia in immobili sia in attività produttive, pose le basi per l'attuale struttura economica del Vaticano. Il trattato richiamava inoltre l'articolo 1 dello Statuto Albertino, riaffermando la religione cattolica come la sola religione dello Stato. I Patti Lateranensi imponevano ai vescovi di giurare fedeltà allo Stato italiano, ma stabilivano alcuni privilegi per la Chiesa cattolica: al matrimonio religioso venivano riconosciuti effetti civili e le cause di nullità ricadevano sotto i tribunali ecclesiastici; l'insegnamento della dottrina cattolica, definita “fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica”, diventava obbligatorio nelle scuole elementari e medie; i preti spretati o colpiti da censura ecclesiastica non potevano ottenere o conservare alcun impiego pubblico nello Stato italiano. Per il regime fascista i Patti Lateranensi costituirono una preziosa legittimazione. In segno di riconciliazione, nel luglio successivo, il papa uscì in processione eucaristica solenne in piazza San Pietro. Un avvenimento del genere non accadeva dai tempi di Porta Pia. La prima uscita dal territorio della Città del Vaticano avvenne invece il 21 dicembre dello stesso anno quando, di primissima mattina, il pontefice si recò, scortato da poliziotti italiani in bicicletta, alla basilica di San Giovanni in Laterano, per prendere ufficialmente possesso della sua cattedrale. Nel 1930 - a un anno di distanza dalla firma dei Patti Lateranensi - l'anziano cardinal Pietro Gasparri si dimise, venendo sostituito dal cardinale Eugenio Pacelli, futuro papa Pio XII. Questione messicana Un'altra spina per papa Ratti fu rappresentata dalla politica fortemente anticlericale del governo messicano. Già nel 1914 si iniziarono vere persecuzioni nei confronti del clero e fu proibito ogni culto religioso (conseguentemente furono chiuse anche le scuole cattoliche). La situazione peggiorò nel 1917 sotto la presidenza di Venustiano Carranza. Nel 1922 il nunzio apostolico fu espulso dal Messico. Le persecuzioni contro i cristiani portarono alla rivolta dei "cristeros" il 31 luglio 1926 a Oaxaca. Nel 1928 si sancì un accordo che riammetteva il culto cattolico, ma non essendo stati rispettati i termini dell'accordo Pio XI condannò tali misure nel 1933 con l'enciclica Acerba Animi. Rinnovò la condanna nel 1937 con l'enciclica Firmissimam Constantiam. Rapporti con il mondo della scienza Appassionato delle scienze fin dalla gioventù e attento osservatore dello sviluppo tecnologico, fondò la Radio Vaticana avvalendosi della collaborazione di Guglielmo Marconi, modernizzò la Biblioteca Vaticana e ricostituì con la collaborazione di padre Agostino Gemelli nel 1936 la Pontificia Accademia delle Scienze, ammettendovi anche personalità non cattoliche e pure non credenti. Fu interessato ai nuovi mezzi di comunicazione: fece installare una nuova centralina telefonica in Vaticano e sebbene personalmente si servisse poco del telefono, fu uno dei primi utilizzatori della telecopia, un'invenzione del francese Édouard Belin che permetteva di trasmettere fotografie a distanza attraverso la rete telefonica o telegrafica. Nel 1931 in risposta ad un messaggio scritto e ad una fotografia inviategli da Parigi dal cardinale Verdier inviò una sua fotografia appena scattata. L'utilizzo che fece della radio fu invece più frequente, sebbene non molti riuscissero ad intendere i suoi messaggi radiofonici, di norma pronunciati in latino. La morte ed il discorso scomparso Nel febbraio 1939 Pio XI convocò a Roma tutto l'episcopato italiano in occasione del I decennale della "conciliazione" con lo Stato Italiano, del XVII anno del suo pontificato e il 60º anno del suo sacerdozio. Nei giorni 11 e 12 febbraio egli avrebbe pronunciato un importante discorso, preparato da mesi, che sarebbe stato il suo testamento spirituale e dove, probabilmente, avrebbe denunciato la violazione dei Patti Lateranensi da parte del governo fascista e le persecuzioni razziali in Germania. Tale discorso è rimasto segreto fino al pontificato di papa Giovanni XXIII quando nel 1959 vennero pubblicate alcune parti. Egli infatti morì per un attacco cardiaco dopo una lunga malattia, nella notte del 10 febbraio 1939. È ormai assodato che il testo del discorso fu fatto distruggere per ordine di Pacelli, al tempo Cardinal Segretario di Stato e responsabile di gestire il Vaticano nell'attesa della nomina di un nuovo papa. Nel settembre 2008, un congresso organizzato a Roma dalla Pave The Way Foundation sull'operato di Pio XII nei confronti degli ebrei ha riportato la questione dei rapporti tra il Vaticano e le dittature totalitarie nell'interesse dei media. Un'ex dirigente della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, Bianca Penco (vicepresidente della federazione tra il 1939 e il 1942 e presidente nazionale insieme a Giulio Andreotti e Ivo Murgia tra il 1942 e il 1947), ha rilasciato un'intervista al quotidiano Il Secolo XIX in cui parla della questione. Secondo il racconto della Penco, Pio XI avrebbe ricevuto alcuni esponenti di spicco della federazione nel febbraio del 1939, annunciando a questi che aveva preparato un discorso che era intenzionato a tenere l'11 febbraio, in occasione del decennale del Concordato: questo discorso sarebbe stato critico nei confronti del nazismo e del fascismo, e avrebbe anche contenuto riferimenti alle persecuzioni dei cristiani che in quegli anni avvenivano in Germania. Il papa, secondo l'intervista, avrebbe dovuto anche annunciare un'enciclica contro l'antisemitismo, intitolata Humani generis unitas. Ma Achille Ratti morì la notte prima, il 10 febbraio e Pacelli, al tempo Cardinal Segretario di Stato e dopo poco meno di un mese eletto al pontificato come papa Pio XII, avrebbe deciso di non divulgare il contenuto di questi documenti. La Penco afferma anche che dopo la morte di papa Ratti, alle richieste dei rappresentanti della FUCI di avere informazioni sul destino del discorso che avevano potuto osservare in anteprima, l'esistenza stessa di questo sarebbe stata negata.. In realtà, la cosiddetta "enciclica nascosta" era già stata commissionata da Pio XI al gesuita LaFarge e ad altri due estensori. Lo schema di enciclica, a causa del ritardo con cui arrivò a Pio XI, non trovò papa Ratti nelle condizioni di salute idonee affinché potesse leggerla e promulgarla. Infatti morì pochi giorni dopo che lo schema pervenne sul suo tavolo. Pio XII, suo successore, non ritenne di promulgarla non certo per simpatie verso il fascismo e il nazismo, ma perché quello schema di enciclica conteneva, insieme a una chiara e netta condanna di ogni forma di razzismo e in particolare del razzismo antisemita, anche una riconferma del tradizionale antigiudaismo teologico che, sebbene nulla avesse a che fare, come ritiene la studiosa ebrea Anna Foa, con l'antisemitismo moderno le cui origini sono invece darwiniane, positiviste e teosofiche, avrebbe potuto essere facilmente strumentalizzato dal regime nazista. Se papa Pacelli avesse pubblicato integralmente quello schema di enciclica, sarebbe stato poi accusato di avere prestato argomenti teologici al razzismo hitleriano. Invece, Pio XII, ad ulteriore dimostrazione della sua ferma opposizione al nazismo e ad ogni forma di razzismo, riprese la parte antirazzista di quella "enciclica nascosta" e la inserì nella sua prima enciclica, quella contenente il programma del suo appena iniziato pontificato, la Summi Pontificatus del 1939. Sulla base di un presunto memoriale del cardinale Eugène Tisserant ritrovato nel 1972, prese corpo la leggenda che Pio XI fosse stato avvelenato per ordine di Benito Mussolini, il quale avendo avuto sentore della possibilità di essere condannato e forse scomunicato avrebbe incaricato il medico Francesco Petacci, padre di Clara Petacci, di avvelenare il Pontefice. Questa teoria venne seccamente smentita dal cardinale Carlo Confalonieri, segretario personale di Pio XI. Questa teoria è stata inoltre esclusa dalla studiosa Emma Fattorini, reputando la tesi come un eccesso di immaginazione che non ritrova il minimo riscontro nell'attuale documentazione. Aspetti controversi Rapporti con il Partito Popolare Italiano Il 2 ottobre 1922, poco prima dell'avvento del fascismo in seguito alla Marcia su Roma, papa Ratti inviò un documento in cui invitò tutti gli ecclesiastici a non collaborare con nessun partito politico, neanche con quelli di matrice cattolica. In particolare dagli archivi è stata ritrovata la lettera, in cui si invitava don Luigi Sturzo a rassegnare le dimissioni dalla carica di segretario del Partito Popolare Italiano, dimissioni date effettivamente il 10 luglio 1923. Dopo le dimissioni di Sturzo, Mussolini poté affermare che questi era l'uomo sbagliato dentro un partito di "cattolici che invece desiderano il bene dello Stato". Il Partito Popolare Italiano entrò in una profonda crisi che ne indebolì le posizioni in Parlamento e nel paese. Nel 1926 il partito fu poi ufficialmente dichiarato disciolto. Il Papa aveva sempre nutrito scarsa fiducia nei partiti politici di qualunque orientamento e riteneva più giusto mantenere rapporti direttamente con gli Stati sovrani, soprattutto in Italia, dove il Partito Nazionale Fascista poteva mostrare una certa affinità ideologica sotto certi aspetti (garantendo il rispetto dei valori cari alla Chiesa cattolica tramite la restaurazione dell'ordine e dell'autorità) e inoltre si era dimostrato pronto a collaborare. Nell'ottobre 1938 nacque un contenzioso a Bergamo tra il federale locale e l'Azione Cattolica: Achille Starace intervenne rimuovendo il federale, ma ottenendo in cambio la rimozione di alcuni responsabili dell'Azione Cattolica già membri del Partito Popolare Italiano. Lo stesso Pontefice mostrò meraviglia per il fatto che costoro fossero stati chiamati ai vertici locali dell'associazione. Rapporti con il regime fascista Achille Ratti diventa papa nel febbraio del 1922. La Questione romana è ancora aperta e il papa come primo atto del suo pontificato decide d'impartire la benedizione apostolica dalla loggia centrale della basilica di San Pietro, rimasta chiusa in segno di protesta sin dalla breccia di Porta Pia. Nove mesi dopo l'elezione di Pio XI ascese al potere Benito Mussolini. Già il 6 agosto Pio XI aveva scritto ai vescovi italiani in occasione dei tumultuosi scioperi e delle violenze fasciste, condannando le «passioni di parte» e le esasperazioni che portano «ora da una parte, ora dall'altra, a sanguinose offese». Questo atteggiamento neutrale fu ribadito il 30 ottobre, due giorni dopo la Marcia su Roma, quando lOsservatore Romano scrisse che il papa «si tiene al di sopra delle parti, ma rimane la guida spirituale che sempre presiede ai destini delle nazioni». Sono anni quelli in cui da entrambe le parti, quella italiana e quella vaticana, si tenta di giungere a una pacificazione, pacificazione che effettivamente si avrà con la firma dei Patti Lateranensi nel 1929. Dopo il 1929 i rapporti tra la Santa Sede e il Governo italiano non furono tuttavia privi di tensioni, anche molto gravi; in effetti le relazioni tra il Vaticano e il Fascismo durante il pontificato di Pio XI furono contrassegnate da alti e bassi. Dal 1922 al 1927 Pio XI cercò di mantenere un atteggiamento di collaborazione con le autorità italiane, pur disapprovando l'involuzione autoritaria dello Stato: attribuendo ai più bassi livelli gerarchici la responsabilità delle aggressioni fasciste alle organizzazioni cattoliche e ad alcuni esponenti cattolici; limitando le proteste verso gli attentati e la violenza fascista solo agli episodi che coinvolgevano i cattolici (verso le altre vittime dello squadrismo il silenzio è completo); imponendo a don Luigi Sturzo le dimissioni dal Partito Popolare Italiano alla vigilia della discussione alla Camera dei deputati della riforma elettorale; in seguito all'omicidio di don Giovanni Minzoni ad opera di squadristi capitanati da Italo Balbo non protesta come ci si sarebbe potuti attendere, preoccupandosi di mantenere buoni rapporti con il governo fascista; cercando, all'interno del regime fascista, di ottenere i massimi privilegi possibili per negoziare con il governo una norma che avrebbe dovuto regolare il contenzioso lungo 59 anni (i Patti Lateranensi); condannando l'attentato compiuto da Zamboni contro Mussolini, definendolo: "criminale attentato il cui solo pensiero ci rattrista... e ci fa rendere grazie a Dio per il suo fallimento". Nel concistoro del 14 dicembre 1925 Pio XI fece un bilancio dei rapporti con il regime fascista: Nel 1926 alcuni incidenti opposero i cattolici ai militanti fascisti: ad esempio vi furono scontri in occasione della processione dell'ottava del Corpus Domini a Livorno e in agosto altri incidenti gravi con un morto a Mantova e a Macerata. Il vescovo di Macerata scrisse a Pio XI per denunciare l'inerzia delle autorità nel reprimere gli scontri: questi rispose annullando per protesta il congresso internazionale dei ginnasti cattolici, che si sarebbe dovuto svolgere a Roma. Secondo lo storico Yves Chiron «Pio XI ha sempre reagito quando militanti fascisti o lo stesso governo italiano hanno attentato agli interessi della Chiesa o alla vita sociale e religiosa dei cattolici. Ma aveva anche il desiderio, come Mussolini, di risolvere la questione romana». All'indomani della firma dei Patti Lateranensi, Pio XI indicò Mussolini come un "uomo che la Provvidenza ci ha fatto incontrare", poi interpretato come "L'uomo della Provvidenza"; le parole esatte furono: Secondo Vittorio Messori, con queste parole Pio XI intendeva affermare che Mussolini non aveva i pregiudizi che avevano portato tutti i precedenti negoziatori a rifiutare qualsiasi accordo che prevedesse una sovranità territoriale per la Santa Sede. Secondo gli antifascisti l'accordo costituì una grande vittoria morale del fascismo che diede legittimazione politica al regime e permise di ampliarne il consenso. Secondo gli intellettuali liberali, e segnatamente Benedetto Croce e Luigi Albertini, il senatore fascista professor Vittorio Scialoja (che ne avversarono in Senato l'approvazione) con i Patti Lateranensi lo Stato rinunciava al principio dell'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Secondo i democratici cristiani e piccoli nuclei cattolici i Patti costituirono un forte momento di crisi, in quanto questi esponenti politici ritenevano inconcepibile l'alleanza tra la Chiesa cattolica e un regime incompatibile con i principi cristiani. Già prima del 1929 il regime fascista non mancò d'interferire pesantemente in questioni di primaria importanza per la dottrina cattolica, in primo luogo l'educazione della gioventù. Con la nascita nel 1923 dell'ONB (Opera Nazionale Balilla) erano state sciolte tutte le organizzazioni a carattere o inquadramento militare. Alcuni prefetti applicarono questa classificazione anche ai gruppi scout, nonostante spesso le autorità ecclesiastiche intervenissero in loro difesa, e molte camicie nere cominciarono a compiere atti di violenza contro appartenenti a gruppi scout, compreso l'omicidio ad Argenta di don Giovanni Minzoni, fondatore del gruppo scout locale. Per poter arginare i comportamenti fascisti nel 1924 l'Associazione scautistica cattolica italiana (ASCI) confluì, anche grazie a Pio XI, nell'Azione Cattolica italiana rimanendo comunque totalmente autonoma. Il 3 aprile del 1926 vennero approvate le cosiddette leggi fascistissime che prevedevano tra le altre cose anche lo scioglimento dei reparti scout nei centri con meno di abitanti. Questa legge, proprio a causa dei fragili rapporti con la Chiesa, venne applicata solo dal gennaio del 1927. Fu un duro colpo per lo scautismo che vide drasticamente ridotto il numero dei suoi gruppi. Da questo punto in avanti la vita degli scout si fece sempre più difficile, finché due anni più tardi l'ASCI venne ufficialmente chiusa. Pio XI si trovò così, non più di due anni dopo la firma dei Patti Lateranensi, già in rotta di collisione con il Duce anzitutto a causa del ruolo della Chiesa nell'educazione dei giovani, che il regime voleva vieppiù ridurre. Alla chiusura da parte del governo nel 1931 delle sedi dell'Azione Cattolica - spesso oggetto di violenze e devastazioni da parte di gruppi fascisti - il Papa rispose duramente con l'enciclica (scritta in italiano e non in latino) Non Abbiamo Bisogno, nella quale, stigmatizzando la crescente statolatria, mette in evidenza il contrasto tra la fedeltà al vangelo di Cristo e all'ideologia fascista. Il papa così si esprime in un passo dell'enciclica: Il conflitto venne poi sanato con rinunce da entrambe le parti: da un lato il papa riorganizzava l'Azione Cattolica eliminando i dirigenti in odore di antifascismo, sottoponendola al diretto controllo dei vescovi e vietandone l'azione sindacale; dall'altro Mussolini licenziava Giovanni Giuriati (in quanto maggiormente esposto con l'azione di forza) e accettava l'idea che l'Azione Cattolica - una volta ridimensionata al campo esclusivamente religioso - potesse continuare ad esistere, a patto però della rinuncia all'educazione dei cittadini e alla loro formazione politica. Quando Mussolinì aggredì lo Stato sovrano dell'Etiopia senza dichiarazione formale di guerra (3 ottobre 1935), Pio XI, pur disapprovando l'iniziativa italiana e temendo un avvicinamento dell'Italia alla Germania, rinunciò a condannare pubblicamente la guerra. All'unico intervento di condanna del papa (27 agosto 1935) avevano fatto seguito richiami e intimidazioni del governo italiano nel corso dei quali era intervenuto lo stesso Mussolini: il papa non doveva parlare della guerra se intendeva mantenere buoni rapporti con l'Italia. Dalla posizione di silenzio tenuta ufficialmente da Pio XI sul conflitto nacque l'immagine di un allineamento vaticano alla politica di conquista del regime: se il papa taceva e se permetteva che vescovi, cardinali, intellettuali cattolici benedicessero pubblicamente l'eroica missione di fede e civiltà dell'Italia in Africa, significava che, in sostanza, approvava quella guerra e che lasciava dire all'alto clero quanto non poteva affermare direttamente per il carattere sopranazionale della Santa Sede. Il progressivo avvicinarsi dell'Italia fascista alla Germania nazista con la copiatura delle dottrine e politiche razziste, raffreddò nuovamente i rapporti tra la Santa Sede e il regime. In seguito alla promulgazione delle leggi razziali il Vaticano confidò su un ripensamento del regime. L'ostinata volontà della Santa Sede di giungere a un accordo con il regime fascista traeva origine dalla preoccupazione di non pregiudicare la sorte dell'Azione Cattolica, di non peggiorare le relazioni diplomatiche con l'Italia in circostanze critiche, infine da una strisciante - quando non apertamente dichiarata - simpatia per la discriminazione introdotta dalle Leggi razziali da parte di alcuni ambienti cattolici. La disputa, pur concentrandosi soprattutto sul riconoscimento dei matrimoni misti, peraltro assai pochi, aveva ad oggetto l'intera questione del razzismo, palesemente in contrasto con il concetto di universale fratellanza proprio del Cristianesimo. Il Decreto legge impediva ai cittadini ariani il matrimonio civile con persone di altra razza e quindi che il matrimonio religioso non potesse essere trascritto nei registri dello Stato civile. Il 15 luglio 1938, il giorno dopo la pubblicazione del Manifesto degli Scienziati razzisti, Pio XI, in udienza alle suore di Notre-Dame du Cénacle, condanna il razzismo come una vera e propria apostasia. Quell'allocuzione inaugura una serie di interventi di Pio XI molto severi contro il razzismo. Dopo la promulgazione delle Leggi razziali in Italia, Pio XI così si espresse in un'udienza privata al padre gesuita Tacchi Venturi: E il 6 settembre 1938, in un'udienza concessa ai collaboratori della Radio cattolica belga, pronunciò le famose parole: Questa tematica occuperà un posto importante nella riflessione dell'ultimo Pio XI, tanto da giungere a progettare un'enciclica contro il razzismo, la Humani generis unitas, che però non verrà mai pubblicata a causa della morte del pontefice. Pio XI morì alla vigilia del giorno, decennale della Conciliazione, in cui avrebbe dovuto pronunciare un importante discorso all'assemblea dei vescovi italiani riuniti per l'occasione. Tale discorso, del quale conosciamo il testo in quanto reso noto da Giovanni XXIII, pur essendo severo con il Fascismo, era un tentativo di dare "un colpo di freno", come nel 1931, alla violenza fascista. Rapporti con la Germania nazional-socialista Prima della tornata elettorale del 5 marzo 1933, Hitler rinnovò pubblicamente le sue garanzie nei confronti dei protestanti e dei cattolici, definendo le due Chiese “pilastri della vita tedesca” e, al momento della proclamazione dei risultati (il NSDAP ottenne il 43,9% dei voti), pronunciò un discorso contro i rischi che il bolscevismo avrebbe potuto procurare all'Europa. L'arringa di Hitler impressionò positivamente il papa, al quale il nuovo cancelliere del Reich apparve come l'unico uomo di governo in grado di fronteggiare l'ideologia comunista. Due giorni dopo il voto tedesco, il pontefice confidò all'ambasciatore francese presso la Santa Sede: “ho cambiato opinione su Hitler, in séguito al tono che ha usato in questi giorni parlando del comunismo. È la prima volta, si può ben dire, che una voce di governo si fa sentire per denunciare il bolscevismo in termini così categorici, e si unisce alla voce del papa”. Alcuni giorni dopo, nel corso di un'allocuzione ai cardinali in concistoro, Pio XI tornò ad elogiare il Führer in quanto difensore della civiltà cristiana; tanto che il cardinale Faulhaber poté testimoniare, ai vescovi della sua regione, il fatto che “il Santo Padre ha lodato pubblicamente il cancelliere dell'impero Adolf Hitler per la sua presa di posizione contro il comunismo” Nella conferenza di Fulda di marzo 1933, con una pubblica dichiarazione redatta dal cardinale Adolf Bertram e approvata dal cardinale Michael von Faulhaber, i vescovi tedeschi ritrattarono i divieti e le riserve precedentemente formulati nei confronti del nazismo: i membri del movimento e del partito nazionalsocialista potevano essere ammessi ai sacramenti; “membri del partito in uniforme possono essere ammessi ai servizi divini e ai sacramenti anche se si presentano in gruppi numerosi”. Funzioni speciali per organizzazioni politiche in generale si dovevano evitare, ma questo non si riferiva a occasioni patriottiche in generale: in tali occasioni disposte dallo Stato, le campane delle chiese potevano essere suonate su autorizzazione delle autorità diocesane. A una riunione del consiglio dei ministri bavarese il 24 aprile, il primo ministro poté riferire che il cardinale Faulhaber aveva dato ordine al clero di appoggiare il nuovo regime che godeva della fiducia dello stesso cardinale. Il 20 luglio 1933, pochi mesi dopo l'ascesa di Adolf Hitler al potere, fu ratificato un concordato con la Germania dopo anni di trattative - seguite anzitutto dal cardinal segretario di Stato Pacelli, il quale era stato per anni nunzio apostolico in Germania, ma negli anni successivi i nazisti non rispettarono minimamente le clausole del concordato di garanzia. Per poter correttamente valutare l'importanza che assunse la stipula del Concordato tra la Santa Sede e la Germania nazista, è necessario ricordare che il Reichskonkordat fu il primo importante trattato di diritto internazionale del governo di Hitler e un successo non trascurabile della sua politica estera: se anche la Santa Sede, quale indubbia potenza in ambito morale, non disdegnava stipulare trattati con i nazionalsocialisti, allora anche per gli Stati secolari non ci sarebbero più stati ostacoli a intrattenere rapporti con il governo hitleriano. Tuttavia, è bene ricordare, che prima della stipula del Concordato, il regime nazista aveva firmato intese di "collaborazione e solidarietà" con Francia, Inghilterra e Italia, mentre il 5 maggio del '33 aveva rinnovato un trattato di amicizia con l'Unione Sovietica e il suo Governo era stato accreditato alla Società delle Nazioni. A tal proposito il cardinale von Faulhaber ammise che «Papa Pio XI è stato il primo sovrano straniero a concludere con il nuovo governo del Reich un solenne concordato, guidato dal desiderio di rafforzare e promuovere gli esistenti rapporti cordiali tra la Santa Sede e il Reich tedesco»; continua Faulhaber che «In realtà papa Pio XI è stato il migliore amico, all'inizio addirittura l'unico amico del nuovo Reich. Milioni di persone all'estero avevano inizialmente un atteggiamento di attesa e diffidenza verso il nuovo Reich e solo grazie alla stipula del concordato hanno acquistato fiducia nel nuovo governo tedesco». Anche Adolf Hitler espresse giubilante la sua soddisfazione per la conclusione del Concordato nel Consiglio dei ministri del 14 luglio: ancora nel giorno della sua presa di potere egli giudicava impossibile di poter raggiungere così rapidamente tale risultato; egli vedeva nel Concordato un riconoscimento senza riserve del regime nazionalsocialista da parte del Vaticano. Hitler vi ricercava un riconoscimento internazionale indubbiamente prestigioso, l'apparenza di un avallo del suo regime, che evitasse ogni isolamento diplomatico della Germania; perseguiva inoltre un ulteriore rafforzamento del proprio potere, grazie all'allargamento del consenso dei cattolici che ne sarebbe seguito, e l'eliminazione del Centro come partito organizzato, sostenuto dalla gerarchia e animato da una larga presenza del clero. Con il Reichskonkordat, affermò Hitler, «si offre alla Germania un'opportunità e si crea un'atmosfera di fiducia di particolare importanza nella decisiva lotta contro l'ebraismo internazionale». Replicando alle perplessità di quanti avrebbero desiderato una più precisa individuazione e separazione delle rispettive sfere di competenza dello Stato e della Chiesa, egli ribadì il concetto che «si tratta di un così eccezionale successo, rispetto al quale ogni obiezione critica deve venir meno» e più volte ripeté che ancora poco tempo prima egli l'avrebbe ritenuto impossibile. Secondo il cardinale Pacelli, la firma del Concordato non implicava un riconoscimento dell'ideologia nazionalsocialista, in quanto tale, da parte della curia. Era invece tradizione della Santa Sede quella di trattare con tutti i partner possibili - ovvero anche con sistemi totalitari - per tutelare la Chiesa e garantire l'assistenza spirituale. Subito dopo la ratifica del Concordato ebbero inizio le prime schermaglie tra Chiesa cattolica e regime nazionalsocialista, sotto forma di proteste non di rado decise e categoriche, ma sempre intraprese con l'accortezza, da parte delle alte gerarchie del clero cattolico, di evitare uno scontro frontale e una rottura aperta con il regime. Gli elementi ideologici più frequentemente presi di mira furono in primo luogo le violazioni del Concordato, seguite dalle derive neopagane di alcune frange del regime e dal tentativo di creare una chiesa nazionale cristiana, unificata e distaccata da Roma. Ma il riconoscimento concesso al regime nei mesi precedenti - di cui il Concordato rappresenta un atto decisivo - aveva condizionato queste prime proteste che finirono per essere diluite in una serie di dichiarazioni, di silenzi, di atti, di soprassalti di protesta alternati a reticenze e a tentativi di riavvicinamento. Il 24 gennaio 1934 Hitler delegò ad Alfred Rosenberg la formazione e l'educazione dei giovani nazisti e tutte le attività culturali del partito, nominandolo DBFU. Pochi giorni dopo, il 9 febbraio, Pio XI mise all'Indice la sua principale opera Il mito del XX secolo, un best seller dell'epoca (pubblicato sin dal 1930) e, assieme al Mein Kampf, la principale opera ideologica del nazismo; tuttavia la Santa Sede non mise mai gli scritti di Hitler all'indice e fino alla fine del suo governo il Führer rimase membro della Chiesa, cioè non fu mai scomunicato (nonostante Hitler non si ritenesse cristiano, tanto meno cattolico). Nel libro Rosenberg auspicava che la Germania ritornasse al paganesimo e attaccava la razza ebraica e di conseguenza il Cristianesimo, erede del Giudaismo. L'opera era studiata nelle scuole e nelle organizzazioni giovanili naziste. La condanna, inoltre, fu eccezionalmente accompagnata da una motivazione che ne esplicitava il significato. Rosenberg rispose con un nuovo libro: Agli oscurantisti del nostro tempo. Una risposta agli attacchi contro "Il mito del XX secolo". Anche questo libro fu messo all'indice da Pio XI il 17 luglio 1935. Poco prima si era tenuto a Münster il congresso del partito nazista. Clemens August von Galen, vescovo della città, si era inutilmente opposto alla presenza in città di Rosenberg con una lettera indirizzata alle autorità politiche locali. Rosenberg colse l'occasione per attaccare von Galen e gli occasionali episodi di opposizione nei confronti di alcuni aspetti del nazionalsocialismo. Ma già nel gennaio 1936, una lettera pastorale congiunta giungeva a precisare che, se anche la Chiesa proibiva ai fedeli la lettura di determinati libri, periodici e giornali, essa non voleva con questo violare le prerogative dello Stato o del partito. E lo stesso vescovo von Galen aveva dichiarato, nel 1935, ai decani della diocesi di Münster: «Non è compito nostro giudicare l'organizzazione politica e la forma di governo del popolo tedesco, le misure e i procedimenti adottati dallo Stato; non è compito nostro rimpiangere forme di governo passate e criticare l'attuale politica dello Stato». Nel 1936 il papa intervenne tre volte, il 12 maggio, il 15 giugno e il 14 settembre, per denunciare la «guerra alla Chiesa» condotta dal regime nazionalsocialista. Inoltre in maggio, su indicazione della Santa Sede, fu proibito ai cattolici di aderire al partito nazista olandese, il Nationaal-Socialistische Beweging. Negli ultimi anni di vita, Pio XI guardò con sempre maggiore ostilità al nazismo arrivando al punto da compararlo al comunismo: "Il nazionalsocialismo, per i suoi scopi e i suoi metodi, non è altro che bolscevismo" dichiarò in un'udienza tenuta il 23 gennaio 1937 ai vescovi di Berlino e di Münster. Nel 1937, a seguito delle continue interferenze del nazismo sulla vita dei cattolici e per il sempre più evidente carattere neopagano dell'ideologia nazista, il papa emise l'enciclica Mit brennender Sorge ("con viva preoccupazione"), scritta anche dietro pressione dell'episcopato tedesco e redatta eccezionalmente in tedesco e non in latino, con la quale condannava fermamente alcuni aspetti dell'ideologia nazista, seguita dopo poco dalla Divini Redemptoris, con un'analoga condanna dell'ideologia comunista. Le proteste del governo tedesco furono molto dure come quella inviata dall'ambasciatore tedesco von Bergen il 12 aprile a cui replicò Pacelli. La crisi tra Santa Sede e Germania si sviluppa essenzialmente sul piano spirituale e non politico. . Contemporaneamente Pacelli si adoperò perché il testo dell'enciclica fosse diffuso nella maniera più capillare possibile. In Germania il governo procedette alla chiusura di tipografie ed archivi diocesani prelevandone molto materiale. A ciò la Sante Sede rispose dando disposizioni di bruciare tutti i documenti riservati. Le relazioni tra governo tedesco e Vaticano raggiungono la fase più acuta quando il 18 maggio 1937 il cardinale arcivescovo di Chicago George Mundelein durante un discorso pubblico definisce Hitler come "un imbianchino austriaco e per giunta inetto", in seguito alle vibranti proteste tedesche la Santa Sede rispose circa l'inopportunità dei toni usati dal cardinale statunitense ma facendo attenzione a non smentirlo.. Nel maggio del 1938, quando Hitler visitò Roma, il Pontefice si recò a Castel Gandolfo dopo aver fatto chiudere i Musei Vaticani e spegnere le luci del Vaticano. Nell'occasione, LOsservatore Romano non fece alcun accenno alla visita di Hitler nella capitale, e scrisse: "Il Papa è partito per Castel Gandolfo. L'aria dei Castelli Romani gli fa molto bene alla salute." La chiusura dei musei e dell'accesso alla Basilica fu decisa dal pontefice per palesare la propria polemica assenza dalla città. La studiosa Emma Fattorini riporta che, sebbene "da parte di Hitler non si fosse manifestato il minimo interesse per un incontro", il papa sarebbe stato disponibile a un incontro se ciò avesse avuto uno spirito conciliante. Disse in seguito Pio XI: "è tra le tristi cose questa: l'inalberare a Roma, il giorno della Santa Croce, l'insegna di un'altra croce che non è la croce di Cristo", riferendosi alle numerose svastiche (o croci uncinate) che Mussolini fece esporre a Roma in omaggio a Hitler. Egli aveva inoltre previsto l'emanazione di un'altra enciclica - la Humani generis unitas ("l'unità della razza umana"), che condannava in modo ancora più diretto l'ideologia nazista della razza superiore. Il papa aveva incaricato per la redazione dell'enciclica il gesuita statunitense John LaFarge, che già si era occupato di tematiche razziali inerenti alla situazione negli Stati Uniti d'America. Questi, sentendo il compito al di sopra delle sue sole capacità, chiese aiuto al suo diretto superiore, il generale della Compagnia di Gesù padre Włodzimierz Ledóchowski, il quale gli affiancò il gesuita tedesco Gustav Gundlach e il gesuita Gustave Desbuquois. Tale enciclica venne completata ma mai firmata da papa Ratti a causa della sua morte. Alcuni concetti dell'enciclica furono tuttavia ripresi dal successore Pio XII nell'enciclica Summi Pontificatus. Rapporti con il comunismo Le valutazioni di Pio XI sul comunismo non potevano che essere negative, in questo rispecchiando la coerenza della Chiesa cattolica che ha sempre valutato l'ideologia comunista come antitetica al messaggio cristiano. Nel 1937, anche in seguito alla vittoria delle sinistre in Francia guidate dal socialista Léon Blum, ma preoccupato soprattutto per la Russia, dopo essere stato informato dall'amministratore apostolico di Mosca mons. Neveu delle purghe staliniane, e per il Messico, il papa emise l'enciclica Divini Redemptoris. La condanna papale riguarda la propaganda «veramente diabolica», il sistema economico ritenuto fallimentare, ma soprattutto conclude che il comunismo è «intrinsecamente perverso», perché propone un messaggio di millenarismo ateo che nasconde una «falsa redenzione» degli umili. Già precedentemente il papa aveva espresso preoccupazione per i progressi che l'ideologia comunista faceva nella società e in particolare presso i cattolici. A differenza del testo Mit brennender Sorge pubblicato pochi giorni prima, è nota un'ampia documentazione che permette di conoscerne le diverse stesure. Con ogni probabilità, come attestano gli appunti di monsignor Valentini e Pizzardo, l'ispiratore dell'enciclica fu una lettera del generale dei gesuiti il conte Włodzimierz Ledóchowski, il quale comunque ne seguì costantemente la stesura. L'enciclica, già conclusa il 31 gennaio 1937, fu ufficialmente pubblicata il 19 marzo. Immediatamente suscitò l'apprezzamento entusiastico dei vari movimenti di destra europei tra cui l'Action Française di Charles Maurras che a quel tempo era scomunicata. Guerra civile spagnola In Spagna il Fronte popolare di ispirazione marxista-leninista aveva apertamente coinvolto le sue forze anche contro la Chiesa cattolica. Pio XI comunque non poté, fino ad una fase avanzata del conflitto spagnolo, riconoscere i franchisti e il loro governo, nonostante il governo del Fronte popolare avesse promosso una violenta persecuzione della Chiesa cattolica con devastazioni di chiese, uccisioni e torture di religiosi, e addirittura saccheggi di tombe degli ecclesiastici. Questo riconoscimento era ostacolato anche dal fatto che il Fronte popolare era ancora l'unico ufficialmente riconosciuto a livello internazionale. Per sua regola inoltre la Santa Sede non ritira mai il nunzio apostolico da nessuno Stato se non vi è costretta. Essendo parte in conflitto in quanto attaccata dal Fronte popolare, la Chiesa cattolica non poté condannare le violenze commesse dalla fazione opposta ai repubblicani, e cioè da parte franchista (il bombardamento di Guernica in primis). Dopo l'abolizione della legislazione anticlericale dei repubblicani ad opera di Francisco Franco all'inizio del 1938, i rapporti tuttavia migliorarono e il suo successore Pio XII avrebbe ricevuto in udienza particolare i combattenti Falangisti. Vi è da precisare che nei documenti vaticani inerenti ai rapporti tra Pio XI e la Spagna franchista si delinea chiaramente un atteggiamento decisamente negativo nei confronti delle pesanti violenze comuniste del Fronte popolare contro la Chiesa, anche se emerge chiaramente l'ostilità del Papa nei confronti di Franco. Lo storico spagnolo Vicente Cárcel Ortí ha studiato e portato alla luce documenti inediti dell'Archivio Segreto Vaticano, dimostrando non solo che la Chiesa cattolica manifestò chiaramente ostilità nei confronti di Francisco Franco, ma anche riuscì - nelle persone di papa Pio XI e di alcuni Vescovi spagnoli - a convincerlo a risparmiare la vita di migliaia di repubblicani condannati a morte. Il Papa nutre preoccupazione e non condivide la posizione dei cattolici baschi che già all'epoca, rivendicando l'autonomia, si erano di fatto alleati con i repubblicani spagnoli. Il 16 maggio 1938 avviene il riconoscimento ufficiale del governo di Franco tramite l'invio del nunzio apostolico a Madrid nella persona del monsignor Gaetano Cicognani. Rapporti con gli ebrei A Milano Achille Ratti aveva studiato l'ebraico con il rabbino capo di Milano Alessandro Da Fano e, divenuto docente di ebraico in seminario, prese l'iniziativa di condurre i suoi allievi in sinagoga, affinché potessero sentire la pronuncia ebraica. In Polonia In veste di nunzio in Polonia, nel periodo immediatamente successivo alla prima guerra mondiale, Achille Ratti espresse considerazioni del tradizionale antigiudaismo teologico della Dottrina della Chiesa che ambienti ebraici dei decenni successivi hanno considerato come ostili. Achille Ratti giunse in Polonia in un periodo in cui il crescente risentimento dei cattolici polacchi nei confronti degli ebrei stava determinando una contrapposizione sempre più aspra fino a sfociare in scontri aperti. Achille Ratti non accennò ad alcuna reazione di fronte a tali contrasti. Nel rapporto che Ratti inviò alla Santa Sede, successivo ai pogrom, si evidenziava l'eccessiva influenza che avevano gli ebrei in Polonia: «È invece grande e massima la loro importanza economica, politica, sociale». In un successivo rapporto Ratti individuava negli ebrei i più grandi nemici del cristianesimo e del popolo polacco: «Una delle più nefaste e delle più forti influenze che qui si facciano sentire, forse la più forte e la più nefasta, è quella che viene esercitata dai Giudei». In altre note inviate in Vaticano monsignor Ratti informava che: «Gli ebrei in Polonia, contrariamente a quelli che vivono altrove nel mondo civile, sono elementi improduttivi. È una razza di negozianti per eccellenza», e aggiungeva: «la gran maggioranza della popolazione ebraica è immersa nella povertà più nera». A parte un numero relativamente esiguo di artigiani, la razza ebraica «consiste di piccoli commercianti, affaristi e usurai - o per essere più precisi tutt'e tre le cose contemporaneamente - che vivono dello sfruttamento della popolazione cristiana». Gli Amici Israël A partire dalla seconda metà degli anni venti, in un clima nel quale pregiudizi antichi convivono con spinte al cambiamento, si assiste all'emergere di una prima grave frattura religiosa e politica interna alla Chiesa. Nel 1928, alla condanna di Action Française segue la prima importante condanna formale dell'antisemitismo, avvenuta per volere di Pio XI (ove il termine antisemitismo è usato esplicitamente, cosa che non avverrà nella Mit Brennender Sorge, né durante l'intero pontificato di Pio XII). A queste condanne segue la soppressione dellOpus sacerdotale Amici Israël (l'Opera sacerdotale Amici di Israele). Sorta nel febbraio del 1926, in antitesi allo spirito antisemita di Charles Maurras (fondatore di Action Française), l'associazione disponeva di un programma rivolto ai preti, contenuto in diversi opuscoli redatti in latino, che cercava di promuovere un atteggiamento nuovo, amorevole verso Israele e gli ebrei, per i quali si sarebbe dovuto evitare qualsiasi accusa di deicidio. Al fine di operare una riconciliazione con gli ebrei, l'associazione cercava di capovolgere le antiche prese di posizione assunte dalla Chiesa: gli Amici Israël richiedevano l'abbandono di ogni discorso sul deicidio, sull'esistenza di una maledizione sugli ebrei e sull'assassinio rituale. Un nuovo sentimento che doveva coinvolgere il cuore della gerarchia ecclesiastica e difatti, alla fine del 1927, l'associazione poteva già vantare l'adesione di diciannove cardinali, duecentosettantotto vescovi e arcivescovi e tremila sacerdoti. Il 25 marzo 1928 la Congregazione per la Dottrina della Fede, emetteva un decreto che ordinava la soppressione di questa associazione in seguito alla sua proposta di riformulare la preghiera del venerdì Santo (Oremus et pro perfidis Judaeis) e le accuse di "accecamento" in essa contenute, oltre alla proposta di rigetto dell'accusa di deicidio. Il decreto di soppressione papale affermava che il programma dell'associazione non riconosceva «la perdurante cecità di questo popolo», e che il modo di agire e di pensare degli Amici di Israele era «contrario al senso e allo spirito della Chiesa, al pensiero dei santi padri e alla liturgia». In un articolo apparso immediatamente dopo la soppressione, sulla Nouvelle Revue Théologique, padre Jean Levie S.J. ricordava innanzitutto la «parte essenziale» del programma dell'Opera sacerdotale, precisando che tale programma era «chiaramente lodevole» e che «non mostrava niente che non fosse assolutamente conforme all'ideale cattolico». Ernest Jouin Un importante capofila dell'antisemitismo cattolico era il sacerdote francese Ernest Jouin (1844-1932) che aveva fondato nel 1912 la pubblicazione antisemita e antimassonica Revue Internationale des Sociétés secrètes. Jouin si premurò di far conoscere al pubblico francese i Protocolli dei Savi Anziani di Sion come prova del presunto complotto ebraico volto alla dominazione del mondo, affermando nella prefazione: «Dal triplice punto di vista della razza, della nazionalità e della religione, l'ebreo è diventato il nemico dell'umanità» e ribadendo il suo avvertimento sui due obiettivi che gli ebrei si prefiggevano: «Il dominio universale del mondo e la distruzione del cattolicesimo». Pio XI, avendo ricevuto Jouin in udienza privata, lo incoraggiò nella sua costante denuncia di presunti complotti orditi dalle società segrete dicendo: «Continui con la sua Revue, nonostante le difficoltà finanziarie, perché lei sta combattendo il nostro nemico mortale». E lo investì della carica onorifica di protonotario apostolico. Lo storico e sociologo francese Émile Poulat scrisse in un commento relativo a Jouin - sacerdote dotato di forte e unanimemente rispettata personalità - che le sue opere e attività erano state lodate e incoraggiate da Benedetto XV e Pio XI che lo nominarono, l'uno prelato domestico e l'altro protonotario apostolico. Giudeobolscevismo in Russia L'11 febbraio 1932, in occasione della visita di Mussolini in Vaticano per l'anniversario della Conciliazione, Pio XI ripropose l'immagine di una Chiesa sottoposta agli attacchi concentrici dei protestanti, dei comunisti e degli ebrei. Oltre al pericolo rappresentato dalla propaganda protestante, il papa sottolineò al duce l'esistenza di un “doloroso triangolo” che era fonte di gravi preoccupazioni per la Chiesa e che era rappresentato dal Messico per quanto riguardava la massoneria, dalla Spagna dove bolscevismo e massoneria operavano insieme, e dalla Russia per quanto riguardava il giudeobolscevismo. Fu a quest'ultimo proposito che il papa espresse l'opinione secondo la quale, dietro la persecuzione anticristiana in atto in Russia, vi fosse “anche l'avversione anticristiana del giudaismo”. E aggiunse un ricordo: “quando io ero a Varsavia vidi che in tutti i reggimenti bolscevichi il commissario o la commissaria erano ebrei. In Italia, tuttavia, gli ebrei fanno eccezione.”. Leggi razziali Nella difficilissima temperie dell'emanazione delle leggi antiebraiche italiane, Pio XI ebbe il coraggio di dichiarare, più volte e in modo ufficiale e solenne, la contrarietà sua e della Chiesa contro le leggi razziali. Pio XI si produsse in due discorsi pubblici tenuti a breve distanza e subito dopo la proclamazioni delle famigerate leggi fasciste in difesa della razza (il primo il 15 e il secondo il 28 di luglio) pronunciandosi in modo netto contro il Manifesto degli scienziati razzisti (15 luglio) lamentandosi che l'Italia, sul razzismo, imitasse “disgraziatamente” la Germania nazista (28 luglio). Il ministro degli esteri Galeazzo Ciano commentando questi discorsi riportò nei suoi diari la reazione di Mussolini che tentava far pressioni sul papa per evitare contestazioni plateali: «Sembra che il Papa abbia fatto ieri un nuovo discorso sgradevole sul nazionalismo esagerato e sul razzismo. Il Duce, che ha convocato per questa sera Padre Tacchi Venturi. Contrariamente a quanto si crede, ha detto, io sono un uomo paziente. Bisogna però che questa pazienza non mi venga fatta perdere, altrimenti agisco facendo il deserto. Se il Papa continua a parlare, io gratto la crosta agli italiani e in men che non si dica li faccio tornare anticlericali.». Le parole più nette di condanna il papa le proclamò il 6 settembre 1938 quando tenne un emozionato discorso - arrivando fino alle lacrime - in reazione ai provvedimenti fascisti che escludevano gli ebrei da scuole e università, in un'udienza privata con il presidente, il vicepresidente e il segretario della radio cattolica belga, nel quale ribadiva il legame indissolubile tra cristianesimo ed ebraismo: Monsignor Louis Picard, presidente della radio belga, trascrisse il discorso del papa pubblicandolo su La libre Belgique. La Croix e La Documentation catholique lo ripresero pubblicandolo in Francia e le parole del papa si diffusero. In seguito il papa stesso si preoccupò di assumere i docenti universitari espulsi dagli istituti italiani in Vaticano e aiutando a ricollocarsi presso università all'estero, azione che venne proseguita anche dal suo successore Pio XII. Tra i casi più conosciuti vi furono quelli dei due illustri matematici ebrei licenziati dal Ministero italiano in base alle leggi razziali, Vito Volterra e Tullio Levi-Civita, e nominati membri della prestigiosa Accademia Pontificia delle Scienze guidata da padre Agostino Gemelli. Lo storico ecclesiastico Hubert Wolf, in un'intervista televisiva, ricorda come poi il papa non si preoccupò solo degli insegnanti espulsi ma anche degli studenti ebrei, impediti dalla legge a frequentare il sistema universitario italiano: «Quando nel 1938 gli studenti ebrei di Germania, Austria e Italia vennero espulsi dalle università in quanto ebrei, Pio XI supplicò i cardinali statunitensi e canadesi, tramite una lettera scritta di suo pugno, di impegnarsi al massimo perché gli studenti di tutte le facoltà potessero terminare i loro studi negli Stati Uniti ed in Canada. Aggiunse che la Chiesa ha una particolare responsabilità verso di loro in quanto appartengono alla razza cui fa parte, nella sua natura umana, anche il Redentore, Gesù Cristo.» Lo stesso Mussolini, nel discorso di Trieste del settembre del 1938, accusò il Papa di difendere gli ebrei (il famoso passaggio "da troppe Cattedre li si difende") e minacciò provvedimenti più severi a loro danno se i cattolici avessero insistito. Ciononostante, in quei giorni quasi tutti i vescovi italiani tennero omelie contrarie al regime e al razzismo. Tuttavia fu Antonio Santin, vescovo di Trieste e Capodistria, che fermò Mussolini sulle porte della cattedrale di San Giusto e minacciò il duce di non farlo entrare in chiesa se non avesse ritrattato le accuse contro il Papa. Inoltre fu proprio Santin l'unico vescovo italiano che ebbe il coraggio di andare a protestare personalmente da Mussolini a Palazzo Venezia, ricordandogli l'ingiustizia delle leggi razziali e che, contrariamente alla leggenda, c'erano ebrei anche molto poveri. Solo successivamente il vescovo informò Pio XI di quanto aveva fatto e ottenne la sua approvazione. Pio XI protestò, poi, ufficialmente e per iscritto con il re e con il capo del governo per la violazione del Concordato prodotta dai decreti razziali. La rivista La difesa della razza e i suoi contenuti inneggianti a un razzismo biologico furono ufficialmente condannati dal Sant'Uffizio. Il Syllabus antirazzista Nell'aprile 1938 Pio XI inviò a tutte le università cattoliche una condanna delle tesi razziali. Questo documento, chiamato Syllabus antirazzista, traeva origine da un progetto di condanna del razzismo, dell'ultra-nazionalismo, del totalitarismo e del comunismo preparato dal Sant'Uffizio nel 1936. Nel documento si condannavano otto proposizioni, di cui sei razziste. Pio XI chiese ai professori delle università di argomentare contro le proposizioni condannate. Fecero séguito articoli nelle grandi riviste teologiche internazionali, e comparvero studi in proposito. La dichiarazione datata 13 aprile 1938 fu resa pubblica il 3 maggio, il giorno della visita di Hitler a Roma, volendo con ciò Pio XI «opporsi frontalmente a quello che riteneva il cuore stesso della dottrina del nazionalsocialismo». Infine, quando ristabilì la Pontificia Accademia delle Scienze, chiamò i matematici ebrei Tullio Levi Civita e Vito Volterra, espulsi dalle Università italiane in séguito alle leggi razziali, a farvi parte come primi membri. Genesi Alla pubblicazione delle Leggi razziali da parte del regime fascista di Benito Mussolini che estromettevano tutti gli italiani di origine ebraica dalla vita pubblica la reazione del Vaticano e del Papa Pio XI non si fece attendere. Tra le varie iniziative in cui in discorsi pubblici, documenti e omelie veniva rigettata la politica razzista del regime, vi fu quella del cosiddetto Syllabus antirazzista (in richiamo del "Sillabo " ovvero il "Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores" in italiano "Elenco contenente i principali errori del nostro tempo", che papa Pio IX pubblicò insieme all'enciclica Quanta cura nella ricorrenza della solennità dell'Immacolata Concezione, l'8 dicembre 1864 e che era un elenco di ottanta proposizioni contenente i principali errori di quel tempo secondo la chiesa cattolica). Nell'aprile del 1938 Pio XI invitò tutte le università cattoliche a elaborare un documento di condanna delle tesi razziali, una sorta di "contromanifesto" dell'intellighènzia cattolica in risposta al Manifesto degli scienziati razzisti prodotto dai professori delle università statali in ossequio al regime. Il Papa aveva pensato, in nome della verità e "contro l'imperversare di quegli errori", ad una confutazione delle idee razziali che si sostenevano per giustificare l'introduzione delle norme sulla razza. Contenuto Nel documento, ribattezzato "Syllabus antirazzista", si condannavano otto proposizioni, di cui sei razziste contrargomentando dal punto di vista scientifico le proposizioni esposte dai fascisti sulla razza. Venivano destrutturate le idee sulle quali si basavano le tesi razziali dell'epoca, molte delle quali prendevano come spunto il darwinismo sociale. Fecero seguito a questa elaborazione diversi articoli pubblicati sulle grandi riviste teologiche internazionali e comparvero studi in proposito. La pubblicazione La dichiarazione di smentita delle tesi razziali volute dal regime, sviluppata dagli studiosi cattolici e organizzata nel "Syllabus antirazzista", datata 13 aprile, venne resa pubblica il 3 maggio, un giorno non scelto a caso da papa Ratti. Era quello infatti il giorno della visita ufficiale di Hitler a Roma, volendo con ciò il papa «opporsi frontalmente a quello che riteneva il cuore stesso della dottrina del nazionalsocialismo». Era questo un chiaro gesto di sfida e disapprovazione, sottolineato anche dal fatto che il Santo Padre decideva quel giorno di trasferirsi a Castel Gandolfo dopo aver disposto la chiusura dei Musei Vaticani, della Basilica di San Pietro, fatto spegnere tutte le luci e proibito al nunzio e ai vescovi di partecipare a qualsiasi cerimonia ufficiale in onore del Führer. Diede poi istruzioni allOsservatore Romano di non fare alcun accenno all'incontro dei due capi di Stato (come già avvenuto in occasione della visita di Mussolini in Germania nel settembre del 1937); infatti in quei giorni neanche vi appare il nome di Hitler. Già il giorno precedente era apparso, sempre in prima pagina con tanto d'immagine l'annuncio: "Il Santo Padre a Castelgandolfo". Il Santo Padre ha lasciato Roma sabato 30 aprile alle ore 17 poiché l'aria di Roma gli "faceva male". Quale "accoglienza", Pio XI fece invece pubblicare in prima pagina un articolo sulle false dottrine dell'ideologia razzista che presentava appunto il "Syllabus antirazzista". Concistori per la creazione di nuovi cardinali Papa Pio XI durante il suo pontificato ha creato 76 cardinali nel corso di 17 distinti concistori. Beatificazioni e canonizzazioni del pontificato Papa Pio XI beatificò numerosi Venerbili Servi di Dio, per un totale di 496, e canonizzò numerosi beati, per un totale di 33. Beatificò e canonizzò, fra i tanti, Bernadette Soubirous, Giovanni Bosco, Teresa di Lisieux, Giovanni Battista Maria Vianney e Antonio Maria Gianelli. Egli nominò pure quattro nuovi dottori della Chiesa: Pietro Canisio, Giovanni della Croce, Roberto Bellarmino e Alberto Magno. In particolare beatificò 191 martiri vittime della Rivoluzione francese, che definì "una perturbazione universale durante la quale furono affermati, con tanta arroganza, i diritti dell'uomo". Encicliche del pontificato Ubi Arcano Dei Consilio (23 dicembre 1922): sulla Pace di Cristo nel Regno di Cristo; Rerum Omnium Perturbationem (26 gennaio 1923): su san Francesco di Sales; Studiorum Ducem (29 giugno 1923): su san Tommaso d'Aquino; Maximam Gravissimamque (18 gennaio 1924): sulle Associazioni Diocesane in Francia; Quas Primas (11 dicembre 1925): sulla Regalità di Cristo; Rerum Ecclesiae (28 febbraio 1926): sulle missioni cattoliche; Rite Expiatis (30 aprile 1926): su san Francesco d'Assisi; Iniquis Afflictisque (18 novembre 1926): sulla persecuzione della Chiesa in Messico; Mortalium Animos (6 gennaio 1928): sull'unità della Chiesa; Miserentissimus Redemptor (8 maggio 1928): sulla riparazione al Sacro Cuore; Mens Nostra (20 dicembre 1929): sulla promozione degli esercizi spirituali; Divini Illius Magistri (31 dicembre 1929): sull'educazione cristiana della gioventù; Casti Connubii (31 dicembre 1930): sul matrimonio cristiano; Quadragesimo Anno (15 maggio 1931): nel quarantesimo anniversario della Rerum novarum; Non Abbiamo Bisogno (29 giugno 1931): sull'Azione Cattolica in Italia; Nova Impendet (2 ottobre 1931): sulla crisi economica; Lux Veritatis (25 dicembre 1931): sul XV Centenario del Concilio di Efeso; Caritate Christi Compulsi (3 maggio 1932): sul Sacro Cuore; Acerba Animi (29 settembre 1932): sulla persecuzione della Chiesa in Messico; Dilectissima Nobis (3 giugno 1933): sull'oppressione della Chiesa in Spagna; Ad Catholici Sacerdotii (20 dicembre 1935): sul sacerdozio cattolico; Vigilanti cura (29 giugno 1936): sul cinema; Mit brennender Sorge (14 marzo 1937): sulla Chiesa e il Reich tedesco; Divini Redemptoris (19 marzo 1937): sul comunismo ateo; Firmissimam Constantiam (28 marzo 1937): sulla situazione religiosa in Messico; Ingravescentibus Malis (29 settembre 1937): sul Rosario;Humani generis unitas, enciclica preparata, ma mai pubblicata a causa della morte del Papa. Genealogia episcopale e successione apostolica La genealogia episcopale è: Cardinale Scipione Rebiba Cardinale Giulio Antonio Santori Cardinale Girolamo Bernerio, O.P. Vescovo Claudio Rangoni Arcivescovo Wawrzyniec Gembicki Arcivescovo Jan Wężyk Vescovo Piotr Gembicki Vescovo Jan Gembicki Vescovo Bonawentura Madaliński Vescovo Jan Małachowski Arcivescovo Stanisław Szembek Vescovo Felicjan Konstanty Szaniawski Vescovo Andrzej Stanisław Załuski Arcivescovo Adam Ignacy Komorowski Arcivescovo Władysław Aleksander Łubieński Vescovo Andrzej Stanisław Młodziejowski Arcivescovo Kasper Kazimierz Cieciszowski Vescovo Franciszek Borgiasz Mackiewicz Vescovo Michał Piwnicki Arcivescovo Ignacy Ludwik Pawłowski Arcivescovo Kazimierz Roch Dmochowski Arcivescovo Wacław Żyliński Vescovo Aleksander Kazimierz Bereśniewicz Arcivescovo Szymon Marcin Kozłowski Vescovo Mečislovas Leonardas Paliulionis Arcivescovo Bolesław Hieronim Kłopotowski Arcivescovo Jerzy Józef Elizeusz Szembek Vescovo Stanisław Kazimierz Zdzitowiecki Cardinale Aleksander Kakowski Papa Pio XI La successione apostolica è: Cardinale Oreste Giorgi (1924) Cardinale Michele Lega (1926) Vescovo Philippe Zhao Huai-yi (1926) Vescovo Melchior Sun Dezhen, C.M. (1926) Vescovo Odoric Simon Cheng Hede, O.F.M. (1926) Vescovo Joseph Hu Jo-shan, C.M. (1926) Vescovo Aloysius Chen Guo-di, O.F.M. (1926) Vescovo Simon Zhu Kai-min, S.I. (1926) Vescovo Januarius Kyunosuke Hayasaka (1927) Cardinale Jusztinián Serédi, O.S.B. (1928) Cardinale Luigi Sincero (1929) Cardinale Alfredo Ildefonso Schuster, O.S.B. (1929) Cardinale Jean Verdier, P.S.S. (1929) Arcivescovo Joseph Attipetty (1933) Vescovo Joseph Fan Heng-nfan (1933) Vescovo Jean-Baptiste Nguyễn Bá Tòng (1933) Vescovo Matthew Ly Yun-ho (1933) Vescovo Joseph Tsui Shou-hsün (1933) Arcivescovo Giuseppe Migone (1936) Onorificenze Onorificenze della Santa Sede Il papa è sovrano degli ordini pontifici della Santa Sede mentre il Gran magistero delle singole onorificenze può essere mantenuto direttamente dal pontefice o concesso a una persona di fiducia, solitamente un cardinale. Onorificenze straniere Note Bibliografia Discorsi di Pio XI, a cura di D. Bertetto, 3 volumi, Torino, S.E.I., 1959, 1960, 1961 (ristampa anastatica: Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1985). Carlo Confalonieri, Pio XI visto da vicino, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1993 (3ª ed.; 1ª ed. 1957). Pio XI nel trentesimo della morte (1939-1969), Milano, Opera diocesana per la preservazione e diffusione della fede, 1969. Roberto Morozzo della Rocca, Le nazioni non muoiono. Russia rivoluzionaria, Polonia indipendente e Santa Sede, Bologna, Il Mulino, 1992. Achille Ratti pape Pie XI, Actes du colloque de Rome (15-18 mars 1989) organisé par l'École française de Rome en collaboration avec l'Université de Lille III - Greco nº 2 du CNRS, l'Università degli studi di Milano, l'Università degli studi di Roma - «La Sapienza», la Biblioteca Ambrosiana, Rome, Publications de l'École française de Rome, 1996 Pio XI e il suo tempo, a cura di F. Cajani, Atti del Convegno, 4 volumi, I Quaderni della Brianza, S.l. 2000, 2002, 2004, 2006: sono gli atti di quattro convegni di studio promossi dal Centro internazionale di Studi e Documentazione Pio XI di Desio. Lettere di Achille Ratti (1875-1922), a cura di F. Cajani, I Quaderni della Brianza, 2003. Pierre Milza, Serge Berstein Storia del Fascismo, Milano, Rizzoli, 2004. I cinque mesi di azione pastorale del Cardinale Achille Ratti Arcivescovo di Milano dal Diario del Segretario don Carlo Confalonieri, a cura di F. Cajani, I Quaderni della Brianza, 2005. Yves Chiron, Pio XI. Il Papa dei patti Lateranensi e dell'opposizione ai totalitarismi, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2006. Lettere di Achille Ratti (1892-1922), a cura di F. Cajani, I Quaderni della Brianza, 2006. Fabio Bigatti, Quel Papa brianzolo, I Quaderni della Brianza, 2006. Emma Fattorini, Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa, Torino, Einaudi, 2007. Salvatore Coppola, Entre la religiòn y la polìtica. I rapporti della Santa Sede con Germania, Italia e Spagna (1929-1945), Siddharth Mehta, Madrid, 2007. Umberto Dell'Orto, Pio XI un papa interessante, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 2008. Gerlando Lentini, Pio XI, l'Italia e Mussolini, Città Nuova, 2008. Hubert Wolf, Il papa e il diavolo. Il Vaticano e il Terzo Reich, Roma, Donzelli, 2008. Vicente Cárcel Ortí, Pío XI entre la República y Franco, Madrid, BAC, 2008. Alberto Guasco, Raffaella Perin, a cura di, Pius XI Keywords. International Conference Milan 2009, Münster, LIT, 2010. Lucia Ceci, Il papa non deve parlare. Chiesa, fascismo e guerra d'Etiopia, Roma-Bari, Laterza, 2010. Lucia Ceci, L'interesse superiore. Il Vaticano e l'Italia di Mussolini, Roma-Bari, Laterza, 2013. Peter Eisner, Quando il Papa cercò di fermare Hitler , Feltrinelli, Milano, 2013, ISBN 9788807111303. Alberto Guasco, Cattolici e fascisti. La Santa Sede e la politica italiana all'alba del regime, Bologna, Il Mulino, 2013. David I. Kertzer, The Pope and Mussolini: The Secret History of Pius XI and the Rise of Fascism in Europe'', Random House, 2015, ISBN 978-0-8129-8367-8. Voci correlate Conclave del 1922 Conclave del 1939 Altri progetti Collegamenti esterni Biografia di Pio XI, sulla Enciclopedia Treccani Online Testi di Pio XI da http://www.intratext.com/ Scheda biografica di Pio XI su SantieBeati.it Alpinisti italiani Bibliotecari italiani Cardinali nominati da Benedetto XV Cavalieri dell'Ordine dell'Aquila Bianca Documenti della Chiesa cattolica Morti nella Città del Vaticano Nunzi apostolici per la Polonia Pio 11 Personalità commemorate con funerali di Stato Sepolti nelle Grotte Vaticane Storia delle relazioni tra Santa Sede e Stato italiano Studenti della Sapienza - Università di Roma Vescovi e arcivescovi di Milano
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https://it.wikipedia.org/wiki/Vincitori%20del%20premio%20Nobel%20per%20l%27economia
Vincitori del premio Nobel per l'economia
Segue un elenco dei vincitori del Premio della Banca di Svezia per l'economia. L'impropriamente detto Premio Nobel per l'economia non era previsto dal testamento di Alfred Nobel e viene assegnato dal 1969, in seguito all'istituzione (nel 1968) da parte della Banca di Svezia di uno speciale fondo per il premio. Elenco dei vincitori Fonte: Nobelprize.org - Premi Nobel per l'economia Statistiche Vengono considerati i paesi di nascita dei singoli vincitori. Aggiornato al 2022 Voci correlate Premio Nobel per l'economia Altri progetti Collegamenti esterni The Sveriges Riksbank Prize in Economic Sciences in Memory of Alfred Nobel (sito ufficiale) Economia Liste di economisti
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https://it.wikipedia.org/wiki/Vincitori%20del%20premio%20Nobel%20per%20la%20chimica
Vincitori del premio Nobel per la chimica
Segue un elenco dei vincitori del Premio Nobel per la chimica. Il Premio viene assegnato annualmente dall'Accademia Reale Svedese delle Scienze. Elenco dei vincitori Fonte: Nobelprize.org - Premi Nobel per la chimica Statistiche Numero di vincitori per paese Vengono considerati i paesi di nascita dei singoli vincitori. Numero di vincitori per sesso Note Voci correlate Premio Nobel per la chimica Altri progetti Collegamenti esterni The Nobel Prize in Chemistry (sito ufficiale) Chimica
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https://it.wikipedia.org/wiki/Vincitori%20del%20premio%20Nobel%20per%20la%20letteratura
Vincitori del premio Nobel per la letteratura
Segue un elenco dei vincitori del Premio Nobel per la letteratura. Il Premio viene assegnato annualmente dall'Accademia svedese. Elenco dei vincitori Fonte: Nobelprize.org - Premi Nobel per la letteratura Statistiche Numero di vincitori per paese Numero di vincitori per lingua Rabindranath Tagore (Premio Nobel nel 1913) scrisse in bengali e inglese, Samuel Beckett (Premio Nobel nel 1969) scrisse in francese e inglese, e Iosif Aleksandrovič Brodskij (Premio Nobel nel 1987) scrisse poesie in russo e prose in inglese. Per questi tre premi Nobel per la letteratura, vengono considerati i loro scritti, rispettivamente, in bengali, francese e russo. Note Voci correlate Premio Nobel per la letteratura Altri progetti Collegamenti esterni The Nobel Prize in Literature (sito ufficiale) Letteratura
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https://it.wikipedia.org/wiki/Vincitori%20del%20premio%20Nobel%20per%20la%20pace
Vincitori del premio Nobel per la pace
Segue un elenco dei vincitori del Premio Nobel per la pace. Il Premio viene assegnato annualmente dal Comitato per il Nobel norvegese, composto da cinque persone scelte dal Parlamento norvegese. Elenco dei vincitori Dal 1901 al 2018, sono stati insigniti del Premio Nobel per la pace 105 persone (tra cui sedici donne, più di ogni altro Premio Nobel) e 24 organizzazioni diverse. Solo due destinatari del premio hanno ricevuto il Nobel per la pace più di una volta: il Comitato internazionale della Croce Rossa ha vinto il premio tre volte (nel 1917, 1944 e 1963), mentre l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati è stato insignito del premio in due occasioni (1954 e 1981). Dalla sua creazione, ci sono stati 19 anni in cui il Premio Nobel per la pace non è stato assegnato, più volte di ogni altro Premio Nobel. Lê Đức Thọ è l'unica persona ad aver rifiutato il Premio Nobel per la pace. Lê Đức Thọ era stato insignito del premio nel 1973, insieme a Henry Kissinger, con l'unanimità da parte della commissione, ma rifiutò il Nobel sostenendo che certe "svenevolezze borghesi" non facevano per lui e che gli accordi di pace di Parigi non erano stati pienamente rispettati. {| align="center" class="wikitable sortable" |- ! style="width:5%" | Anno ! style="width:75px" class="unsortable" | Ritratto ! style="width:25%" | Premiati ! style="width:20%" | Nazionalità ! class="unsortable" | Motivazione |- | rowspan="2" | 1901 | | | | Fondatore della Croce Rossa e ideatore delle convenzioni di Ginevra per i diritti umani |- | | | | Fondatore e presidente della prima società per la pace Società d'arbitraggio tra le Nazioni |- | rowspan="2" | 1902 | | | rowspan="2" | | Segretario onorario dell'Ufficio internazionale per la pace di Berna |- | | | Segretario generale dell'Unione interparlamentare e segretario onorario dell'Ufficio internazionale per la pace |- | 1903 | | | | Segretario della Lega internazionale dell’arbitrato |- | 1904 | | Institut de droit international | | “Per i suoi sforzi come organo non ufficiale per la formulazione dei principi generali della scienza del diritto internazionale„ |- | 1905 | | | | Presidente onoraria dell'Ufficio internazionale per la pace |- | 1906 | | | | Presidente degli Stati Uniti; “per la sua mediazione riuscita per porre fine alla guerra russo-giapponese e per il suo interesse per l'arbitrato, avendo fornito alla corte arbitrale dell'Aia il suo primo caso„ |- | rowspan="2" | 1907 | | | Italia | Presidente dell'Unione lombarda per la pace e della Società per la pace e la giustizia internazionale |- | | | | Professore di diritto internazionale alla Sorbona |- | rowspan="2" | 1908 | | | | Fondatore dell'Associazione svedese per la pace e l'arbitrato |- | | | | Presidente onorario dell'Ufficio internazionale per la pace |- | rowspan="2" | 1909 | | | | Membro del parlamento belga e della Corte permanente di arbitrato |- | | | | Fondatore e presidente del gruppo parlamentare francese per l'arbitrato internazionale e fondatore del comitato per la difesa degli interessi nazionali e di conciliazione internazionale |- | 1910 | | Bureau international permanent de la paix | | “Per aver agito come collegamento tra le società di pace dei vari paesi„ |- | rowspan="2" | 1911 | | | | Iniziatore delle Conferenze sul diritto privato internazionale a L'Aia |- | | | | Giornalista, fondatore del Die Friedenswarte |- | 1912 | | | | “Per l'avvio di vari trattati di arbitrato„ |- | 1913 | | | | Presidente dell'Ufficio internazionale per la pace |- | 1914||||non è stato assegnato causa guerra |||| |- | 1915||||non è stato assegnato causa guerra|||| |- | 1916||||non è stato assegnato causa guerra|||| |- | 1917 | | | | “Per aver intrapreso l'enorme compito di cercare di proteggere i diritti di molti prigionieri di guerra su tutti i fronti, incluso il loro diritto di stabilire contatti con le loro famiglie„ |- | 1918 | | non è stato assegnato | | |- | 1919 | | | | Presidente degli Stati Uniti, promotore della Lega delle Nazioni |- | 1920 | | | | Presidente del Consiglio della Lega delle Nazioni |- | rowspan="2" | 1921 | | | | Primo ministro, delegato svedese del Consiglio della Lega delle Nazioni |- | | | | Segretario generale dell'Unione interparlamentare |- | 1922 | | | | Delegato norvegese alla Lega delle Nazioni, inventore del Passaporto Nansen per le persone rifugiate |- | 1923||||non è stato assegnato|||| |- | 1924||||non è stato assegnato|||| |- | rowspan="2" | 1925 | | | | Co-ideatore dei Trattati di Locarno |- | | | | Presidente della commissione alleata per la ricostruzione dopo la prima guerra mondiale e ideatore del Piano Dawes |- | rowspan="2" | 1926 | | | | rowspan="2" | Co-ideatori dei Trattati di Locarno |- | | | |- | rowspan="2" | 1927 | | | | Fondatore e presidente della Lega per i diritti umani |- | | | | Professore, relatore in numerose conferenze di pace |- | 1928||||non è stato assegnato|||| |- | 1929 | | | | Co-ideatore del Patto Briand-Kellogg |- | 1930 | | | | Leader del movimento ecumenico |- | rowspan="2" | 1931 | | | | Presidente della Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà |- | | | | Promotore del Patto Briand-Kellogg |- | 1932||||non è stato assegnato|||| |- | 1933 | | | | Membro del Comitato esecutivo della Lega delle Nazioni e del Consiglio nazionale per la pace |- | 1934 | | | | Presidente della Conferenza per il disarmo della Lega delle Nazioni |- | 1935 | | | | Giornalista pacifista, recluso dal 1933 per ordine della Gestapo |- | 1936 | | | | ”Per la sua mediazione volta a porre fine al conflitto tra Paraguay e Bolivia (Guerra del Chaco)„ |- | 1937 | | | | Fondatore e presidente della Campagna internazionale per la pace |- | 1938 | | Ufficio internazionale Nansen per i rifugiati | | “Per il suo lavoro nell'aiutare i rifugiati„ |- | 1939||||non è stato assegnato causa guerra|||| |- | 1940||||non è stato assegnato causa guerra|||| |- | 1941||||non è stato assegnato causa guerra|||| |- | 1942||||non è stato assegnato causa guerra |||| |- | 1943||||non è stato assegnato causa guerra|||| |- | 1944 | | | | “Per l'ottimo lavoro svolto durante la guerra a favore dell'umanità„ |- | 1945 | | | | Cofondatore principale delle Nazioni Unite |- | rowspan="2" | 1946 | | | | Presidente onoraria della Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà |- | | | | Presidente del Consiglio missionario internazionale e presidente della Young Men's Christian Association (YMCA) |- | rowspan="2" | 1947 | rowspan="2" | | The American Friends Service Committee | | rowspan="2" | “compassione per gli altri e desiderio di aiutarli„ |- | The Friends Service Council | |- | 1948||||non è stato assegnato|||| “Poiché non c'era nessun candidato idoneo vivente” (in tributo a Mahatma Gandhi, in quanto il premio non può essere assegnato postumamente) |- | 1949 | | | | Organizzatore e direttore generale della FAO, presidente del Consiglio nazionale per la pace e dell'Unione mondiale delle organizzazioni di pace |- | 1950 | | | | Mediatore in Palestina (1948) |- | 1951 | | | | Presidente del Sindacato francese CGT, vice presidente della Confederazione internazionale dei sindacati liberi e della Federazione sindacale mondiale, membro del Consiglio dell'Organizzazione internazionale del lavoro, delegato all'ONU |- | 1952 | | | / | Chirurgo missionario, fondatore dell'ospedale Lambaréné in Gabon (sviluppo della filosofia di “Rispetto per la vita”) |- | 1953 | | | | Ideatore del Piano Marshall |- | 1954 | | Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) | | |- | 1955||||non è stato assegnato|||| |- | 1956||||non è stato assegnato|||| |- | 1957 | | | | Presidente della 7ª sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite (introduzione delle forze di pace per risolvere la crisi di Suez) |- | 1958 | | | | Capo dell'organizzazione di soccorso per i rifugiati l'Europe du Coeur au Service du Monde |- | 1959 | | | | Per la sua vita ardente spesa per la pace e la cooperazione internazionale |- | 1960 | | | | Presidente dell'African National Congress; “era in prima linea nella lotta contro l'apartheid in Sudafrica„ |- | 1961 | | (postumo) | | Segretario generale delle Nazioni Unite |- | 1962 | | | | Chimico e pacifista, professore al Caltech, promotore della campagna contro i test nucleari |- | rowspan="2" | 1963 | | | rowspan="2" | | rowspan="2" | Per il loro lavoro nella protezione dei diritti umani nei 100 anni di esistenza del CICR |- | | |- | 1964 | | | | Capo della Southern Christian Leadership Conference, attivista per i diritti civili |- | 1965 | | Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (UNICEF) | | |- | 1966||||non è stato assegnato|||| |- | 1967||||non è stato assegnato|||| |- | 1968 | | | | Presidente della Corte europea dei diritti umani. |- | 1969 | | Organizzazione internazionale del lavoro | | |- | 1970 | | | | Scienziato agrario al International Maize and Wheat Improvement Center (CIMMYT) |- | 1971 | | | | Cancelliere della Germania Ovest (promotore dellOstpolitik, politica di normalizzazione dei rapporti con la Germania Est e l'Europa dell'Est) |- | 1972||||non è stato assegnato|||| |- | rowspan="2" | 1973 | | | | rowspan="2" | Negoziatori degli accordi di pace di Parigi (per la fine della guerra del Vietnam) |- | | (rifiutato) | |- | rowspan="2" | 1974 | | | / | Presidente dell'Ufficio internazionale per la pace e della Commissione della Namibia alle Nazioni Unite |- | | | | Primo Ministro giapponese, fece aderire il Giappone al Trattato di non proliferazione nucleare |- | 1975 | | | | Fisico nucleare sovietico, promotore di campagne per i diritti umani |- | rowspan="2" | 1976 | | | rowspan="2" | | rowspan="2" | Fondatrici del movimento Northern Ireland Peace Movement (poi rinominato in Community of Peace People) |- | | |- | 1977 | | Amnesty International | | Campagna contro la tortura |- | rowspan="2" | 1978 | | | | rowspan="2" | Negoziatori degli accordi di Camp David per la pace tra Egitto e Israele |- | | | |- | 1979 | | Madre Teresa di Calcutta |Albania | Fondatrice delle Missionarie della carità, per la sua vita dedita alle vittime della povertà |- | 1980 | | | | Difensore dei diritti umani durante la dittatura argentina |- | 1981 | | Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) | | |- | rowspan="2" | 1982 | | | | rowspan="2" | Delegati all'Assemblea generale delle Nazioni Unite sul disarmo |- | | | |- | 1983 | | | | Fondatore di Solidarność e attivista per i diritti umani |- | 1984 | | | | Arcivescovo sudafricano, attivista anti-apartheid |- | 1985 | | International Physicians for the Prevention of Nuclear War | | Campagne informative per creare la consapevolezza delle conseguenze catastrofiche della guerra atomica |- | 1986 | | | / | Presidente della commissione presidenziale sull'olocausto (autore del romanzo La notte) |- | 1987 | | | | “per il suo lavoro per la pace in America centrale, che ha portato all'accordo firmato in Guatemala, il 7 agosto di quest'anno” |- | 1988 | | Forze di pace delle Nazioni Unite | | Partecipazione a numerosi conflitti dal 1956 |- | 1989 | | (14º Dalai Lama) | | Contrarietà all'uso della violenza nella lotta del suo popolo per la liberazione del Tibet |- | 1990 | | | | “per il suo ruolo di primo piano nel processo di pace che oggi caratterizza parti importanti della comunità internazionale” |- | 1991 | | | | “per la sua lotta non violenta per la democrazia e i diritti umani” |- | 1992 | | | | “in riconoscimento del suo lavoro per la giustizia sociale e la riconciliazione etno-culturale basata sul rispetto per i diritti dei popoli indigeni” |- | rowspan="2" | 1993 | | | rowspan="2" | | rowspan="2" | “per il loro lavoro per la risoluzione pacifica del regime di apartheid, e per aver gettato le basi per un nuovo Sudafrica democratico” |- | | |- | rowspan="3" | 1994 | | | | rowspan="3"| “per i loro sforzi per creare la pace in Medio Oriente” |- | | | |- | | | |- | rowspan="2" | 1995 | | Pugwash Conferences on Science and World Affairs | | rowspan="2" | “per i loro sforzi per ridurre il ruolo delle armi nucleari nella politica internazionale e, nel lungo periodo, per eliminare tali armi” |- | | | / |- | rowspan="2" | 1996 | | | rowspan="2" | | rowspan="2" | “per il loro lavoro verso una soluzione giusta e pacifica del conflitto nel Timor Est” |- | | |- | rowspan="2" | 1997 | | Campagna internazionale per il bando delle mine antiuomo (ICBL) | rowspan="2" | / | rowspan="2" | “per il lavoro svolto al fine di eliminare le mine anti-uomo” |- | | |- | rowspan="2" | 1998 | | | rowspan="2" | | rowspan="2" | “per i loro sforzi volti a trovare una soluzione pacifica al conflitto in Irlanda del Nord” |- | | |- | 1999 | | Medici senza frontiere(ritirato da James Orbinski) | | “in riconoscimento del lavoro umanitario pionieristico dell'organizzazione in diversi continenti” |- | 2000 | | | | “per il suo lavoro per la democrazia e i diritti umani in Corea del Sud e in Asia orientale, in generale, e per la pace e la riconciliazione con la Corea del Nord, in particolare” |- | rowspan="2" | 2001 | | | | rowspan="2" | “per il loro lavoro per un mondo meglio organizzato e più pacifico” |- | | Organizzazione delle Nazioni Unite | |- | 2002 | | | | “per l'impegno instancabile decennale per trovare soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali, per far avanzare la democrazia e i diritti umani, e per promuovere lo sviluppo economico e sociale” |- | 2003 | | | | “per il suo impegno per la democrazia e i diritti umani. Si è concentrata soprattutto nella lotta per i diritti delle donne dei bambini e delle bambine” |- | 2004 | | | | “per il suo contributo allo sviluppo sostenibile, alla democrazia e alla pace” |- | rowspan="2" | 2005 | | Agenzia internazionale per l'energia atomica | | rowspan="2" | “per i loro sforzi per impedire che l'energia nucleare venga usata per scopi militari e per assicurare che l'energia nucleare per scopi pacifici sia utilizzata nel modo più sicuro possibile” |- | | | |- | rowspan="2" | 2006 | | | | rowspan="2" | “per i loro sforzi per creare lo sviluppo economico e sociale dal basso” |- | | | |- | rowspan="2" | 2007 | | | | rowspan="2" | “per i loro sforzi per costruire e diffondere una maggiore conoscenza sui cambiamenti climatici causati dall'uomo, e per aver gettato le basi per le misure necessarie per contrastare tali cambiamenti” |- | | IPCC | |- | 2008 | | | | “per i suoi importanti sforzi, in diversi continenti e per più di tre decenni, per risolvere i conflitti internazionali” |- | 2009 | | | | “per i suoi straordinari sforzi per rafforzare la diplomazia internazionale e cooperazione tra i popoli” |- | 2010 | | | | “per la sua lunga e non violenta lotta per i diritti umani in Cina” |- | rowspan="3" | 2011 | | | | rowspan="3" | “per la loro lotta non violenta per la sicurezza delle donne e per i diritti di partecipazione delle donne in un processo di pace” |- | | | |- | | | |- | 2012 | | Unione europea | | “per oltre sei decenni ha contribuito all'avanzamento della pace e della riconciliazione della democrazia e dei diritti umani in Europa” |- | 2013 | | OPAC | Internazionale | “per i suoi ampi sforzi per eliminare le armi chimiche” |- | rowspan="2" | 2014 | | | | rowspan="2" | “per la loro lotta contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all'istruzione” |- | | | |- | 2015 | | Quartetto per il dialogo nazionale tunisino | | “per il suo contributo decisivo alla costruzione di una democrazia pluralistica in Tunisia, sulla scia della Rivoluzione dei Gelsomini del 2011” |- | 2016 | | Juan Manuel Santos | | “per i suoi sforzi risoluti per portare al termine una lunga guerra civile del paese che dura da più di 50 anni” |- |2017 | | Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari | Internazionale | “per il suo lavoro per portare l'attenzione alle conseguenze umanitarie catastrofiche di qualunque uso delle armi nucleari e per i suoi straordinari sforzi per ottenere un trattato che metta al bando queste armi” |- | rowspan="2" | 2018 | | | | rowspan="2" | “per i loro sforzi per mettere fine alle violenze sessuali nei conflitti armati e nelle guerre” |- | | | |- | 2019 | | Abiy Ahmed Ali | | “per i suoi sforzi per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per la sua decisiva iniziativa per risolvere il conflitto di confine con la vicina Eritrea.” |- |2020 | | Programma alimentare mondiale | | “per i suoi sforzi nel combattere la fame, per i suoi contributi nel migliorare le condizioni della pace in aree di conflitto e per la sua azione nel prevenire l'uso della fame come arma per promuovere guerre e conflitti” |- | rowspan="2" | 2021 | | | / | rowspan="2" | “per i loro sforzi per salvaguardare la libertà di espressione, che è una condizione preliminare per la democrazia e una pace duratura” |- | | | |- | rowspan="3" | 2022 | | | | rowspan="3" | “I vincitori del Premio per la pace rappresentano la società civile nei loro paesi d'origine. Da molti anni promuovono il diritto di criticare il potere e tutelare i diritti fondamentali dei cittadini. Hanno compiuto uno sforzo eccezionale per documentare i crimini di guerra, le violazioni dei diritti umani e l'abuso di potere. Insieme dimostrano l'importanza della società civile per la pace e la democrazia.” |- | | Memorial | |- | | Centro per le libertà civili | |- |}Fonte: - Nobelprize.org - Premi Nobel per la pace Classifica per nazione Politici o Capi di Stato premiati Diversi sono stati gli uomini politici di primo piano a essere premiati, non sempre senza provocare polemiche. Alcuni erano capi di Stato, altri lo erano stati in passato o lo sarebbero diventati successivamente alla premiazione. 1906 – Theodore Roosevelt, presidente degli Stati Uniti 1919 – Thomas Woodrow Wilson, presidente degli Stati Uniti 1961 – Dag Hammarskjöld 1964 – Martin Luther King 1971 – Willy Brandt (Germania, allora Germania Ovest) 1973 – Lê Đức Thọ (Vietnam, prima Vietnam del Nord) e il segretario di stato statunitense Henry A. Kissinger 1978 – Menachem Begin (Israele) e Mohamed Anwar El Sadat (Egitto) 1983 – Lech Wałęsa (Polonia) 1987 – Óscar Arias Sánchez, presidente della Costa Rica 1989 – Tenzin Gyatso XIV Dalai Lama capo del Governo tibetano in esilio 1990 – Michail Sergeevič Gorbačëv, presidente dell'Unione Sovietica 1993 – Frederik Willem de Klerk e Nelson Mandela (Sudafrica) 1994 – Yasser Arafat (Palestina), Shimon Peres e Yitzhak Rabin (Israele) 2000 – Kim Dae-Jung, presidente della Corea del Sud 2001 – Kofi Annan (Ghana), segretario generale delle Nazioni Unite 2002 – Jimmy Carter (Stati Uniti) 2007 – Al Gore (Stati Uniti) e Rajendra Pachauri, India 2008 – Martti Ahtisaari (Finlandia) 2009 – Barack Obama, presidente degli Stati Uniti 2011 – Ellen Johnson Sirleaf, presidente della Liberia 2011 – Tawakkul Karman (Yemen) 2016 – Juan Manuel Santos, presidente della Colombia 2019 - Abiy Ahmed Ali, Primo ministro dell'Etiopia Organizzazioni premiate Oltre che persone sono state premiate anche organizzazioni, soprattutto la Croce Rossa (Henry Dunant fu il primo a ottenere il premio, nel 1901) e le Nazioni Unite nelle loro diverse sottorganizzazioni: Croce Rossa Henry Dunant, fondatore della Croce Rossa, nel 1901 Comitato internazionale della Croce Rossa, 1917, 1944 e 1963 Lega delle società della Croce Rossa, 1963 Nazioni Unite Le Nazioni Unite e il segretario generale Kofi Annan, 2001 Fondo delle Nazioni Unite per l'Infanzia, 1965 Organizzazione internazionale del lavoro, 1969 Forze di pace delle Nazioni Unite, 1988 Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, 1954 e 1981 Ipcc (Comitato intergovernativo per i mutamenti climatici dell'ONU), 2007 Programma alimentare mondiale, 2020 Altre Organizzazioni''' Agenzia internazionale per l'energia atomica, 2005 The American Friends Service Committee, 1947 Amnesty International, 1977 Medici senza frontiere (Doctors Without Borders, Médecins sans frontières, Médicos Sin Fronteras''), 1999 The Friends Service Council, 1947 Grameen Bank, 2006 Istituto di diritto internazionale, 1904 Campagna internazionale per il bando delle mine antiuomo (ICBL), 1997 International Physicians For The Prevention Of Nuclear War, 1985 Ufficio internazionale Nansen per i rifugiati, 1938 (Fridtjof Nansen nel 1922) Bureau international permanent de la paix, 1910 Pugwash Conferences on Science and World Affairs, 1995 Unione europea, 2012 Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, 2013 Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari, 2017 Note Voci correlate Premio Nobel per la pace Altri progetti Collegamenti esterni The Nobel Peace Prize (sito ufficiale) Pace
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Premio Nobel per l'economia
Il premio Nobel per l'economia, ufficialmente premio della Banca di Svezia per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel (in svedese Sveriges Riksbanks pris i ekonomisk vetenskap till Alfred Nobels minne), viene assegnato dal 1969, in seguito all'istituzione da parte della Sveriges Riksbank (che in quell'anno festeggiò i 300 anni dalla sua fondazione), di uno speciale fondo di dotazione per il conferimento del premio. Questo premio non era previsto dal testamento di Alfred Nobel, ma viene gestito dalla Fondazione Nobel e consegnato assieme agli altri premi. Il processo di nomina inizia circa un anno prima della consegna del premio, con l'invito da parte dell'Accademia reale delle Scienze svedese a individui e organizzazioni qualificate di suggerire candidati meritevoli. Una commissione di 5-8 studiosi invita esperti, sia svedesi che stranieri, a stilare uno studio sui candidati ritenuti più meritevoli. La commissione poi stila un rapporto all'Accademia reale delle scienze che decide con voto inappellabile agli inizi di ottobre di ogni anno. L'annuncio viene dato dopo aver informato il candidato vincente. La cerimonia di consegna del premio viene svolta in dicembre. Informazioni sulle candidature e il processo di selezione vengono mantenute segrete per 50 anni. Origine L'idea per un nuovo “Premio Nobel” viene da Per Åsbrink, governatore della Banca di Svezia, una delle banche centrali più antiche del mondo. Come parte dei preparativi per il tricentenario della Banca, ha creato una fondazione di ricerca, la Jubilee Fondazione Banca di Svezia, e ha offerto al suo consulente economico, Assar Lindbeck, nonché agli economisti Erik Lundberg e Gunnar Myrdal, pensare allo sviluppo di un prezzo.. La banca ha quindi contattato la Fondazione Nobel e l'Accademia reale svedese delle scienze, che era già responsabile dell'assegnazione dei premi in fisica e chimica. Alcuni membri dell'Accademia hanno delle riserve sull'aspetto sufficientemente scientifico dell'economia, ma Lundberg e soprattutto Myrdal (che sono anche membri) finiscono per convincere l'intera Accademia. Nel maggio 1968, la banca centrale, la Fondazione Nobel e l'Accademia concordano le regole per l'assegnazione del premio e l'ufficio della banca centrale decide quindi di fondarlo ufficialmente. Queste regole sono codificate dal governo svedese nel gennaio 1969. Il primo comitato è composto da Bertil Ohlin (presidente del comitato, Scuola di economia di Stoccolma),Erik Lundberg della Scuola di economia di Stoccolma, Ingvar Svennilson dell'Università di Stoccolma, Herman Wold dell'Università di Uppsala e dell'Università di Göteborg e Assar Lindbeck dell'Università di Stoccolma. Da allora, il premio è comunemente soprannominato "Premio Nobel per l'economia", sebbene Alfred Nobel abbia detto di non avere "alcuna formazione in economia e [odio] dal profondo del suo cuore" . Per Avner Offer e Gabriel Söderberg, storici economici, Per Åsbrink, sostenuto dalla comunità imprenditoriale, si è opposto al governo socialdemocratico che intendeva utilizzare il credito per promuovere l'occupazione e l'alloggio, e ha invece sostenuto andare verso la lotta contro l'inflazione. Secondo questi autori, la creazione del premio ha permesso di generare interesse da parte dei media e quindi di aumentare la sua influenza a scapito delle idee socialdemocratiche. Critiche Il prestigio del premio deriva in larga parte dall'associazione ai premi creati dalla volontà di Alfred Nobel, una scelta che è stata spesso causa di critiche. Fra le più rilevanti c'è la posizione dell'avvocato svedese e attivista per i diritti umani Peter Nobel, pronipote di Alfred Nobel, che considera il premio un mero «colpo di pubbliche relazioni fra economisti per migliorare la loro reputazione». L'economista svedese Gunnar Myrdal, e l'ex ministro delle finanze svedese Kjell-Olof Feldt, si sono pronunciati a favore dell'abolizione del premio. Nel caso di Feldt, tuttavia, l'obiezione si fondava sull'opinione che il premio consegnato agli economisti liberisti Milton Friedman e Friedrich von Hayek fosse immeritato, non sul fatto che l'economia, in quanto tale, non sarebbe classificabile come scienza. Lo stesso Friedrich von Hayek ha dichiarato che «si sarebbe espresso decisamente contro», nel caso fosse stato consultato per l'istituzione del premio. L'economista e scrittrice futurista Hazel Henderson sostiene che il "Premio per le scienze economiche in memoria di Nobel" è fonte di un costante imbarazzo che sta facendo diminuire il prestigio di tutti gli altri premi. Sostiene, inoltre, che le teorie degli economisti sono ipotesi in gran parte non verificabili e non possono essere paragonate alle teorie delle scienze dure, quali la fisica o la chimica. Gli economisti Robert Merton e Myron Scholes, co-vincitori del premio nel 1997, furono fra i gestori del Long Term Capital Management, un hedge fund che sfruttava i presupposti teorici del loro modello matematico e che fallì in pochi anni a seguito della crisi finanziaria russa del 1998. Per scongiurare una crisi finanziaria internazionale, si rese necessario l'intervento diretto della Federal Reserve e delle principali banche d'investimento, che erano fra gli stessi clienti del LTCM. Per un lungo lasso di tempo è stato conferito solo a economisti uomini. La prima donna a esserne insignita è stata Elinor Ostrom, vincitrice nel 2009. Assegnazione del premio Scelta dei vincitori Il processo per la selezione del vincitore e l'importo del premio assegnato è lo stesso dei premi Nobel. Ogni anno, l'Accademia reale svedese delle scienze invita personalità qualificate a presentare le loro candidature. Queste persone includono membri dell'Accademia delle scienze, membri del comitato di selezione dei premi, ex vincitori, professori di ruolo in materie pertinenti, in Svezia, così come in Danimarca, Finlandia, Islanda e Norvegia, professori titolari di cattedre corrispondenti in almeno sei università scelte ogni anno dall'Accademia, nonché altri ricercatori invitati dall'Accademia. Vengono inviate da due a trecento candidature, che corrispondono a cento candidati distinti. Le candidature vengono quindi valutate da un comitato composto da cinque a otto membri (inclusi due non economisti), che sottopone la propria scelta al dipartimento di scienze sociali dell'Accademia per l'approvazione. L'intera Accademia adotta la lista finale all'inizio di ottobre dopo aver scelto i vincitori a maggioranza, il cui risultato viene annunciato lo stesso giorno. Come con altri premi "Nobel", un massimo di tre persone possono condividere il premio e devono essere in vita al momento dell'annuncio. Dotazione La dotazione monetaria del premio è la stessa di quella dei premi Nobel. A differenza di quest'ultimo, la cui dotazione proviene dai rendimenti sul capitale lasciato a tal fine da Alfred Nobel, la dotazione del premio in economia è finanziata dalla Banca Centrale di Svezia. L'importo della dotazione cambia regolarmente in base all'andamento degli investimenti e ammonta a nove milioni di corone svedesi nel 2018, ovvero circa novecentomila euro. Note Voci correlate Vincitori del premio Nobel per l'economia Altri progetti Collegamenti esterni
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Premio Nobel per la medicina
Il premio Nobel per la medicina, ufficialmente premio Nobel per la fisiologia o la medicina (Nobel prize in physiology or medicine), è stato istituito dal testamento di Alfred Nobel del 1895 ed è stato assegnato per la prima volta nel 1901, come gli altri premi istituiti da Nobel stesso. Questo premio non viene assegnato dalla Accademia reale svedese delle scienze come la maggior parte dei premi Nobel, ma dall'Istituto Karolinska. Esso consiste in una somma di denaro (otto milioni di corone svedesi nel 2013), un diploma personalizzato per ogni vincitore e una medaglia d'oro recante l'effigie di Alfred Nobel. Il premio viene assegnato da una giuria di professori di medicina dell'Istituto Karolinska che stila un elenco di cinque nomination da una scelta preventiva di una cinquantina di nomination stilata dal comitato Nobel. Il comitato è composto da 5 membri dell'Istituto Karolinska che si alternano per cooptazione ogni tre anni. Le candidature vengono fatte con l'aiuto di altri importanti istituti medici svedesi e stranieri, circoli di ricerca, eminenti figure mediche ed ex vincitori di premi che ogni anno nominano diversi nomi idonei per il premio. Il premio non può essere assegnato congiuntamente a più di tre persone. Dopo che il nome del vincitore è stato rivelato all'inizio di ottobre, la medaglia e il diploma della Fondazione Nobel gli sono stati ufficialmente consegnati dal re di Svezia il 10 dicembre successivo, anniversario della morte del fondatore del premio. Dal 2001, il Premio Nobel è stato dotato di un importo di 10 milioni di corone svedesi, ovvero poco più di un milione di euro. Non è stato assegnato in nove occasioni (1915, 1916, 1917, 1918, 1921, 1925, 1940, 1941 e 1942). Nel 2011 venne assegnato postumo per la prima e unica volta (Ralph Steinman, morto 3 giorni prima dell'annuncio dell'assegnazione). Origini ed evoluzione Eredità di Alfred Nobel (1833-1896), i premi Nobel dovevano essere assegnati a individui i cui contributi portavano "i maggiori benefici alla storia dell'umanità" nei campi della pace, della letteratura, chimica, fisica e medicina o fisiologia. La ricompensa non può essere postuma, quindi, occasionalmente, il riconoscimento dei contributori anziani prima che scompaiano. Inizi Secondo la volontà di Nobel, i premi scientifici dovrebbero in linea di principio coronare il lavoro dell'anno precedente. Fin dall'inizio, questo lasso di tempo sembrava insufficiente per misurare chiaramente la portata di una scoperta. Era anche consuetudine assegnare premi per diversi anni, anche decenni. Nel 1901, il primo premio Nobel per la medicina fu assegnato a Emil von Behring (1854-1917) per il suo lavoro sulla sieroterapia (primi anni 1890) e nel 1905 a Robert Koch (1843-1910) per il suo lavoro sulla tubercolosi (1880). I primi premi Nobel per la medicina (1901-1914) incoronano 16 vincitori: 4 tedeschi, 3 francesi, 2 russi e solo uno per 7 paesi. All'inizio i medici e gli scienziati (fisiologi) sono più o meno uguali, la quota di medici diminuisce solo nel corso del ventesimo secolo. Durante questo periodo 1901-1914, per coloro che non furono scelti, l'attribuzione del Premio Nobel suscitò la "macinazione" di un ordine personale o nazionalista, in un quadro internazionale di competizione ed espansione degli imperi coloniali. Tuttavia, il Nobel fa anche parte di un nuovo processo di comunicazione che va oltre la comunità medica per raggiungere il grande pubblico. La nascita del Nobel corrisponde all'inizio di una "era mediatica" in cui si stanno diffondendo molto rapidamente progressi medici spettacolari su scala globale (radiografie e scoperte su rabbia, tubercolosi, difterite, ecc.). Processi Nel 1906, i membri dei comitati Nobel riconobbero che la maggior parte delle scoperte non erano state fatte da individui isolati e il prezzo della medicina era condiviso da due scienziati e dal 1934 al massimo da tre. Queste persone possono essere collaboratori o concorrenti. Diversi sociologi della scienza, come Harriet Zuckerman, hanno dimostrato che il processo di nomina si basa su reti di influenze: i vincitori sono invitati a fare nomination e solo i nominati possono essere candidati. La maggior parte dei vincitori sono uomini bianchi, tedeschi nella prima metà del XX secolo e successivamente americani. Anche all'interno dei paesi predominanti, alcune istituzioni e gruppi di ricerca dominano le classifiche. Alcune discipline sono molto più premiate di altre e il nepotismo sembra essere un fattore importante. Questo nepotismo può essere familiare (caso di Hans Adolf Krebs) o intellettuale (essere stato nella squadra di un vincitore è un vantaggio per essere nominato). Sul sito ufficiale della Fondazione Nobel, il database delle candidature è aperto al pubblico e ai ricercatori solo dopo 50 anni (ad esempio, nel 2019, è possibile consultare il periodo 1901-1969). Il premio non può essere revocato, da qui alcune attribuzioni storiche “imbarazzanti”. Diversi progressi terapeutici, inizialmente promettenti, furono successivamente screditati, e ciò portò, nella seconda metà del XX secolo, a privilegiare invece le scienze di base (fisiologia) a scapito della terapia medica.. L'assegnazione del premio riflette la preoccupazione principale del momento, ma non tutti i principali contributori sono stati riconosciuti. Il database delle candidature ai Nobel mostra che, tra i contributori più spesso nominati (prima metà del XX secolo) ma mai premiati, troviamo ad esempio Émile Roux (1853-1933), Sigmund Freud (1856-1939), Oswald Avery (1877-1955) e Casimir Funck (1884-1967). Contributi Le date fornite in questa sezione sono gli anni del premio Nobel, non l'anno di una scoperta o della sua pubblicazione.Nel 2019, centodieci premi Nobel per la fisiologia o la medicina sono stati assegnati dal 1901 in alcuni temi dominanti: metodi diagnostici, microbiologia e immunologia, metabolismo, neuroscienze, genetica e campo dei trattamenti. Da un punto di vista concettuale, la stragrande maggioranza dei premi fa parte di una continuità e pochi rappresentano grandi interruzioni (equivalenti a un cambio di paradigma). Fanno però parte di un riduzionismo crescente: la spiegazione dei fenomeni biomedicali prima anatomo-clinica, diventa cellulare, poi molecolare e infine ionica. Come risultato di queste scelte, il Premio Nobel non ha sempre premiato importanti traguardi come la potabilizzazione dell'acqua, l'eradicazione del vaiolo, le macchie nello screening del cancro, metodi di contraccezione sicuri, ecc. perché questi risultati erano basati su tecniche già note. Diagnostica I metodi diagnostici incoronati con un Premio Nobel per la medicina sono: il biomicroscopio o lampe à fente nel 1911, di Allvar Gullstrand, l'unico oftalmologo ad aver ricevuto un Premio Nobel per la medicina; l'elettrocardiogramma nel 1924; cateterismo cardiaco nel 1956; tomografia computerizzata nel 1979. Tuttavia, diversi vincitori del Premio Nobel per la fisica o la chimica hanno avuto importanti conseguenze in medicina. Ad esempio, il primo premio Nobel per la fisica del 1901 fu assegnato a Wilhelm Röntgen per la sua scoperta dei raggi X, altri premiano il lavoro basato sulla cristallografia a raggi X per chiarire la struttura delle biomolecole (Linus Pauling 1954, Dorothy Hodgkin nel 1964). Microbiologia Le opere premiate riguardano la parassitologia, il ruolo delle zanzare nella malaria (1902) e il suo parassita (1907), del pidocchio nel tifo (1928). Il lavoro sui virus gioca un ruolo importante nell'ottenimento dei premi: febbre gialla (1951), coltura di poliovirus (1954), batteriofagi (1969), epatite B (1976), virus lenti e prioni (1976 e 1997), ruolo dei virus nella carcinogenesi (1966 e 1975), HIV e papillomavirus (2008). Il ruolo dei batteri Helicobacter pylori nell'ulcera gastrica (2005) rappresenta un importante cambiamento nella comprensione di questa malattia, riconosciuta come infettiva, quando veniva trattata come un disturbo fisico-chimico legato allo stress. Biologia cellulare La biologia cellulare fu premiata nel 1906 dal lavoro di Golgi e Cajal sulla teoria neuronale. L'invenzione del microscopio elettronico negli anni '30 (insignito del Premio Nobel per la Fisica nel 1986) ha permesso di identificare gli organelli della cellula: reticolo endoplasmatico, lisosoma e mitocondri, scoperte insignite del Premio Nobel per la Medicina nel 1974. Immunologia L'assegnazione del primo Premio Nobel per la medicina alla sieroterapia contro la difterite (1901), mentre all'epoca causava la morte per soffocamento di molti bambini, ebbe il consenso unanime della comunità scientifica e del grande pubblico. , che ha contribuito a lanciare il prestigio del nuovo premio. Aspetti della teoria dell'immunità furono premiati nel 1908, così come anafilassi (1913), meccanismi anticorpali (1919), gruppi sanguigni (1930), tolleranza immunitaria (1960), struttura anticorpale (1972), istocompatibilità (1980), teoria clonale (1984), genetica degli anticorpi (1987), linfociti T (1996). Biochimica Più di dieci premi riguardano questo campo: metabolismo muscolare (1922), respirazione cellulare (1931), metabolismo del glicogeno (1947), ciclo di Krebs (1953), metabolismo del colesterolo (1964) in particolare. Altri lavori furono premiati con un Premio Nobel per la chimica: elettroforesi (1948), sulla struttura dell'emoglobina (1962), sugli ormoni, vitamine e altre biomolecole. Neuroscienza Le neuroscienze sono riconosciute sin dall'inizio con il riflesso condizionato della salivazione nei cani (1904), la struttura del sistema nervoso centrale (1906). Diversi premi riguardano le funzioni sensoriali, oltre all'occhio (1911) già citato, la retina (1967) e la corteccia visiva (1981), l'orecchio (1914 e 1961), l'olfatto (2004). Altri premi riguardano i neuroni (1932) e in particolare la trasmissione nervosa neurochimica (1936, 1944, 1963, 1970); le funzioni del cervello interno (1949), asimmetria cerebrale (1981). In questo contesto, il premio del 1973 sembra essere una curiosità insolita (etologia e comportamento animale). Genetica Quasi venti premi furono assegnati, soprattutto a partire dagli anni '50, riguardanti la struttura e il funzionamento biochimico e molecolare dei geni. Tra i più noti: la struttura del DNA (1962), la teoria dell'operone (1965), i trasposoni (1983), la morte cellulare programmata (2002). Anche in questo campo vengono assegnati premi Nobel per la chimica, come il DNA ricombinante (1980) e la PCR (1993).. Terapie I premi riguardano principalmente le scoperte fatte sulla fisiologia legata agli ormoni, alle vitamine, ai prodotti antimicrobici, e incidentalmente alla chirurgia, con lo sviluppo di trattamenti associati alle patofisiologie derivanti dalla disfunzione. Nel campo degli ormoni sono stati premiati: fisiologia e chirurgia della tiroide (1909), insulina (1923), ruolo dell'ipofisi nel metabolismo degli zuccheri (1947), ormoni corticali surrenali (1947) e midollo surrenale (1950), terapia ormonale per il cancro (1966), ormoni ipotalamici (1977), prostaglandine (1982). Questo lavoro ha permesso di sviluppare farmaci . Il lavoro sulle vitamine venne premiato nei primi tempi: vitamine in nutrizione (1929), estratti di fegato in anemia (1934) da cui verrà successivamente isolata la vitamina B12, il meccanismo vitamina C (1937), vitamina K (1924), il ruolo della vitamina A (1967). Oltre ai premi Nobel per la medicina assegnati, più di una mezza dozzina di premi Nobel per la chimica riguardano la ricerca (struttura, sintesi, ecc.) Relativa alle vitamine. Per la cura delle malattie infettive, oltre alle cure sieroterapiche e immunologiche (già citate), esiste la malariaterapia contro la neurosifilide (1927). I premi per i prodotti antimicrobici iniziano con Prontosil, uno dei primi sulfonamidi (incoronato nel 1939), seguito dalla penicillina (1945) e dalla streptomicina (1952). Nel 1988 è stato premiato il lavoro su diverse droghe sintetiche derivanti dalla ricerca industriale (industria farmaceutica): beta-bloccanti, 6-mercaptopurina, allopurinolo, cimetidina. Nonostante il prestigio della chirurgia e dei chirurghi, ci sono pochi prezzi per la chirurgia. Oltre alla chirurgia tiroidea (1909) già citata, furono premiati i progressi nella chirurgia vascolare (1912), nella lobotomia (1949), nel trapianto di rene e midollo osseo (1990). Premio Nobel per la Pace in materia di salute Tre associazioni sanitarie hanno ricevuto il Premio Nobel per la Pace: Il Comitato Internazionale della Croce Rossa o il suo fondatore, quattro volte premiato (1901, 1917, 1944, 1963 - con la Mezzaluna Rossa), l'Associazione Internazionale dei Medici per prevenzione della guerra nucleare (1985) e Médecins sans frontières (1999). Due medici lo hanno ricevuto individualmente: John Boyd Orr (1949) e Albert Schweitzer (1952) così come il chimico Linus Pauling (1962). Note Bibliografia Graziella Tonfoni,"Una autrice post-accademica. Narrarsi scientificamente".Riga.EAI.2018.ISBN 978-620-2-08519-9 Voci correlate Altri progetti Collegamenti esterni Sito del comitato per l'assegnazione del premio Nobel per la medicina e la fisiologia del Karolinska Institutet
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Psi
Alfabeti Psi o Ψ – lettera dell'alfabeto greco Psi – lettera dell'alfabeto cirillico Fisica psi – unità di misura della pressione nel sistema anglosassone Informatica Psi – Client di messaggistica istantanea per il protocollo XMPP Matematica Funzione psi – derivata logaritmica della funzione gamma Sigle Partai Sosialis Indonesia – partito politico indonesiano Partido Socialista del Interior – partito politico spagnolo Partito socialista italiano Partito Socialista Italiano o PSI (1892-1994), tra il 1943 e il 1947 denominato Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria o PSIUP (1964-1972) Nuovo PSI (dal 2001) Partito Socialista Italiano o PSI (dal 2007), fino al 2009 denominato Partito Socialista o PS Paul Scherrer Institute – Istituto di ricerca nei pressi di Zurigo Permanent Staff Instructor – ruolo nell'esercito del Regno Unito Pharmaceutical Society of Ireland – Società Farmaceutica d'Irlanda Pounds per square inch – libbre per pollice quadrato, unità di misura della pressione Pan-Sahel Initiative – programma di cooperazione militare statunitense (2002-2005) Piccole Storie Illustrate – collana editoriale della casa editrice Sansoni Portuguese Stock Index-20 – è l'indice principale della Borsa del Portogallo Palestine Standards Institution Codici PSI – codice aeroportuale IATA della base aerea di Pasni (Pakistan) psi – codice ISO 639-3 della lingua pashai sud-orientale
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Provincia di Brescia
La provincia di Brescia è una provincia italiana della Lombardia di abitanti, con capoluogo Brescia. È la provincia più estesa della Lombardia, con una superficie di  km² e una densità abitativa di circa 264 abitanti per km², e al suo interno sono compresi 205 comuni. È la seconda provincia per numero di abitanti della regione e la quinta in Italia (prima, se si escludono le città metropolitane). La provincia di Brescia è anche la prima provincia italiana per estensione da Nord a Sud. Confina a nord e a nord-ovest con la provincia di Sondrio, a ovest con la provincia di Bergamo, a sud-ovest con la provincia di Cremona, a sud con la provincia di Mantova, a est con il Veneto (provincia di Verona) e con il Trentino-Alto Adige (provincia autonoma di Trento). Geografia fisica La provincia di Brescia è la più estesa della regione, vanta tre laghi principali, lago di Garda, lago d'Iseo e il lago d'Idro, più altri numerosi laghi minori di montagna, tre valli, Val Camonica, Valtrompia e Valle Sabbia, più altre valli minori, oltre che a un'ampia zona pianeggiante a sud del territorio cittadino, conosciuta come la Bassa Bresciana, e varie zone collinari che circondano il panorama cittadino e si estendono a est verso il veronese e a ovest verso la Franciacorta. Grazie alla varietà altitudinale e morfologica, nonché della presenza di grandi laghi, la provincia di Brescia comprende tutti i tipi di biomi dell'Europa: da qualcosa di simile alla macchia mediterranea fino alle nevi perenni dell'Adamello (col più grande ghiacciaio delle Alpi italiane). Le valli Le tre valli principali presenti sul territorio bresciano sono la Val Camonica, percorsa dal fiume Oglio ed inserita nel territorio nord-occidentale della provincia che va dal massiccio dell'Adamello al lago d'Iseo, e costituisce circa il 25% della superficie totale della provincia, la Val Trompia, bacino montano del fiume Mella, compreso tra i comuni di Villa Carcina e Collio, la Valle Sabbia, seconda in termini di grandezza, che comprende i comuni da Serle a Bagolino lungo il corso del fiume Chiese. Tutte e tre le valli hanno come punto d'unione il Passo di Crocedomini, che prende appunto il nome dalla "croce" formata dall'unione dei tre bacini, e l'arteria stradale che ne permette il collegamento è la ex-Strada statale 345 delle Tre Valli. Altra zona di confine tra le tre valli è il Maniva poco distante dal passo Crocedomini. Sono inoltre presenti numerose piccole valli sul territorio provinciale, circa 26, spesso tributarie di una maggiore, come nel caso della nebulosa di valli comprese nel bacino della Valle Camonica e dell'Adamello. La geomorfologia e la geologia, per via della vastità territoriale della provincia, sono differenti da valle a valle, e spesso è possibile riconoscere all'interno dello stesso bacino caratteristiche differenti delle pareti rocciose. Nella maggior parte dei casi la conformazione del territorio è di origine calcarea. Il territorio provinciale comprende: tutta la Val Camonica tranne 3 comuni (il 27% della provincia), la Val Trompia, la Val Sabbia, percorsa dal fiume Chiese e comprendente il lago d'Idro (Eridio), tranne la porzione più settentrionale (Valle del Chiese, trentina); gran parte della sponda occidentale e di quella meridionale del lago di Garda (Benaco); la Val Vestino; la fascia pedemontana tra i laghi di Garda e d'Iseo e le aree collinari della Franciacorta e di parte dei colli morenici del Garda; un'area di pianura in gran parte compresa tra l'Oglio e il Chiese denominata Bassa Bresciana. Laghi All'interno della provincia di Brescia sono presenti 8 laghi, di cui tre maggiori e gli altri di carattere minore. Il bacino lacustre principale sia in termini dimensionali che di importanza climatica e culturale è sicuramente il lago di Garda, condiviso con le provincie di Trento e Verona, che con i suoi 370 km² di superficie può ritenersi il maggiore lago italiano. Per via delle sue dimensioni il lago esercita un influsso considerevole sul clima e sull'ambiente circostante, creando in generale una micro-area geografica dal clima più mitigato sia nei periodi estivi che in quelli invernali. Il lago d'Iseo è il secondo bacino d'acqua dolce presente in terra bresciana, ed è situato a circa 180 m di quota sopra il livello del mare, nel territorio detto "Sebino", compreso tra la Val Camonica (a nord) e la Franciacorta (a sud), che divide le province di Bergamo e di Brescia. Il lago d'Idro, terzo bacino in ordine di superficie all'interno del territorio provinciale, è situato in piena valle Sabbia al confine tra il bresciano e la provincia autonoma di Trento, e si differenzia dai precedenti bacini lacustri per le modeste dimensioni. Le acque del lago vengono principalmente sfruttate per l'irrigazione delle coltivazioni nei territori contigui, oltre che per la produzione di energia mediante una piccola centrale elettrica situata a valle nella frazione Carpeneda del comune di Vobarno. Gli altri bacini idrici di carattere lacustre, principalmente di carattere artificiale, si trovano in vari punti della provincia divisi tra Val Camonica e Valle Sabbia, e sono: I fiumi Sono 45 i corsi d'acqua che attraversano il territorio della provincia bresciana, quasi tutti a carattere torrentizio e quindi di lunghezza molto limitata. Gli unici corsi d'acqua che si possono definire veri e propri fiumi sono 3, ovvero il fiume Oglio, il fiume Chiese ed il fiume Mella; divisi nelle tre valli principali. Il fiume Oglio nasce dal Corno dei Tre Signori, località tra le province di Brescia, Trento e Sondrio e scorre attraversando tutta la Val Camonica formando ed alimentando il lago d'Iseo. Sfociando nel bergamasco nei pressi di Sarnico, il fiume prosegue toccando tutti i comuni a ridosso tra le province di Brescia e Bergamo inglobando i principali affluenti, Cherio, Mella e Chiese lungo la bassa Bresciana e cremonese. Il fiume Chiese nasce nel gruppo dell'Adamello in territorio trentino e percorrendo la valle del Chiese entra in territorio bresciano andando a formare il lago d'Idro. Sfociando nei pressi del comune di Idro percorre tutta la valle Sabbia e parte della bassa Bresciana orientale (fino ad Acquafredda) entrando in territorio mantovano. Il fiume Mella è il più piccolo tra i tre corsi d'acqua principali bresciani vantando 96 km di lunghezza e una portata d'acqua di circa 11 m³/s). Nasce al passo del Maniva e percorre tutta la Valtrompia, raggiungendo e attraversando tangenzialmente il territorio cittadino di Brescia. Prosegue il proprio corso in alcuni comuni della bassa occidentale prima di sfociare nel fiume Oglio al confine con la provincia di Cremona nel territorio di Ostiano. I torrenti presenti sul territorio provinciale sono concentrati maggiormente in Val Camonica, spesso come affluenti dell'Oglio, o di altri torrenti maggiori, ma il principale corso d'acqua a carattere torrenziale, con i suoi 42 km di lunghezza, è il Garza, che nasce a Lumezzane in Valtrompia e attraversando il comune di Agnosine crea la cosiddetta Valle del Garza, nei comuni di Caino e Nave, prima di attraversare il territorio cittadino di Brescia e sfociare nel Mella a Capriano del Colle. Altri torrenti o canali artificiali che percorrono buona parte del territorio provinciale sono: la Seriola Vecchia, diretta derivazione dal fiume Oglio. Nasce da Palazzolo e bagna prevalentemente il territorio del comune di Chiari la Seriola Nuova, diretta derivazione dal fiume Oglio. Nasce da Palazzolo e bagna prevalentemente il territorio del comune di Chiari, raggiungendo Coccaglio e Rovato la Castrina, derivata dal fiume Oglio a Palazzolo, passa da Pontoglio e irriga le terre di Chiari la Fusia, deriva dal fiume Oglio a Paratico e bagna Capriolo, Palazzolo, Chiari, Cologne e Rovato la Castellana, deriva dall'Oglio a Pontoglio e passa per Urago irrigando Chiari, Comezzano, Castelcovati, Castrezzato il comprensorio della roggia Trenzana-Travagliata, diretta derivazione dell'Oglio, da cui poi derivano le rogge Trenzana e Travagliata. il Naviglio di Brescia, che nasce a Gavardo dal fiume Chiese e bagna i comuni della bassa Valle Sabbia, di Brescia e della bassa Bresciana orientale, prima di sfociare nell'Oglio all'altezza di Canneto, nel mantovano; il complesso del Gandovere/Mandolossa che scorre nella valle di Ome e nei pressi del confine fra Castegnato e Gussago si divide in due rami di cui uno sfocia nel Mella, mentre l'altro spaglia a Travagliato. il Redone, che nasce in località Lavagnone a Desenzano del Garda e, attraversando tutti i comuni del basso Garda, sfocia nel Mincio all'altezza di Monzambano, in provincia di Mantova; lo Strone che bagna la campagna della bassa bresciana fra San Paolo e Pontevico. la Seriola o Roggia Lonata, canale artificiale scavato intorno all'anno 1370 che deriva dal Chiese nel comune di Bedizzole e dopo aver attraversato i comuni di Lonato, Calcinato, Montichiari e Alto mantovano, ritorna nel fiume Chiese. Clima Secondo la classificazione dei climi di Köppen, la provincia gode del clima temperato umido (Cfa). È quindi piovoso o generalmente umido per tutte le stagioni, mentre le estati sono molto calde. La varietà orografica e la vastità territoriale comportano la presenza di piccole differenze climatiche a seconda della zona territoriale considerata. Solitamente le macro aree di riferimento sono: la Bassa Bresciana, l'area cittadina di Brescia, la zona del lago di Garda e le tre valli principali. Bassa Bresciana Nella zona della Bassa la piovosità è in genere moderata e ben distribuita nel corso dell'anno. Una media dei rilevamenti del trentennio 1971-2000, registrati nella stazione meteorologica di Ghedi, abbastanza indicativa per tutto il territorio a sud del capoluogo lombardo, ha indicato che i giorni in cui la piovosità si è registrata nell'arco di anno siano circa 84, circa il 25%, equamente distribuita nel corso dell'anno, con dei naturali picchi nella stagione primaverile. Stesso ragionamento segue la misura quantitativa delle precipitazioni, che registrano un leggero aumento in autunno toccando il picco di 274,9 mm. Vero fattore caratterizzante della zona è l'umidità relativa che mediamente si attesta intorno al 75,1% nel corso dell'anno, registrando il valore massimo in inverno con 82,3%, rispetto ad un più modesto, ma comunque elevato 69,3% di umidità nel periodo estivo. L'elevata presenza di umidità nell'aria fa sì che durante i mesi invernali ed autunnali si verifichi frequentemente il fenomeno della nebbia, come nel resto di tutta la pianura Padana. Le temperature sono solitamente in linea con quelle delle zone limitrofe nel mantovano e nel cremonese, e presentano una uniformità tra il periodo autunnale e primaverile, con temperature che si attestano intorno ai 15 °C, mentre si ha una moderata curvatura delle rilevazioni verso l'alto e verso il basso, rispettivamente nei periodi estivi, con punte di 39 °C, ed invernali, dove si sono registrati picchi negativi fino a 20 °C sotto lo zero. Benaco La zona del territorio bresciano che costeggia ad est il lago di Garda gode di un clima fortemente influenzato dal bacino lacustre che, rispetto ai territori circostanti, mitiga gli effetti del clima temperato continentale. Dai dati rilevati dalla stazione meteorologica posta nel comune di Salò, situato nella metà della costa est del lago, si rileva un significativo innalzamento delle temperature medie di tutte le stagioni con inverni non troppo rigidi e delle estati calde. Il numero di giorni di pioggia è leggermente maggiore rispetto al resto del territorio provinciale, così come la quantità media in millimetri delle precipitazioni. Area urbana L'area urbana che comprende i territori di Brescia e dell'hinterland sono caratterizzati da temperature solitamente superiori di 1-2 °C in tutte le stagioni, rispetto ad aree rurali o montuose come quelle della bassa Bresciana o della zona nord della provincia. Le precipitazioni sono in linea con quelli della provincia, con 70-80 giorni e circa 850 mm di pioggia in media nell'arco annuale ed equamente distribuito lungo le quattro stagioni, con un leggero calo nel periodo invernale. Anche il fenomeno della nebbia è presente, anche se in misura nettamente minore rispetto ai territori meridionali della provincia. Val Camonica La Val Camonica si divide climaticamente in due sezioni orizzontali; la parte meridionale, influenzata dall'azione del lago d'Iseo, che presenta un clima più simile a quello del Lago di Garda, e la parte settentrionale dal clima decisamente più rigido, grazie all'influenza dell'Adamello. Le precipitazioni in quest'area sono moderate e si concentrano nei mesi autunnali e primaverili; nel periodo invernale è frequente la caduta di neve, soprattutto nelle zone dell'alta valle. Storia La provincia fu istituita nel 1859, quando il Regno di Sardegna definì la propria ripartizione amministrativa tramite il Regio decreto 23 ottobre 1859, n. 3702. La provincia ereditava le funzioni dell'omonimo ente territoriale del regno Lombardo-Veneto e assunse pressappoco l'attuale estensione, compresa parte della Val Camonica, comprendente anche Ostiano, Volongo e alcuni comuni dell'attuale provincia di Mantova posti sulla riva destra del Mincio (Alto Mantovano). Con il Decreto Rattazzi fu introdotta una nuova organizzazione amministrativa, caratterizzata dalla suddivisione della provincia in cinque circondari, questi ultimi a sua volta divisi in mandamenti. Essi erano: circondario I di Brescia: mandamenti di Brescia (I - III), Rezzato (IV), Bagnolo Mella (V), Ospitaletto (VI), Gardone (VII), Bovegno (VIII), Iseo (IX), Lonato (X); circondario II di Chiari: mandamenti di Chiari (I), Adro (II), Orzinuovi (III); circondario III di Breno: mandamenti di Breno (I), Edolo (II); circondario IV di Salò: mandamenti di Salò (I), Gargnano (II), Vestone (III), Preseglie (IV); circondario V di Castiglione: mandamenti di Castiglione (I), Montechiaro (II), Asola (III), Volta (IV), Canneto (V); circondario VI di Verolanuova: mandamenti di Verolanuova (I), Leno (II). Nel 1868 il comune di Ostiano fu aggregato alla provincia di Cremona, mentre con la ricostituzione della provincia di Mantova, il Circondario di Castiglione fu scorporato e passarono all'ente mantovano i mandamenti di Castiglione, di Asola e di Canneto, comprensivi di Acquanegra sul Chiese e Asola, che nel Medioevo fecero parte del territorio bresciano (nel caso di Asola, anche nel periodo veneto). Montechiaro e i comuni limitrofi furono aggregati al circondario di Brescia come XI mandamento. Furono aggiunti contestualmente nuovi mandamenti al circondario di Chiari (Rovato come II, facendo scalare Adro e Orzinuovi di un ordinale, rispettivamente a III e IV), Breno (II di Pisogne, con Edolo che diventava III) e Salò (Bagolino come IV, con Preseglie che diventava V). Nel 1871 anche il comune di Volongo fu aggregato alla provincia cremonese. Nel 1934 il comune di Turano fu staccato dalla provincia di Trento e aggregato alla provincia bresciana con il nome di Valvestino. Stemma Lo stemma della provincia di Brescia è costituito dall'unione di cinque arme civiche: quella di Brescia al centro, quella del comune di Chiari, di Breno, di Verolanuova e di Salò; esso fu concesso con regio decreto del 10 marzo 1904, la sua blasonatura è la seguente: Referendum consultivi sulla fusione di comuni La tabella riepiloga i referendum consultivi per la fusione di comuni. In grassetto sono indicati i comuni che hanno approvato il quesito: Monumenti e luoghi d'interesse Patrimoni dell'umanità - UNESCO Incisioni rupestri della Val Camonica Parco nazionale delle incisioni rupestri di Naquane, Capo di Ponte Parco archeologico nazionale dei Massi di Cemmo, Capo di Ponte Parco archeologico comunale di Seradina-Bedolina, Capo di Ponte Museo nazionale della preistoria della Valle Camonica, Capo di Ponte Museo didattico di arte e vita preistorica, Capo di Ponte Riserva naturale Incisioni rupestri di Ceto, Cimbergo e Paspardo Museo archeologico nazionale della Valle Camonica, Cividate Camuno Parco di Interesse Sovracomunale del Lago Moro, Luine e Monticolo, Darfo Boario Terme Parco archeologico di Asinino-Anvòia, Ossimo Parco comunale archeologico-minerario di Sellero Percorso pluritematico del "Coren delle Fate", Sonico Brescia, luogo del potere longobardo Monastero di Santa Giulia Basilica di San Salvatore Chiesa di Santa Giulia Chiesa di Santa Maria in Solario Coro delle monache Museo di Santa Giulia Capitolium Santuario repubblicano Teatro romano Domus dell'Ortaglia Palazzo Maggi Gambara Siti palafitticoli preistorici dell'arco alpino Lavagnone, Desenzano del Garda San Sivino, Gabbiano, Manerba del Garda Lugana Vecchia, Sirmione Lucone di Polpenazze Castelli e fortezze Castello di Brescia; Castello di Sirmione; Rocca di Lonato; Castello Bonoris; Castello di Desenzano; Castello di Breno; Rocca d'Anfo; Castello di Padenghe; Castello di Padernello; Castello di Pozzolengo; Castello di Carzago; Castello di Drugolo; Castello di Soiano del Lago; Castello di Moniga del Garda; Castello di Bornato; Castello di Capriolo; Castello Oldofredi-Martinengo (Monte Isola); Castello San Giorgio (Orzinuovi). Osservatori astronomici Osservatorio Bassano Bresciano Specola Cidnea, Brescia Osservatorio astronomico Serafino Zani, Lumezzane Osservatorio astronomico di Cima Rest, Magasa Altri luoghi d'interesse Brescia; Lago di Garda, Lago d'Iseo e Lago d'Idro; Parco Nazionale dello Stelvio; Parco regionale dell'Adamello; Parco regionale dell'Alto Garda Bresciano; Riserva naturale Torbiere del Sebino; Riserva naturale Piramidi di Zone; I borghi più belli d'Italia: Bienno, Gardone Riviera, Montisola e Tremosine; Grandi Giardini Italiani: Vittoriale degli Italiani, Isola del Garda, Giardino Botanico Andrè Heller, Le Vigne di Bellavista - Franciacorta; Monumenti Naturali: Buco del Frate, Altopiano di Cariadeghe, Baluton e Masso del Permico; Stazioni sciistiche di Ponte di Legno, Temù e Montecampione in Valcamonica; Regione vitivinicola della Franciacorta; Grotte di Catullo. Infrastrutture e trasporti Trasporto su strada La provincia è attraversata da ovest a est dall'autostrada A4 che interseca nei pressi del capoluogo l'autostrada A21 proveniente da sud. Per via della geografia locale, le strade si allontanano dal capoluogo verso la periferia (laghi, valli, pianura) tramite una struttura a raggiera che converge sul capoluogo. L'asse viario portante è la ex strada statale 11 Padana Superiore che attraversa la provincia da Chiari a Sirmione passando per Brescia. Dalla ex SS 11 si staccano la ex strada statale 510 Sebina Orientale che rappresenta la porta d'accesso per il lago d'Iseo e Valcamonica, e la strada statale 45 bis Gardesana Occidentale che collega il capoluogo bresciano a Cremona e a Trento. La ex strada statale 236 Goitese permette il collegamento della città con Mantova, mentre la Val Sabbia e la Val Trompia possono essere raggiunte percorrendo rispettivamente la ex strada statale 237 del Caffaro e la ex strada statale 345 delle Tre Valli. Dal 2014 esiste la A35-BreBeMi che serve la zona sud-ovest della provincia (la bassa bresciana occidentale). La provincia di Brescia possiede inoltre una rete ciclopedonale di circa 300 km. Autostrade: Torino - Trieste Torino - Brescia Brescia - Milano Raccordo autostradale Ospitaletto-Montichiari Strade statali: dell'Aprica del Tonale e della Mendola Gardesana Occidentale Strade provinciali L'attuale patrimonio stradale della provincia, comprese le strade ex statali in applicazione del decreto legislativo n. 112 del 1998, conta un totale di 130 strade. Trasporto su rotaia Il principale nodo ferroviario è la stazione di Brescia, posta sulla direttrice Milano-Venezia, da cui dipartono anche le tratte verso Cremona, verso Parma e verso Lecco. Dalla stazione si diparte anche la ferrovia Brescia-Iseo-Edolo che serve la zona del Sebino e della Valcamonica. Dal 2013 è presente nel capoluogo una linea di metropolitana leggera. In passato, in provincia erano attive una rete tranviaria urbana ed una extraurbana dismesse negli anni quaranta e cinquanta del XX secolo. Trasporto pubblico su gomma In ottemperanza alla Legge Regionale n. 22 del 29 ottobre 1998 sulla riforma del Trasporto Pubblico Locale, l'amministrazione provinciale ha provveduto a suddividere la Provincia in quattro sottoreti, o comparti, di trasporti pubblici automobilistici: sottorete urbana: comprendente il capoluogo e 14 comuni dell'Hinterland; sottorete "Val Trompia, Garda e Valle Sabbia"; sottorete "Bassa Pianura Bresciana e Franciacorta"; sottorete "Sebino e Valle Camonica. Le prime tre sottoreti sono state attribuite dagli enti locali (comune di Brescia, per la prima sottorete, e amministrazione provinciale per le altre due) tramite gara d'appalto. In particolare: un'Associazione Temporanea d'Imprese fra Brescia Trasporti S.p.A. e SIA Società Italiana Autoservizi S.p.A. gestisce il servizio della rete dell'hinterland cittadino dal 4 luglio 2005; il Consorzio Brescia Nord, composto da SIA Autoservizi, mandataria della società consortile, SAIA Trasporti S.p.A., Brescia Trasporti e ATV gestisce il servizio nella sottorete "Val Trompia, Garda e Val Sabbia" dal 1º gennaio 2005; il Consorzio Brescia Sud, formato da SAIA Trasporti, mandataria della società consortile, SIA Società Italiana Autoservizi S.p.A. e APAM, esercisce il servizio nel comparto Bassa Bresciana e Franciacorta dal 1º gennaio 2005. La quarta sottorete attualmente non è stata ancora attribuita, in quanto è stato sospeso il bando di assegnazione. Il servizio automobilistico della zona viene attualmente esercitato dalla Ferrovie Nord Milano Autoservizi in regime provvisorio di proroga della concessione precedente. Trasporto aereo In provincia è presente l'aeroporto di Brescia-Montichiari, sebbene utilizzato principalmente per voli postali e cargo, accoglie altresì voli per passeggeri. Voli internazionali: stagionali per l'Ucraina (Aeroporto di Leopoli) della compagnia aerea Windrose. Trasporto lacustre Sul lago di Garda e sul lago d'Iseo è attivo un sistema di trasporti lacustre che si avvale di traghetti, aliscafi e catamarani. Ecologia Raccolta differenziata Dati sulla percentuale di raccolta differenziata: Amministrazione Il Presidente della Provincia in carica è Emanuele Moraschini, Sindaco di Esine Comuni Appartengono alla provincia di Brescia i seguenti 205 comuni: Acquafredda Adro Agnosine Alfianello Anfo Angolo Terme Artogne Azzano Mella Bagnolo Mella Bagolino Barbariga Barghe Bassano Bresciano Bedizzole Berlingo Berzo Demo Berzo Inferiore Bienno Bione Borgo San Giacomo Borgosatollo Borno Botticino Bovegno Bovezzo Brandico Braone Breno Brescia Brione Caino Calcinato Calvagese della Riviera Calvisano Capo di Ponte Capovalle Capriano del Colle Capriolo Carpenedolo Castegnato Castel Mella Castelcovati Castenedolo Casto Castrezzato Cazzago San Martino Cedegolo Cellatica Cerveno Ceto Cevo Chiari Cigole Cimbergo Cividate Camuno Coccaglio Collebeato Collio Cologne Comezzano-Cizzago Concesio Corte Franca Corteno Golgi Corzano Darfo Boario Terme Dello Desenzano del Garda Edolo Erbusco Esine Fiesse Flero Gambara Gardone Riviera Gardone Val Trompia Gargnano Gavardo Ghedi Gianico Gottolengo Gussago Idro Incudine Irma Iseo Isorella Lavenone Leno Limone sul Garda Lodrino Lograto Lonato del Garda Longhena Losine Lozio Lumezzane Maclodio Magasa Mairano Malegno Malonno Manerba del Garda Manerbio Marcheno Marmentino Marone Mazzano Milzano Moniga del Garda Monno Monte Isola Monticelli Brusati Montichiari Montirone Mura Muscoline Nave Niardo Nuvolento Nuvolera Odolo Offlaga Ome Ono San Pietro Orzinuovi Orzivecchi Ospitaletto Ossimo Padenghe sul Garda Paderno Franciacorta Paisco Loveno Paitone Palazzolo sull'Oglio Paratico Paspardo Passirano Pavone del Mella Pertica Alta Pertica Bassa Pezzaze Pian Camuno Piancogno Pisogne Polaveno Polpenazze del Garda Pompiano Poncarale Ponte di Legno Pontevico Pontoglio Pozzolengo Pralboino Preseglie Prevalle Provaglio Val Sabbia Provaglio d'Iseo Puegnago del Garda Quinzano d'Oglio Remedello Rezzato Roccafranca Rodengo-Saiano Roncadelle Rovato Roè Volciano Rudiano Sabbio Chiese Sale Marasino Salò San Felice del Benaco San Gervasio Bresciano San Paolo San Zeno Naviglio Sarezzo Saviore dell'Adamello Sellero Seniga Serle Sirmione Soiano del Lago Sonico Sulzano Tavernole sul Mella Temù Tignale Torbole Casaglia Toscolano Maderno Travagliato Tremosine sul Garda Trenzano Treviso Bresciano Urago d'Oglio Vallio Terme Valvestino Verolanuova Verolavecchia Vestone Vezza d'Oglio Villa Carcina Villachiara Villanuova sul Clisi Vione Visano Vobarno Zone Comuni più popolosi Di seguito è riportata la lista dei dieci comuni maggiormente popolati della provincia, ordinati per numero di abitanti (dati: Istat 31/12/2022): Il comune meno popoloso è Magasa, con solo 106 abitanti. Comuni alle estremità geografiche Sport La provincia di Brescia è attiva e presente in diversi sport. Atletica leggera: la provincia di Brescia è una delle provincie italiane più attive nella diffusione della regina degli sport. L'Atletica Brescia 1950 Ispa Group è una delle più importanti società italiane di atletica femminile, nel 1988 la società viene premiata con la “Stella d’argento al merito sportivo”, ambito e importante riconoscimento del C.O.N.I., nel 2019 ha vinto lo scudetto nazionale ai Campionati Italiani di Società Assoluto su pista femminile a Firenze. A marzo a Brescia si svolge la BAM Brescia Art Marathon, una serie di gare competitive molto frequentate. Automobilismo: la città è punto di partenza e arrivo della Mille Miglia, il primo Gran Premio d'Italia nella storia si è svolto a Montichiari, è presente l'Autodromo di Franciacorta, oltre a numerose piste di kart, e in città ha la sede la Scuderia Italia, che ha gareggiato in Formula 1 con vetture costruite dalla Dallara. Baseball: il CUS Brescia Baseball, unica squadra di baseball del territorio bresciano, fondata nel 1987, dal 2015 milita nel campionato di Serie A. Calcio: la squadra del Brescia Calcio milita nel campionato di Serie B e la Feralpisalò nella Serie C. Football americano: i Bengals Brescia sono stati tre volte Campioni d'Italia FIF vincendo i relativi Superbowl. Ginnastica artistica femminile: la squadra del Brixia è stata quattordici volte campione d'Italia. Hockey su prato: la squadra Hockey CusCube Brescia milita nel campionato nazionale di Serie A2. Pallacanestro: la Basket Brescia Leonessa, squadra rifondata nel 2009, è passata in breve tempo dal campionato dilettantesco alla Legadue e successivamente in Serie A con discreto successo di pubblico. Attualmente (2017) è la prima società di pallacanestro bresciana dopo il fallimento, nel 1996, della storica Basket Brescia. Pallamano: presente con le società Pallamano Leonessa, A.S.D. Pallamano Palazzolo, Pallamano Cologne e Handball Leno. Pallanuoto: La compagine cittadina Associazione Nuotatori Brescia partecipa alla Serie A1 è vincitrice di uno scudetto, tre coppe Italia, quattro coppe LEN (2002 - 2003 - 2006 - 2016); altra società è la Brescia Waterpolo che milita nel campionato di Serie A2. Pallavolo: la città di Brescia è rappresentata dall'Atlantide Pallavolo Brescia militante in serie A2 maschile (2014-15), mentre in provincia con la squadra Promoball Volleyball Flero. Degne di menzione poiché legate alla provincia sono le società oramai sciolte Gabeca Pallavolo e Pallavolo Brescia. Rugby: nel campionato di eccellenza la squadra del Rugby Calvisano ha conquistato il suo settimo titolo di campione d'Italia; mentre nella seconda divisione milita il Rugby Brescia ed un tempo, l'oramai estinto club Rugby Leonessa. Wrestling: La ICW ha una palestra di wrestling a Brescia. Nel 2011, a Lonato del Garda, si è svolta la 13ª edizione di Coppa del Mondo di Scherma Paralimpica organizzata dalla Associazione Villa Dei Colli Lonato Onlus dalla World Cup ASD Onlus. La competizione è riconosciuta da anni quale appuntamento più ambito nel mondo della scherma e vede mediamente la partecipazione di 20 nazioni. Gastronomia La provincia di Brescia conta molti piatti tipici, tra cui: il bossolà bresciano Il brasato al Franciacorta di Capriolo i casoncelli di Barbariga, Castelcovati e Longhena (preparazioni Deco); preparati con salvia, burro fuso e grana grattugiato il maiale alla bresciana il manzo all'olio di Rovato la marronata di Gottolengo La rete de.co. di Capriolo il salame cotto di Quinzano lo spiedo bresciano, costituito da uccellini, carne, patate, salvia ed accompagnato con polenta la tinca al forno con polenta (soprattutto a Clusane) la Travagliatina Altri piatti della gastronomia bresciana, serviti con i molti vini DOC della provincia, sono: la grigliata, la gallina ripiena, l'uovo al tegamino con molto burro "nero", la bistecca di cavallo, il panino con salamina, lo spezzatino ai funghi, la cacciagione, la trota, la minestra di riso con le erbe, la pastasciutta al salmì (di lepre o di cinghiale), le ossa di maiale (lessate) e la polenta in accompagnamento. La provincia è caratteristica per la produzione di diversi formaggi, tra cui: Bagòss, Nostrano Valtrompia, Silter, Tombea, le formaggelle delle valli, la Rosa Camuna e i caprini della Val Camonica, la robiola, lo stracchino, il gorgonzola e il Grana Padano. Pur non essendo una pietanza, si segnala l'aperitivo bresciano per antonomasia: il pirlo. Note Voci correlate Dipartimento del Mella Brescia Rete ciclopedonale della provincia di Brescia Rete Bibliotecaria Bresciana Altri progetti Collegamenti esterni Scoprire Brescia e la sua provincia Brescia
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Provincia di Catania
La provincia di Catania (pruvincia ri Catania in dialetto catanese), successivamente provincia regionale di Catania, amministrativamente denominata dal 2014 città metropolitana di Catania in seguito alla soppressione delle province, è stata una delle nove province siciliane, con abitanti e una superficie di 3.574 km² comprendente 58 comuni. In ottemperanza alla legge regionale del 4 agosto 2015, la provincia di Catania ha cessato di esistere per essere sostituita dalla città metropolitana di Catania. Affacciata a est sul mar Ionio, confinava a nord con la provincia di Messina (limite segnato in buona parte dal corso del fiume Alcantara), a ovest con la provincia di Enna e la provincia di Caltanissetta, a sud con la provincia di Ragusa e la provincia di Siracusa. Geografia fisica Confinava a nord con la provincia di Messina (il cui confine è segnato in buona parte dal corso del fiume Alcantara), ad ovest con la provincia di Enna e quella di Caltanissetta, a sud con quelle di Ragusa e di Siracusa. Il territorio provinciale, data la sua vastità territoriale, comprendeva diverse aree storicamente distinte, quali l'Acese (a est, con capocomprensorio attestabile nella città di Acireale) e la costa jonico-etnea (a nord-est, con capocomprensorio Giarre), il Calatino-Sud Simeto (a sud, con capocomprensorio Caltagirone, la città più popolosa e rilevante della zona), l'area dell'Etna occidentale (a nord-ovest, con capocomprensorio Paternò, la città più grande dell'area) e l'Area metropolitana di Catania. Storia Il XIX secolo e l'Unità d'Italia Le origini della provincia catanese sono da ricondursi all'omonimo ente creato dal Regno delle Due Sicilie nel 1817 durante la Restaurazione. La provincia borbonica verrà abolita dalle nuove autorità garibaldine nel 1860. La provincia, e in particolare la città di Bronte durante l'impresa dei Mille furono teatro di un episodio controverso, noto come la Rivolta di Bronte. Nell'agosto del 1860, i contadini di Bronte si ribellarono occupando le terre dei latifondisti, dando credito alle promesse di equa ripartizione delle terre da parte di Garibaldi. La rivolta fu soppressa nel sangue da Nino Bixio forse perché timoroso di un'eventuale rivoluzione repubblicana. A seguito dell'unificazione d'Italia con la creazione della provincia etnea del nuovo regno, con R.D. n. 929 del 16 ottobre 1862, anche la Camera consultiva di commercio venne trasformata in Camera di Commercio ed Arti e nel dicembre dello stesso anno istituita la Borsa valori. Fu un risultato brillante per l'economia della provincia attirando gli investimenti di finanzieri del più ricco nord Europa interessati all'attività mineraria zolfifera che facendo capo al porto di Catania ne permetteva l'agevole esportazione. Vennero quindi impiantate banche e finanziati progetti di ferrovie minerarie. La crescita economica e sociale si riscontrava soprattutto nel capoluogo, Catania che alla fine dell'Ottocento appariva dotata di una veste cittadina molto elegante, pur con differenze macroscopiche riguardo ai quartieri di sud-ovest, quelli classici dell'immigrazione della manodopera. Gli anni settanta del XIX secolo vedono Catania divenire la capitale dello zolfo isolano; le ferrovie attirano ormai sulla città e sul suo porto anche gli zolfi di Villarosa che prima venivano trasportati ad Agrigento e anche grazie a questo il porto di Catania ottiene la categoria di porto di 1ª classe in virtù del volume di merci movimentate. Oltre 20.000 tessitori ormai lavoravano nelle filande del capoluogo, immigrati da tutta la provincia e il Banco di Sicilia vi aprì la sua prima filiale. La popolazione di Catania passò dai 52.000 abitanti del 1834 ai 101.000 del 1881. Un rapporto del 1887 del Gentile Cusa registra l'assenza di emigrazione verso l'estero dal catanese, a differenza del resto della Sicilia. Verso la fine del secolo, anche grazie all'apporto di capitale straniero e ai finanziamenti delle banche, si svilupparono le raffinerie di zolfo e le industrie chimiche a esso collegate, le attività molitorie, come i grandi Mulini Prinzi che importavano grano ed esportavano farine; il cotonificio De Feo impiegava oltre 480 addetti e nel 1897 produceva 1 500 kg di filati al giorno; estesa era anche la produzione di mobili e di carrozze. La fine del secolo vide anche la costruzione della Ferrovia Circumetnea che trasportava merci e viaggiatori dalle zone attorno all'Etna verso Catania e il suo porto e contribuiva all'export dei vini etnei tramite il porto di Riposto. Vengono anche approntati progetti di linee tranviarie a servizio delle zone minerarie come la tranvia a vapore Raddusa Scalo-Assoro Scalo-Sant'Agostino e in seguito la tranvia elettrica Catania-Acireale. L'industrializzazione del XX secolo Nei primi decenni del Novecento il movimento complessivo delle merci nel porto, indice di sviluppo e benessere della provincia e dell'area siciliana orientale, era in netta crescita e Catania divenne il riferimento economico dell'intera Sicilia con lo sviluppo nel campo industriale, nelle concerie e nel tessile, ma soprattutto nella raffinazione e commercializzazione dello zolfo che proveniva dall'interno e gravitava per la maggior parte nel capoluogo tanto da far parlare di Catania come della Milano del Sud. Secondo una statistica di fine secolo la provincia di Catania esportava zolfi, cereali e frutta dal porto di Catania e vini dal porto di Riposto verso le destinazioni di U.S.A., Francia, Austria e Gran Bretagna e importava cotone grezzo e ferro dalla Gran Bretagna, pelli per le concerie dalla Francia, lana da Austria e Francia, grano dalla Russia e alcool dagli Stati Uniti. Lo scoppio della prima guerra mondiale fece crollare rapidamente il traffico mercantile a causa della chiusura dei mercati orientali Impero ottomano interessati dall'economia catanese e del traffico marittimo con l'Austria. La città e l'intera provincia entrarono quindi in una seria crisi. Anche il commercio dello zolfo andava sempre più ridimensionandosi a causa della concorrenza dello zolfo del Texas prodotto con metodi più moderni e a costi inferiori. A Catania infine già nel primo decennio del Novecento, agli albori del cinema, sorsero varie case di produzione cinematografica: "Morgana film" (da non confondersi con un'omonima società costituita a Roma), "Etna film", "Katana film", "Sicula film" e "Jonio film". La produzione cinematografica di Catania durerà però solo pochi anni. Vennero presto favorite e finanziate altre sedi e il settore entrò in crisi. Il primo dopoguerra Nel primo dopoguerra vennero individuati alcuni punti fermi per il rilancio dell'economia con un vasto programma di bonifiche e raccolta e canalizzazione dell'acqua d'irrigazione e nella produzione indispensabile di energia elettrica. Vennero quindi approntate e messe in opera le bonifiche del Pantano d'Arci, del Biviere di Lentini, e del corso dell'alto Simeto. Importanti fattori di ripresa dello sviluppo furono inoltre gli interventi di riassetto del porto di Catania con la costruzione del nuovo molo centrale e di attrezzature per il carico e lo scarico delle navi. Il periodo fascista produsse comunque globalmente una terziarizzazione della società catanese e a una stagnazione produttiva della provincia, anche a causa della perdita dei suoi commerci verso i paesi esteri, con i quali le relazioni diventavano sempre più difficili a causa dell'embargo e dalla perdita dei mercati orientali seguita ai mutati assetti politici del dopoguerra. Nel 1927 la provincia di Catania venne anche decurtata di una parte del suo territorio nell'ambito della creazione della nuova provincia di Castrogiovanni (poi Enna) perdendo la sua giurisdizione sui comuni della sponda occidentale del Simeto fino a Nicosia e della Piana di Catania oltre Catenanuova. Nel novembre del 1928 un'eruzione dopo aver minacciato i centri di Sant'Alfio e Nunziata, investì e sommerse Mascali. L'eruzione provocò ingenti danni all'economia agricola e la chiusura della tratta della Ferrovia Circumetnea e della direttrice Catania-Messina delle ferrovie e la strada carrabile statale. La cittadina mascalese venne quindi interamente ricostruita in un'area adiacente, nello stile dell'allora nascente regime fascista. Il secondo dopoguerra Il secondo conflitto mondiale interessò particolarmente l'area dell'ex provincia quando, a seguito dello sbarco in Sicilia, da parte delle truppe statunitensi nel 1943, fu sottoposta a intensi e disastrosi bombardamenti alleati che distrussero gravemente le infrastrutture portuali e ferroviarie nelle due direttrici fondamentali Catania – Palermo e Catania – Messina e Siracusa. Bombardati e distrutti anche gli aeroporti di Catania, Gerbini e Vizzini. La dura resistenza prima alla piana di Catania e poi sull'asse Troina – Randazzo – Mar Ionio (direttrice della ritirata della divisione tedesca di SS "Göring") oltre a migliaia di vittime di entrambe le parti lasciò il territorio provinciale e cittadino in condizioni disastrose. Proprio il territorio provinciale vide perpetrarsi la prima rappresaglia nazista nei confronti della popolazione civile italiana: la Strage di Castiglione. Dopo il greve periodo dell'occupazione alleata, nel quale si pensò piuttosto alla sopravvivenza e nel quale ebbero origine attività, non proprio pulite di mercato nero, iniziò la ricostruzione. La fine del regime e il caos politico seguito alla caduta di Mussolini, fecero risorgere le istanze autonomiste e proprio Catania divenne una delle roccaforti dell'EVIS. L'esercito autonomista, che aveva la sede operativa nel capoluogo, vi organizzò la lotta armata e i sabotaggi sino al 17 giugno 1945, quando, in uno scontro a fuoco con i carabinieri in contrada "Murazzu ruttu" (Randazzo) veniva ucciso Antonio Canepa, insieme con altri due esponenti. La I legislatura dell'Italia repubblicana fu caratterizzata dall'opera di ricostruzione e dalla realizzazione di un piano di riforme. La legge n. 43 del 28 febbraio 1949, tramite il Piano INA-Casa, favorì il rilancio dell'attività edilizia, la riduzione della disoccupazione con la costruzione di alloggi popolari. Un'altra riforma fu quella agraria del 1950 predisposta da Antonio Segni, ministro dell'Agricoltura che il 27 dicembre, la Regione Siciliana, con un'altra legge di riforma, adeguò al territorio dell'isola. Vennero espropriati ettari ed ettari di terreni realizzando così uno degli obiettivi politici di De Gasperi: creare una classe di piccoli proprietari, migliorare le arcaiche condizioni dell'agricoltura in alcune parti del paese. La Cassa per il Mezzogiorno fu l'altra riforma approvata all'inizio degli anni cinquanta. Il disegno di legge, che fu deliberato dal Consiglio Nazionale della Democrazia Cristiana presieduto da don Luigi Sturzo, produsse la legge 10 agosto 1959, n. 646. Essa prevedeva un programma finalizzato di lavori pubblici per un decennio e individuava, come priorità, la sistemazione idraulico-forestale e la bonifica, anche per favorire la riforma fondiaria e assicurare lo sviluppo del meridione. Vennero così costituiti consorzi ed enti di bonifica per completare i mai finiti progetti dell'anteguerra; Il consorzio di bonifica del Simeto rese utilizzabili nuove aree da coltivare, canalizzando le acque irrigue e regolò il corso dei fiumi principali che straripando periodicamente riformavano i pantani di sempre, nella Piana di Catania. Negli anni cinquanta nacque la Zona industriale di Catania in quello che era stato il Pantano d'Arci, l'edilizia iniziò a svilupparsi su larga scala costituendo le basi per un settore ancor oggi trainante attraendo tuttavia sempre più popolazione, in cerca di lavoro, verso la città di Catania. A seguito della riforma agraria vennero spezzettati i vecchi latifondi e costruite migliaia di case coloniche nella piana di Catania; tuttavia l'esiguità dei frazionamenti non sortirà l'effetto sperato e molte case coloniche verranno abbandonate non molti anni dopo a causa dell'emigrazione verso il nord Italia e spiccatamente a Milano e a Torino. Le aree ricche saranno ancora quelle della produzione agrumaria della zona pedemontana dell'Etna e delle colline a sud della piana. Comuni La Provincia Regionale di Catania, alla data sua soppressione, era costituita dai seguenti comuni: Aci Bonaccorsi Aci Castello Aci Catena Aci Sant'Antonio Acireale Adrano Belpasso Biancavilla Bronte Calatabiano Caltagirone Camporotondo Etneo Castel di Iudica Castiglione di Sicilia Catania Fiumefreddo di Sicilia Giarre Grammichele Gravina di Catania Licodia Eubea Linguaglossa Maletto Maniace Mascali Mascalucia Mazzarrone Militello in Val di Catania Milo Mineo Mirabella Imbaccari Misterbianco Motta Sant'Anastasia Nicolosi Palagonia Paternò Pedara Piedimonte Etneo Raddusa Ragalna Ramacca Randazzo Riposto San Cono San Giovanni la Punta San Gregorio di Catania San Michele di Ganzaria San Pietro Clarenza Sant'Agata li Battiati Sant'Alfio Santa Maria di Licodia Santa Venerina Scordia Trecastagni Tremestieri Etneo Valverde Viagrande Vizzini Zafferana Etnea Amministrazione Presidenti della provincia di Catania Con l'unità d'Italia la provincia di Catania, come tutte le province italiane, fu affidata a un prefetto. Solo dal 1889 il presidente della deputazione provinciale fu scelto dal Consiglio provinciale, che era un organismo distinto: elenchi che mischino i due organi sono totalmente erronei. Dal 19 ottobre 1946 a capo della provincia vi fu un commissario prefettizio e si successero Umberto Mondio e Salvatore Ferro, fino al 18 giugno 1947. La provincia venne poi retta da un Delegato Regionale Provvisorio fino al 22 dicembre 1964. Nel 1964 il governo regionale siciliano decise di creare un consiglio di secondo grado dei liberi consorzi scelti dai consiglieri comunali, e nel 1970 si arrivò alla restaurazione della vita democratica nelle province convocando per la prima volta le elezioni, omologandosi al resto d'Italia. Durante il mandato di Antonio Torrisi (1984-1986), la Provincia cambiò nome in Provincia Regionale con un'operazione puramente lessicale. Ben più significativa fu la riforma del 1994 che portò all'elezione diretta del Presidente della Provincia: Il 28 marzo 2014 fu disposta la soppressione delle nove Provincie Regionali, sostituite da "Liberi Consorzi Comunali ", in seguito all'entrata in vigore della legge approvata dall'Assemblea Regionale Siciliana il 12 marzo 2014. Un'ulteriore legge regionale avrebbe disciplinato compiti e funzioni di questi nuovi Enti, mentre ogni Provincia è stata, nel frattempo, retta da un Commissario straordinario nominato dalla giunta regionale. Dal 2015 l'ente è stato definitivamente sostituito dalla Città Metropolitana di Catania, in base alla L.R. 15 del 4 agosto 2015. Note Bibliografia Giuseppe Giarrizzo, Catania. Bari, Editori Laterza, 1986 ISBN 88-420-2786-3 Moses I.Finley, Storia della Sicilia antica, Editori Laterza, 1979 Jean Huri, Storia della Sicilia, Brancato Editore, 2006 ISBN 88-8031-078-X Santi Correnti, Breve storia della Sicilia, T.e. Newton, 2002 ISBN 88-7983-511-4 Salvatore Arcidiacono, Guida naturalistica della provincia di Catania, Maimone, Catania 2003 AA. VV., Catania e provincia: Le città barocche, il Mar Jonio, l'Etna e le aree naturali, Touring, 2000 AA. VV., Guida di Catania e provincia, Maimone, Catania, 1994 Elisa Bonacini, Il territorio calatino nella Sicilia imperiale e tardoromana, British Archeological Reports, International Series BAR S1694, Oxford 2007; ISBN 978-1-4073-0136-5 Attilio L. Vinci, Magica Sicilia, Campo, Alcamo (Trapani), 2018. ISBN 978-88-943699-1-5 Voci correlate Ferrovia Circumetnea Società Vittorio Emanuele Provincia di Catania (Regno delle Due Sicilie) Presidenti della Provincia di Catania Distretto Taormina-Etna Altri progetti Collegamenti esterni Catania
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Provincia di Milano
La provincia di Milano è stata una provincia italiana della Lombardia, a cui dal 2015 è subentrata la città metropolitana di Milano succedendo in tutti i rapporti attivi e passivi. Geografia fisica La provincia di Milano era situata nella Lombardia centro-occidentale, nel tratto di alta Pianura Padana compreso tra il fiume Ticino a Ovest e il fiume Adda a Est. Il territorio era attraversato, oltre che dall'Adda e dal Ticino, anche dall'Olona, dal Lambro, dal Seveso, dalla rete dei Navigli milanesi (Naviglio Grande, Naviglio Martesana, Naviglio Pavese) e da alcuni torrenti (Lura, Bozzente, Molgora, Arno). Nella sua configurazione territoriale degli anni dieci del XXI secolo, a nord confinava con la provincia di Varese e la provincia di Monza e Brianza, a est con la provincia di Bergamo, a sud est con la provincia di Cremona e la provincia di Lodi, a sud ovest con la provincia di Pavia, a ovest con la provincia di Novara (Piemonte), e inoltre comprendeva il comune di San Colombano al Lambro, un'exclave compreso tra le province di Lodi e Pavia. Storia La provincia di Milano tra Asburgo e Napoleone La provincia di Milano nacque nel 1786 dalla divisione della Lombardia austriaca in province. In età napoleonica, anno 1797, la provincia fu sostituita dal Dipartimento d'Olona. Nel 1816 fu ricreata come provincia del Regno Lombardo-Veneto, ma con l'esclusione del territorio di Pavia, organizzato in provincia autonoma. La provincia di Milano in Italia La provincia fu confermata dal decreto Rattazzi del 1859 a guerra d’indipendenza in corso, mentre i suoi organi amministrativi e istituzionali entrarono in vigore nel 1860 a seguito della ratifica del trattato di Zurigo - che sancì il definitivo passaggio della Lombardia al Regno di Sardegna - e delle elezioni amministrative tenutesi in gennaio. Il territorio del nuovo ente riprendeva quello dell'omonima istituzione del Lombardo-Veneto, a cui furono aggiunte Abbiategrasso e Magenta, già in provincia di Pavia, e gran parte della soppressa provincia di Lodi e Crema. L’inclusione del territorio lodigiano, che non aveva nessuna giustificazione storica, fu voluta da Cavour per moderare le tendenze politiche troppe progressiste della metropoli aggregandovi un’ampia campagna più cattolica e quindi conservatrice. Le prime elezioni provinciali furono indette il 2 gennaio 1860 e celebrate il 15 gennaio, applicando un sistema elettorale plurinominale o uninominale frazionato per mandamenti su base censuaria: il diritto di voto attivo fu riconosciuto solo all'un per cento della popolazione residente. I risultati furono proclamati il 25 gennaio in corrispondenza della nomina del primo Governatore (in tempi successivi divenuto Prefetto) nella persona del torinese Massimo d'Azeglio. Le elezioni videro un'affluenza pari a poco più di un terzo degli elettori aventi diritto di voto. In quel periodo la provincia di Milano si estendeva su 2.992,5 km² ed era suddivisa in cinque circondari, frazionati a loro volta in 39 mandamenti o 498 comuni. Nel 1927 vennero distaccati 37 comuni (fra cui Gallarate, Saronno e Sesto Calende), che passarono alla nuova provincia di Varese. Nel 1936 il comune di Cantonale venne soppresso e aggregato al comune di Chignolo Po, appartenente alla provincia di Pavia. Nel 1995 dal territorio della Provincia di Milano fu distaccata e creata la nuova provincia di Lodi, lasciando così 189 comuni nella Provincia. Nel 2009 è divenuta operativa anche la nuova provincia di Monza e della Brianza, alla quale aderiscono 55 comuni precedentemente inclusi nella provincia di Milano, un'area ad alta densità abitativa e superficie di circa 405 km²: essa comprende la città di Monza, parte del Monzese e i comuni dell'area geografica riconducibile alla bassa Brianza non comasca e non lecchese ovvero una parte della Brianza già Milanese (vedi Comuni della Brianza). Si possono considerare storicamente della bassa Brianza Milanese anche Comuni ancora in Provincia di Milano: Cinisello Balsamo, Cusano Milanino, Paderno Dugnano e Solaro; Basiano, Carugate, Cassano d'Adda, Grezzago, Pozzo d'Adda, Trezzano Rosa, Trezzo sull'Adda, Vaprio d'Adda. Nel 2010 la Provincia di Milano ha celebrato il suo 150º anniversario con una serie di iniziative ufficiali ed un sito istituzionale dedicato. Dal 1º gennaio 2015, in attuazione della legge del 7 aprile 2014 n. 56 recante "Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni", la Provincia di Milano ha cessato di esistere in favore della Città metropolitana di Milano. Comuni Dal 2009 al 2014 i comuni della provincia furono: Abbiategrasso, Albairate, Arconate, Arese, Arluno, Assago, Baranzate, Bareggio, Basiano, Basiglio, Bellinzago Lombardo, Bernate Ticino, Besate, Binasco, Boffalora sopra Ticino, Bollate, Bresso, Bubbiano, Buccinasco, Buscate, Bussero, Busto Garolfo, Calvignasco, Cambiago, Canegrate, Carpiano, Carugate, Casarile, Casorezzo, Cassano d'Adda, Cassina de' Pecchi, Cassinetta di Lugagnano, Castano Primo, Cernusco sul Naviglio, Cerro al Lambro, Cerro Maggiore, Cesano Boscone, Cesate, Cinisello Balsamo, Cisliano, Cologno Monzese, Colturano, Corbetta, Cormano, Cornaredo, Corsico, Cuggiono, Cusago, Cusano Milanino, Dairago, Dresano, Gaggiano, Garbagnate Milanese, Gessate, Gorgonzola, Grezzago, Gudo Visconti, Inveruno, Inzago, Lacchiarella, Lainate, Legnano, Liscate, Locate di Triulzi, Magenta, Magnago, Marcallo con Casone, Masate, Mediglia, Melegnano, Melzo, Mesero, Milano, Morimondo, Motta Visconti, Nerviano, Nosate, Novate Milanese, Noviglio, Opera, Ossona, Ozzero, Paderno Dugnano, Pantigliate, Parabiago, Paullo, Pero, Peschiera Borromeo, Pessano con Bornago, Pieve Emanuele, Pioltello, Pogliano Milanese, Pozzo d'Adda, Pozzuolo Martesana, Pregnana Milanese, Rescaldina, Rho, Robecchetto con Induno, Robecco sul Naviglio, Rodano, Rosate, Rozzano, San Colombano al Lambro, San Donato Milanese, San Giorgio su Legnano, San Giuliano Milanese, San Vittore Olona, San Zenone al Lambro, Santo Stefano Ticino, Sedriano, Segrate, Senago, Sesto San Giovanni, Settala, Settimo Milanese, Solaro, Trezzano Rosa, Trezzano sul Naviglio, Trezzo sull'Adda, Tribiano, Truccazzano, Turbigo, Vanzaghello, Vanzago, Vaprio d'Adda, Vermezzo, Vernate, Vignate, Villa Cortese, Vimodrone, Vittuone, Vizzolo Predabissi, Zelo Surrigone, Zibido San Giacomo. Società Religione Quasi tutto il territorio finale della provincia di Milano faceva parte dell'arcidiocesi di Milano (ad eccezione di 7 comuni al confine con la provincia di Lodi, appartenenti alla diocesi di Lodi). La provincia di Lodi, staccatasi nel 1995, afferiva invece all’omonima diocesi, a testimonianza della sua storia distinta. I territori brianzoli e quelli staccati nel 1927 erano invece integralmente ambrosiani, essendo invece legati al capoluogo fin dall’antichità. Economia La provincia di Milano si situava nell'area economica più importante d'Italia: con 338.011 imprese attive nel 2005 questa area concentrava il 42,3% delle imprese lombarde ed il 6,6% delle imprese italiane attive ed operanti. Questo elemento le consentiva di generare un alto livello di ricchezza: da sola concentrava il 10,3% del PIL nazionale ed annualmente produceva una ricchezza superiore ai 124 miliardi di Euro. A partire dagli anni settanta, come è successo per tutti i centri urbani europei, la produzione industriale pesante ha lasciato spazio al settore dei servizi e alle attività terziarie, soprattutto quelle più qualificate e a più alto valore aggiunto, sviluppatesi in stretta connessione con le imprese produttive dell'area. Nel corso degli anni 90, l'evoluzione tecnologica e la globalizzazione dell'economia hanno definitivamente modificato anche il suo tradizionale modello produttivo che portandolo su una fitta rete di imprese produttive di piccola e piccolissima dimensione, a cui si affianca un numero limitato di medio-grandi aziende. Natura Questo ente era proprietario e gestiva il Parco dell'Idroscalo di Milano. Amministrazione Note Altri progetti Collegamenti esterni Milano Milano Storia di Milano
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Provincia di Palermo
La provincia di Palermo, successivamente provincia regionale di Palermo (pruvincia di Palermu in siciliano), è stata una provincia italiana della Sicilia di abitanti. Si estendeva su una superficie di 4992 km² e comprendeva 82 comuni. Affacciata a nord sul mar Tirreno, confinava ad ovest con la provincia di Trapani, a sud con la provincia di Agrigento e la provincia di Caltanissetta, ad est con la provincia di Messina e la provincia di Enna. Faceva parte del territorio provinciale anche l'isola di Ustica. In ottemperanza alla legge regionale del 4 agosto 2015, la provincia di Palermo è stata soppressa e sostituita dalla città metropolitana di Palermo. Territorio La provincia di Palermo occupava una porzione notevole del settore nord-occidentale della Sicilia: dal capoluogo, che sorge ad ovest rispetto al resto della provincia, il territorio palermitano si spingeva fino a Pollina, ultimo comune costiero prima del confine con la provincia di Messina; considerevole era l'estensione nella Sicilia interna, con il complesso montuoso delle Madonie. Storia Simboli Lo stemma dell'ente Provincia di Palermo era costituito dall'unione di quattro arme civiche: quella di Palermo, quella di Termini Imerese, quella di Cefalù e quella di Corleone, il tutto accollato all'aquila palermitana di nero; gli emblemi in questione furono prescelti in quanto rappresentantavano le cittadine che all'epoca della concessione, avvenuta con regio decreto del 9 agosto 1910, erano capoluoghi dei circondari che costituivano la Provincia. La blasonatura ufficiale dell'emblema provinciale è la seguente: L'Amministrazione Provinciale faceva anche uso di un gonfalone, di color amaranto, che riporta al centro lo stemma provinciale e la scritta e di una bandiera, dello stesso colore, che però non veniva esposta. Comuni Di seguito gli 82 comuni metropolitani che formavano la provincia di Palermo al momento del suo scioglimento: Alia Alimena Aliminusa Altavilla Milicia Altofonte Bagheria Balestrate Baucina Belmonte Mezzagno Bisacquino Blufi Bolognetta Bompietro Borgetto Caccamo Caltavuturo Campofelice di Fitalia Campofelice di Roccella Campofiorito Camporeale Capaci Castelbuono Casteldaccia Castellana Sicula Castronovo di Sicilia Carini Cefalà Diana Cefalù Cerda Chiusa Sclafani Ciminna Cinisi Collesano Contessa Entellina Corleone Ficarazzi Gangi Geraci Siculo Giardinello Giuliana Godrano Gratteri Isnello Isola delle Femmine Lascari Lercara Friddi Marineo Mezzojuso Misilmeri Montelepre Montemaggiore Belsito Monreale Palazzo Adriano Palermo Partinico Petralia Soprana Petralia Sottana Piana degli Albanesi Polizzi Generosa Pollina Prizzi Roccamena Roccapalumba San Cipirello San Giuseppe Jato San Mauro Castelverde Santa Cristina Gela Santa Flavia Sclafani Bagni Sciara Scillato Termini Imerese Terrasini Torretta Trabia Trappeto Ustica Valledolmo Ventimiglia di Sicilia Vicari Villabate Villafrati Onorificenze Note Bibliografia Altri progetti Collegamenti esterni Palermo
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https://it.wikipedia.org/wiki/Provincia%20di%20Perugia
Provincia di Perugia
La provincia di Perugia è un ente locale territoriale dell'Umbria che ha come capoluogo Perugia e conta abitanti. Dal 1927 al 1933 ebbe come sigla automobilistica PU, successivamente assunse la sigla PG. Confina a nord e a est con le Marche (provincia di Pesaro e Urbino, provincia di Ancona, provincia di Macerata e provincia di Ascoli Piceno), a sud con il Lazio (provincia di Rieti) e con la provincia di Terni, a ovest con la Toscana (provincia di Siena e provincia di Arezzo). È la provincia più estesa dell'Umbria e con i suoi 59 comuni è la prima provincia umbra per numero di suddivisioni, di cui occupa i tre quarti del territorio e la settima dell'intero territorio nazionale. La provincia si estendeva in tutto il territorio umbro tanto che in passato era nota anche come provincia dell'Umbria, comprese Rieti e la Sabina sino al 4 marzo 1923 che per decreto regio furono unite alla provincia di Roma fino al 1927, anno d'istituzione della provincia di Rieti (costituita con parte del territorio aquilano) e della provincia di Terni. Storia Provincia dell'Umbria La provincia dell'Umbria fu una provincia italiana costituita nel 1860 dal regio Commissario generale straordinario Gioacchino Napoleone Pepoli (decreto n. 197 del 15 dicembre 1860); comprendeva i territori corrispondenti alle delegazioni pontificie di Perugia, Orvieto, Rieti e Spoleto. La provincia dell'Umbria era suddivisa nei sei circondari di Perugia, Foligno, Orvieto, Rieti, Spoleto e Terni. Il 2 marzo 1923 subì il distacco del circondario di Rieti e dei comuni nella Valle del Tevere parte della ex provincia pontificia Sabina, che furono aggregati alla provincia di Roma; il 6 dicembre 1926, a seguito dell'istituzione della provincia di Terni, fu ridenominata provincia di Perugia. La confusione amministrativa Nel 1921 la Giunta comunale di Terni avanzò la proposta di suddivisione nelle due province di Perugia e Terni. Con l'arrivo del Fascismo il dibattito s'interruppe per breve tempo, fino al 1923, a seguito dell'aggregazione dei circondari di Rieti e di Cittaducale alla provincia di Roma o del Lazio: contemporaneamente furono soppressi i tribunali di Spoleto e Orvieto, le cui giurisdizioni passarono sotto il neoistituito tribunale di Terni. Il dibattito continuerà, negli anni seguenti, nell'esaltazione delle peculiarità territoriali (a volte retoriche) di una Terni dove "convergono quattro tronchi ferroviari, città punto di confluenza di cinque vallate, che occupa un posto rilevante nei commerci e nell'industria" e prese di posizione fortemente conservative del prefetto dell'Umbria: "Lozzi riteneva che non avesse consistenza (la provincia di Terni), specie dopo lo smembramento di Rieti e la concessione di maggiore autonomia alle Prefetture". Si trattava dunque di scontri politici in seno ai dirigenti del Partito Nazionale Fascista ternano e perugino. Nelle stesse dispute politiche si inserivano i rapporti fra le varie città umbre: per la prima volta Terni stava acquisendo autorità amministrativa su Spoleto, mentre Orvieto e Foligno avrebbero richiesto maggiore centralità politica dell'antica provincia dell'Umbria. La confusione amministrativa non cessò quando fu esclusa la possibilità di costituire una nuova provincia composta dai circondari di Terni e Rieti. Si discusse ancora sulla possibilità di creare una provincia della Tuscia (provincia di Viterbo), del Lazio, e della Sabina con capoluogo Terni o Rieti. Di contro una forte opposizione antiternana proponeva l'annessione del circondario di Orvieto alle province di Viterbo, Roma o Siena. La politica di Elia Rossi Passavanti Successivamente, si pose il problema del controllo del bacino del Nera e del Velino, tema di scontro tra il Comune di Terni, la Società Terni e la Provincia dell'Umbria. Fu in questi anni che entrò in gioco Elia Rossi Passavanti, deputato prima e podestà di Terni poi. Fu grazie a lui se si arrivò alla realizzazione della Provincia di Terni. Sposato con una dama di corte della regina, era ben inserito negli ambienti della nobiltà ed, essendo stato inserito nella lista fascista della circoscrizione Umbria-Lazio per la scelta dei vertici del PNF, era altresì conosciuto tra le alte cariche del regime. Nel 1926 non si discuteva più se fare la nuova provincia dell'Umbria meridionale, ma come farla. Rieti preferiva l'accorpamento con Roma; Orvieto e Todi, a causa della loro caratterizzazione agricola, aveebbeeo dovuto rimanere con Perugia, che tra l'altro non voleva perdere il prestigio di capoluogo "forte"; storica era la conflittualità tra Terni e Spoleto. Si ipotizzò una circoscrizione provinciale formata dai comuni della Valnerina fino a Visso e Leonessa; verso il Lazio, con l'accorpamento dei comuni di Orte, Morro Reatino, Labro, Configni, Vacone, Rocchette, Montebuono, Tarano, Montasola e Cottanello, e quando ormai era questione di giorni, il Prefetto Mormino propose che questa provincia avrebbe dovuto riunire i circondari di Rieti e di Terni, alcuni comuni della Valnerina (Preci, Norcia, Vallo di Nera, Sant'Anatolia di Narco, Poggiodomo, Scheggino e Monteleone di Spoleto) e i comuni "di confine" Visso, Leonessa e Orte. Rieti poi riuscì a istituire una propria provincia. I comuni della Valnerina Cascia, Norcia, Preci, Sant'Anatolia di Narco, Scheggino e Vallo di Nera, che prima avevano richiesto l'aggregazione a Terni, successivamente, tranne Norcia, si opposero e rimasero legati alla Provincia di Perugia. La scelta fu dunque di unire il circondario di Orvieto, che aveva già manifestato intenzioni "separatiste", alla nuova realtà amministrativa. La vicenda giunse alla conclusione con il pacchetto licenziato dal Consiglio dei ministri il 6 dicembre 1926 con il quale venivano istituite le nuove province (Aosta, Vercelli, Varese, Savona, Bolzano, Gorizia, Pistoia, Pescara, Rieti, Terni, Viterbo, Frosinone, Brindisi, Matera, Ragusa, Castrogiovanni, Nuoro), ufficializzate con il Regio Decreto Legislativo del 2 gennaio 1927 n. 1/1927 "Riordinamento delle circoscrizioni provinciali". Nello stesso anno furono soppressi i circondari che costituivano circoscrizioni subprovinciali sedi di sottoprefettura e tribunale. Provincia di Perugia Nel 1927 venne distaccato il territorio dei circondari di Orvieto e di Terni (salvo alcuni aggiustamenti minori), istituendo la nuova provincia di Terni; nello stesso anno ottenne i comuni di Monte Santa Maria Tiberina e Monterchi, già appartenenti alla provincia di Arezzo. Nel 1929 cedette il comune di Visso alla provincia di Macerata. Onorificenze I comuni o le città della provincia decorati da medaglia sono quattro; quattro sono state conferite dai presidenti della Repubblica per le sofferenze e sacrifici subiti durante la seconda guerra mondiale. Il 9 giugno 1898, la città di Perugia è stata insignita della medaglia d'oro come "Benemerite del Risorgimento nazionale" con la seguente motivazione: "A ricordare l'eroiche gesta compiute dalla cittadinanza di Perugia nel 1859. Nel giugno del 1859 si consumarono le cosiddette «stragi di Perugia», una serie di asperrimi combattimenti fra i difensori della città, che si era ribellata al governo di Roma, e i reggimenti svizzeri, che riconquistarono successivamente le altre città ribelli dell'Umbria e delle Marche." Numerosi attestati a partire dal 28 marzo 1944, furono assegnati alla popolazione di Marsciano, che ha visto soccombere alla bruta violenza fascista i Fratelli Ceci, fucilati per aver rinunciato alla guerra, il 28 marzo 1944. Il premio provinciale fu attestato con le seguenti parole: "Marsciano ha visto morire questi baldi giovini, e la popolazione giunta allo stremo per colpa della dittatura fascista, ha sopportato rapine, bombardamenti, aggressioni e ricatti da parte di gerarchi o altri organi fascisti, ciò è stato il tassello iniziale per uno sviluppo veramente importante per Marsciano." Il 22 novembre 1961, la città di Foligno è stata insignita dal presidente delle Repubblica, di medaglia d'argento al valor civile con la seguente motivazione: "Sopportava con fiero comportamento ripetuti bombardamenti che arrecavano gravi distruzioni agli impianti ed ai fabbricati e numerose perdite di vite umane. Partecipava con intrepido coraggio alla lotta per la liberazione, offrendo alla resurrezione della patria un largo tributo di sangue dei suoi figli migliori." Il 26 gennaio 2004, la città di Assisi è stata insignita della medaglia d'oro al merito civile con la seguente motivazione: "Con spirito cristiano ed encomiabile virtù civile, durante l'ultimo conflitto mondiale, si distinse per particolari iniziative e atti umanitari che evitarono la distruzione di un inestimabile patrimonio artistico e consentirono la salvezza di numerosi perseguitati politici, ebrei, profughi e sfollati, nonché la cura di migliaia di feriti di ogni nazionalità, ricoverati nelle strutture sanitarie cittadine. Splendido esempio di amore per il prossimo e di solidarietà tra i popoli. Assisi, 1943/1944." Il 9 novembre 2005, la città di Magione è stata insignita della medaglia di bronzo al merito civile con la seguente motivazione: "Partecipava con fierezza e profonda fede in un'Italia democratica alla lotta partigiana, subendo, da parte delle truppe tedesche in ritirata, una feroce rappresaglia nella quale venivano uccisi undici suoi concittadini. Nobile esempio di spirito di sacrificio ed amor patrio. 8 giugno 1944 – Fraz. Agello – Montebuono/Magione (PG)" La città di Pietralunga è stata insignita della medaglia di bronzo al valor militare per la guerra di liberazione. Geografia fisica Idrografia L'unico lago importante sul territorio provinciale è il Lago Trasimeno, quarto lago d'Italia per estensione. Si segnalano poi il lago di Corbara e il piccolo lago di Arezzo, nei pressi di Spoleto, ai confini con la provincia di Terni. Da citare sono anche le note Fonti del Clitunno, in prossimità di Pissignano (Campello sul Clitunno): oltre ad esser state cantate dal poeta Giosuè Carducci, sono importanti in quanto il piccolo lago è la rimanenza di un grande bacino che un tempo occupava l'Alta Valle del Tevere e la Valle Umbra, per la lunghezza di 115 chilometri, da Sansepolcro a Terni: il lago era diviso in due parti, la prima denominata "lacus umber" e la seconda "lacus clitorius". Riguardo ai fiumi quelli maggiori sono Tevere (405 km), Chiascio (82 km), Topino (77 km), Nestore (48 km) e Clitunno (59 km) e di essi spicca la portata del Tevere, che divide in due la provincia di Perugia e l'Umbria intera, poi nell'Umbria settentrionale troviamo il Chiascio, che è il secondo fiume della provincia di Perugia grazie all'affluente Topino, che gli fornisce il 60% della portata. Poi sotto il Trasimeno scorre il Nestore, che si mantiene grazie al contributo dei suoi torrenti Caina, Fersinone, Calvana e Genna, poi nella bassa perugina troviamo il Clitunno, uno dei fiumi più puliti d'Italia ed è il principale affluente del Topino. Tra la portata di questi fiumi vi è un solo grande dato, quello del Tevere, secondo fiume italiano. Seguono per portata il Chiascio (20 m3/s), il Nestore (11 m3/s) ed il Topino (10 m3/s). Trasporti e vie di comunicazione Aeroporti Sono presenti due aeroporti: l'Aeroporto di Perugia (Aeroporto internazionale dell'Umbria-Perugia San Francesco d'Assisi) destinato ai voli passeggeri e l'Aeroporto di Foligno con altre funzioni e di supporto al Centro Nazionale di Protezione Civile. Linee ferroviarie Il trasporto ferroviario nella Provincia di Perugia è caratterizzato dalla presenza della rete delle Ferrovie dello Stato e da quella della Umbria Mobilità. Le tratte delle linee F.S. attraversanti il territorio provinciale sono tre: Orte-Terontola Foligno-Terontola Orte-Fabriano La rete FCU è costituita da una tratta principale che segue il percorso del Tevere, da nord a sud. A Ponte San Giovanni una diramazione collega la locale stazione con quella di Perugia Sant'Anna. Linee stradali Autostrade e superstrade La provincia è attraversata solo per pochi chilometri dall'Autostrada A1 nel tratto compreso fra le uscite di Fabro e Chiusi-Chianciano Terme. Il raccordo autostradale 6 Perugia-Bettolle, collega l'Autostrada del Sole al capoluogo e alla superstrada Orte-Ravenna, principale infrastruttura stradale della provincia e dell'intera Umbria, facente parte del percorso europeo E45. Altre superstrade sono la Foligno-Perugia e la Foligno-Spoleto. In fase di realizzazione è il "Quadrilatero Marche-Umbria", sistema di superstrade che interessano la provincia, tramite il collegamento Foligno-Civitanova Marche (attraverso l'ammodernamento della Strada Statale 77 della Val di Chienti - Traforo del Cornello) ed il collegamento Perugia-Ancona (attraverso l'ammodernamento della Strada Statale 76 della Val d'Esino e della Strada Statale 318 di Valfabbrica). Comuni Appartengono alla provincia di Perugia i seguenti 59 comuni: Assisi Bastia Umbra Bettona Bevagna Campello sul Clitunno Cannara Cascia Castel Ritaldi Castiglione del Lago Cerreto di Spoleto Citerna Città della Pieve Città di Castello Collazzone Corciano Costacciaro Deruta Foligno Fossato di Vico Fratta Todina Giano dell'Umbria Gualdo Cattaneo Gualdo Tadino Gubbio Lisciano Niccone Magione Marsciano Massa Martana Monte Castello di Vibio Monte Santa Maria Tiberina Montefalco Monteleone di Spoleto Montone Nocera Umbra Norcia Paciano Panicale Passignano sul Trasimeno Perugia Piegaro Pietralunga Poggiodomo Preci San Giustino Sant'Anatolia di Narco Scheggia e Pascelupo Scheggino Sellano Sigillo Spello Spoleto Todi Torgiano Trevi Tuoro sul Trasimeno Umbertide Valfabbrica Vallo di Nera Valtopina Comuni per numero di residenti Di seguito è riportata la lista dei comuni della Provincia di Perugia, ordinati per numero di residenti: Poggiodomo, è il comune meno abitato della provincia e della regione, conta all'ultima rilevazione del 2022 solamente 92 cittadini. Amministrazioni Comunità montane Nel territorio provinciale operano 7 comunità montane. Parchi naturali I parchi naturali regionali in Umbria sono sei, dei quali cinque in provincia di Perugia. A questi va aggiunto il Parco nazionale dei Monti Sibillini che si estende soprattutto nelle Marche dove, nel comune di Visso, ha sede l'ente parco. Note Altri progetti Collegamenti esterni
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Provincia di Salerno
La provincia di Salerno è una provincia italiana della Campania di abitanti. È la seconda provincia campana e la decima in Italia per popolosità. Si estende su una superficie di circa 4 954 km² e comprende 158 comuni, il che ne fa la prima provincia campana per superficie e per numero di comuni. Affacciata a sud-ovest sul mar Tirreno, confina a nord-ovest con la città metropolitana di Napoli, a nord con la provincia di Avellino e a est con la provincia di Potenza in Basilicata. Ricalca, grosso modo, i confini dell'antica provincia di Principato citeriore. Geografia fisica Per la vastità del territorio, comprendente diverse entità storico-geografiche distinte, costituisce una delle province più varie ed eterogenee d'Italia. Nella parte più settentrionale della provincia si trova l'area dell'agro nocerino-sarnese, saldata urbanisticamente con l'area vesuviana, e quindi al confine con la città metropolitana di Napoli, con la quale condivide gran parte dei servizi essenziali. Tale zona è la meno estesa della provincia (188 km²), ma la più rilevante dal punto di vista demografico (con circa abitanti) e della densità abitativa (circa abitanti al km²). L'agro è fertilizzato dalle ceneri vesuviane ed è irrigato dal fiume Sarno. Sempre a nord, ma sul versante ovest (a sud della penisola sorrentina), è situata la Costiera amalfitana, catalogata dall'UNESCO come Patrimonio dell'umanità. Proseguendo verso sud-est si trova il capoluogo Salerno, che si sviluppa nel punto in cui la valle dell'Irno sfocia verso il mare, fra le propaggini dei monti Lattari e dei monti Picentini. Più ad est è invece ubicata la piana del Sele, o di Paestum, fino al Novecento terra malsana e paludosa, ma oggi zona ad elevata produttività agricola e di forte richiamo turistico. A nord della piana c'è la zona collinare e poi montuosa dell'Alto e Medio Sele, ai confini con l'Irpinia. Oltre il Sele si trovano le vaste aree del Cilento e del vallo di Diano, territori prevalentemente montuosi e verdeggianti di difficile accessibilità, a lungo rimasti isolati dai principali flussi di traffico, ma di grande fascino paesaggistico, tanto da essere dichiarati parco nazionale e patrimonio UNESCO. Idrografia Il territorio, in prevalenza collinare, è ricco di corsi d'acqua. Il principale tra questi è il fiume Sele, che nasce in provincia di Avellino e sfocia ad Eboli, in località Foce Sele, a 5 km di distanza da Paestum, con una portata di circa 70 m³/s. Altri corsi d'acqua rilevanti sono il Calore Lucano (affluente del Sele), il Tanagro, il Bussento, il Sarno, il Tusciano e l'Alento (da cui prende il nome la regione cilentana). Orografia Tra le alture di rilievo vanno menzionate il Cervati (1898 m) e il massiccio degli Alburni col monte Panormo (1742 m), appartenenti all'Appennino lucano; il Polveracchio (1790 m) e l'Accellica (1660 m), appartenenti all'Appennino campano. Le valli di maggiore dimensione sono il vallo di Diano, la valle del Sele e la valle del Calore. La costa della provincia di Salerno si estende per circa 220 km, da Positano a Sapri. La sua morfologia è estremamente varia: la parte nord è occupata dalla celebre Costiera amalfitana, aspra e frastagliata, e rinomata in tutto il mondo quale meta turistica; la parte centrale è piatta ed è caratterizzata da un'ampia e ininterrotta spiaggia, orlata da una rigogliosa pineta, che si estende per più di 50 km da Salerno ad Agropoli, passando per Paestum; la parte sud, detta "Costiera cilentana", si estende per circa 100 km da Agropoli a Sapri ed è caratterizzata dal continuo alternarsi di tratti aspri e rocciosi a spiagge ampie e sabbiose. Clima Il clima è caratterizzato da inverni tiepidi e da estati calde e secche. La temperatura media del mese di gennaio è 10,8 °C mentre quella di luglio è di 24,5 °C. La dolcezza climatica è dovuta al fatto che il territorio provinciale è protetto dai venti freddi nordorientali (a parte la città di Salerno, che ne è esposta a causa della valle dell'Irno e all'alta valle del Sele) ed esposto a quelli sudoccidentali. Il clima è marittimo, temperato e piovoso, specie nelle zone interne. I periodi di maggiore piovosità sono l'autunno e l'inverno. Quando si verificano le cosiddette "libecciate" (correnti umide di libeccio che spirano sulla provincia) oltre alle violente mareggiate si hanno intense precipitazioni orografiche, in particolare nelle zone più esposte a questi venti (Picentini e Cilento), dove, con queste configurazioni meteorologiche, si verificano talvolta veri e propri nubifragi. Storia Il territorio Storicamente, lo sviluppo territoriale è stato pesantemente influenzato dall'assetto geografico. I primi insediamenti umani di cui si abbiano tracce interessano la parte della piana pestana più vicina al capoluogo (comune di Pontecagnano Faiano e zone limitrofe). In epoca storica, la provincia fu visitata dagli Etruschi che fondarono Nuceria Alfaterna e un insediamento a Fratte, ma soprattutto dai Greci, che vi fondarono un importante centro della Magna Grecia, Poseidonia, poi ribattezzata dai Romani Paestum, oggi area archeologica tra le più importanti d'Italia. I coloni greci conquistarono inoltre la città focea di Elea, che avrebbe dato i natali a Parmenide e Zenone, tra i maggiori filosofi dell'antichità. Notevole importanza ha avuto altresì la città di Eboli che, sino a qualche secolo fa, occupava un'area che si estendeva dal Sele al Tusciano, occupando anche il territorio dell'odierna Battipaglia. Il capoluogo fu probabilmente insediamento etrusco, poi colonia greca che venne più tardi conquistata o sostituita da una colonia romana, come altri centri della provincia, al tempo della seconda guerra punica. Divenne comunque colonia cittadina nel III secolo a.C. Era in origine un castrum, un accampamento militare posto sul fiume Irno, all'inizio della valle omonima che risale verso le zone più interne della regione, Avellino e Benevento. Tale valle rivestì grande importanza negli anni successivi alla caduta dell'Impero romano d'Occidente. Nel V secolo, difatti, il territorio fu coinvolto nella guerra greco-gotica, e le zone più meridionali rimasero tagliate fuori dagli sviluppi successivi, accomunandosi alla Basilicata anche in termini di isolamento e ritardo storico a causa della relativa facilità di collegamento con l'allora Lucania attraverso il Vallo del Diano. Subito dopo, i Longobardi (succeduti ai Goti nella lotta contro Bisanzio) istituirono a Benevento un loro ducato, detto Longobardia Minor per distinguerlo dai possedimenti longobardi in Italia settentrionale. Attraverso la valle dell'Irno, i guerrieri nordici calarono poi su Salerno, allora bizantina, e la espugnarono istituendo anche lì una sede ducale (la statale che collega i due capoluoghi appunto lungo la valle dell'Irno è ancor oggi detta "dei Due Principati"). La storia della Longobardia minor finì con l'esser ancor più lunga di quella maggiore: a Salerno, infatti, il governo longobardo sopravvisse fin oltre il 1000, quando fu sostituito dal primo regno normanno d'Italia, fondato da Roberto il Guiscardo, che rovesciò l'ultimo duca longobardo Guaimario V impalmandone la figlia Sichelgaita (1077). Qualche anno dopo, i Normanni misero fine anche alla Repubblica Amalfitana, a lungo rivale del capoluogo, e si rivolsero a fini di conquista ad altre regioni, disinteressandosi delle zone meridionali della provincia (Cilento e Vallo di Diano), abbandonate alle incursioni saracene e alla fame. Il successivo sviluppo della dinastia normanna, che culminò nella famosa figura di Federico II, condusse poi la Storia e il potere (e la Scuola medica salernitana, esempio di cooperazione interculturale) lontano da Salerno e dalla sua provincia, incominciando un processo di lenta decadenza. Il territorio corrispondente all'attuale provincia di Salerno, dal 1273 al 1860, fu un'unità amministrativa appartenente al Regno di Sicilia (poi al Regno di Napoli, quindi al Regno delle Due Sicilie); il suo nome era: Principato Citra ed era strutturato in Giustizierato prima (1273-1806) e Provincia del Regno poi (1806-1860). Nel XIX secolo l'economia della provincia conobbe una forte crescita. Il settore tessile si sviluppò enormemente, grazie all'investimento di diverse famiglie svizzere, gli Züblin, Wenner, e Schlaepfer a Fratte di Salerno sul fiume Irno e poi i Mayer e i Freitag a Scafati sul fiume Sarno, che vi impiantarono una fiorente attività tessile. Tali insediamenti portarono la Rivoluzione industriale nel salernitano, favorendo la nascita di un significativo polo industriale tessile che riguarderà anche Angri e Nocera, espandendosi poi fino a Poggioreale e Piedimonte Matese, giungendo a impiegare ben 12.000 operai intorno al 1880. Prima dell'Unità, nel 1857 Carlo Pisacane trovò la morte a Sanza nel Vallo di Diano, ucciso dai contadini del posto che pensavano si trattasse di un fuorilegge. Furono molti i salernitani che appoggiarono Garibaldi nel 1860 quando attraversò la provincia diretto a Napoli (erano numerose le affiliazioni alla Carboneria risorgimentale a Salerno). L'industria alimentare ebbe un forte sviluppo durante il Regno d'Italia e fu particolarmente promossa e sovvezionata da Benito Mussolini, specialmente nell'agro sarnese-nocerino e nella Piana del Sele. Ma le fortune del tessile nella provincia subirono un forte rallentamento alla fine dell'Ottocento e la produzione andò scemando nel corso del XX secolo. L'ultima fabbrica tessile della valle dell'Irno fu delocalizzata nel settembre 2007. Il regime fascista promosse poi la bonifica della piana pestana, liberando terra fertile che fu assegnata anche a coloni da altre parti d'Italia, e con la ferrovia tirrenica (a binario unico fino al 1925) si favorirà la penetrazione della modernità in Cilento, 2500 anni dopo l'involontaria visita del mitico prototurista Palinuro, nocchiero d'Enea. Dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale la provincia ha fatto registrare un notevole sviluppo anche industriale, specialmente nella parte settentrionale intorno al capoluogo. L'ente L'ente locale, nato con l'annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno d'Italia nel 1861, sin dalla sua istituzione era suddiviso in quattro circondari, degli enti subordinati alle province istituiti con la Legge Rattazzi (Regio decreto n. 3702 del 23.10.1859. I quattro enti erano suddivisi a loro volta in mandamenti. Elenco dei circondari della provincia salernitana: Circondario di Salerno (15 mandamenti, 43 comuni) Circondario di Campagna (9 mandamenti, 35 comuni) Circondario di Sala Consilina (7 mandamenti, 27 comuni) Circondario di Vallo della Lucania (10 mandamenti, 53 comuni) I circondari di Campagna e Vallo della Lucania vennero soppressi nel 1926 e i territori assegnati al circondario di Salerno. I restanti circondari d'Italia furono soppressi con regio decreto n. 1 del 02.01.1927. Cronologia essenziale 600 a.C. – I sibariti fondano la polis di Poseidonia 540 a.C. – Esuli focesi in fuga dalla Ionia fondano Elea 515 a.C. – Ad Elea nasce Parmenide, fondatore della scuola eleatica V secolo a.C. – In seguito alla vittoria siceliota a Cuma, Salerno viene progressivamente occupata dai sanniti 275 a.C. – La Repubblica romana vince le Guerre pirriche e stabilisce la propria egemonia sull'intera Magna Grecia 553 – Con le invasioni barbariche e la guerra greco-gotica, Salerno passa sotto il dominio bizantino 646 – Salerno viene conquistata dai longobardi e integrata nel ducato di Benevento 786 – Arechi II trasferisce la sede del ducato beneventano a Salerno IX secolo – Nasce la Scuola medica salernitana (forse erede di un precedente collegio eleatico) 839 – Il ducato di Benevento viene diviso nei principati di Salerno e Benevento 839 – Amalfi fonda la sua repubblica marinara 1077 – Il duca normanno Roberto il Guiscardo, marito della principessa salernitana Sichelgaita, conquista Salerno e la rende capitale del Ducato di Puglia e Calabria XIV secolo – Salerno diventa dominio dei principi di Sanseverino, una delle sette grandi casate del Regno di Napoli 1656 – Una violenta epidemia di peste decima la popolazione salernitana 1799 – Il capoluogo e parte della provincia aderiscono alla Repubblica Napoletana XIX secolo – Si verificano moti risorgimentali in Cilento (1828, 1848) 1857 – Il patriota e rivoluzionario Carlo Pisacane sbarca a Sapri 1860 – Giuseppe Garibaldi avvia la spedizione dei Mille e conquista il Regno delle Due Sicilie 1861 – Salerno diventa ufficialmente parte del neo-nato Regno d'Italia XX secolo – Viene bonificata la piana del Sele (1925-1940) 1943 – Gli Alleati sbarcano sul litorale pestano: per la prima volta dalla disfatta di Dunkerque le forze britanniche rientrano sul continente europeo 1944 – Salerno diventa sede provvisoria del Governo Badoglio (12 febbraio - 15 luglio) 1954 – Un'alluvione provocata da piogge torrenziali causa la morte di 318 persone tra Salerno e la Costiera amalfitana (25 ottobre) 1998 – Una serie di frane uccide 160 persone a Sarno, Siano e Bracigliano, oltre che nei comuni di Quindici (in provincia di Avellino) e San Felice a Cancello (in provincia di Caserta) (5-6 maggio) Stemma Con delibera della giunta provinciale del 15 ottobre 2010 l'ente ha assunto come arma araldica lo stemma della Repubblica marinara di Amalfi, che ha la seguente blasonatura: precedentemente l'ente faceva uso di uno stemma sempre risalente ad Amalfi, riportante la bussola, inventata secondo la tradizione dal navigatore amalfitano Flavio Gioia, simbolo utilizzato dalla provincia del Principato Citra di cui quella di Salerno è la continuazione, e avente la seguente descrizione araldica: Le lettere sono quelle dei venti che compongono la rosa. Onorificenze Natura La provincia di Salerno presenta diverse eccellenze ambientali, spesso riconosciute anche a livello amministrativo. Il territorio accoglie infatti un parco nazionale, il già ricordato Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano, quattro parchi regionali (il Parco regionale Monti Picentini, il Parco naturale Diecimare, il Parco regionale Bacino Idrografico del fiume Sarno e il Parco regionale dei Monti Lattari), una Riserva Naturale Statale (la Valle delle ferriere), due Riserve Naturali Regionali (quella della Foce Sele e Tanagro e quella dei Monti Eremita e Marzano), poi tre aree marine protette (l'Area marina protetta Costa degli Infreschi e della Masseta, l'Area marina protetta di Punta Campanella e l'Area marina protetta di Santa Maria di Castellabate e Punta Licosa, prima area marina protetta in italia prevista fin dal 1972), e infine le oasi protette del Monte Polveracchio e di Persano. Inoltre, sul territorio sono presenti due siti riconosciuti dall'UNESCO Patrimonio dell'umanità, la costiera amalfitana e il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo del Diano, che è riconosciuto anche riserva della biosfera e primo geoparco, tra i parchi nazionali italiani. La costiera amalfitana comprende i territori dei comuni rivieraschi compresi tra Positano e Vietri sul Mare, alle porte del capoluogo. Si tratta di un territorio di straordinaria bellezza paesaggistica in cui l'attività umana ha saputo integrarsi perfettamente, attraverso il paziente lavoro millenario per strappare alle scoscese balze montane fazzoletti di terra per uso agricolo o edilizio. Si è creato così un paesaggio antropizzato unico al mondo, impreziosito da testimonianze storiche e architettoniche tra le quali occorre segnalare il Duomo di Amalfi e i giardini di Villa Cimbrone e Villa Rufolo a Ravello. Il Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano è invece un vasto territorio di 180.000 ettari che, anche grazie a un isolamento secolare, ha saputo conservare usi antichissimi, di grande valore salutistico e ambientale. È infatti ad Acciaroli e Pioppi, sulla costa cilentana, che Ancel Keys, nutrizionista statunitense, ha condotto gli studi sull'alimentazione che hanno portato alla definizione della famosa 'dieta mediterranea'. Attualmente, il territorio è interessato da una ricerca del CNR, mirante a individuare i fattori anche genetici che consentono eccezionale, attiva longevità in perfette condizioni di salute alla popolazione cilentana. Al Parco, ai fini dell'attribuzione della qualifica di Patrimonio dell'Umanità sono stati aggiunti i siti archeologici di Paestum e Velia (l'antica Elea), la Certosa di Padula, le Grotte di Pertosa e le Grotte di Castelcivita. Occorre infine segnalare che l'area del Cilento è oggi uno straordinario serbatoio di biodiversità in campo florofaunistico, esemplificata dalla Primula di Palinuro (Primula palinuri), ma in particolare per quanto riguarda le piante alimentari: per tutte, si segnala il fagiolo di Controne, dalla buccia sottilissima e dall'eccellente digeribilità. Per questi motivi nel 1997 il Parco è stato inserito dall'Unesco nel Programma MAB (Man And Biology), come Riserva della biosfera e nel 2010 è stato nominato primo, tra i parchi nazionali, Geoparco italiano. Un'altra caratteristica è l'area ambientale incontaminata del Vallo di Diano, territorio ai confini della Basilicata a 60 km da Salerno. Il Vallo di Diano è un punto di riferimento per tutti coloro che amano la natura e la gastronomia, dalla Valle delle Orchidee a Sassano alle Grotte di Pertosa, dalle escursioni trekking per i sentieri del Cervati ai Boschi di Sanza. Il territorio ospita anche complessi ipogei di grande interesse, fra i quali si citano le Grotte di Castelcivita, con uno sviluppo di oltre 4 km, le Grotte di Pertosa, da visitare in parte in barca, le Grotte del Bussento sul fiume omonimo. Trasporti e vie di comunicazione Linee ferroviarie La provincia è attraversata da varie linee ferroviarie: la Cancello-Benevento, la Nocera Inferiore-Mercato San Severino, la Battipaglia-Potenza-Metaponto, la Napoli-Salerno (via Nocera), la Napoli-Salerno (LMV), la Salerno-Arechi e la Tirrenica Meridionale. La stazione più importante è certamente quella di Salerno. Linee stradali Autostrade La provincia di Salerno è attraversata da tre autostrade: La A2 Autostrada del Mediterraneo, la Autostrada A3 (Italia); La A30 Caserta-Salerno. Strade statali e provinciali Strade provinciali La provincia di Salerno è proprietaria di 452 strade; alcune sono in via di declassificazione a strade comunali. Strade regionali Oltre a gestire strade provinciali, l'ente si occupa anche di 20 strade statali declassate in strade regionali. Porti e aeroporti Porti Ci sono molti porti nella provincia, il più importante è il porto di Salerno secondo nella Campania dopo quello di Napoli. Porti turistici sono inoltre il porto di Marina d'Arechi, il porto di Amalfi, il porto di Agropoli e il porto di Positano. Aeroporti L'unico scalo aeroportuale della provincia è quello di Salerno-Costa d'Amalfi. Economia I settori trainanti della provincia sono l'agroindustria, il terziario e il turismo. Nella piana del Sele oltre all'industria risulta molto sviluppata l'agricoltura e la zootecnia. Le attività industriali sono numerose nella zona settentrionale della provincia e nella piana del Sele. Da citare i gruppi alimentari La Doria nell'agro-nocerino, ma anche il gruppo Antonio Amato nel capoluogo, Bonduelle a Battipaglia, Mutti a Oliveto Citra e Newlat Food a Salerno ed Eboli. Nel comparto chimico sono presenti, fra tutte, la Saint-Gobain di Fisciano, Italcementi e Sol a Salerno. Il settore automotive annovera la Cooper Standard Automotive di Battipaglia, la Rubber Division di Salerno e la Yanfeng Automotive di Cicerale. Il comparto metalmeccanico è presente con il gruppo Arcelormittal e Fonderie Pisano a Salerno, la meccanica con il gruppo Otis a Salerno, Ardagh a Cava de' Tirreni e Castel San Giorgio, Silgan White Cap a Battipaglia, Eviosys a Nocera Superiore e Battipaglia. Nelle TLC svettano la Ericsson di Pagani, la Nokia, la Nexans e il gruppo Prysmian a Battipaglia. A Cava de' Tirreni è presente uno stabilimento delle Manifatture Sigaro Toscano. Inoltre a sud del capoluogo sono presenti numerosi caseifici per la produzione di formaggi tra cui spicca la mozzarella di bufala. Ben sviluppato è anche il settore della pesca, soprattutto quella del tonno nel comune di Cetara. Prodotti tipici Cipollotto nocerino (DOP) Fico bianco del Cilento (DOP) Mozzarella di bufala campana (DOP) Olio extravergine di oliva Cilento (DOP) Olio extravergine di oliva Colline Salernitane (DOP) Percoca giallona di Siano (DOP) Pomodoro di San Marzano (DOP) Ricotta di bufala campana (DOP) Carciofo di Paestum (IGP) Limone Costa d'Amalfi (IGP) Marrone di Roccadaspide (IGP) Melannurca campana (IGP) Nocciola di Giffoni (IGP) Fagiolo di Controne Fusillo felittese di Felitto (STG) Cece di Cicerale Castel San Lorenzo (vino) DOC Cilento (vino) DOC Costa d'Amalfi (vino) DOC Colli di Salerno (vino) IGT Paestum (vino) IGT Monte di Grazia IGT Cultura Storia Sede di insediamenti preistorici, la provincia di Salerno conobbe un primo, formidabile sviluppo culturale per opera di invasori di stirpe greca: Focei e Dori di Sibari. I primi, popolazione originaria della Focide dedita ai commerci marittimi e alla fondazione di empori, fondarono una città alla foce dell'Alento, oggi nel territorio di Ascea, conosciuta prima come Elea e successivamente, in epoca romana, con il nome di Velia. La città greca fu sede di una delle maggiori scuole filosofiche presocratiche, la scuola eleatica resa celebre dalle speculazioni di Parmenide e Zenone, il cui paradosso dovette aspettare il calcolo infinitesimale di Leibniz-Newton per essere confutato, più di due millenni più tardi. I secondi fondarono invece, dal promontorio di Agropoli alla foce del Sele, nel territorio dell'attuale Comune di Capaccio, Poseidonia, oggi nota col nome romano di Paestum. Poseidonia fu quindi uno dei non rari esempi di colonia fondata da un'altra colonia. Le vestigia dei suoi formidabili templi rivaleggiano in bellezza e condizioni di conservazione con quelle della Valle dei Templi di Agrigento e la Selinunte della Sicilia Occidentale, e sono tra le più importanti testimonianze architettoniche giunte fino a noi dalla Magna Grecia. I templi, all'epoca ancor più affascinanti perché circondati da paludi malariche, furono poi meta prediletta dei viaggiatori del Grand Tour ottocentesco, così importante nella cultura europea, finendo per essere raffigurati (e narrati) dai maggiori artisti e letterati del tempo. In epoca medievale, Salerno fu centro benedettino di assoluto rilievo, e prima ancora ebbe un ruolo fondamentale e propulsivo in quel processo di renovatio imperi che portò la cultura longobarda a riproporre in Italia istituzioni e conoscenze dell'epoca romana fino a culminare nella fondazione del Sacro Romano Impero da parte di Carlo Magno, che del principe longobardo salernitano Arechi II fu cognato (avendo entrambi sposato figlie del re lombardo Desiderio). Risale a quei secoli la formazione della Scuola medica salernitana, che recuperò al sapere del tempo le antiche conoscenze greche e alessandrine (attraverso traduzioni arabe), oltre a gettare il seme di quella botanica moderna che sarebbe giunta a compiuta fioritura nel XVIII con lo scandinavo Linneo, autore di una classificazione che riprese e ampliò l'Opus Pandectarum di Matteo Silvatico, prima compilazione botanica del mondo occidentale medievale. Con le dominazioni normanno-sveve e angioine la provincia decadde sul piano culturale non meno che economico e sociale, e i secoli del malgoverno spagnolo accentrarono la produzione culturale nella vicina Napoli. Tuttavia, in quegli anni, un ruolo propulsivo lo ebbero istituzioni religiose (il capoluogo è definito città conventuale) e, in più rari casi, Signori illuminati; non mancarono tuttavia eccezioni, come è il caso di Giambattista Vico, filosofo peraltro eccentrico nel panorama salernitano e nazionale del suo tempo. All'alba dell'Ottocento, troviamo eredi di questa tradizione intellettuali salernitani a quasi tutte le svolte del tempo nuovo. Come fu il caso dell'abate Genovesi, che nella tarda età borbonica contribuì attivamente ai tentativi di riforma del Regno, o come quei patrioti e letterati, cilentani e del capoluogo, che vissero da protagonisti i rivolgimenti carbonari e, prima ancora, la Repubblica Partenopea e l'età napoleonica. Con l'Unità d'Italia, la provincia di Salerno conobbe una sorte non diversa da quella del Mezzogiorno tutto, finendo col condividere un declino che, a parte eccezioni anche notevoli, condusse il territorio a esprimere soprattutto una cultura amministrativa e letteraria. Una parziale eccezione è rappresentata dal crescere di una cultura industriale, a partire dai primi insediamenti tessili svizzeri, tuttavia minoritaria rispetto a quella rurale, predominante in provincia, e a quella commerciale, egemone nel capoluogo e nei comuni limitrofi (Cava de' Tirreni, ovviamente l'ex repubblica marinara Amalfi). Nel Novecento, la storia culturale della provincia di Salerno annovera figure rilevanti, come Alfonso Gatto, poeta ermetico e scrittore raffinato, come Filiberto Menna, insigne critico d'arte. Salernitano è stato dal 1976 al 1984 il presidente del CNR, Quagliariello. Napoletano di nascita, ma salernitano d'adozione è lo scrittore Diego De Silva, autore di Certi bambini, e salernitani si contano anche nel giornalismo di qualità, dal Gaetano Afeltra del Corriere della Sera all'Aldo Falivena autore di un fortunato format televisivo degli anni settanta del secolo scorso. Altro salernitano di adozione fu Franco Angrisano, il celebre Giacinto de "I ragazzi di Padre Tobia" e braccio destro di Eduardo De Filippo, per oltre quindici anni. Turismo La Costiera amalfitana e quella cilentana sono annoverate tra i tratti costieri più affascinanti al mondo. Le più note località turistiche balneari a livello internazionale sono Amalfi, Atrani, Cetara, Conca dei Marini, Furore, Maiori, Minori, Positano, Praiano e Vietri sul Mare, incluse nella costiera amalfitana; per la costiera cilentana sono invece menzionabili Acciaroli, Agropoli, Ascea, Castellabate, Marina di Camerota, Montecorice, Palinuro, Pioppi, Sapri e Scario. Notevole importanza turistica hanno altresì il capoluogo Salerno e l'area di Capaccio Paestum, grazie alla sua millenaria storia di colonia prima greca e poi romana. Patrimoni dell'Umanità All'interno del territorio della provincia di Salerno ricadono due Patrimoni dell'Umanità dell'UNESCO: La costiera amalfitana Il Parco nazionale del Cilento e Vallo di Diano con i siti archeologici di Paestum ed Elea-Velia, nonché la Certosa di Padula Amministrazioni Elenco dei presidenti |21 novembre 2022 |in carica |Francesco Alfieri |Partito Democratico |Presidente Elenco dei prefetti Comunità montane presenti nella provincia Comunità montana Alburni Comunità montana Monti Lattari (comprendente anche comuni della città metropolitana di Napoli) Comunità montana Alento-Monte Stella Comunità montana Bussento - Lambro e Mingardo Comunità montana Calore Salernitano Comunità montana Gelbison e Cervati Comunità montana Irno - Solofrana (comprendente anche comuni della Provincia di Avellino) Comunità montana Monti Picentini Comunità montana Tanagro - Alto e Medio Sele Comunità montana Vallo di Diano Comuni Appartengono alla provincia di Salerno i seguenti 158 comuni: Acerno Agropoli Albanella Alfano Altavilla Silentina Amalfi Angri Aquara Ascea Atena Lucana Atrani Auletta Baronissi Battipaglia Bellizzi Bellosguardo Bracigliano Buccino Buonabitacolo Caggiano Calvanico Camerota Campagna Campora Cannalonga Capaccio Paestum Casal Velino Casalbuono Casaletto Spartano Caselle in Pittari Castel San Giorgio Castel San Lorenzo Castelcivita Castellabate Castelnuovo Cilento Castelnuovo di Conza Castiglione del Genovesi Cava de' Tirreni Celle di Bulgheria Centola Ceraso Cetara Cicerale Colliano Conca dei Marini Controne Contursi Terme Corbara Corleto Monforte Cuccaro Vetere Eboli Felitto Fisciano Furore Futani Giffoni Sei Casali Giffoni Valle Piana Gioi Giungano Ispani Laureana Cilento Laurino Laurito Laviano Lustra Magliano Vetere Maiori Mercato San Severino Minori Moio della Civitella Montano Antilia Monte San Giacomo Montecorice Montecorvino Pugliano Montecorvino Rovella Monteforte Cilento Montesano sulla Marcellana Morigerati Nocera Inferiore Nocera Superiore Novi Velia Ogliastro Cilento Olevano sul Tusciano Oliveto Citra Omignano Orria Ottati Padula Pagani Palomonte Pellezzano Perdifumo Perito Pertosa Petina Piaggine Pisciotta Polla Pollica Pontecagnano Faiano Positano Postiglione Praiano Prignano Cilento Ravello Ricigliano Roccadaspide Roccagloriosa Roccapiemonte Rofrano Romagnano al Monte Roscigno Rutino Sacco Sala Consilina Salento Salerno Salvitelle San Cipriano Picentino San Giovanni a Piro San Gregorio Magno San Mango Piemonte San Marzano sul Sarno San Mauro Cilento San Mauro La Bruca San Pietro al Tanagro San Rufo San Valentino Torio Sant'Angelo a Fasanella Sant'Arsenio Sant'Egidio del Monte Albino Santa Marina Santomenna Sanza Sapri Sarno Sassano Scafati Scala Serramezzana Serre Sessa Cilento Siano Sicignano degli Alburni Stella Cilento Stio Teggiano Torchiara Torraca Torre Orsaia Tortorella Tramonti Trentinara Valle dell'Angelo Vallo della Lucania Valva Vibonati Vietri sul Mare Comuni più popolosi Nella tabella sono inseriti i comuni con più di abitanti. Comuni meno popolosi Nella tabella i comuni meno popolati della provincia (con meno di 400 abitanti): Popolazione Etnie e minoranze straniere Al 31 dicembre 2020, gli stranieri residenti in provincia erano (5,1% della popolazione complessiva). Le nazionalità con più di individui sono quelle di: : : : : : : : : Amministrazione Gemellaggi La provincia di Salerno è gemellata con: Costanza, dal 2010 Galleria d'immagini Note Voci correlate Salerno Aeroporto di Salerno-Costa d'Amalfi Agro nocerino-sarnese Autostrada A2 (Italia) Autostrada A3 (Italia) Autostrada A30 (Italia) Cilento Armoriale dei comuni della provincia di Salerno Costiera amalfitana Costiera cilentana Strade provinciali della provincia di Salerno Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano Porto di Salerno Vallo di Diano Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Papa%20Clemente%20III
Papa Clemente III
Biografia Paolo Scolari nacque nel 1130 a Roma, nel rione della Pigna. Di famiglia di alto livello sociale ma non nobile, era figlio di Giovanni e della di lui consorte Maria. Formazione e carriera ecclesiastica Ancora bambino venne educato dai canonici della Basilica liberiana, divenendone chierico e poi canonico. Nulla si sa di eventuali studi universitari. La prima notizia certa della sua vita è riportata in un documento del 3 marzo 1176 in cui è citato come suddiacono della Chiesa romana e arciprete della Basilica di Santa Maria Maggiore. Nel concistoro del marzo 1179 papa Alessandro III lo nominò cardinale assegnandogli la diaconia dei Santi Sergio e Bacco ma subito dopo poté optare per il titolo di Cardinale presbitero di Santa Pudenziana. Nel 1180 divenne cardinale vescovo della sede suburbicaria di Palestrina. Conclavi Durante il suo periodo di cardinalato, Paolo Scolari partecipò ai seguenti conclavi: conclave del 1181, che elesse papa Lucio III conclave del 1185, che elesse papa Urbano III conclave dell'ottobre 1187, che elesse papa Gregorio VIII conclave del dicembre 1187, che, a seguito della rinuncia del cardinale Teodobaldo di Vermandois, lo elesse papa. Pontificato Il 18 dicembre 1187 partecipò al conclave convocato a Pisa. Al primo scrutinio i cardinali elettori assegnarono il Soglio pontificio al benedettino Teodobaldo di Vermandois, Cardinale vescovo di Ostia e Velletri. Egli tuttavia rinunciò. Il giorno seguente venne eletto il cardinale Scolari, che assunse il nome di Clemente III. Nel 1188, poco dopo la sua elezione, Clemente riuscì ad appianare le discordie che da mezzo secolo opponevano i papi e i cittadini di Roma, in virtù di un accordo ("Patto di Concordia") in base al quale ai romani veniva concesso il permesso di eleggere i propri consules (magistrati), mentre la nomina del governatore della città rimase una prerogativa del Papa. Clemente III incitò Enrico II d'Inghilterra e Filippo Augusto a partecipare alla Terza Crociata (1189-1192), e introdusse diverse riforme minori su questioni ecclesiastiche. Concistori per la creazione di nuovi cardinali Papa Clemente III durante il suo pontificato ha creato 30 cardinali nel corso di 3 distinti concistori. Disambiguazione Clemente III era già stato il nome di un antipapa, al secolo Guiberto, eletto nel 1080 e morto nel 1100. Per i papi contemporanei di Guiberto si vedano: Papa Gregorio VII (1073-1085), Papa Vittore III (1086-1087), Papa Urbano II (1087-1099) e Papa Pasquale II (1099-1118). Successione apostolica La successione apostolica è: Arcivescovo Doferio di Bari (1188) Arcivescovo Martinho (I) Pires (1189) Arcivescovo Bernardo II di Ragusa di Dalmazia (1189) Note Bibliografia John N.D. Kelly, Gran Dizionario Illustrato dei Papi, Casale Monferrato, Edizioni Piemme S.p.A., 1989, ISBN 88-384-1326-6 Claudio Rendina, I papi, Roma, Ed. Newton Compton, 1990 Voci correlate Uriel Altri progetti Collegamenti esterni SS Clemens III, Opera Omnia dal Migne Patrologia Latina, con indici analitici. Cardinali nominati da Alessandro III Papi della Chiesa cattolica Sepolti nella basilica di San Giovanni in Laterano
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Pierre Simon Laplace
Fu uno dei principali scienziati del periodo napoleonico, nel 1799 nominato ministro degli interni da Napoleone, che nel 1806 gli conferì il titolo di conte dell'Impero, nominato poi anche marchese nel 1817, dopo la restaurazione dei Borbone. Ha dato fondamentali contributi in vari campi della matematica, della fisica, dell'astronomia e della teoria della probabilità ed è stato uno degli scienziati più influenti al suo tempo, anche per il suo contributo all'affermazione del determinismo. Diede la svolta finale all'astronomia teorica e alla meccanica celeste, riassumendo ed estendendo il lavoro dei suoi predecessori nella sua opera in cinque volumi Mécanique Céleste (Meccanica celeste) (1799-1825). Questo capolavoro – assieme alla Mécanique Analytique (1788) di Lagrange – ha trasformato lo studio geometrico della meccanica, sviluppato da Galileo e Newton, in quello basato sull'analisi matematica. Biografia Infanzia Simon Laplace nacque a Beaumont-en-Auge (Normandia) il 23 marzo del 1749, figlio di Pierre Laplace e Marie Anne Sochon, benestanti proprietari terrieri. Suo padre commerciava anche il sidro, abbondantemente prodotto nella zona, e verso la metà del secolo divenne sindaco di Beaumont. I primi rudimenti scolastici li ebbe da suo zio Louis, conosciuto in zona come l'abate Laplace, un sacerdote cattolico di solida formazione, che avrebbe trasmesso a suo nipote la propria attitudine per la matematica. Oltre a ciò la sua famiglia aveva deciso che Pierre-Simon avrebbe seguito i passi dello zio Louis, indossando dunque gli abiti monacali ed avviandosi ad un futuro promettente come ecclesiastico. Nel 1756, all'età di sette anni, grazie alla mediazione dello zio, fu ammesso come alunno esterno nel collegio benedettino del convento di Beaumont. Rimase nel collegio di Beaumont sino al 1765 e da qui si trasferì a Caen, dove entrò nel Collegio delle Arti dell'università, con l'intento di conseguire gli ordini di sacerdote e intraprendere la carriera ecclesiastica. Ma tre anni dopo, nel 1768, lasciò l'università di Caen senza aver ricevuto gli ordini sacerdotali. Nel periodo trascorso a Caen, infatti, Laplace, grazie ai due professori Cristophe Gadbled e Pierre Le Canu, scoprì la sua passione per la matematica superiore, che ne risaltò il grande talento scientifico, notato dai due professori. Deciso a dirigere i suoi passi verso la scienza, Laplace abbandonò la teologia, lasciò Caen e accettò provvisoriamente un lavoro di professore nel collegio di Beaumont, dove era stato alunno anni addietro. Questo lavoro era solo provvisorio e neanche soddisfacente ed infatti un anno dopo, nel 1769, a venti anni, si trasferì a Parigi, in quella che allora era la capitale europea dell'Illuminismo. Con sé portava una lettera di raccomandazione del suo ex professore Pierre Le Canu, indirizzata a Jean Baptiste Le Rond d'Alembert, uno dei matematici più prestigiosi di Parigi. D'Alembert non prestò nessuna attenzione né alla lettera di raccomandazione né a Laplace, che non fu nemmeno ricevuto. Laplace però non si scoraggiò e scrisse lui stesso una lettera di quattro pagine a D'Alembert, dove dimostrava di conoscere i fondamenti della meccanica e le opere di Newton e di D'Alembert stesso. D'Alembert pertanto lo convocò e gli propose un posto di professore presso la Scuola Militare di Parigi. Fu questa sua lettera ad aprirgli le porte di Parigi e non la raccomandazione che portava con sé da Caen. '"Signor Laplace, vedete che non prendo molto in considerazione le raccomandazioni. Non ne avevate bisogno, vi siete fatto conoscere meglio con questa vostra lettera e questo mi basta. Vi devo il mio appoggio. D'Alembert" Maturità Sicuro delle proprie capacità, Laplace a questo punto si dedicò ad una ricerca originale e per i successivi diciassette anni, dal 1771 al 1787, produsse gran parte del suo originale lavoro sull'astronomia. Tale lavoro iniziò con una memoria, letta davanti all'Académie française nel 1773, nella quale mostrò che i moti planetari sarebbero rimasti vicini a quelli previsti dalla teoria newtoniana per lunghi intervalli di tempo e riportava la verifica fino ai cubi dell'eccentricità e dell'inclinazione delle orbite. Seguirono poi diversi articoli su alcuni punti essenziali del calcolo integrale, delle differenze finite, delle equazioni differenziali e dell'astronomia. Occorre però specificare che alcune importanti scoperte di questi articoli, come le corrispondenti delle armoniche sferiche nello spazio bidimensionale, erano già state pubblicate precedentemente da Legendre in un articolo inviato all'Académie nel 1783. Nel 1785 diventò membro dell'Académie des Sciences e nel 1816 fu eletto all'Académie française. Inoltre diventò membro di tutte le maggiori accademie scientifiche europee. Grazie alla sua intensa attività accademica esercitò una grande influenza sugli scienziati del suo tempo, in particolare su Adolphe Quetelet e Siméon-Denis Poisson. Egli è ricordato talvolta come il Newton francese per la sua naturale e straordinaria capacità matematica che nessuno dei suoi contemporanei possedeva. Sembra che Laplace non fosse modesto riguardo alle sue capacità e ai suoi risultati, e probabilmente non riuscì a comprendere l'effetto del suo comportamento sui colleghi. Anders Johan Lexell visitò l'Académie des Sciences di Parigi nel 1780-1781 e riferì che: Dopo i suoi lavori sulla meccanica celeste, Laplace si prefisse di scrivere un lavoro che avrebbe dovuto "offrire una soluzione completa del grande problema della meccanica rappresentato dal sistema solare e portare la teoria a coincidere così strettamente con l'osservazione che le equazioni empiriche non avrebbero più dovuto trovare posto nelle tavole astronomiche. Il risultato è racchiuso nellExposition du système du monde e nella Mécanique céleste. La Mécanique céleste fu pubblicata in cinque volumi. I primi due, pubblicati nel 1799, contengono metodi per calcolare i moti dei pianeti, per determinare le loro forme e per risolvere problemi legati alle maree. Il terzo ed il quarto volume, pubblicati rispettivamente nel 1802 e nel 1805, contengono applicazioni di questi metodi e diverse tavole astronomiche. Il quinto volume, pubblicato nel 1825, è principalmente storico, ma fornisce in appendice i risultati delle ultime ricerche di Laplace. Esse sono numerose e rilevanti, ma egli si appropriò di molti risultati di altri scienziati con nessuno o scarso riconoscimento e le conclusioni in realtà sono solo il risultato organizzato di un secolo di pazienti fatiche altrui, spesso menzionate come se fossero dovute a Laplace. L'argomentare della Mécanique céleste è eccellente, ma non è di facile lettura. Biot, che aiutò Laplace nella revisione per la stampa, disse che lo stesso Laplace era frequentemente incapace di ritrovare i dettagli nel ragionamento dimostrativo e, se era soddisfatto del fatto che le conclusioni fossero corrette, era lieto di inserire l'espressione ricorrente, Il est aisé à voir... (è lasciato al lettore...). In realtà, la comprensione di queste dimostrazioni avrebbe richiesto una capacità mentale pari alla sua. Questa sua abitudine gli avrebbe creato spesso la necessità di rielaborare successivamente molti dei suoi risultati, richiedendo a volte qualche giorno per completarli. La Mécanique céleste non è solo la traduzione dei Principia nel linguaggio del calcolo differenziale, ma completa alcune parti che Newton non era stato in grado di dettagliare. In quest'opera Laplace esponeva l'ipotesi secondo la quale il sistema solare si sarebbe formato in seguito alla condensazione di una nebulosa. L'idea della nebulosa era già stata enunciata da Immanuel Kant nel 1755, ma è probabile che Laplace non ne fosse al corrente. Nel 1812 Laplace pubblicò la sua Théorie analytique des probabilités. Si ritiene che tale teoria sia solo senso comune espresso in linguaggio matematico. In questo volume Laplace dava determinanti contributi alla teoria della probabilità di cui è oggi considerato uno dei padri. Nel 1819 Laplace pubblicò un semplice resoconto del suo lavoro sulla probabilità. La carriera politica Durante la sua vita, Laplace mutò spesso orientamento politico. Quando il potere di Napoleone aumentò, Laplace abbandonò i suoi principi repubblicani (che avevano fedelmente riflesso le opinioni del partito al potere) ed implorò il primo console di dargli il posto di ministro degli interni. Napoleone, che desiderava il supporto di uomini di scienza, accettò la proposta, ma in poco meno di sei settimane la carriera politica di Laplace vide la fine. La comunicazione di Napoleone della sua dimissione fu la seguente: Sebbene Laplace fosse stato sollevato dall'incarico, mantenne la sua fedeltà. Salì al Senato e al terzo volume della Mécanique céleste fece precedere una nota in cui dichiarava che fra tutte le verità in esso contenute la più cara all'autore era la dichiarazione che aveva fatto riguardo alla sua devozione nei confronti del paciere d'Europa. Nelle copie vendute dopo la restaurazione, essa fu cancellata. Nel 1814 fu evidente che l'Impero stava fallendo e Laplace si affrettò ad offrire i suoi servigi ai Borbone. Durante la restaurazione fu ricompensato con il titolo di marchese. Il disprezzo che i suoi colleghi sentivano per la sua condotta in quell'occasione si evince dalle pagine di Paul-Louis Courier. Le conoscenze di Laplace erano utili per le numerose commissioni scientifiche di cui faceva parte e probabilmente spiegano il motivo per cui si chiuse un occhio sul suo opportunismo politico. Che Laplace fosse presuntuoso ed egoista non viene negato dai suoi più appassionati ammiratori; la sua condotta nei confronti dei suoi benefattori di gioventù e delle sue amicizie politiche fu ingrata ed è palese la sua appropriazione dei risultati di coloro che erano relativamente sconosciuti. Fra coloro che aveva trattato in tal modo, tre in seguito diventarono famosi: (Legendre e Fourier in Francia e Young in Inghilterra). Essi non dimenticarono mai l'ingiustizia di cui furono vittime. D'altra parte bisognerebbe dire che su alcune questioni mostrò di avere un carattere indipendente e non nascose mai i suoi modi di vedere riguardo alla religione, alla filosofia o alla scienza, per quanto potessero essere non graditi alle autorità al potere; bisognerebbe anche aggiungere che verso la fine della sua vita, e specialmente nei confronti del lavoro dei suoi allievi, Laplace fu generoso e in un caso omise un suo articolo in modo tale che un allievo potesse avere il merito esclusivo della ricerca. Massone, nel 1804 fu membro del collegio dei grandi ufficiali del Grande Oriente di Francia. Contributi scientifici Meccanica celeste Laplace diede un valido contributo alla meccanica celeste usando le concezioni lagrangiane per spiegare meglio il moto dei corpi. Trascorse gran parte della sua vita lavorando sull'astronomia matematica e il suo lavoro culminò nella verifica della stabilità dinamica del sistema solare sotto l'ipotesi che esso consista in un insieme di corpi rigidi che si muovono nel vuoto. Formulò autonomamente l'ipotesi della nebulosa, già ipotizzata nel 1755 da Immanuel Kant. Fu uno dei primi scienziati a postulare l'esistenza dei buchi neri e la nozione di collasso gravitazionale. Secondo l'ipotesi della nebulosa, il sistema solare si sarebbe sviluppato da una massa globulare di gas incandescente che ruotava attorno ad un asse passante per il suo centro di massa. Raffreddandosi questa massa si sarebbe ristretta e alcuni anelli concentrici si sarebbero staccati dal suo bordo esterno. Questi anelli poi, raffreddatisi, si sarebbero condensati nei pianeti. Il Sole rappresenterebbe il nucleo centrale della nebulosa che, rimasto ancora incandescente, continuerebbe ad irradiare. Da questo punto di vista dovremmo aspettarci che i pianeti più distanti siano più vecchi rispetto a quelli più vicini al Sole. L'idea sostanziale della teoria, seppur con qualche importante modifica, è accettata ancora oggi. Laplace inoltre intuì il concetto di buco nero. Egli mostrò che ci potrebbero essere delle stelle massive dotate di gravità così grande che nemmeno la luce avrebbe velocità sufficiente a uscire dal loro interno. Laplace inoltre ipotizzò che alcune delle nebulose mostrate dai telescopi non facessero parte della Via Lattea e fossero esse stesse delle galassie. Quindi, Laplace anticipò la grande scoperta di Edwin Hubble, un secolo prima che avvenisse. Nel corso degli anni dal 1784 al 1787 egli produsse alcune memorie dagli eccezionali risultati. Particolarmente rilevante fra queste è quella del 1784, ristampata nel terzo volume della Mécanique céleste, all'interno della quale determinò completamente l'attrazione di uno sferoide su una particella esterna ad esso. Essa è memorabile per l'introduzione in analisi delle armoniche sferiche o coefficienti di Laplace. Se le coordinate di due punti sono (r,μ,ω) ed (r',μ',ω'), e se r' ≥ r, allora il reciproco della loro distanza può essere sviluppato mediante le potenze di r/r', ed i rispettivi coefficienti sono i coefficienti di Laplace. La loro utilità deriva dal fatto che ogni funzione con le coordinate di un punto sulla sfera può essere sviluppata in serie in tale modo. Questo articolo è anche considerevole per lo sviluppo dell'idea del potenziale, di cui si era appropriato Lagrange, che lo aveva utilizzato nelle sue memorie del 1773, 1777 e 1780. Laplace mostrò che il potenziale soddisfa sempre l'equazione differenziale: e su questo risultato fu basato il suo successivo lavoro sull'attrazione. La quantità è stata definita come la densità di ed il suo valore in ciascun punto indica l'eccesso di rispetto al suo valor medio nell'intorno del punto. L'equazione di Laplace, o la forma più generale , appare in tutte le branche della fisica matematica. Tra il 1784 e il 1786 pubblicò una memoria riguardante Giove e Saturno dove verificava, tramite delle serie perturbative, che per tempi molto lunghi l'azione reciproca di due pianeti non può mai influire significativamente sulle eccentricità e sulle inclinazioni delle loro orbite. Fece notare che le particolarità del sistema di Giove erano dovute al fatto che i moti medi di Giove e Saturno erano molto vicini alla commensurabilità. Scoprì inoltre la ciclicità del moto dei due pianeti, stimata in circa 900 anni, tale per cui i due pianeti appaiono esercitare accelerazioni e decelerazioni reciproche. Tale variazione era già nota anche a Joseph-Louis Lagrange, ma solo Laplace la ricondusse a un moto ciclico, confermando l'idea che il sistema solare presentasse dei moti non casuali anche su grande scala temporale. Gli sviluppi di questi studi sul moto planetario furono esposti nelle sue due memorie del 1788 e del 1789. L'anno 1787 fu reso memorabile dall'analisi di Laplace della relazione fra l'accelerazione lunare e i cambiamenti secolari nell'eccentricità dell'orbita della Terra: questa ricerca completò la dimostrazione della stabilità dell'intero sistema solare. Cercò ad esempio di spiegare come mai il moto orbitale della Luna subisse una lievissima accelerazione che faceva variare la lunghezza del mese lunare di un secondo in tremila anni attribuendone la causa a una lenta variazione dell'eccentricità terrestre. In verità è stato dimostrato successivamente che tale accelerazione è dovuta alla reciproca attrazione mareale che tende a sincronizzare il moto di rivoluzione e rotazione dei corpi: errò nel metodo, ma colse nel segno con la valutazione dei calcoli. Fisica La teoria dell'attrazione capillare è dovuta a Laplace, il quale accettò l'idea proposta da Hauksbee nelle Philosophical Transactions del 1709, secondo la quale il fenomeno era dovuto ad una forza di attrazione che era impercettibile a ragionevoli distanze. La parte che si occupa dell'azione di un solido su un liquido e dell'azione reciproca di due liquidi non è stata sviluppata completamente, ma fu completata in definitiva da Carl Friedrich Gauss. Nel 1862 Lord Kelvin (Sir William Thomson) avrebbe mostrato che, se supponiamo il carattere molecolare della materia, le leggi dell'attrazione capillare possono essere dedotte dalla legge Newtoniana della gravitazione. Laplace nel 1816 fu il primo a mettere in evidenza esplicitamente il motivo per cui la teoria di Newton del moto oscillatorio forniva un valore impreciso della velocità del suono. La velocità effettiva è maggiore rispetto a quella calcolata da Newton a causa del calore sviluppato dalla compressione improvvisa dell'aria che aumenta l'elasticità e quindi la velocità del suono trasmesso. Le ricerche di Laplace in fisica pratica erano limitate a quelle da lui condotte insieme a Lavoisier negli anni dal 1782 al 1784 sul calore specifico di vari corpi. Teoria delle probabilità Mentre conduceva molte ricerche in fisica, un altro tema principale a cui dedicò i suoi sforzi fu la teoria della probabilità. Nel suo Essai philosophique sur les probabilités, Laplace formalizzò il procedimento matematico del ragionamento per induzione basato sulla probabilità, che noi oggi riconosciamo come quello di Thomas Bayes. Nel 1774 ricavò il teorema di Bayes senza essere probabilmente a conoscenza del lavoro (pubblicato nel 1763) di Bayes (morto nel 1761). Una ben nota formula che deriva dal suo procedimento è la regola di successione. Supponiamo che un evento abbia solo due possibili esiti, indicati come "successo" ed "insuccesso". Sotto l'ipotesi che si sappia poco o niente a priori riguardo alla probabilità relativa degli esiti, Laplace derivò una formula per la probabilità che l'esito successivo sia un successo. , dove s è il numero dei successi osservati precedentemente ed n è il numero totale delle prove osservate. Tale formula viene ancora oggi utilizzata come una stima della probabilità di un evento se si conosce lo spazio degli eventi, ma si dispone solo di un piccolo numero di campioni. La regola di successione è stata soggetta a molte critiche, dovute in parte all'esempio che Laplace scelse per illustrarla. Egli infatti calcolò la probabilità che il sole sorga domani, considerato il fatto che è sempre sorto in passato, con la espressione dove d è il numero di volte che il sole è sorto in passato. Questo risultato è stato ricavato per assurdo, e alcuni autori hanno concluso che tutte le applicazioni della regola di successione sono assurde per estensione. Comunque, Laplace era pienamente consapevole dell'assurdità del risultato; subito dopo l'esempio, scrisse, Ma questo numero [cioè, la probabilità che il sole sorgerà domani] è molto più grande per chi, considerando i principi che regolano i giorni e le stagioni nella totalità degli eventi, si rende conto che nulla all'istante attuale può fermare il suo corso. Sempre nel 1774 rese esplicito l'integrale di Eulero ma non può essere considerato il padre della gaussiana in quanto non lo collegò alla legge sugli errori. Nel 1779 Laplace indicò il metodo per stimare il rapporto del numero dei casi favorevoli rispetto al numero totale dei casi possibili. Esso consiste nel considerare i valori successivi di una qualsiasi funzione come i coefficienti dello sviluppo di un'altra funzione con riferimento ad una diversa variabile. Questa seconda funzione viene dunque chiamata la funzione generatrice della precedente. Laplace mostrò come, per mezzo dell'interpolazione, questi coefficienti possano essere determinati a partire dalla funzione generatrice. In seguito egli affrontò il problema inverso, trovando dai coefficienti la funzione generatrice mediante la soluzione di un'equazione alle differenze finite. Il metodo è scomodo e, dati i successivi sviluppi dell'analisi, oggi viene usato raramente. Il suo trattato Théorie analytique des probabilités include un'esposizione del metodo dei minimi quadrati, una notevole testimonianza della padronanza di Laplace sui procedimenti dell'analisi. Il metodo dei minimi quadrati, tramite numerose osservazioni, era stato spiegato empiricamente da Carl Friedrich Gauss e Legendre, ma il quarto capitolo di questo lavoro contiene una dimostrazione formale di esso, su cui da allora si è basata l'intera teoria degli errori. Questo fu dimostrato solo grazie a un'analisi più complessa, inventata appositamente per lo scopo, ma la forma in cui viene presentato è così incompleta che, nonostante la costante accuratezza dei risultati, ci si chiese se Laplace aveva effettivamente esaminato con attenzione il difficile lavoro che egli stesso aveva così brevemente e spesso erroneamente mostrato. Matematica Fra le scoperte minori di Laplace in matematica pura si possono menzionare la sua discussione (contemporaneamente a Vandermonde) della teoria generale dei determinanti nel 1772: la sua dimostrazione che ogni equazione di grado pari deve avere almeno un fattore quadratico reale, la sua riduzione della soluzione delle equazioni differenziali lineari ad integrali definiti; e la sua soluzione dell'equazione differenziale lineare parziale del secondo ordine. Egli fu anche il primo a considerare i difficili problemi coinvolti nelle equazioni alle differenze miste, e a dimostrare che la soluzione di un'equazione alle differenze finite di primo grado e del secondo ordine potrebbe essere sempre ottenuta nella forma di una frazione continua. Oltre a queste originali scoperte egli determinò, nella sua teoria della probabilità, i valori dei più comuni integrali definiti; e nello stesso libro diede la dimostrazione generale del teorema enunciato da Joseph-Louis Lagrange per lo sviluppo in serie di una qualsiasi funzione implicita per mezzo di coefficienti differenziali. La trasformata di Laplace, invece, benché venga chiamata così in suo onore in quanto la utilizzò nel suo lavoro sulla teoria della probabilità, fu scoperta originariamente da Eulero. La trasformata di Laplace compare in tutte le branche della fisica matematica, un campo alla cui formazione Laplace contribuì notevolmente. Convinzioni filosofiche A differenza di molti altri grandi matematici Laplace non vedeva la matematica come una disciplina dal valore particolare, ma come uno strumento utile per la ricerca scientifica e per problemi pratici. Laplace sembra aver considerato l'analisi semplicemente come uno strumento per affrontare problemi fisici, sebbene l'abilità con cui aveva inventato l'analisi necessaria a tale scopo sia quasi straordinaria. Fino a quando i suoi risultati erano veri egli non si preoccupava molto di spiegare i passaggi dimostrativi; egli non aveva mai curato l'eleganza o la simmetria nei suoi procedimenti, e per lui era sufficiente riuscire con qualche mezzo a risolvere il problema particolare che stava affrontando. Credeva fermamente nel determinismo causale, che è ben espresso nella seguente citazione tratta dall'introduzione allEssai: Si fa spesso riferimento a questo intelletto come al demone di Laplace (in modo analogo a quello che fa parlare del diavoletto di Maxwell). La descrizione dell'ipotetico intelletto descritto sopra da Laplace come un diavoletto non viene però da Laplace, ma da biografi successivi: Laplace sperava che l'umanità avrebbe migliorato la sua comprensione scientifica del mondo e credeva che, anche se essa fosse stata completata, essa avrebbe ancora avuto bisogno di una straordinaria capacità di calcolo per determinarla completamente in ogni singolo istante. Ma mentre Laplace vedeva in primo luogo i problemi concreti dell'umanità per raggiungere quest'ultimo stadio di conoscenza e di calcolo, le successive teorie della meccanica quantistica, che furono adottate dai filosofi e che difendevano l'esistenza del libero arbitrio, contestarono anche solo la possibilità teorica dell'esistenza di un tale "intelletto". È stato recentemente proposto un limite sull'efficacia di calcolo dell'universo, cioè sull'abilità del diavoletto di Laplace di trattare una quantità grandissima di informazioni. Il limite fa riferimento alla massima entropia dell'universo, alla velocità della luce e alla quantità minima di tempo necessaria per trasportare informazioni su una lunghezza pari alla lunghezza di Planck; esso risulta essere 2130 bit". Di conseguenza, qualsiasi cosa richieda più di questa quantità di dati non può essere calcolata nella quantità di tempo che è trascorsa finora nell'universo. Anche se Laplace pensò a un intelletto superiore egli intendeva ciò solo come un esperimento mentale, una supposizione. Non credeva veramente nell'esistenza di un tale intelletto: era infatti ateo o quantomeno agnostico come dimostra il seguente aneddoto, probabilmente vero. Infatti, Laplace si trovò nella condizione di implorare Napoleone di accettare una copia del suo nuovo lavoro Exposition du système du monde (1796). Avevano riferito al Primo Console (Imperatore dal 1804) che il libro non conteneva alcun cenno al nome di Dio, e Napoleone, a cui piaceva porre domande imbarazzanti, ricevette Laplace facendogli l'osservazione Laplace, che, sebbene fosse il più arrendevole degli uomini politici, era fermamente convinto di questo punto della sua filosofia, si fermò e rispose senza mezzi termini, Napoleone, molto divertito, raccontò questa risposta a Lagrange, il quale esclamò, "Ah! Questa è una bellissima ipotesi; essa spiega molte cose". In realtà non è chiaro, stando anche ai commentatori dell'epoca, se la risposta di Laplace a Napoleone fosse da intendersi come un proclama di ateismo oppure semplicemente come il rifiuto di introdurre nella filosofia della natura un Essere Supremo che intervenendo in continuazione nell'universo fosse garante dell'ordine cosmico, come era ritenuto necessario ad esempio da Newton. Di fatto Laplace non rese mai note pubblicamente, con le sue opere, le proprie opinioni religiose, anche se comunque nellEssai philosophique des probabilités derise Gottfried Leibniz, Luigi Guido Grandi e John Craig, i quali sostenevano che la matematica potesse essere utilizzata per supportare l'idea di un ruolo di Dio nella natura. L'amico astronomo Jérôme Lalande inserì Laplace nel dizionario degli atei di Sylvain Maréchal, ma quest'opera non è particolarmente attendibile dal momento che, tra gli altri, elenca lo stesso Gesù Cristo. Ad ogni modo, quali che fossero le convinzioni di Laplace sull'esistenza di Dio, è comunque certo che egli fu convintamente anti cristiano. Si è infatti conservato fino ai nostri giorni un manoscritto, risalente al periodo di preparazione dellEssai philosophique des probabilités, in cui Laplace spiega di considerare soltanto come una mitologia il Cristianesimo, e come assurde superstizioni i suoi dogmi ed i miracoli. Onorificenze Riconoscimenti Gli è stato dedicato un asteroide, 4628 Laplace Araldica Opere principali Exposition du système du monde (1796) Mécanique céleste (1805) Théorie analytique des Probabilités (1812) Essai philosophique des probabilités (1814) Edizioni Note Bibliografia Fonti primarie Saggio filosofico sulle probabilità Theoria - Editori Associati, 1987 ISBN 88-241-0040-6 Storia dell'astronomia Cuen, 1997 ISBN 88-7146-368-4 Fonti secondarie Fondazione Mansutti, Quaderni di sicurtà. Documenti di storia dell'assicurazione, a cura di M. Bonomelli, schede bibliografiche di C. Di Battista, note critiche di F. Mansutti, Milano, Electa, 2011, p. 195. Roger Hahn, Pierre Simon Laplace 1749-1827: A Determined Scientist, Cambridge, MA: Harvard University Press, 2005. ISBN 0-674-01892-3 Carl Boyer, Storia della matematica, Milano: Mondadori, 2004. ISBN 88-04-33431-2 Roger Hahn, Le système du monde - Pierre Simon Laplace, un itinéraire dans la science, Gallimard (2004), ISBN 2-07-072936-2 Mirella Fortino (a cura di) Il caso. Da Pierre-Simon Laplace a Emile Borel (1814-1914), Rubbettino, 2000. Paolo Rossi (diretta da) Storia della scienza, Torino, UTET, 1988, vol. 2. E.T. Bell Men of Mathematics: The Lives and Achievements of the Great Mathematicians from Zeno to Poincaré, New York: Simon and Schuster, 1986 Ch 11. () Voci correlate Trasformata di Laplace Operatore di Laplace Equazione di Laplace Relazione di Laplace Nebulosa solare Teoria del potenziale Meccanica celeste Interazione elettromagnetica Statistica, Probabilità Teorema di Laplace Piano di Laplace Risonanza orbitale Fisica matematica Il demone di Laplace Altri progetti Collegamenti esterni Membri dell'Académie française Storia della scienza Massoni Storia dell'assicurazione Membri dell'Accademia delle Scienze di Torino
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Piossasco
Piossasco (Piossasch in piemontese) è un comune italiano di abitanti della città metropolitana di Torino in Piemonte. Geografia fisica Adagiato ai piedi del rilievo alpino, che s'incunea nella pianura torinese, a circa 18 chilometri ad ovest dal capoluogo, ha per confini i torrenti Chisola e Sangone. Oltre a questi due corsi d'acqua, nel comune scorre il Sangonetto, canale artificiale (da non confondere con il Torrente Sangonetto, affluente del Sangone) per il cui sfruttamento ci furono contrasti tra il comune di Piossasco e quello di Trana. Il monte sovrastante Piossasco è chiamato monte San Giorgio (837 metri s.l.m.), diventato parco provinciale l'8 novembre 2004, e sulla cui sommità si può raggiungere la chiesetta romanica dell'XI secolo. Il centro abitato è lambito a nord dal 45º Parallelo, la linea equidistante fra il Polo Nord e l'Equatore. Storia Nel territorio di Piossasco si può riscontrare un clima particolarmente favorevole, grazie al quale, sin dall'età del ferro, è stato possibile lo sviluppo di insediamenti umani. Nel complesso morfologico del monte San Giorgio, della Montagnassa e del monte della Croce sono state individuate fasi di cultura materiale risalenti all'età del ferro e delle incisioni rupestri collocabili tra l'età del ferro e del bronzo. Non sono molte invece, le informazioni sul periodo pre-romano e romano. Il toponimo deriverebbe dal prediale Platius, accostato al suffisso ascus, che lo ricondurrebbe a una presenza di popoli celto-liguri . Note sono anche le varianti Platuaschia, Plazasca, Plosz-ascum, Plosasco, intorno all'XI secolo. Non ci sono testimonianze di influenze celtiche, mentre sappiamo dei primi insediamenti romani nel I secolo da parte delle conquiste dell'imperatore Augusto in Piemonte, con villaggi agricoli popolati dai veterani, in modo tale da accrescerne l'affidabilità dal punto di vista militare e politico. Nonostante si riscontrino numerosi ritrovamenti dell'epoca, non è possibile collegarli a insediamenti ben precisi. Medioevo Più documentata risulta la storia medioevale, grazie ai resti del ricetto e il borgo di San Vito, con la chiesa omonima. Il più noto Castello dei Nove Merli invece, rimanda alla storia feudale del XII secolo-XIV secolo, quando la nobile e potente famiglia Merlo (già originata dai Signori di Moriana) si ramificò in quattro dinastie successive, successivamente in sei e, infine, in nove. Spiccano, in questo periodo, i rami più potenti come i Merlo-Folgore e Merlo-De Rossi ai quali si deve un'ala del castello, tuttavia mai terminata, mentre le restanti dinastie si allearono successivamente, a difesa dell'intero territorio; questo nome è tuttora presente nello stemma cittadino, che raffigura, appunto, sei merli (intesi come sagome degli uccelli), mentre, in altri simboli araldici, tutti e nove i merli al completo. La Marsaglia I Signori di Piossasco difesero per secoli il territorio, grazie anche all'appoggio di Casa Savoia, almeno fino al XVII secolo, quando, nonostante l'aiuto delle truppe di Vittorio Amedeo II, l'antica vedetta, detta il "Gran Merlone", a guardia del borgo, fu quasi interamente distrutta dall'avanzata francese, che culminò con la storica battaglia della Marsaglia del 1693. Tuttavia, il Castello dei Nove Merli fu difeso e risparmiato. Dal XIX secolo circa, Piossasco divenne una semplice stazione di passaggio carrabile lungo la Strada Reale tra Torino e Pinerolo, mentre la sua attività agricola fu affiancata dall'incipiente nascita imprenditoriale dei primi liquorifici piemontesi, come ad esempio i vermouth "Baudino", "Reinaudi" e "Oberto", e dell'alta pasticceria di "Mondino". Epoca recente Per molti decenni Piossasco rimase un centro prevalentemente agricolo, fino ad uno sviluppo esponenziale negli anni settanta del XX secolo, con un notevole incremento demografico, grazie all'apertura del vicino insediamento industriale della FIAT di Rivalta, abbandonato poi dall'industria automobilistica e ora sede di diverse aziende.Negli ultimi anni il paese gode di un crescente turismo, legato alle attività naturalistiche collegate al monte San Giorgio, ed ai molti agriturismi e maneggi presenti sul territorio; è inoltre uno dei più importanti centri della cintura torinese per gli appassionati di mountain bike e volo libero (parapendio e deltaplano). Monumenti e luoghi d'interesse Edifici religiosi di rilievo Chiesa di San Vito, situata nell'omonima località a nord-ovest rispetto al centro, il cui primo impianto romanico risale agli inizi dell'XI secolo, dedicato al santo martire di Lucania. Della primitiva architettura rimangono molte tracce, nonostante i rimaneggiamenti del XII secolo. L'interno, a tre navate, termina con il grande dipinto del trionfo del santo, attribuibile a Rocco Comaneddi (XVIII secolo). Nei secoli più recenti fu annesso anche il dormitorio, adibito quindi a Casa di Preghiera. Poco distante la chiesa di Sant'Elisabetta, del XIV secolo, risultante dalla fusione di tre precedenti cappelle contigue dedicate allo Spirito Santo, al Santissimo Nome di Gesù e a Sant'Elisabetta, quindi adibita a Confraternita. Chiesa del Monte San Giorgio, o semplicemente di San Giorgio, anche questa risalente XI secolo, alla sommità del monte omonimo, fu poi annessa all'abbazia di Santa Maria di Pinerolo; sono presenti affreschi interni risalenti al XIV secolo, mentre sono stati recentemente rinvenuti i resti di un antico monastero benedettino annesso ad essa. Cappella di San Valeriano, ai piedi del Monte San Giorgio, la tradizione vuole che sia stata edificata intorno al XVIII secolo, e dedicata al santo martire della Legione tebana in Piemonte, e affiancata alla venerazione dello stesso santo presso la vicina frazione Tavernette, più il Santuario omonimo di Cumiana. Chiesa del Carmine, eretta nel XVIII secolo, in devozione a Nostra Signora del Monte Carmelo, ed oggi sconsacrata. Chiesa di San Francesco D'Assisi e Santi Apostoli, è la chiesa parrocchiale del centro, anticamente fondata dai frati francescani nel periodo 1668-1753. Il campanile fu ultimato nel 1760 mentre, sul finire del XVII secolo, fu annesso il convento. L'ultimo ampliamento strutturale risale al 1902, mentre nel 1980 fu costruita e annessa la chiesa succursale detta del Gesù Risorto, posta più a est. La gestione è oggi affidata anche alle Suore francescane missionarie di Maria Ausiliatrice. Altri edifici Il Castello dei Nove Merli Oggi sede di lussuosi ricevimenti, in realtà esso nasce come edificio militare del X secolo, facente parte della Castellata, in funzione di vedetta all'inizio delle pendici del Monte San Giorgio. Del complesso militare faceva inizialmente parte anche il Castellaccio, avamposto posto ancor più in alto, detto anche il Gran Merlone a causa del fatto che fu proprietà della casata piossaschese del Merlo, ma andò quasi completamente distrutto dai francesi nel 1693 (Battaglia della Marsaglia), e ne rimangono oggi dei ruderi. L'attuale castello invece, lo si deve all'epoca feudale (XIII secolo) e successivi rimaneggiamenti, dovuti al forte contributo dei vari rami dinastici successivi, nove, appunto, dei nobili signori Merlo: i Merlo-Rossi (o De Rossi) di Scalenghe, i Merlo-Feys e Merlo-Federici di None, i Merlo visconti di Avigliana, i Merlo-Folgore (o De Folgore o Folgori) e Merlo-Delfina di Piossasco, i Merlo-Seyssel visconti di Moriana e Pancalieri, i Merlo-Porporato signori di Pinerolo, i Merlo-Chialamberto signori di Villarbasse. Una parte indipendente del castello fu eretta dai nobili De Rossi, ma mai ultimata. Oltre ai già citati Signori di Piossasco, si citino anche le famiglie dei nobili Palma di Borgofranco, i Lajolo, i Piacenza, e i Filippi, di cui alcuni edifici sono ancora conservati nell'antico borgo di San Vito. I Palma di Borgofranco, ad esempio, già signori di Rivarossa, videro il loro massimo splendore nel XVII secolo, ereditando il paese di Piossasco nel XIX secolo. I Piacenza invece, costruirono una villa, poi ceduta ai salesiani nel XX secolo. Altri siti di interesse culturale e naturalistico rimangono: il Parco Provinciale del Monte San Giorgio Centro culturale "Il Mulino" Villa Mirano (in centro) La casa del pellegrino, che può ospitare forestieri, fu poi intitolata a David Bertrand, volontario antincendi boschivi di Roletto che qui perse la vita durante l'incendio del Monte San Giorgio del 1999 L'antico Borgo di San Vito, con le sue già citate abitazioni, ospita anche casa Lajolo (censimento Fondo per l'Ambiente Italiano). Altri luoghi La Ciclostrada Bruino-Pinerolo, lunga 24.3 km è un percorso ciclabile che, passando per Piossasco, collega Pinerolo a Bruino. Società Evoluzione demografica Negli ultimi cinquant'anni, a partire dal 1961, la forte immigrazione ha portato a quadruplicare la popolazione residente. Cultura Eventi Festa del Primo maggio con camminata sul Monte San Giorgio Assaporando: camminata enogastronomica sul Monte San Giorgio fino al parco montano (ultimo weekend di maggio) Festa patronale della Madonna del Carmine nel fine settimana più vicino al 9 luglio Festa del rione San Rocco : primo fine settimana di settembre Festa della frazione Garola : secondo fine settimana di settembre Fiera di San Martino: fine settimana più vicino all'11 novembre "Antiche come le Montagne": manifestazione internazionale annuale (novembre) a cura del Gruppo Amici della Poesia a Piossasco è nata e si è svolta per le prime 5 edizioni dal 2005 al 2010 IDEAG, principale raduno italiano di autori di giochi da tavolo Biblioteca A Piossasco è presente la biblioteca Nuto Revelli. Ha ricevuto diverse donazioni nel corso degli anni, di particolare interesse il fondo "Emma Marchetti" per argomenti riguardanti l'arte, la religione, la storia e l'archeologia, e il sostanzioso fondo Cruto sulla letteratura, donato da Miranda Cruto, storica locale e discendente dell'inventore Alessandro Cruto. Amministrazione Gemellaggi Infrastrutture e trasporti Dal 1881 al 1936 Piossasco fu servita da una tranvia a vapore per Torino, Cumiana e Pinerolo. Note Altri progetti Collegamenti esterni
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Provincia di Ferrara
La provincia di Ferrara è una provincia italiana dell'Emilia-Romagna di abitanti. Confina a nord con il Veneto (provincia di Rovigo) e la Lombardia (provincia di Mantova) lungo il Po (e il Po di Goro nel delta del Po), a ovest con la provincia di Modena, a sud (lungo il Reno) con la città metropolitana di Bologna e la provincia di Ravenna, a est con il mare Adriatico (tra il Po di Goro e la foce del Reno). È la provincia dell'Emilia-Romagna con maggiore estensione di riserve naturali e aree protette, che ammontano a circa 40.000 ettari (più del 15% della superficie totale). Geografia fisica Si tratta di un'area completamente pianeggiante, in cui le altitudini più elevate, nelle vicinanze del confine con la provincia di Modena, non superano le poche decine di metri, mentre una consistente porzione del territorio è a una quota persino inferiore al livello del mare (il punto più basso è a -3,44 m). Il territorio è molto fertile e permette la coltura di frutta (soprattutto pesche, albicocche, mele, pere e kiwi) e cereali (mais, frumento e riso). Nel XX secolo la provincia era molto importante per la coltivazione della canapa. Idrografia Il corso d'acqua principale che attraversa la provincia è il fiume Po: segna il confine con la provincia di Rovigo e, nel territorio ferrarese, si divide in Po di Volano (che attraversa Ferrara), Po di Primaro e Po di Goro, il più meridionale dei rami del delta del fiume. Il fiume Reno segna il confine meridionale della provincia da Cento con qualche interruzione fino ad Argenta: infine sfocia a sud del lido di Spina, in provincia di Ravenna. I torrenti Idice e Sillaro attraversano la provincia solo nel loro ultimo tratto, andando rispettivamente a sfociare nelle valli di Campotto e in Valle Santa. A ovest attraversa Bondeno il Panaro, ultimo affluente del Po. Inoltre scorrono attraverso la provincia numerosi canali artificiali, tra cui il Cavo Napoleonico, che collega Po e Reno, e l'Idrovia Ferrarese. Dirigendosi verso il mar Adriatico si incontrano le numerose valli d'acqua salmastra del delta del Po: sono terreni che, a causa della subsidenza del territorio, vengono allagati dalle acque del mare. Le più importanti sono le valli di Comacchio, estese su più di 10 000 ettari, che si suddividono in valle Vacca, valle Fossa di Porto, valle Zavelea, valle Ussarola e Salina di Comacchio. Ci sono poi valle Fattibello (sulla quale si affaccia Comacchio) e a nord valle Bertuzzi (suddivisa in valle Nuova e in val Cantone) e valle Canneviè-Porticino. La dimensione attuale delle valli è molto minore rispetto al passato, in quanto grandi aree palustri sono state bonificate (valle del Mezzano, valle Pega, valle Giralda, valle Falce, valle Vallona). Più verso l'interno si incontrano le valli di Campotto e Valle Santa, che sono invece caratterizzate da acqua dolce. I laghi principali della provincia sono due: il lago delle Nazioni, di origine artificiale, e il lago del Quaternario, così chiamato per il gran numero di fossili che vi si possono trovare. Clima Secondo i dati della stazione meteorologica di Ferrara il clima dell'Emilia-Romagna e più in particolare della provincia ferrarese è di tipo temperato umido, con una forte escursione termica tra l'estate e l'inverno.In estate si possono raggiungere facilmente i 35°, soprattutto nelle zone dell'entroterra, mentre le temperature sono più miti nella fascia litoranea anche se accompagnate da un forte tasso di umidità con precipitazioni forti ma di breve durata. Con l'arrivo dell'autunno le temperature si abbassano velocemente e aumentano le precipitazioni. Compare inoltre il fenomeno della nebbia, che accompagna il territorio fino ad aprile. In inverno le temperature scendono spesso sotto lo zero di notte, meno frequentemente di giorno. La neve è un fenomeno regolare, ma la quantità può variare notevolmente da anno ad anno. La primavera è caratterizzata da numerose piogge alternate a lunghi periodi di sole, con temperature molto variabili. Aree naturali Parco regionale del Delta del Po Il Parco regionale del Delta del Po è una vasta area protetta compresa tra il Po di Goro, le foci del Reno, del Lamone, i Fiumi Uniti e l'Adriatico. Il parco, istituito nel 1998, comprende 18.000 ettari dell'Emilia-Romagna con una vasta vegetazione ed una ricca presenza animale, in particolare avifauna. Nel territorio vi sono monumenti notevoli come l'Abbazia di Pomposa e la Pieve di San Giorgio. È stato inserito nella lista dei patrimoni dell'umanità dall'UNESCO nel 1999. Valli di Comacchio Le Valli di Comacchio, situate a Comacchio ed estendendosi sino alla provincia di Ravenna, costituiscono una vasta area verde di 11000 ettari, caratterizzata da quattro valli principali (Lido di Magnavacca, Fossa di Porto, Campo e Fattibello) e dall'elevata presenza di animali, uccelli in particolare. Nella zona di Comacchio è molto attiva la pesca alle anguille. Bosco della Mesola La Riserva naturale Bosco della Mesola si estende fra i comuni di Goro, Codigoro e Mesola, contando un'estensione territoriale di 1058 ettari. Fondato nel 1977, rappresenta una riserva nazionale dello Stato, costituito da arbusti quali tamerici, salici, e querce oltre alla presenza di ungulati quali il cervo della mesola, specie endemica di taglia più piccola rispetto al comune cervo europeo, minacciata da un assortito nucleo di daini. Oasi isola bianca L'oasi Isola Bianca è un'area di protezione della fauna gestito dalla Lipu. Ha un'estensione di 360 ettari ed è compresa nella frazione di Pontelagoscuro del Comune di Ferrara vicino al Po. La presenza faunistica più rilevante è rappresentata dal picchio rosso maggiore, simbolo dell'oasi. Oltre a questa vi si possono osservare altre specie di volatili quali l'airone cenerino e il Cavaliere d'Italia. Bosco della Panfilia Il Bosco della Panfilia si trova nelle vicinanze di Sant'Agostino e ricorda le antiche foreste padane distrutte dell'antropizzazione. Si è formato da circa tre secoli ed il nome deriva da una celebre rotta del Po di Primaro avvenuta nel 1750 che ha travolse il palazzo e le terre del marchese Panfilio Fachinetti. È una zona protetta ricca di specie vegetali come pioppo bianco, frassino ossifìllo, salice bianco, robinia, olmo campestre, acero campestre, gelso bianco, ontano nero. Anche la fauna è molto ricca. Vi sono uccelli come Merlo, Ghiandaia, Storno, cinciarella, cinciallegra, scricciolo, averla piccola, averla cenerina, allodola, cornacchia grigia, fringuello, picchio verde, picchio rosso maggiore. E anche: martin pescatore, gallinella d'acqua, nitticora, germano reale, airone cenerino e così via. Vi si trova pure il fagiano, e vari rapaci: allocco, barbagianni, civetta, gufo comune, poiana, gheppio e sparviere. Tra i mammiferi lepre, riccio, talpa, volpe e nutria. Sono presenti poi molti altri vertebrati e numerosissime specie di invertebrati. Oasi di Porto L'Oasi di Porto è un'area di interesse naturalistico posta al confine tra il comune di Portomaggiore con il comune di Argenta. Comprende una serie di isolette collegate da ponticelli in legno. Viene frequentata da turisti, da pescatori e appassionati di birdwatching. L'area è una delle poche della Provincia di Ferrara, insieme alle Anse Vallive, a non registrare la presenza del pesce siluro e del gambero rosso americano. Simboli Comuni Appartengono alla provincia di Ferrara i seguenti 21 comuni: Argenta Bondeno Cento Codigoro Comacchio Copparo Ferrara Fiscaglia Goro Jolanda di Savoia Lagosanto Masi Torello Mesola Ostellato Poggio Renatico Portomaggiore Riva del Po Terre del Reno Tresignana Vigarano Mainarda Voghiera Comuni più popolosi Di seguito sono riportati i sei comuni più popolosi presenti nella Provincia, ordinati per popolazione: Comuni ad estremità geografiche Unioni di comuni Le tre unioni di comuni sono: Unione dei comuni Valli e Delizie, composta dai comuni di Argenta, Ostellato e Portomaggiore (sede amministrativa dell'unione); Unione Terre e Fiumi, composta dai comuni di Copparo (sede amministrativa dell'unione), Tresignana, Riva del Po; Unione Delta del Po, composta dai comuni di Codigoro (sede amministrativa dell'unione), Goro, Lagosanto, Fiscaglia, Mesola. Società Evoluzione demografica Amministrazione Elenco dei presidenti Il presidente della provincia è Gianni Michele Padovani, sindaco di Mesola. Note Bibliografia Antonio Saltini, Dove l'uomo separò la terra dalle acque. Storia delle bonifiche in Emilia-Romagna, Diabasis, Reggio Emilia 2005 ISBN 88-8103-433-6 Voci correlate Dipartimento del Basso Po Altri progetti Collegamenti esterni
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Portomaggiore
Portomaggiore (Portmagiòr in dialetto ferrarese) è un comune italiano di abitanti della provincia di Ferrara in Emilia-Romagna. È capoluogo dell'Unione dei comuni Valli e Delizie. Geografia fisica Cittadina i cui primi insediamenti risalgono al XII secolo, sviluppatasi in una terra strappata alla antica palude delle valli del Mezzano sugli argini di antichi rami del fiume Po. Classificazione climatica: zona E, 2272 GG Origini del nome Il toponimo deriva dall'importante porto fluviale che esisteva sul Sandalo e che permetteva i commerci con i corsi d'acqua prossimi (Fossa di Porto, Po di Primaro e Persico) e con il mare attraverso le paludi di Comacchio. Storia Le origini Il primo documento scritto relativo alla città è una carta d'enfiteusi scritta da Regimbaldo di Santa Maria in Palazzolo del 955. Lo scritto tratta la descrizione morfologica delle terre comprese nella Pieve di Santa Maria in Porto e, nonostante non sia ancora utilizzato l'attributo "maggiore" tutti gli storici sono concordi nell'affermare che si trattasse proprio del centro odierno. Il toponimo moderno si avrà solo nel 1249. La contesa arcivescovile La terra di Portomaggiore fu a lungo contesa tra i poteri arcivescovili ravennati e quelli ferraresi. Nel 1119 l'imperatore Arrigo VI promulgò un diploma con il quale venne spostato il confine ferrarese fino alla Fossa di Bosio, comprendendo anche Portomaggiore. Un altro diploma imperiale, settantasei anni dopo, restituiva ai Ravennati le "Terre di Porto". I ferraresi tuttavia continuarono a considerare la Fossa di Bosio come confine naturale e a pretendere il controllo sui centri di Portomaggiore, Sandolo, Maiero, Ripapersico, Consandolo e Portoverrara che, solo nel 1277, si poterono dire definitivamente ferraresi perché delimitati da una fossa fatta costruire da Azzo Novello a scopo di delimitare i propri confini. Il primo dominio Estense Gli Estensi governarono Portomaggiore per tutto il periodo della durata del Ducato di Ferrara e fino alla sua devoluzione allo Stato Pontificio. Essi apportarono in queste terre notevoli migliorie, specie in termini di bonifiche. Già ai tempi di Nicolò II esisteva a Portomaggiore un'istituzione scolastica riportata dai documenti come "Schole Sanctae Mariae de Porto". Malgrado i benefici influssi della stabilità estense fossero particolarmente sentiti dai portuensi, questi, in un momento difficile della vita della signoria, si lasciarono coinvolgere da faide familiari abbracciando la causa del marchese Azzo, ribelle al governo legittimo di Nicolo III. Il fatto, compiutosi nel 1395, è noto come tradimento di Portomaggiore, perché proprio qui, i due schieramenti diedero vita ad una sanguinosa battaglia conclusa con la sconfitta di Azzo. Il secondo dominio Estense Dopo il cruento episodio del 1395, sempre sotto direzione estense, il Portuense tornò ad essere oggetto di particolari attenzioni da parte della signoria, vuoi perché questi luoghi erano terre di confine e quindi bisognose di costanti aggiornamenti di natura bellica, vuoi per la peculiare attitudine di ogni reggitore della casata a concedersi luoghi di sosta, di ristoro e di caccia particolarmente lussuosi in ogni parte del ducato, denominati "Delizie". Anche nell'attuale territorio del comune di Portomaggiore ve ne era una di prestigio: la Delizia del Verginese a Gambulaga. Nel 1533, ai tempi di Alfonso I, il possedimento del Verginese era ancora legato allo sfruttamento agricolo, al pascolo e all'allevamento; tramutò in Delizia vera e propria nel 1534 grazie a Laura Dianti. Il dominio Pontificio Con la devoluzione del feudo ferrarese nel 1598, papa Clemente VIII si recò personalmente a prendere possesso dei territori ducali; il 2 ottobre fu a Portomaggiore dove celebrò una messa all'altare della Madonna della Chiesa di San Francesco e lasciò "abbondante elemosina al Convento dei Frati". Del periodo pontificio nel Portuense non si hanno memorie significative, tranne il definitivo sfaldamento del Castello e l'inaugurazione della Chiesa della Madonna dell'Olmo (tutt'oggi visitabile). Il 1860 fu un anno di aspre contese tra i poteri religiosi argentani e quelli portuensi; un insanabile dissidio che si protrasse per quasi cinquant'anni e il cui motivo era la dislocazione delle chiese collegiate più prestigiose. Entrambe le popolazioni dei due centri furono coinvolte in questa sorta di campanilismo politico-religioso ed è forse a questo periodo che si possono far risalire l'atavico agonismo e la rivalità ancora oggi molto sentiti tra i due comuni ferraresi. L'età Napoleonica ed il Risorgimento Il periodo Napoleonico non si dimostrò particolarmente significativo per la storia portuense e al riguardo fu scritto nel "Giornale del Basso Po" del 21 giugno 1798, "ben pochi cittadini hanno smesso il vestito aristocratico, e le forze rivoluzionarie del paese sono rappresentate da una guardia "ad zzanzàl" (di zanzare)". Ben altro va detto a proposito delle guerre d'indipendenza e dei cittadini di Portomaggiore direttamente impegnati nelle lotte per l'unificazione nazionale. Tra gli episodi più noti ricordiamo l'intervento del conte colonnello Ignazio Aventi in favore della popolazione di Comacchio ribellatasi agli austriaci; e ancora va menzionata la figura del fratello di Ignazio, il conte Carlo Aventi, che, arruolatosi tra i Bersaglieri del Po, cadde nella battaglia di Cornuda del 9 maggio 1848. Fu sempre un Aventi, il conte Antonio figlio di Ignazio, che nel 1859 organizzò e diresse la rivolta cittadina del 20 giugno, mentre Ferrara era ancora controllata dal potere pontificio e dal presidio austriaco. L'Ottocento e le rivolte popolari L'Ottocento fu anche il secolo delle grandi bonifiche; con esse divamparono le lotte sociali che valsero a Portomaggiore l'appellativo di "capitale degli scioperi". Già nel 1901 si potevano contare nel Portuense numerose organizzazioni politico-sindacali come le Leghe di Resistenza e Miglioramento che riunivano obbligati e disobbligati, muratori e operai. Nonostante da più di un decennio fossero in funzione ferrovie di collegamento con Ferrara e Bologna, nel 1903 i disoccupati erano ancora oltre 2500 e l'economia era fondata ancora sullo sfruttamento dei lavoratori. Fu così che nel 1903 si giunse al grande sciopero dei 4500, con violenti scontri tra polizia e crumiri da una parte e manifestanti dall'altra. Un altro importante sciopero si ebbe nel 1907, durante il quale intervenne la polizia a cavallo per abbattere le barricate innalzate lungo il viale della stazione con lo scopo di impedire l'accesso ai crumiri. Le due guerre ed il dopoguerra Il fascismo e le due guerre lasciarono lutti e profonde lacerazioni nel tessuto urbano-architettonico di Portomaggiore: le azioni terroristiche delle camicie nere erano dirette personalmente da Italo Balbo e Olao Gaggioli. Tra il 1944 e il 1945 le incursioni aeree determinarono la distruzione della centrale elettrica, della stazione ferroviaria, delle prigioni, del Palazzo degli Uffici governativi, dell'ospedale Eppi, della Collegiata (il Duomo) e di centinaia di abitazioni. Il 19 aprile 1945, all'entrata in città dell'VIII armata inglese, Portomaggiore si presentava come un cumulo di macerie. Negli anni Cinquanta del 1900 vennero realizzati strade, case, scuole e l'ospedale; fu attuato un piano regolatore che portò ad una struttura urbanistica tra le più moderne del tempo. Dal 1º agosto 1959 la frazione di Masi Torello veniva elevata a capoluogo di Comune autonomo. Dagli anni sessanta ad oggi Durante gli anni del boom economico, fiorirono a Portomaggiore diverse attività artigianali ed industriali: tra le più famose ricordiamo la Fabbri e la Colombani (fondata nel 1924 da Giulio Colombani). Nel 1986 Portomaggiore fu ritenuta il luogo più idoneo per realizzare un "mega-villaggio satellite americano"; furono quindi impiegati 5000 metri quadrati per la costruzione del sogno "made in USA". L'OK Village, così si chiamava questa New York in miniatura, era in effetti una piccola città dove al ballo si associava la possibilità di fare acquisti nella Quinta Strada o di sdraiarsi sulle panchine di Central Park. Al mondo, al momento della realizzazione del complesso, esistevano soltanto altre due discoteche simili: il "Palladium" a New York e l'"Ippodrome" a Londra. Simboli Non è possibile stabilire l'antichità dello stemma poiché il materiale storico dell'Archivio comunale è andato perduto, ma lo si trova in un punzone di ferro del comune e scolpito sui banchi della sua collegiata. La veduta al naturale allude al nome del borgo. Le stelle probabilmente si riferiscono ai tre territori che formavano la circoscrizione amministrativa nella sua massima estensione storica: il capoluogo (in posizione leggermente più elevata) e gli appodiati di Voghiera e Masi Torello, oggi comuni autonomi. Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose Chiesa di San Giorgio Martire nella frazione di Gambulaga Chiesa di San Sisto II Papa nella frazione di Runco Chiesa di San Clemente nella frazione di Portoverrara Architetture civili Delizia Estense del Verginese Monumento importante del comune è la Delizia del Verginese, castello ubicato nella frazione di Gambulaga a circa 6 chilometri dal capoluogo. Originariamente casale di campagna, fu trasformato in residenza ducale nel primo Cinquecento da Alfonso I d'Este e donato a Laura Eustochia Dianti. Alla morte del Duca, la dama vi si ritirò, facendone la sua piccola corte privata e ne ordinò la ristrutturazione, eseguita principalmente da Cavaldi da Parma. Questi configurò il castello come un edificio a pianta rettangolare e a due ordini, delimitato da quattro torri merlate e a pianta quadrata. A lato è posta una piccola chiesa settecentesca, unita all'edificio tramite un portico, anch'esso della stessa epoca. L'interno venne decorato a partire dal XVIII secolo con stucchi, fiori in stile liberty a tempera, conchiglie, rosoni, volute e spesse cornici che delineano soffitti. Grazie ad un recente restauro, l'antica delizia estense è diventata un luogo privilegiato per mostre temporanee, incontri culturali e concerti. La Delizia del Verginese dal 2006 ospita i reperti archeologici del "Sepolcreto dei Fadieni" (I e II secolo d.C.). Teatro Sociale della Concordia Progettato dall'architetto Giovanni Tosi nei primi del 1800 su mandato della società per azioni del "Teatro Sociale della Concordia". Inaugurato il 15 ottobre 1844 il teatro di gradevole architettura circolare, era costituito da 44 palchi disposti su tre ordini che potevano, unitamente alla platea, ospitare circa 450 spettatori. Dopo decenni di abbandono, negli anni 80 fu restaurato il Ridotto del teatro, luogo di mostre ed eventi, e nelle sale del secondo piano sono ora esposti 10 ritratti del pittore portuense Federico Bernagozzi e 10 ritratti del pittore ferrarese Remo Brindisi con soggetto ferraresi illustri del ‘900. Oasi di Porto-Trava Un'altra attrattiva del comune è l'Oasi di Porto, area ideale per il birdwatching e la pesca sportiva. Questa Oasi si estende per 11 ettari con uno specchio d'acqua di 7 ettari. In questo lembo di natura è possibile fermarsi e trascorrere alcune ore in pace passeggiando tra le isolette unite tra loro da ponticelli in legno, soffermandosi a guardare le oche ed altri uccelli acquatici nuotare, pescare e rincorrersi nell'acqua; per finire poi a leggere la favola ferrarese "Le tre ocarine" che si sviluppa sul prato fino al recinto dei daini. Dall'Oasi Trava si può raggiungere, percorrendo un bello e accessibile percorso in bicicletta di soli 4 km, l'Oasi Anse Vallive di Porto - Bacino di Bando. Società Evoluzione demografica Etnie e minoranze straniere Secondo i dati ISTAT, al 31 dicembre 2010 la popolazione straniera residente era di persone. Le 10 nazionalità maggiormente rappresentate nel territorio comunale erano: Pakistan 627 Marocco 349 Ucraina 135 Romania 85 Moldavia 51 Polonia 46 Cina 46 Albania 38 Tunisia 37 Niger 21 Tradizioni e folclore Nella terza settimana di settembre si tiene l'antica Fiera di Portomaggiore, rassegna di macchine agricole e prove di lavorazione in campo. Vi sono anche stand gastronomici e rassegne artistiche nelle vie del centro storico. Durante l'antica Fiera si tiene il famoso concorso di poesia dialettale al quale partecipano moltissimi artisti di livello provinciale e regionale. Da segnalare che la famiglia circense degli Orfei è originaria di Portomaggiore. Cultura Cucina e gastronomia Portomaggiore è la zona di origine della salama da sugo, un insaccato fatto con fegato, lingua e altre parti del maiale insaccate nella vescica. Altre specialità gastronomiche del portuense sono il cotechino (a rafforzare una tradizione della lavorazione della carne di suino), i cappellacci di zucca ed il risotto di zucca. Influenze della cucina della vicina Romagna si possono vedere nell'uso della piadina e del vino Sangiovese. Notevole è la produzione di prodotti ortofrutticoli nel portuense, il terreno fertile e torboso permette la coltivazione di ottime qualità di frutta, esportate in tutto il territorio italiano: tra i più apprezzati troviamo i meloni, i fichi e le angurie. Geografia antropica Frazioni Le otto frazioni di Portomaggiore sono: Portoverrara, Maiero, Sandolo, Gambulaga, Runco, Quartiere, Portorotta e Ripapersico. Esistono altre piccole località non riconosciute ufficialmente come frazioni ma densamente popolate in passato: la Braglia, il Pozzale e il Verginese sono quelle più conosciute. Economia L'agricoltura (coltivazioni cerealicole e frutticole), sulla cui economia si è sempre appoggiato storicamente il tessuto locale, sul finire del XX secolo ha visto perdere progressivamente importanza a favore di terziario avanzato e piccola attività manifatturiera, con conseguente sviluppo di attività industriali ed artigianali. Portomaggiore comunque è luogo di nascita di aziende storiche del settore agricolo/commerciale. Nel 1905 vi nacque l'industria Fabbri, trasferitasi poi a Bologna, che divenne famosa per le conserve e lAmarena Fabbri, suo simbolo nel mondo. Nel 1924 il commendator Giulio Colombani avviò a Portomaggiore un'attività di produzione di conserve di pomodoro, e successivamente di marmellate e succhi di frutta, che si affermò nel tempo con il marchio Jolly Colombani'' e che fu poi acquisita dal consorzio Conserve Italia. Ambedue queste attività industriali non hanno comunque lasciato stabilimenti produttivi sul territorio di Portomaggiore. Infrastrutture e trasporti Strade Portomaggiore è servito dalla strada statale 16 Adriatica ed è a circa 15 chilometri dall'autostrada A13 Bologna-Padova e dalla Superstrada Ferrara-Porto Garibaldi. Ferrovie La stazione di Portomaggiore rappresenta lo scalo ferroviario più importante della provincia, dopo quello di Ferrara. La stazione rappresenta una fermata della linea Ferrara – Rimini ed è capolinea delle linee Bologna–Portomaggiore e Portomaggiore-Dogato. Di fronte alla Delizia del Verginese è presente inoltre una seconda stazione ferroviaria, posta sulla linea Portomaggiore-Dogato, il cui esercizio è però sospeso dal 2017. Sport A Portomaggiore è diffusa la pallavolo ed è il luogo di nascita di molte personalità sportive come Dino Bruni (ciclismo), Gianfranco Macchia (pugilato), Luca Stagni (pallavolo), Ruben Buriani (calcio), Davide Santon (calcio), Vancini (nuoto) e Savino Bellini (calcio), al quale è dedicato lo stadio. Il 4 gennaio 2008 la nazionale under 21 olandese si allenò nello stadio di Portomaggiore (dove gioca la Portuense) prima dell'amichevole contro l'Italia a Ferrara. Calcio A. S. Portuense - Campionato Regionale Promozione Quartiere Calcio - Campionato Provinciale di Seconda Categoria Pallavolo Team Volley Portomaggiore '''- Campionato nazionale Serie A3 girone bianco Nuoto La società Delfino 93 gestisce la piscina comunale e vanta numerosi iscritti. Motori A Ripapersico, a pochi chilometri a sud di Portomaggiore, vi è una pista per gokart e minimoto che ospita eventi e manifestazioni di livello sia regionale che nazionale. Tiro con l'arco Presso la Delizia del Verginese vi sono alcuni campi di tiro. Amministrazione Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune. Gemellaggi Note Voci correlate Ferrara Delizie estensi Oasi di Porto (Ferrara) Stazione di Portomaggiore Unione dei comuni Valli e Delizie Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Pace
Pace
La pace è una condizione sociale, relazionale, politica (per estensione anche personale ovvero intraindividuale, o eventualmente legata ad altri contesti), caratterizzata dalla presenza di condivisa armonia e contemporanea assenza di tensioni e conflitti. La pace che si instaura tra due nazioni in seguito a una guerra può trarre origine dalla cessazione del conflitto per comune accordo fra le nazioni coinvolte oppure essere imposta quando il suo mantenimento è possibile sotto il rispetto di condizioni dettate dalla nazione che ha vinto il conflitto o quando la superiorità di una delle parti è tale da scongiurare qualsiasi azione di rivolta da parte della nazione in condizione di inferiorità. Il termine deriva dal latino pax (il quale a sua volta si fa derivare dalla radice indoeuropea pak-, pag- fissare, pattuire, legare, unire, saldare; alla quale sono legate anche pagare e pacare) ed è il contrapposto di bellum (guerra) in senso politico e sociologico, ovvero dello stato dei rapporti tra individui o gruppi di individui. Trattandosi di uno dei concetti più antichi e profondi in senso antropologico, il termine ha assunto significati più estensivi e generali, compresi verbi come "appacificare" e "rappacificare", con i relativi riflessivi: "appacificarsi" e "rappacificarsi". Per ulteriore estensione semantica, il concetto di pace come "non-turbamento" è poi passato dai campi sociologico e politico a quello individuale in senso spiccatamente psicologico, assumendo il significato di pace dell'anima o pace interiore, ovvero uno stato di quiete o tranquillità dell'animo umano percepita come assenza di turbamenti e agitazione. Tale pace interiore (o dell'animo) ben risponde agli antichi concetti di eutimìa (in Democrito), di aponìa (in Epicuro), di atarassia (negli stoici), di eireneusi in etiche recenti. Più specificatamente, la pace viene considerata (o dovrebbe essere considerata, secondo l'opinione corrente) un valore universalmente riconosciuto che sia in grado di superare qualsiasi barriera sociale e/o religiosa e ogni pregiudizio ideologico, in modo da evitare situazioni di conflitto fra due o più persone, due o più gruppi, due o più nazioni, due o più religioni. Filosofia Antica Grecia Nel mondo greco antico la pace non era da intendersi come la semplice astensione dal conflitto militare o una sua cessazione, ma veniva sempre strettamente associata a concetti che ne esprimono bene le altre dimensioni citate: tale associazione è presente già in età arcaica quando, in Esiodo, la sua personificazione, Eirene, è associata a Eunomia (il buon governo) e a Diche (giustizia), tutte figure delle Ore figlie di Temi. Interessante è anche l'associazione con Pluto, che, in braccio a Eirene e con sembianze di bambino, personifica l'abbondanza recata dalla pace. L'iconografia è famosa per una raffigurazione di Cefisodoto il Vecchio, padre di Prassitele, una cui statua, posta sull'acropoli di Atene, offriva la scena del bambino portato in braccio che accarezzava il volto della dea. Una significativa ripresa è nella commedia Eirene di Aristofane il quale scrisse anche la commedia Lisistrata, una protesta delle donne elleniche contro la guerra al tempo della guerra del Peloponneso. Secondo il filosofo Eraclito non può esistere una pace totale, assoluta ed eterna. Esiste una pace perché prima si è verificata una guerra, e la contrapposizione tra la pace e la guerra crea l'armonia nel divenire. La guerra, in quanto idea massima di distruzione, viene intesa come indispensabile strumento del divenire, e quindi del progresso: "Polemos (la guerra) è padre di tutte le cose". In Platone il mantenimento dell'ordine e della pace all'interno della polis dipende da vari fattori, uno dei quali è la guerra. Essa non è un concetto negativo o condannabile ma un elemento che partecipa dell'attività di governo e quindi un lato necessario dell'arte politica. Platone sottolinea la naturalità e, quindi, la non eliminabilità definitiva della guerra. Il concetto platonico esprime una tipica ottica globale, che non abbraccia il solo orizzonte politico ma si estende anche alla sfera etica e morale. Sempre nella stessa ottica etico-politica si muoveva Aristotele quando, nel sesto libro della Poetica, indicava la pace come il fine ultimo della polis ideale, al cui conseguimento doveva essere indirizzata e conformata l'educazione politica del cittadino. È lo stesso quadro delle relazioni politiche internazionali, maturato nel IV secolo a.C. a promuovere un'evoluzione del concetto di pace, quando questa, a seguito dei contatti più stretti con l'Oriente persiano, non poteva essere più ricondotta alla dimensione delle relazioni tra le sole polis o, addirittura, all'angusto ambito dei rapporti interni alla singola polis: è il concetto della pace comune (koinè eiréne), un obiettivo tendenzialmente stabile e duraturo, che acquisiva il suo senso in una logica multilaterale nel quale si componessero e bilanciassero gli interessi di un ambito di comunità più ampio di quelle in conflitto, venendo garantita in maniera anche coercitiva da un organismo sovraordinato alle singole individualità comunitarie. L'esempio proveniente dal IV secolo a.C. è quello della pace del Re, ma il prototipo di questo tipo di relazioni può essere rintracciato nella genesi di quelle embrionali associazioni multilaterali che evolveranno nel fenomeno delle anfizionie. Mondo romano Storicamente la prima enunciazione del concetto di pace in ambito romano risale a Cicerone, che all'inizio del I secolo a.C. la definiva come tranquilla libertas nelle Filippiche (II, 44, 113). Dunque secondo Cicerone la libertà (assieme alla securitas) era una prerogativa per il raggiungimento della pace. La definizione di Cicerone si sovrapponeva a quella platonica e a quella aristotelica per costituire il punto di vista romano in generale, ma in senso politico prevaleva il significato espresso dal celebre adagio: si vis pacem para bellum (se vuoi la pace prepara la guerra). Lo storico Publio Cornelio Tacito visse al tempo della più ferrea applicazione del concetto di pax romana, che indicava l'assenza di conflitti nell'impero e ai suoi margini, ottenuta attraverso la sottomissione dei popoli bellicosi e la riduzione di essi all'impotenza manu militari (cioè per mezzo del potere militare). Tale condizione di pace si allontanava dalla definizione di Cicerone, in quanto negava la libertas a favore della securitas. Il seguente brano è tratto dalla Vita di Agricola, in cui lo storico riporta le presunte parole di Calgaco (Calgax) capo dei Britanni nell'ultimo tentativo di questi di opporsi alla conquista di Roma. Calgaco si sta rivolgendo ai suoi guerrieri prima dello scontro. Immanuel Kant Immanuel Kant (1724 – 1804) è stato un maestro nel campo della filosofia della storia. La sua concezione della storia deriva dalle concezioni illuministe della storia considerata universale, appartenente a tutti gli uomini senza distinzioni, a prescindere dalle singole storie delle singole nazioni. La riflessione kantiana sulla storia trova un approfondimento nello scritto Per la pace perpetua (Zum ewigen Frieden), un progetto filosofico del 1795 nel quadro della situazione storica del tempo profondamente mutata con lo scoppio della Rivoluzione francese. In essa il filosofo propone una struttura mondiale che dovrebbe favorire la pace, organizzata sulla base di tre articoli, che riguardano rispettivamente il diritto pubblico interno, il diritto internazionale e il diritto chiamato da Kant cosmopolitico. Quest'ultimo definisce i diritti nei rapporti degli Stati fra loro e con i singoli individui all'interno di uno Stato sovranazionale detto civitas gentium: la costituzione di ogni Stato deve essere repubblicana il diritto internazionale deve essere fondato su un federalismo di liberi Stati il diritto cosmopolitico deve essere limitato alle condizioni dell'ospitalità universale (cioè al diritto per ciascuno di muoversi liberamente e proporre relazioni commerciali con i cittadini di altri Stati, come passo preliminare per l'istituzione di una costituzione civile mondiale). Paul Henri Thiry d'Holbach Tra gli illuministi, anche il barone Paul Henri Thiry d'Holbach esprime una dura critica alla guerra offensiva (ammette invece la difesa armata da aggressioni), che considera un retaggio dei tempi barbari. Egli è ateo, e motiva la sua scelta non su motivi religiosi ma tramite l'uso della ragione: la guerra è un'ingiustizia, l'esercito va fortemente ridimensionato, poiché anche in tempo di pace i militari rappresentano una minaccia per i cittadini, spesso costretti anche ad arruolarsi, essendo usati anche per reprimere le proteste. Il filosofo francese d'origine tedesca è uno dei primi antimilitaristi moderni. Voltaire Voltaire, uno dei principali illuministi, si impegnò al fine di evitare il più possibile le guerre. Disprezzava il militarismo e sosteneva il pacifismo e il cosmopolitismo. Un appello alla pace è presente anche nel Trattato sulla tolleranza. Cercò di fare da mediatore tra la Francia e la Prussia di Federico II, per evitare la guerra dei sette anni. Egli attacca l'uso politico della religione per giustificare le guerre, e auspica la distruzione del fanatismo religioso: Bertrand Russell Bertrand Russell fu un convinto pacifista. Si oppose alla partecipazione del Regno Unito alla prima guerra mondiale. Per la sua posizione fu prima allontanato e poi perse la cattedra al Trinity College dell'Università di Cambridge; infine fu incarcerato per sei mesi. Negli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale, Russell fu fautore di una politica di pacificazione, ma alla fine riconobbe che Hitler doveva essere combattuto. Russell chiamò la sua posizione "pacifismo relativo": egli riteneva che la guerra fosse un male, ma anche che, in circostanze estreme (ad esempio, quando Hitler minacciava di occupare l'Europa intera), la guerra stessa potesse essere il male minore. A partire dagli anni cinquanta Russell, dopo avere sostenuto in una conferenza pubblica del 1948 la necessità di un attacco nucleare preventivo contro l'Unione Sovietica, divenne assieme ad Albert Einstein un sostenitore autorevole del disarmo nucleare. Nel 1961 Russell fu processato e condannato a una settimana di prigione in seguito a una manifestazione a Londra contro il proliferare delle armi nucleari. La guerra in Vietnam fu l'ultimo obiettivo polemico del pacifismo di Russell, che insieme a Jean-Paul Sartre fondò il tribunale che prese il suo nome per processare gli Stati Uniti per crimini di guerra. Religioni Induismo In lingua indù la traduzione di pace è shanti. Tale termine, che viene associato a uno stato di assoluta pace interiore e di serena imperturbabilità, viene citato in molte scritture sacre induiste, tra cui i Veda, le Upaniṣad e la Bhagavad Gita. Buddismo Nel buddismo, come nell'induismo, il concetto di pace interiore riveste un ruolo fondamentale ed è associato al cosiddetto "nirvana", inteso come liberazione dal dolore. Ebraismo Nell'Antico Testamento, la pace si esprime con la parola shalom (שלום). Questa parola va considerata e compresa in rapporto al contesto in cui viveva il popolo ebraico, che per la maggior parte della sua storia antica si è trovato in una sofferta lotta per la sopravvivenza, minacciato e minacciando continuamente di aggressione e schiavitù qualche popolo vicino. Ciò avveniva sia nell'epoca più antica, quando gli ebrei erano un popolo nomade o seminomade, sia più tardi, quando, a partire dal XII secolo a.C., essi si stanziarono in città e villaggi. Quando nell'Antico Testamento si legge la parola pace, bisogna pensare a una situazione ideale dove il popolo può vivere in tranquillità, senza minacce esterne. La pace favorisce lo sviluppo delle attività umane e il servizio a Yahweh. I profeti che annunciano i tempi del messia (per esempio Libro di Isaia, 11,6) amano descrivere la pace in termini paradisiaci, dove persino tra gli animali non ci sarà la lotta per la sopravvivenza. Dal racconto della cessazione del diluvio universale nell'Antico Testamento nasce inoltre la figura della colomba con un ramoscello di ulivo nel becco, inteso come simbolo di pace. Cristianesimo Gesù Cristo resuscitato si presenta agli apostoli la sera dello stesso giorno di Pasqua e dice loro: "La pace sia con voi" (Giovanni 20,21). Questa pace è la piena comunione con Dio, frutto del sacrificio redentore di Gesù Cristo. Nel Libro di Isaia (9:6) viene profetizzata la nascita del Messia col nome di Principe della Pace. Gesù predica l'avvento del Regno di Dio, iniziato sulla terra dopo la sua resurrezione: il Padre offre agli uomini la salvezza promessa dai profeti; è necessario prendere una decisione e aderire alla sua persona e coinvolgersi nell'annuncio della buona notizia. In questo contesto, per Gesù, il valore della fedeltà e della testimonianza alla sua persona è più importante che il valore della pace. Sebbene viva in un momento di dominazione straniera, Gesù non si schiera né con i patrioti né con i collaborazionisti. Piuttosto invita tutti a essere fedeli a Dio. Sembra che riguardo alla pace voglia dire: non importa la situazione esterna, quanto la fedeltà a Dio che chiama. Per questo, usando una forma di esprimersi per contrapposizioni comune nel suo tempo, Gesù afferma che non è venuto a portare la pace, ma la spada (metafora di decisa separazione) e, come riportato nel vangelo di Matteo (10,34): "Non pensate che sia venuto a portar pace sopra la terra: non sono venuto a portare pace ma la spada. Sono venuto, infatti, a separare l'uomo da suo padre, la figlia dalla madre e la nuora dalla suocera; i nemici dell'uomo saranno i suoi stessi familiari.". I papi nel Novecento La presa di Roma nel 1870 e la conseguente perdita del potere temporale da parte del Papa mise fine alla impressionante serie di guerre intestine e imprese militari di cui fu protagonista lo Stato Pontificio dal primo Medioevo al Rinascimento. La corruzione politica e la dissoluzione morale di papi emblematici quali Bonifacio VIII, Alessandro VI e Giulio II Giovanni Paolo II ha più volte preso posizione contro l'inutilità della guerra e sulla necessità del dialogo per risolvere i conflitti tra le nazioni. Nella Lettera apostolica “Rosarium Virginis Mariae” del sommo pontefice Giovanni Paolo II si legge a proposito di pregare per la pace con la devozione del Santo Rosario: “il Rosario ci rende anche costruttori della pace nel mondo. Per la sua caratteristica di petizione insistente e corale, in sintonia con l'invito di Cristo a pregare «sempre, senza stancarsi » (Lc 18,1), esso ci consente di sperare che, anche oggi, una 'battaglia' tanto difficile come quella della pace possa essere vinta. Lungi dall'essere una fuga dai problemi del mondo, il Rosario ci spinge così a guardarli con occhio responsabile e generoso, e ci ottiene la forza di tornare ad essi con la certezza dell'aiuto di Dio e con il proposito fermo di testimoniare in ogni circostanza «la carità, che è il vincolo di perfezione» (Col 3, 14)”. Islam La radice della parola islam è slm, il cui significato è pace. Il Corano descrive la sua via come la via della pace (5:16); la riconciliazione è presentata come la strada migliore (4:128) ed è scritto che Allah aborrisce tutto ciò che disturba la pace (2:205). Secondo il Corano, uno dei nomi di Allah è As-Salam, che significa pace, e la società ideale è Dar as-Salam, la dimora della pace (10:25). Il Corano presenta l'universo come un modello caratterizzato da armonia e pace (36:40). Quando Allah creò il cielo e la terra, fece le cose in modo che ogni elemento potesse assolvere alla sua funzione pacificamente, senza scontrarsi con gli altri elementi. "Al sole non è permesso sorpassare la luna e la notte non può venire al posto del giorno. Ogni cosa segue il suo cammino." (36:40) I musulmani ortodossi credono che l'uomo sia nato in uno stato di islam (sottomissione a Dio) che comporta pace, amore e purezza. Il contatto con l'impuro che è nel mondo insieme con l'influsso di Shaytan (ovvero Satana) e dei Jinn (il maligno) allontanano l'uomo dalla purezza dell'islam. Per questo motivo un credente musulmano deve praticare la dawah (l'invito), ossia invitare gli infedeli verso l'islam e farli partecipi del messaggio di pace e giustizia attraverso la diffusione della verità rivelata da Allah nel Corano e dall'adīth, ossia dalla tradizione narrativa della vita del profeta Maometto. Secondo un'interpretazione moderata del Corano, è chiaramente detto che la guerra di aggressione non è permessa nell'islam. Un musulmano può quindi intraprendere solo una guerra difensiva, mai offensiva (2:190). In obbedienza a questo precetto, la pace è la regola mentre la guerra è l'eccezione. Nemmeno la necessità di rispondere a un atto di aggressione è sufficiente a un musulmano per intraprendere una guerra. Egli dovrà considerare l'intera situazione e, se non è sicuro del risultato di una possibile guerra, dovrà adottare una condotta volta a evitare la violenza. Quindi anche in caso di difesa, se il risultato è dubbio, un musulmano dovrà evitare la guerra. D'altra parte, il concetto di jihād (lotta) è uno degli insegnamenti più importanti dell'islam. Ma la parola jihad non è sinonimo di guerra visto che un'altra parola, "qital", è usata nel Corano invece di jihad per indicare la lotta violenta. In realtà jihad significa lotta pacifica, finalizzata alla pratica della dawah. È scritto nel Corano: "Fai una grande jihad con l'aiuto del Corano (25:52)". Infatti, jihad è solo un altro modo di indicare un attivismo pacifico, il quale è la sola arma attraverso cui l'islam vuole raggiungere tutti i suoi scopi e obiettivi. Secondo l'esplicito insegnamento del Corano, la vocazione verso Allah è la vera ed eterna missione dell'islam, laddove la guerra è un qualcosa di temporaneo ed eccezionale. Secondo l'islam, la pace non è semplicemente l'assenza di guerra. Infatti lo svolgimento pianificato delle attività umane è possibile solo in uno stato di pace, da cui l'importanza della riconciliazione. Allo stesso modo il profeta Maometto ha osservato: "Allah riconosce alla mitezza ciò che non riconosce alla violenza. (Sunan Abu Dawud 4/255) . La Fede Bahá'í Bahá'u'lláh (1817/ 1892), il cui nome in arabo significa "La Gloria di Dio") è stato il fondatore della Fede Bahá'í il cui principio fondamentale è che la verità religiosa non sia assoluta, ma relativa: c'è un unico Dio inconoscibile, che progressivamente si rivela all'umanità attraverso il suo verbo che si manifesta attraverso i vari messaggeri divini Rivelazione progressiva bahai. Tutte le religioni sono viste come stadi della rivelazione della volontà e degli scopi di Dio e i loro insegnamenti sono sfaccettature di un'unica verità. Lo scopo ultimo della religione bahá'í è l'unità del genere umano e la pace universale Dice Bahá'u'lláh: "La Terra è un solo paese e l'umanità i suoi cittadini" . La fede tende all'instaurazione di una comunità mondiale in cui tutte le religioni, razze, credenze e classi siano strettamente e definitivamente unite. Secondo Bahá'u'lláh una società globale per poter fiorire deve basarsi su certi principi fondamentali, che includono: la libera indipendente ricerca della verità, l'eliminazione di tutte le forme di pregiudizio; piena parità di diritti tra uomo e donna; riconoscimento della unicità essenziale delle grandi religioni mondiali; unicità di Dio, eliminazione degli estremi di povertà e ricchezza; istruzione universale; armonia tra religione e scienza; equilibrio sostenibile tra natura e tecnologia; una lingua ausiliaria universale e lo stabilirsi di un sistema federativo mondiale, basato sulla sicurezza collettiva. Seguendo il suo insegnamento, Shoghi Effendi (1897 – 1957) definì la sua epoca come l'età formativa, coincidente con l'emergere della religione bahá'í dall'oscurità e l'espansione del credo in tutto il mondo. L'età formativa sarebbe seguita da una situazione di crisi mondiale tale da costringere i popoli e le nazioni a rivedere i loro concetti di politica internazionale fondando una confederazione mondiale, dotata di vero governo mondiale espressione di un vero parlamento mondiale eletto dai popoli del mondo e non dai loro governi, e dotata, inoltre, di un tribunale internazionale per dirimere le contese di interessi tra nazioni ed evitare la guerra con sentenze vincolanti fatte valere da uno stabile esercito mondiale con totale abolizione degli eserciti nazionali da esso sostituiti; questa situazione di unità confederale mondiale e semplice cessazione della guerra è definita "pace minore" a cui poi, nei secoli, seguirà una futura età d'oro in cui la religione bahá'í sarà abbracciata dalla maggioranza delle persone in un gran numero di stati confederati del mondo e che viene chiamata "pace maggiore" e nella quale l'unità mondiale non sarà solo istituzionale e confederale ma anche sentita dai popoli come parte ed espressione dell'unità divina. "Il benessere dell'umanità, la sua pace e la sua sicurezza saranno irraggiungibili, ammenoché e finché la sua unità non sia saldamente stabilita" La pace e i grandi personaggi del Novecento Mahatma Gandhi Sul finire dell'Ottocento in India sorgono i primi movimenti per ottenere l'indipendenza dall'Inghilterra a capo dei quali si pone Mohandas Karamchard Gandhi, detto il Mahatma (in sanscrito significa Grande Anima, soprannome datogli dal poeta indiano Tagore). Gandhi, fortemente influenzato dall'induismo e dalla pratica del giainismo i quali diffondono da sempre il concetto di non-violenza, guida le diverse anime dell'India nella rivolta agli inglesi con due sole armi: la "non collaborazione" e la "disobbedienza civile", rifuggendo l'uso della violenza. La non-collaborazione o boicottaggio non-violento significava per Gandhi non acquistare liquori e tessuti provenienti dall'Impero britannico, non iscrivere i figli alle scuole inglesi, non investire i propri risparmi in titoli di stato britannici, ecc. La disobbedienza civile consisteva nel violare pubblicamente le leggi ritenute ingiuste accettando però le punizioni previste dalla legislazione vigente per le violazioni commesse, non considerandosi il rifiuto della sanzione prevista un atteggiamento non-violento. A questo proposito bisogna ricordare come Gandhi trascorse un totale di 2 338 giorni di detenzione in Sudafrica e India a causa degli arresti dovuti alle sue lotte politiche. Per Gandhi la disobbedienza civile rappresentava, insieme allo sciopero della fame e della sete, la forma culminante di resistenza non-violenta; egli la definì "un diritto inalienabile di ogni cittadino", e affermò che "rinunciare a questo diritto significa cessare di essere uomini". Gandhi rivoluzionò l'idea di lotta rivoluzionaria. Per quanto divergenti nei loro obiettivi politici, le teorie classiche della rivoluzione hanno in comune due componenti fondamentali: la teoria del "diritto alla resistenza" (John Locke), secondo cui è legittimo – se non doveroso – che le masse popolari si ribellino alle autorità sociali e politiche, quando subiscono un'evidente e intollerabile situazione di ingiustizia ("Ribellarsi è giusto", diceva Mao Tse Tung); la teoria della "guerra giusta" e del tirannicidio, secondo cui il popolo ha diritto di ricorrere alla violenza rivoluzionaria, quando questa serve a correggere torti e ingiustizie gravemente devianti dalla legge morale naturale (questa teoria, con origini nei Padri della Chiese, e nel tomismo medievale, giustificava la violenza e le guerre). . . Il 30 gennaio di ogni anno, per l'anniversario della morte di Mahatma Gandhi, viene praticata la Giornata Scolastica della Non-violenza e della Pace (DENIP), fondata nel 1964. Martin Luther King Martin Luther King fu un pastore battista afro-americano nell'Alabama, leader dei diritti civili della minoranza di colore negli Stati Uniti. È stato il più giovane premio Nobel per la pace della storia, riconoscimento conferitogli nel 1964 all'età quindi di soli trentacinque anni. Significativo è il discorso che tenne il 28 agosto 1963 durante la "marcia per il lavoro e la libertà" davanti al Lincoln Memorial di Washington e nel quale pronunciò più volte la celebre frase "I have a dream" (Ho un sogno), che sottintendeva la (spasmodica) attesa che egli coltivava, assieme a molte altre persone, perché ogni uomo venisse riconosciuto uguale a ogni altro, con gli stessi diritti e le stesse prerogative Più volte imprigionato, perseguitato dagli ambienti segregazionisti del Sud degli Stati Uniti, nel mirino dell'FBI, King fu assassinato a colpi d'arma da fuoco prima di una marcia il 4 aprile 1968, mentre si trovava su un balcone del Lorraine Motel di Memphis, Tennessee. Johan Galtung Johan Galtung (Oslo, 24 ottobre 1930) è un sociologo e matematico norvegese, fondatore nel 1959 dell'International Peace Research Institute e della rete Transcend per la risoluzione dei conflitti. È uno dei padri della peace research (o peace studies). Le sue opere ammontano a un centinaio di libri e oltre 1 000 articoli. Le istituzioni internazionali si sono spesso rivolte a lui per consulenze tecniche in fatto di mediazioni di conflitti. Il punto di forza del pensiero di Galtung è quello di avere fatto della pace un concetto ben determinato, al centro di un vastissimo campo di ricerche. Sua è la concettualizzazione di pace negativa (assenza di guerre), positiva (tensione verso una società più giusta), nonviolenta (superamento delle ingiustizie con mezzi nonviolenti). L'indagine di Galtung sulla pace e la nonviolenza parte da Gandhi e passa per il buddhismo, che gli appare come l'unica filosofia in grado di spiegare pienamente l'essenza della pace. Tenzin Gyatso Tenzin Gyatso è il XIV Dalai Lama, massima personalità del buddhismo ed esponente del pacifismo. Presiede il governo tibetano in esilio e per questa ragione il suo ruolo politico è largamente controverso. D'altra parte il suo messaggio di lotta non-violenta è molto diffuso attraverso la pubblicazione di numerosi libri e articoli e attraverso la partecipazione a seminari e conferenze in tutto il mondo. Il 10 dicembre 1989 venne conferito a Tenzin Gyatso il premio Nobel per la pace. In un comunicato il Comitato annunciò le motivazioni: Daisaku Ikeda Daisaku Ikeda è un leader buddista, peacebuilder, un prolifico scrittore, poeta, educatore e fondatore di un certo numero di istituti di ricerca culturale, educativa e per la pace in tutto il mondo. Come terzo presidente della Soka Gakkai (che vuol dire "società per la creazione di valore") e fondatore della Soka Gakkai International, Daisaku Ikeda ha sviluppato e ispirato quello che potrebbe essere la più grande e diversificata associazione internazionale di laici buddisti nel mondo di oggi. Basato sulla tradizione del Buddismo di Nichiren Daishonin, il movimento si caratterizza per la sua enfasi sull'empowerment individuale e sociale per promuovere la pace, la cultura e l'istruzione. La nonviolenza e il pacifismo come fenomeno di massa Le filosofie e le religioni orientali vantano secoli di predicazione della nonviolenza. Il pacifismo è invece un fenomeno sostanzialmente occidentale Il variegato mondo pacifista ha comunque al suo interno differenziazioni dovute al momento storico e ai riferimenti culturali: mentre alcuni non negano la violenza militare (e dunque statale e dunque non privata) in alcune particolari circostanze, altri negano a priori qualunque azione militare, esclusa la reazione all'invasione militare da parte di un esercito straniero. Benché sottile, esiste una differenza tra pacifismo e nonviolenza: il primo rifiuta a priori la lotta in ogni sua forma mentre il secondo si oppone alla lotta violenta come metodo di risoluzione dei conflitti, secondo l'insegnamento del Mahatma Gandhi, fondando la propria azione su alternative quali la disobbedienza civile e la resistenza non-violenta (ahimsa). È comunque doveroso aggiungere che spesso le manifestazioni pacifiste, a causa di frange minoritarie intransigenti e disinteressate a qualunque forma di dialogo, sfociano in aspri scontri con le forze dell'ordine (significativo in Italia l'esempio del G8 di Genova). In Italia seguaci della nonviolenza della prima ora sono stati il filosofo Aldo Capitini, il primo obiettore di coscienza Pietro Pinna, il MIR (Movimento Internazionale per la Riconciliazione), il MN (Movimento Nonviolento), la LDU (Lega per il Disarmo Unilaterale). Un'originale elaborazione ha poi tentato il sacerdote e filosofo Ernesto Balducci che influenzò particolarmente il movimento contro i missili a Comiso e per il disarmo della prima metà degli anni ottanta. Il quel movimento si impegnarono figure come Luciana Castellina, Chiara Ingrao, Tom Benettollo, Davide Ferrari. Studi sulla pace Misura del livello di pace L'Indice Globale della Pace rappresenta uno dei primi tentativi di misurare i livelli di pace interni ed esterni ai Paesi (assenza di violenza). L'indice valuta i Paesi tenendo conto di 24 criteri, tra cui la criminalità interna, numero dei reati violenti, stabilità politica, spese militari e possibili azioni terroristiche. La ricerca mette in relazione una serie di condizioni sociali come la democrazia, la trasparenza, l'istruzione, i diritti civili, il benessere, per capire meglio i fattori che generano e sostengono la pace. Lo studio prende in esame elementi come il livello di violenza all'interno del Paese, il crimine organizzato, l'accesso alle armi, il numero di persone detenute nelle prigioni, il dispendio militare. Lo scopo del progetto è di andare oltre lo studio delle guerre e misurare l'"assenza di violenza" considerata come indicatore di pace, portando a una maggiore comprensione dei meccanismi che la generano e la consolidano. Peace studies I peace studies ("studi sulla pace") sono una recente sottodisciplina delle scienze politiche, che si occupa dell'analisi dei fattori psicologici, sociologici, economici e politici determinanti nell'ottenimento di una pace positiva mentre, di norma, gli studi sulle relazioni internazionali si occupano dei fattori, problemi, e fenomeni che generano la guerra, ignorando quelle che sono le fondamenta della pace. Il diritto alla pace La Dichiarazione sul diritto dei popoli alla pace, adottata dalla Assemblea generale delle Nazioni Unite il 12 novembre 1984 durante la 57ª Seduta plenaria, sottolinea che: Ma questa appare oggi una visione assolutamente riduttiva del problema. Dall'insegnamento di Gandhi e attraverso le parole di Martin Luther King e gli scritti di Johan Galtung, si è fatta strada l'idea di una pace positiva, considerata non semplicisticamente come assenza di guerra bensì come presenza di condizioni di giustizia reciproca tra i popoli che permettano a ciascun popolo il proprio libero sviluppo in condizioni di auto-governo. In queste condizioni, la pace è molto più che il risultato di trattati tra governi o di accordi tra persone potenti, come molti credono. La pace risulta dal modo in cui un popolo si relaziona con un altro popolo, nel rispetto dei reciproci diritti e doveri riconosciuti dalla comunità internazionale. Non è quindi la forma di governo che garantisce la pace, né tanto meno un insieme di trattati o di accordi internazionali. Essa è garantita solo ed esclusivamente dal comportamento e dalle scelte degli individui che insieme costituiscono il comportamento e le scelte di un popolo. Di qui nasce la necessità di una cultura della pace intesa come conoscenza diffusa e consapevole dei fattori tutti che contribuiscono a creare condizioni di giustizia reciproca tra i popoli. Il concetto di cultura della pace fu formulato al Congresso Internazionale sulla Pace in Costa d'Avorio nel 1989. Il Congresso raccomandò all'UNESCO di lavorare per costruire una nuova visione della pace basata sui valori universali di rispetto per la vita, la libertà, la giustizia, la solidarietà, la tolleranza, i diritti umani e l'uguaglianza tra uomo e donna. Negli anni seguenti si tennero forum e convegni internazionali per sollecitare ONG, associazioni, giovani e adulti, media nazionali e locali e leader religiosi attivi per la pace, la non-violenza e la tolleranza a diffondere in tutto il mondo una cultura della pace. Il 13 settembre 1999 l'Assemblea generale dell'ONU approvò la risoluzione 53/243 adottando con essa la Dichiarazione per una cultura della pace. Educare sé stessi alla cultura della pace, informandosi e prendendo consapevolezza dei problemi e delle scelte da fare per risolverli, è il dovere di tutti coloro che, nelle varie forme culturali e associative, esprimono una volontà di contribuire alla costruzione della pace nel mondo. Le operazioni di pace e il ruolo dell'ONU Le operazioni di pace si suddividono in vari ambiti correlati tra loro: la costruzione della pace (peacebuilding), la formazione della pace (peacemaking), il mantenimento della pace (peacekeeping) e l'imposizione della pace (peace enforcement). Il peace building consiste nel portare l'ordine e assicurare la protezione di diritti umani fondamentali in situazioni post-belliche. L'imposizione della pace è la pratica di garantire la pace, in una zona o regione. Parte di una scala di tre gradini tra il mantenimento della pace e il peacemaking, è talvolta considerato il punto medio. Il peace enforcement si distingue dal peacekeeping nella misura in cui per porre fine al conflitto e promuovere i negoziati, le forze di pace applicano una maggior forza militare. Mentre l'imposizione della pace è stata in gran parte evitata in passato, il livello di violenza con la quale le operazioni di mantenimento della pace in molte aree (tra cui gli eventi del 1994 in Ruanda, dove diversi soldati belgi sono stati costretti a guardare i massacri in corso e sono anche stati uccisi senza che gli fosse consentito di reagire) hanno scioccato la comunità internazionale e hanno condotto a una situazione di crisi in cui la volontà di entrare in operazioni di peacekeeping, senza la possibilità di usare la forza è raffrontata con una scarsa volontà delle nazioni di inserire le loro forze e in conflitti potenzialmente "caldi" che non li coinvolgono direttamente. In ogni caso la nozione di pace imposta, salita alla ribalta in seguito alle varie operazioni di peace enforcement (Serbia, Afghanistan, Iraq), è considerata, dalla maggioranza dei pacifisti, avulsa dal vero significato intrinseco della parola. Un'operazione di mantenimento della pace o peacekeeping, come definito dalle Nazioni Unite, è "un modo per aiutare i Paesi lacerati da conflitti a creare le condizioni per una pace sostenibile". I peacekeeper devono monitorare e osservare i processi di pace nelle aree di post-conflitto e di aiutare gli ex combattenti a eseguire gli accordi di pace firmati. Tale assistenza si presenta in molte forme, tra cui le misure per alimentare la fiducia reciproca, accordi di condivisione del potere, il sostegno elettorale, il rafforzamento dello stato di diritto e lo sviluppo economico e sociale. Di conseguenza i peacekeeper dell'ONU (spesso denominati Caschi Blu a causa del colore dei loro elmetti) possono includere soldati, funzionari di polizia civile e altro personale civile. La Carta delle Nazioni Unite conferisce al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il potere e la responsabilità di azioni collettive per mantenere la pace e la sicurezza internazionali. Per questo motivo, la comunità internazionale si rivolge di solito al Consiglio di sicurezza per autorizzare operazioni di peacekeeping, siccome tutte le missioni di peacekeeping delle Nazioni Unite devono essere autorizzate dal Consiglio di sicurezza. La maggior parte di queste operazioni sono stabilite e attuate dalle Nazioni Unite con le truppe in servizio al comando operativo delle Nazioni Unite. In questi casi, i peacekeeper rimangono membri delle rispettive forze armate, e non costituiscono un "esercito delle Nazioni Unite", visto che le Nazioni Unite non hanno una forza di questo tipo. Nei casi in cui il coinvolgimento diretto delle Nazioni Unite non è considerato appropriato o fattibile, il Consiglio autorizza le organizzazioni regionali quali la NATO, la Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale, o coalizioni di Paesi disposti a intraprendere missioni di mantenimento o imposizione della pace. Le Nazioni Unite non sono l'unica organizzazione ad avere autorizzato missioni di peacekeeping, anche se alcuni sostengono che è l'unico gruppo legalmente autorizzati a farlo. Non comprendono le forze di mantenimento della pace delle Nazioni Unite la missione della NATO in Kosovo e la Forza multinazionale e di osservatori sulla Penisola del Sinai. La costruzione della pace e il ruolo delle organizzazioni non governative La pace e lo sviluppo economico Tutte le missioni di pace, sia militari sia civili, messe in cantiere negli ultimi decenni dalle maggiori organizzazioni intergovernative pongono l'accento sul tema dello sviluppo in quanto mezzo per superare le discordie politiche. Lo sviluppo di un territorio, dal punto di vista teorico, è inteso come il miglioramento della capacità autonoma del territorio stesso di dare soluzioni ai problemi esistenti e di produrre ricchezza sufficiente ai bisogni di tutti coloro che vi abitano. Dal punto di vista pratico sviluppare un territorio significa migliorare la possibilità di uso del territorio stesso da parte degli uomini in termini di: drenaggio, irrigazione, fertilizzazione del suolo; gestione del territorio in termini di rischio idrogeologico; riforestazione e protezione delle risorse ambientali; costruzione di vie di comunicazione; costruzione di infrastrutture necessarie alla vita umana, dal pozzo all'ospedale. Si assume che i conflitti tra gruppi umani sono spesso radicati nella povertà relativa di un gruppo rispetto a un altro. Laddove tutti possano raggiungere un adeguato livello di sviluppo, essendo in capacità di far fronte autonomamente ai propri bisogni, si eliminano alla base le ragioni di molti conflitti. La pace e l'arte Minerva protegge la Pace da Marte (Pace e Guerra) è un dipinto di Pieter Paul Rubens. Esso attraverso la mitologia classica, rappresenta la pace che porta con sé felicità e prosperità, e va quindi protetta dalla guerra attraverso le arti. Nazioni prive di esercito La Costa Rica è uno Stato del tutto privo di esercito e le sole unità in divisa fanno parte delle varie attività di polizia, comprese quelle antidroga. Al contrario di quanto affermato da Michael Crichton nei suoi libri, la Costa Rica non possiede nessuna "Guardia Nazionale" tantomeno dotata di gas nervino. Note Voci correlate Movimento pacifista Psicologia della pace Pacifismo Nonviolenza Premio Nobel per la Pace Pax Romana Statua dell'Europa Marcia mondiale per la pace Marcia per la pace Perugia-Assisi Premio Testimone di Pace Unione mondiale per la pace e i diritti fondamentali dell'uomo e dei popoli Altri progetti Collegamenti esterni La Strana Guerra - Racconti per una Cultura di Pace di Martin Auer Nonviolenza Sociologia politica Guerra
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Papa Alessandro II
Biografia Carriera ecclesiastica Originario del quartiere di Baggio, presso Milano, dalla omonima famiglia nobile, compì i suoi studi nella scuola cluniacense di Lanfranco di Pavia presso l'Abbazia di Notre-Dame du Bec in Normandia, fu ordinato sacerdote verso il 1055. Nel 1057 fu nominato vescovo di Lucca, carica che terrà anche durante il papato. Come vescovo di Lucca fece riedificare il Duomo. Nel periodo in cui fu vescovo sostenne Ildebrando di Soana nell'impresa di sopprimere la simonia e di rafforzare il celibato del clero. Anselmo capeggiò la pataria milanese, un movimento popolare contro l'immoralità nel clero. Il pontificato L'elezione L'ascesa al Soglio pontificio fu guidata da Ildebrando, che agì in conformità con i decreti del 1059. Alessandro II fu il primo pontefice ad essere eletto da un consesso di prìncipi della Chiesa senza l'intervento del potere imperiale. Non rinunciò alla cattedra lucchese, che mantenne fino alla morte. Al momento della sua elezione non era cardinale. Alessandro II si batté per il celibato ecclesiastico e contro la simonia, pratica che faceva mercato delle cariche ecclesiastiche e delle indulgenze. La deposizione dell'antipapa Onorio II Da parte della Sede apostolica nessuna richiesta venne fatta alla corte germanica per ottenere una conferma dell'elezione di Alessandro. La reazione della corte imperiale fu negativa: la reggente del Sacro Romano Impero, Agnese di Poitou, vedova dell'imperatore Enrico III e madre del futuro imperatore Enrico IV, convocò un concilio a Basilea, nel quale venne eletto papa il vescovo di Parma, Cadalo, che assunse il nome di Onorio II (28 ottobre 1061). Questi marciò su Roma e per un lungo periodo compromise la posizione del rivale. Tuttavia sorsero dei contrasti fra Agnese e la nobiltà germanica. Fu convocato un concilio a Mantova (31 maggio 1064) presieduto dall'arcivescovo di Colonia, Annone II, subentrato ad Agnese nella reggenza del futuro imperatore Enrico IV. Alessandro, rappresentato dal cardinale Pier Damiani, fu completamente scagionato dalle accuse di aver ottenuto il papato con le armi e la simonia. Da allora la posizione del pontefice non venne più minacciata. Relazioni con il Re dei Romani Nel 1066 Enrico IV, sedicenne, contrasse matrimonio con Berta di Savoia. Già tre anni dopo, però, fece richiesta al pontefice di sciogliere il legame. Alessandro II invece non volle concedere il divorzio, soluzione alla quale il re dovette al momento rinunciare. I contrasti con Enrico IV si acuirono ulteriormente allorché quest'ultimo, nel 1070, volle imporre come arcivescovo di Milano, dopo la morte di Guido da Velate, Goffredo da Castiglione, mentre Alessandro nominò Attone; il conflitto con re Enrico si protrasse oltre la morte di papa Alessandro, proseguendo con il suo successore papa Gregorio VII. Relazioni con gli altri monarchi cristiani Nel 1063 Alessandro II lanciò un appello per la riconquista della città di Barbastro (Spagna). Risposero cavalieri spagnoli, francesi - questi ultimi comandati da Guglielmo VIII d'Aquitania - e italiani. Il papa concesse l'indulgenza plenaria ai soldati che parteciparono alla presa della città (giugno 1064). Nel 1066 il pontefice si schierò con il normanno Guglielmo il Conquistatore, che aveva preso il potere in Inghilterra, e contro Aroldo II. Quattro anni dopo Alessandro II inviò tre legati papali, Giovanni Minuto, Pietro ed Ermenfrido, a Londra. Essi incoronarono solennemente Guglielmo nella domenica di Pasqua (4 aprile 1070). Poi deposero l'arcivescovo di Canterbury, Stigand, che si era dimostrato infedele, in un concilio convocato a Winchester nell'ottava di Pasqua; al suo posto nominarono titolare della cattedra primaziale il priore dell'abbazia di Bec Lanfranco di Pavia, già consigliere di Guglielmo. Nel 1071 Alessandro II inviò una delegazione presso l'imperatore bizantino Michele VII. Fu la prima visita ufficiale di un legato della Santa Sede dopo la rottura avvenuta nel 1054 con la Chiesa di Costantinopoli. Passaggio dal sistema romano al sistema germanico nel calcolo della parentela Ad Alessandro II si deve la formalizzazione del passaggio, all'interno del mondo ecclesiastico, dal sistema romano di classificazione della parentela a quello germanico. Mentre il sistema romano si fondava sul calcolo della parentela in linea retta, quello germanico seguiva il computo nella linea collaterale, calcolando le generazioni dei diversi gruppi di fratelli-cugini. Col passaggio al sistema germanico, Alessandro II sancì anche la proibizione del matrimonio fino al settimo grado di parentela, decisione che comportò una forte estensione dei gradi proibiti (il settimo grado del metodo germanico, infatti, corrispondeva al quattordicesimo di quello romano). Per questa ragione, le interdizioni sarebbero state limitate dal Concilio Lateranense IV (1215), che avrebbe riportato gli impedimenti al quarto grado. Concistori per la creazione di nuovi cardinali Papa Alessandro II durante il suo pontificato ha ordinato 45 cardinali nel corso di 12 distinti concistori. Successione apostolica La successione apostolica è: Arcivescovo Sigfrido I di Magonza (1060) Note Bibliografia John N.D. Kelly, Gran Dizionario Illustrato dei Papi, Edizioni Piemme S.p.A., 1989, Casale Monferrato (AL), ISBN 88-384-1326-6 Voci correlate Tabernella Altri progetti Collegamenti esterni Opera Omnia dal Migne Patrologia Latina con indici analitici, ivi compresa la lettera Licet ex a Landulfo di Benevento, nella quale ribadisce la doverosa tolleranza religiosa e civile verso gli Ebrei. Papi della Chiesa cattolica Vescovi e arcivescovi di Lucca Sepolti nella basilica di San Giovanni in Laterano
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Papa Giovanni VIII
Biografia Origini e carriera ecclesiastica Nacque a Roma verso l'820 da Gundo , che fu poi arcidiacono cardinale durante il pontificato di Sergio II. Dal nome paterno si può dedurre che Giovanni fosse di origine longobarda. Consacrato arcidiacono nell'852 da papa Leone IV, era stato stretto collaboratore di Niccolò Magno e sostenitore della sua energica politica, nonché fautore della mediazione che portò all'elezione del suo predecessore Adriano II. Alla morte di quest'ultimo, nell'872, il seggio petrino fu conteso tra Giovanni e Formoso, vescovo di Porto, ma il popolo, il clero e la milizia della città di Roma (all'epoca, il papa veniva eletto dietro consenso del populi romani) scelsero Giovanni, che fu consacrato papa il 14 dicembre 872, lo stesso giorno in cui papa Adriano venne a mancare. Uomo energico e dal carattere volitivo, Giovanni VIII s'ispirò a Gregorio Magno e a Niccolò Magno nella sua lotta per la supremazia papale. Tra le riforme realizzate durante il suo pontificato, si ricorda particolarmente la riorganizzazione amministrativa della curia pontificia. Pontificato Le relazioni con chiesa e impero bizantini Per migliorare i rapporti politici con Costantinopoli (anche in prospettiva antisaracena), nell'agosto 879 Giovanni riconobbe il reinsediamento di Fozio (già condannato e scomunicato dai suoi predecessori) come legittimo patriarca di Costantinopoli dopo la morte del patriarca Ignazio I (877). Giovanni poneva come condizioni che la Chiesa bulgara (che era stata strappata con l'inganno all'influenza di Roma) non fosse sottoposta alla giurisdizione di quella bizantina, ma rimanesse almeno autonoma, e che Fozio facesse pubblicamente ammenda dei suoi errori. Il Concilio di Costantinopoli, appositamente convocato, si svolse nella chiesa di Santa Sofia tra il 17 novembre 879 e il 13 marzo 880. Fozio s'incaricò di leggere davanti all'assemblea le lettere con le richieste papali, che lui stesso aveva tradotto dal latino in greco, omettendo e travisando parte del contenuto in suo favore e tacendo abilmente sulle condizioni poste da Roma, particolarmente sulla questione della Bulgaria che lui stesso, a suo tempo, aveva manipolato. Nonostante le iniziali proteste, i legati papali accettarono la dichiarazione in quanto vi si riconosceva il primato petrino, ma il capo della delegazione, il vescovo Marino, non poté tacere riguardo all'omissione delle clausole. Per questo motivo, fu tenuto segregato per 30 giorni dall'imperatore Basilio I il Macedone per ritardare le reazioni del papa. Quando però Marino fu liberato, all'inizio dell'881, questi ritornò a Roma per riferire delle macchinazioni bizantine e Giovanni VIII non poté fare altro che rinnovare la scomunica dell'intrigante patriarca. La protezione di San Metodio Giovanni difese il vescovo Metodio (l'artefice della cristianizzazione della Bulgaria) dai suoi nemici germanici, che contestavano il suo uso della lingua slavonica nella liturgia della Chiesa bulgara. Il pontefice invece confermò il permesso di usare lo slavonico, che era stato originariamente garantito da papa Adriano II, il suo predecessore. I rapporti con i Carolingi Alla morte senza eredi maschi dell'imperatore Ludovico II, nell'875, l'impero si trovò ad essere conteso tra i suoi zii Carlo il Calvo e Ludovico II il Germanico, il quale ultimo voleva assicurare la successione imperiale al figlio Carlomanno che, peraltro, era stato designato dallo stesso Ludovico II come suo successore. A Roma vi era una forte fazione filo-germanica, cui apparteneva, tra gli altri, il vescovo di Porto, Formoso. Il pontefice invece prediligeva il ramo "francese" della dinastia carolingia, forse anche per continuità con le scelte dei suoi predecessori. Giovanni VIII, dunque, inviò un'ambasceria a Carlo il Calvo in cui lo invitò a recarsi immediatamente a Roma per essere incoronato. Senza perdere tempo Carlo si precipitò a Roma dove il giorno di Natale dell'875 Giovanni lo incoronò imperatore nella Basilica di San Pietro. Entrambi si recarono poi a Pavia per celebrare un sinodo in cui Carlo fu anche incoronato re d'Italia. Normalmente questo titolo veniva conferito dall'imperatore o da una dieta imperiale; il fatto che sia stato attribuito dal papa e dai vescovi non fece che rafforzare il potere del pontefice nei confronti dell'impero. Il papa sperava in un aiuto da parte di Carlo per contrastare le frequenti e pericolose incursioni dei Saraceni e per mettere a tacere l'opposizione filogermanica particolarmente attiva in Roma, ma rimase deluso in tutte le sue aspettative per l'inettitudine e l'incapacità dell'imperatore. Peraltro, l'impero di Carlo durò molto poco: nell'ottobre 877 era già venuto a mancare. Certamente Carlo, per ottenere la corona, dovette fare molte concessioni alla Chiesa e dovette sborsare ingenti somme per ingraziarsi il favore dei Romani. E il papa, del resto, lo considerava apertamente una sua creatura. «Con Carlo il Calvo la maestà imperiale si abbassò tanto quanto si innalzò l'autorità del pontefice.» . Immediatamente Carlomanno si precipitò in Italia alla testa di un esercito per ottenere l'incoronazione, ma il papa prese tempo, anche per paura che il partito filogermanico romano rialzasse la testa. In aiuto di Giovanni si verificò una violenta epidemia, che decimò l'esercito di Carlomanno il quale, ammalatosi lui stesso, dovette tornare in Baviera. Subito si fecero avanti Lamberto I, duca di Spoleto e Adalberto, duca di Tuscia, che occuparono Roma e di fatto tennero il papa prigioniero, imponendogli di eleggere imperatore Carlomanno; ma Giovanni non cedette alle pressioni e anzi scomunicò i due duchi ribelli che, visto inutile ogni tentativo di agire con la forza, rientrarono nelle loro terre. Sentendosi abbandonato e in pericolo Giovanni fuggì in Francia, dove il 7 settembre 878 incoronò imperatore Ludovico II di Francia, il debole e malaticcio figlio di Carlo il Calvo. Mentre sperimentava l'inettitudine e l'inaffidabilità del nuovo sovrano, Giovanni puntava le sue attenzioni su una nuova alternativa: Bosone, uomo molto influente, duca di Lombardia, cognato di Carlo il Calvo e genero del defunto Ludovico II. Il papa gli promise appoggio nel tentativo di ottenere il regno di Provenza e gli fece intravedere la possibilità di ottenere la corona imperiale, sempre nella speranza di ricevere aiuto negli affari dello Stato della Chiesa, ma ben presto anche Bosone voltò le spalle al pontefice, il quale, del resto, non fu da meno, quando si rese conto che quella strada era impraticabile. «Giovanni VIII, pontefice violento e vendicativo come pochi altri, si lasciò sempre trascinare dalle sue cieche passioni ed azioni sconsiderate e precipitose: perciò tutte le sue imprese fallirono ed egli stesso, nell'istante in cui mise piede sul suolo francese, precipitò per sempre dall'altezza alla quale si era innalzato.». Anche Ludovico il Balbuziente morì molto presto, già nell'aprile dell'anno successivo. Il papa dovette cedere. Nell'879, quando già non era più in grado di seguire gli affari di stato, Carlomanno assegnò l'Italia al fratello Carlo il Grosso, che Giovanni dovette incoronare imperatore nel febbraio 881. La scelta di eleggere un membro dei Franchi Orientali (dunque quelli germanici) era dovuta al fatto che il ramo occidentale della dinastia non aveva più eredi, pertanto Giovanni VIII dovette accondiscendere ad incoronare l'ultimo rampollo rimasto della dinastia carolingia. Anche in questo caso, Giovanni si trovò davanti ad un imperatore ancora più patetico del precedente, in quanto non solo era un indolente e privo di abilità politica, ma non fornì alcun aiuto contro i Saraceni. La gestione di Roma e del patrimonio di San Pietro Il partito di opposizione a Giovanni, filogermanico, era particolarmente attivo in Roma, ed era guidato non solo da personaggi di spicco dell'amministrazione civile, ma anche da alti funzionari e prelati all'interno della curia, come ad esempio Formoso, il vescovo di Porto. Il 19 aprile 876 Giovanni, che aveva accusato i suoi avversari di congiura, convocò un concilio nel quale ordinò loro di presentarsi per esporre le proprie motivazioni. I capi dell'opposizione si guardarono bene dall'accettare l'ingiunzione e il 30 giugno Giovanni scagliò contro tutti loro la scomunica. Per quanto riguarda l'amministrazione dei beni della Chiesa, da tempo ormai essi erano oggetto di concessioni e alienazioni a favore di personaggi di alto rango, e non solo in ambito ecclesiastico. Oltre agli imperatori, che concedevano chiese e conventi a vescovi e conti a titolo di "feudo" personale, gli stessi pontefici, per assicurarsi l'elezione o i favori dell'aristocrazia romana, o per ammorbidire le posizioni dei capi del partito avverso, erano soliti concedere benefici, che spesso si trasformavano in patrimoni ereditari, e che in tal modo spezzettavano e depauperavano il patrimonio della Chiesa. In un sinodo tenuto a Ravenna nell'877 Giovanni proibì la concessione dei beni e territori appartenenti al patrimonio di San Pietro, che dovevano essere direttamente amministrati dall'erario pontificio. La lotta contro i Saraceni Roma e la campagna romana erano ancora esposte alle scorrerie dei Saraceni. Non era ancora stata dimenticato l'attacco dell'846 durante il quale furono saccheggiate la Basilica di San Paolo fuori le mura e quella di San Pietro in Vaticano, all'epoca situata anch'essa fuori dalle mura romane, con la profanazione della tomba del primo degli Apostoli. Fu proprio in seguito a quell'attacco che papa Leone IV (847-855) aveva deciso la costruzione di una cinta muraria a protezione del Colle Vaticano. Volendo prolungare e concludere l'opera del predecessore, Giovanni fece edificare intorno alla basilica di San Paolo un avamposto militare, chiamato "Giovannopoli" o "Giovannipoli", e fece proteggere la zona circostante la fortezza di Ostia. A differenza però di Leone IV, che aveva ottenuto un aiuto finanziario dall'imperatore Carlo il Calvo, papa Giovanni non ricevette alcun finanziamento. Inoltre l'autorità imperiale era troppo debole per inviare un esercito a difese della Santa Sede e dell'Italia meridionale. Neanche i vari feudatari italiani risposero alla sua richiesta. Nell'876 i saraceni saccheggiarono la Sabina e la città di Velletri, situata a soli 40 km da Roma. Successivamente eressero una fortificazione vicino a Tivoli (a Saracinesco) e una a Ciciliano in Sabina. Infine insediarono una loro base permanente nel Sud Italia ad Agropoli. Le città di Napoli, Salerno, Amalfi, Capua e Gaeta si dichiarano alleate dei saraceni. Giovanni decise allora di prendere in mano la situazione; nell'877 convocò a Traetto (l'odierna Minturno) il duca di Napoli Sergio II, il principe di Salerno, Guaiferio, e i duchi Pulcario di Amalfi, Landolfo di Capua e Docibile di Gaeta, chiedendo loro di rompere definitivamente l'alleanza con i saraceni. Solo Guaifiero e Pulcario accettarono. In particolare, Pulcario di Amalfi s'impegnò a rompere i patti stabiliti coi Saraceni e a inviare proprie navi a pattugliare le coste del Lazio. A tal fine papa Giovanni gli consegnò 10.000 mancusi d'argento. Gli amalfitani, però, non ruppero coi Saraceni né inviarono le loro navi. Il papa fece istanza di riavere il suo denaro: a tal fine informò Guaiferio, poi scomunicò Pulcari e tutta la città di Amalfi. Minacciò infine di scomunica Atanasio di Napoli se non avesse rotto l'alleanza con gli arabi. Il duca di Napoli rifiutò, per non intaccare i forti legami commerciali con i Saraceni. Scomunicato quest'ultimo, con le forze che riuscì a raccogliere, papa Giovanni VIII si mise egli stesso alla testa di una flotta che, sempre nell'877, al largo di Capo Circeo, sconfisse una flotta musulmana, catturando 18 vascelli nemici e liberando 600 schiavi cristiani. Giovanni poté quindi vendicarsi definitivamente di Sergio II di Napoli, incitando alla ribellione Atanasio, il vescovo di Napoli e fratello del duca, che fece accecare Sergio e lo mandò a Roma presso il papa, che lo mise in carcere dove restò fino alla sua morte. Osserva il Gregorovius che «quel fratricidio commesso da un vescovo fu salutato da lui, pontefice, come un evento felice; all'assassino fu corrisposto il prezzo del suo crimine com'era nei patti, e inviata una lettera di congratulazioni. A tal segno le necessità del dominio terreno allontanavano il papa dalla sfera delle virtù apostoliche del sacerdozio, che con tale dominio è per ragioni morali assolutamente inconciliabile». Ma dopo la vittoria Guaiferio e Pulcario, ricevuto il compenso promesso dal papa, si sentirono slegati dal giuramento di fedeltà fatto al pontefice, come pure Atanasio, divenuto nel frattempo duca di Napoli, e ripresero a commerciare con i Saraceni i quali, tra l'altro, tenevano lontana dall'Italia la flotta dei Bizantini, un costante pericolo per l'autonomia degli Stati del Meridione. Morto nel frattempo Carlo il Calvo, che comunque nessun contributo aveva dato alla lega antisaracena, Giovanni fu costretto a comprare, nell'aprile dell'878, una tregua con i musulmani al prezzo di 25.000 mancusi d'argento annui, e solo così riuscì ad assicurarsi un periodo di pace. Osserva lo storico tedesco Franz Xaver Seppelt, che «il pagamento del tributo … equivaleva ad una profonda umiliazione del papa, che poteva però dichiarare a buona ragione che era stato costretto ad un passo simile, poiché dei principi cristiani si erano apertamente schierati con i nemici di Cristo.» Morte e sepoltura Giovanni VIII morì a Roma il 15 o il 16 dicembre 882 e fu sepolto fuori di San Pietro. Nella quarta sezione degli Annali di Fulda si riporta la versione che Giovanni sia stato assassinato: i parenti, mossi da cupidigia, avrebbero cercato di uccidere Giovanni VIII tramite veneficio ma, non essendoci riusciti, lo finirono fracassandogli il cranio. Note Bibliografia Altri progetti Collegamenti esterni Cardinali nominati da Niccolò I Papi della Chiesa cattolica
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Papa Formoso
Biografia La carriera ecclesiastica Le missioni diplomatiche Formoso nacque attorno all'816 da Leone a Roma, dove ricevette la sua formazione. I primi documenti che lo riguardano risalgono all'864, quando era canonico regolare, e si riferiscono alla sua consacrazione a vescovo di Porto da parte di papa Niccolò I Magno, con la relativa nomina cardinalizia. Stimato sia da Niccolò che dal successore Adriano II per le sue qualità intellettuali e per la sua fermezza ed austerità di vita, Formoso intraprese missioni diplomatiche in Bulgaria (866-867) e Francia (869 e 872), dove persuase il re Carlo il Calvo a farsi incoronare dal papa. Il re bulgaro Boris I fu così soddisfatto dell'operato apostolico di Formoso che chiese (settembre-ottobre 867) prima a papa Niccolò I e poi a papa Adriano II di nominarlo arcivescovo metropolita di Bulgaria, ma entrambi i papi rifiutarono perché i canoni proibivano la traslazione di un vescovo tra sedi diverse. Il diniego da parte dei due pontefici indispettì Boris e lo spinse a riportare la Chiesa bulgara sotto la giurisdizione ecclesiastica del Patriarca di Costantinopoli, vanificando così il duro lavoro di Formoso per riavvicinare i Bulgari alla Chiesa di Roma. La scomunica e il reintegro nella Chiesa Già nel dicembre 872, dopo la morte di Adriano II, Formoso era stato candidato alla sede papale, ma gli fu preferito l'arcidiacono Giovanni. Se Giovanni VIII era l'espressione della fazione "filo-francese", favorevole ai carolingi occidentali (Carlo il Calvo e poi Carlo il Grosso), Formoso rappresentava quella "filo-germanica". Il partito di opposizione a Giovanni era particolarmente attivo in Roma, ed era guidato non solo da personaggi di spicco dell'amministrazione civile, ma anche da alti funzionari e prelati all'interno della curia, come appunto lo stesso Formoso. Di fronte al precipitare degli eventi causati dai duri scontri avvenuti in Roma tra le opposte fazioni per la successione al trono imperiale, Formoso (insieme al nomenclator Gregorio e a suo genero Giorgio) lasciò Roma nella notte tra il 14 e il 15 aprile 876. Il 19 aprile Giovanni, che aveva accusato i suoi avversari di congiura contro lo Stato, convocò un concilio nel Pantheon, nel quale ordinò loro di presentarsi per esporre le proprie motivazioni, e in particolare intimò a Formoso di fare ritorno a Roma, pena la scomunica, con una lunga serie di accuse. I capi dell'opposizione, Formoso compreso, si guardarono bene dall'accettare l'ingiunzione e il 30 giugno Giovanni, convocato un secondo concilio, scagliò contro tutti loro la scomunica, condannandoli in contumacia. Nell'agosto dell'878 Formoso, durante un concilio celebrato sotto la presidenza di papa Giovanni a Troyes, ottenne che la sentenza di scomunica venisse ritirata, a condizione di essere ridotto allo stato laicale e di non rientrare mai più a Roma. Il successore di Giovanni, papa Marino I (882-884), fu uomo buono e pacificatore, in contrasto con l'eccessiva severità del predecessore, preferendo essere più clemente e pacifico nei confronti dei perseguitati sotto Giovanni VIII. Lo stesso Marino, del resto, apparteneva al partito filo-germanico, e dunque sciolse dalla scomunica tutti quei membri del clero che erano stati coinvolti nella pretesa congiura, compreso lo stesso Formoso, che dopo il giugno dell'883 fu riconfermato nella sua carica di vescovo della diocesi di Porto e venne sciolto dagli obblighi contratti nell'878. La stessa clemenza e stima di Marino fu dimostrata anche dai suoi immediati successori Adriano III e Stefano V. Quest'ultimo, in particolare, dovette la sua elezione al consenso unanime di quella parte del clero, di fede filo-germanica, che faceva capo a Formoso, che tra l'altro fu personalmente incaricato della consacrazione del nuovo papa. L'elezione al Soglio Morto Stefano V (14 settembre), il 6 ottobre 891 Formoso venne eletto papa, grazie al sostegno del partito filo-germanico romano e in particolare di Arnolfo di Carinzia, Re dei Franchi orientali (la parte germanica del dissolto impero carolingio) e del suo protetto Berengario, marchese del Friuli, che era stato costretto a rinunciare alla corona di re d'Italia da Guido, duca di Spoleto, inizialmente in buoni rapporti con Formoso, ma che ora aveva lasciato il partito filo-germanico per crearne uno a carattere nazionalista. Il fatto che fosse vescovo già di un'altra diocesi (Portus) avrebbe dovuto costituire motivo di impedimento alla nomina pontificale, in quanto i canoni ecclesiastici dell'epoca vietavano la traslazione di un vescovo da una sede ad un'altra, e dunque non avrebbe potuto essere eletto vescovo di Roma, ma già con papa Marino I si era derogato alla norma, e l'irregolarità dell'elezione non fu mai impugnata contro di lui se non dopo la sua morte. Il pontificato Relazioni con i regni cristiani La successione alla Corona carolingia Nella contesa per il trono carolingio (893-898) tra Oddone, conte di Parigi e Carlo il Semplice, Formoso si schierò con Carlo, che fu poi incoronato come Carlo III re dei Franchi occidentali nell'898. I rapporti con Costantinopoli Nell'886 a Costantinopoli il patriarca Fozio era stato deposto e ne aveva preso il posto il vescovo Stefano I, fratello del nuovo imperatore Leone VI il Saggio. Stefano però era stato ordinato diacono proprio da Fozio, e dunque la Chiesa bizantina si era appellata a papa Stefano V riguardo alla validità della sua ordinazione. Il pontefice aveva risposto che essa doveva essere considerata nulla e che i chierici ordinati da Fozio (compreso il nuovo patriarca) dovessero fare ammenda ed essere così reintegrati nella comunione con la Chiesa come laici. Durante le trattative, però, Stefano V morì (891) e Formoso scelse di seguire la linea del predecessore. Alcuni studiosi ritengono che il documento contenente la determinazione di Formoso sia stato manomesso e che la linea del papa dovesse essere più equanime nei confronti degli ecclesiastici nominati da Fozio. I rapporti con i pretendenti alla Corona imperiale Il partito "italiano" era guidato a Roma dal diacono Sergio, futuro Sergio III, che vedeva nei duchi di Spoleto gli unici che potessero garantire la sicurezza della Chiesa. Formoso, al momento, non poteva far altro che sostenere la loro causa, visto che, per la lontananza di Arnolfo e Berengario, Roma si trovava alla mercé del duca spoletino. Pertanto, su richiesta dell'imperatore Guido II di Spoleto, il 30 aprile 892 Formoso rinnovò la sua incoronazione e, nella stessa cerimonia, incoronò co-imperatore il figlio dodicenne Lamberto II a Ravenna. Guido, sfruttando il potere della corona imperiale, sconfinava ripetutamente e impunemente nei territori della Chiesa, compiendo razzie. La situazione rischiava di provocare disordini a Roma, dove i due opposti partiti erano sempre pronti a far scoppiare disordini. Pertanto nel settembre 893 Formoso inviò dei legati alla corte di Arnolfo, implorando l'imperatore legittimo di liberare l'Italia dai "cattivi cristiani". Nella primavera dell'894 Arnolfo varcò le Alpi, ma la sua fu solo un'azione dimostrativa, in cui ottenne soltanto l'ossequioso omaggio dei principi dell'Italia centro-settentrionale, senza alcun intervento contro gli spoletini. Convinto che potesse essere sufficiente, tornò in Germania, consentendo a Guido di riprendere in mano la situazione. Tra il dicembre e il novembre dell'894 Guido morì a causa di un malore, lasciando il figlio Lamberto II a prendersi cura della madre Ageltrude, accesissima avversaria dei filo-germanici. Lamberto reclamò immediatamente la sua incoronazione a imperatore, e questa volta a Roma. Formoso tentò di prendere tempo, ma non poté fare altro che riconfermare l'incoronazione dell'892. Intanto però inviava una nuova ambasceria ad Arnolfo il quale, nell'autunno dell'895, scese ancora una volta in Italia deciso, stavolta, a chiudere definitivamente la partita e a prendersi anche il titolo di re d'Italia. Ageltrude e il partito degli spoletini, indignati per il voltafaccia del papa, gli giurarono odio eterno e reagirono: Lamberto si barricò a Spoleto, in attesa di Arnolfo, mentre la madre sobillava la rivolta in Roma; il papa fu catturato e incarcerato in Castel Sant'Angelo e i rivoltosi, preso il controllo della città, si chiusero all'interno delle Mura leonine pronti a resistere. Arnolfo però ebbe la meglio: le sue forze entrarono da Porta San Pancrazio e liberarono Formoso; Ageltrude riparò a Spoleto. Alcuni giorni dopo, nel febbraio dell'896 (alcuni indicano la data del 22), il papa incoronò imperatore Arnolfo, che ben presto lasciò Roma e si mosse contro il Ducato di Spoleto. Ma una paralisi lo colpì mentre era in marcia, e fu costretto a tornare in Baviera non essendo più in grado di continuare la campagna. La situazione all'improvviso si capovolse: Formoso, che fino a quel momento si era sentito forte dell'alleanza con Arnolfo, d'un tratto si trovò scoperto e abbandonato ai disordini che immediatamente scoppiarono in Roma, fomentati dal partito spoletino che in poco tempo aveva ripreso il sopravvento. Morte e sepoltura La morte, forse per veleno, che lo colse il 4 aprile 896, gli risparmiò sicuramente le rappresaglie degli avversari. Fu sepolto nel recinto del Vaticano, dove rimase solo nove mesi prima di essere esumato e sottoposto a processo. Il "Sinodo del cadavere" e la persecuzione post mortem Nel febbraio dell'897, tuttora spinti dall'odio verso Formoso che aveva rinnegato la casata spoletina, avendo per di più chiamato in Italia un re e un esercito straniero, Lamberto e sua madre Ageltrude imposero al papa Stefano VI (eletto dal partito spoletino) di istruire un processo post-mortem a carico del defunto papa, in quello che venne chiamato il "Sinodo del cadavere"; il clero romano avrebbe giudicato il pontefice traditore. Il cadavere di Formoso venne dunque esumato, vestito dei paramenti pontifici e collocato su un trono nella basilica lateranense per rispondere di tutte le accuse che a suo tempo erano state avanzate da Giovanni VIII. A parte la generale decadenza dei costumi e della moralità, anche da parte delle più alte cariche ecclesiastiche, l'unica plausibile spiegazione a un siffatto modo di procedere può essere riscontrata nella procedura giudiziaria germanica, che nella celebrazione di un processo esigeva la presenza del corpus delicti, e che dunque consentiva anche la presenza di un cadavere. Dopo un processo, più simile ad una macabra messinscena, in cui lo stesso papa Stefano fungeva da accusatore, il verdetto stabilì che Formoso era stato indegno del pontificato e dunque venne ufficialmente deposto, tutti i suoi atti e le sue misure vennero annullati e gli ordini da lui conferiti furono dichiarati non validi. Quest'ultimo aspetto in particolare tornava a vantaggio di papa Stefano, il quale, proprio durante il pontificato di Formoso, era stato nominato vescovo di Anagni e pertanto, anche lui, non avrebbe potuto essere eletto al pontificato; rendendo nulli gli atti di Formoso veniva meno la sua nomina vescovile e dunque anche l'irregolarità nell'elezione pontificale di Stefano. I paramenti gli vennero strappati di dosso, le tre dita della mano destra, usate per le benedizioni, gli furono recise e con urla selvagge il cadavere fu trascinato via dalla sala e gettato nel Tevere. Secondo il Gregorovius, che pure ha parole di netta riprovazione per il "Sinodo del cadavere", la sentenza poteva comunque avere qualche fondamento giuridico nella condanna dell'allora vescovo Formoso, nel giuramento infranto di non rientrare più a Roma (sebbene ne fosse stato sciolto da papa Marino I) e dal suo innalzamento a pontefice pur essendo già vescovo. Il cadavere percorse, per tre giorni, circa venti miglia trascinato dalla corrente del fiume, fino ad arenarsi su una sponda presso Ostia ove fu riconosciuto da un monaco (si dice indirizzato lì da una visione del defunto pontefice) e nascosto dai suoi fedeli finché fu vivo Stefano VI. Nel dicembre di quello stesso anno i resti di Formoso furono riconsegnati a papa Romano (897), e di nuovo inumati nella basilica di San Pietro dal successore papa Teodoro II (897), che lo avrebbe posto tra le tombe degli apostoli con una pomposa cerimonia. Papa Giovanni IX (898-900) annullò il processo contro Formoso e tutti i suoi atti, mentre papa Sergio III (904-911), che a suo tempo era stato tra i maggiori promotori del "Sinodo del cadavere", ne approvò nuovamente le decisioni, chiedendo la riconsacrazione dei vescovi ordinati da Formoso. Poiché però nel corso della loro attività essi avevano conferito l'ordine a molti altri ecclesiastici, prendere tale decisione si rivelò estremamente complicato, perciò la cosa fu lasciata cadere. Successivamente la validità dell'operato di Formoso venne ripristinata. Note Bibliografia Voci correlate Damnatio memoriae Esecuzione postuma Saeculum obscurum Scomunica Altri progetti Collegamenti esterni Cardinali nominati da Niccolò I Papi della Chiesa cattolica
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Papa Silvestro I
Biografia Silvestro, la cui data di nascita è sconosciuta, secondo il Liber pontificalis era figlio di un certo Rufino, romano; secondo il leggendario Vita beati Sylvestri, o Actus Silvestri, era figlio di una certa Giusta. Dopo la morte di papa Milziade, Silvestro fu consacrato vescovo di Roma e quindi papa; occupò tale posizione per ventun anni. Il suo pontificato coincise con il lungo impero di Costantino I, il primo imperatore romano che accettò il cristianesimo. La posizione pubblica della Chiesa affrontò un cambiamento epocale: il passaggio dalla Roma pagana alla Roma cristiana. L'incidenza politica di Silvestro fu debolissima, complice anche, di contro, la vastissima popolarità e la fortissima personalità di Costantino. Fu l'imperatore a gestire, di fatto, il potere e le attività della Chiesa per tutto l'arco della vita di Silvestro e oltre. Il Papa fu, in un certo senso, l'"uomo di Costantino" il quale, consapevole della forza che ormai stava assumendo il Cristianesimo, orientò i suoi sforzi in direzione della sostituzione degli apparati pagani dello Stato con quelli Cristiani. Per ottenere un tale risultato dovette spesso sostituirsi a Silvestro, che comunque non fu mai capace e solo raramente tentò di imporre il suo ruolo. Costantino era il capo dello Stato, ma si ritagliò anche una funzione di vescovo, e tale era considerato, specialmente in Oriente; si autodefinì "vescovo dei vescovi". In questo ruolo l'imperatore intervenne in prima persona per ricomporre le diatribe che scuotevano la Chiesa al proprio interno. Scopo della sua azione fu quello di evitare che all'interno del cristianesimo si creassero delle correnti. I dissensi e le discussioni teologiche ne avrebbero minato l'unità e, perciò, la sua stessa forza politica. Lo scisma donatista e il primo concilio di Arles In conseguenza dei tumulti provocati in Africa dai donatisti, non soddisfatti dell'esito del sinodo che papa Milziade aveva convocato nell'ottobre del 313, e che li vedeva sconfitti, lo stesso Costantino (travalicando l'autorità di Silvestro), convocò un concilio ad Arles, a cui parteciparono numerosi vescovi di opposte fazioni, che ribadirono la condanna del movimento donatista, dichiarandolo fuori della Chiesa, e stabilirono alcuni principi inerenti alla disciplina ecclesiastica. La Chiesa di Roma non fu invitata dall'imperatore, i vescovi del Concilio allora inviarono una lettera ufficiale al pontefice dove si legge: Avesse voluto il cielo, o padre carissimo, che foste presente a questo grande spettacolo! Avreste contribuito a rendere più severa la sentenza contro certi criminali! Se foste stato con noi, grande sarebbe stata la gioia di tutta l'assemblea. Ma poiché non potevate lasciare la città, sede preferita dagli apostoli, dove il loro sangue testimonia la gloria di Dio, vi riferiamo che non abbiamo ritenuto nostro unico dovere trattare gli argomenti per i quali eravamo stati convocati; poiché provenivamo da diverse province, abbiamo creduto opportuno consultarci su vari problemi che si dovevano discutere, con l'assistenza dello Spirito Santo e degli Angeli. E desideriamo che siate voi, la cui autorità è più sentita, a far conoscere a tutte le Chiese le nostre decisioni. I donatisti proseguirono comunque nelle loro rimostranze e la Chiesa d'Africa continuò a essere turbata da violenze, cui Costantino contrappose dure repressioni. Lungi dall'essere repressa, la lunga vertenza afflisse la Chiesa d'Africa per più di tre secoli, con i donatisti che rifiutavano obbedienza al clero “ufficiale”, che consideravano usurpatore e di cui contestavano l'elezione. Donazioni, regolamentazione ecclesiastica e basiliche costantiniane L'opera di cristianizzazione dello Stato in cui era impegnato a fondo l'imperatore, lo vide sempre più coinvolto in questioni ecclesiastiche o comunque di regolamentazione unilaterale dei rapporti tra Stato e Chiesa. Fu suo il decreto che stabiliva l'esclusiva competenza dei tribunali ecclesiastici sulle questioni riguardanti la fede, attribuendo pertanto a quegli organismi, composti da vescovi, lo stesso potere degli analoghi tribunali dello Stato, competenti per tutte le altre questioni laiche; sancì l'esenzione del clero cristiano dai servizi civili; stabilì che la domenica venisse riconosciuta anche dallo Stato come giorno festivo. Tra le principali donazioni dell'imperatore alla Chiesa cristiana, la "Domus Faustae", sede del sinodo dell'ottobre 313 indetto da papa Milziade, che sarebbe divenuta poi il Palazzo del Laterano, prima dimora ufficiale dei pontefici. Silvestro promosse la costruzione delle grandi basiliche di Roma, e Costantino ne fece le "sue" opere. Secondo il Liber Pontificalis, infatti, su suggerimento del papa l'imperatore fondò la basilica di San Pietro sul Colle Vaticano, sopra un preesistente tempio dedicato ad Apollo, tumulandovi, in un sarcofago di bronzo, il corpo dell'apostolo Pietro. Sempre su ispirazione del papa sorsero la basilica ed il battistero del Laterano vicino al palazzo appena donato, la basilica del Sessorium (basilica di Santa Croce in Gerusalemme), la basilica di San Paolo fuori le mura sulla Via Ostiense, e molte chiese cimiteriali sulle tombe di martiri, in particolare quella sulla Via Salaria, presso le catacombe di Priscilla, le cui rovine sono tornate alla luce verso la fine dell'Ottocento. La memoria di Silvestro è legata principalmente alla chiesa in titulus Equitii (Basilica dei Santi Silvestro e Martino ai Monti) che prende il nome da un presbitero romano che si dice abbia eretto questa chiesa sulla sua proprietà. Essa sorge nei pressi delle terme di Traiano accanto alla Domus Aurea. Parti dell'edificio attuale risalgono al IV secolo. Senza dubbio Silvestro I contribuì anche allo sviluppo della liturgia, per ciò che riguardava interventi propriamente interni alla vita della Chiesa: durante il suo regno, probabilmente, fu scritto il primo martirologio romano. Il nome di Silvestro è legato anche alla creazione della scuola romana di canto. L'arianesimo e il primo concilio di Nicea Nella Chiesa di Alessandria d'Egitto si andava in quel periodo affermando la predicazione di Ario, un presbitero che diffondeva una sua dottrina sulla Trinità. Affermava che Gesù era "adottato" da Dio come figlio, sostanzialmente negando l'essenza divina di Cristo. Nonostante la scomunica, la sua dottrina continuò a fare proseliti, soprattutto in Oriente, trovando tra i sostenitori anche alcuni vescovi, tra cui Eusebio di Nicomedia ed Eusebio di Cesarea. Non riuscendo a frenare la diffusione delle idee di Ario, il patriarca Alessandro di Alessandria chiese l'intervento di Silvestro. Ma prima che questi decidesse sul da farsi, Costantino aveva già inviato sul posto il vescovo Osio di Cordova e, viste le serie difficoltà della questione, aveva immediatamente convocato, per il 14 giugno del 325, tutti i vescovi della Chiesa cristiana a un concilio a Nicea: si trattò del primo concilio ecumenico della storia. L'assemblea degli oltre 300 vescovi fu presieduta da Osio di Cordova, mentre Costantino ne era il presidente onorario. Il Papa comunque prese parte ai negoziati sull'arianesimo e sul Concilio: benché fisicamente assente "per motivi di età" inviò i suoi legati, ma non è certo se Costantino avesse concordato in anticipo con lui la convocazione del concilio, né se, oltre alle firme dei suoi legati in calce ai documenti conciliari, ci fosse un'espressa conferma papale alle deliberazioni. Fu confermata la condanna dell'arianesimo, fortemente ribadita dalla prima formulazione del "Simbolo niceno" (il "Credo" dei Cristiani) che però non bastò a debellare il movimento eretico in Oriente. Anzi lo stesso imperatore, indubbiamente non esperto di questioni teologiche ma preoccupato soprattutto della stabilità politica, sostituì a breve il suo consigliere per le questioni ecclesiastiche Osio con l'ariano Eusebio di Nicomedia. Questi riuscì ad ammettere lo stesso Ario alla presenza di Costantino (ormai trasferito nella nuova capitale Costantinopoli), il quale, fidandosi del suo nuovo consigliere, ritenne che una riabilitazione e un rientro di Ario nella Chiesa sarebbe servita a una riconciliazione tra la Chiesa di Roma e quella d'Oriente. Al rifiuto di Atanasio, nuovo vescovo di Alessandria, senza neanche concordarlo con Silvestro, Costantino convocò nel 335, a Tiro, un nuovo concilio di soli vescovi ariani, che deposero Atanasio. Le rimostranze di Silvestro, che morirà il 31 dicembre di quello stesso anno, saranno del tutto inutili. Morte Morì il 31 dicembre 335, dopo 21 anni di pontificato. Fu sepolto nella chiesa da lui voluta presso le Catacombe di Priscilla. La sua sepoltura è espressamente menzionata negli itinerari dei fedeli del VII secolo. Culto Il 2 giugno 761, secondo un'antica tradizione, papa Paolo I fece traslare il suo corpo nell'oratorio della chiesa di San Silvestro in Capite ed il 17 luglio dello stesso anno lo fece portare all'interno della chiesa, dove fu ritrovato durante i restauri del 1596. Papa Clemente VIII lo fece porre sotto l'altare maggiore. Un'altra tradizione indica, invece, che nel 756 fu traslato all'abbazia di Nonantola. Secondo la Depositio episcoporum, l'elenco dei giorni della sepoltura dei vescovi romani che fu compilato appena un anno dopo la morte di papa Silvestro I, la sua festa si celebra il 31 dicembre, e la stessa data ricorre sul Calendario di Filocalo. Questo giorno, perciò, è sicuramente il giorno della sua sepoltura. La Chiesa cristiana ortodossa e le chiese cattoliche che seguono i riti orientali lo celebrano il 2 gennaio. Dal Martirologio Romano: L'Ordine equestre San Silvestro papa era il patrono dell'ordine cavalleresco chiamato Milizia Aurata o anche "dello Speron d'Oro" che la tradizione voleva fosse stato fondato addirittura dall'imperatore Costantino in persona. Dopo varie vicende nel corso dei secoli, nel 1841 papa Gregorio XVI, nell'ambito di una vasta riforma degli ordini equestri, dalla "Milizia Aurata" separò l'Ordine di San Silvestro Papa, assegnandogli propri statuti e decorazioni. Nel 1905 papa Pio X vi apportò ulteriori modifiche, ancora vigenti. L'Ordine prevede quattro classi: Cavaliere, Commendatore, Commendatore con placca (Grand'Ufficiale), Cavaliere di Gran Croce. Dei tre ordini equestri disciplinati dalla Santa Sede quello di San Silvestro è il minore; il rango più elevato appartiene all'"Ordine Piano", seguito da quello di San Gregorio Magno. Il pontificato di Silvestro nelle fonti storiche La Vita beati Sylvestri Attorno a papa Silvestro esistono diverse leggende, ma ciò che riportano è in contrasto con gli avvenimenti storici. Queste leggende furono tramandate attraverso la Vita beati Sylvestri, comparsa in seguito presso le Chiese orientali e tradotta in greco, siriaco, e latino attraverso il Constitutum Sylvestri (un resoconto apocrifo di un supposto sinodo romano, inserito nelle falsificazioni simmachiane e comparso tra il 501 ed il 508), e attraverso la Donatio Constantini. I racconti riportati in tutti questi scritti, riguardo alla persecuzione di Silvestro, la conversione e il battesimo di Costantino, la donazione dell'imperatore al papa, i diritti garantitigli, ed il concilio di 275 vescovi a Roma, sono completamente leggendari. La storia secondo la quale avrebbe battezzato Costantino è pura leggenda, poiché prove dell'epoca mostrano che l'imperatore ricevette il sacramento nei pressi di Nicomedia per opera di Eusebio, vescovo di quella città. Secondo lo storico del XIX secolo, Johann Döllinger, l'intera leggenda di Silvestro e Costantino, con tutti i dettagli sulla lebbra dell'imperatore e la proposta del bagno di sangue per guarirne, risale a non più tardi della fine del V secolo, mentre vi fanno certamente allusione Gregorio di Tours e san Beda. La cosiddetta Donazione di Costantino (con cui la Chiesa, per secoli, ha preteso di giustificare il suo potere temporale con una legge costantiniana) è stata già da lungo tempo dimostrata falsa, ma il documento è di considerevole antichità e, secondo Döllinger, venne redatto a Roma tra il 752 e il 777. Era certamente noto a papa Adriano I nel 778 e venne inserito nei falsi decreti verso la metà del secolo seguente. La leggendaria relazione di Silvestro con Costantino ottenne comunque l'effetto voluto, e fu importante nel Medioevo per sostenere le basi storiche del potere temporale della Chiesa. Papa Innocenzo IV, nel 1248, fece addirittura affrescare la leggenda della "donazione" in una cappella della basilica dei Santi Quattro Coronati, in Roma: probabilmente era in buona fede convinto della veridicità dell'avvenimento, che si rivelò comunque, ancora una volta, un ottimo mezzo di propaganda a dimostrazione della superiorità della Chiesa rispetto all'impero. La leggenda più popolare narra che un terribile drago viveva in una caverna sul Palatino, vicino a un lago stagnante. Questo drago con il suo alito pestifero era in grado di uccidere tutti i passanti. Papa Silvestro, che aveva già sconfitto un'altra belva simile a Poggio Catino, per porre fine alla strage, si recò presso la tana del mostro. Disarmato, con il solo crocifisso in mano, alla vista del drago Silvestro invocò l’aiuto della Vergine e il drago divenne mansueto, al punto che il Papa lo poté legare con un filo della sua veste e portare al guinzaglio come un cagnolino al cospetto dei cittadini romani, che lo uccisero. I sacerdoti pagani, colpiti dal prodigio, si convertirono. Il corpo del drago fu trascinato nel Foro Romano e seppellito nel tempio di Castore e Polluce. Papa Silvestro ordinò di edificare nei pressi la chiesa di S. Maria Liberatrice, o anche S. Maria libera nos a poenis inferni. La storiografia moderna Secondo Claudio Rendina, l'agiografia cristiana ha costruito a posteriori (quando la Chiesa era diventata una potenza politica oltre che spirituale) la personalità di Silvestro come figura esemplare di cristiano, forse nel tentativo di recuperare una figura opaca per restituirle, a forza, una dimensione di parità, se non di superiorità, con l'imperatore. Note Bibliografia Catholic Encyclopedia, Volume XIV. New York, 1912, Robert Appleton Company. Nihil obstat, 1º luglio 1912. Remy Lafort, S.T.D., Censor. Imprimatur +Cardinale John Murphy Farley, Arcivescovo di New York; Liber Pontificalis, edizione Duchesne, I, 170-201, introduzione, cix sq.; Jaffe, Regesta rom. pont., seconda edizione, I, 28-30; Rudolph von Langen, Gesch. der römischen Kirche, I, 395 sqq.; Ignaz von Döllinger, Papstfabeln (seconda edizione), 1890], 61 sqq.; Marucchi, La basilica papale del cimitero di Priscilla, Roma, 1908; Biagia Catanzaro; Francesco Gligora, Breve Storia dei papi, da San Pietro a Paolo VI, Padova 1975, pag. 50; Franz Xaver von Funk, Kirchengesch. Abhandlungen und Untersuchungen, I, 95, 501 sq.; Giovanni Sicari, Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma, collana Monografie Romane a cura dell'Alma Roma, 1998 Marco Carpiceci e Alberto Carpiceci, Come Costantin chiese Silvestro d'entro Siratti, Kappa, ISBN 978-88-7890-781-2, Roma 2006. Claudio Rendina, I Papi. Storia e segreti, Newton & Compton, Roma, 1983. Edward Gibbon, Decadenza e caduta dell'Impero romano, Avanzini & Torraca Ed., Roma, 1968. Voci correlate Notte di San Silvestro Altri progetti Collegamenti esterni Silvestro 01 Silvestro 01 Personaggi citati nella Divina Commedia (Inferno) Silvestro 01 Santi della Chiesa cattolica Santi della Chiesa ortodossa
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Papa Clemente V
Biografia Nativo del Bazadais, in Guascogna, era figlio di Béraud de Got e di Ida di Blanquefort. Era anche fratello di Bérard de Got, arcivescovo di Lione, e zio di Raymond de Got, cardinale diacono di Santa Maria Nuova. A Lione Bertrand fu vicario generale del fratello Bérard, il quale nel 1294 venne nominato cardinale vescovo di Albano. Bertrand era un cappellano di papa Bonifacio VIII, che nel 1297 lo nominò arcivescovo di Bordeaux. Il pontificato Da arcivescovo venne eletto papa il 5 giugno 1305 in un conclave tenutosi a Perugia, dopo ben undici mesi di sede vacante, dovuta sia alle continue ingerenze di Filippo il Bello, sia alle dispute tra cardinali francesi e italiani, che avevano praticamente lo stesso peso all'interno del conclave, e solo dopo che il cardinale Walter Winterbourne eletto nel giorno di Natale 1304 ma improvvisamente ammalatosi, ebbe annunciato il suo rifiuto dell'elezione e abbandonato il conclave. Trasferimento della sede papale in Francia Invece di ritornare a Roma, che allora era dilaniata dalle lotte tra le diverse fazioni, Clemente V restò in Francia mettendosi praticamente sotto la tutela del re Filippo il Bello. Inizialmente fissò la sua dimora e quella della Curia a Poitiers. Bertrand non era né italiano né cardinale, e la sua elezione può essere considerata una scelta in direzione della neutralità. Il cronista dell'epoca Giovanni Villani riportò una voce secondo la quale egli si era legato a re Filippo IV di Francia con un accordo formale fatto prima della sua elezione a St. Jean d'Angély in Saintonge. È comunque più probabile che il futuro papa abbia preso accordi col re tramite un intermediario, forse il cardinale Napoleone Orsini, prima della sua elezione. A Bordeaux Bertrand ricevette la notifica formale della sua elezione; ricevette grosse pressioni affinché si recasse in Italia, ma egli scelse invece Lione come luogo della sua incoronazione, che si svolse il 13 novembre 1305 e venne celebrata con magnificenza alla presenza di Filippo. Tra i suoi primi atti ci fu la nomina di nove cardinali francesi. Sotto l'influenza del re di Francia All'inizio del 1306, Clemente abrogò di fatto molte parti sia della Clericis Laicos sia della Unam Sanctam, le due bolle di Bonifacio VIII che risultavano particolarmente odiose per l'ambizioso re Filippo. Clemente, durante tutto il suo pontificato, agì sempre a stretto contatto con la monarchia francese, segnando un cambiamento radicale nella politica pontificia. Inoltre istituì le annate, tasse sui benefici ecclesiastici delle sedi vescovili a ogni mutamento di titolarità, che dovevano essere versate alla Santa Sede. Il 13 ottobre 1307 fu ordinato l'arresto di tutti i Cavalieri templari che si trovavano in Francia, un'azione apparentemente dettata da motivi finanziari e intrapresa dall'efficiente burocrazia reale per incrementare il prestigio della corona. Filippo fu l'incoraggiatore di questa mossa spietata, ma anche la reputazione storica di Clemente ne risultò macchiata. Fin dal giorno dell'incoronazione di Clemente, il re aveva accusato i Templari di eresia, immoralità e abusi, e gli scrupoli del papa vennero meno quando si rese conto che il fiorente stato francese poteva non attendere la Chiesa, ma agire indipendentemente. L'ordine dei templari fu definitivamente dichiarato sospeso dagli Stati Generali del 1308 convocati da re Filippo il Bello. L'8 settembre 1308, con la Bolla papale "Super Specula", istituì lo Studium Generale oggi Università degli Studi di Perugia. Approfittando della sua influenza sul pontefice, il re di Francia volle processare e far condannare Bonifacio VIII. I legati di Filippo fecero pressione su Clemente per riaprire le accuse di eresia mosse da Guglielmo di Nogaret contro il passato pontefice, che erano circolate nella «guerra di pamphlet» sviluppatasi attorno alla Unam sanctam. Clemente dovette cedere alle pressioni per questo processo straordinario, incominciato il 2 febbraio 1309 ad Avignone e trascinatosi per due anni. Tale processo fu sancito nella riunione degli Stati Generali del 1308. Nel documento che chiamava i testimoni, Clemente espresse il suo personale convincimento che Bonifacio fosse innocente e, allo stesso tempo, la sua determinazione a soddisfare il re. Alla fine, nel febbraio 1311, il re scrisse a Clemente lasciando il processo al futuro Concilio di Vienne. Da parte sua Clemente assolse tutti quelli che avevano preso parte al rapimento di Bonifacio ad Anagni. Nel perseguimento dei desideri del re, Clemente convocò il Concilio di Vienne del 1311, il quale stabilì che i templari non erano colpevoli di eresia. Il Papa a ogni modo, pur asserendone l'innocenza, sospese l'ordine, in quanto godeva di cattiva reputazione e aveva perso la sua utilità come banchiere pontificio e protettore dei pellegrini a Oriente (bolla Vox in excelso del 3 aprile 1312, approvata unanimemente dai partecipanti al concilio). Le proprietà francesi dell'ordine vennero concesse ai Cavalieri Ospitalieri, ma in realtà Filippo IV le tenne per sé fino alla sua morte, ed espropriò inoltre anche le banche dei Templari. Il 5 maggio 1313 canonizzò Celestino V, a seguito della sollecitazione da parte di Filippo il Bello e per forte acclamazione del popolo, accelerando in maniera notevole l'iter avviato da Bonifacio VIII. Tuttavia Clemente non lo canonizzò quale martire, come avrebbe voluto Filippo, ma come confessore. La situazione in Italia Il pontificato di Clemente fu un periodo disastroso per l'Italia. Le province pontificie vennero affidate a un gruppo di tre cardinali, ma Roma, il campo di battaglia dei Colonna e degli Orsini, restò ingovernabile. Nel 1312, l'imperatore Enrico VII entrò in Italia, stabilendo i Visconti come vicari a Milano, e si fece incoronare dai legati di Clemente a Roma, prima di morire nei pressi di Siena nel 1313. A Ferrara le armate pontificie si scontrarono con la Repubblica di Venezia. Quando la scomunica e l'interdetto non produssero l'effetto atteso, Clemente proclamò una crociata contro i Veneziani, il che è sintomatico di quanto fosse ormai svalutato il portato religioso di quel tipo particolare di campagna militare. Altri incidenti degni di nota del regno di Clemente furono la sua sanguinosa repressione dell'eresia di Fra' Dolcino in Piemonte e la promulgazione della «Costituzione Clementina» nel 1313. Ultimi anni Nel 1313, l'intera corte papale si trasferì da Poitiers (dove era rimasta per quattro anni) ad Avignone (in Provenza), ma Clemente V preferì risiedere assieme alla Curia nella cittadina di Carpentras che si trovava nel vicino Contado Venassino, feudo papale e quindi assai meno soggetto alle pressioni del re di Francia alle quali, dopo diversi dissidi, voleva sottrarsi. Ammalatosi nel 1314 (probabilmente di tumore intestinale) e sentendosi prossimo alla fine, tentò di farsi trasportare dal suo ritiro di Monteux (borgo vicinissimo a Carpentras) a Villandraut, suo paese natale e feudo della sua famiglia in Guascogna. Ma, raggiunto il paese di Roquemaure nel Gard il 5 aprile, non riuscì a proseguire. Riparò nella casa del Cavaliere Guillaume de Ricavi, che lo ospitò ormai morente. Infatti, pochi giorni dopo, il 20 aprile 1314, Clemente V si spense e le sue spoglie furono ricondotte a Carpentras per i funerali solenni. Venne sepolto all'interno della collegiata di Uzeste, in Aquitania, dove si trova tuttora la tomba. Nel 1316, Giovanni XXII, eletto successore di Clemente V dal lungo Conclave di Lione, portò la sede papale e la Curia ad Avignone, che all'epoca non era parte della Francia, ma un feudo imperiale retto da Federico III d'Aragona, re di Sicilia. Il trasferimento della sede del papato in Provenza venne motivato dagli apologeti francesi dell'epoca con il perdurare dei tumulti di Roma, dove l'antagonismo tra gli aristocratici romani e le loro fazioni armate aveva raggiunto ormai l'apice e la basilica di San Giovanni in Laterano era stata distrutta da un incendio. Concistori per la creazione di nuovi cardinali Papa Clemente V durante il suo pontificato ha creato 24 cardinali nel corso di 3 distinti concistori. Clemente V nella storiografia Il primo Papa ad assumere la tiara fu tutto sommato un pontefice debole. La critica storica moderna ha attenuato in parte il severo giudizio su questo papa, attribuendo la sua debolezza e arrendevolezza ai voleri del re di Francia, al suo pessimo stato di salute che lo tormentò per tutto il suo pontificato fino a culminare nel male che lo attaccò nell'ultimo anno di vita, portandolo alla morte a soli 50 anni. Anche se viene criticato ingiustamente per la sospensione dell'ordine dei Templari nel suo pontificato, Clemente V dovette arrendersi dietro le minacce del Re francese, di deposizione dal soglio pontificio e della vendita dei beni dei templari, con il consenso di un nuovo pontefice. Al netto delle (difficilmente dimostrabili) accuse di eresia e sodomia, la colpevolezza o l'innocenza dei templari è uno dei problemi storici più difficili, in parte a causa dell'atmosfera di isteria che si era creata nelle generazioni precedenti, del linguaggio intemperato e delle stravaganti accuse reciproche scambiate tra governanti temporali e clero, e in parte perché l'argomento è stato abbracciato da teorici della cospirazione e pseudo-storici. Clemente V nella letteratura Papa Clemente V fu oggetto di notevoli attenzioni da parte di Dante Alighieri, che nella sua Divina Commedia lo cita più volte, in modo tutt'altro che benevolo (lo colloca nellInferno): Il conclave del 1304-1305 Giovanni Boccamazza, cardinale-vescovo di Frascati, Decano del Sacro Collegio; Teodorico Ranieri, cardinale-vescovo di Palestrina; Leonardo Patrasso, cardinale vescovo di Albano; Pedro Rodríguez, cardinale vescovo di Sabina; Giovanni Minio da Morrovalle, O.F.M., cardinale vescovo di Porto e Santa Rufina; Niccolò Alberti, O.P., cardinale vescovo di Ostia e di Velletri; Robert de Pontigny, O.Cist., cardinale presbitero di Santa Pudenziana; Gentile Partino (o Portino) di Montefiore, O.F.M., cardinale presbitero dei Santi Silvestro e Martino ai Monti; Walter Winterbourne, O.P., cardinale presbitero di Santa Sabina; Napoleone Orsini, cardinale diacono di Sant'Adriano al Foro; Landolfo Brancaccio, cardinale diacono di Sant'Angelo in Pescheria; Guglielmo Longhi, cardinale diacono di San Nicola in Carcere Tulliano; Francesco Napoleone Orsini, cardinale diacono di Santa Lucia in Orpha (Silice); Francesco Caetani, cardinale diacono di Santa Maria in Cosmedin Luca Fieschi dei conti di Lavagna, cardinale diacono di Santa Maria in Via Lata. Successione apostolica La successione apostolica è: Arcivescovo Heinrich von Virneburg (1305) Cardinale Arnaud de Faugères (1308) Arcivescovo Balduin von Luxembourg (1308) Arcivescovo Burkhard I von Mansfeld-Schrapglau (1308) Arcivescovo Guillermo de Rocaberti (1309) Vescovo Guglielmo Bianchi, O.S.B. (1309) Vescovo Arnaldo de Puyana (1310) Arcivescovo Tommaso di Otranto (1310) Vescovo Pietro da Firenze, O.F.M. (1311) Vescovo Tommaso, O.F.M. (1311) Vescovo Girolamo Catalano, O.F.M. (1311) Arcivescovo Gaillard de Faugères (1311) Arcivescovo Weichardo de Pollheim (1312) Vescovo Guido Tarlati (1312) Arcivescovo Stefano di Tebe (1312) Note Bibliografia Sophia Menache, Clement V, ISBN 0-521-52198-X Claudio Rendina, I papi, Roma, Ed. Newton Compton, 1990 John N.D. Kelly, Gran Dizionario Illustrato dei Papi, Casale Monferrato (AL), Edizioni Piemme S.p.A., 1989, ISBN 88-384-1326-6 Voci correlate Cattività avignonese Carpentras Clementinae Altri progetti Collegamenti esterni Agostino Paravicini Bagliani, Clemente V nell'Enciclopedia dei Papi Treccani Papi della Chiesa cattolica Personaggi citati nella Divina Commedia (Inferno) Personaggi citati nella Divina Commedia (Paradiso)
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https://it.wikipedia.org/wiki/Piaggio%20Aerospace
Piaggio Aerospace
Piaggio Aerospace è una tra le più importanti aziende di produzione aeronautiche italiane. Dal 2014 ha assunto l'attuale denominazione, dopo che Piaggio Aero Industries è stata interamente acquisita da Mubadala Development Company, fondo sovrano del governo di Abu Dhabi. Storia Sotto la guida Piaggio L'azienda fu fondata nel 1884 da Rinaldo Piaggio a Sestri Ponente (Genova), avendo come principale settore di attività la produzione di materiale ferroviario. Nel 1915 l'azienda acquisisce le Officine Aeronautiche Francesco Oneto e comincia la produzione di materiali per l'industria aeronautica. Nel 1924 cominciano ad essere prodotti i primi motori Jupiter e gli aeromobili Dornier Wal, costruiti su licenza. L'azienda ebbe al suo attivo una ventina di primati conquistati con gli aeromobili di sua produzione negli anni venti e trenta: da ricordare il Piaggio P.108, unico bombardiere quadrimotore ad essere impiegato dalla Regia Aeronautica durante la seconda guerra mondiale. Inoltre sono i tecnici della Piaggio, per volere di Enrico Piaggio, figlio di Rinaldo, e guidati dall'ingegner Corradino D'Ascanio, che progettano il DAT 3, il primo elicottero della storia effettivamente manovrato dall'uomo e con eliche montate su giunto cardanico. Dopo la seconda guerra mondiale la storia della Piaggio ha una svolta quando nel 1946, su progetto dello stesso D'Ascanio, viene brevettata una motocicletta che segnerà la storia della motorizzazione individuale in Italia: la Vespa. Negli anni seguenti prosegue sia la produzione motociclistica che aeronautica fino al 1964, anno in cui le due divisioni vengono ufficialmente scisse in due società distinte: la produzione aeronautica prosegue con Armando (e in seguito con Rinaldo, nipote omonimo del fondatore) nello stabilimento di Sestri Ponente con il nome di Industrie Aeronautiche e Meccaniche Rinaldo Piaggio, mentre con Enrico la Vespa viene prodotta nello stabilimento di Pontedera. Il P.136, il P.148 e il Piaggio P.166 sono alcuni degli aeromobili prodotti in questo periodo. Il PD-808 è stato l'unico bireattore italiano certificato nella categoria dei velivoli da trasporto. Effettuò il primo volo a Genova il 29 agosto 1964 pilotato dal comandante Evasio Ferretti. La certificazione fu ottenuta nel 1966. Negli anni ottanta cominciano sia le collaborazioni internazionali, sia la progettazione del P.180 Avanti, ancora oggi uno degli aerei più innovativi della categoria. Nonostante ciò, gli anni novanta vedono l'azienda in crisi. Sotto la guida Ferrari e Di Mase Nel 1998, per iniziativa di una cordata di imprenditori con a capo l'ing. Piero Lardi Ferrari, vicepresidente della Ferrari S.p.A., e Josè Di Mase sono stati rilevati gli asset della Rinaldo Piaggio S.p.A, ridenominata Piaggio Aero Industries, investendo nel settore della business aviation e della motoristica aeronautica. L'azienda si risolleva dalla crisi degli anni precedenti, con il successo dellAvanti e la certificazione dellAvanti II nel 2005. Con un ordine di 36 P.180 Avanti II da parte di Avantair, una compagnia del New Jersey, di un valore di quasi 200M€, la società esce dalla crisi, divenendo leader nella produzione di aerei executive. L'azionariato era composto dalle famiglie Di Mase e Ferrari, mentre il 19 aprile 2006 viene annunciato l'ingresso nel capitale azionario della Mubadala Development Company, società di investimenti del governo di Abu Dhabi, con una quota del 35%. Tata Limited, società britannica del Tata Group, è entrata in Piaggio Aero Industries nel 2009. Nel 2013 l'azienda presenta al Paris Air Show un mock-up nominato P.1HH HammerHead. Si tratta di un aeromobile a pilotaggio remoto, destinato al mercato militare, progettato insieme alla Selex ES, ed usa la stessa fusoliera del P.180 Avanti II. Con una velocità di 876 km/h e un peso massimo al decollo di circa 6.000 kg, ha un'autonomia di 20 ore che gli consente di compiere varie missioni di sorveglianza e protezione di siti e luoghi critici. Il P.1HH ha effettuato il primo volo di prova il 14 novembre 2013 partendo dall'aeroporto di Trapani-Birgi. Sotto la guida del fondo di Abu Dhabi A Piero Lardi Ferrari, presidente dal 1998, è subentrato nel maggio 2014 Alberto Galassi, fino a quel momento amministratore delegato. Al suo posto Carlo Logli. Dal 2014 Mubadala Development Company, fondo sovrano presieduto dal principe ereditario di Abu Dhabi e vicecomandante delle Forze Armate, sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, detiene il 98,05% del capitale sociale mentre Piero Ferrari ne possiede l'1,95%. Nello stesso anno la società è stata ridenominata Piaggio Aerospace.. In seguito Piero Ferrari cederà la sua quota alla società di Abu Dhabi. Nel maggio 2014 viene presentato il nuovo Avanti EVO, considerato il più veloce turboelica al mondo nella categoria executive (il primato rimane ai quadrimotori sovietici della famiglia Tu-95). Pochi mesi più tardi, nel novembre 2014, viene inaugurato il nuovo stabilimento di Villanova d'Albenga alla presenza dell'allora presidente del Consiglio, Matteo Renzi, e del ministro della Difesa Roberta Pinotti. Nell'agosto 2016 nuovo cambiamento nel vertice della società: Renato Vaghi sostituisce Carlo Logli nel ruolo di amministratore delegato. Ed è annunciato un pesante piano di ristrutturazione che prevede un futuro quasi esclusivamente militare e concentrato nella produzione di droni con un ridimensionamento dei dipendenti (circa la metà in meno) e la chiusura dello stabilimento di Genova. Nell'ottobre 2017 la Reuters dà la notizia che il ramo d'azienda che produce jet executive potrebbe essere ceduto ad un consorzio cinese, Pac Investment SA. Il governo italiano ha annunciato di voler esercitare il golden power sulla cessione. Nel novembre 2018, dopo il silenzio del governo su una commessa da 766 milioni per l'acquisto di venti droni, il fondo di Abu Dhabi ha chiesto l'amministrazione straordinaria per l'azienda. Aerei RPAS (Remote Piloted Aircraft System) Piaggio P.1HH HammerHead Piaggio P.2HH HammerHead Motori aeronautici Piaggio P.VI Piaggio P.VII Piaggio P.VIII Piaggio P.IX Piaggio P.X Piaggio P.XI Piaggio P.XII Piaggio P.XV Galleria d'immagini Note Voci correlate Piaggio Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Principio%20ristretto%20di%20equivalenza%20in%20variabilit%C3%A0
Principio ristretto di equivalenza in variabilità
Il Principio ristretto di equivalenza in variabilità è dovuto a Karl Pearson e, facendo riferimento ai primi quattro momenti (o ai parametri μ, σ², β1, β2), stabilisce che due variabili casuali sono equivalenti in variabilità quando hanno uguali gli indici β1 (simmetria) e β2 (curtosi) Per quanto riguarda la media e la varianza, questi non vengono presi in considerazione in quanto è sufficiente standardizzare le variabili casuali per renderle tutte uguali. Altri criteri per caratterizzare le variabili casuali sono il criterio della massimizzazione dell'entropia il criterio basato sull'elasticità della funzione di densità o probabilità Voci correlate Karl Pearson variabile casuale Funzione generatrice dei momenti simmetria (statistica), curtosi Statistica descrittiva
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https://it.wikipedia.org/wiki/Processo%20markoviano
Processo markoviano
Si definisce processo stocastico markoviano (o di Markov), un processo aleatorio in cui la probabilità di transizione che determina il passaggio a uno stato di sistema dipende solo dallo stato del sistema immediatamente precedente (proprietà di Markov) e non da come si è giunti a questo stato. Viceversa si dice processo non markoviano un processo aleatorio per cui non vale la proprietà di Markov. Prende il nome dal matematico russo Andrej Andreevič Markov che per primo ne sviluppò la teoria. Modelli di tipo markoviano vengono utilizzati nella progettazione di reti di telecomunicazioni: la teoria delle code che ne consegue trova applicazione in molti ambiti, dalla fila agli sportelli ai pacchetti dati in coda in un router. Un processo di Markov può essere descritto per mezzo dell'enunciazione della proprietà di Markov, o condizione di "assenza di memoria", che può essere scritta come: Catene di Markov Una catena di Markov è un processo di Markov con spazio degli stati discreto, quindi è un processo stocastico che assume valori in uno spazio discreto e che gode della proprietà di Markov. L'insieme di spazio degli stati può essere finito o infinito numerabile. Nel primo caso si parla di catena di Markov a stati finiti. Una catena di Markov può essere tempo-continua o tempo-discreta, in base all'insieme di appartenenza della variabile tempo (continuo o discreto). Formalmente una catena di Markov è un processo stocastico Markoviano caratterizzato da un parametro , da un insieme di stati e da una funzione probabilità di transizione . Essendo un processo Markoviano, gode della proprietà di Markov: Nel caso di catena di Markov a tempo discreto, cioè con l'insieme discreto, la notazione si semplifica: Catene di Markov omogenee Una catena di Markov omogenea è un processo markoviano in cui la probabilità di transizione al tempo non dipende dal tempo stesso, ma soltanto dallo stato del sistema al tempo immediatamente precedente . In altre parole, la probabilità di transizione è indipendente dall'origine dell'asse dei tempi e quindi dipende soltanto dalla distanza tra i due istanti temporali. Per le catene omogenee vale la condizione Più in generale si dimostra che in una catena di Markov omogenea la probabilità di transizione da uno stato a un altro in passi è costante nel tempo: I sistemi reali che possono essere modellati con catene di Markov omogenee sono rari: è sufficiente pensare al sistema "tempo atmosferico" per capire come la probabilità di transizione da uno stato (per esempio "sole") a un altro stato (per esempio "pioggia") dipende dalla stagione, quindi non è possibile modellare questo sistema come catena di Markov omogenea. Tuttavia restringendo l'analisi del sistema a un determinato intervallo di tempo si può considerare il comportamento omogeneo: in questo caso l'intervallo di tempo potrebbe essere una singola stagione. Matrice di transizione Una catena di Markov omogenea a stati finiti in cui l'insieme degli stati del sistema è finito e ha elementi può essere rappresentata mediante una matrice di transizione e un vettore di probabilità iniziale . Gli elementi di rappresentano le probabilità di transizione tra gli stati della catena: una catena che si trova nello stato ha probabilità di passare allo stato j nel passo immediatamente successivo. In particolare gli elementi sulla diagonale principale di indicano le probabilità di rimanere nello stesso stato . Il vettore definisce le probabilità che inizialmente la catena di Markov si trovi in ciascuno degli stati. Una catena di Markov omogenea è univocamente definita dalla coppia . Se al tempo ha la distribuzione di probabilità allora le probabilità che a un tempo il sistema si trovi in ciascuno degli stati sono date dal vettore così definito: dove indica la trasposta del vettore . Dalla definizione assiomatica della probabilità discendono le seguenti proprietà per la matrice : . La seconda proprietà equivale a richiedere che la somma degli elementi su ciascuna riga sia uguale a 1, nel qual caso la matrice si dice anche stocastica. Per esempio, e possono essere i seguenti: Nel caso di una catena di Markov omogenea a stati discreti si può adottare la notazione sintetica: dove (n) non è un esponente bensì è un indice. Si ha quindi . Si hanno le seguenti proprietà: . Catene di Markov aperiodiche Il periodo di uno stato di una catena di Markov a stati discreti, con finito o infinito numerabile, è definito come il minimo numero di passi temporali affinché vi sia una probabilità diversa da zero di tornare sullo stesso stato, partendo dallo stato al tempo . Formalmente il periodo è definito come segue: dove MCD indica il massimo comune divisore. Nel caso di una catena di Markov omogenea a stati finiti con numero di stati , rappresentabile quindi con una matrice , si può riformulare la definizione così: . Lo stato è detto aperiodico se il suo periodo è uguale a 1. Una catena di Markov è detta aperiodica se tutti i suoi stati sono aperiodici, altrimenti è detta periodica. Catene di Markov irriducibili Una catena di Markov a stati discreti è detta irriducibile se partendo da ogni stato c'è una probabilità maggiore di zero di raggiungere ogni altro stato . Formalmente una catena di Markov è irriducibile se: . Stati ricorrenti positivi Sia lo stato si dice ricorrente positivo se Se una catena è irriducibile e un suo stato è ricorrente positivo allora tutti i suoi stati sono ricorrenti positivi, in tale caso la catena si dice ricorrente positiva . Distribuzioni stazionarie Data una catena di Markov omogenea a stati discreti, una sua distribuzione stazionaria di probabilità, detta anche distribuzione di equilibrio, è una distribuzione discreta di probabilità che soddisfa le seguenti: . Informalmente una distribuzione stazionaria è una distribuzione di probabilità che si mantiene costante all'evolversi nel tempo della catena di Markov. L'importanza delle distribuzioni stazionarie per le catene di Markov omogenee a stati discreti è data dai seguenti teoremi: Il teorema di esistenza e unicità afferma che data una catena di Markov omogenea a stati discreti con probabilità di transizione e spazio degli stati , se la catena di Markov è irriducibile e ricorrente positiva allora esiste un'unica distribuzione stazionaria per la catena di Markov. Il teorema della convergenza afferma che data una catena di Markov omogenea a stati discreti con probabilità di transizione e spazio degli stati , se la catena di Markov è irriducibile, aperiodica e ricorrente positiva allora la distribuzione di probabilità al tempo , converge alla distribuzione stazionaria per ogni distribuzione iniziale di probabilità scelta. Si ha cioè . La convergenza di una catena di Markov a una distribuzione stazionaria e la possibilità di costruire una catena con una distribuzione stazionaria scelta sono alla base del funzionamento dell'algoritmo di Metropolis-Hastings. Catene di Markov ergodiche Una catena di Markov si definisce ergodica se e solo se per ogni istante iniziale e per ogni condizione iniziale di probabilità esiste ed è indipendente da e da il limite della probabilità per tempi infiniti . Applicazioni Molti algoritmi di Link Analysis Ranking si basano sulla teoria di processi markoviani. Ad esempio il PageRank inferito da Google si basa sulla frequenza a posteriori di transizione degli utenti da un sito web A a un sito B tramite i link che da A conducono a B e non sul semplice numero e tipo di collegamenti da A a B, in modo da rispecchiare la popolarità del legame per gli utenti e non l'importanza per il creatore del sito. Cioè la frequenza di un sito è un valore nell'intervallo [0,1] corrispondente alla quantità media di tempo spesa sul sito da un gran numero di utenti dopo un tempo abbastanza elevato: la frequenza, opportunamente riscalata, costituisce il Page Rank del sito. Dato che la frequenza di transizione approssima la probabilità di transizione si può stimare la distribuzione stazionaria di probabilità della catena di Markov formata da tutti i siti web, costruendo una matrice di transizione. Fa uso di modelli statistici markoviani anche un filone di modellistica del linguaggio naturale. Ad esempio nell'ambito della sintesi vocale lo CSELT è stato tra i precursori di questo filone, in particolare per la lingua italiana e le lingue latine. Diversi algoritmi previsionali in ambito economico, finanziario e di dinamica dei sistemi fanno uso dei processi markoviani. Anche gran parte della modellistica di serie temporali in finanza si basa su processi stocastici generati da catene di Markov. Software In R, una libreria abbastanza completa è il pacchetto markovchain Una lista di pacchetti Python può essere trovata qui Mathematica ha sviluppato funzionalità ad hoc per le catene di Markov dalla versione 9. Note Bibliografia Olle Häggström (2002), Finite Markov Chains and Algorithmic Applications, Cambridge University Press, ISBN 0-521-81357-3 Voci correlate Processo stocastico Variabile casuale Matrice di transizione Processo di Wiener Modello di Markov nascosto Algoritmo di Metropolis-Hastings N-gramma Teoria ergodica Altri progetti Collegamenti esterni Processi stocastici
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Processo stocastico
In matematica, più precisamente nella teoria della probabilità, un processo stocastico (o processo aleatorio) è la versione probabilistica del concetto di sistema dinamico. Un processo stocastico è un insieme ordinato di funzioni reali di un certo parametro (in genere il tempo) che gode di determinate proprietà statistiche. In generale è possibile identificare questo processo come una famiglia con un parametro di variabili casuali reali rappresentanti le trasformazioni dallo stato iniziale allo stato dopo un certo tempo . In termini più precisi questo si basa su una variabile casuale che supera il limite dei numeri reali (come ad esempio, , o spazi funzionali, o successioni di numeri reali). I processi aleatori sono un'estensione del concetto di variabile aleatoria quando viene preso in considerazione anche il parametro tempo. Descrizione Da un punto di vista pratico, un processo stocastico è una forma di rappresentazione di una grandezza che varia nel tempo in modo casuale (ad esempio un segnale elettrico contenente informazione ovvero modulato, il numero di autovetture che transitano su un ponte, ecc.) e con certe caratteristiche. Facendo delle prove (o osservazioni) ripetute dello stesso processo, si ottengono diversi andamenti nel tempo (realizzazioni del processo); osservando le diverse realizzazioni a un istante si ottiene una variabile aleatoria che comprende i diversi valori che il processo può assumere in quell'istante. Tali valori avranno un valore medio, che, nel caso di variabile aleatoria gaussiana, costituiranno il valore al centro della "campana" gaussiana all'istante . Quindi per ciascun istante si può definire una variabile aleatoria, una gaussiana o altra, che rappresenti il valore più probabile del processo con il relativo indice di scostamento o deviazione standard. Concetti e definizioni Si definisce processo stocastico una famiglia di variabili aleatorie dipendenti dal tempo, definite su uno spazio campione e che assumono valori in un insieme definito spazio degli stati del processo. Un processo stocastico è quindi un insieme di funzioni che evolvono nel tempo (le cosiddette funzioni campione o realizzazioni), ognuna delle quali è associata ad un determinato elemento dello spazio campione, così che il risultato di un esperimento casuale corrisponde di fatto all'estrazione di una di queste funzioni. Fissando un istante di tempo , è possibile individuare valori generalmente differenti, ognuno relativo a una determinata realizzazione e quindi ad un elemento dello spazio campione: è allora una variabile aleatoria e rappresenta la "fotografia" del processo stocastico in un determinato istante; quindi, rispetto a una semplice variabile aleatoria, esso fornisce anche un'informazione relativa all'evoluzione temporale. Per descrivere un processo aleatorio è sufficiente utilizzare la funzione di densità di probabilità congiunta, o, analogamente, la funzione di distribuzione di probabilità congiunta, delle variabili aleatorie . Lo spazio della variabile tempo, cioè l'insieme , può essere continuo o discreto: nel primo caso si parla di processo stocastico "continuo nel tempo" (o processo stocastico tempo-continuo), mentre nel secondo caso si parla di processo stocastico "discreto nel tempo" (o processo stocastico tempo-discreto). In alternativa si usa la formulazione "processo stocastico a parametro discreto" o "continuo". L'insieme dei valori che possono assumere le realizzazioni costituisce il suddetto spazio degli stati del processo e rappresenta le "situazioni" descritte dalle variabili casuali e indicate per esempio con . Tale insieme può essere continuo o discreto: in quest'ultimo caso, che implica la numerabilità degli stati, il processo aleatorio viene definito catena. Se la variabile casuale è discreta allora si parla di "processo stocastico discreto", se invece è una variabile casuale continua allora si parla di "processo stocastico continuo" (sottinteso "nello spazio degli eventi"). I processi stocastici si distinguono in markoviani e non markoviani a seconda che la legge di probabilità che determina il passaggio da uno stato all'altro (probabilità di transizione) dipenda unicamente dallo stato di partenza (processo markoviano) o anche dagli stati ad esso precedenti (processo non markoviano). Se la probabilità di transizione dipende dagli stati precedenti ma non dipende esplicitamente dal tempo t, allora si parla di processo stocastico omogeneo. I processi stocastici ciclostazionari servono per descrivere processi generati da fenomeni periodici. Esempio introduttivo Si supponga di voler definire matematicamente la dinamica di un punto che si muove su una retta con una data legge probabilistica. Si può definire un processo stocastico come la collezione delle variabili casuali , dove per ogni valore del tempo , è la variabile casuale (reale) che esprime la legge probabilistica del punto considerato al tempo . Se si definisce come la soluzione all'equazione differenziale stocastica dove , e denota il processo di Wiener, allora definisce il processo di Ornstein-Uhlenbeck. Bibliografia Malempati Madhusudana Rao (1995): Stochastic Processes: General Theory, Kluwer, ISBN 0-7923-3725-5 Kiyoshi Itō (2004): Stochastic Processes, Springer, ISBN 3-540-20482-2 Voci correlate Variabile casuale Spazio di probabilità Processo stazionario Ergodicità Processo markoviano Processo gaussiano Processo di Wiener Funzione càdlàg Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Provincia%20di%20Viterbo
Provincia di Viterbo
La provincia di Viterbo è una provincia del Lazio, nell'Italia centrale di abitanti con capoluogo Viterbo. Confina a nord con la Toscana (province di Grosseto e Siena), e con l'Umbria (provincia di Terni), a est con la provincia di Rieti, a sud con la città metropolitana di Roma Capitale, a ovest con il mar Tirreno. La sede istituzionale della provincia è Palazzo Gentili a Viterbo. Geografia fisica Territorio Collocata nella parte nord-occidentale della regione di cui fa parte, la provincia di Viterbo ha un'area di 3.612 km² suddivisa in 60 territori comunali e si sviluppa in territori diversi tra loro che circondano il capoluogo posto abbastanza centralmente. Il territorio può essere diviso grosso modo in quattro aree geografiche: la zona costiera e pianeggiante della Maremma laziale; l'Alta Tuscia, molto più collinare e dal territorio di origine vulcanica, corrispondente alle zone limitrofe alla Toscana e al Lago di Bolsena; la zona dei Monti Cimini attorno al lago di Vico e delle zone confinanti con la città metropolitana di Roma Capitale; infine la parte orientale confinante con l'Umbria delle zone bagnate dal Tevere. Si può dire che la città di Viterbo appartenga geograficamente sia all'Alta Tuscia che alla zona Cimina, essendo situata proprio sotto i monti, ma a breve distanza dal lago di Bolsena. Orografia Non ci sono rilievi particolarmente alti nella provincia di Viterbo, essendo il massimo picco il Monte Cimino situato accanto all'omonima catena all'interno del comune di Soriano nel Cimino, con 1.053 metri d'altitudine. La catena dei monti Cimini è anche la più considerevole in termini di estensione e di altitudine, col monte Fogliano (), il Poggio Nibbio () e il monte Venere (). L'unica altra catena, poco più che collinare in realtà, è quella dei Monti Volsini che coronano a nord il Lago di Bolsena: parlare di catena sembra a volte inappropriato per questi rilievi che raggiungono nel Poggio del Torrone l'altezza massima di 690 metri e hanno un andamento piuttosto dolce, dando l'aspetto decisamente più collinare che montano. Entrambe le formazioni sono di origine vulcanica, come dimostrano le conformazioni rocciose spesso tufacee o di altre rocce tipicamente di origine lavica. Anche le zone pianeggianti o i laghi sono spesso sprofondamenti vulcanici, come le grosse caldere di Bolsena, l'attuale lago, o di Latera. Idrografia Il patrimonio idrico della provincia di Viterbo è decisamente consistente. Numerosi sono i laghi, spesso di origine vulcanica, ma anche i fiumi e i torrenti. Il lago principale, più vasto e conosciuto è senz'altro il Lago di Bolsena, vasta massa d'acqua situata nella zona nord-occidentale della provincia la cui importanza turistica, culturale ed economica è preminente. Dalla forma quasi circolare e di origine vulcanica, il lago è il quinto in Italia per dimensione, con un'estensione di 113,5 km². Profondo massimo 151 metri, è considerato il più vasto lago europeo di origine vulcanica. Il secondo lago per importanza e dimensione, anch'esso di origine vulcanica, è il Lago di Vico, incastonato nella catena dei Cimini. Questo bacino d'acqua è decisamente particolare, essendo il più alto dei grandi laghi italiani (510 m d'altitudine) e dalla forma piuttosto disomogenea a dispetto della sua origine. La particolarità del lago favorisce fauna e flora molto particolari e interessanti, protette in un parco naturale. Altri laghi minori sono il Lago di Mezzano nel territorio del comune di Valentano, dalla forma nettamente circolare, e anche il laghetto di Monterosi, entrambi di origine vulcanica. A livello di fiumi, va innanzitutto citato il Tevere, terzo fiume d'Italia per lunghezza, che scorre sul confine con l'Umbria presso Orte segnando il confine con la Provincia di Terni e quella di Rieti. Importanti sono anche il Marta, emissario del Lago di Bolsena, che sfocia vicino a Tarquinia, il Paglia, il Fiora e l'Arrone. Sistema boschivo I boschi della provincia di Viterbo, che ha una superficie complessiva di ettari, ricoprono il 19% del territorio. Rientrante tra le province italiane più ampie, quella viterbese si estende dal mar Tirreno sino alle sponde del Tevere, che scende dall'Umbria verso Roma, mentre, geomorfologicamente, presenta tre apparati vulcanici tipici: il Vicano, il Vulsino e il Cimino. I primi due, a seguito dello svuotamento dei rispettivi crateri, hanno dato origine ai suggestivi laghi di Vico e di Bolsena; il terzo conserva ancora il tipico aspetto di montagna vulcanica, con una serie di piccole bocche effusive ai lati dell'imponente monte Cimino che, con i suoi 1053 metri sul livello del mare, è la sommità più alta della provincia. Secondo la classificazione del Pavari, quest'ultima può essere divisa in due zone forestali: Zona del lauretum, sotto zona media fredda, comprendente buona parte del territorio della provincia, dalle colline a pendenza moderata alle valli fortemente incise anche dai corsi d'acqua, a est verso il fiume Tevere e a ovest verso la vasta pianura di Viterbo. Questa scende con lievi ondulazioni in direzione del mar Tirreno, attraverso la zona tipica della maremma etrusca, per raggiungere il mare e i 38 km circa di costa. Zona del castanetum, che interessa i tre apparati vulcanici suindicati. I primi due partono dal sud della provincia e, precisamente, dalla sommità del cratere del lago di Bracciano per estendersi intorno al lago di Vico e, infine, abbracciare l'intero monte Cimino. Il terzo è quello del lago di Bolsena che comprende importanti complessi boscati che coronano l'intero e l'esterno della conca del lago. Il 19% della superficie, pari ad ettari 68030, è la copertura forestale della provincia. I cedui, con un'estensione di 58209 ettari, sono i boschi più diffusi, mentre quelli d'alto fusto, con i castagneti da frutto, occupano una superficie di 9821 ettari. Il ceduo più diffuso è quello di cerro che si trova ovunque, dal litorale al monte Cimino. In molti casi si trova allo stato puro, ma generalmente nella pianura maremmana e lungo il litorale è consociato ad altre specie, quercine e non, come leccio, sughera, carpino, olmo, ornello ecc. La coltivazione e la diffusione dei cedui di cerro sono dovute, in prevalenza, al notevole consumo che in passato si faceva di legna da ardere. Ancora oggi si possono vedere nei boschi viterbesi le aree carbonili del passato . Oggi la lavorazione del carbone viene effettuata con metodi più moderni, utilizzando macchine efficaci. Questi boschi vengono utilizzati in media ogni 14-16 anni; le piste interne spesso sono insufficienti e, per l'esbosco, soprattutto nei sentieri più impervi si ricorre all'utilizzo dei muli. Nei cedui di cerro, soprattutto in quelli della Maremma, viene praticato il pascolo bovino. Il carico dei bovini, in genere maremmani, è sproporzionato in relazione alla grandezza e alla potenzialità del popolamento vegetale su cui il pascolo viene esercitato e pertanto questa pratica genera boschi privi di rinnovazione e sottobosco. Altri nemici dei boschi sono gli incendi, fenomeni ancora molto diffusi, soprattutto a causa della trascuratezza di molti agricoltori che incendiano stoppie e sterpaglie per eliminarle dal proprio territorio. Il fuoco si diffonde con molta intensità dal campo ai boschi vicini soprattutto nel periodo estivo. La produzione legnosa di questi cedui può variare da zona a zona. e ciò dipende dalle diverse condizioni climatiche e dalla differente fertilità del territorio. La linea di massima produzione media è di 800/900 quintali ad ettaro, con punte massime che raggiungono anche il doppio della cifra indicata. I boschi attuali sono più deboli rispetto a quelli del passato e vengono chiamati boschi cedui “invecchiati”; non avendo subito il taglio alla scadenza del turno, sono caratterizzati da ceppaie con numerosi polloni che, con il tempo, non potranno che perdere vigore e vitalità a vantaggio di quelli più robusti e sviluppati. Questa situazione ha sollevato diverse interpretazioni: conservazionisti e naturalisti sono favorevoli alla conservazione di tali cedui di cerro in boschi di alto fusto. Tuttavia per queste trasformazioni ci devono essere condizioni climatiche e di terreno favorevoli, come ad esempio terreno profondo, fresco e fertile. Salendo in altitudine verso i tre coni vulcanici, il cerro viene sostituito dal castagno. Questi cedui sono, forse, oggi i boschi ritenuti economicamente più remunerativi degli altri. Dal materiale legnoso si ricavano molti assortimenti: tavolame, travi, travicelli, passoni, filagne, doghe per botti numerose palerie ecc. I castagneti sono però attaccati dal cancro corticale e dalla cosiddetta “cipolla” (dovuto al cinipide galligeno del castagno), patologie che deprezzano notevolmente questo legno. Il cancro è ben manifesto sulla corteccia ma la cipolla è all'interno del tronco, nella zona del cambio, e non è visibile dall'esterno. Per acquistare questi soprassuoli e non trovare piante malate le ditte boschive incontrano seri problemi. I cedui di castagno nella Provincia rappresentano circa il 10% dei boschi e si estendono fino circa 800 metri sul livello del mare. Alla stessa altezza, diffusi attorno al monte Cimino, si trovano castagneti da frutto, importante coltura oggi molto fiorente e redditizia. Il mercato di questo frutto è stato in crisi anni addietro causa di problemi fitosanitari sia per altri aspetti legati alla diminuita richiesta. Oggi, in seguito a una maggiore conoscenza e valorizzazione qualitativa del prodotto con l'aggiunta dei contributi CEE volti al miglioramento e al potenziamento degli impianti, la castanicoltura è diventata un caposaldo dell'economia locale. Recentemente, per valorizzare ancora di più questo prodotto, le associazioni di categoria, in collaborazione con il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, si sono incontrate per studiare la possibilità di dare un riconoscimento alla castagna viterbese assegnandole il marchio DOC. A cominciare dal basso abbiamo le fustaie di cerro contemporanee e non di quelle del comune di Vetralla che dalla località “Le valli” che si estendono allo stato puro in buona parte del Monte Fogliano. Oggi questo tipo di bosco è il meno ricercato sul mercato. In passato i tronchi di cerro venivano impiegati come traverse ferroviarie. A una maggiore altitudine del Monte Fogliano troviamo le fustaie di cerro miste al castagno e poi anche più in alto insieme ai primi funghi. Il faggio allo stato puro non è molto esteso, perché in generale questa specie è mista ad altre, come accade nella faggeta del Monte Cimino (che nella parte più alta è unita all'acero montano). In provincia di Viterbo abbiamo due esempi di “inversione climatica”, un fenomeno secondo il quale non sempre la vegetazione forestale è strettamente legata alla ripartizione fitoclimatica delle zone precedentemente descritte, per fattori antropologici, pedologici e di espansione che provocano la discesa delle specie da una zona a un'altra. In tal modo le specie proprie del fagestum (zona fitoclimatica posta sopra il castanetum), come il faggio, si trovano più in basso rispetto alla zona del castanetum (monte Venere e Monte Raschio). Si parla in questo caso di "faggeta depressa". Oggi il faggio è la specie forestale di maggior bellezza e maggior valore. Questi popolamenti assolvono a funzioni ecologiche. Inoltre occorre ricordare le foreste artificiali create dall'uomo, cioè le pinete. Altre piantagioni artificiali sono state effettuate dal Corpo forestale dello stato. Storia La provincia di Viterbo venne istituita nel 1927 per distacco dalla provincia di Roma; comprendeva il territorio del circondario di Viterbo, contemporaneamente soppresso; dopo pochi mesi vi venne aggregato anche il comune di Monte Romano. Con regio decreto nº 2735 del 2 dicembre 1928 fu ampliata ulteriormente con i comuni di Montalto di Castro, Monterosi, Nepi, Oriolo Romano e Tarquinia. Stemma Lo stemma della provincia, che riprende quello del capoluogo, è stato concesso con decreto del 21 giugno 1928; ha la seguente blasonatura: Comuni Appartengono alla provincia di Viterbo i seguenti 60 comuni: Acquapendente Arlena di Castro Bagnoregio Barbarano Romano Bassano Romano Bassano in Teverina Blera Bolsena Bomarzo Calcata Canepina Canino Capodimonte Capranica Caprarola Carbognano Castel Sant'Elia Castiglione in Teverina Celleno Cellere Civita Castellana Civitella d'Agliano Corchiano Fabrica di Roma Faleria Farnese Gallese Gradoli Graffignano Grotte di Castro Ischia di Castro Latera Lubriano Marta Montalto di Castro Monte Romano Montefiascone Monterosi Nepi Onano Oriolo Romano Orte Piansano Proceno Ronciglione San Lorenzo Nuovo Soriano nel Cimino Sutri Tarquinia Tessennano Tuscania Valentano Vallerano Vasanello Vejano Vetralla Vignanello Villa San Giovanni in Tuscia Viterbo Vitorchiano Comuni più popolosi Elenco dei dieci comuni più popolosi della provincia di Viterbo Amministrazioni Etnie e minoranze straniere Al 31 dicembre 2008 nella provincia viterbese risultano residenti 23.843 cittadini stranieri. I gruppi più numerosi sono quelli di: 10500 1539 989 865 856 817 587 561 Eventi Nei mesi di luglio e agosto, nei comuni della provincia di Viterbo, Caprarola, Bagnoregio, Bagnaia, Sutri e Ronciglione si svolge il Tuscia in Jazz Festival, il più importante evento italiano dedicato al jazz secondo solo all'Umbria Jazz Festival di Perugia. Al Tuscia in Jazz partecipano ogni anno jazzisti provenienti da tutto il mondo, in particolare dagli Stati Uniti. Location dei concerti tra i più bei monumenti della Tuscia come Palazzo Farnese di Caprarola, Villa Lante di Bagnaia, Civita di Bagnoregio, Teatro Romano di Ferento, Villa Savorelli di Sutri e il suo Parco Archeologico e molti centri storici e borghi medievali. La maggior parte dei concerti è a ingresso libero. Nelle ultime due settimane di luglio a Bagnoregio si tengono i seminari internazionali del jazz e le finali del Jimmy Woode European Award. Economia Agricoltura Secondo i dati ISTAT del 2010, con riferimento alle coltivazioni legnose, superfici a pascolo e boschive escluse, preponderante è la coltivazione di frumento, duro e tenero, nocciolo e olive per olio. Note Bibliografia Voci correlate Tuscia Dialetti della Tuscia viterbese Strade provinciali della provincia di Viterbo Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Pafnutij%20L%27vovi%C4%8D%20%C4%8Ceby%C5%A1%C3%ABv
Pafnutij L'vovič Čebyšëv
Egli è considerato uno dei padri fondatori della grande scuola matematica russa. Tra i suoi allievi presso l'Università di San Pietroburgo vanno menzionati Dmitrij Grave, Aleksandr Korkin, Aleksandr Ljapunov, Egor Zolotarëv, Andrej Markov padre e Konstantin Posse. I polinomi di Čebyšëv gli devono il nome, così come esiste una famiglia di filtri elettronici analogici chiamati filtri di Čebyšëv. Egli è altresì noto per i suoi risultati nell'ambito della probabilità e della statistica, dove tra l'altro riscoprì, indipendentemente da Bienaymé (di cui però divenne amico), quella che ora è chiamata disuguaglianza di Čebyšëv. Il suo nome si trova traslitterato in vari altri modi: Chebychev e Chebyshov in inglese; Cebisceff e Chebycheff in italiano; Tchebycheff e Tschebyscheff in francese; Tchebychev, Tschebyschow e Tschebyscheff in tedesco. Biografia Giovane età Uno di nove figli, Čebyšëv nacque nel paese di Okatovo, nella regione di Kaluga. Suo padre, Lev Pavlovič, era un nobile russo e un ricco proprietario terriero. Pafnutij L'vovič fu dapprima istruito a casa da sua madre Agrafena Ivanovna (nella scrittura e nella lettura) e poi da sua cugina Avdotya Kvintillianovna Sukhareva (nel francese e nell'aritmetica). Čebyšëv ricordava che anche la sua maestra di musica aveva giocato un ruolo importante nella sua istruzione, in quanto "ha sollevato la sua mente all'esattezza e all'analisi". Un handicap fisico (di causa sconosciuta) colpì l'adolescenza e lo sviluppo di Čebyšëv. Fin dalla fanciullezza zoppicava e camminava con un bastone; di conseguenza i suoi genitori abbandonarono l'idea che potesse diventare un ufficiale, proseguendo una tradizione di famiglia. La sua disabilità impedì di prendere parte a molti dei giochi da bambini, ma lo indusse a dedicarsi alla passione della sua vita, la costruzione delle macchine. Nel 1832, la sua famiglia si trasferì a Mosca, soprattutto per sostenere l'istruzione dei figli maggiori Pafnutij e Pavel (che sarebbe divenuto avvocato). L'istruzione di Pafnutij L'vovič continuò a casa e i suoi genitori ingaggiarono insegnanti di eccellente reputazione, tra cui (per matematica e fisica) P. N. Pogorelski, ritenuto uno dei migliori docenti a Mosca e che in particolare aveva insegnato allo scrittore Ivan Sergeevich Turgenev. Studi universitari Nell'estate 1837, Čebyšëv superò gli esami di ammissione e, nel settembre dello stesso anno, cominciò i suoi studi matematici all'Università di Mosca. Tra i suoi insegnanti ci furono Nikolai Dmitrievich Brashman, N. E. Zernov e D. M. Perevoshchikov; sembra chiaro che tra questi docenti fu Brashman ad avere l'influenza maggiore su Čebyšëv Brashman lo istruì nella meccanica concreta e probabilmente gli presentò lavori dell'ingegnere francese Jean-Victor Poncelet. Nel 1841 Čebyšëv fu premiato con la medaglia d'argento per il suo lavoro sul "calcolo delle radici di un'equazione" che aveva terminato nel 1838. In esso, Čebyšëv derivò un algoritmo per la soluzione approssimata di equazioni algebriche di grado n basate sul metodo di Newton (metodo delle tangenti). Nello stesso anno terminò i suoi studi essendo valutato come il candidato più eminente. Nel 1841, la situazione finanziaria di Čebyšëv cambiò drasticamente. La Russia venne colpita da una carestia e i suoi genitori furono costretti a lasciare Mosca. Sebbene essi non potessero più sostenere il figlio, egli continuò i suoi studi matematici e si preparò per gli esami di laurea che durarono sei mesi. Čebyšëv superò l'esame finale nell'ottobre del 1843 e nel 1846 presentò la sua dissertazione dal titolo "Un saggio sull'analisi elementare della Teoria della Probabilità". Il suo biografo Prudnikov ritiene che Čebyšëv fu indirizzato a questo argomento dalla lettura di libri che erano stati pubblicati di recente sopra la teoria della probabilità o sulle entrate del settore assicurativo russo. Età adulta Nel 1847, Čebyšëv promosse la sua tesi pro venia legendi dal titolo "Sull'integrazione con l'aiuto dei logaritmi" all'Università di San Pietroburgo e di conseguenza ottenne il diritto di insegnare in quella sede come lettore. In quel tempo, alcuni dei lavori di Eulero furono scoperti da P. N. Fuss e Viktor Jakovlevič Bunjakovskij incoraggiò Čebyšëv a studiarli. Queste letture ebbero molta influenza sul lavoro di Čebyšëv. Nel 1848, Čebyšëv presentò il suo lavoro La Teoria delle Congruenze per il dottorato di ricerca, che ha sostenuto nel maggio 1849. Nel 1850 fu eletto Professore straordinario all'Università di San Pietroburgo e nel 1860 fu nominato professore ordinario; dopo 25 anni di insegnamento, divenne professore emerito nel 1872. Nel 1882 lasciò l'università per dedicare tutte le sue energie alla ricerca. Durante la sua attività di lettore universitario (1852-1858), Čebyšëv insegnò anche meccanica pratica al Liceo Alexander in Tsarskoe Selo (ora Pushkin), un sobborgo a sud di San Pietroburgo. I suoi risultati scientifici hanno avuto come conseguenza nel 1856 la sua elezione come accademico aggiunto. Successivamente diventò membro straordinario (1856) e poi ordinario (1858) dell'Accademia Russa di Scienze. Nello stesso anno divenne membro onorario dell'Università di Mosca. Nel 1856, Čebyšëv divenne membro del comitato scientifico del Ministero dell'istruzione nazionale. Nel 1859, divenne un membro ordinario del dipartimento di artiglieria dell'accademia, mettendosi a capo della commissione per le questioni matematiche legate all'artiglieria e agli esperimenti legati alla balistica. L'Accademia di Parigi elesse Čebyšëv membro corrispondente nel 1860. Nel 1893, fu eletto membro onorario della Società matematica di San Pietroburgo, che era stata fondata tre anni prima. Čebyšëv morì a San Pietroburgo il 26 novembre del 1894. A Pafnutij L'vovič Čebyšëv la UAI ha intitolato il cratere lunare Chebyshev. Contributi matematici Čebyšëv è noto per il suo lavoro nel campo della probabilità, statistica e teoria dei numeri. La Disuguaglianza di Čebyšëv afferma che se è una variabile casuale con deviazione standard σ, la probabilità che il risultato di sia distante più di dal suo valor medio è al massimo : La disuguaglianza di Čebyšëv è usata per provare la legge debole dei grandi numeri. Il teorema di Bertrand-Čebyšëv (1845/1850) afferma che per ogni , esiste almeno un numero primo tale che . Esso è una conseguenza della disuguaglianza di Čebyšëv per il numero (che denota il numero dei numeri primi minori di ), la quale afferma che è dell'ordine di . Un enunciato più preciso è dato dal famoso teorema dei numeri primi: il quoziente delle due espressioni tende a 1 quando tende a infinito. Il Bias di Chebyshev è il fenomeno per cui i numeri primi inferiori a un dato numero che sono della forma sono per la maggior parte delle volte più numerosi di quelli della forma , nonostante il loro limite sia lo stesso. Eredità Čebyšëv è considerato il padre fondatore della matematica russa. Tra i suoi ben noti studenti ci furono i prolifici matematici Dmitrij Grave, Aleksandr Nikolaevič Korkin, Aleksandr Lyapunov e Andrej Andreevič Markov. Secondo il Mathematics Genealogy Project, Čebyšëv ha circa 5000 "discendenti" matematici. Il cratere Čebyšëv sulla Luna e l'asteroide 2010 Chebyshev sono stati così denominati in suo onore. Note Voci correlate Andrej Andreevič Markov (1856) Irénée-Jules Bienaymé Polinomio di Čebyšëv Funzione di Čebyšëv Nodi di Čebyšëv Disuguaglianza di Čebyšëv (probabilità) Disuguaglianza di Čebyšëv sulla somma Disuguaglianze di Čebyšëv-Markov-Stieltjes Postulato di Bertrand Deviazione standard Intervallo di confidenza Probabilità Statistica Bias di Chebyshev Altri progetti Collegamenti esterni Tre biografie in russo: una prima, una seconda di K. Posse e una terza Ceb
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https://it.wikipedia.org/wiki/Pinus%20sylvestris
Pinus sylvestris
Il pino silvestre (Pinus sylvestris L., 1753), conosciuto anche come pino di Scozia, è un albero sempreverde della famiglia delle Pinaceae. È una specie arborea di primaria importanza nel settore forestale e selvicolturale. Morfologia Ha una forma espansa caratteristica, con chioma espansa di un gradevole colore verde glauco. La ramificazione è verticillata in gioventù, poi più irregolare. Il suo legname è modesto, apprezzato in falegnameria. Portamento Alto fino a 40 metri, foglie aghiformi. Corteccia Alla base degli alberi adulti è bruna-rossastra e si stacca a placche. Nelle parti più giovani dei rami e del tronco il colore tende al rosso-marrone. A maturità è grigia. Foglie Aghiformi, sempreverdi, raggruppate in mazzetti di due aghi (raramente tre o quattro), lunghe circa 3-5 cm (talvolta fino a 10 cm), di colore verde glauco, ritorte e con guaine brunastre alla base. Coni È una specie monoica, ma spesso in alcuni esemplari prevalgono nettamente gli sporofilli maschili o femminili. Gli studiosi stigmatizzano questa singolare peculiarità con il termine "sub-dioicismo" che non ha l'equivalente in italiano; tutt'al più si può affermare che Pinus sylvestris ha una tendenza al dioicismo, anche se rimane una specie monoica, come del resto tutte le piante appartenenti al genere Pinus. Gli sporofilli maschili (microsporofilli) formano piccoli coni sessili, penduli, di colore giallo, alla base dei getti dell'anno; quelli femminili (macrosporofilli) formano invece coni rossastri, globosi e generalmente isolati, eretti all'impollinazione, in seguito pendenti e trasformantisi in strobili (pigne) ovali, lunghi circa 3-7 cm, con cortissimo picciolo. Inizialmente verdi, poi grigio-marroncine scure, le pigne si trovano in coppie o in gruppi sugli steli ricurvi. Esse maturano e liberano i semi in tre anni. Radici Il pino ha un sistema di radici a fittone con radici laterali che si approfondano e si allontanano orizzontalmente, con cui può penetrare in profondità anche in strati acquiferi. Sottospecie e varietà Nonostante l'enorme areale, le caratteristiche morfologiche rimangono piuttosto uniformi e le variazioni tra individui nella popolazione (intrapopolazionali) sono più ampie delle variazioni tra popolazioni (interpopolazionali). Tuttavia sono state descritte più di 140 sottospecie, varità e forme botaniche. Normalmente vengono accettate tre varietà che risultano debolmente distinguibili a livello morfologico: Pinus sylvestris var. sylvestris → in Europa, in Siberia fino all'estremo orientale del continente asiatico. Pinus sylvestris var. hamata Steven → in Ucraina, Caucaso e Turchia. Pinus sylvestris var. mongolica Litv. → nel nord della Cina ed attorno al lago Baikal in Siberia. Differenze con piante simili Inconfondibile per gli aghi corti riuniti a due, di colore glauco e soprattutto ritorti a elica; nonché per la corteccia giovanile color rosso mattone. Il portamento è simile al pino marittimo (Pinus pinaster) dal quale si distingue però completamente per il colore della corteccia e delle foglie, che sono più corte e leggermente avvolte, e per gli strobili più piccoli. Nelle forme mature può ricordare il pino da pinoli (Pinus pinea) dato che la chioma è presente solo nel terzo apicale del fusto. Ecologia È una pianta colonizzatrice con poche pretese nei riguardi del terreno e della necessità di acqua. È una specie adattabile che preferisce terreni calcarei tra cui quelli argillosi, ma cresce molto bene sia in terreni vulcanici che acidi in generale. Resiste al freddo (microterma) ed al secco; è spiccatamente una pianta eliofila. Distribuzione Il pino silvestre predilige terreni morbidi e areacei della zona temperata settentrionale. Ci sono però anche altre specie di Pinus sylvestris ai margini settentrionali dei tropici. Specie diffusa in varie zone d'Italia del centro-nord. Usato anche nei parchi e nei giardini. È diffuso nelle Alpi, nonché nell'Europa centrale e settentrionale. In Italia cresce solitamente a quote comprese tra i 400 e 1400 metri (anche se sporadicamente può spingersi fino a 1800-1900 m), e in Piemonte, Lombardia ed Emilia è presente anche a quote relativamente basse (colline del Basso Monferrato e Novarese in popolazioni residue, Langhe; alta pianura asciutta fra il Ticino e l'Adda, in particolare nel Parco del Ticino, Parco delle Groane, parco della Pineta di Appiano Gentile e Tradate e parco della Brughiera briantea, Appennino Emiliano fra i 300 e gli 800 m). Presente in Toscana e in Emilia-Romagna sulle montagne dell'Appennino Tosco-Romagnolo e anche a quote collinari. Forma sia boschi puri che misti, solitamente con l'abete rosso o l'abete bianco. In pianura forma boschi puri o misti con la betulla, il pioppo tremolo o la farnia. Utilizzi fitoterapici Nella medicina popolare gli aghi di pino venivano utilizzati come tali nei suffumigi. Attualmente, da essi si ottiene, per distillazione, un olio essenziale, ricco in monoterpeni, che ha azione balsamica, sedativa della tosse ed antinfiammatoria. Ad uso topico, ha azione antinfiammatoria e decontratturante. Talvolta l'olio essenziale di pino può determinare effetti irritativi sulle mucose o sulla cute soprattutto quando viene utilizzato tramite aerosol. Impieghi Gli impieghi del pino silvestre sono variabili. Il legname del pino silvestre si utilizza per costruzioni edilizie e navali, serramenti, strumenti musicali, mobilio, imballaggi, pasta da carta, lavori idraulici ecc. Note Bibliografia Voci correlate Specie di Pinus Altri progetti Collegamenti esterni Pinaceae Taxa classificati da Linneo Flora dell'Asia Flora dell'Europa Legnami Piante medicinali e officinali Alberi ornamentali
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https://it.wikipedia.org/wiki/Citt%C3%A0%20metropolitana%20di%20Messina
Città metropolitana di Messina
La città metropolitana di Messina è una città metropolitana italiana di abitanti che si estende su una superficie di , istituita con la legge regionale n. 15 del 4 agosto 2015 che ha contemporaneamente soppresso la provincia regionale di Messina, con la quale il suo territorio coincide. Si affaccia a nord sul mar Tirreno e a est sul mar Ionio, separata dalla Calabria dallo stretto di Messina, confinando ad ovest con la città metropolitana di Palermo, a sud con il libero consorzio comunale di Enna e la città metropolitana di Catania. Con i suoi 108 comuni è la prima per suddivisione territoriale davanti agli altri liberi consorzi comunali e città metropolitane siciliane ed ospita un'importante riserva della biosfera nonché patrimonio culturale, le Isole Eolie, dal 2000 Patrimonio dell'Umanità UNESCO. Il territorio messinese è tra i più ricchi dell'isola e ne fanno parte due delle località turistiche più importanti della Sicilia, Taormina e le isole Eolie (Alicudi, Filicudi, Lipari, Panarea, Salina, Stromboli e Vulcano): le isole costituiscono il comune di Lipari, ad eccezione di Salina che è suddivisa amministrativamente in tre comuni. Geografia fisica Territorio Il territorio è attraversato da est a ovest, a partire dal capoluogo, dalle catene dei Monti Peloritani e dei Nebrodi. La divisione delle due catene, sulla linea Tirreno–Jonio, si trova all'altezza dei comuni di Furnari, Mazzarrà Sant'Andrea, Novara di Sicilia e Francavilla di Sicilia. La costa tirrenica è lunga 150 km: 24 all'interno del Comune di Messina e 126 da Villafranca Tirrena a Tusa, rispettivamente primo e ultimo comune del Tirreno messinese. La costa jonica è lunga 68 km: 34 all'interno del comune di Messina e altrettanti da Scaletta Zanclea a Giardini-Naxos, rispettivamente primo e ultimo comune dello Jonio messinese. La città metropolitana di Messina è il territorio di origine provinciale italiano con più comuni con accesso al mare, ben 46 (34 sul mar Tirreno, 12 sul mar Jonio e il comune di Messina su entrambi). Il territorio è prevalentemente montuoso, ad eccezione delle piane alluvionali alle foci dei corsi d'acqua. La pianure più estese sono: la Valle del Mela, nel territorio comprendente Milazzo e Barcellona Pozzo di Gotto, i due centri più popolosi della città metropolitana (dopo il capoluogo) e la Valle del Niceto. Le catene montuose dei Monti Peloritani (fino a 1300 m) e dei Nebrodi o Caronie (fino a 1900 m), con l'omonimo parco regionale naturale, rappresentano la continuazione naturale dell'Appennino continentale in territorio siciliano, e ricadono in parte nella macro-area della Sicilia centrale. La popolazione, nel corso degli anni, si è concentrata prevalentemente sulla costa, abbandonando in buona parte i centri collinari e causando una grande espansione delle borgate marittime degli stessi, via via riconosciute come comuni autonomi dalla fine del secolo XIX in poi. I principali corsi d'acqua sono il fiume Alcantara (che segna il confine con la città metropolitana di Catania) ed altri corsi d'acqua a regime torrentizio tra cui il fiume Timeto, il fiume Niceto, il fiume Mela, il fiume Patrì e il fiume Agrò. Il Fiume Pollina, ad ovest, è il limite di confine con la città metropolitana di Palermo. Clima . Storia La città metropolitana di Messina è stata istituita con la legge regionale n. 15 del 4 agosto 2015, sostituendo la soppressa provincia regionale di Messina. La prima elezione, di secondo grado, per i nuovi organi prevista per il 29 novembre 2015, il 10 novembre è stata rinviata dall'ARS, che ha anche prorogato i commissari fino al giugno 2016. Il 4 gennaio 2016 il presidente della Regione nomina commissario Filippo Romano. Il 1º giugno 2016, in attuazione della legge regionale 17 maggio 2016 n. 8, che all'art. 23 ha modificato la l.r. 15/2015, il sindaco del comune di Messina Renato Accorinti diviene automaticamente sindaco della città metropolitana, insediandosi il 10 giugno, mentre Romano resta commissario per le funzioni del consiglio metropolitano. Il 10 ottobre 2017 Accorinti decade da sindaco della città metropolitana di Messina in seguito al provvedimento di revoca firmato dall'allora presidente della Regione Rosario Crocetta (in recepimento della legge, votata dall'ARS, che prevede l'elezione diretta dei sindaci metropolitani); gli subentra il commissario regionale Francesco Calanna. L’8 marzo 2018, su nomina dell'appena eletto presidente della Regione Nello Musumeci, Accorinti torna a ricoprire nuovamente la carica di sindaco metropolitano. Con il decreto di nomina n. 533 dell'8 marzo 2018, Musumeci ha assegnato le funzioni del Consiglio metropolitano al commissario straordinario Filippo Ribaudo, per 15 anni segretario e direttore generale del comune di Messina e poi commissario straordinario del comune di Torrenova. Le prime elezioni per il consiglio erano previste per il 25 settembre 2016, ma sono state rinviate. L'11 febbraio 2019 è stata indetta, per una settimana lavorativa, la sospensione di ogni attività della città metropolitana, attraverso la chiusura degli uffici e la collocazione in ferie d'ufficio di tutto il personale in servizio: la decisione del sindaco metropolitano Cateno De Luca è stata chiarita in un comunicato ufficiale, in cui prende atto del dissesto finanziario dell'ente e della mancata approvazione del bilancio equilibrato per insufficienza di risorse finanziarie. A tale iniziativa, si sono susseguite due manifestazioni organizzate dallo stesso De Luca: una a Messina con i sindaci dei comuni della Città metropolitana, durante la quale ha consegnato la sua fascia da sindaco metropolitano al viceprefetto di Messina; l'altra a Palermo, sotto la sede della presidenza della Regione Siciliana, insieme a tutti i sindaci dei comuni siciliani che hanno deciso di partecipare. Dopo queste due manifestazioni, il governo Musumeci ha siglato il primo accordo con lo Stato per consentire alle città metropolitane e ai liberi consorzi comunali di ottenere le risorse finanziarie per approvare il bilancio equilibrato del 2019 entro il medesimo anno, autorizzando altresì tali enti di area vasta di approvare il disavanzo del bilancio consuntivo del 2018. Nell'accordo, siglato tra l'Assessore all'economia della Regione Siciliana Gaetano Armao ed il Sottosegretario al ministero dell'economia e delle finanze Alessio Villarosa, è previsto che, entro il 30 settembre 2019, per tutti gli enti di area vasta della regione, sarebbero state trovate le risorse finanziarie per garantire l'approvazione del bilancio equilibrato 2020/2022, in modo da programmare e spendere le risorse extrabilancio assegnate dalla Regione, dallo Stato e dall'Unione europea. Il 30 giugno 2019, inoltre, si sarebbero dovute tenere le elezioni di secondo livello per i 3 Consigli metropolitani e per i vertici dei 6 liberi consorzi comunali con i rispettivi Consigli provinciali. Dopo il diniego ufficializzato del sindaco metropolitano Cateno De Luca a convocare queste elezioni (fornendo come motivazione che non avrebbe avuto senso eleggere i Consigli se le Città metropolitane siciliane non fossero state in grado di approvare i bilanci equilibrati) e dopo che la Regione ha nominato un commissario ad acta per convocarle (addebitando tutte le spese allo stesso De Luca), la battaglia politica si è spostata all'ARS ove, dopo alcune settimane di discussione, sono state annullate le elezioni indette per il 30 giugno 2019 e sono state fissate ad aprile 2020, o comunque entro il 31 maggio 2020. Trasporti e comunicazioni Strade Autostrade Il territorio metropolitano è attraversato da due autostrade: l'A18 (Messina-Catania) con gli svincoli di Roccalumera, Taormina e Giardini Naxos; l'A20 (Messina-Palermo) con gli svincoli di Villafranca Tirrena (monodirezionale da e per Messina), Rometta, Milazzo-Isole Eolie, Barcellona Pozzo di Gotto, Falcone, Patti, Brolo-Capo d'Orlando est, Rocca di Capri Leone-Capo d'Orlando ovest, Sant'Agata di Militello, Reitano-Santo Stefano di Camastra e Tusa. Della stessa autostrada fa parte il tratto urbano della città di Messina comprendente gli svincoli di Annunziata – Giostra (in costruzione), Boccetta, Centro, Gazzi, San Filippo e Tremestieri. Strade provinciali Con l'introduzione del decreto legislativo n. 112 del 1998 tutte le strade statali che interessavano il territorio sono divenute di competenza della provincia (poi città metropolitana). Nel contempo l'amministrazione provinciale ha operato una serie di declassamenti di strade provinciali, cedute ai comuni. Alla data del 2003 vi erano 1.141,95 km di strade provinciali. Strade statali Le strade statali che attraversano il territorio sono: SS 113 Settentrionale Sicula Messina – Trapani SS 114 Orientale Sicula Messina – Siracusa SS 116: Capo d'Orlando – Randazzo (60 km) SS 117 Centrale Sicula: Santo Stefano di Camastra – Leonforte (70 km) SS 185 di Sella Mandrazzi: Terme Vigliatore – Novara di Sicilia- Francavilla di Sicilia – Giardini Naxos (70 km) SS 289 di Cesarò: Acquedolci – San Fratello – Cesarò (50 km) Ferrovie La città metropolitana di Messina è interessata dalle seguenti tratte ferroviarie: Per circa mezzo secolo il territorio usufruì della ferrovia Alcantara-Randazzo, con un'estensione di 13 km. La linea tuttavia è chiusa all'esercizio dal 2002. Porti Il porto di Messina, sede dell'Autorità portuale (che gestisce anche lo scalo di Milazzo), è il più grande porto naturale attrezzato della Sicilia, utilizzato sia come porto commerciale che militare (nel porto ha sede uno storico arsenale militare). È collegato al continente con traghetti e aliscafi sia per Villa San Giovanni e Reggio Calabria che per le Eolie. I collegamenti con Villa San Giovanni permettono il trasporto dei convogli ferroviari, sia merci che passeggeri. . Porto di Tremestieri; dagli inizi degli anni duemila è il secondo porto della città, costituito da due invasature per le navi traghetto che trasportano autocarri da e per la Calabria. Il porto sorge nella periferia meridionale, nel sobborgo di Tremestieri, ed è raggiungibile grazie al collegamento con lo svincolo Messina Sud – Tremestieri della tangenziale di Messina. Il porto mira ad assorbire la gran parte del traffico gommato pesante in attraversamento liberandone il centro cittadino. . Porto di Milazzo, dal quale partono i collegamenti con le isole Eolie. Porto di Lipari Porto di Vulcano Porto di Santa Marina Salina Porto di Rinella Porto di Portorosa Furnari Porto di Capo d'Orlando Porto di S.Agata di Militello Porto di Giardini Naxos Aeroporti La città metropolitana di Messina è sprovvista di aeroporti. Ciò ha dato adito a studi di fattibilità e proposte per realizzarne uno sul territorio. Un sito è stato localizzato nella valle del Mela, a pochi chilometri dal capoluogo tra Barcellona e Milazzo. Un altro progetto è stato proposto in località Zappulla tra Torrenova e Capo d'Orlando. L'aeroporto più vicino è quello di Reggio Calabria ma gli scali di Catania e Palermo sono molto più utilizzati dagli abitanti dell'area metropolitana in quanto offrono maggiori servizi, tra cui un numero superiore di voli, di destinazioni e offerte a basso costo; quello catanese è utilizzato da gran parte del territorio provinciale, mentre Punta Raisi è il più vicino per quanto riguarda la zona tra Sant'Agata Militello e Tusa. Aviosuperfici Aviosuperficie di Caronia Aviosuperficie di Capo d'Orlando Parchi, riserve e aree protette Qui di seguito sono indicati i parchi e le riserve marine, ricadenti nella città metropolitana di Messina. . Economia Agricoltura Tra le province siciliane quella di Messina non vanta, a ragione della montuosità, grandi distretti agrumicoli come Catania, né viticoli come Trapani, o serricoli come Ragusa. Nelle valli che si addentrano tra le catene che affiancano il litorale si possono reperire, peraltro, tutte le colture tipiche dell'Isola, tanto arboricole quanto orticole e una serie di paesaggi agrari tra i più diversificati della Sicilia, quali il mosaico dei vivai di Mazzarrà Sant'Andrea, gli agrumi di Barcellona Pozzo di Gotto e Santa Teresa di Riva, le aree a pascolo dei Nebrodi, i noccioleti dei rilievi afferenti all'Etna, i piccoli vigneti piantati sul bianco suolo di pomice delle Lipari. Nella valle del Niceto si trovano inoltre i frutteti di pesche sbergie, una particolare varietà di pesca liscia «le cui peculiarità organolettiche non sono riscontrabili nelle produzioni di altre località». Industria L'apparato industriale è piuttosto frammentato e di medie dimensioni, in diverse sedi quali: La zona industriale regionale (ZIR), nella zona sud della città di Messina, con attività come molitura del grano, produzione di caffè, birra e generi alimentari, prefabbricati, mobili. il polo per lo sviluppo artigianale di Larderìa, ancora nella zona meridionale della città, sede di attività artigianali di medie dimensioni e produzioni di mobili, materiale prefabbricato e per l'edilizia. Importante il settore della cantieristica navale presente nella zona falcata del porto cittadino, storica sede della Cantieri Rodriquez, dove fu costruito il primo aliscafo al mondo, e altri grandi cantieri privati e pubblici. La Raffineria Mediterranea di Milazzo uno dei tre grandi complessi di raffinazione degli idrocarburi di Sicilia. Cantieri navali anche a Giammoro, frazione di Pace del Mela. Qui trovano spazio anche le acciaierie. L'importante centrale termoelettrica di San Filippo del Mela. Aree industriali a Villafranca Tirrena, Torregrotta, Barcellona Pozzo di Gotto e Patti. Aree industriali-artigianali nella zona compresa tra Capo d'Orlando, Rocca di Capri Leone e Torrenova. Grande presenza nel territorio a sud della stazione ferroviaria di Messina, ma in dismissione, le grandi officine ferroviarie FS e private per manutenzione e costruzione di vagoni ferroviari. Commercio Il commercio insieme al turismo è l'elemento trainante dell'economia metropolitana. I dati Istat riguardanti il numero di attività commerciali mettono in evidenza come il settore sia sviluppato e trainante oltre che per la città capoluogo, in particolare per i centri di Milazzo, Barcellona Pozzo di Gotto e Capo d'Orlando. I centri commerciali sorgono nella periferia sud di Messina con negozi nel tratto di strada statale 114 compreso tra Maregrosso e Tremestieri, raggiungibili dagli svincoli della tangenziale. Il centro commerciale Tremestieri (72 negozi, non tutti aperti, un ipermercato Paghi Poco, Euronics Bruno e Uci Cinemas con 11 sale), centro commerciale Maregrosso (30 negozi e supermercato IperSigma) centro Today (Scarpe&Scarpe, Eurospin e Conbipel) e centro La Via Lattea (Conad Superstore e pochi negozi). Sarà costruito un nuovo centro commerciale di grande dimensione (una struttura di ) a Zafferia, sempre nella zona sud, con una galleria di 60 negozi di vicinato, un grande ipermercato Auchan e due medie superfici (elettronica e articoli sportivi) Nel territorio si trovano zone commerciali di medie e piccole dimensioni a Torregrotta, Barcellona Pozzo di Gotto, Taormina, Santa Teresa di Riva, Brolo, Capo d'Orlando, Patti e Sant'Agata di Militello. A Milazzo sono presenti due centri commerciali: il centro commerciale Milazzo (32 negozi e un ipermercato IperConveniente, ex Carrefour) e il Parco Corolla (55 negozi e un ipermercato Ipercoop). A Villafranca Tirrena è presente il centro commerciale La Briosa (20 negozi, un supermercato Sigma Superstore ed Euronics) Turismo La città metropolitana è sede di notissime località turistiche quali Taormina e le Isole Eolie; insieme a Messina e agli altri centri della città metropolitana sono state raggiunte circa 5 milioni di presenze turistiche annue, un primato in Sicilia e nel meridione d'Italia. Il porto di Messina accoglie 400.000 croceristi l'anno. Molto visitate sono le Gole dell'Alcantara sull'omonimo fiume al confine con la città metropolitana di Catania; site nel comune di Motta Camastra in località Fondaco Motta e tutelate da un Parco Fluviale; notevolissimi gli scenari naturalistici dei monti Peloritani, tra i quali spiccano la Rocca di Salvatesta, Monte Scuderi e la Montagna di Vernà, e del Parco dei Nebrodi, entrambi ricchi di boschi e percorsi per l'escursionismo. L'intero tracciato costiero è atto alla balneazione (Milazzo, Venetico, Oliveri, Patti, Gioiosa Marea, Piraino, Brolo, Capo d'Orlando, Giardini Naxos, Taormina, Letojanni, Sant'Alessio Siculo, Santa Teresa di Riva, Furci Siculo). Importanti le aree archeologiche di Tindari (con il suo teatro greco), di Alesa Arconidea, di Taormina e di Naxos; la produzione ceramica di Santo Stefano di Camastra e Patti con la sua villa romana; i piccoli e medi centri storici (San Piero Patti, Montalbano Elicona, San Marco d'Alunzio, Santa Lucia del Mela, Novara di Sicilia, Savoca, Forza d'Agrò, Casalvecchio Siculo, Fiumedinisi ed Alì). Notevole l'offerta museale, le grandi manifestazioni estive (Il festival di Taormina Arte, e altre rassegne ospitate a Tindari, Villa Piccolo di Capo d'Orlando e Castroreale). Sei comuni della città metropolitana di Messina fanno parte dell'esclusivo club de i borghi più belli d'Italia: Castroreale, Castelmola, Savoca, San Marco d'Alunzio, Novara di Sicilia, Montalbano Elicona dove si trovano anche i megaliti dell'Argimusco. Nel territorio di Acquedolci si trova la grotta di San Teodoro, all'interno della quale sono state ritrovate le più antiche sepolture paleolitiche siciliane (cinque crani e due scheletri eccezionalmente completi) un passo importante verso la conoscenza approfondita degli antichi abitanti della Sicilia. Università L'Università degli Studi di Messina, fondata nel 1548 da Ignazio di Loyola come "primum ac prototypum collegium Societatis Jesu", ovvero primo Collegio al mondo della Società di Gesù, è stata, fin dalle proprie origini, un luogo privilegiato per gli scambi tra culture diverse. Poco più di un secolo dopo, nel 1678, l'Ateneo è stato chiuso in seguito alla rivolta antispagnola. In questo periodo, l'Università costituiva l'espressione politico-culturale più rappresentativa della città di Messina e annoverava fra i suoi professori Giovanni Alfonso Borelli, Pietro Castelli, Giovan Battista Cortesi, Carlo Fracassati, Giacomo Gallo, Mario Giurba, Marcello Malpighi, Francesco Maurolico. L'Ateneo è stato poi rifondato nel 1838 dal re Ferdinando II e, a parte la breve chiusura a causa della rivolta antiborbonica del 1847, fino ai primi del Novecento è stato una fucina per grandi intellettuali come Pietro Bonfante, Leonardo Coviello, Vittorio Martinetti, Vittorio Emanuele Orlando, Giovanni Pascoli, Gaetano Salvemini. Il terremoto che ha devastato Messina nel 1908 ha distrutto gran parte delle strutture e delle attrezzature dell'Ateneo, oltre a causare le morte di molti professori e studenti. Già nel 1909 però la Facoltà di Giurisprudenza ha riaperto le proprie porte e negli anni successivi seguiranno il suo esempio anche le Facoltà di Lettere, Scienze, Farmacia e Medicina. Anno dopo anno, l'Ateneo ha riacquistato vitalità, riuscendo a superare brillantemente anche il periodo della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale, grazie all'apporto di Rettori illuminati come Gaetano Martino e Salvatore Pugliatti. Dal 2018 il rettore dell'ateneo è il prof. Salvatore Cuzzocrea e . L'attività didattica è suddivisa in 12 dipartimenti: Dipartimento di Civiltà antiche e moderne; Dipartimento di Economia; Dipartimento di Giurisprudenza; Dipartimento di Ingegneria; Dipartimento di Medicina clinica e sperimentale; Dipartimento di Patologia umana dell'adulto e dell'età evolutiva; Dipartimento di Scienze biomediche, odontoiatriche e delle immagini morfologiche e funzionali; Dipartimento di Scienze chimiche, biologiche, farmaceutiche ed ambientali; Dipartimento di Scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli studi culturali; Dipartimento di Scienze matematiche e informatiche, scienze fisiche e scienze della Terra; Dipartimento di Scienze politiche e giuridiche; Dipartimento di Scienze veterinarie. Ha sedi decentrate a Barcellona Pozzo di Gotto, Milazzo, Patti, Taormina e Noto. Cinema . Nel territorio metropolitano si trovano a Barcellona Pozzo di Gotto, Milazzo, Patti, Gliaca di Piraino, Brolo, Capo d'Orlando, Sant'Agata di Militello, Santo Stefano di Camastra e Mistretta sul lato tirrenico. Ad Alì Terme, Letojanni, Taormina, Giardini Naxos e Francavilla di Sicilia dal lato jonico. Feste religiose e tradizioni popolari Tra i principali appuntamenti, si ricordano, in ordine cronologico: Dialetto Nella città metropolitana si parla il dialetto messinese, variante del siciliano. In alcuni centri è parlato un idioma gallo-italico: Acquedolci, Fondachelli-Fantina, Novara di Sicilia, San Fratello e San Piero Patti. I comuni dell'area sud – ovest della città metropolitana risentono dell'influenza dalla parlata ennese, quelli della città metropolitana sud dalla cadenza catanese, i comuni della parte ovest dal palermitano. Giornali, radio e televisioni Messina è stata ed è sede di vari organi d'informazione, tra cui il quotidiano Gazzetta del Sud fondato nel 1952 da Uberto Bonino, il giornale più letto e diffuso nella città metropolitana. Anche le altre maggiori testate siciliane, Giornale di Sicilia e La Sicilia, pubblicano un'edizione locale per la città metropolitana di Messina. In passato Messina è stata la sede del quotidiano La Tribuna del Mezzogiorno, chiuso a inizio anni settanta. A Messina aveva sede anche un settimanale a diffusione regionale, Centonove (dal numero dei comuni (108) più uno). Nella città metropolitana esistono alcuni periodici d'informazione locale, tra questi i mensili In Cammino di Patti e La Nuova Provincia di Milazzo. Sui Nebrodi occidentali hanno sede a Mistretta il mensile IlCentroStorico e il periodico Mistretta senza frontiere. Varie anche le reti televisive del territorio metropolitano: Onda TV di Sant'Agata di Militello, Tirreno Sat di Milazzo e Antenna del Mediterraneo di Capo d'Orlando. Con il passaggio al digitale terrestre, del luglio 2012, i segnali di queste emittenti coprono tutto o gran parte del territorio regionale. A Messina la TV più grande e longeva della città (è nata nel 1976) è RTP, il cui segnale copre l'area urbana e buona parte della città metropolitana. Altre due TV messinesi che coprono solo il territorio metropolitano limitrofo alla città di Messina sono TCF e Tremedia. Altre emittenti locali operanti nel territorio della città metropolitana, sono: Telemistretta di Mistretta e Tele90 di Alì Terme. In passato sono esistite altre emittenti televisive che hanno fatto parte della storia delle tv locali della città metropolitana, tra esse, Rete 6 di Patti, Radio Tele Tirrenica e Rete55 (già Canale 31 e Canale 26) di Capo d'Orlando, Tele Barcellona e Telenews di Barcellona Pozzo di Gotto, Teletime, Tele Stretto, Tele Spazio ME e TVM di Messina, TeleNebrodi di San Piero Patti, Rete Nebrodi e RTG di Galati Mamertino, CDS Canale Dieci Sicilia di Spadafora, Radio Tele Mediterranea di Milazzo, Canale Alpha di Librizzi, Tele Castel di Lucio di Castel di Lucio, Tele Motta di Motta d'Affermo, Video Taormina di Taormina, Video Eolie e Teleisole di Lipari, RTC Radio Tele Color e Video Vela di Venetico e RTS Radio Tele Sant'Agata di Sant'Agata di Militello. Le radio nella città metropolitana sono numerose, quali, Radio Messina International, Radio Antenna dello Stretto, Radio Zenith, Radio Street Messina, Radio Messina Sud, Radio Italia Anni60 e Radio Doc di Capo d'Orlando, Radio Amore (Radio LatteMiele, Tam Tam Network) e Radio Tindari a Patti, Europa Radio a Santa Teresa di Riva, RCL Radio Castell'Umberto, Radio Milazzo International, Radio Stereo S.Agata, Radio Splash e a Mistretta la Radio Interparrocchiale Mistretta, che copre l'area dei Nebrodi occidentali e di alcuni comuni delle Madonie orientali. Diverse le testate giornalistiche online concentrate soprattutto nel capoluogo metropolitano, tra cui Tempostretto, 98cento, Il cittadino di Messina, Infomessina. Per il turista e il cittadino esiste da molti anni un sito internet dedicato alla cartografia e ai monumenti, Messinacity. A Sinagra ha sede il giornale online Corriere dei Nebrodi. Gastronomia Essendo prevalentemente affacciato sul mare, il territorio presenta una gastronomia in cui i prodotti della pesca dominano incontrastati: pescespada, stoccafisso, ghiotta di "piscistoccu" (piatto che consiste di tranci di stoccafisso cotti lungamente in un intingolo di salsa, patate, capperi e altri aromi) o con i frutti di mare utilizzati, anche, per la preparazione di sughi per condire la pasta. La gastronomia del messinese non si ferma al capitolo pesce ma abbraccia una serie di prodotti più legati alla pastorizia, concentrata prevalentemente nella zona dei Nebrodi. Qui, oltre a piatti di carne proveniente da capi allevati nella zona, si trovano prodotti dell'attività caseari quali il canestrato, il pecorino, la ricotta e la provola. Tipico anche il salame (tipico il Sant'Angelo di Brolo), la cui materia prima è la carne di maiali di diverse razze tra cui quella del maiale nero dei Nebrodi. Tra gli ingredienti anche il peperoncino che caratterizza il salame di San Marco d'Alunzio, differenziandolo da quello di Sant'Angelo di Brolo. Tra i prodotti degno di nota è il capocollo servito anche nella sua variante affumicata. Altro capitolo della cucina messinese è quello riguardante i dolci; soprattutto nelle giornate estive, la granita al limone, al caffè o alla fragola. Della tradizione fanno parte la pignolata (dolce di strutto, uova, zucchero, limone e cioccolato), il riso nero (riso cotto nel latte con l'aggiunta di cioccolato fondente e mandorle), i pasticciotti di carne e i cardinali, dolci tipici di Patti e le crocchette dolci di riso. Delle Isole Eolie ricordiamo gli spicchiteddi (biscotti natalizi speziati con chiodi di garofano e cannella), la pasta squaddata (pasta dalla forma annodata fritta in olio d'oliva e aromatizzata al rosmarino), le vastidduzze di passola e mandorla (biscotti con uvetta e mandorle tradizionali per la festa di San Giuseppe; le forme date a questi biscotti sono delle vere e proprie opere d'arte, di cui solo le donne più anziane mantengono la capacità di prepararle con le forme tradizionali) e ancora gli sfinci di zucca gialla (dolci che in passato venivano spesso preparati come usanza in occasione della costruzione del tetto di una nuova casa, e la padrona di casa li offriva al vicinato a simboleggiare il termine dei lavori). Di seguito, un elenco delle specialità tipiche della città metropolitana: 'Nchiuma – Zuppa di Nepitedda 'Nuciddi 'nchiazzati Agghiotta di pesce spada Agnello al forno alla saracena (carni i crastu nfurnata) Antipasto di capperi Arancini di riso Bianculidda n'ta fogghia Calamari ripieni Cannoli Pasticciotti di carne e Cardinali Catanesella del pecoraio Cavolfiore in pastella Crispelle di Bianculidda Cuccìa dolce Falsomagro Fave secche alla ghiotta Insalata di capperi e cucunci Latte dolce fritto Maccu Olive fritte Pasta a "picchi pacchiu" Pasta con sarde Pasta di mandorla Pasta squadrata Penne alla saracena Penne con acciughe sotto sale, mollica e capperi Pidone tradizionale Pignolata della costa Sarde o acciughe a beccafico salinote Spaghetti in salsa eoliana Spicchiteddi – Dolcetti natalizi Torta di ricotta Totani ripieni Vastidduzze di pasta e mandorla Vermicelli alla montanara Comuni metropolitani Acquedolci Alcara Li Fusi Alì Alì Terme Antillo Barcellona Pozzo di Gotto Basicò Brolo Capizzi Capo d'Orlando Capri Leone Caronia Casalvecchio Siculo Castel di Lucio Castell'Umberto Castelmola Castroreale Cesarò Condrò Falcone Ficarra Fiumedinisi Floresta Fondachelli-Fantina Forza d'Agrò Francavilla di Sicilia Frazzanò Furci Siculo Furnari Gaggi Galati Mamertino Gallodoro Giardini-Naxos Gioiosa Marea Graniti Gualtieri Sicaminò Itala Leni Letojanni Librizzi Limina Lipari Longi Malfa Malvagna Mandanici Mazzarrà Sant'Andrea Merì Messina Milazzo Militello Rosmarino Mirto Mistretta Mojo Alcantara Monforte San Giorgio Mongiuffi Melia Montagnareale Montalbano Elicona Motta Camastra Motta d'Affermo Naso Nizza di Sicilia Novara di Sicilia Oliveri Pace del Mela Pagliara Patti Pettineo Piraino Raccuja Reitano Roccafiorita Roccalumera Roccavaldina Roccella Valdemone Rodì Milici Rometta San Filippo del Mela San Fratello San Marco d'Alunzio San Pier Niceto San Piero Patti San Salvatore di Fitalia San Teodoro Sant'Agata di Militello Sant'Alessio Siculo Sant'Angelo di Brolo Santa Domenica Vittoria Santa Lucia del Mela Santa Marina Salina Santa Teresa di Riva Santo Stefano di Camastra Saponara Savoca Scaletta Zanclea Sinagra Spadafora Taormina Terme Vigliatore Torregrotta Torrenova Tortorici Tripi Tusa Ucria Valdina Venetico Villafranca Tirrena Comuni più popolosi Amministrazione Sindaci metropolitani Aree d'interesse culturale Musei e parchi Siti archeologici e castelli Terme Alì Terme: Terme Marino, Terme Acqua Grazia e Terme Granata Cassibile (stabilimento non in funzione) Lipari: Terme di San Calogero Terme Vigliatore: Terme fonte di Venere Vulcano: Terme del porto di levante Capo d'Orlando: Terme di Bagnoli Sport Calcio Il Messina Calcio è la squadra di calcio più rappresentativa del territorio. Ha partecipato 5 volte ai campionati di massima divisione nazionale. Nel 2004 è stata promossa in Serie A dopo 39 anni. Dopo tre stagioni nella massima serie, retrocesse nella serie cadetta e, dopo un anno in serie B chiuso al 13º posto, avvenne il fallimento societario. Dopo cinque campionati consecutivi di Serie D, nella stagione 2012-2013 l'ACR Messina guidata dai Lo Monaco è stata promossa in Seconda Divisione Lega Pro, in seguito alla vittoria del campionato di Serie D, e l'anno seguente ha ottenuto una seconda promozione di fila, questa volta in Prima Divisione Lega Pro, dopo essersi piazzata ancora al primo posto. Nei successivi due anni di Lega Pro ha ottenuto un 15º e un 7º posto. In passato anche l'Igea Virtus di Barcellona Pozzo di Gotto e il Milazzo hanno partecipato al campionato di Lega Pro Seconda Divisione Nel campionato italiano di calcio femminile l'Orlandia 97 di Capo d'Orlando, ora fallita, ha militato nel campionato di serie A. Unica rappresentante di tutto il meridione d'Italia. Pallacanestro Nella pallacanestro è presente nel territorio l'Orlandina Basket, la squadra più importante e gloriosa della Sicilia. La squadra di Capo d'Orlando è anche detentrice di records di livello nazionale e internazionale. Attualmente, dopo essere stata radiata dal campionato di Serie A nel 2008, l'Orlandina partecipa al campionato di Serie A2. Il Basket Barcellona partecipava al campionato Serie A2 fino alla stagione Serie A2 2015-2016 mentre il Patti Basket al campionato di Serie D nazionale. Pallavolo Nella pallavolo per la stagione 2013-2014 la squadra del Volley Brolo . Altri sport Nell'automobilismo la manifestazione più importante è lo slalom Torregrotta - Roccavaldina inserito nel Campionato Italiano Slalom. Nella pallamano, l'Esperia Orlandina di Capo d'Orlando, in A2, . Nella pallanuoto e nel calcio a cinque femminile, Messina conta una squadra in massima serie. Note Bibliografia Voci correlate Provincia di Messina Stretto di Messina Isole Eolie Altri progetti Collegamenti esterni Stretto di Messina
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https://it.wikipedia.org/wiki/Pinus%20cembra
Pinus cembra
Il pino cembro (Pinus cembra L., 1753), detto anche semplicemente cembro o cirmolo, è un albero sempreverde aghifoglie del genere Pinus che vive sulle Alpi. Il suo legno è molto pregiato ed è usato in modo particolare per le sculture (per esempio, in val Gardena). È l'unico pino a 5 aghi spontaneo in Europa. Morfologia Portamento È un albero che può essere alto fino a 25 metri, anche se di solito non supera i 15, con chioma cilindrico-conica. È una specie longeva. Corteccia La corteccia si presenta grigiastra, sottile e liscia con tracce di resina nelle parti giovani, nelle parti adulte appare rugosa, screpolandosi in piccole placche con fessure rosso brunastre. Foglie Sono aghiformi e raccolte in mazzette da 5, gli aghi sono lunghi 5–8 cm, di colore scuro sulla parte superiore e grigiastro su quella inferiore. Le foglie sono simili a quelle del Pinus Pinea. Coni o strobili Indicati anche come sporofilli, maturano da giugno a metà agosto, sono lunghi 4–10 cm. Macrosporofilli o coni femminili sono ovoidali, eretti, di colore dal rosa al violetto, peduncolati. Microsporofilli o coni maschili sono di colore rosso, disposti in gruppi all'apice dei rami. Le pigne (coni femminili dopo la fecondazione) cadono intere e non aprono le squame. I semi vengono liberati dall'azione di animali, per esempio, la nocciolaia. I semi (chiamati comunemente pinoli) sono provvisti di tegumenti duri e legnosi. Distribuzione e habitat Specie montana, l'areale è disgiunto: quello principale in Siberia centrale, disgiunzioni sull'arco alpino più due zone nei Balcani e in Europa centrale. Cresce dai 1200 metri di quota fino al limite superiore dei boschi di conifere subalpini, trovando condizioni ottimali tra i 1600 e i 2100 m di altitudine. Predilige suoli a reazione acida, ma può vivere anche su substrati calcarei acidificati o dilavati in superficie dall'azione delle acque meteoriche. Può formare boschi misti con l'abete rosso, con il larice o boschi puri, particolarmente pregiati, come il famoso bosco dell'Alevè della valle Varaita, nelle Alpi Cozie. In Piemonte è presente sulle Alpi Cozie e Marittime (nelle valli Varaita, Gesso, Maira, Stura, Susa, Chisone, Pesio); è raro in val Sesia e Ossola. Forma cembrete pure (1.500 ettari) e miste al larice (3.500 ettari) o con abete rosso; in passato eliminato per far spazio a lariceti pascolati, oggi è in lenta ripresa. In Lombardia è molto diffuso nel Bormiese e nel Livignasco, dove forma sia boschi misti con il larice sia boschi puri, come la cembreta di Valfurva, mentre è presente solo in boschi misti nell'alta val Chiavenna, val Malenco, alta val Camonica e Adamello, raro sulle Orobie. In Trentino è diffuso perlopiù in boschi misti in alta val di Pejo, val di Fumo, alta val di Fassa, val Travignolo e catena del Lagorai. In Alto Adige è presente in tutta la provincia, ma forma boschi puri soprattutto sulle Dolomiti in val Gardena, val Badia e alta Pusteria. Nel Veneto non forma mai boschi puri ma misti con il larice e l'abete rosso, spingendosi a est fino alla conca di Misurina e a sud fino ai passi Giau, Falzarego, San Pellegrino e Valles. Manca nei boschi del Friuli in conseguenza del clima umido delle Alpi Carniche e Giulie. Usi Viene impiegato nei rimboschimenti di protezione e negli interventi di recupero ambientale e consolidamento di versante. Buona essenza usata per sculture e una delle principali per quanto riguarda l'intaglio in Italia. Usato talvolta nei parchi come ornamentale, in particolare dove il clima è di tipo temperato-freddo. I pinoli sono commestibili e vengono usati per preparazioni alimentari, per esempio lo strudel tirolese. Differenze con specie simili I 5 aghi permettono di distinguere questo pino dagli altri presenti nelle stesse zone. Nei parchi cittadini solo il pino dell'Himalaya e il pino strobo hanno mazzette altrettanto numerose, ma le loro pigne sono molto più lunghe (15–30 cm) e gli aghi stessi sono più lunghi di 8–16 cm. Ha pinoli simili al pino domestico con il quale solo difficilmente può essere confuso in quanto occupano spazi molto diversi. Bibliografia Voci correlate Specie di Pinus Pino mugo con il quale condivide le alte quote montane Pino silvestre, abete bianco, abete rosso con il quale condivide la mezza montagna (1400–1900 m) delle Alpi Pino domestico che ha pinoli simili (e, senza alcuna ombra di dubbio, di maggior successo commerciale) Val Gardena, nella quale è diffusa l'arte della scultura del legno, che utilizza il legno del cirmolo Bosco dell'Alevé, vasta pineta di Pino cembro in Val Varaita Altri progetti Collegamenti esterni Pinaceae Taxa classificati da Linneo Legnami
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https://it.wikipedia.org/wiki/Pinus%20mugo
Pinus mugo
Il pino mugo (Pinus mugo Turra, 1764), o anche semplicemente mugo, è un cespuglio aghiforme sempreverde, dal portamento prostrato, appartenente alla famiglia Pinaceae. È stato inserito nell'elenco delle piante officinali spontanee soggette alle disposizioni della legge 6 gennaio 1931 n. 99: dai suoi rametti verdi, non ancora lignificati, viene infatti estratto l'olio essenziale di mugolio. Un bosco di pino mugo si chiama mugheto. Morfologia Portamento generalmente arbustivo, ma molto variabile, da prostrato con rami ascendenti a cespuglioso fino ad alberello eretto a seconda delle varietà e delle condizioni ambientali. Piccolo e compatto, presenta rami caratteristici che nella parte inferiore possono crescere adagiati sul terreno nascondendo la base del tronco per non offrire resistenza al vento. Corteccia grigia scura a squame sottili. Foglie aghiformi lunghe 3–5 cm e riunite in verticilli di due, di colore verde scuro. Fiori meglio indicati come sporofilli, maturano in aprile-maggio e presentano sessi separati. Macrosporofilli: sono rosso-violacei e più piccoli dei fiori maschili. Sono riuniti in piccoli coni e spuntano in cima al fusto; una volta fecondati, diventano pigne color verde-rossastro. Microsporofilli: numerosi, gialli, molto più vistosi dei femminili. Sono situati alla base dei rami e producono polline che viene diffuso dal vento. Strobili di forma ovale-conica, sono lunghi 3–5 cm. Contengono dei piccoli semi scuri muniti di un'ala membranosa che li fa volare lontano. Habitat Cresce spontaneo sulle montagne, tra i 1500 e i 2700 m (ha il suo "optimum" tra i 1600 e i 2300 m, ossia nel piano subalpino) nelle Alpi Orientali è presente nelle aree rocciose fin dai 400 m.s.l.m. (p.e. nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, Tarvisano) spingendosi poi in alto oltre il limite della vegetazione forestale arborea. Amante della luce e del freddo, presenta aspetti morfologici molteplici e variati, accomunati tradizionalmente nel gruppo Pinus montana, di tal che se ne distinguono alcune sottospecie - da taluni autori descritte come specie a sé stanti - che vanno dal pinus mugo, cespuglioso e prostrato, al pinus uncinata, conico-arboreo, con versioni intermedie fra i due (forma cd. frutescens erecta). Predilige suoli detritici parzialmente consolidati, ad esempio alla base di ghiaioni o di conoidi di deiezione (la forma pinus mugo in particolare è prevalentemente calcifila ed i suoi rami forniscono un'utile protezione contro valanghe e slavine, frenando lo scivolamento delle masse nevose sui fianchi più inclinati delle valli). Distribuzione In Italia è presente, spontaneamente, sulle Alpi (prevalentemente centro-orientali per Pinus mugo ed esclusivamente centro-occidentali per Pinus uncinata); sulle Prealpi calcaree lombardo-venete e in alcune zone degli Appennini (Monte Cusna e Monte Falterona in Appennino settentrionale a Monte Lieto nei Sibillini dove è stato reintrodotto; autoctono in Monte Nero Piacentino, Maiella, Parco Nazionale d'Abruzzo e con alcuni esemplari anche sul monte Viglio nel versante sud nel comune di Civitella Roveto; reintrodotto a Campo Imperatore sul Gran Sasso d'Italia), nella sola forma Pinus mugo. In Europa il pinus uncinata si rinviene anche sui Pirenei; il pinus mugo sulla fascia alpina, con diffusione ingravescente procedendo verso est, sui Carpazi e sui Tatra, sulla dorsale dalmato-balcanica fino in Bosnia-Erzegovina e Bulgaria e, come detto, residualmente in Appennino. È usato come essenza ornamentale in molte zone d'Italia, anche dove il clima è molto differente da quello d'elezione, per l'aspetto aggraziato e le dimensioni ridotte che lo rendono ideale per giardini rocciosi e piccoli giardini in genere. Sottospecie e varietà Da un punto di vista tassonomico, Pinus mugo Turra veniva aggregata assieme a Pinus uncinata Miller sotto la specie collettiva Pinus montana Mill. Tuttavia, le differenze fra i due taxa sono tali che attualmente le più recenti flore li ipotizzano come specie separate. A Pinus mugo Turra sono da riferirsi, come sinonimi o come entità sottospecifiche: P. montana Mill. subs. mughus Heer, P. montana Mill. var mughus Willk., P. mughus Scop., P. mughus Scop. var mughus Zen., P. mugo Turra var. mughus Zen., P. mugo Turra var. pumilio Zen e P. pumilio Haenke. Pinus mugo var. pumilio è presente in alcune zone delle Alpi Occidentali (Val Ferret, Val Veny, Alpi del Cuneese). Il pino uncinato (Pinus mugo sottosp. uncinata) ha molte caratteristiche in comune con il pino mugo, ma tendenzialmente si sviluppa in forma arborea (albero con portamento piramidale alto fino a 10–12 m); inoltre, anche negli esemplari prostrati (prevalenti alle quote superiori del piano subalpino), i rami del pino uncinato si presentano eretti nella porzione terminale, le sue pigne sono infine maggiori (lunghe fino a 7 cm) e hanno base asimmetrica, gli aghi sono di colorazione più chiara, più eretti e pungenti; questa entità è diffusa solo in particolari distretti delle Alpi centro-occidentali (dove Pinus mugo ssp. mugo, invece, è sporadico) ed è meno calcifila della sottospecie nominale (adattandosi a vivere anche su ofioliti e perfino su substrati a debole reazione acida); la sua origine rimane incerta tant'è che taluni autori hanno supposto che sia un ibrido fissato tra Pinus mugo ssp. mugo (o forme analoghe già presenti sul territorio europeo occidentale durante la glaciazione Riss) e il Pinus sylvestris. Ecologia È una pianta pioniera e stabilizzatrice di terreni sterili, incoerenti e pietrosi, dove, frammentando il manto nevoso invernale, contribuisce anche a proteggere i fondovalle dalle slavine, quindi utilissima ancorché ecologicamente legata alle sole quote montane. Offre riparo e rifugio a molte specie animali, fra cui il gallo forcello e il crociere, fra gli uccelli, ed il camoscio, fra i mammiferi ungulati, che è pressoché semi-simbiotico con la specie, dei cui germogli ed aghi si nutre nelle stagioni più ingrate. Note Bibliografia Voci correlate Specie di Pinus Elenco delle piante officinali spontanee Altri progetti Collegamenti esterni Pinaceae Piante medicinali e officinali Flora dell'Europa Piante edibili
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https://it.wikipedia.org/wiki/Provincia%20di%20Trapani
Provincia di Trapani
La provincia di Trapani (pruvincia di Tràpani in siciliano), successivamente provincia regionale di Trapani, è stata una provincia italiana della Sicilia con capoluogo Trapani; in seguito alla soppressione delle province siciliane, ad essa è subentrato, nel 2015, il libero consorzio comunale di Trapani. Contava nel 2015 435.765 abitanti e occupava una superficie di 2459,84 km² con una densità abitativa di 177,43 abitanti per km². Era la più occidentale delle province siciliane e confinava ad est con la provincia di Palermo, a sud-est con la provincia di Agrigento, mentre ad ovest e a sud era bagnata dal Canale di Sicilia e infine a nord dal mar Tirreno. Storia Il diretto antecedente della Provincia di Trapani è l'omonimo ente istituito dal Regno delle Due Sicilie nel 1817. La Provincia fu testimone e parte attiva della spedizione dei Mille; Garibaldi infatti scelse proprio il territorio trapanese per iniziare la campagna di liberazione dell'isola. Le navi sbarcarono a Marsala l'11 maggio 1860 e due navi da guerra borboniche giunte nel frattempo, tardarono a bombardare gli invasori, data la presenza di due navi britanniche presenti nel porto. Il 14 maggio, a Salemi, Garibaldi assunse la dittatura della Sicilia in nome di Vittorio Emanuele. I Mille poi vinsero la battaglia di Calatafimi il 15 maggio. Con l'avvento della Dittatura prima e del Regno d'Italia poi, venne così costituito l'ente provincia dello stato unitario. Durante l'ultima fase della seconda guerra mondiale le installazioni aeroportuali di Trapani e di Pantelleria e i porti che si affacciavano sul canale di Sicilia vennero duramente bombardati dagli alleati. Finita la guerra, la Sicilia ottenne lo Statuto speciale che abolì le province siciliane.Furono ricostituite nel 1963, recependo la normativa nazionale e furono denominate "province regionali" nel 1986. La provincia di Trapani nel gennaio 1968 venne duramente colpita dal terremoto del Belice; tra i tanti centri colpiti dal sisma vi furono paesi che rimasero completamente distrutti: Gibellina, Poggioreale e Salaparuta. Subirono danni ingenti: Partanna, Santa Ninfa, Salemi, Vita e Calatafimi. La ricostruzione avvenne con estrema lentezza ed irrazionalità, ma venne costruita un'autostrada, la A29, al posto della disastrata viabilità ordinaria e questa fu anche l'occasione in cui la provincia perse una delle sue linee ferroviarie, la Castelvetrano-Santa Ninfa-Salaparuta, che, , non venne più riattivata. Il 24 marzo 2014 è avvenuta la soppressione delle nove province regionali, sostituite da nove "Liberi Consorzi comunali" (coincidenti territorialmente e amministrativamente con le rispettive province e di cui assumono tutte le funzioni) nelle more della costituzione delle tre aree metropolitane e dei liberi consorzi definitivi come previsto dalla legge approvata dall'Assemblea Regionale Siciliana il 12 marzo 2014. Un'ulteriore legge regionale disciplinerà compiti e funzioni di questi nuovi enti, mentre ogni consorzio è, nel frattempo, retto da un commissario straordinario nominato dalla giunta regionale. Comuni Appartenevano alla provincia di Trapani i seguenti 24 comuni: Note Bibliografia Baldo Rallo, Lo Stagnone di Marsala: Risorsa Naturale e Paesaggistica per un'Economia Sostenibile, Il Vomere, Marsala, 2015 AA. VV., Trapani e provincia, Erice, Marsala, Selinunte, il golfo di Castellammare''', Milano, Touring club italiano, 2002. AA. VV. Sicilia 4, Itinerari speciali di Bell'Italia. Milano, Giorgio Mondadori Periodici.1998. AA. VV. Sicilia 1, Supplemento di Bell'Italia. Milano, Giorgio Mondadori Periodici.1994. A. Troia. Saline di Trapani e Paceco. Guida alla storia naturale. Anteprima, 2005 ISBN 88-88701-14-1 Ursula Swoboda;Marion Weerning. Incanti trapanesi: la Sicilia occidentale raccontata per immagini. PS Advent, 2006 ISBN 88-88440-06-2 Salvatore Mugno, Novecento letterario trapanese. Repertorio biobibliografico degli scrittori della provincia di Trapani del '900, presentazione di Michele Perriera, Palermo, Regione Siciliana, Assessorato dei Beni Culturali e Ambientali e della Pubblica Istruzione, 1996 - 016.8509945824 Salvatore Mugno, Novecento letterario trapanese. Integrazioni e approfondimenti, presentazione di Francesco Vinci, Palermo, Isspe, 2006 - BSN Pal0202805 Poesia, narrativa, saggistica in provincia di Trapani, a cura di Salvatore Mugno, Isspe, Palermo, 2001 Lou Embo Roiter, Isole Egadi, Favignana, Lavanzo, Marettimo. Vianello Libri, 1996 ISBN 88-7200-036-X Salvatore Costanza; Salvatore Butera, Metafore del lavoro e microeconomie di ieri e oggi in Trapani e nella sua provincia, Messina, Helios editore, 1997. Provincia di Trapani, caratteristiche strutturali delle imprese e delle unità locali, Istituto centrale di Statistica, 1963 Maria Pia Demma, Opere d'arte restaurate nella provincia di Trapani'', Soprintendenza per i beni culturali e ambientali, 1998 Voci correlate Terremoto del Belice Mattanza Porto di Trapani Ferrovia Palermo-Trapani Ferrovia Castelvetrano-Porto Empedocle Ferrovia Castelvetrano-San Carlo-Burgio Provincia di Trapani (Regno delle Due Sicilie) Libero consorzio comunale di Trapani Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Pioltello
Pioltello
Pioltello (Piultell in dialetto milanese, AFI: ) è un comune italiano di abitanti della città metropolitana di Milano in Lombardia. Fa parte dell'hinterland est di Milano, nel territorio della Martesana. Geografia fisica Situato a circa 6 chilometri ad est di Milano, il territorio è compreso tra la SP ex SS 11 Padana Superiore (a nord, situata tra Cernusco sul Naviglio e Cassina de' Pecchi) e la SP 14 Rivoltana (a sud, situata tra Rodano e Vignate) ed è disposto lungo l'asse nord sud, con una larghezza est ovest di un paio di chilometri. Questa conformazione a striscia lunga e stretta è frutto della storia della città, nata dalla fusione il 1º gennaio 1870 di due Comuni fino a quel momento indipendenti: Pioltello e Limito. Dall'epoca ad oggi il territorio compreso tra i due centri storici è stato quasi completamente urbanizzato, con la nascita del quartiere di Seggiano. La striscia lunga e stretta è tagliata da diversi attraversamenti: la SP 103 Cassanese tra Pioltello e Vignate e la ferrovia Ferdinandea, sempre tra Limito e Vignate. È in fase di realizzazione la nuova stazione ferroviaria di porta, una delle tre previste nell'area di Milano, insieme con Rogoredo e Rho-Pero. Pioltello è inoltre capolinea della linea S6 del Servizio ferroviario suburbano di Milano. A sud della SP 14 Rivoltana dagli anni '70 sorge il quartiere residenziale di San Felice prolungando verso sud la zona urbanizzata e portando quindi la Rivoltana all'interno del tessuto urbano della città anche se solo una minima parte (solo 2 strade) fa parte del comune di Pioltello. Negli ultimi anni, sempre a sud della SP 14 Rivoltana, si è sviluppato al confine con San Felice la nuova località Malaspina, che fino a pochi anni fa era sede solo del Liceo Scientifico Niccolò Machiavelli, mentre ora è diventato un nuovo e moderno centro residenziale ai margini del cosiddetto Bosco della Besozza (uno dei parchi cittadini). Dal 2009, in questa località è stata trasferita la sede italiana della multinazionale 3M, ubicata prima nella vicina San Felice. Nonostante le vicissitudini subite da Pioltello, in particolare negli anni "60 e "70, con una fortissima crescita della popolazione e la nascita di quartieri residenziali di basso costo e bassa qualità, Pioltello presenta ancora oggi grandi superfici agricole e a verde, che la dividono da Milano e Segrate e l'avvicinano ai Comuni della Martesana, di cui fa geograficamente parte. Pioltello e i tre parchi Dal 1999 Pioltello ha acquisito il titolo di città ed il motto con cui attualmente Pioltello si presenta è la città dei tre parchi, dove i tre parchi citati sono il Parco delle Cascine (definito con una delibera dalla ex Provincia di Milano PLIS: Parco Locale di Interesse Sovracomunale), il Parco di Trenzanesio (Villa Invernizzi) ed il Bosco della Besozza, quest'ultimo di proprietà comunale e sul quale sta sorgendo una delle foreste urbane finanziate dalla Regione Lombardia. Storia Il primo documento che cita invece la moderna Pioltello ancora nella forma Plautellum risale al 1020: il luogo era infatti abitato da secoli, come testimoniato dalla scoperte nel 2009 di una piccola necropoli risalente al 300 d.C. in prossimità dell'attuale abitato di Seggiano. L'altro quartiere storico della città, Limito, è attestato dalla stessa fonte al 1071. Entrambe le località sono documentate senza interruzioni fino ad oggi. Nel 1745 l'architetto Carlo Giuseppe Merlo diede avvio ai lavori per la facciata della parrocchiale di Sant'Andrea Apostolo, terminati nel 1753. In epoca napoleonica Pioltello divenne capoluogo di un distretto comprendente una quarantina di Comuni della attuale Martesana. Nel 1869 si ipotizzò la costituzione di una Grande Pioltello comprendente Briavacca, Limito, Rovagnasco, Rodano e Segrate, ma l'opposizione delle comunità locali portò ad un più moderato provvedimento definitivo che comportò unicamente l'annessione di Limito a far data dal 1º gennaio 1870. Dal 2015 fa parte della Zona omogenea Adda Martesana della città metropolitana di Milano. Simboli Lo stemma del Comune di Pioltello rappresenta sia la sua posizione territoriale (est Milano) sia alcuni episodi della sua storia. La prima sezione a sinistra presenta la croce rossa su fondo bianco, simbolo di Milano, a rappresentare la vicinanza di Pioltello al capoluogo. Le quattro fasce verdi in campo dorato fanno riferimento allo stemma della illustre famiglia milanese dei Trivulzio che, a partire dal 1499, era stata titolare del feudo di Melzo, di cui all'epoca Pioltello faceva parte. Un altro esempio di stemma comunale della zona che riporta i colori verde e oro dei Trivulzio è Cologno Monzese. I gigli d'oro su fondo d'argento starebbero a ricordare il passaggio e lo stanziamento delle truppe francesi sul territorio di questo Comune. La figura delle due spade incrociate alluderebbe, infine, a uno storico fatto d'armi avvenuto sul territorio di Pioltello nel 1259, quando le truppe milanesi si scontrarono con quelle comandate da Ezzelino III da Romano. Onorificenze Società La storia e l'urbanistica della città hanno favorito il senso di appartenenza ai quartieri, che territorialmente coincidono in buona sostanza con le parrocchie di San Giorgio (Limito), Sant'Andrea (Pioltello Vecchia), Maria Regina (Pioltello Nuova) e Beata Vergine Assunta (Seggiano). La vita sociale di quartiere e cittadina è piuttosto sviluppata, grazie alla presenza di numerose associazioni sociali, culturali e sportive che sfiorano il centinaio. Da ricordare, per l'importanza del ruolo sociale svolto, la presenza sul territorio di scuole materne di ispirazione cattolica. In particolare la Scuola Materna Papa Giovanni XXIII presso la parrocchia Santa Maria Regina di Pioltello Nuova, la Scuola dell'Infanzia San Martino (1904), che sorge presso la Chiesa Vecchia di Limito e la Scuola dell'Infanzia Antonio Gorra (1902), che sorge nel centro storico di Pioltello, entrambe le ultime attive da oltre cento anni. Il tessuto sociale della città di Pioltello vede la presenza di numerosi immigrati, che costituiscono circa il 24% della popolazione. Al rione Satellite, il 30% dei bambini frequentanti le scuole materne ed elementari sono di origine straniera. La maggior parte degli immigrati risiede appunto nel rione Satellite, nel quartiere di Pioltello Nuova, e nel rione Piazza Garibaldi, nel quartiere di Seggiano. La presenza di una percentuale crescente di persone con usi e costumi diversi, in un contesto caratterizzato da marcata povertà, contribuisce a creare un clima di diffidenza e disagio nei quartieri dove tale presenza è più significativa. Le pubbliche amministrazioni hanno affrontato il fenomeno con iniziative come la Consulta interculturale, uno dei pochi esperimenti in zona di dialogo continuo tra le comunità straniere e la cittadinanza italiana. A Pioltello si svolgono due feste principali, entrambe di recente istituzione: La Festa dello Sport (ex "Festa Cittadina"), nella prima settimana di giugno La Fiera di Santa Lucia, in dicembre La Festa Carovana dei 100 colori, a Maggio Il patrono della città è Sant'Andrea (festeggiato il 30 novembre), patrono della parrocchia più antica. Si ricorda per motivi storici il Giubileo Mariano, che si svolge in Pioltello Vecchia ogni 25 anni, ininterrottamente dal 1780. Altra festa religiosa molto sentita è la processione de Lu Signuri di li Fasci che si svolge ogni venerdì santo a Seggiano, dove questa tradizione è stata portata dalla numerosa comunità originaria di Pietraperzia (Enna). Dal 2003 è operativa una Pro Loco. Evoluzione demografica 900 nel 1751 nel 1771 nel 1805 nel 1809 dopo annessione di Trenzanesio e Limito nel 1811 dopo annessione di Briavacca, Lucino e Rodano nel 1853 nel 1861 nel 1871 dopo annessione di Limito Etnie e minoranze straniere Secondo i dati ISTAT al 1º gennaio 2017 la popolazione straniera residente era di persone, pari al 24% della popolazione. Le nazionalità maggiormente rappresentate in base alla loro percentuale sul totale della popolazione residente erano: Romania Ecuador Pakistan Perù Egitto Albania 568 Marocco 367 Bangladesh 353 Filippine 318 Ucraina 240 In termini percentuali, Pioltello è il secondo comune della città metropolitana con la più alta popolazione straniera. Il primo tra i comuni metropolitani è Baranzate, con il 33% della popolazione straniera. Cultura Il panorama culturale di Pioltello è caratterizzato dalla presenza di alcune agenzie pubbliche, private e di volontariato, tra le quali si ricordano: la Civica Scuola di Musica la Biblioteca Comunale Alessandro Manzoni, parte del sistema bibliotecario CUBI il cinema multisala UCI Cinemas la M.A.F. Fonderia d'Arte, trasferitasi a Pioltello da qualche anno, autrice di opere in bronzo tra le quali una delle porte del Duomo di Milano ed intorno alla quale si è costituita una Associazione di artisti locali Trono del Silenzio, scultura in piazza Don Civilini dell'artista giapponese Kyoji Nagatani. Cinema Alcune parti dei film La vita agra (1964) di Carlo Lizzani e Delitto d'amore (1974) di Luigi Comencini furono girate a Pioltello. Economia A Pioltello hanno la sede principale due grandi imprese: Esselunga (Via Giambologna 1) e la filiale italiana di 3M. Artigianato Nel settore dell'artigianato è molto diffusa e rinomata la lavorazione del ferro battuto finalizzata agli edifici pubblici. Amministrazione Note Voci correlate Stazione di Pioltello-Limito Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Vinca
Vinca
Vinca L., 1753 è un genere di piante della famiglia delle Apocynaceae, originario dell'Europa e dei tropici, comprendente specie erbacee perenni, erette o striscianti, note con il nome comune di pervinca. Etimologia L'origine del nome scientifico è incerta. Secondo alcune fonti deriva dal latino vincire (= legare), per la capacità della pianta di ancorarsi al terreno con le numerosi radici, o da vincus (=flessibile), con riferimento ai fusti sottili e flessibili. Tassonomia Il genere comprende le seguenti specie: Vinca difformis Pourr. Vinca erecta Regel & Schmalh. Vinca herbacea Waldst. & Kit. Vinca major L. Vinca minor L. La vinca del Madagascar, un tempo inclusa in questo genere come Vinca rosea, è oggi attribuita al genere Catharanthus (C. roseus). Proprietà La pervinca è considerata una pianta tossica per il suo contenuto in vincristina. In caso di assunzione di parti della pianta i sintomi precoci compaiono entro le 24 ore e sono a carico dell'apparato digerente, con nausea, vomito e febbre; quelli tardivi, nella prima settimana, consistono in cefalea, insonnia, delirio, allucinazioni, neuropatie, convulsioni e coma. Nel medioevo la pervinca veniva usata anche come preparato per filtri d'amore. Utilizzo Come piante ornamentali, per aiuole in zone ombreggiate, per decorare freschi sottobosco, oppure coltivate in vaso e per usi erboristici. Da questo genere è possibile estrarre anche una sostanza chiamata vincristina, la cui attività antitumorale è riconosciuta: è in grado di interferire nella formazione del fuso mitotico delle cellule cancerogene. La sua sintesi risulta essere un po' difficile. Coltivazione Le specie rustiche perenni gradiscono posizioni fresche e ombreggiate, suoli ricchi, acidi, soffici. Si moltiplicano con la semina, per divisione dei cespi o per talea dei fusti che radicano con facilità. Note Voci correlate Giardinaggio Floricoltura Pianta ornamentale Specie botaniche in Italia Pervinca (colore) Altri progetti Collegamenti esterni Proprietà anti-tumorali, su https://www.airc.it/news/dalla-natura-un-grande-aiuto-contro-i-tumori-0319 Apocynaceae Piante erbacee ornamentali Taxa classificati da Linneo
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https://it.wikipedia.org/wiki/Papa%20Lino
Papa Lino
Biografia Sulla vita di papa Lino si hanno poche notizie certe. Il Liber Pontificalis afferma che era originario della Tuscia e che era anche figlio di Ercolano. L'erudito volterrano Raffaele Maffei, sulla base di uno scritto da lui letto, ma del quale non dà altro riferimento, identificò la città natale di Lino in Volterra: nel 1480, sul luogo in cui egli ritenne che sorgesse la casa paterna del pontefice, volle edificare una chiesa con annesso un monastero femminile. Trasferitosi a Roma per ragioni di studio, si convertì presto al cristianesimo. Nell'Urbe conobbe anche Paolo di Tarso, che sembra accennasse a lui nella Seconda lettera a Timoteo: «Ti salutano Tubulo, Pudente, Lino, Claudia e tutti i fratelli». A Roma avrebbe sostituito Pietro nei periodi della sua assenza dalla città, pur essendo il vescovo e predicatore ufficiale nella città di Besançon, in Gallia. Secondo altre fonti, tuttavia, il Lino vescovo di Besançon sarebbe stato un omonimo vissuto nel III secolo. Sempre secondo il Liber Pontificalis, sembra che, "in conformità con quanto disposto da San Pietro", Lino abbia prescritto alle donne di entrare in chiesa con il capo coperto e senza dubbio questa prescrizione è dovuta a chiari insegnamenti biblici come nella Prima lettera ai Corinzi. Di fatto, la prescrizione è rimasta in vigore fino ad oggi. Lino introdusse nel canone della messa la parte detta Communicantes e aggiunse alla veste, come simbolo dell'autorità papale, il pallio, una striscia di lana bianca a croci nere, tuttora in uso. Durante il suo pontificato, sotto il quale si successero cinque imperatori (Nerone, Servio Sulpicio Galba, Otone, Vitellio e Tito Flavio Vespasiano), Lino ebbe a che fare, contrastandola, con la scuola di Simon Mago, continuata dal discepolo Menandro, e con gli Ebioniti, giudeo-cristiani che praticavano l'osservanza della legge mosaica. Inquadramento storico L'avvenimento più importante verificatosi durante il suo pontificato fu certamente la conclusione della guerra giudaica con la distruzione, da parte dei romani, della città e del Tempio di Gerusalemme, nel 70. Oltre che per la portata storica, l'avvenimento assunse una notevole rilevanza anche per altri aspetti di "politica cristiana". La distruzione di Gerusalemme era innanzi tutto la conferma della profezia di Gesù che aveva annunciato che del Tempio non sarebbe rimasta «pietra su pietra», ed era quindi anche un indizio della prossima fine del mondo e del conseguente avvento del Regno di Dio. In molti leggevano però nell'avvenimento anche la vendetta sugli Ebrei per la loro diretta responsabilità nella morte del Cristo (benché necessaria per la redenzione). Si andava cioè già affermando quella convinzione, sopravvissuta fino al Concilio Vaticano II, che considerava gli Ebrei rei di deicidio. Morte e sepoltura Il Liber Pontificalis sostiene che Lino sarebbe stato martirizzato il 23 settembre del 76 o del 79, mediante decapitazione, per decreto del console Saturnino, ma il fatto sembra privo di fondamento, dal momento che in quel periodo non si ha notizia di persecuzioni contro i cristiani. Inoltre, Ireneo di Lione indicò come martire fra i primi vescovi romani solamente Telesforo. Il Liber Pontificalis riferisce anche che Lino, dopo la sua morte, fu seppellito sul Colle Vaticano, accanto all'apostolo Pietro. Non si sa se l'autore avesse qualche prova decisiva a supporto di tale affermazione, però, come Pietro fu certamente sepolto ai piedi del Colle Vaticano, è lecito supporre che anche i primi vescovi della Chiesa romana furono inumati in quella zona. Secondo Torrigio, quando in San Pietro fu costruito l'attuale altare della confessione nel 1615, furono rinvenuti vari sarcofagi, tra i quali ve ne era uno con su scritta la parola Linus. La spiegazione data dal Severano di questa scoperta fu che, probabilmente, tali sarcofagi contenevano i resti dei primi vescovi di Roma e che quello con l'iscrizione era il luogo di sepoltura di papa Lino. L'ipotesi fu accettata, in seguito, da diversi autori, ma da un manoscritto del Torrigio si evince che sul sarcofago in questione c'erano altre lettere accanto alla parola Linus, così che il nome poteva essere un altro (come Aquilinus, Anullinus, ecc.). Il titolo "papa" Tutti gli antichi elenchi dei vescovi di Roma, che si sono conservati grazie a Ireneo di Lione, Giulio Africano, Ippolito di Roma, Eusebio di Cesarea ed il Catalogo Liberiano del 354, pongono il nome di Lino immediatamente dopo quello di Pietro. Questi elenchi furono redatti a posteriori basandosi su una lista dei vescovi romani che esisteva al tempo di papa Eleuterio (approssimativamente tra il 174 e il 189). Secondo Ireneo, papa Lino è il Lino menzionato da Paolo di Tarso nella sua già citata seconda lettera a Timoteo. Il brano di Ireneo (Adversus haereses, III, III 3) recita: Naturalmente, non si può sapere se questa identificazione del papa come il Lino menzionato nella lettera paolina risalga ad una fonte antica ed affidabile, o si sia originata più tardi grazie alla somiglianza del nome. L'ufficio di Lino, secondo gli elenchi papali che ci sono pervenuti, durò circa dodici anni. Il Catalogo Liberiano afferma che durò, per l'esattezza, dodici anni, quattro mesi, e dodici giorni, ma le date fornite da questo catalogo, dal 56 al 67, non sono probabilmente corrette. Forse proprio tenendone conto gli scrittori del IV secolo sostenevano che Lino era stato a capo della comunità romana durante la vita dell'apostolo, ma si tratta di un'ipotesi senza alcun fondamento storico. In base ai calcoli di Ireneo sulla Chiesa romana nel II secolo, è fuori dubbio che Lino sia stato scelto come guida della comunità cristiana di Roma solo dopo la morte di Pietro. Per questa ragione il suo pontificato si fa iniziare nell'anno della morte degli apostoli Pietro e Paolo. Culto I latini celebrano la sua memoria liturgica il 23 settembre. Le Chiese ortodosse, invece, lo ricordano il 4 novembre. Dal Martirologio Romano: Note Bibliografia Catholic Encyclopedia, Volume IX. New York 1910, Robert Appleton Company. Nihil obstat, 1º ottobre 1910. Remy Lafort, S.T.D., Censor. Imprimatur +Cardinale John Murphy Farley, Arcivescovo di New York; Lightfoot, The Apostolic Fathers; St. Clement of Rome, I (London, 1890), pagina 201 e seguenti; Adolf von Harnack, Geschichte der Altchristlichen Literatur, II: Die Chronologie I (Leipzig, 1897), pagina 70. Claudio Rendina, I Papi. Storia e segreti, Newton & Compton, Roma, 1983. Altri progetti Collegamenti esterni Voce su Cathopedia Papa Lino, la biografia in latino (dal Liber Pontificalis). Lino Lino Lino Sepolti nella necropoli vaticana Lino
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https://it.wikipedia.org/wiki/Psichiatria
Psichiatria
La psichiatria è la branca specialistica della medicina che si occupa dello studio sperimentale, della prevenzione, della cura e della riabilitazione dei disturbi mentali. Essa è definibile come una "disciplina di sintesi", in quanto il mantenimento e il perseguimento della salute mentale, che è lo scopo fondamentale della psichiatria, viene ottenuto prendendo in considerazione diversi ambiti: medico-farmacologici, neurologici, psicologici, sociologici, giuridici, politici. Storia Nel corso del tempo e nelle diverse civiltà, gli approcci, le spiegazioni, l'atteggiamento e i trattamenti relativi alla follia hanno subito cambiamenti radicali e, nell'impossibilità di una trattazione esaustiva della storia della psichiatria è forse utile una schematizzazione che consenta di tracciarne le tappe fondamentali ripercorrendo quali sono stati i cambiamenti di alcuni aspetti paradigmatici della psichiatria: la spiegazione e l'origine (natura) delle patologie a carico del sistema nervoso centrale e cervello le modalità di trattamento di dette patologie le persone e le istituzioni deputate al trattamento. Etimologia Il termine è stato coniato dal medico tedesco Johann Christian Reil nel 1808, dal greco psyché (ψυχή) = spirito, anima e iatreia (ιατρεια,ας) che significa cura (medica). Letteralmente la disciplina si dovrebbe occupare della "cura dell'anima". Il medico specializzato in psichiatria è lo psichiatra. Descrizione Henry Ey (1900-1977), psichiatra francese, scrive alla vigilia della propria morte che "la nozione di malattia mentale deve muoversi nell'orbita della biologia e della medicina". Egli definisce la psichiatria come "una branca della medicina che ha per oggetto la patologia della vita di relazione a quel livello di essa che assicura lautonomia e ladattamento dell'uomo nelle condizioni della propria esistenza". La psichiatria è una pratica medica focalizzata strettamente sull'uso del metodo scientifico-sperimentale come mezzo di indagine conoscitivo, sull'uso prevalente dei farmaci come mezzo curativo e con l'utilizzo accessorio di metodologie altrimenti tipiche della psicologia, che invece è la disciplina che studia il comportamento degli individui e i loro processi mentali. Oltre alla più ampia gamma di patologie e situazioni di disagio psichiche trattate, la psichiatria si distingue dalla psicologia anche per il diverso corso di studi necessario per la formazione dei relativi professionisti. Diagnosi La diagnosi psichiatrica è un processo complesso, che si avvale di valutazioni anamnestiche, colloqui clinici, test e reattivi psicopatologici e, quando necessario, anche di altre valutazioni mediche e psicologiche (internistiche, neurologiche, psicologiche, sociali). Fondamentali sono anche gli esami strumentali come la TC o semplici esami del sangue, soprattutto in diagnosi differenziale con altri disturbi (patologie metaboliche, neurologiche e infettive in primis). Da un punto di vista epistemologico, le diverse costruzioni teoriche di alcuni disturbi psicopatologici hanno portato all'uso di riferimenti nosografici cosiddetti "ateoretici", quali ad esempio quelli espressi nelle classificazioni, basate sul consenso scientifico, del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, APA); in particolare, allo stato, il DSM-5 ed il sistema ICD-10 (International Classification of Diseases) sono le nosografie più utilizzate a livello internazionale. I disturbi di competenza psichiatrica possono essere temporanei o cronici: alcuni pazienti psichiatrici richiedono cure solo per poco tempo, mentre altri necessitano di essere seguiti e curati per periodi molto lunghi o anche per tutta la vita, poiché molte malattie mentali sono croniche e compromettono in modo più o meno grave la qualità (a volte anche la durata) della vita del paziente e, nei casi gravi, della sua famiglia. Terapia La terapia psichiatrica prevede solitamente un trattamento farmacologico oppure psicoterapeutico (o, spesso, una combinazione di entrambi); nei casi più gravi si associano solitamente trattamenti supportivi e riabilitativi, anche di tipo sociale. Solitamente si svolge in contesti ambulatoriali, come nei CSM (Centri di Salute Mentale delle ASL), o anche privatamente. Attualmente in Italia la maggior parte dei pazienti psichiatrici più gravi, cronici e portatori di gravi forme di invalidità viene assistita in comunità apposite, o in gruppi-appartamento seguiti dalle ASL, e spesso, laddove possibile, a casa del paziente stesso. Nei casi in cui non sia sufficiente o realizzabile il solo intervento ambulatoriale e familiare, e allo stesso tempo non sia necessario un intervento di ricovero ospedaliero o in una struttura residenziale, solitamente si opta per un approccio semi-residenziale, come nei cosiddetti centri diurni socio-riabilitativi. Il ricovero ospedaliero, solitamente di tipo volontario, viene attuato solo in casi gravi e per periodi di tempo definiti. Eccezionalmente, in casi gravi ed acuti, ed in condizioni determinate (con alcune tutele di legge), può essere necessario un Trattamento sanitario obbligatorio (TSO), di durata limitata nel tempo (al massimo per sette giorni, ma prorogabili un indefinito numero di volte). Il TSO viene disposto dal Sindaco su proposta motivata di un medico controfirmata poi da un secondo medico, generalmente psichiatra, dipendente di una struttura pubblica. Il ricovero in regime di TSO viene effettuato in una Struttura Pubblica appositamente disposta nell'Ospedale Generale (i reparti di "Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura", SPDC). Il TSO, che viene attuato solo in caso di gravi scompensi psichiatrici acuti con assenza di capacità di intendere e di volere, viene per legge disposto solo qualora una persona presenti pericolo per sé o per altri, richieda cure urgenti e le rifiuti, e non sia possibile prendere adeguate misure alternative extraospedaliere; il TSO ha sempre una durata precisa (una settimana massima, rinnovabile solo in presenza di gravi problematiche cliniche), e può essere trasformato in qualunque momento in un ricovero volontario. La "cura del sonno" (o narcoterapia) è una prassi, diffusa da trenta e più anni utilizzata per affrontare sindromi molto diverse tra loro, che si basa sull'indurre il sonno, per periodi prolungati, attraverso farmaci (barbiturici, neurolettici e, a volte, benzodiazepine), inserendo durante il sonno un lavoro di psicoterapia di gruppo o individuale. Il sonno è ritenuto terapeutico perché interrompe uno stato nevrotico reattivo, la sofferenza acuta o l'alternarsi di agitazione ed esaurimento. La professione psichiatrica Nell'ordinamento italiano lo psichiatra è un laureato in medicina e chirurgia con specializzazione post-lauream in psichiatria, quindi è prima di tutto un medico: può prescrivere farmaci generici e/o psicofarmaci con regolare ricetta medica e richiedere e valutare esami clinici (EEG, TC, PET, MRI). Il medico specialista in psichiatria è anche abilitato - previa richiesta formale di annotazione in apposito elenco presso il proprio ordine provinciale di riferimento - all'esercizio della psicoterapia, differentemente dagli altri medici e dagli psicologi che, per poter esercitare la psicoterapia, devono ottenere una specializzazione specifica. Branche della psichiatria: Psichiatria biologica Psichiatria infantile e dell'adolescenza (in Italia di pertinenza del neuropsichiatra infantile) Psichiatria dell'adulto Psichiatria dell'anziano Medicina comportamentale Psichiatria consultivo-relazionale Psichiatria delle dipendenze Psichiatria forense Psichiatria fenomenologica Critiche Le critiche più comuni storicamente rivolte dai movimenti antipsichiatrici (tra i cui fondatori vi fu il dr. Szasz) sostengono che la psichiatria, a loro dire, utilizzerebbe concetti e strumenti medici impropriamente; che la classificazione fornita per i disturbi mentali è troppo rigida e metodica rispetto alle caratteristiche del disturbo in sé che può evolvere in moltissimi modi differenti e per il quale la psicodinamica si rivelerebbe invece più appropriata e flessibile; che in alcuni casi (quelli in cui il paziente è incapace di intendere e di volere) tratterebbe i pazienti contro la loro volontà, o sarebbe troppo "autoritaria" rispetto ad altri approcci; che, come le altre specializzazioni mediche, sarebbe "compromessa" in legami finanziari e professionali con l'industria farmaceutica. Note Bibliografia Silvano Arieti (a cura di), Manuale di psichiatria, 7ª ed., Torino, Bollati Boringhieri, 1985. ISBN 978-88-339-5011-2. Henry Ey et al., Manuale di psichiatria, 4ª ed., Milano, Masson, 1995. ISBN 978-88-214-2276-8. Giovanni Battista Cassano et. al, Trattato italiano di psichiatria, 2ª ed., Milano, Elsevier, 2002. ISBN 978-88-214-2674-2. Harold I. Kaplan et. al, Psichiatria. Manuale di scienze del comportamento e psichiatria, 8ª ed., Torino, Centro Scientifico Editore, 2002, ISBN 978-88-8084-029-9. Voci correlate Antipsichiatria Associazione Mondiale di Psichiatria Esperimento Rosenhan Legge Basaglia Neuropsichiatria infantile Degenerazione psichiatrica Psicodiagnostica Psicologia clinica Psicosi Psicosomatica Psicoterapia Società Italiana di Psichiatria Trattamento sanitario obbligatorio Utilizzo della psichiatria a fini politici in Unione Sovietica Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Plutone
Plutone
Plutone – pianeta nano orbitante nella parte esterna del sistema solare Plutone – in astrologia è considerato il pianeta della trasformazione e del mistero Plutone nella fantascienza – costituisce lo scenario di diverse opere letterarie, principalmente di fantascienza, fin dalla sua scoperta nel 1930 Plutone – divinità della religione romana Plutone – roccia magmatica intrusiva Geografia Plutone – ghiacciaio dell'isola Alessandro I, in Antartide Pagine correlate Pluto Altri progetti
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https://it.wikipedia.org/wiki/Provincia%20di%20Rovigo
Provincia di Rovigo
La provincia di Rovigo è una provincia italiana del Veneto di abitanti con capoluogo a Rovigo. Confina a nord con le altre province venete di Verona, Padova e Venezia, a est con il Mar Adriatico, a sud con la provincia di Ferrara (in Emilia-Romagna) e a sud-ovest con la provincia di Mantova (in Lombardia). Geografia fisica Territorio Il territorio della provincia è interamente pianeggiante e rientra nella regione geografica dell'attuale Polesine, di cui occupa quasi l'intera superficie (fatta eccezione per una porzione dell'area delle Valli Grandi Veronesi, all'estremo ovest e per una parte del Comune di Cavarzere (VE) a centro-est). Esso si estende longitudinalmente per circa 100 km, dai confini con le province di Verona e di Mantova al litorale adriatico, ove si situano le bocche di Po, nei Comuni di Rosolina, Porto Viro, Porto Tolle e Ariano nel Polesine a formare il relativo delta. Come detto, il territorio provinciale coincide sostanzialmente con il Polesine odierno ovvero ne è interamente compreso; è una striscia di terra lunga circa 100 km in direzione ovest-est e larga circa 18 km in direzione nord-sud; ha una superficie di 1.789 km² e un'altitudine compresa tra -4 e 15 m s.l.m.. Il territorio è compreso tra il basso corso dei fiumi Adige e Po, che ne delimitano i confini rispettivamente a nord da Badia Polesine alla foce (con la sola eccezione del territorio di Cavarzere nella città metropolitana di Venezia) e a sud da Melara alla foce (Po di Goro). La parte orientale della provincia corrisponde al Delta del Po e si espande costantemente verso est a causa dei sedimenti depositati dal fiume alle sue foci. Idrografia Oltre al Po e l'Adige, rispettivamente il primo e il terzo fiume italiano per portata, la provincia è attraversata per tutta la sua lunghezza da un altro fiume importante, il Canal Bianco; ciò significa che la maggior parte delle acque dolci in Italia sfocia in mare lambendo o attraversando la provincia di Rovigo. Sono ovvie le problematiche di carattere idraulico che ciò ha determinato e determina, con le numerose alluvioni che periodicamente hanno colpito il territorio, l'ultima e più disastrosa delle quali quella del 1951. Su tutto il territorio sono presenti un gran numero di canali di scolo, tra cui i principali sono il Collettore Padano Polesano, lo Scolo Ceresolo e lo Scolo Valdentro. Altri corsi d'acqua, la cui importanza è oggi soprattutto storica, sono l'Adigetto, corrispondente all'antico corso dell'Adige, che staccandosi dal corso attuale dell'Adige a Badia Polesine attraversa Lendinara ed il capoluogo, il Poazzo, corrispondente ad un antico corso del Po, e la Fossa Polesella, interrata in seguito all'alluvione del 1951, che collegava il Canal Bianco al Po. Il territorio, per la sua parte orientale, di formazione relativamente recente e legata al Taglio di Porto Viro operato dai Veneziani tra il 1600 e il 1604, è stato soggetto al fenomeno della subsidenza, sia per cause naturali sia per l'estrazione di acque metanifere dal sottosuolo, avvenuta con particolare consistenza negli anni cinquanta e sessanta ed in seguito, proprio per gli effetti di subsidenza, particolarmente gravi per territori posti anche sotto la quota del medio mare, messa al bando. Clima Il clima è semicontinentale e condizionato dalla notevole umidità, con estati afose e inverni nebbiosi; le precipitazioni rientrano nella norma e si concentrano in primavera e autunno. La provincia è tradizionalmente divisa in tre zone geografiche, da ovest verso est, seguendo il percorso ideale delle bonifiche del territorio: l'Alto Polesine, il cui capoluogo è Badia Polesine; il Medio Polesine, il cui capoluogo è Rovigo; il Basso Polesine, il cui capoluogo è Adria. Altri centri importanti della provincia sono Porto Viro, Lendinara, Porto Tolle e Taglio di Po. Negli ultimi decenni il Comune di Occhiobello, in particolare la frazione di Santa Maria Maddalena, ha avuto un discreto sviluppo demografico dovuto alla sua vicinanza alla città di Ferrara. Natura Il Delta del Po è riconosciuto come patrimonio dell'umanità dall'UNESCO; la parte ricadente in provincia di Rovigo costituisce il Parco regionale del Delta del Po del Veneto. Infrastrutture e trasporti Strade e autostrade Autostrade A13 Bologna-Padova: percorre la direttrice nord-sud della provincia. Ci sono tre caselli denominati: Occhiobello, Villamarzana – Rovigo Sud (sulla "Transpolesana") e Rovigo, ed un quarto, Boara – Rovigo Nord, posto immediatamente a nord del confine padovano e che di fatto serve la zona nord di Rovigo. A31 Piovene Rocchette - Rovigo: dalla interconnessione con la SS 434 a Badia Polesine, collega l'Alto Polesine (e Rovigo) con l'Alto Vicentino, passando per la Provincia di Padova, tra i Colli Berici e i Colli Euganei, includendo uno svincolo nei pressi di Torri di Quartesolo con l'A4 Milano - Venezia proseguendo poi fino a Piovene Rocchette. Strade statali La provincia è percorsa da tre strade statali: SS 16 Adriatica: attraversa la provincia da nord a sud da Boara Pisani fino a Santa Maria Maddalena (Occhiobello) passando per il capoluogo dove forma la Tangenziale Est. SS 309 Romea: è la strada più vicina al mare che collega Venezia a Ravenna. SS 434 Transpolesana: è una superstrada con due corsie per senso di marcia che collega Verona con Rovigo lungo la direttrice est-ovest. È pianificato il prolungamento fino all'innesto con la SS 309 Romea, all'altezza di Adria. Strade regionali SR 6 Eridania Occidentale: costeggia il Po da Castelmassa fino a Santa Maria Maddalena (Occhiobello). SR 88 Rodigina (ex SS 499): è la strada alternativa alla Transpolesana che inizia a Villa d'Adige, attraversa centri come Badia Polesine e Lendinara per finire a Rovigo. La SS 499 iniziava a Legnago (VR). SR 443 di Adria è un'ex strada statale (omonima) che collega il capoluogo di provincia ad Adria, alla confluenza con le SR 495 e 516 (già Statali omonime) con un percorso abbastanza rettilineo. SR 482 Alto Polesana (già SS 482): è un'ex statale che parte da Mantova e dopo aver attraversato la sua provincia entra in quella di Rovigo a Melara e dopo aver attraversato Bergantino, Castelmassa e Ceneselli termina a Badia Polesine sulla Transpolesana. SR 495 di Codigoro: è un'ex strada statale che inizia da Adria, attraversa Ariano nel Polesine e giunge a Codigoro in Provincia di Ferrara. L'originaria SS 495 di Codigoro iniziava a Consandolo (Ferrara), dalla SS 16 Adriatica, per concludersi ad Adria, alla confluenza delle strade statali 443 e 516. SR 516 Piovese: è una parte della SS 516 declassata a strada regionale. Inizia ad Adria e fuori provincia passa per Cavarzere e termina a Piove di Sacco. La SS 516 Piovese iniziava a Padova. Strade provinciali Le strade provinciali hanno un'estensione di 517,675 km e sono gestite dalla provincia stessa. Rete ferroviaria Ferrovia Padova-Bologna Ferrovia Rovigo-Chioggia Ferrovia Verona-Rovigo Ferrovia Adria-Mestre Ferrovia Adria-Ariano Polesine (chiusa nel 1944) Comuni Appartengono alla provincia di Rovigo 50 comuni: Adria Ariano nel Polesine Arquà Polesine Badia Polesine Bagnolo di Po Bergantino Bosaro Calto Canaro Canda Castelguglielmo Castelmassa Castelnovo Bariano Ceneselli Ceregnano Corbola Costa di Rovigo Crespino Ficarolo Fiesso Umbertiano Frassinelle Polesine Fratta Polesine Gaiba Gavello Giacciano con Baruchella Guarda Veneta Lendinara Loreo Lusia Melara Occhiobello Papozze Pettorazza Grimani Pincara Polesella Pontecchio Polesine Porto Tolle Porto Viro Rosolina Rovigo Salara San Bellino San Martino di Venezze Stienta Taglio di Po Trecenta Villadose Villamarzana Villanova Marchesana Villanova del Ghebbo Comuni più popolosi Di seguito è riportata la lista dei primi dieci comuni della provincia per numero di abitanti aggiornata al 31/08/2021: Società Evoluzione demografica La provincia risente ancora oggi del fenomeno dell'emigrazione, soprattutto dei giovani che vanno a lavorare in zone economicamente più sviluppate, provocando un progressivo invecchiamento della popolazione. In seguito alla terribile Alluvione del Polesine del novembre 1951, oltre polesani dovettero sfollare in altre città; la maggior parte di essi non fece più ritorno. Esiste anche un fenomeno di migrazione interna alla provincia dalle zone rurali ai centri urbani più sviluppati. Storia In epoca antica il territorio che attualmente forma la provincia di Rovigo fu inizialmente colonizzato dai Greci, che nel XII-XI secolo a.C. fondarono la città di Adria. Nel VI-V secolo a.C. la città fu rifondata dagli Etruschi, che occuparono anche la parte meridionale del territorio, mentre nella parte settentrionale si stabilirono i Veneti. In seguito fu occupato dai Romani. In epoca medievale il territorio fu governato dagli Estensi, ma non aveva una propria unità amministrativa; era infatti suddiviso in diverse "podesterie", che erano le unità amministrative del ducato Estense. Poteva capitare che queste podesterie avessero addirittura giurisdizione su territori a cavallo del fiume Po, come ad esempio la podesteria di Orcano (che è l'attuale frazione Raccano di Polesella). I primi a riconoscere l'unità amministrativa al territorio furono i Veneziani ai quali, in seguito alla Guerra del Sale del 1482-1484 e alla successiva pace di Bagnolo, fu assegnata un'area compresa tra l'Adige e il Po che costituì il territorio del Polesine all'interno dei Domini di Terraferma; il capoluogo fu stabilito a Rovigo. Si può dunque dire che la provincia di Rovigo nacque così, anche se aveva un'estensione inferiore rispetto a quella attuale, dato che il confine fu fissato sul Canalbianco con poche eccezioni: i territori di Polesella, Guarda Veneta e Adria passarono ai Veneziani, mentre la cosiddetta "Transpadana Ferrarese" rimase agli Estensi. Il delta del Po (tranne Ariano nel Polesine e Corbola) faceva già parte del Dogado. Cacciati definitivamente gli Estensi, la dominazione veneziana si protrasse per quasi tre lunghi secoli e non apportò in Polesine mutamenti sostanziali. Al termine di una guerra feroce, combattuta a più riprese e senza esclusione di colpi, tra la fine del Quattrocento e il primo decennio del Cinquecento, la situazione economica e sociale del Polesine era, a dir poco, disastrosa. Il territorio, anzi, proprio in questi anni, finisce per articolarsi, grazie anche alle capziose divisioni amministrative e politiche e alla particolare configurazione dei confini, in due diverse zone di influenza: da un lato, quella veneziana e dall'altro quella ferrarese, che grava principalmente sui centri rivieraschi e su quella porzione dell'Alto Polesine che ebbe il nome di Transpadana. Un carattere composito, fatto di influssi diversi, che si avverte chiaramente ancora oggi e che ha dato al Polesine, fin da quei tempi, l'aria e il senso di una terra di confine. Accanto a modelli ormai veneti, permanevano dunque indirizzi ferraresi ed emiliani, in una convivenza quasi naturale, che trovava riscontro soprattutto nel dialetto, nelle arti figurative e nell'architettura. Fu solo in seguito al Congresso di Vienna del 1815 che i confini meridionali furono posti sul Po, mentre nel 1851 il delta passò dalla provincia di Venezia alla provincia di Rovigo, dandole l'aspetto che ha ancora oggi. Economia Dal punto di vista economico, la provincia di Rovigo ha mantenuto una spiccata vocazione agricola ed è stata interessata solo marginalmente dal rapido processo di industrializzazione che ha riguardato, in particolare a partire dagli anni settanta – ottanta, le altre provincie venete ed il Nordest in generale. L'area della provincia in questo senso più sviluppata è quella intorno all'asse della strada Statale 309 "Romea" con centri quali Porto Viro, Taglio di Po, Rosolina. Il territorio della provincia è coltivato prevalentemente a cereali quali frumento, mais e riso, frutteto mele, pere, pesche e ortaggi questi ultimi in particolare nella zona di Lusia e Rosolina. Si pratica l'acquacoltura, soprattutto nelle valli del delta del Po, dove nel 2003 è stato istituito il Distretto Ittico di Rovigo. Le industrie sono medie e piccole imprese e riguardano prevalentemente i settori agro-alimentare (tra cui molti zuccherifici ed essiccatoi e molini per cereali), meccanico, del legno, tessile-abbigliamento, costruzioni e materiali per costruzioni. In provincia di Rovigo è stata in funzione, dal 1980 al 2005 la centrale termoelettrica di Polesine Camerini in grado di produrre l'8% circa del fabbisogno nazionale di energia elettrica. Nel 2005 l'ENEL ha avviato le procedure per la conversione della centrale da petrolio a carbone, incontrando su questa strada la forte opposizione di larga parte della popolazione, non solo per ragioni strettamente ecologiche, dato che la centrale si trova nel cuore del Parco del Delta del Po, ma anche di un più opportuno utilizzo del territorio che si presta allo sviluppo turistico, dell'agricoltura intensiva e della pesca, attività che appaiono del tutto incompatibili con il permanere di un impianto di produzione energetica di tale impatto. A causa dei mutati scenari energetici la centrale è inattiva dal 2015 e il suo personale è stato dislocato presso altri impianti. Enel ha indetto un progetto di riconversione dell'area tramite il progetto Futur-e. Il 29 giugno 2019 la Rai ha presentato l'accordo tra Regione Veneto ed Enel per trasformare il sito in un villaggio turistico. Turismo Oltre al Delta del Po, in provincia di Rovigo sono presenti altre tipologie di siti turistici. Tra quelli balneari, rilevanti sono Rosolina Mare e l'Isola di Albarella. Sotto l'aspetto architettonico, senz'altro degni di nota sono il bel borgo di Fratta Polesine, ricco di ville, fra le quali la nota Villa Badoer, progettata dall'architetto Andrea Palladio, il centro storico e l'abbazia della Vangadizza a Badia Polesine, la cittadina di Loreo dall'aspetto veneziano, conosciuta come l'antica capitale del Delta, ricca di opere architettoniche e pittoriche di artisti di pregio come Baldassarre Longhena. Riveste un certo interesse turistico anche il centro storico di Rovigo, un tempo interamente cinto da mura, con il castello medievale ed alcuni palazzi nobiliari ed il centro storico di Lendinara, attraversato dal corso dell'Adigetto. Per il turismo culturale, degni di nota sono il Museo Archeologico Nazionale di Adria, il Museo dei Grandi Fiumi, la pinacoteca di Palazzo Roverella a Rovigo e la Collezione Eugenio Balzan presso il Teatro Sociale di Badia Polesine. Amministrazione Presidenti della Provincia dal 1951 Note Voci correlate Polesine Sistema Museale Provinciale Polesine (SMPP) Delta del Po Rovigo Alluvione del Polesine del novembre 1951 Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Provincia%20del%20Medio%20Campidano
Provincia del Medio Campidano
La provincia del Medio Campidano (provìntzia de su Campidanu de Mesu in sardo) è una provincia italiana della Sardegna in corso di attivazione. Istituita una prima volta nel 2001, fu attiva tra il 2005 e il 2016, la provincia contava nella sua prima accezione ventotto comuni del Campidano centro-occidentale, poi passati alla provincia del Sud Sardegna. Geografia fisica Affacciata a ovest sul mar di Sardegna, la provincia del Medio Campidano confina a nord con la provincia di Oristano, a est e sud con la città metropolitana di Cagliari, e a sud con la provincia del Sulcis Iglesiente. Nella sua estensione originaria la provincia si estendeva per 1 516 km² (il 6,29% del territorio sardo). Storia L'origine della provincia risale al Regio Editto del 4 maggio 1807, con il quale la Sardegna fu divisa in quindici prefetture, tra cui quella comprendente la regione storico-geografica del Medio Campidano, con sede a Villacidro. Nel 1821 Carlo Alberto riduce il numero delle province a dieci e aggrega la prefettura di Villacidro alla Provincia di Iglesias, soggetta al tribunale di prefettura di Cagliari e alla vice-intendenza di Cagliari. Anche dopo la riforma operata a seguito della "fusione perfetta" della Sardegna al Piemonte, con la legge n. 807 del 12 agosto 1848 il Medio Campidano rimane compreso nella Provincia d'Iglesias, nella "divisione" di Cagliari (unitamente alle province di Cagliari e Isili). Con l'unità d'Italia e la legge Rattazzi n. 3702 del 23 ottobre 1859 la Sardegna fu suddivisa in sole due province, e il circondario di Iglesias (sede di sottoprefettura), di cui il Medio Campidano faceva parte, fu compreso nella Provincia di Cagliari. Nel 1927 sono stati soppressi i circondari. Negli anni novanta, con l'accantonamento dell'istituzione dell'Area Metropolitana di Cagliari (che avrebbe comportato l'automatico distacco della restante parte della Provincia di Cagliari) e la riorganizzazione di alcuni enti regionali, vengono creati, con sede a Sanluri, dei servizi decentrati per la parte settentrionale della provincia (tra cui l'ASL), che si aggiungono a quelli esistenti nelle "aree-programma" storiche che già da diversi anni rivendicavano l'autonomia provinciale (Olbia-Tempio, l'Ogliastra e Carbonia-Iglesias). Si comincia così a delineare la prospettiva dell'istituzione di un ulteriore ambito di decentramento in questa regione, pur in assenza di un centro urbano di riferimento territoriale. Nel 2001 la Regione Autonoma della Sardegna ha istituito la provincia del Medio Campidano, che è divenuta operativa nel maggio del 2005, separandosi da quella di Cagliari. In seguito alla legge regionale n. 9 del 2001 e successive integrazioni fu effettuata una nuova ripartizione del territorio della Regione Autonoma della Sardegna, che portò il numero delle province da quattro a otto. Le modifiche hanno assunto piena operatività a partire dal maggio 2005, quando si sono svolte le elezioni per rinnovare tutti i consigli provinciali. La Provincia del Medio Campidano fu costituita da 28 comuni, tutti provenienti dalla Provincia di Cagliari. Il 18 gennaio 2006 il consiglio provinciale, con la maggioranza dei 2/3, ha formalmente deciso che la provincia sarebbe stata dotata di doppio capoluogo: Sanluri (già sede provvisoria) designata come sede della presidenza, della giunta e sede legale, mentre Villacidro (il comune più popoloso della provincia) ospitò il consiglio provinciale e le relative commissioni. Il Medio Campidano è stato la seconda nuova provincia sarda a formalizzare la scelta dei capoluoghi, dopo quella di Carbonia-Iglesias (la scelta era stata appunto demandata, con legge regionale, ai consigli provinciali). Il Dipartimento Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'Economia, con circolare prot. 2006/189860, comunicarono di avere definito la sigla identificativa della provincia in VS (acronimo di Villacidro-Sanluri), modificando la sigla provvisoria (MD) originariamente assunta anche dalle Poste e dall'Agenzia delle Dogane. In seguito ai referendum del 2012 e al progetto di abolizione o riforma delle province in Sardegna approvato dal Consiglio Regionale il 24 maggio 2012, aveva avvio l'iter di dismissione dell'ente, che con la legge regionale n. 15 del 28 giugno 2013 veniva commissariato a partire dal 1º luglio 2013. Con l'approvazione della legge regionale n. 2 del 4 febbraio 2016 veniva ufficialmente stabilita la fine dell'ente, concretizzatasi il 20 aprile successivo col passaggio del territorio amministrato dall'ente alla provincia del Sud Sardegna. Una nuova riforma della suddivisione provinciale sarda del 2021 tuttavia ripristinava di fatto lo schema territoriale pre-2016, reistituendo tra le altre la provincia del Medio Campidano a partire dal 16 aprile 2021. Amministrazione Negli undici anni in cui fu attiva la provincia è stata amministrata da un unico presidente eletto dalla popolazione locale (Fulvio Tocco, eletto per due mandati), prima dell'avvio della dismissione della provincia che fu retta negli ultimi anni da commissari di nomina regionale: Comuni I comuni assegnati a questa provincia dalla legge regionale n° 9 del 12 luglio 2001 furono ventotto: Arbus, Barumini, Collinas, Furtei, Genuri, Gesturi, Gonnosfanadiga, Guspini, Las Plassas, Lunamatrona, Pabillonis, Pauli Arbarei, Samassi, San Gavino Monreale, Sanluri, Sardara, Segariu, Serramanna, Serrenti, Setzu, Siddi, Tuili, Turri, Ussaramanna, Villacidro, Villamar, Villanovaforru, Villanovafranca, tutti compresi in precedenza nella Provincia di Cagliari. Lo scorporo da quest'ultima è avvenuto con le elezioni del 2005, quando la nuova provincia è diventata operativa. Con il ripristino della provincia nel 2021 furono inizialmente ricompresi nell'ente gli stessi comuni sopraccitati. Note Voci correlate Campidano Iglesiente Istituzione di nuove province in Sardegna nel 2001 Provincia del Sud Sardegna Provincia di Cagliari Provincia di Carbonia-Iglesias Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Puffinus
Puffinus
Puffinus è un genere di uccelli marini della famiglia Procellariidae. Tassonomia Comprende le seguenti specie: Puffinus nativitatis – berta di Christmas Puffinus puffinus () – berta minore Puffinus yelkouan () – berta minore mediterranea Puffinus mauretanicus – berta delle Baleari Puffinus bryani – berta di Bryan Puffinus opisthomelas – berta culnero Puffinus auricularis – berta di Townsend Puffinus newelli – berta di Newell Puffinus myrtae – berta di Rapa Puffinus gavia () – berta frullina Puffinus huttoni – berta di Hutton Puffinus lherminieri – berta di Audubon Puffinus persicus – berta persiana Puffinus bailloni – berta di Baillon Puffinus subalaris – berta delle Galapagos Puffinus bannermani – berta di Bannerman Puffinus heinrothi – berta di Heinroth Puffinus assimilis – berta minore fosca Puffinus baroli () – berta della Macaronesia Puffinus elegans – berta subantartica Puffinus boydi – berta di Boyd Sinonimi In passato venivano attribuite al genere Puffinus anche le seguenti specie: Puffinus pacificus = Ardenna pacifica Puffinus bulleri = Ardenna bulleri Puffinus griseus = Ardenna grisea Puffinus tenuirostris = Ardenna tenuirostris Puffinus creatopus = Ardenna creatopus Puffinus carneipes = Ardenna carneipes Puffinus gravis = Ardenna gravis Note Altri progetti Collegamenti esterni Procellariidae
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https://it.wikipedia.org/wiki/Procellariiformes
Procellariiformes
I Procellariformi (Procellariiformes ) sono un ordine di uccelli marini. Tassonomia L'ordine comprende 147 specie in 4 famiglie: Famiglia Oceanitidae (9 specie) Genere Oceanites (3 spp.) Genere Garrodia (1 sp.) Genere Pelagodroma (1 sp.) Genere Fregetta (3 spp.) Genere Nesofregetta (1 sp.) Famiglia Diomedeidae (21 specie) Genere Phoebastria (4 spp.) Genere Diomedea (6 spp.) Genere Phoebetria (2 spp.) Genere Thalassarche (9 spp.) Famiglia Hydrobatidae (18 specie) Genere Hydrobates (1 sp.) Genere Oceanodroma (17 spp.) Famiglia Procellariidae (99 specie) Genere Macronectes (2 spp.) Genere Fulmarus (2 spp.) Genere Thalassoica (1 sp.) Genere Daption (1 sp.) Genere Pagodroma (1 sp.) Genere Halobaena (1 sp.) Genere Pachyptila (6 spp.) Genere Aphrodroma (1 sp.) Genere Pterodroma (35 spp.) Genere Pseudobulweria (5 spp.) Genere Procellaria (5 spp.) Genere Calonectris (4 spp.) Genere Ardenna (7 spp.) Genere Puffinus (21 spp.) Genere Pelecanoides (4 spp.) Genere Bulweria (3 spp.) Alcune specie Note Altri progetti Collegamenti esterni
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Procellariidae
I Procellaridi (Procellariidae ) sono una famiglia di uccelli marini dell'ordine Procellariiformes. Biologia Nidificano su pareti rocciose o in cavità. Salvo nel periodo di nidificazione, rimangono sempre sul mare. Tassonomia La famiglia comprende 99 specie: Genere Macronectes Macronectes giganteus () – ossifraga del sud Macronectes halli - ossifraga del nord Genere Fulmarus Fulmarus glacialis () – fulmaro boreale Fulmarus glacialoides () – fulmaro australe Genere Thalassoica Thalassoica antarctica () – petrello antartico Genere Daption Daption capense () – petrello del Capo Genere Pagodroma Pagodroma nivea () – petrello delle nevi Genere Halobaena Halobaena caerulea () – petrello azzurro Genere Pachyptila Pachyptila vittata () – prione beccolargo Pachyptila salvini () – prione di Salvin Pachyptila desolata () – prione antartico Pachyptila belcheri () – prione beccosottile Pachyptila turtur () – prione fatato Pachyptila crassirostris () – prione fulmaro Genere Aphrodroma Aphrodroma brevirostris () – petrello delle Kerguelen Genere Pterodroma Pterodroma macroptera () – petrello aligrandi Pterodroma lessonii () – petrello testabianca Pterodroma gouldi () – Pterodroma incerta () – petrello dell'Atlantico Pterodroma solandri () – petrello di Solander Pterodroma magentae () – petrello della Magenta Pterodroma ultima – petrello di Murphy Pterodroma mollis () – petrello piumoso Pterodroma madeira – petrello di Madeira Pterodroma feae () – petrello di Capo Verde Pterodroma deserta – petrello delle Desertas Pterodroma cahow () – petrello delle Bermuda Pterodroma hasitata () – petrello capinero Pterodroma caribbaea – petrello della Giamaica Pterodroma externa () – petrello di Juan Fernandez Pterodroma occulta – petrello delle Vanuatu Pterodroma neglecta () – petrello di Kermadec Pterodroma heraldica () – petrello di Tonga Pterodroma arminjoniana () – petrello araldo Pterodroma atrata () – petrello di Henderson Pterodroma alba () – petrello delle Phoenix Pterodroma baraui () – petrello di Barau Pterodroma sandwichensis () – petrello delle Hawaii Pterodroma phaeopygia () – petrello delle Galapagos Pterodroma inexpectata () – petrello maculato Pterodroma cervicalis () – petrello collobianco Pterodroma nigripennis () – petrello alinere Pterodroma axillaris () – petrello delle Chatham Pterodroma hypoleuca () – petrello delle Isole Bonin Pterodroma leucoptera () – petrello di Gould Pterodroma brevipes () – petrello dal collare Pterodroma cookii () – petrello di Cook Pterodroma defilippiana () – petrello di Defilippe Pterodroma longirostris () – petrello di Stejneger Pterodroma pycrofti – petrello di Pycroft Genere Pseudobulweria Pseudobulweria aterrima () – petrello delle Mascarene Pseudobulweria rupinarum () Pseudobulweria rostrata () – petrello di Tahiti Pseudobulweria becki () Pseudobulweria macgillivrayi () – petrello delle Figi Genere Procellaria Procellaria cinerea – petrello grigio Procellaria aequinoctialis – petrello mentobianco Procellaria conspicillata – petrello dagli occhiali Procellaria parkinsoni – petrello di Parkinson Procellaria westlandica – petrello del Westland Genere Calonectris Calonectris leucomelas () – berta striata Calonectris diomedea () – berta maggiore Calonectris borealis () - berta maggiore atlantica Calonectris edwardsii () – berta di Capo Verde Genere Ardenna Ardenna pacifica () – berta cuneata o berta del Pacifico Ardenna bulleri () – berta di Buller Ardenna grisea () – berta grigia Ardenna tenuirostris () – berta codacorta Ardenna creatopus () – berta piedirosa Ardenna carneipes () – berta piedicarnicini Ardenna gravis () – berta dell'Atlantico Genere Puffinus Puffinus nativitatis – berta di Christmas Puffinus puffinus () – berta minore Puffinus yelkouan () – berta minore mediterranea Puffinus mauretanicus – berta delle Baleari Puffinus bryani – berta di Bryan Puffinus opisthomelas – berta culnero Puffinus auricularis – berta di Townsend Puffinus newelli – berta di Newell Puffinus myrtae – Puffinus gavia () – berta frullina Puffinus huttoni – berta di Hutton Puffinus lherminieri – berta di Audubon Puffinus persicus – berta persiana Puffinus bailloni – berta di Baillon Puffinus subalaris – berta delle Galapagos Puffinus bannermani – berta di Bannerman Puffinus heinrothi – berta di Heinroth Puffinus assimilis – berta minore fosca Puffinus elegans – Puffinus baroli () – berta della Macaronesia Puffinus boydi – berta di Boyd Genere Pelecanoides Pelecanoides garnotii () – petrello tuffatore del Perù Pelecanoides magellani () – petrello tuffatore di Magellano Pelecanoides georgicus – petrello tuffatore della Georgia del sud Pelecanoides urinatrix () – petrello tuffatore comune Genere Bulweria Bulweria bulwerii () – berta di Bulwer Bulweria bifax - berta di Olson † Bulweria fallax – berta di Jouanin Note Altri progetti Collegamenti esterni Taxa classificati da William Elford Leach
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Python
Python è un linguaggio di programmazione di "alto livello", orientato a oggetti, adatto, tra gli altri usi, a sviluppare applicazioni distribuite, scripting, computazione numerica e system testing. Ideato da Guido van Rossum all'inizio degli anni novanta, è spesso paragonato a Ruby, Tcl, Perl, JavaScript, Visual Basic o Scheme. Il nome fu scelto per la passione dello stesso inventore verso i Monty Python e per la loro serie televisiva Monty Python's Flying Circus. Spesso viene anche studiato tra i primi linguaggi per la sua somiglianza a uno pseudo-codice e di frequente viene usato per simulare la creazione di software grazie alla flessibilità di sperimentazione consentita da Python, che permette al programmatore di organizzare le idee durante lo sviluppo, come per esempio il creare un gioco tramite Pygame oppure il back-end di un sito web tramite Flask o Django. Python dispone anche di una sezione grafica, il modulo Python Turtle Graphics, che permette di applicare le righe di codici alla grafica. Descrizione È un linguaggio multi-paradigma che ha tra i principali obiettivi: dinamicità, semplicità e flessibilità. Supporta il paradigma object oriented, la programmazione strutturata e molte caratteristiche di programmazione funzionale e riflessione. Le caratteristiche più immediatamente riconoscibili di Python sono le variabili non tipizzate e l'uso dell'indentazione per la sintassi delle specifiche, al posto delle più comuni parentesi. Altre caratteristiche distintive sono l'overloading di operatori e funzioni tramite delegati, la presenza di un ricco assortimento di tipi e funzioni di base e librerie standard, sintassi avanzate quali slicing e list comprehension. Il controllo dei tipi è forte (strong typing) e viene eseguito in runtime (dynamic typing): una variabile è un contenitore a cui viene associata un'etichetta (il nome) che può essere associata a diversi contenitori anche di tipo diverso durante il suo tempo di vita. Fa parte di Python un sistema garbage collector per liberazione e recupero automatico della memoria di lavoro. Python ha qualche somiglianza con Perl, ma i suoi progettisti hanno scelto una sintassi più essenziale e uniforme con l'obiettivo di migliorare la leggibilità del codice. Analogamente a Perl è classificato spesso come linguaggio di scripting, ma pur essendo utile per scrivere script di sistema, in alternativa per esempio a bash, la grande quantità di librerie disponibili e la facilità con cui il linguaggio permette di scrivere software modulare favoriscono anche lo sviluppo di applicazioni molto complesse. Altre caratteristiche Sebbene Python venga in genere considerato un linguaggio interpretato, in realtà il codice sorgente non viene convertito direttamente in linguaggio macchina. Infatti passa prima da una fase di pre-compilazione in bytecode, che viene quasi sempre riutilizzato dopo la prima esecuzione del programma, evitando così di reinterpretare ogni volta il sorgente e migliorando le prestazioni. Inoltre è possibile distribuire programmi Python direttamente in bytecode, saltando totalmente la fase di interpretazione da parte dell'utilizzatore finale e ottenendo programmi Python a sorgente chiuso. Come il linguaggio Lisp e a differenza del Perl, l'interprete Python supporta anche un modo d'uso interattivo (REPL) attraverso cui è possibile inserire codice direttamente da un terminale, visualizzando immediatamente il risultato. Inoltre l'interprete Python è contenuto nella libreria standard, perciò come in molti altri linguaggi interpretati è possibile far valutare stringhe arbitrarie nel contesto corrente. È possibile passare all'interprete anche un contesto completamente diverso, sotto forma di liste che contengono l'elenco dei simboli definiti. Python dispone anche di un framework per lo unit testing che supporta lo sviluppo di test unitari automatici. Prestazioni Se paragonato ai linguaggi compilati statically typed, come ad esempio il C, la velocità di esecuzione non è uno dei punti di forza di Python, specie nel calcolo matematico. Inoltre, il programma si basa unicamente su un core, ed il multi-threading è presente al solo livello astratto. Esisteva un'estensione, Psyco, il cui sviluppo è terminato nel 2012, che era una sorta di compilatore JIT, in grado di velocizzare in modo notevole alcuni tipi di codice, specialmente l'implementazione di algoritmi, a scapito dell'aumento di memoria utilizzata. Un progetto attuale e attivamente sviluppato per migliorare le prestazioni del codice Python grazie a un compilatore JIT è PyPy. Python permette di aggirare in modo facile l'ostacolo delle performance pure: è infatti relativamente semplice scrivere un'estensione in C o C++ e poi utilizzarla all'interno di Python, sfruttando così l'elevata velocità di un linguaggio compilato solo nelle parti in cui effettivamente serve e sfruttando invece la potenza e versatilità di Python per tutto il resto del software. Altre implementazioni Sono attualmente disponibili le seguenti implementazioni di Python: Jython, in linguaggio Java; IronPython, per la piattaforma Microsoft .NET; Python for S60, per i dispositivi con sistema operativo Symbian; PyPy: scritta in Python stesso. Ha tra i principali obiettivi la semplificazione dello sviluppo del linguaggio e la sua ottimizzazione in termini prestazionali; Il compilatore di Python Online sul sito Repl.it può eseguire programmi in diverse versioni di Python e consente di salvare i file online. Lo Scripting Layer for Android (SL4A) per il sistema operativo Android include l'interprete Python 2.6.2. DelphiVCL for Python, in linguaggio Delphi (Object Pascal) Tipi di dati e strutture Essendo Python a tipizzazione dinamica, tutte le variabili sono, in realtà, puntatori a oggetto. Per esempio, se a una variabile è assegnato un valore numerico intero, subito dopo può essere assegnata una stringa o una lista. Gli oggetti sono invece dotati di tipo. Python prevede un moderato controllo dei tipi al momento dell'esecuzione, ovvero runtime. I tipi numerici godono di conversione implicita perciò è possibile, per esempio, moltiplicare un numero complesso per un intero. Non esiste invece conversione implicita tra numeri e stringhe alfanumeriche; perciò un numero è un argomento non valido per le operazioni su stringhe, a differenza di quanto avviene per esempio in linguaggio PHP. Python dispone di vari modelli/librerie da utilizzare per fornire funzionalità senza dovere scrivere codice, come per esempio il modulo turtle graphics (per disegnare), copy (per creare copie di oggetti), random (per generare numeri casuali), sys (per interagire da riga di comandi con l'interprete) e time (per operare con unità di tempo e date). Python mette a disposizione un gran numero di tipi base, essenzialmente numerici e contenitori. Caratteristica distintiva è il supporto nativo, oltre che ai classici tipi quali interi, floating point (numeri con virgola mobile) e stringhe alfanumeriche, anche a tipi più evoluti quali interi a grandezza arbitraria, numeri complessi, liste, insiemi e dizionari. Non è invece previsto un tipo specifico per i caratteri. Molti altri tipi sono importabili da librerie standard e nuovi tipi possono essere creati attraverso le classi. Turtle Graphics Il modulo turtle, come le altre librerie, è importabile con l'apposita funzione Import, scrivendo nel codice sorgente:import turtle from turtle import Turtle, ScreenI comandi scritti sopra rendono disponibili gli oggetti Turtle e Screen, le cui funzioni possono essere assegnate a degli oggetti veri e propri come di seguito:from turtle import Turtle, Screen #così si importano una turtle (la penna di python) e il rispettivo schermo. Sfondo = Screen() #così si assegna a Sfondo ogni funzione e proprietà di Screen. Penna = Turtle() #questa sarà la Penna. #naturalmente ogni nome di oggetto può essere assegnato alla turtle e allo screen e modificato nel corso del programma.Tutte le funzioni dello sfondo e della penna possono essere usate richiamandole come nel codice sotto:Penna.circle(5) #ad esempio la funzione circle creerà un cerchio che abbia come raggio il valore tra parentesi #la funzione setcolor (sia riferita alla turtle che allo sfondo) ne determina il colore Sfondo.setcolor("orange") #utilizzando il nome del colore desiderato Sfondo.setcolor("FFFFFF") #o scrivendo in RGB esadecimale il colore in questione Tipi numerici I tipi interi (int) e floating point (float) hanno una dimensione dipendente dall'hardware e dall'implementazione dell'interprete, in genere 32 e 64 bit. Sono previsti, in modo nativo, numeri interi arbitrariamente grandi (long, che diventano l'opzione di default per gli interi a partire da Python 3.0) e numeri complessi (complex). Python prevede tutti i principali operatori logici e aritmetici fra numeri, compreso l'elevamento a potenza. Il tipo booleano (bool) appartiene anch'esso alla categoria dei numeri. Dalla versione 2.4 di Python sono disponibili come libreria anche i numeri decimali (decimal), ossia numeri in virgola mobile con precisione illimitata, come quelli disponibili in REXX o in Cobol, che non soffrono di problemi di arrotondamento e stabilità tipici dei numeri floating point classici. Contenitori Python considera in generale come contenitori gli oggetti che prevedono la possibilità di iterare su un insieme di elementi, perciò utilizzabili all'interno di contesti quali il ciclo for e funzioni quali somma, ricerca e ordinamento. I contenitori in genere permettono di contenere dati di tipo eterogeneo. Per quanto riguarda i contenitori standard propriamente detti, sono classificabili come sequenze, insiemi e dizionari. I contenitori seguono una filosofia comune e condividono gran parte dei metodi. Le sequenze sono contenitori ordinati, che condividono metodi basati sull'ordinamento, l'indicizzazione intera e la creazione di sottosequenze tramite slicing. Le liste (list) sono sequenze estendibili, mentre le tuple (tuple) sono sequenze immutabili. Anche le stringhe alfanumeriche (str e unicode) sono considerate sequenze. A partire da Python 3.0, i tipi str e unicode sono unificati e compare il tipo byte, equivalente grosso modo a una stringa binaria. Sono previste tutte le operazioni classiche sulle stringhe come concatenamento, formattazione, ricerca, sostituzione e così via. Le stringhe in Python sono sequenze immutabili, cosicché qualsiasi operazione che in qualche modo potrebbe alterare una stringa, per esempio la sostituzione di un carattere, restituisce in effetti una nuova stringa, come avviene in Java e in C#. Altri contenitori sono i dizionari (dict), conosciuti in altri contesti con il nome di hash table oppure array associativi. Esiste una sintassi per la creazione di dizionari, i cui elementi sono specificati da una coppia di dati separati da due punti ':'. Il primo elemento della coppia rappresenta l'indice, detto "chiave", e il secondo è il suo valore corrispondente. Infatti ogni elemento di un dizionario è detto anche "coppia chiave-valore". Per esempio l'istruzione seguente crea un dizionario identificato come diz composto da due elementi le cui chiavi sono wikipedia e wikiquote, rispettivamente e con associati i valori interi 40 e 60: diz = {'wikipedia': 40, 'wikiquote': 60} Le chiavi in un dizionario sono immutabili, mentre il valore corrispondente a ciascuna chiave è alterabile tramite un'assegnazione. La seguente istruzione modifica il valore corrispondente a "wikipedia", portandolo a 4500: diz['wikipedia'] = 4500 A partire dalla versione 2.7 di Python sono supportati anche gli insiemi (set e frozenset), ovvero insiemi non ordinati di oggetti hashable. Organizzazione a oggetti Il sistema dei tipi Python è ben integrato con il sistema delle classi. Anche se i tipi base non sono formalmente classi, come per esempio in C#, una classe può comunque ereditare da essi. In questo modo è possibile estendere stringhe, dizionari e perfino gli interi. È inoltre supportata l'ereditarietà multipla. Vengono supportate anche funzionalità estensive di introspezione sui tipi e sulle classi. I tipi e le classi sono a loro volta oggetti che possono essere esplorati e confrontati. Gli attributi sono gestiti in un dizionario. Sintassi Python è stato progettato in modo da risultare facilmente leggibile e scrivibile. Visivamente si presenta in modo lineare e pulito, con pochi costrutti sintattici rispetto ad altri linguaggi strutturati come per esempio C, Perl o Pascal. Per esempio, Python ha solo due forme di ciclo: for che itera sugli elementi di una lista o su un iteratore (equivalente al foreach di Perl o PHP) e while che cicla fintanto che l'espressione booleana specificata risulterà vera. In sostanza manca dei cicli in stile C for, do while e until, ma tutti questi possono essere espressi con dei semplici equivalenti. Allo stesso modo ha solamente il costrutto if elif else per le scelte condizionate, ma non possiede né switch né goto. Indentazione Un aspetto inusuale del Python è il metodo che usa per delimitare i blocchi di programma, che lo rende unico fra i linguaggi più diffusi. Nei linguaggi derivati dall'ALGOL come Pascal, C e Perl, i blocchi di codice sono indicati con parentesi oppure con parole chiave; per esempio il C e il Perl usano { } mentre il Pascal usa begin e end. In questi linguaggi è solo una pura convenzione degli sviluppatori indentare (ovvero "fare rientrare" dal margine sinistro della pagina) il codice sorgente interno a un blocco per migliorarne la leggibilità e chiarire la struttura del flusso di esecuzione. Invece Python deriva il suo sistema di indentazione dal meno noto linguaggio di programmazione Occam: invece di usare parentesi o parole chiave, usa lindentazione stessa per indicare i blocchi nidificati in congiunzione col carattere "due punti" (:). In Python si possono usare sia una tabulazione sia un numero arbitrario di spazi, purché ovviamente siano usati in modo congruente con la sintassi del linguaggio. L'esempio che segue chiarisce questo aspetto, mostrando la versione in C e in Python di funzioni per il calcolo del fattoriale di un numero intero.Fattoriale in C:int fattoriale(int x) { if (x == 0) return 1; else return x * fattoriale(x-1); }Funzione Fattoriale in Python:def fattoriale(x): if x == 0: return 1 else: return x * fattoriale(x-1) All'inizio questo modo di indicare i blocchi e esprimere la sintassi può confondere le idee a chi viene da altri linguaggi, ma poi si rivela molto vantaggioso, perché risulta conciso e obbliga a scrivere sorgenti indentati correttamente, aumentando così la leggibilità del codice. Lo svantaggio è che la gestione degli spazi e dei caratteri di tabulazione può essere diversa da un editor di testo all'altro, il che costringe a prestare bene attenzione nell'indentare il codice oppure ad affidarsi alle funzioni di indentazione automatica ormai presenti nella maggior parte degli editor di programmi. Può anche capitare di lavorare con editor di codice sorgente diversi, su vari computer, e ritrovarsi così con codice sorgente che usa in modo misto tabulazioni e spazi, accorgendosi dell'errore solo in fase di esecuzione. Python permette anche alcune scorciatoie per scrivere codice "più" sulla stessa riga. Se i due punti (:) danno il via a un blocco indentato di una sola riga: la possiamo spostare a seguito di uno spazio dopo. if b > a: print("b is greater than a") Sebbene decisamente poco apprezzabile per i puristi del linguaggio Python, è comunque possibile usare il "punto e virgola" (;) come in grande parte dei linguaggi di programmazione per indicare che un'istruzione è conclusa, e cominciarne un'altra sulla stessa riga.a = b + 10; print("Hello world"); b = 243 - 23; Programmazione funzionale e sintassi avanzate Un altro punto di forza di Python è la disponibilità di elementi che facilitano la programmazione funzionale. Le funzioni sono considerate degli oggetti e sono dunque utilizzabili alla stregua di qualsiasi altro oggetto, ad esempio inserendole in collezioni o utilizzandole direttamente come parametri per altre funzioni. Gli elementi di programmazione funzionale, insieme a costrutti specifici per la manipolazione di contenitori, rendono ancora più comodo operare con liste o altri tipi contenitore. Gli slicing sono un costrutto simile all'indicizzazione in grado di ottenere sottosequenze specificando gli indici di inizio, di fine, e lo 'step'. numeri = [1, 2, 3, 4, 5] numeri_pari = numeri[1::2] # esempio di slicing La list comprehension è un costrutto preso dal linguaggio funzionale Haskell e consente il "riempimento" di una lista - usando una sintassi apposita - come possiamo vedere nel seguente esempio in cui vengono calcolate le prime cinque potenze di due: numeri = [1, 2, 3, 4, 5] potenze_di_due = [2 ** n for n in numeri] # esempio di list comprehension I generatori sono invece dei particolari oggetti in grado di costruire delle collezioni in maniera dinamica, utili per aumentare l'efficienza in particolare presenza di iterazioni su un gran numero di elementi. Le generator expression, simili alle list comprehension, sono uno strumento rapido ed efficace per creare generatori. La parola chiave yield permette di creare generatori con una sintassi del tutto simile a quella di una funzione. Passiamo a qualche esempio; generator expression: numeri = [1, 2, 3, 4, 5] potenze_di_due = (2 ** n for n in numeri) # generatore Oppure, per avere un maggiore controllo, come una normale funzione, possiamo usare la parola chiave yield al posto di return, per trasformare la nostra funzione in un generatore. In questo modo la funzione 'salva' il suo stato, per poi riprendere l'esecuzione del codice quando viene richiamato il valore dello yield successivo. numeri = [1, 2, 3, 4, 5] def potenza_di_due(numeri): for n in numeri: yield 2 ** n gen = potenza_di_due(numeri) L'uso è identico. Si chiama la funzione next che restituisce un nuovo valore ogni volta, riprendendo l'esecuzione del codice dalla parola chiave yield. Quando i valori sono finiti, viene sollevata un'eccezione StopIterationError. In ogni caso, non è l'unico modo di interagire con i generatori, e si può risalire ai data passati allo yeld della funzione in questo modo: gen = (2 ** n for n in range(1, 6)) for x in gen: print(x) Per creare una lista da un generatore, si usa semplicemente la chiamata list(gen): gen = (2 ** n for n in range(1, 6)) print(list(gen)) I generatori sono preferiti alle liste in quanto non occupano memoria, dato che i valori sono semplicemente calcolati di volta in volta e non permangono in memoria. Per questo è consigliabile usare, per esempio, xrange (che è un generatore) al posto di range (che restituisce una lista) con numeri molto grandi, per garantire una maggiore velocità È anche possibile scrivere espressioni if...else su una sola riga, cosa che risulta utile in combinazione con le lambda (vedi sotto). import random l = [1, 2] a = random.choice(l) print('Giusto!' if a == 1 else 'Sbagliato!') Dal momento che Python permette di avere funzioni come argomenti, è anche possibile avere costrutti funzionali più sottili, come ad esempio la continuazione.. In Python esiste la parola chiave lambda, particolarmente utile in contesti dove è necessario svolgere piccole operazioni che probabilmente saranno effettuate solo in quella zona del codice: >>> l = [1, 2,3,4,5] # oppure range(1,6) >>> print(map(lambda x: x + 10, l)) [11, 12, 13, 14, 15] Questo uso di map però è contestato e si preferisce usare le list-comprehension: >>> l = [1, 2, 3, 4, 5] # oppure range(1,6) >>> print([x + 10 for x in l]) [11, 12, 13, 14, 15] Tuttavia i blocchi lambda possono contenere solo espressioni, non statement. Non sono quindi il modo più generale per restituire una funzione. Si può usare invece la seguente tecnica che restituisce una funzione il cui nome è definito in uno scope locale, ovvero una closure: def multiple_adder(x, y): def adder(z): return z + x + y return(x + y + adder(x + y)) # sarebbe (x + y) * 3 Decoratori Un decoratore è qualsiasi oggetto di Python invocabile usato per aggiungere codice all'inizio o al termine di una funzione, un metodo o una definizione di classe, senza modificarne internamente il codice. Un decoratore è passato all'oggetto e ritorna l'oggetto modificato. I decoratori sono ispirati in parte dalla notazione Java, hanno una sintassi simile e considerati zucchero sintattico. Usano @ come parola chiave: @viking_chorus def menu_item(): print("spam") I decoratori possono essere a catena posizionandone diversi in linee adiacenti: @invincible @favorite_color("Blue") def black_knight(): pass ed è equivalente a: def black_knight(): pass black_knight = invincible(favorite_color("Blue")(black_knight)) La struttura standard del decoratore è: def favorite_color(color): def decorator(func): def wrapper(): print(color) func() return wrapper return decorator Commenti Analogamente ad altri linguaggi di programmazione, in Python è possibile lasciare dei commenti nelle righe di codice per comprendere meglio ciò che accade eseguendo il programma. In Python i commenti (già a partire dalle primissime versioni del linguaggio di programmazione) si introducono con il simbolo "#" per non alterare il codice.print("qualcosa a caso") #questo programma stampa "qualcosa a caso" nella console ignorando tutto ciò che viene scritto dopo il simbolo "#" print("andando a caporiga l'effetto del cancelletto sparisce e il codice ha effetto sul programma") Spesso i commenti vengono utilizzati per il cosiddetto "Debugging" dato che riesce a far saltare delle specifiche linee di codice all'IDE. Un esempio pratico sarebbe: print("Questa riga stampa qualcosa alla console") # print("Questa invece, non stampa niente.") Questa forma di debugging serve per rimuovere provvisoriamente delle linee di codice, tenendole sotto commento per uso futuro. Gestione delle eccezioni Python supporta e usa estesamente la gestione delle eccezioni come mezzo per segnalare e controllare eventuali condizioni di errore, incluse le eccezioni generate dagli errori di sintassi. Le eccezioni permettono un controllo degli errori più conciso e affidabile rispetto a molti altri modi possibili usati in genere per segnalare errori o situazioni anomale. Le eccezioni sono thread-safe; non sovraccaricano il codice sorgente come fanno invece i controlli sui valori di errore restituiti e possono facilmente propagarsi verso l'alto nello stack delle chiamate a funzione quando un errore deve essere segnalato a un livello più alto del programma. Con la gestione delle eccezioni i controlli preventivi sono sostituiti da un più agevole meccanismo che permette di eseguire direttamente l'azione desiderata e catturare separatamente le eventuali eccezioni che si possono verificare. Oltre che per la gestione degli errori, in alcune occasioni le eccezioni sono usate in Python anche per il controllo di flusso: ad esempio l'operazione di iterazione, e di conseguenza il ciclo for, è basata su una segnalazione tramite eccezione. Libreria standard Python ha una vasta libreria standard, il che lo rende adatto a molti impieghi. Oltre ai moduli della libreria standard se ne possono aggiungere altri scritti in C oppure Python per soddisfare le proprie esigenze particolari. Tra i moduli già disponibili ve ne sono per scrivere applicazioni web: sono supportati MIME, HTTP e tutti gli altri standard Internet. Sono anche disponibili moduli per creare applicazioni con interfaccia grafica, per connettersi a database relazionali, per usare le espressioni regolari. La libreria standard è uno dei punti forti di Python. Infatti essa è compatibile con tutte le piattaforme, a eccezione di poche funzioni, segnalate chiaramente nella documentazione come specifiche di una piattaforma particolare. Esempi di programma Hello, world! Il seguente esempio di programma Python (versione 3.0) stampa il testo "Hello, world!": print("Hello, world!") Il seguente è lo stesso programma funzionante con la versione 2.7 o precedenti: print "Hello, world!" Creazione di un Socket, invio di richieste e ricevere dati import socket #creazions socket s = socket.socket() #connessione server(google) s.connect(("www.google.com", 80)) #la richiesta richiesta = richiesta = "GET / HTTP/1.1\nHost: www.google.com\n\n" #invio dati codificati s.send(richiesta.encode()) #ricevi dati (home page di google) dati = s.recv(2048) while len(dati) > 0: print(dati) dati = s.recv(2048) Formattazione Stringa ed Input a = input('Name: ') b = input('Last Name: ') c = input('Age: ') print(f"Name = {a}\nLast Name = {b}\nAge={c}") #ma puoi anche: print("Name ={}\nLast Name = {}\n Age = {}".format(a,b,c)) RGB binario, RGB esadecimale Il seguente esempio di programma Python (versione 3.8.5) converte con i dovuti passaggi delle percentuali di rosso, verde e blu, un input in un colore codificato in RGB:def RGB_bin(): import string percentage1 = input("red (%dex): ") percentage2 = input("green (%dex): ") percentage3 = input("blue (%dex): ") print("Coding in RGB a color with " + str(percentage1) + "% of red, " + str(percentage2) + "% of green and " + str(percentage3) + "% of blue...") print(str(percentage1) + " : 100 = X : 256, so X = " + str(percentage1) + " * 256 / 100." ) X = float(int(percentage1) * 256 /100) print(str(percentage2) + " : 100 = Y : 256, so Y = " + str(percentage2) + " * 256 / 100.") Y = float(int(percentage2) * 256 /100) print(str(percentage3) + " : 100 = Z : 256, so Z = " + str(percentage3) + " * 256 / 100.") Z = float(int(percentage3) * 256 /100) X = bin(int(X)) Y = bin(int(Y)) Z = bin(int(Z)) binary_colour = (str(X) + " " + str(Y) + " " + str(Z)) print("Colour coded by binary digits: " + str(binary_colour[2:])) def RGB_hex(): percentage1 = input("red (%dex): ") percentage2 = input("green (%dex): ") percentage3 = input("blue (%dex): ") print("Coding in RGB a color with " + str(percentage1) + "% of red, " + str(percentage2) + "% of green and " + str(percentage3) + "% of blue...") print(str(percentage1) + " : 100 = X : 256, so X = " + str(percentage1) + " * 256 / 100." ) R = float(int(percentage1) * 256 /100) print(str(percentage2) + " : 100 = Y : 256, so Y = " + str(percentage2) + " * 256 / 100.") G = float(int(percentage2) * 256 /100) print(str(percentage3) + " : 100 = Z : 256, so Z = " + str(percentage3) + " * 256 / 100.") B = float(int(percentage3) * 256 /100) R = hex(int(R)) G = hex(int(G)) B = hex(int(B)) hexadecimal_colour = (str(R) + " " + str(G) + " " + str(B)) print("Colour coded by hexadecimal digits: " + str(hexadecimal_colour[2:5]) + str(hexadecimal_colour[7:10]) + str(hexadecimal_colour[12:14]))L'output del codice sorgente sopra è il seguente:======== RESTART: D:\Python\Python\Python38-32\Python3.8.5 dal pc\RGB.py ======= >>> RGB_bin() red (%dex): 30 green (%dex): 40 blue (%dex): 20 Coding in RGB a color with 30% of red, 40% of green and 20% of blue... 30 : 100 = X : 256, so X = 30 * 256 / 100. 40 : 100 = Y : 256, so Y = 40 * 256 / 100. 20 : 100 = Z : 256, so Z = 20 * 256 / 100. Colour coded by binary digits: 1001100 0b1100110 0b110011 Definizione di una classe In Python è possibile creare classi attraverso un'istruzione specifica (class) che rappresenta l'alternativa più semplice, ma non esclusiva, per definire nuovi tipi di dato. Caratteristiche particolari in Python sono la possibilità di eredità multipla, la definizione di attributi tramite inizializzazione e non tramite dichiarazione, la dichiarazione esplicita del parametro riflessivo nei metodi d'istanza e l'overloading di funzioni e operatori. Il parametro riflessivo è per convenzione chiamato 'self', ma il linguaggio non impone alcuna restrizione in merito alla scelta. Nessuna restrizione è posta anche alla definizione degli attributi: gli attributi esistono dal momento in cui vengono assegnati e l'assegnazione può avvenire al momento della costruzione (metodo __init__, da preferire) oppure all'interno di altri metodi. Inoltre gli attributi possono essere aggiunti esternamente alla classe o direttamente a un oggetto. Python fa distinzione tra metodi d'istanza, di classe o statici. Gli attributi possono essere invece d'istanza o di classe. Il supporto all'information hiding è parziale, ma integrato dallo strumento delle property che permettono di definire degli attributi virtuali con le caratteristiche di accesso volute. Inoltre sono previsti dei metodi "speciali" associati a operatori e funzioni di built-in. Ad esempio, ridefinendo il metodo __add__ si ridefinisce l'operatore di addizione quando il primo operando sia del tipo definito, mentre __str__ ridefinisce la conversione a stringa. Non è invece permesso l'overloading dei metodi. Attraverso l'uso della riflessione e delle metaclassi è inoltre possibile personalizzare ulteriormente la definizione delle classi. Ad esempio una classe Persona, avente solo un semplice costruttore e un metodo che restituisce il nome completo. È caldamente consigliato creare solo classi "new style", ovvero classi che ereditano (direttamente o indirettamente) da object. A partire da Python 3.6, è possibile utilizzare una nuova funzione chiamata "f-strings". Anteponendo la lettera f'' prima delle virgolette che aprono la dichiarazione di una stringa, questa funzione viene attivata. Grazie a essa è possibile includere variabili all'interno di una stringa inserendo il loro nome tra parentesi graffe. In questo modo rendiamo il codice molto più leggibile senza dover utilizzare una serie di + per concatenare variabili e stringhe vuote. Inoltre, nel caso in cui volessimo includere una variabile o un oggetto non di tipo stringa, la conversione avverrà in automatico, risparmiando l'eccezione TypeError. class Persona(object): # Costruttore della classe def __init__(self, nome, cognome): self.nome = nome self.cognome = cognome def nome_completo(self): full = f'Sig. {self.cognome} {self.nome}' return full persona = Persona('Mario', 'Rossi') print(persona.nome_completo()) L'output presentato sarà il seguente: Sig. Rossi MarioNumeri perfetti fino a n''' L'output restituisce i numeri perfetti fino a n (inserito in print)."""Numeri perfetti""" def print_perfetti(n): """Stampa i numeri perfetti fino ad n""" for i in range(2, n + 1): somma = 0 for j in range(1, i // 2 + 1): # Oltre la metà + 1 non ci sono più divisori if i % j == 0: somma += j # Aggiungo a somma il divisore trovato #print(i, j, somma) # Stampa, se serve, i valori intermedi if somma == i: print(i, end=" ") print(print_perfetti()) Note Bibliografia Voci correlate Linguaggio di scripting MicroPython PyDev VPython Pandas (software) Altri progetti Collegamenti esterni Python.it - Sito italiano dedicato alla programmazione in Python Pensare da informatico Introduzione alla programmazione attraverso Python - Sito della conferenza italiana ufficiale su Python
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https://it.wikipedia.org/wiki/Libero%20consorzio%20comunale%20di%20Enna
Libero consorzio comunale di Enna
Il libero consorzio comunale di Enna è un libero consorzio comunale di abitanti della Sicilia, con capoluogo Enna. È subentrato nel 2015 alla soppressa provincia regionale di Enna. Al centro della regione e unico libero consorzio comunale della Sicilia senza sbocchi sul mare, confina a nord con la città metropolitana di Messina, a ovest con la città metropolitana di Palermo e il libero consorzio comunale di Caltanissetta, a est con la città metropolitana di Catania e a sud ancora con Caltanissetta e Catania. Insiste sul territorio, a Piazza Armerina, l'importante sito archeologico della Villa romana del Casale, dal 1997 Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO. Storia Dal neolitico alle radici sicane e sicule La storia di Enna, tra i centri sorti per primi, affonda radici nel Neolitico: nell'8000 a.C., infatti, era stata introdotta la coltivazione dell'ulivo nelle fertili colline attorno al lago di Pergusa, dove sorgevano villaggi con annesse necropoli, alcuni, come quello di Cozzo Matrice, tuttora conservatisi. Anche la città vera e propria conserva tracce di insediamenti preistorici, come quelli siti all'interno della Grotta della Guardiola, la maggiore tra le necropoli arroccate sulle pendici del monte su cui sorge Enna. Ma furono i Sicani a popolare stabilmente la zona, dopo esser fuggiti dall'Etna a causa delle eruzioni ed aver fondato proprio nel futuro capoluogo la loro più potente roccaforte militare. A questo popolo, che scelse Enna (chiamata En naan) per rifugiarsi e difendersi dall'incalzare dei Siculi, si deve il culto di Cerere, nota tra i Greci altresì come Demetra, e la conseguente coltivazione del grano. Morgantina e l'ellenizzazione del territorio Pressappoco nello stesso periodo, si sviluppò il più importante insediamento della Sicilia interna: Morgantina presso Aidone, che quando fu fondata agli inizi del I millennio a.C., per opera dei cosiddetti Morgeti, guidati dal mitico re Morges, era ancora un piccolo villaggio indigeno. Alleatasi poi con Siracusa, Morgantina visse un grande sviluppo attestato dalla più grande agorà che si possa trovare al di fuori della Grecia. Morgantina entrava così nell'area di influenza siceliota (V secolo a.C.), il che comportò per la città un periodo di grande prosperità e di rinascita commerciale e culturale, con un impulso forte ricevuto dalle attività agricole. La città batté moneta (esemplari custoditi al Museo Alessi di Enna) d'oro e d'argento. A partire dal 397 a.C. Morgantina entrò nell'orbita dell'ellenistico Regno Siceliota, comprendente l'intera Sicilia orientale e con capitale Siracusa, prima sotto il regno di Dionigi I, poi sotto quello di Agatocle. In seguito partecipò alla congiura che abbatté l'oligarchia siracusana ma le fortune di Morgantina bruscamente declinarono in seguito alla sua scelta di allearsi con i Cartaginesi, che controllavano la estrema Sicilia occidentale, contro i Romani. Con la sconfitta dei primi non si poté evitare la distruzione della città, che all'epoca raggiungeva una grande fioritura economica, commerciale e culturale. La città fu rasa al suolo dalle legioni di Roma e fu rinvenuta solo nel Novecento, in seguito a fruttuose campagne di scavi. I Romani: tra la prima guerra servile e lo splendore di Centuripe Con la fine della Seconda guerra punica iniziò la dominazione romana sulla Sicilia. Nel 135 a.C., grazie allo schiavo siriano Euno, scoppiò la prima guerra servile: lo schiavo guidò una rivolta che si estese in pochi anni a tutta la Sicilia, e riuscì a regnare per due anni su Henna (dove oggi in suo ricordo vi è la statua presso il castello di Lombardia opera di Pietro Marzilla) e su tutta l'Isola. I romani attuarono una violentissima repressione e dalle fognature riuscirono a penetrare in cima ad Enna, catturando infine Euno ed il suo seguito e condannando tutti gli schiavi insorti superstiti alle battaglie alla crocifissione. Cicerone, visitò la città durante il periodo di governo del Pretore Gaio Licinio Verre che aveva fatto abuso della sua importantissima carica per depredare alcune tra le più belle opere d'arte della città stessa e delle altre polis siculo ellenizzate dell'area. L'avvocato romano portò Verre in giudizio e lo sconfisse con le famosissime Verrine, atti di accusa che pervenutici quasi integri rappresentano un'importantissima fonte diretta per la conoscenza di Enna antica e della Sicilia romana tutta. La rinascita si ebbe in epoca imperiale con lo status di municipium. Oltre a Morgantina e al capoluogo, Agira fu senza dubbio un altro centro di rilievo. Fondato, secondo la leggenda, da Ercole nel corso di una delle sue 12 fatiche, ma con origini storiche assai antiche - già risalenti alla preistoria - diede i natali a Diodoro Siculo. Piazza Armerina esisteva da secoli, sotto il nome Platea o Plutia o più probabilmente di Palatia, proprio per la presenza nell'area della grandissima Villa del Casale, la più splendida di Sicilia per i suoi mosaici, mentre Nicosia si fa risalire a tre città del periodo romano: Erbita, Engio e Imachàra. Senza dubbio tuttavia, nel periodo romano fu Centuripe il più fiorente centro della zona. Nata in età sicula col nome di Kentoripa ed ellenizzato nel V secolo a.C., Centuripe, nota anche per la curiosa forma di stella marina dell'abitato, abbarbicato su un'altura tentacolare, venne a patti con Roma, tra le prime città in Sicilia, nel 263 a.C., guadagnandosi così la protezione dei romani. Sotto le ali di Roma, cui fu legata da cognatio (parentela), Centuripe prosperò e si estese considerevolmente, e fu perciò definita da Cicerone di gran lunga una delle città più grandi e ricche dell'intera Sicilia. Riuscì ad avere un console, sotto l'impero di Adriano, e a sviluppare prima un'originale arte ceramica, e poi imponenti vestigia monumentali. Tarda antichità e Alto Medioevo Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, di cui faceva parte la Provincia di Sicilia, e la breve parentesi gota, nel 535 i bizantini riconquistarono la Sicilia e con essa Henna. A partire dal VI VII secolo, soprattutto per paura delle sempre più frequenti incursioni arabe, fecero della città un importante centro militare apportando così una rinascita allOmbilicus Siciliae restituendole l'antico ruolo perso con l'invasione romana, e vi impiantano un'amministrazione territoriale. Queste scelte faranno della Enna siculo-bizantina, come testimoniano diverse fonti sia bizantine che arabe più tarde, tra le quali Edrisi, una delle più grandi e ricche città siciliane. La città venne chiamata Catrum Hennae, in ragione dell'importanza militare e giocò un ruolo importantissimo nella lunga e sfiancante guerra di conquista araba dell'isola. Proprio qui, ad esempio, venne ucciso lo stratega Eufemio (che aveva di fatto costituito la Sicilia indipendente dall'Impero Bizantino proclamandosi re), attirato in un'imboscata da alcuni patrizi bizantini forse nella contrada detta di Papardura. La conquista araba della Sicilia fece nascere molti nuovi centri nel territorio, a partire da Calascibetta, nata nel IX secolo come accampamento militare, Qalʿat Shibet, creato sulla rocca antistante Henna per tentare l'assedio della roccaforte bizantina. La città non resistette tuttavia all'ennesimo attacco, e uno scrittore siculo-arabo tramanda lo stupore dei conquistatori nel trovare ad Henna tanta prosperità e tanto fervore economico e culturale. Rinominato Qaṣr Yānī, arabizzazione di Castrum Hennae: "Castello di Enna", il capoluogo si arricchì di moschee e divenne una delle maggiori città musulmane dell'Isola. Fu infine sede di amministrazione di una Taifa, un'unità territoriale importante e quasi completamente autonoma sino ad avere un suo emiro. Dai pochi documenti e dalle evidenze archeologiche presenti possiamo accertare una presenza cosmopolita con cristiani, ebrei, musulmani, ma anche slavi e forse berberi e persiani. Anche Nicosia si sviluppò con gli arabi: posta alla confluenza dei tre Valli storici di Sicilia (Val di Mazara, Val Demone, Val di Noto). Il periodo tra l'XI e il XIII secolo Finché nel 1087 il suo sovrano, l'emiro Hammudita Ibn Hamud, non cedette Castrogiovanni al Gran Conte Ruggero I di Sicilia, la città da allora non verrà mai infeudata e rimarrà demaniale. Non di rado in essa saranno presenti i Regnanti della casa Altavilla Sovrani di Sicilia, Ruggero II, Guglielmo I e Guglielmo II. Enrico VI di Svevia, dopo avere sposato la regina Costanza d'Altavilla ed essersi insediato sul trono di Sicilia, instaurò un breve ma violento regime di terrore che durò pochi anni a causa della sua prematura morte, il territorio cadde sotto la sua mala signoria. Tuttavia il figlio Federico II fu molto affezionato a Enna, allora Castrum Johannis e la sua corte di Palermo vide diversi notabili appartenenti al mondo della cultura ennese del tempo. Proprio tra il XII e il XIII secolo, l'ennese si arricchì di nuovi, importanti centri: tra questi spicca Piazza Armerina, rifondata da Ruggero I per essere poi nel 1161 rasa al suolo per volontà di Guglielmo I di Sicilia a causa della sua rivolta contro il potere regio. Ripopolata con genti lombarde (in realtà dell'attuale Piemonte), essa rifiorì dalle sue rovine e nel corso dei secoli si tramutò in una cittadina vivace ed attiva. Anche Enna, in quegli anni, rifioriva: venne ricostruito con 20 torri il castello di Lombardia d'impianto sicano e poi arabo, vi si riunì il Parlamento siciliano per volere di Federico II. Il sovrano sembra risiedette nella ottagona torre omonima che si fece innalzare quale centro di una vasta riserva di caccia che doveva estendersi sino al lago di Pergusa e più oltre sino alle alture di Carangiaro, Gerace e Geracello "Hieracellum". Enna sotto Federico II, divenne la 17ª città demaniale di Sicilia, requisito che consentì una nuova sessione parlamentare nel Quattrocento. Federico II le concedette l'appellativo di Urbis Inexpugnabilis Hennae che campeggia tra gli artigli dell'aquila bicipite sveva, simbolo della città. Dal Secolo XIV al 1926 Tra il 1360 e il 1400, sotto il Regno di Trinacria, Castrogiovanni mantiene lo status di città demaniale, conservando i privilegi acquisiti nei due secoli precedenti. Nel 1516, con l'avvento al potere di Carlo V, si verifica una depressione economica e culturale in tutta l'Isola, e nel territorio ennese, che tuttavia, vede crescere a dismisura la popolazione, grazie alle massicce immigrazioni provenienti dalle coste, saccheggiate dai predoni saraceni. Il Cinquecento è comunque il secolo dell'arte per eccellenza; in quegli anni operarono grandi maestri come Antonello Gagini e a Nicosia giunge una tela del pittore spagnolo Diego Velázquez. Le carestie e le pestilenze del Seicento, al contrario, comportano un decremento demografico. Nel secolo XVIII le sorti di Castrogiovanni e del territorio precipiteranno: verrà condotta una campagna di ripopolamento dei terreni agricoli che svantaggerà molto la città in favore della vicina Caltanissetta. Negli altri comuni invece, la popolazione tende a stabilizzarsi: Nicosia si attesta a 12.000 ab., mentre il capoluogo scende a 10.000. Vengono erette molte chiese (nel secolo ad Enna erano 133 con circa 400 sacerdoti) e avviata la costituzione di confraternite.Castrogiovanni nell'Ottocento migliorerà economicamente in seguito all'intensa attività estrattiva e conoscerà un netto incremento demografico. Parteciperà attivamente ai moti del 1848 e all'impresa dei Mille, sarà visitata da Giuseppe Garibaldi, nel 1893 vi nascerà il Fascio dei lavoratori. La ripresa della città sarà confermata dall'incremento demografico che, dall'Unità d'Italia al 1921 raddoppierà in termini di popolazione, passando da oltre 14.000 a 32.000 abitanti, il massimo storico imbattuto. Essa avrà un suo rappresentante, ininterrottamente dal 1890 al 1921, al Parlamento italiano; si tratta dell'illustre uomo politico Napoleone Colajanni. Nel 1927 venne istituita la provincia, inglobando territorio dei soppressi circondari di Nicosia (sino ad allora in provincia di Catania) e di Piazza Armerina, smembrato dalla provincia di Caltanissetta. Istituzione del Libero consorzio comunale Il 28 marzo 2014 è stata prevista la soppressione delle nove province regionali sostituite da nove "Liberi Consorzi comunali" e 3 aree metropolitane in seguito all'entrata in vigore della legge approvata dall'Assemblea Regionale Siciliana il 12 marzo 2014. Un'ulteriore legge regionale disciplinerà compiti e funzioni di questi nuovi enti, mentre ogni provincia è retta da un commissario straordinario nominato dalla giunta regionale. In ottemperanza alla legge regionale del 24 marzo 2014, n. 8, recante il titolo “Istituzione dei liberi Consorzi comunali e delle Città metropolitane” e disciplinata poi con la successiva legge regionale n. 15 del 4 agosto 2015, "Disposizioni in materia di liberi Consorzi comunali e Città metropolitane", la provincia regionale di Enna è stata soppressa e sostituita dal Libero consorzio comunale di Enna. Simboli Il libero consorzio ha mantenuto invariato lo stemma della provincia. La blasonatura è la seguente: Anche il gonfalone è rimasto identico e consiste in un drappo di bianco bordato di azzurro. Geografia fisica Il Libero consorzio comunale è situato nel cuore della Sicilia con il centro geografico dell'isola proprio nel capoluogo. Esso dispone di un notevole patrimonio naturale, con laghi e boschi alcuni costituiti come riserve naturali. Rilievi Il territorio è in prevalenza collinare con modeste pianure. I rilievi montuosi principali sono i monti Erei, di altitudine media inferiore ai mille metri, che occupano la parte centrale e meridionale del territorio; i Nebrodi a nord, raggiungono un'altitudine più considerevole, le cui vette più alte oscillano tra i 1192 m del Monte Altesina e i 1559 m del Monte Sambughetti. Il territorio annovera alcuni tra i comuni più elevati in altezza sul livello del mare; Enna, che sorge a un'altitudine superiore ai 900 m sul mare è il capoluogo di ente territoriale sovracomunale più alto d'Italia mentre Troina è uno dei comuni più alti della Sicilia (oltre 1200 m). Il territorio pianeggiante, nella parte centro-orientale, è costituito principalmente da un'ampia porzione della piana di Catania coltivata in parte ad agrumi, nei pressi della cittadina di Catenanuova e una porzione coltivata a cereali ad Aidone. Una conca basso-collinare è costituita dalla valle del fiume Dittaino, che da Enna digrada sino alla pianura, al cui interno si sono sviluppate alcune attività produttive agricole e piccole industrie e che ha rappresentata l'area di penetrazione più propizia per gli assi viari e ferroviari. Laghi Il territorio ospita otto laghi medio-grandi, per la maggior parte artificiali e a servizio dell'agricoltura. Nei maggiori è praticabile la pesca, eccetto che a Pergusa sotto vincolo di riserva naturale. Il lago di Pergusa, vicino ad Enna, è l'unico lago naturale della Sicilia e riserva regionale. Il lago di Pozzillo, in territorio di Regalbuto è, con i suoi 150.000.000 di metri cubi d'acqua, il maggiore bacino artificiale dell'isola ed è chiuso da un'imponente diga. Il lago di Ancipa (Troina), situato in uno scenario naturalistico importante, a oltre 900 m s.l.m., fornisce acqua potabile alla popolazione dell'ennese e di ampie zone del nisseno. Altri bacini sono il lago Nicoletti (Leonforte), il lago di Ogliastro (Aidone), il lago Olivo (Piazza Armerina) e il lago Morello (Villarosa) in prevalenza fornitori di acqua per i campi che li circondano. Lago Pergusa È al centro di una corona di alture che toccano i 911 m d'altitudine con il Monte Carangiaro e formano la Conca Pergusina; noto sin dall'epoca classica come lago di Pergo, su cui scrissero Ovidio, Claudiano e Cicerone, è teatro del mitico Ratto di Proserpina. Privo di immissari e di emissari è alimentato dalle falde e dalle precipitazioni; il bacino imbrifero, l'unico naturale dell'isola, riveste un'importanza centrale per l'avifauna della Sicilia intera. Nel giuncheto, nel canneto, nella Selva demaniale e nelle verdi colline che circondano il lago, svernano, transitano o risiedono oltre metà delle specie di uccelli di cui si è accertata la presenza in Sicilia. Tra queste, numerose sono quelle rare, come l'Airone rosso, il Falco di palude, la Moretta tabaccata e la Coturnice sicula, oltre alle più comuni frequentatrici, come le folaghe, nitticore, il mignattaio, l'alzavola, il mestolone, il fischione ed altri. È sede di una riserva naturale). Il lago, essendo utilizzato intensamente per uso potabile dalle città circostanti ha rischiato di prosciugarsi nell'ultimo decennio del XX secolo. Fiumi I fiumi principali del Libero consorzio comunale sono a regime torrentizio e diretti verso foci marine oppure laghi. I più importanti corsi d'acqua, cardini dell'idrografia isolana, sono il, detto anche Imera meridionale, che nasce nel nisseno e si getta nel Mediterraneo e il Salso che affluisce nel Simeto in un'area in cui l'erosione dell'acqua ha creato delle pittoresche forre laviche. Altri fiumi di rilievo sono il Dittaino, importante affluente del Simeto, il Gornalunga, che forma il lago di Ogliastro e confluisce artificialmente nel Simeto nei pressi della foce, il Morello, che alimenta l'omonimo lago in territorio di Villarosa per poi confluire nell'Imera meridionale e infine il cosiddetto Fiume di Sotto di Troina che scorre a valle della cittadina da cui prende nome, anch'esso affluente del Simeto. Riserve naturali Clima Il clima varia tra il montano e il mediterraneo (per le temperature). Le precipitazioni medie annue sono di circa 500 mm e pongono il territorio fra quelli meno umidi in Sicilia. L'inverno è generalmente caratterizzato da temperature rigide nei comuni di altitudine elevata ma che difficilmente scendono sotto lo zero. La neve caratterizza i centri della zona nord (soprattutto Troina) e a volte anche Enna. Nei monti Sambughetti, Campanito e Altesina le precipitazioni nevose sono frequenti e copiose. Parte della piovosità è concentrata in questa stagione. La primavera e l'autunno sono le stagioni verdi per eccellenza con moderate piogge; gli estesi rilievi collinari si colorano del verde degli estesi campi di grano. L'estate spesso è caratterizzata da siccità con un caldo secco. Le temperature sono generalmente elevate (intorno ai 30-35 °C, ma ultimamente anche oltre i 40 °C). Popolazione Con 171.921 abitanti (31/08/2011), Enna figura tra le 15 province o ex province meno popolate d'Italia. La densità demografica risulta anch'essa a livelli assai inferiori rispetto alla media nazionale e regionale, entrambe due volte e mezzo maggiori rispetto a quella del territorio ereo, che conta 67 ab./km². Il dato è spiegabile sia per il territorio caratterizzato dalla presenza di molti rilievi irregolari, stretto tra Nebrodi e Erei e dalla scarsa estensione di superfici pianeggianti oltre che da fattori storico-sociali quali un forte flusso migratorio che ha raggiunto l'apice tra gli anni cinquanta e sessanta del Novecento causato da una profonda crisi economica. La popolazione residente ha subito alla fine del XX secolo un'inversione di tendenza, con un saldo positivo sino al 1990, quando si toccarono i 186.000 abitanti. Da allora è ripresa la decrescita. Nonostante le attività agricole e di allevamento la popolazione è concentrata quasi del tutto nei centri abitati. Enna Enna è, con 26.173 abitanti il principale centro del libero consorzio. La città ha un centro storico prettamente medioevale. Fra i principali monumenti di Enna il Castello di Lombardia, il Duomo, la Torre di Federico II e alcuni musei di rilievo, il Museo Alessi e il Museo Archeologico Regionale. La parte di espansione moderna è chiamata Enna Bassa perché localizzata a valle; è sede dell'università e delle principali attività commerciali. Nella valle del Dittaino vi è il Polo Industriale di Enna; a Pergusa l'autodromo omonimo. Piazza Armerina Piazza Armerina, con 20.963 ab., seconda città dell'ennese; forte di un grande richiamo turistico, datole principalmente dalla Villa del Casale, patrimonio dell'umanità dell'UNESCO, ma altresì dal suo pregevole centro storico barocco e normanno; fino al 1927 era sede di sottoprefettura e capoluogo di un circondario che fu in seguito aggregato alla nascente provincia. Cittadina d'impianto normanno-medievale, l'antica Piazza è alquanto vivace come punto di riferimento per i centri minori che sorgono attorno ad essa e svolge un ruolo d'attrazione interprovinciale, inoltre è sede di vescovado con la seconda diocesi più estesa della Sicilia. Città d'arte con un pregevole patrimonio archeologico, storico, artistico e naturale, nota come la "Città dei Mosaici e del Palio dei Normanni", è candidata al titolo di "Capitale Italiana della Cultura 2018". Nicosia Nicosia, (Necöscia) è un comune di 13.084 ab., dove si parla il dialetto galloitalico di Sicilia, ed è la città principale dell'area nord. Ha un centro-storico ricco di opere d'arte e di palazzi nobiliari. La città dal 1817 è sede di vescovado ed è probabilmente la diocesi più piccola d’Italia. Nel Medioevo divenne la quarta città demaniale della Sicilia, preceduta da Palermo, Messina, e Catania; sotto gli Svevi ebbe una grande ascesa e nel 1209 venne nominata Civitas Constantissima da Federico II. Nel 1337 Pietro II d’Aragona vi tenne un parlamento. Durante la dominazione spagnola, nell’ottobre del 1535, la città ricevette la visita di Carlo V, il quale vi conferì diversi privilegi. Già nel XIX secolo, a Nicosia, erano presenti 24 Baronie, due Marchesi, un Conte e altre famiglie gentilizie; inoltre esistevano 84 chiese, sei conventi, quattro monasteri e numerose confraternite. Dall’Unità d’Italia (1861), Nicosia divenne capoluogo di circondario e tale rimase fino al 1927, quando passò dalla provincia di Catania alla nuova provincia di Enna. La Cattedrale di Nicosia dedicata a San Nicola possiede un soffitto ligneo di particolare pregio artistico. Mentre la Basilica di Santa Maria Maggiore possiede la Cona marmorea di Antonello Gagini realizzata tra il 1499-1512, opera del rinascimento siciliano, per la sua grandezza è l'unica in Sicilia. È sede presso la chiesa di San Biagio il Museo Diocesano di arte Sacra con opere che vanno dal XIII secolo al XIX secolo. Nicosia ha anche una grande stazione ferroviaria di cui rimane solo l'imponente fabbricato viaggiatori; nonostante molte opere d'arte fossero già state eseguite la ferrovia non vi giunse mai e dal 1956 in poi il tutto venne abbandonato. Leonforte Leonforte, con 12.745 ab., è la seconda città della zona centrale del libero consorzio comunale ed ha stretti rapporti di pendolarismo con il capoluogo. È sede di un ospedale e di una caserma dei vigili del fuoco. Fondata dalla famiglia nobiliare dei Branciforte nel XVII secolo, possiede un interessante patrimonio artistico e naturalistico. Leonforte era raggiunta da una pittoresca ferrovia a cremagliera che la collegava alla ferrovia principale Palermo-Catania; venne soppressa nel 1959 e in seguito smantellata. Il comprensorio aveva numerose miniere di zolfo. Comuni Appartengono al libero consorzio comunale di Enna i seguenti 20 comuni: Infrastrutture e trasporti Il territorio di Enna è attraversata da alcuni degli assi principali della viabilità regionale di collegamento tra la Sicilia orientale, quella centrale e quella nord-occidentale che costituiscono la via più rapida di connessione tra Palermo e Catania, le due maggiori aree urbane dell'isola. Particolare importanza assume allo scopo la valle del Dittaino che è solcata dall'autostrada A19, dalla strada statale 192, da varie strade provinciali e dalla ferrovia Palermo-Catania. Rete stradale Il territorio è attraversato in larga parte dall'autostrada A19, che tagliandolo quasi a metà, costituisce la spina dorsale della viabilità della zona. Essa conta nei confini del libero consorzio 5 svincoli, ai quali si innestano una serie di strade statali: la 121 tra Palermo e Catania, che s'innerva nella zona centro-settentrionale del consorzio, attraversando i comuni di Villarosa, Leonforte, Nissoria, Agira e Regalbuto; la 192 che inizia ad Enna per Catenanuova e Catania; la 117, dai pressi di Leonforte per Nicosia e Santo Stefano di Camastra a nord, la 117 bis da Enna per Piazza Armerina e Gela, inizialmente come Strada statale 561 Pergusina. La strada statale 122 agrigentina tramite la parte iniziale della strada statale 117 bis centrale sicula collega Enna con Caltanissetta. La parte settentrionale del territorio ennese è attraversata dalla strada statale 120 delle Madonie e dell'Etna che collega Nicosia con Cerami e Troina. Quest'ultimo centro è collegato con Paternò (CT) tramite la strada statale 575 di Troina. Nei pressi di Piazza Armerina si diparte dalla SS 117 bis centrale sicula la strada statale 288 di Aidone che la collega con la SS 192. I comuni di Pietraperzia e Barrafranca sono attraversati dalla strada statale 191 di Pietraperzia che collega i due centri con Caltanissetta e con il Bivio Vigne Vanasco SS 190. Le strade statali assolvono alla funzione di collegamento fra i centri più grandi e sono integrate dalle provinciali che da esse si diramano svolgendo spesso un ruolo fondamentale nella viabilità locale. Rete ferroviaria La ferrovia Palermo-Catania, che attraversa tutto il territorio ennese da ovest ad est, ha alcuni tra gli scali ferroviari viaggiatori più importanti della linea quali le stazioni di Enna, Catenanuova e Villarosa (quest'ultima sede di un originale museo ferroviario) e per le merci, con la stazione di Dittaino a servizio dell'area industriale e un tempo sede di notevole traffico viaggiatori in quanto diramazione per le ferrovie a scartamento ridotto per Piazza Armerina e per Leonforte. Nell'area del consorzio insistevano anche alcune tratte ferroviarie delle FS dismesse tra la fine degli anni settanta e gli anni ottanta. Uno dalla stazione di Motta Sant'Anastasia che attraversava il territorio di Centuripe giungendo a Regalbuto; uno a scartamento ridotto tra Dittaino, Valguarnera Caropepe e Piazza Armerina dismesso alla fine degli anni sessanta, la cui sede è stata in parte utilizzata per la strada a scorrimento veloce per Piazza Armerina e in parte riadattato a pista ciclabile e un altro a cremagliera che dalla stazione di Dittaino si inerpicava fino ad Assoro e Leonforte e che avrebbe dovuto raggiungere Nicosia, anch'esso chiuso e smantellato. Trasporto aereo Il territorio ennese si è dotato di un'infrastruttura per il trasporto aereo a uso civile con l'attivazione, nel 2007, di un idroscalo per idrovolanti nel lago Nicoletti vicino al capoluogo; la struttura tuttavia è rimasta pressoché inattiva. Economia L'economia ennese è stata sempre legata all'agricoltura e all'attività mineraria. L'agricoltura ha origini remote. Infatti già in epoca romana la Sicilia era definita il granaio di Roma. La caduta di Roma mise in crisi l'economia fino all'introduzione del sistema feudale attuato dai Normanni. Tuttavia, come diversi altri territori non riuscirà più ad affrancarsi dal feudo per secoli e il latifondo costituì di fatto il principale freno alla crescita. L'attività mineraria delle numerose e importanti solfare e i giacimenti di sali potassici furono fonte di reddito di sussistenza per la popolazione, con oltre 130 miniere sparse sul territorio ma anche, a causa delle tremende condizioni di lavoro, fonte di gravi effetti sociali. Dal secondo dopoguerra la popolazione ha subito una contrazione dovuta al copioso flusso di migratorio causato delle difficoltà economiche, specie fra gli anni cinquanta e sessanta del Novecento, in seguito al crollo dell'attività mineraria e della mancanza di redditività dei piccoli fondi agricoli che la riforma agraria del XX secolo aveva creato spezzettando il latifondo. Nel 1962 il presidente dell'Eni Enrico Mattei ottenuta la licenza per l'estrazione del metano nei pressi di Gagliano Castelferrato aveva promesso proprio un piano di importanti investimenti per dare lavoro alle genti del territorio. L'idea di Mattei era quella di creare a Gagliano una sorta di sinergia tra il tessile e chimica ma quasi fatalmente, egli perì proprio nel viaggio aereo di ritorno da Catania a Milano. Il polo tessile che nacque solo successivamente, finì nel nulla già alla fine degli anni novanta. La chiusura delle miniere di Pasquasia (fu la maggiore in Sicilia nell'estrazione dei sali potassici) e del complesso Floristella-Grottacalda nei pressi di Valguarnera Caropepe nella seconda metà degli anni settanta ha segnato la fine dell'attività estrattiva. Pur essendo mutate le prospettive del cuore di Sicilia i problemi storici del territorio, costituiti dalla disoccupazione e dalla carenza idrica continuano a bloccarne lo sviluppo. Il reddito medio pro-capite è circa il 67% rispetto al valore nazionale. La crisi idrica è invece dovuta principalmente alla difficile orografia del territorio, che richiederebbe forti investimenti mirati per una corretta gestione delle risorse idriche data la presenza di prolungati periodi siccitosi, ed alla inefficienza della rete distributiva. Agricoltura, allevamento e pesca Le attività agricole sono nell'area ancora rilevanti. Le aziende agricole registrate sono circa 5.000 ed in buona parte hanno dimensioni elevate rispetto al contesto regionale ma sono spesso limitate alla conduzione familiare. Inoltre sono diverse le imprese operanti nell'indotto agricolo. Oltre la metà della superficie territoriale risulta coltivata, anche se in larga parte nella coltivazione estensiva del pregiato grano duro. Altre colture importanti sono quelle riguardanti l'olivo per la produzione di olio di oliva, del mandorlo e del nocciolo. Nella zona di Catenanuova e Centuripe, si trovano aranceti ed inoltre, si produce uva da tavola e da vino e lo zafferano ma si tratta di produzioni marginali. Fra le specialità del territorio vi è la Pesca tardiva di Leonforte e la Fava larga di Leonforte. Nel libero consorzio si pratica l'allevamento di bovini, suini ed ovini. L'allevamento tradizionale della zona era di tipo estensivo, fondato sul pascolo brado e transumante. L'allevamento più recente tende alla stabilità e alla dipendenza dalle risorse foraggere a carattere industriale. Industria ed energia Nel libero consorzio è sviluppato un modello di impresa di tipo medio-piccolo. Alla camera di commercio risultano registrate circa 8.000 aziende mentre vi sono circa 7.000 unità locali produttive. Gli occupati dell'industria sono in tutto meno di 20.000 e la maggioranza delle imprese opera nell'edilizia. Importante è la manifattura artigianale e le attività industriali legate al settore del legname, dei mobili e dei fiammiferi nell'area nord del libero consorzio, il tessile è stato sviluppato in diverse aziende tra Valguarnera Caropepe e Gagliano Castelferrato, con un polo che dà lavoro a 1.000 operai oltre all'indotto, mentre tra Regalbuto e Centuripe sorge un complesso di industrie chimiche, attive nella lavorazione della gomma e nella produzione di attrezzature subacquee.L'unica area industriale del territorio ennese è il Polo Industriale di Enna (o del Dittaino) con aziende operanti nei settori tessile, alimentare e hi-tech. Nell'area è in crescita la produzione di energia eolica (Nicosia). Terziario L'economia dell'ennese ha seguito una netta tendenza alla terziarizzazione, soprattutto nel capoluogo, dove la presenza degli uffici amministrativi, del commercio, del governo e dell'università generano una prevalenza della classe impiegatizia. L'importanza del turismo ha subito una contrazione in termini di occupati dell'indotto; anche i centri di livello internazionale come Piazza Armerina sono interessati da turismo di mordi e fuggi. Cultura Il bagaglio storico e naturalistico del territorio ha ottenuto l'importantissimo riconoscimento di Patrimonio dell'Umanità per la Villa del Casale, nei dintorni di Piazza Armerina. Dal 2001 è in corso di realizzazione il Parco Culturale Rocca di Cerere, che copre l'area dei comuni di Enna, Calascibetta, Aidone, Assoro, Nissoria, Leonforte, Piazza Armerina, Valguarnera Caropepe, Villarosa e comprende le piccole comunità di San Giorgio, Borgo Cascino, Pergusa, Villapriolo, Cacchiamo. Istruzione Nell'ennese sono presenti istituzioni scolastiche di tutti gli ordini e gradi. Massimo polo è il capoluogo dove si trovano quasi tutte le scuole secondarie. Nel dettaglio, in riferimento all'anno scolastico 2007, 29 istituti elementari (frequentate da un totale di 9.323 studenti), 26 scuole medie (6.339 studenti) e 104 istituti superiori, i cui studenti sono 9.554 in totale. Dei quasi 10.000 studenti che frequentano gli istituti superiori del libero consorzio più di un quarto si concentrano nel capoluogo. Gli istituti superiori del territorio ennese sono, in dettaglio: 12 licei classici, 13 licei socio-psicopedagogici (magistrali), 26 licei scientifici, 28 istituti professionali, 25 istituti tecnici per geometri e commerciali. Gli istituti più frequentati sono quelli scientifici (2.627 studenti), tecnici per geometri e commerciali (2.344), professionali (2.079), fanalini di coda per numero di iscritti i licei classici (1.000) e magistrali (1.500). Da rilevare una tendenza all'aumento degli iscritti rispetto agli anni precedenti, come confermano i dati relativi al numero di studenti delle prime classi (2.400) e delle quinte (1.500). Istituti scolastici di secondo livello si trovano inoltre a Piazza Armerina, Agira, Aidone, Barrafranca, Catenanuova, Centuripe, Gagliano Castelferrato, Leonforte, Nicosia, Piazza Armerina, Regalbuto, Troina e Valguarnera Caropepe. Università L'Università Kore (UKE), fondata nel 2004 è la quarta università della Sicilia. È l'unico ateneo siciliano nato dopo l'Unità d'Italia e rappresenta un'importante occasione di sviluppo per Enna anche tramite l'indotto da essa generato. È la nona università italiana per percentuale di studenti provenienti da fuori provincia (71% contro il 38 medio degli altri atenei siciliani) rappresentanti peraltro di tutte e 20 le regioni italiane. Folclore e fede Il folclore e la cultura popolare si manifestano nel territorio ennese durante tutto il corso dell'anno. Si va dal Carnevale di Regalbuto alle numerose feste patronali, fra le quali la Festa della Madonna della Visitazione, il Palio dei Normanni a Piazza Armerina il 13 e il 14 agosto. Enna è sede del Concorso Internazionale per musicisti e cantanti lirici Francesco Paolo Neglia e del Concorso letterario Nino Savarese. Molti i festeggiamenti della Settimana Santa: a Enna si tiene la più importante con 15 confraternite a sfilare il Venerdì Santo lungo le vie cittadine. A Pietraperzia il rito del Signore delle Fasce, in cui i fedeli reggono nastri di diverso colore confluenti tutti in un grande crocifisso, retto dai confrati e portato in processione; anche la è molto sentita. Ad Aidone la settimana santa è arricchita dalla presenza dei santoni. Gastronomia La tradizione culinaria ennese, ricca e varia, è stata influenzata dal succedersi di dominazioni passate.Tra le storiche produzioni locali, popolari anche a livello nazionale nel campo dei formaggi, spicca il piacentino ennese, piacentinu ennisi in siciliano, speziato con pepe e colorato dallo zafferano. Speciali anche le ricotte centuripine e tra i prodotti agricoli, la Pesca tardiva di Leonforte e la fava larga. Ad Enna l'olio d'oliva extravergine Colline Ennesi, di cui è stata chiesta la concessione del marchio DOP; il Pan Dittaino, prodotto in tante varietà condite con olive, con pomodori secchi e con cipolle ed integrale commercializzato anche oltre l'ambito regionale.La pasticceria con la cassatella di Agira farcita di un impasto di cacao, mandorle ed altri ingredienti. Il buccellato in varie forme e a Villarosa la mostarda essiccata. Dialetto Il siciliano, nella variante metafonetica centrale ma con alcune peculiarità locali è diffuso nell'area dove comunque forte ed importante è una comunità di lingua gallo-italica introdotta dopo la riconquista normanni. I Normanni infatti, intorno all'XI secolo avviarono un grosso processo di feudalizzazione delle terre per lo sfruttamento delle notevoli superfici sino ad allora incolte. A questo scopo molti territori vennero ripopolati da diverse migliaia di coloni detti comunemente «lombardi» provenienti soprattutto dal Monferrato. Essi arrivarono a ondate migratorie: la prima avvenne al seguito della regina Adelasia, moglie del gran conte Ruggero; una seconda e più imponente avvenne durante il regno di Guglielmo I, e un ulteriore afflusso si ebbe sotto il regno di Federico II. Le popolazioni mantennero inalterati per secoli usi, costumi, tradizioni e l'idioma. Si vennero ad affermare due parlate: da un lato il dialetto di ceppo gallo-italico, definito il vernacolo, tanto simile alla parlata francesizzata dell'Italia nord-occidentale ma assolutamente diverso rispetto al siciliano e dall'altro una particolare forma linguistica siciliana usata solo nei rapporti con le genti non lombarde. I principali centri lombardi sono proprio nel libero consorzio: Piazza Armerina, Aidone, Nicosia e Sperlinga. La parlata inoltre caratterizza San Fratello e Novara di Sicilia nel messinese e mantiene alcune tracce nella fonetica di Randazzo, Paternò, Caltagirone e San Michele di Ganzaria nel catanese. Sino al XVII secolo era inoltre presente un'etnia greca che costituiva un forte comunità soprattutto a Nicosia, ma di cui rimangono solo alcune tracce nella fonetica locale e nelle denominazioni. Miti e leggende La storia di Enna e del suo territorio cirscostante è arricchita dal mito. La più importante leggenda a cui alcuni dei più grandi classici hanno dedicati i propri versi è il Ratto di Proserpina. La bella fanciulla Proserpina, Persefone o Kore, figlia di Cerere - dea delle messi adorata ad Enna e in tutto il mondo pagano - coglieva i fiori in riva al Lago di Pergusa, Plutone, re dell'Ade, vedendola se ne innamora ed emerge da una grotta rapendola e trascinandola con sé nell'oltretomba. Cerere, nonostante sia anch'ella una dea dell'Olimpo, dovette faticare ed interpellare perfino Zeus affinché il re degli inferi non si persuadesse a trattare. che spiega l'origine delle stagioni. L'accordo tra Giove e Plutone stabilì che Proserpina potesse tornare sulla terra con sua madre per 6 mesi l'anno, e con la sua venuta i campi fiorivano e sbocciava la primavera, mentre al termine dell'estate il mondo tornava nel lungo letargo della cattiva stagione. Un mito, quello del Ratto, cui l'Ennese deve la sua stessa esistenza, ragion per cui ad esso e alle divinità che ne sono coinvolte la città ha dedicato, fino al XXI secolo, la sua università Kore, sale pubbliche, auditorium. In sua memoria, la Rocca di Cerere, sottostante il Castello di Lombardia, dove fino al 1000 vi erano le vestigia del tempio di Cerere, con le magnifiche statue trafugate dal governatore romano Verre, che fu denunciato da Cicerone in persona e processato.Altri miti cui la Terra del Mito per eccellenza è legata sono quello di Ercole e Iolao, che racconta della fondazione della cittadina di Agira, storico luogo patrio del grande Diodoro Siculo, per mano dell'eroe Ercole; quello della ninfa Ciane che si oppose al rapimento di Proserpina, e infine quello di Dafni, cui le ninfe insegnarono la pastorizia e Pan impartì la musica. Turismo Siti archeologici La Villa Romana del Casale La Villa Romana del Casale, inserita nel 1997 dall'UNESCO tra i patrimoni dell'umanità, è una villa imperiale tardo-romana portata alla luce in una serie di scavi succedutisi dalla ultima metà dell'Ottocento, nei pressi di Piazza Armerina. La Villa è celebre nel mondo per i suoi mosaici, che, occupando oltre 3000 m² di superficie, rappresentano la maggiore testimonianza d'arte musiva romana che si abbia ai nostri giorni. Il complesso monumentale è diviso in quattro grandi aree: l'ingresso coi resti dell'arco trionfale a tre arcate e cortile a ferro di cavallo; il vasto corpo centrale, che ruota attorno al peristilio dotato di vasca monumentale; il peristilio minore e i vani circostanti, ed infine il complesso termale, che riceveva acqua da un apposito acquedotto. Tra i capolavori più noti, i mosaici degli Eroti Pescatori, della Piccola Caccia, quelli figuranti nell'immenso Corridoio della Grande Caccia e nella Basilica, di Ulisse che vince Polifemo, il Combattimento tra Eros e Pan, e quelli, diventati celebri, delle Ragazze in Bikini, della Lotta tra Ercole e i Giganti e i mosaici del Circo Massimo di Roma. Morgantina Importante sito archeologico è l'antica città di Morgantina (III secolo a.C.), nel comune di Aidone, a 14 km da Piazza Armerina, con il teatro antico. Da qui provengono la Venere di Morgantina e un tesoro (noto come il "Tesoro di Morgantina"), costituito da 15 pezzi d'argento. Numerosissimi i reperti archeologici disseminati in vari musei del mondo. Un certo numero di essi sono custoditi nel "Museo archeologico di Aidone". Altri siti archeologici Altri siti di interesse sono: la necropoli di Realmese a Calascibetta, con 300 tombe a grotticella e quella di Cozzo matrice, nella conca pergusina; le terme di Centuripe, il cosiddetto Castello di Corradino di Centuripe e ilTempio degli Augustali; inoltre le terme di Troina. il sito di Cozzo Matrice, sede dell'antico santuario di Kore (Proserpina), che conserva inoltre tracce di un'antica officina, di costruzioni arcaiche e i resti di una necropoli rupestre. il Fondaco Cuba di Catenanuova. Castelli Enna possiede due importanti manieri: il Castello di Lombardia e la Torre di Federico II.A Sperlinga si trova la storica fortezza che fornì rifugio agli Angioini durante la guerra del Vespro nel XIV secolo. Il castello è stato ricavato nella nuda roccia come l'analoga fortezza di Gagliano Castelferrato. Altre importanti fortificazioni medioevali sono i castelli di Nicosia, Aidone, Pietraperzia e Piazza Armerina. Musei Ad Enna sono quattro i musei più importanti: il Museo Alessi, il Museo Archeologico, il Museo della Fede e Tradizione ed il Museo della Sicilia in 3D. L'Alessi custodisce migliaia di monete antiche, il Tesoro del Duomo, con opere d'oro e vari gioielli d'epoca barocca ed inoltre oggetti risalenti alla prima guerra servile scoppiata proprio in città contro i Romani. Il Museo Archeologico di Enna, nel barocco Palazzo Varisano che ospitò Giuseppe Garibaldi, offre una panoramica dell'archeologia della zona con reperti provenienti da numerosi siti, tra cui Morgantina. Sempre a Enna sono il Museo della Fede e della Tradizione, annesso all'antica Chiesa di San Leonardo, con ceramiche di Caltagirone raffiguranti i momenti salienti della Settimana Santa ennese ed il Museo Multimediale della Sicilia in 3D. A Piazza Armerina si trova il Museo Diocesano e il Museo Archeologico; ad Aidone, nell'ex Convento dei Cappuccini, ha sede il Museo Archeologico Regionale di Morgantina, che esibisce diversi reperti (tra cui vasi, ceramiche, utensili) provenienti dai vicini scavi archeologici. A Centuripe nell'area archeologica e nei pressi del Tempio degli Augustali, si trova il Museo archeologico regionale di Centuripe, che conserva numerose statue, busti, vasi di fattura romana. Un museo originale è quello di Villarosa: denominato Museo Ferroviario dell'Arte Mineraria e della Civiltà Contadina di Villarosa, espone una collezione di attrezzature e suppellettili contadine e dei minatori all'interno di vagoni merci attrezzati. A Nissoria e Villapriolo vi sono musei etnoantropologici e ad Assoro si trova la casa musealizzata del pittore Elio Romano. Architetture religiose Il territorio ennese è ricco di chiese di elevato valore artistico architettonico, del Basso Medioevo e dal Trecento all'età barocca. Tra le più importanti figurano quattro basiliche. Il duomo di Enna, eretto nel Trecento per volere della moglie di Federico III d'Aragona, la regina Eleonora d'Angiò, fu originariamente una chiesa gotica; un crollo nel Cinquecento portò a una ricostruzione in chiave barocca. Fusione di stili diversi, il duomo di Enna è noto per la sua campana, , posta su un'imponente torre campanaria cui si accede da una grande scalinata, per il pregevole soffitto ligneo, per la barocca Porta del Giubileo e per il ricco tesoro di ori e pietre preziose. La basilica cattedrale di piazza Armerina è una chiesa rinascimentale con tracce barocche; imponente è la cupola verde. La torre campanaria, risalente alla fabbrica precedente è in stile gotico catalano. A Nicosia un'altra cattedrale con un notevole chiostro con cortile. Assoro ospita un'antica basilica a cinque navate; l'ambiente austero, poco noto, è consacrato al culto di san Leone, il papa originario di Erbita (Aidone). A Troina, nella parte più alta, la chiesa madre è stata costruita nella seconda metà dell'XI secolo per volere del Granconte Ruggero; rimaneggiata in epoca barocca, la chiesa possiede una torre campanaria a quattro ordini e sporge su un vasto panorama. Ad Aidone si trova la chiesa di S. Domenico, tipica per la facciata a punta di diamante. Da ricordare le chiese di S. Michele Arcangelo, S. Francesco d'Assisi, Papardura, S. Cataldo e Montesalvo ad Enna, Fundrò, S. Anna, S. Giovanni Evangelista, Commenda dei Cavalieri di Malta, Gran Priorato di S. Andrea, Beata Vergine dell'Annunciazione e S. Pietro a Piazza Armerina e S. Maria Maggiore, con un quadro di Velázquez, a Nicosia. Sport Automobilismo sportivo Tra gli impianti sportivi, l'autodromo di Pergusa, circuito automobilistico della lunghezza di 4950 m in senso orario che cinge il lago Pergusa, con 10 curve a destra e 6 a sinistra e le varianti Piscine, Proserpina, Schumacher e Zagaria, un rettilineo di partenza lungo 300 m, cui si aggiungono 34 box di 80 m² ciascuno ed un paddock ampio 20.000 m². Altre strutture di cui l'Autodromo dispone sono le tribune centrali coperte di 4.000 posti a sedere e quelle su pit-lane, il cinema-arena, le sale stampa, l'eliporto, i bar e gli impianti periferici.Il grande complesso venne pensato nel 1951 dall'amministrazione comunale di Enna, che fece partire i lavori della pista sulla base di una strada preesistente che contornava il lago. Nel 1961 la pista fu pronta al gran debutto col 2º Gran Premio di Formula 1 dell'anno, che si disputò il 27 agosto; in seguito, si corsero i Gran Premi di Formula 2 (il Gran Premio di Enna), di Formula 3000, numerosi campionati nazionali e regionali, rally annuali e il Ferrari Day del 1997. In seguito al ritiro delle licenze FIA e CSAI, nel 2004 per esigenze di sicurezza è stato previsto l'esproprio di 24.000 m² di terreni per avviare i lavori di realizzazione di una nuova uscita di sicurezza ed altre opere minori. Atletica e sport Diversi gli impianti per le attività sportive che si accentrano ad Enna e nei centri più grossi. Una pista di atletica leggera a Enna Bassa che lavori di ristrutturazione stanno trasformando in un centro di importanza regionale, con le tribune e le corsie di gara ampliate, una palestra di riscaldamento muscolare, ed altre strutture annesse. Tra le società di pallamano due squadre, la Pallamano Haenna e il Regalbuto. Attività acquatiche si svolgono nei laghi Nicoletti e Pozzillo. Note Bibliografia Un telegramma cambiò la storia. «La Sicilia», 6 dicembre 2006, 15. Pergusa, storia di un autodromo. «La Sicilia», 26 ottobre 2001/«Enna On Line», n. 22 settembre 2006, 3. Note di regia. «Enna Provincia», dicembre 2006, 20-21. Enna e provincia, Guida verde Touring Club Italiano, Milano 2001. Enna: città museo, Giovanni Montanti, Il Sole Editrice. Gaetano Mililli, Poesie e proverbi nella parlata gallo-italica di Aidone, Bonfirraro Editore, Barrafranca, 2004. Il meglio tempo - I fasci nella Sicilia interna di Enzo Barnabà, edizioni Il Lunario, Enna, 1998. Momenti di lotta e conquiste dei minatori ennesi di Mario Mangione. Salvatore Giordano, Tota nostra, Edizioni Carlo Amore, Roma, 2007 ISBN 978-88-87958-89-8 (Il paese immaginario di Convicino, protagonista dell'opera, è in larga parte identificabile proprio con un qualunque comune della provincia di Enna e diviene l'emblema di altri comuni del mezzogiorno e della Sicilia interna). Voci correlate Provincia di Enna Liberi consorzi comunali della Sicilia Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Provincia%20di%20Lecce
Provincia di Lecce
La provincia di Lecce è una provincia italiana della Puglia di abitanti con capoluogo Lecce, la seconda più popolosa della regione dopo la città metropolitana di Bari. È inclusa totalmente nella regione geografica del Salento ed è la più orientale d'Italia. Bagnata a nord-est dal mare Adriatico (canale d'Otranto) e a sud-ovest dal mar Ionio (golfo di Taranto), unica delle sei province pugliesi ad affacciarsi su entrambi i mari, la provincia di Lecce occupa l'estremità meridionale della Puglia e confina a nord-ovest con la provincia di Brindisi e la provincia di Taranto. La provincia di Lecce ha ereditato il suo stemma dall'antica provincia di Terra d'Otranto, il cui territorio coincideva, grosso modo, con quello delle odierne province di Lecce, Taranto e Brindisi. Geografia fisica Territorio La provincia di Lecce, estesa per 2.759,39 chilometri quadrati (il 14,3% del territorio pugliese), è la terza provincia per estensione territoriale della regione dopo quelle di Foggia e di Bari. La provincia, inclusa totalmente nella subregione del Salento, è sostanzialmente pianeggiante. A nord si estende la pianura salentina (o Tavoliere di Lecce) che costituisce un vasto e uniforme bassopiano caratterizzato da poderosi strati di terra rossa e dall'assenza di corsi d'acqua di superficie per via della natura carsica del terreno che presenta innumeroveli inghiottitoi (chiamati vore o capoventi), punti di richiamo delle piovane che convogliono l'acqua nel sottosuolo alimentando veri e propri fiumi sotterranei. A sud si elevano i modesti rilievi collinari delle serre salentine la cui altezza massima raggiunge i 196 m s.l.m. con la Serra dei Cianci in territorio di Alessano. La fascia costiera, lunga 222 km, è caratterizzata da spiagge di sabbia fine, con affioramenti di acque freatiche e bacini retrodunali, intervallate da lunghi tratti rocciosi e alte falesie che sprofondono nel mare. Lungo la costa adriatica meridionale si concentrano numerose grotte naturali come la Grotta Zinzulusa. Fanno parte del territorio anche i bacini costieri dei Laghi Alimini (Alimini Grande e Alimini Piccolo), situati a nord di Otranto, e l'area paludosa delle Cesine. I principali corsi d'acqua (Idume, Giammatteo, Brunese, Idro) sono piccoli rivoli alimentati da sorgenti freatiche a pochi passi dal mare Adriatico, mentre numerosi bacini di bonifica si estendono nel retroduna di entrambe le coste. Orografia Serre salentine Il Salento e in particolare la provincia di Lecce non ha montagne, ma piccole colline che difficilmente raggiungono i duecento metri sul livello del mare. Sono conosciute con il nome di serre o Murge salentine e geograficamente rappresentano le continuità meridionali delle Murge che possono considerarsi le loro sorelle maggiori. I principali rilievi della provincia sono: Mare La fascia costiera della provincia è ricoperta di una rigogliosa macchia mediterranea e di folte pinete. La costa si presenta alta e rocciosa con scogliere a picco sul mare sul versante adriatico da Otranto fino a Santa Maria di Leuca e sullo Ionio nel tratto compreso fra Gallipoli e le marine di Nardò. Il resto della costa è bassa e sabbiosa. In alcune aree vi è la presenza di ampi tratti di dune e di zone paludose. Le località rivierasche più rinomate (dall'Adriatico allo Ionio) sono: San Cataldo, San Foca, Torre dell'Orso, Otranto, Santa Cesarea Terme, Castro, Tricase, Santa Maria di Leuca, Marina di San Gregorio, Torre Vado, Marina di Pescoluse, Lido Marini, Torre San Giovanni, Gallipoli, Santa Maria al Bagno, Santa Caterina, Porto Cesareo e Torre Lapillo. I comuni della provincia che si affacciano direttamente sul mare sono 27 sui 96 totali. Il comune di Castrignano del Capo, nel quale ricade la marina di Santa Maria di Leuca, è bagnato da entrambi i mari. Questo se si considera Punta Meliso, la punta del santuario di Leuca, il confine dei due mari. Motto del Salento è diventata l'espressione "lu sule, lu mare e lu jentu" che riassume i tre elementi principali del territorio: il sole, il mare e il vento. Facendo riferimento alla ventosità, i venti principali sono due: lo Scirocco da sud portatore di afa e instabilità e la Tramontana da nord che porta aria secca e fredda. Il clima della provincia è fondamentalmente mediterraneo ma con punte continentali, riscontrabili specialmente d'inverno. Nel periodo freddo (segnatamente nei mesi di dicembre e soprattutto gennaio) non sono rari episodi di freddo intenso, con minime notturne sotto zero, dovute a cieli sereni e venti assenti immediatamente successivi ad avvezioni di aria gelida da est e raramente la neve. L'estate è in genere calda, afosa, umida e particolarmente siccitosa e con massime in talune condizioni superiori ai 40 °C, specie nelle zone più interne con venti molto secchi da sud-ovest, anche se non sono rari i temporali estivi. Le precipitazioni, concentrate soprattutto nel periodo invernale e autunnale, si attestano mediamente sull'ordine di 600 mm di pioggia annuali. Storia La provincia di Lecce trae le sue origini dall'antico giustizierato, poi provincia, di Terra d'Otranto. La Terra d'Otranto comprendeva fin dall'XI secolo i territori delle attuali province di Lecce, Taranto e Brindisi (con l'eccezione di Fasano e Cisternino). Fino al 1663 comprendeva anche il territorio di Matera (Basilicata). Il suo capoluogo fu in un primo momento Otranto, ma in epoca normanna (XII secolo) fu sostituita da Lecce. Dopo l'unità d'Italia, la Terra d'Otranto cambiò nome in Provincia di Lecce, e il suo territorio fu diviso nei quattro circondari di Lecce, di Gallipoli, di Brindisi e di Taranto. Il suo smembramento iniziò nel 1923, quando il circondario di Taranto venne tramutato nella nuova provincia dello Jonio. Con R.D.L. 2 gennaio 1927, n. 1, venne privata dei comuni di San Pietro Vernotico, Cellino San Marco e Torchiarolo, già appartenenti al circondario di Lecce, e di tutti i comuni del circondario di Brindisi, i quali andarono a costituire la neonata provincia di Brindisi, insieme ai comuni di Fasano e Cisternino, sottratti alla provincia di Bari. Pochi mesi dopo, con R.D.L. 31 marzo 1927, n. 468, a parziale risarcimento per i comuni appartenuti al circondario di Lecce e ceduti alla provincia di Brindisi, i comuni dell'ex mandamento di Salice Salentino, ossia Guagnano, Salice Salentino e Veglie, passarono dalla provincia di Brindisi a quella di Lecce. La provincia comprende nel suo territorio un'isola linguistica, la Grecìa Salentina, nella quale si parla un dialetto neo-greco noto come grico. Essa comprende attualmente undici comuni: nove di lingua ellenofona (Calimera, Castrignano de' Greci, Corigliano d'Otranto, Martano, Martignano, Melpignano, Soleto, Sternatia e Zollino) e altri due non ellenofoni di recente ingresso (Carpignano Salentino e Cutrofiano), riuniti nell'Unione dei comuni della Grecia Salentina, comprendente in totale circa 50.000 abitanti. Simboli Lo stemma della provincia di Lecce, approvato con decreto del Capo del Governo in data 30 novembre 1933, ha la seguente descrizione araldica: Esso deriva dall'antico stemma della Terra d'Otranto, che a sua volta deriva dallo scudo araldico degli Aragona, che nel corso del XIV-XV secolo possedevano gli attuali territori della provincia di Lecce. La leggenda fa risalire a Goffredo il Villoso l'origine di tale stemma, visibile in tutta l'Europa Mediterranea, costituito da quattro pali rossi su fondo d'oro. Secondo il Libre de feyts d'Arms de Catalunya, Carlo il Calvo per premiare Goffredo che aveva valorosamente combattuto al suo fianco, intinse quattro dita nel sangue che scorreva copioso dalle ferite e le passò sullo scudo del conte che a quel tempo era completamente senza contrassegni, dando così vita ai "pali catalani". Lo stemma della provincia di Lecce, oltre ad avere il classico "Scudo d'Aragona" è caricato con un delfino "stizzoso" che afferra in bocca una mezzaluna. Tale elemento araldico venne aggiunto nel corso del XV-XVI secolo quando il Salento si ergeva a "bastione" contro i turchi, infatti la mezzaluna è proprio uno dei simboli di tale popolazione, che nel corso soprattutto dei secoli XV-XVI effettuavano numerose incursioni nel Mediterraneo. Descrizione araldica del gonfalone: Monumenti e luoghi d'interesse Monumenti nazionali Nella provincia di Lecce insistono importanti monumenti nazionali: Architetture religiose A Lecce Duomo di Lecce: collocato nell'omonima piazza, fu costruito una prima volta nel 1144, poi nel 1230. Venne ricostruito per volere del vescovo Luigi Pappacoda dall'architetto leccese Giuseppe Zimbalo a partire dal 1659 a cui si deve anche l'attigua torre campanaria alta 70 metri circa e suddivisa in 5 piani con finestre molto slanciate; termina con una loggia ottagonale. Il Duomo è dedicato a Maria Santissima Assunta. Basilica di Santa Croce: monumento simbolo del barocco leccese, fu costruita a cavallo di due secoli, dal 1549 al 1695, su disegni di Gabriele Riccardi e da architetti del calibro di Cesare Penna e Giuseppe Zimbalo. Il prospetto, ricco di simboli, statue e decorazioni, si divide in tre sezioni. L'interno, a croce latina e a tre navate, è di pura forma basilicale. Chiesa di Sant'Irene dei Teatini: fu edificata a partire dal 1591 su progetto del teatino Francesco Grimaldi. Presenta una grandiosa facciata composta da due assetti stilistici sovrapposti. Sulla trabeazione è posta un'iscrizione dedicata a Santa Irene: «Irene virgini et martiri». L'interno, a croce latina e ad una sola navata, si modula in modo molto più sobrio rispetto al prospetto esterno, presentando, per ogni lato, tre profonde cappelle, comunicanti tra loro, caratterizzate da volte ellittiche illuminate a luce naturale. Presenta molti altari e ospita numerosissime tele di inestimabile valore artistico. Chiesa di San Giovanni Battista: fu realizzata nel 1690-91 dallo Zimbalo. Il prospetto, ricco di decori barocchi, colonne, capitelli, statue, trofei di fiori, è diviso in due ordini da una balaustra. L'interno, a pianta a croce greca, presenta ricchi altari. Il pulpito è l'unico delle chiese leccesi ad essere realizzato in pietra leccese. La copertura è a capriate lignee; la realizzazione della cupola fu sconsigliata per le grandi dimensioni della campata. Chiesa di San Matteo: fu nel 1667 dai disegni dell'architetto Giovann'Andrea Larducci e presenta gli elementi architettonici tipici delle chiese del pieno periodo barocco dell'Italia centrale. Il suo accordo plastico composto dall'ordine inferiore convesso e il superiore concavo, infatti, è poco usuale tra i monumenti dell'arte del Salento e di Lecce. Negli altri Comuni Cattedrale Maria Santissima Annunziata a Otranto: edificata sui resti di una domus romana, di un villaggio messapico e di un tempio paleocristiano, è stata consacrata al culto il primo agosto 1088 durante il papato di Urbano II. All'interno, in sette grandi armadi, si conservano le ossa dei beati Martiri di Otranto. Di inestimabile valore artistico è il mosaico pavimentale eseguito tra il 1163 e il 1166 dal monaco basiliano Pantaleone che raffigura l'albero della vita. Basilica Cattedrale Santa Maria Assunta a Nardò: l'attuale cattedrale sorge, probabilmente, sul luogo dove, un tempo, fu fondata l'antica chiesa di Sancta Maria de Neritorio, ad opera di alcuni monaci orientali che nel VII secolo sfuggirono alle persecuzioni iconoclaste. Il cenobio, dedicato alla Madonna Assunta, è presente sin dal 1088. Il corpo dell'edificio fu modificato nel corso dei secoli; a partire dal 1354, in seguito a danneggiamenti provocati da un sisma, fino agli ultimi anni dell'Ottocento, quando la facciata fu riportata al suo aspetto più classico. Basilica Cattedrale di Sant'Agata a Gallipoli: è una costruzione barocca del XVII secolo, riedificata sul luogo di una chiesetta romanica dedicata a San Giovanni Crisostomo. Si trova al centro e nel punto più alto dell'isola che ospita in nucleo antico della città, sito probabilmente destinato ad area sacra sin dall'antichità. Chiesa Madre dei Santi Pietro e Paolo a Galatina: fu costruita ex novo nel 1633 sull'area di un precedente edificio sacro. Di notevole interesse gli affreschi della volta, gli altari in marmo policromo, l'antico cappellone del Sacramento, le tele e le statue. Nel 1663, per volere di Mons. Adarzo de Santander, Vescovo di Otranto, la facciata fu impreziosita con l'aggiunta di tre portali commissionati a Giuseppe Zimbalo e vennero realizzate anche le nicchie e i santi che in esse sono posizionate. Basilica di Santa Caterina d'Alessandria a Galatina: uno dei più insigni monumenti dell'arte romanica e gotica in Puglia, fu realizzata tra il 1369 e il 1391 per volontà di Raimondello Orsini del Balzo. L'edificio fu costruito su una preesistente chiesa bizantina di rito greco risalente al IX-X secolo. L'interno conserva una pregevole decorazione pittorica eseguita nei primi decenni del XV secolo per volontà di Maria d'Enghien. Chiesa di Maria Santissima Assunta in Cielo (Trepuzzi) a Trepuzzi: L'edificio era originariamente intitolato a San Pietro Apostolo come attesta il documento redatto a seguito della visita pastorale di mons. Luigi Pappacoda, avvenuta il 4 maggio 1640. Solo più tardi, a partire dal 1792, viene indicata come titolare della chiesa la Madonna Assunta, protettrice di Trepuzzi. La costruzione in carparo e in pietra fu eretta nel 1603, come indica l'iscrizione posta sulla facciata, sotto lo stemma civico: AL SINDACATO: DI PROSPERO PERRONE NELL'ANNO 1603. Chiesa Madre di Santa Maria delle Grazie a Campi Salentina: di stile rinascimentale, risale al 1579 e sostituisce l'antico edificio di culto databile al XIV secolo. Dalla prima metà del XVII secolo la struttura conobbe l'avvento del barocco che sostituì gli originari elementi architettonici del Cinquecento. Chiesa Madre di Maria SS. Annunziata a Casarano: edificata nei primi anni del XVIII secolo, sorge sulle fondamenta di un preesistente edificio risalente al Cinquecento e di cui rimangono i caratteristici archetti. All'interno, a croce latina, si possono ammirare numerosi dipinti tra cui alcuni del leccese Oronzo Tiso e del Coppola. Chiesa di Santa Maria della Croce in Casaranello a Casarano: è tra i più antichi luoghi di culto cristiano del mondo (solo cinque edifici sono più vecchi), con mosaici paleocristiani bizantini a tessere policrome del V secolo e affreschi di età medievale (XI-XIV sec.) raffiguranti, tra l'altro, Santa Barbara, il Cristo Pantocratore, Santa Caterina d'Alessandria e Santa Margherita d'Antiochia. Ex Chiesa Cattedrale dell'Annunziata a Castro: a croce latina, fu costruita nel 1171, probabilmente sulle rovine di un tempio greco. Si compone di una sola navata terminante in tre absidi. I continui interventi e rifacimenti nel corso dei secoli, hanno sensibilmente alterato la struttura originaria in stile romanico. Chiesa Madre della Madonna delle Nevi a Copertino: sorse nel 1088 per volontà del conte Goffredo il Normanno e fu intitolata alla Vergine Assunta. Santuario del SS. Crocifisso della Pietà a Galatone: fu costruito fra il 1683 e il 1694 sulle fondamenta di una precedente chiesa risalente al 1623, crollata rovinosamente nel febbraio del 1682. L'antica chiesa venne innalzata per custodire un'icona raffigurante il SS. Crocifisso della Pietà (XIV secolo) ancora oggi presente al centro dell'altare maggiore. Fu elevata a Santuario nel 1796 da papa Pio VI. Chiesa Madre dell'Annunziata a Muro Leccese: fu costruita tra il 1680 e il 1693. L'interno, a croce latina, ospita numerose opere pittoriche e pregevoli altari scolpiti in pietra leccese. Chiesa Madre di Sant'Andrea Apostolo a Presicce (comune di Presicce-Acquarica): distrutta dal terremoto del 1743, venne ricostruita tra il 1778 e il 1781. Conserva ancora intatto il campanile rinascimentale (m 27,60) finemente decorato, risalente alla metà del XVI secolo. Chiesa Madre Maria SS. Assunta a Vernole: ultimata nel 1730, venne consacrata nel 1748. L'interno è a croce latina a navata unica. Il campanile è del 1740. Chiesa San Vitale Martire a Marittima: La chiesa, in stile neoclassico, è a pianta quadrangolare, suddivisa in tre navate, culminanti con altrettanti altari. Sui quattro pilastri centrali poggia una cupola semisferica, recante nell’intradosso un affresco, molto ben curato, come anche le restanti decorazioni pittoriche. Architetture militari Castelli Castello di Gian Giacomo dell'Acaya ad Acaya Castello di Acquarica ad Acquarica del Capo (comune di Presicce-Acquarica) Castello Spinola-Caracciolo ad Andrano Castello dei Gualtieri a Castrignano de' Greci Castello aragonese a Castro Castello di Copertino a Copertino Castello de' Monti a Corigliano d'Otranto Castello dei Bonsecolo a Felline Castello di Gallipoli a Gallipoli Castello Carlo V a Lecce Castello Castromediano - Valentini a Morciano di Leuca Castello aragonese a Otranto Torri costiere Lungo tutto il litorale della provincia è possibile ammirare delle torri cinquecentesche fatte costruire da Carlo V per difendere il territorio salentino dalle incursioni dei Saraceni. Se ne contano attualmente circa un'ottantina Monumenti megalitici La provincia è ricca di monumenti megalitici (dolmen e menhir), disseminati sul tutto il territorio e in misura maggiore nei comuni del versante orientale. Il più alto monumento megalitico italiano si può visitare nella splendida cittadina di Martano (menhir de Santu Totaru) Energia La provincia di Lecce è prima in Italia per produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici, con una produzione di 893,1 GWh nel 2018. L'energia elettrica prodotta da impianti fotovoltaici, nel 2018, ha soddisfatto il 40,0% dei consumi della provincia. Il 99,95% dell'energia prodotta in provincia di Lecce proviene da fonti rinnovabili. Economia Infrastrutture e trasporti Comuni Appartengono alla provincia di Lecce i seguenti 96 comuni (il che ne fanno la provincia con il maggior numero di essi su tutto il territorio pugliese): Alessano Alezio Alliste Andrano Aradeo Arnesano Bagnolo del Salento Botrugno Calimera Campi Salentina Cannole Caprarica di Lecce Carmiano Carpignano Salentino Casarano Castri di Lecce Castrignano de' Greci Castrignano del Capo Castro Cavallino Collepasso Copertino Corigliano d'Otranto Corsano Cursi Cutrofiano Diso Gagliano del Capo Galatina Galatone Gallipoli Giuggianello Giurdignano Guagnano Lecce Lequile Leverano Lizzanello Maglie Martano Martignano Matino Melendugno Melissano Melpignano Miggiano Minervino di Lecce Monteroni di Lecce Montesano Salentino Morciano di Leuca Muro Leccese Nardò Neviano Nociglia Novoli Ortelle Otranto Palmariggi Parabita Patù Poggiardo Porto Cesareo Presicce-Acquarica Racale Ruffano Salice Salentino Salve San Cassiano San Cesario di Lecce San Donato di Lecce San Pietro in Lama Sanarica Sannicola Santa Cesarea Terme Scorrano Seclì Sogliano Cavour Soleto Specchia Spongano Squinzano Sternatia Supersano Surano Surbo Taurisano Taviano Tiggiano Trepuzzi Tricase Tuglie Ugento Uggiano la Chiesa Veglie Vernole Zollino Comuni più popolosi Di seguito è riportata la lista dei primi 24 comuni per numero di abitanti aggiornata al 1º gennaio 2022. Comuni meno popolosi Di seguito è riportata la lista dei 6 comuni meno popolati della provincia. Amministrazione Note Voci correlate Salento Terra d'Otranto Castelli della provincia di Lecce Monumenti megalitici della provincia di Lecce Stemma della Terra d'Otranto Santi protettori dei comuni della provincia di Lecce Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Provincia%20di%20Bari
Provincia di Bari
La provincia di Bari è stata una provincia italiana della Puglia, soppressa nel 2015 e sostituita dall'istituenda città metropolitana di Bari. Si estendeva su una superficie di 3.825 km² e comprendeva 41 comuni. Con una popolazione di 1,2 milioni di abitanti al momento della soppressione, era la provincia più popolata della regione e la settima in Italia. Sino all'istituzione della provincia di Barletta-Andria-Trani, nel 2004, contava oltre 1,5 milioni di abitanti ed era pertanto la quinta provincia italiana più popolosa. Aveva ereditato i simboli e il territorio dall'antica provincia di Terra di Bari. Affacciata a nord-est sul mare Adriatico, confinava a sud con la provincia di Brindisi e quella di Taranto, ad ovest con la Basilicata (province di Matera e Potenza), a nord con la provincia di Barletta-Andria-Trani (in precedenza con la provincia di Foggia). Geografia fisica La provincia di Bari era situata nella parte centrale della Puglia, in un'area un tempo chiamata Terra di Bari. Il territorio era prevalentemente collinare, dominato dalle Murge, mentre le zone pianeggianti erano limitate alla costa e all'area attorno al capoluogo, detta Conca di Bari. A causa del terreno carsico, l'intera provincia era priva di corsi d'acqua superficiali o bacini lacustri. Il paesaggio, prevalentemente a pascolo e a seminativo alle quote maggiori, era contraddistinto più a valle dagli uliveti, dai mandorleti e da coltivazioni orticole di tipo intensivo. Salvo che nella propaggine sud-orientale (comuni di Alberobello, Locorotondo e Monopoli), contraddistinta dalla presenza di abitazioni sparse nelle campagne, la popolazione si concentrava in centri urbani compatti, spesso molto popolosi: oltre a Bari, superavano i 50.000 abitanti anche Altamura, Bitonto, Corato, Gravina in Puglia e Molfetta. Storia La dizione Terra di Bari, impiegata sin dall'alto medioevo, dal 1231 assunse anche valore civile, indicando il giustizierato istituito da Federico II di Svevia, che a partire dall'epoca aragonese prese il nome di provincia. La provincia di Terra di Bari comprendeva tuttavia l'intera Puglia centrale a sud dell'Ofanto estendendosi sino ai comuni di Fasano e Cisternino. Per secoli, ne fu capoluogo Trani, soppiantata dalla città di Bari solo nel 1806. Con l'unità d'Italia, l'ente amministrativo della provincia di Terra di Bari fu confermato e ulteriormente suddiviso nei tre circondari di Bari delle Puglie, Barletta e Altamura. Nel 1927, contestualmente alla soppressione dei circondari nell'ambito della riorganizzazione della struttura statale voluta dalle istituzioni fasciste, i comuni di Cisternino e Fasano furono aggregati all'istituenda provincia di Brindisi. Un'ulteriore modifica dei confini si ebbe nel 2004 con l'istituzione della provincia di Barletta-Andria-Trani: dalla provincia di Bari vi confluirono, oltre ai tre capoluoghi, anche Bisceglie, Canosa di Puglia, Minervino Murge e Spinazzola, per un totale di circa 340.000 abitanti. L'ente ha cessato di esistere il 1º gennaio 2015, venendo sostituito dalla città metropolitana di Bari. Amministrazione La tabella elenca i Presidenti della Provincia di Bari, eletti dal 1960 fino alla soppressione dell'ente. Comuni Al momento del suo scioglimento, la provincia di Bari comprendeva 41 comuni: Acquaviva delle Fonti Adelfia Alberobello Altamura Bari Binetto Bitetto Bitonto Bitritto Capurso Casamassima Cassano delle Murge Castellana Grotte Cellamare Conversano Corato Gioia del Colle Giovinazzo Gravina in Puglia Grumo Appula Locorotondo Modugno Mola di Bari Molfetta Monopoli Noci Noicattaro Palo del Colle Poggiorsini Polignano a Mare Putignano Rutigliano Ruvo di Puglia Sammichele di Bari Sannicandro di Bari Santeramo in Colle Terlizzi Toritto Triggiano Turi Valenzano Note Altri progetti Collegamenti esterni Bari
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https://it.wikipedia.org/wiki/Pellicola%20fotografica
Pellicola fotografica
La pellicola fotografica è il supporto, di natura chimica, utilizzato, da più di 100 anni, nelle fotocamere analogiche, per imprimere immagini. Nonostante un breve periodo di disuso, con l'utilizzo sempre più ampio della fotografia digitale, all'inizio degli anni Duemila, il supporto analogico è tornato ad essere usato da artisti, fotografi professionisti e dilettanti, in tutte le sue varianti, dal piccolo al grande formato, invertibili istantanee e negative. Storia Le immagini latenti delle fotografie erano inizialmente impressionate utilizzando supporti di rame, vetro o metallo cosparsi di soluzioni fotosensibili di nitrato d'argento. Nel 1871, Richard Leach Maddox mise a punto una nuova emulsione, preparata con bromuro di cadmio, nitrato d'argento e gelatina. Il 1888 vide la nascita della Kodak N.1 e della pellicola avvolgibile, sulla quale il materiale fotosensibile era cosparso su carta che nel 1891 fu sostituita con una pellicola di celluloide avvolta in rulli, la moderna pellicola fotografica. Descrizione Il supporto di base più comune è un sottile nastro di materiale naturale trasparente, triacetato di cellulosa o sintetico, cioè di poliestere a cui è sovrapposto uno strato antialone per evitare riflessi interni. Gli strati successivi consistono in un'emulsione di micro cristalli di alogenuro d'argento dispersi uniformemente in gelatina animale o in tempi più recenti in gelatina sintetica. La sensibilità alla luce è data dai cristalli di alogenuro, prodotto combinando il nitrato d'argento con sali di alogeni (cloro, bromo e iodio) e può essere variata modificando le dimensioni dei cristalli. Nelle pellicole bianco/nero è presente un solo strato di emulsione fotosensibile, mentre nelle pellicole a colori sono necessari tre diversi strati, sensibili alle diverse frequenze di luce visibile per formare l'immagine finale, utilizzando la sintesi cromatica sottrattiva. Questi strati sono disposti uno sopra l'altro e resi sensibili ai colori con delle molecole organiche chiamate sensibilizzatori spettrali. Partendo dal basso, il primo strato è sensibile al rosso, il secondo al verde e il terzo al blu. Tra il verde e il blu è presente uno strato filtro di colorante giallo per evitare il passaggio del blu verso gli strati inferiori. L'emulsione per usi fotografici è particolarmente tarata per la luce visibile, ma è anche sensibile all'infrarosso, all'ultravioletto, ai raggi X e ai raggi gamma. Per applicazioni scientifiche (fotografia notturna, radiografia e gammagrafia, film-badge, ecc.) si producono pellicole tarate per lo specifico campo di applicazione. Quando la pellicola viene sottoposta ad un'esposizione controllata di luce attraverso l'obiettivo di una fotocamera, si imprime su di essa un'immagine non visibile della scena ripresa (in pratica un'"attivazione" dei cristalli proporzionale al numero di fotoni ricevuti), chiamata immagine latente. È quindi necessario applicare alla pellicola trattamenti chimici in soluzione acquosa, per ottenere la rivelazione di un'immagine visibile e insensibile ad ulteriori esposizioni alla luce, mediante i processi di sviluppo e fissaggio. L'immagine rivelata è costituita da finissimo particolato di argento metallico (nel caso del B/N), ma con i toni chiaro/scuro invertiti; è formata invece da tre strati sovrapposti di coloranti complementari ai colori primari originali (nel caso del colore). Per tale motivo in entrambi i casi la pellicola uscita dal trattamento chimico è definita negativa. Classificazione, caratteristiche, formati La pellicola fotografica esiste in due tipologie: negativa o invertibile. La prima restituisce dopo il trattamento un'immagine in negativo, quindi è necessario stamparla su carta fotografica negativa per ottenere (dopo sviluppo e fissaggio) un'immagine positiva (cioè avente le stesse tonalità caratteristiche dell'originale); al contrario nella pellicola invertibile, detta anche per diapositive, il processo di sviluppo, chiamato in questo caso inversione, fornisce direttamente sulla pellicola l'immagine in positivo, da proiettare o (più raramente) stampare su carta fotografica invertibile. Caratteristiche delle pellicole sono sensibilità, grana, latitudine di posa, risolvenza e contrasto. Le pellicole a colori sono tarate per una determinata temperatura di colore, normalmente luce diurna (o fonti comparabili, come flash elettronici o flash a lampadine azzurrate). Per l'utilizzo con fonti luminose diverse dalla luce naturale si usano apposite pellicole tarate per lampada al tungsteno o lampada fluorescente; alternativamente si utilizzano filtri fotografici di conversione, per l'uso di un tipo di pellicola con diverso tipo di luce. Trattamenti non standard È possibile, entro certi limiti, esporre una pellicola a una sensibilità diversa da quella nominale. Con una tecnica chiamata trattamento spinto o "tiraggio" (push processing in inglese), si espone la pellicola come se avesse una sensibilità superiore, ottenendo un'immagine sottoesposta, che in fase di sviluppo richiede un aumento del tempo e/o della temperatura del trattamento per compensarne la scarsa esposizione. Questo procedimento aumenta il contrasto e la grana, ma permette comunque di fotografare anche in condizioni precarie di luce in cui si sarebbe rinunciato a "scattare". Viceversa, se si sovraespone deliberatamente la pellicola in ripresa, come se avesse una sensibilità inferiore, e si compensa poi la sovraesposizione riducendo il tempo dello sviluppo, si ottengono immagini "soft" caratterizzate da bassi contrasto e saturazione dei colori. È una tecnica utilizzata spesso per ritratti e nudi femminili o per particolari paesaggi, al fine di conferire un aspetto "pittorico" alla foto. Confezionamento e conservazione Le pellicole fotografiche sono commercializzate in apposite confezioni a tenuta di luce. Per le pellicole piane: scatole contenenti pellicole di grande formato per uso professionale, da caricare nei telai porta pellicola delle fotocamere da studio una alla volta in camera oscura; caricatori contenenti più pellicole sovrapposte di medio formato (film pack), da inserire direttamente nella fotocamera anche in piena luce (ad es. Polaroid). Le pellicole piane per utilizzo nelle fotocamere a banco ottico sono anche chiamate lastre, con riferimento agli albori della fotografia, in cui il supporto dello strato fotosensibile era una lastra di metallo o di vetro. Per le pellicole a nastro o "in striscia": cassette contenenti due bobine (cedente e ricevente) di facile inserimento ed estrazione dalla fotocamera, pensate per l'utenza popolare meno esperta (ad es. 110, 126.); cartucce contenenti la sola bobina piena, destinate (almeno fino all'avvento delle fotocamere super-automatiche), ad un'utenza in grado di "caricare e scaricare" correttamente la pellicola (ad es. rullini 135); rullini contenenti la pellicola in spire strettamente avvolte, con carta di protezione al retro per tutta la lunghezza (ad es. 120) o anche soltanto la protezione di un nastro leader, formante le spire più esterne (ad es. 220). Più critici da manipolare e destinati prevalentemente a professionisti ed utenti esperti, in possesso di fotocamere "medio formato". Le pellicole in striscia possono essere prive di perforazioni (l'avanzamento e il corretto distanziamento dei fotogrammi è affidato ai meccanismi della fotocamera), oppure dotate di una singola perforazione per fotogramma (foro di registro per il corretto distanziamento), con trascinamento a cura della bobina ricevente. La pellicola 35 mm di derivazione cinematografica, dispone invece di ben 16 perforazioni totali (8+8) per fotogramma, in cui si inseriscono i denti del rullo della fotocamera, che effettua il trascinamento e il distanziamento, con una presa sia superiore che inferiore della striscia. La pellicola 35 mm si può anche acquistare a metraggio in barattoli metallici, realizzando un discreto risparmio, ma è considerata una pratica limitata agli esperti più attrezzati, in quanto necessita di una camera oscura o di una certa abilità manuale per le operazioni di taglio della pellicola e di inserimento nelle cartucce 135. Pratica più frequente tra i dilettanti e poco diffusa tra i professionisti, per i quali l'affidabilità del lavoro è preponderante rispetto al risparmio conseguibile. La conservazione delle pellicole non esposte richiede temperature inferiori a per l'uso nel medio periodo, inferiori a 0 °C per l'utilizzo nel lungo periodo, al fine da evitare il naturale degrado degli alogenuri che portano a dominanti cromatiche o variazioni della sensibilità. Per le pellicole esposte sono invece sufficienti temperature inferiori a 25 °C per il medio periodo e inferiori a 10 °C per il lungo periodo, sempre con umidità compresa tra il 30% e il 50%. Pellicole istantanee A partire dal 1948 la Polaroid Corporation commercializzò un sistema (fotocamere e pellicole "abbinate") che permetteva di ottenere un'immagine positiva in B/N entro qualche minuto dall'esposizione. Tale sistema forniva immagini singole di piccolo formato quadrato, grazie a un film-pack che conteneva per ciascuno "scatto" sia la pellicola negativa che la carta destinata a divenire il positivo, e una fialetta di stagnola con i reagenti chimici di sviluppo e trasferimento a contatto d'immagine. Tirando manualmente una linguetta sporgente, il negativo e il positivo uscivano dalla fotocamera accoppiati in un sandwich, la cui "farcitura" erano i reagenti chimici sparsi dalla fialetta schiacciata. Infine, separando gli elementi del sandwich, si otteneva il positivo (unico) e un negativo da gettare perché non riutilizzabile. Negli anni sessanta la Polaroid introdusse un film-pack a colori basato sullo stesso sistema, e poi nel 1972 l'innovativo sistema SX-70, basato su una fotocamera automatica SLR ripiegabile e una nuova pellicola a colori in cui negativo, positivo e reagenti erano tutti contenuti nella copia che veniva espulsa automaticamente dalla fotocamera subito dopo lo "scatto" e consentiva di assistere alla comparsa dell'immagine. Sul finire degli anni settanta entrarono in campo anche Fuji e Kodak; quest'ultima in particolare introdusse il sistema Kodak Instant basato su fotocamere e pellicole proprietarie che fornivano immagini rettangolari anziché quadrate. Polaroid tuttavia ravvisò alcune violazioni di brevetto da parte della Kodak e la citò in giudizio. Dopo aver perso la battaglia dei brevetti, Kodak abbandonò il business Instant nel gennaio 1986. Oggi pellicole istantanee sono prodotte da Impossible Project (su specifiche Polaroid) e da Fuji per il proprio sistema. Difetto di reciprocità Il difetto di reciprocità (noto anche come “effetto Schwarzschild” in omaggio all'astrofisico Karl Schwarzschild che per primo lo descrisse), consiste in una deviazione dal corretto rapporto di reciprocità di una pellicola fotografica. Il rapporto di reciprocità, definito come la relazione tra diaframma e tempo di esposizione per una data velocità della pellicola, è lineare tranne che nelle situazioni in cui il tempo di esposizione è particolarmente breve o lungo. In tali situazioni, gli elementi sensibili presenti sulla pellicola non reagiscono allo stesso modo e possono provocare una risposta alla luce insufficiente (sottoesposizione). Questo problema, chiamato difetto di reciprocità, può essere corretto per una pellicola bianco/nero aumentandone l'esposizione. Nelle pellicole a colori la risposta alla luce è diversa per ogni strato del materiale fotosensibile, quindi oltre alla sottoesposizione si incorre in dominanti di colore, che si possono correggere con l'utilizzo di appositi filtri. Il problema è presente anche nelle riprese con flash (il lampo dura in genere molto meno di un millesimo di secondo), che possono presentare immagini con dominante tendente al ciano. Queste problematiche e la loro soluzione sono illustrate all'interno dei manuali tecnici delle pellicole. Ad esempio, una pellicola 50 ISO, richiede una compensazione dell'esposizione quando si utilizza un tempo di 4 secondi o superiore. La compensazione necessaria nel caso di esposizione di 4 secondi è di 1/3, quindi la pellicola deve essere esposta per circa 5,2 secondi. La gestione del difetto di reciprocità è importante nella fotografia astronomica, in cui la necessità di lunghe esposizioni porta al limite la risposta della pellicola. Per aumentare la sensibilità della pellicola e renderne la risposta alla luce più lineare, è possibile immergerla in un "forming gas" a sottovuoto, per diverse ore. Deve poi essere conservata a temperatura inferiore a 0 °C ed estratta, utilizzata e sviluppata in brevissimo tempo. Produttori I principali produttori di pellicole fotografiche sono: Agfa Photo Kodak Alaris Fujifilm Ilford Ferrania (Produzione definitivamente interrotta nel 2009) Foma Efke Fotokemika (Produzione definitivamente interrotta nel 2012) Berrger Rollei Scotch 3M (Nome commerciale delle pellicole Ferrania dal 1964 al 1999) Film Ferrania Note Voci correlate Chimigramma Grana della pellicola Maschera nei negativi a colori Lastra fotografica Pellicola per negativi Formato margherita Processo C-41 Pellicole fotografiche non più in produzione Altri progetti Collegamenti esterni Pellicole fotografiche Sviluppo e stampa fotografici
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PCI
Sigle Paralisi cerebrale infantile Partito Comunista Italiano – partito politico italiano (1921-1991) Partito Comunista Italiano – partito politico italiano (2016-attivo) Per Capita Income – reddito procapite Protocol Control information – assieme alla SDU, forma la Protocol Data Unit Percutaneous Coronary Intervention – angioplastica coronarica Peripheral Component Interconnect – Bus di comunicazione hardware di un computer Potere calorifico inferiore – potere calorifico meno il calore di vaporizzazione Pounds per Cubic Inch – libbra a pollice cubo – unità di misura anglosassone del peso specifico Presbyterian Church in Ireland – Chiesa presbiteriana d'Irlanda Principi Contabili Internazionali – emanati dallo International Accounting Standard Board (IASB) Codici pci – codice ISO 639-3 della lingua duruwa Altro pCi – simbolo del picocurie Altri progetti
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Partito Comunista Italiano
Il Partito Comunista Italiano (PCI) è stato un partito politico italiano di sinistra, nonché il maggiore partito comunista dell'Europa occidentale. Venne fondato il 21 gennaio 1921 a Livorno con il nome di Partito Comunista d'Italia come sezione italiana dell'Internazionale Comunista in seguito al biennio rosso, alla rivoluzione d'ottobre e alla separazione dell'ala di sinistra del Partito Socialista Italiano guidata tra gli altri da Nicola Bombacci, Amadeo Bordiga, Onorato Damen, Bruno Fortichiari, Antonio Gramsci e Umberto Terracini al XVII Congresso del Partito Socialista Italiano. Durante il regime fascista, che dal 1926 lo costrinse alla clandestinità e l'esilio, ebbe una storia complessa e travagliata all'interno dell'Internazionale Comunista negli anni venti e trenta, al termine della quale nel 1943 divenne noto come Partito Comunista Italiano. Durante la seconda guerra mondiale assunse un ruolo di primo piano a livello nazionale, promuovendo e organizzando con l'apporto determinante dei suoi militanti la Resistenza contro la potenza occupante tedesca e il fascismo repubblicano. Il segretario Palmiro Togliatti attuò una politica di collaborazione con le forze democratiche cattoliche, liberali e socialiste, propose per primo la «via italiana al socialismo» ed ebbe un'importante influenza nella creazione delle istituzioni della Repubblica Italiana. Passato all'opposizione nel 1947 dopo la decisione di Alcide De Gasperi di estromettere le sinistre dal governo per collocare l'Italia nel blocco internazionale filo-statunitense, rimase fedele alle direttive politiche generali dell'Unione Sovietica fino agli anni settanta e ottanta, pur sviluppando nel tempo una politica sempre più autonoma e di piena accettazione della democrazia già a partire dalla fine della segreteria Togliatti e soprattutto sotto la guida di Enrico Berlinguer, che promosse il compromesso storico con la Democrazia Cristiana e la collaborazione tra i partiti comunisti occidentali con il cosiddetto eurocomunismo. Nel 1976 toccò il suo massimo storico di consenso, mentre sull'onda emotiva della morte improvvisa del segretario Berlinguer nel 1984 divenne il primo partito italiano (questo evento venne definito «effetto Berlinguer»). Con la caduta del muro di Berlino e il crollo dei Paesi comunisti tra il 1989 e il 1991, si sciolse su iniziativa del segretario Achille Occhetto, dando vita a una nuova formazione politica di stampo socialdemocratico con il Partito Democratico della Sinistra mentre una parte minoritaria guidata da Armando Cossutta contraria alla svolta fondò il Partito della Rifondazione Comunista. Preambolo Il Partito Comunista d'Italia (PCd'I) inizialmente si poneva come obiettivo l'abbattimento dello Stato borghese e l'instaurazione di una dittatura del proletariato attraverso i consigli degli operai e dei contadini sull'esempio dei bolscevichi russi di Vladimir Lenin. I rapporti con Mosca, la controversa e variegata dialettica rispetto alle politiche dell'Unione Sovietica di cui il PCI aveva fatto un mito, così come i discussi tentativi di distaccarsene, costituirono un elemento centrale della storia del partito, che però avrebbe trovato la sua fonte di maggiore forza e legittimazione nel radicamento costruito nella società italiana e in particolare tra i lavoratori già negli anni dell'attività clandestina sotto il regime fascista, ma soprattutto nel secondo dopoguerra, allorché il PCI si trasformò nel «partito nuovo» voluto da Palmiro Togliatti, un «partito di massa» con una forte presenza territoriale, volto a cercare di proporre soluzioni ai problemi delle masse lavoratrici e del Paese nel suo insieme. Il partito fu guidato nei suoi primi anni di vita da una maggioritaria corrente di sinistra raccolta attorno ad Amadeo Bordiga, ma il III Congresso svoltosi clandestinamente a Lione nel gennaio del 1926 segnò un deciso cambiamento di politica. Suggellato con l'approvazione delle Tesi di Gramsci della bolscevizzazione e a favore della messa in minoranza della sinistra di Bordiga, la quale fu accusata di settarismo e venne prima emarginata e poi con l'arresto di Bordiga da parte dei fascisti si riunì in Francia editando la rivista Prometeo e nel dopoguerra nel Partito Comunista Internazionalista. Tale risultato venne poi variamente criticato per supposte ingerenze estere nelle vicende nazionali, specchio della situazione sovietica. Tra gli elementi principali di scontro vi erano i rapporti con l'Unione Sovietica, che le componenti di ispirazione sinistra comunista nelle vesti della Sinistra Comunista Italiana di Bordiga criticavano duramente; e la componente in seguito dominante che si riferiva a Gramsci, decisa a tenere ben saldo il legame con l'Internazionale Comunista. Nel 1930 Bordiga fu definitivamente espulso dal partito con l'accusa di trockismo. Stessa sorte era già parallelamente toccata a elementi alla destra del gruppo dirigente, quest'ultimo diviso dal 1926 tra chi come il segretario Gramsci era stato condannato a misure di carcerazione fascista; e chi come Palmiro Togliatti era riuscito a espatriare continuando l'azione di direzione del partito dall'estero o operando nella clandestinità. Una volta caduto il regime fascista nel 1943 ricominciò a operare legalmente partecipando immediatamente alla costituzione di formazioni partigiane e dal 1944 al 1947 agli esecutivi antifascisti successivi al governo Badoglio I, dove il nuovo capo politico Palmiro Togliatti fu anche per un breve periodo vicepresidente del Consiglio dei ministri. Nell'antifascismo il PCI è la forza più popolare e infatti la maggior parte degli aderenti alla Resistenza italiana era membro del partito comunista. Le Brigate Garibaldi, promosse dai comunisti, rappresentarono infatti circa il 60% delle forze partigiane. Nel corso del conflitto diverse componenti identificarono la lotta antifascista con la lotta di classe, mirando ad attuare una rivoluzione sul modello di quella sovietica. In realtà la maggioranza dei partigiani comunisti, sulla base delle indicazioni provenienti dai loro vertici e in particolare da Luigi Longo (allora a capo del partito nell'Italia occupata e al tempo stesso delle Brigate Garibaldi), intesero correttamente la lotta partigiana come una lotta volta in primo luogo alla liberazione del Paese dal nazifascismo, da condursi quindi nel modo più unitario possibile, accantonando le differenze di impostazioni e di obiettivi rispetto alle altre forze che partecipavano alla Resistenza: una linea che culminò nella costituzione del Comando generale unificato del Corpo volontari della libertà (CVL), contribuendo in modo decisivo all'esito vittorioso della lotta di liberazione. Nel 1947 nel nuovo clima internazionale di guerra fredda il PCI è allontanato dal governo e sarebbe rimasto all'opposizione per tutto il resto dei suoi giorni, non entrando mai in nessun governo repubblicano. Durante il XX Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica Nikita Sergeevič Chruščëv diede avvio con la denuncia dei crimini del regime staliniano alla cosiddetta destalinizzazione, la quale ebbe non poche ripercussioni anche sulla sinistra italiana. La linea del PCI diede seguito alla svolta che si tradusse nella volontà di tracciare una propria «via italiana al socialismo» che consisteva nell'accentuare il vecchio obiettivo del raggiungimento di una «democrazia progressiva» applicando integralmente la Costituzione italiana. L'amicizia e la lealtà che legavano il PCI all'Unione Sovietica, nonostante a partire dal 1968 una graduale progressiva critica all'operato del PCUS, fecero sì che l'atteggiamento nei rapporti internazionali non si tradusse mai in una rottura dei rapporti col partito sovietico. Questo portò a crisi e frammentazioni con militanti, intellettuali (molto noto il caso di Italo Calvino), dirigenti (come Antonio Giolitti, che nel 2006 ricevette le scuse e l'attestazione della ragione da parte di Giorgio Napolitano, capo dello Stato e a quell'epoca nella dirigenza allineata a Mosca) e componenti di sinistra e libertarie che fuoriuscivano o mettevano in discussione (Manifesto dei 101) la linea politica prima e dopo la rivoluzione ungherese del 1956 e poi con la Primavera di Praga gli interventi militari sovietici sulle nazioni dissidenti non sufficientemente o per nulla stigmatizzate dall'allora gruppo dirigente. Molti comunisti, riunti intorno alla rivista il manifesto, tra cui Rossana Rossanda, furono espulsi dal partito come già accaduto in altre circostanze. In quegli anni molte sigle di ispirazione comunista si sarebbero formate alla sinistra del PCI, contestando l'adesione al realismo sovietico. Il PCI è stato per molti anni dall'osservazione dei dati elettorali il partito comunista più grande dell'Europa occidentale. Mentre infatti negli altri Paesi democratici l'alternativa ai partiti o alle coalizioni democristiane o conservatrici era da sempre rappresentata da forze socialiste (con i partiti comunisti relegati a terza o quarta forza), in Italia rappresentò il secondo partito politico in assoluto dopo la Democrazia Cristiana (DC), con un Partito Socialista Italiano (PSI) via via sempre più piccolo e relegato dal 1953 in poi al rango di terza forza del Paese. Nel 1976 il PCI raggiunse l'apice del suo consenso elettorale col 34,4% dei voti dopo che l'anno prima aveva conquistato le principali città italiane mentre alle elezioni europee del 1984 avvenne il breve sorpasso sulla DC (33,33% dei consensi contro il 32,97%). Con milioni di iscritti nella sua storia, raggiungendo i 2.252.446 nel 1947, il PCI fu il più grande partito per numero di membri in tutta la storia della politica dell'Europa occidentale. Il partito si sciolse il 3 febbraio 1991 durante il XX Congresso Nazionale, quando la maggioranza dei delegati approvarono la svolta della Bolognina del segretario Achille Occhetto (succeduto tre anni prima ad Alessandro Natta) e che contestualmente si costituì il Partito Democratico della Sinistra (PDS), aderente all'Internazionale Socialista. Un'area consistente della minoranza di sinistra preferì rilanciare ideali e programmi comunisti e fondò il Movimento per la Rifondazione Comunista, che poi costituì con la confluenza di Democrazia Proletaria e di altri gruppi il Partito della Rifondazione Comunista (PRC). L'organizzazione giovanile del PCI fu la Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI). Storia Costituzione del Partito Comunista d'Italia e antifascismo La scissione dei comunisti dal PSI avvenne sui famosi «21 punti» di Mosca che delimitavano in modo netto la differenza delle posizioni politiche dei rivoluzionari da quelle dei riformisti e che costituivano le condizioni per l'ingresso nell'Internazionale Comunista, che aveva come obiettivo principe l'estensione della rivoluzione proletaria su scala mondiale. Il Congresso del PSI aveva appena rifiutato con solo un quarto di voti contrari, come previsto nelle 21 condizioni per l'adesione all'Internazionale Comunista, di espellere i membri della corrente riformista del partito. La minoranza, che rappresentava 58.783 iscritti su 216.337 e che abbandonò il teatro Goldoni riunendosi al teatro San Marco, era costituita dal gruppo astensionista che faceva capo ad Amadeo Bordiga, che guidò per primo il nuovo partito, dal gruppo de L'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini e Angelo Tasca, da parte della corrente massimalista di Anselmo Marabini, Antonio Graziadei e Nicola Bombacci e dalla stragrande maggioranza della Federazione Giovanile Socialista Italiana (FGSI). Il programma politico approvato dal nuovo partito si presentava particolarmente duro: «Il proletariato non può infrangere né modificare il sistema dei rapporti capitalistici di produzione da cui deriva il suo sfruttamento, senza l'abbattimento violento del potere borghese. [...] Dopo l’abbattimento del potere borghese, il proletariato non può organizzarsi in classe dominante che con la distruzione dell'apparato sociale borghese e con la instaurazione della propria dittatura [...] con la organizzazione armata del proletariato per respingere gli attacchi interni ed esterni». Il nuovo partito era un partito rigorosamente rivoluzionario e la sua linea politica era fondata sull'esclusione di qualsiasi tipo di accordo con i socialisti. Anche a causa della scissione dell'ala riformista del PSI, avvenuta nel 1922, questo provocò i primi attriti con l'Internazionale Comunista che pose con forza il tema della riunificazione con il PSI di Giacinto Menotti Serrati. Nel 1924 Gramsci con l'appoggio dell'Internazionale Comunista divenne segretario nazionale e il passaggio della segreteria da Bordiga a Gramsci fu sancito definitivamente nel 1926 con l'approvazione durante il III Congresso a Lione delle tesi politiche di Gramsci con oltre il 90% dei voti. Il PCd'I venne soppresso dal regime fascista il 5 novembre 1926, ma continuò la sua esistenza clandestina, i cui militanti in parte rimasero in Italia, dove fu l'unico partito antifascista a essere presente seppure a livello embrionale, in parte emigrarono all'estero, soprattutto in Francia e in Unione Sovietica. Con l'arresto di Gramsci la guida di fatto passò a Togliatti, che rafforzò ulteriormente i rapporti con l'Unione Sovietica. Questi rapporti si deteriorarono bruscamente nel 1929 a causa della presa di posizione di Tasca, che aveva sostituito Togliatti a Mosca, in favore del capo politico della destra sovietica Nikolaj Ivanovič Bucharin, che si contrapponeva in quel periodo a Iosif Stalin. Dopo che tutta la linea del PCd'I da Lione in poi fu messa in discussione Togliatti espulse Tasca e allineò di nuovo il partito sulle posizioni di Stalin, che erano ritornate a essere piuttosto settarie. Infatti il PCd'I fu costretto ad associare al PSI e al giovane movimento di Giustizia e Libertà (GL) la teoria del socialfascismo che poneva le sue basi sull'equiparazione tra fascismo e socialdemocrazia, intesi entrambi come metodi utilizzati dalla borghesia per conservare il potere. Nel 1926 molti comunisti italiani fuggirono dal Paese e circa seicento trovarono rifugio in Unione Sovietica. La loro situazione fu difficile da subito e molti cercarono di rientrare in Italia. Su segnalazione dei dirigenti italiani alle autorità sovietiche circa duecento militanti vennero indicati come indisciplinati o bordighisti-trotskisti, vennero inviati nei Gulag o direttamente fucilati, una tragedia di grandi proporzioni sulla quale per molto tempo si è saputo molto poco. Con la crescita del pericolo nazista l'Internazionale Comunista cambiò strategia e tra il 1934 e il 1935 lanciò la linea di riunire in un fronte popolare tutte le forze che si opponevano all'avanzata dei fascismi. Il PCd'I, che aveva faticato molto per accettare la svolta del 1929, ebbe una sofferenza ancora maggiore per uscire dal settarismo a cui quella svolta sembrava averlo destinato in quanto nell'Italia fascista i militanti si erano trovati da soli a fronteggiare la dittatura. Tuttavia un po' per volta il lavoro di Togliatti e di Ruggero Grieco, che divenne la seconda personalità del partito dal 1934 al 1938 quando il segretario Togliatti si trovava nell'Unione Sovietica, diede i suoi frutti e nell'agosto del 1934 fu sottoscritto il patto d'unità d'azione tra socialisti e comunisti che nonostante i distinguo segnò la riapertura del dialogo tra i due partiti operai. La linea politica del PCd'I andò di nuovo in crisi con il patto Molotov-Ribbentrop del 1939 in quanto fu impossibile conciliare l'unità antifascista con l'approvazione del patto fra sovietici e nazisti e fu costretto ad appiattirsi sulle posizioni dell'Internazionale che in quel periodo teorizzava per i comunisti l'equidistanza tra i diversi imperialismi. La situazione si aggravò ulteriormente quando con l'invasione tedesca il PCd'I si ritrovò in clandestinità anche a Parigi. Togliatti fu arrestato, ma non essendo stato riconosciuto se la cavò con pochi mesi di carcere e dopo aver riorganizzato un embrione di centro estero del partito andò a Mosca dove l'Internazionale, avendo sciolto definitivamente l'ufficio politico e il comitato centrale, gli affidò la direzione solitaria del PCd'I. La situazione all'interno del PCd'I si tranquillizzò grazie alla dichiarazione di guerra di Benito Mussolini a Francia e Inghilterra del 1940 che fece sì che si ricreassero le condizioni per una nuova unità antifascista, suggellata nel 1941 a Tolosa da un accordo con PSI e GL. In Italia dal 1941 e anche grazie all'importante lavoro di Umberto Massola cominciò a riorganizzare la rete clandestina e a fare sentire la propria voce anche attraverso la diffusione del bollettino intitolato Quaderno del lavoratore per mezzo del quale venivano diffuse le posizioni ufficiali del PCd'I, dettate direttamente da Togliatti attraverso Radio Mosca. Nello stesso tempo ripresero forza numerosi piccoli gruppi che spesso con linea politica autonoma continuavano dall'interno del Paese la loro lotta al fascismo. Resistenza, guerra partigiana e liberazione Il 15 maggio 1943 in seguito allo scioglimento dell'Internazionale Comunista assunse la denominazione di PCI. Quando il 25 luglio del 1943 Mussolini fu costretto a dimettersi, l'iniziativa del partito aumentò sensibilmente sia per i maggiori margini di manovra sia per la conseguente uscita dal carcere e il ritorno dall'esilio di numerosi dirigenti comunisti. Il 30 agosto 1943 dieci membri del partito costituirono a Roma una direzione centrale in Italia senza direttive ufficiali da parte di Togliatti. I dieci erano Mauro Scoccimarro, in questa fase il dirigente più autorevole e prestigioso della direzione, Umberto Massola, entrato clandestinamente in Italia fin dal 1941, Antonio Roasio, Agostino Novella, Celeste Negarville, Giorgio Amendola, Luigi Longo, Giovanni Roveda, Pietro Secchia e Girolamo Li Causi. Il peso del PCI in Italia era divenuto molto importante e furono soprattutto le decisioni politiche prese dai dirigenti del partito a Roma che ebbero decisiva influenza sulla crescita della Resistenza. Pietro Secchia, ex operaio biellese, imprigionato e deportato dal regime fascista dal 1931, liberato da Ventotene il 19 agosto 1943, venne incaricato durante una riunione tenuta a Roma il 10 settembre 1943 di recarsi a Milano per organizzare la guerra partigiana. Secchia raggiunse Milano in treno il 14 settembre dopo essere passato per Firenze e Bologna e aver diffuso le direttive del partito tra i militanti provenienti dall'antifascismo attivo. Tra il 20 e il 22 settembre anche Luigi Longo, già dirigente delle Brigate internazionali in Spagna, partì per il nord per affiancare Secchia nella organizzazione e direzione del movimento di resistenza. Fin dal novembre 1943 i comunisti poterono quindi costituire a Milano la prima struttura organizzativa unificata: il comando generale delle Brigate Garibaldi con Luigi Longo come responsabile militare e Pietro Secchia come commissario politico. I componenti iniziali del comando oltre a Longo e Secchia furono Antonio Roasio, Francesco Scotti, Umberto Massola, Antonio Cicalini e Antonio Carini. I militanti comunisti costituirono il nerbo dei gruppi clandestini della Resistenza italiana, organizzati nelle Brigate Garibaldi (se ne contarono fino a 575 gruppi) sulle montagne e nei GAP e nelle SAP nelle città. Oltre alla lotta armata il PCI continuò il suo lavoro politico continuando nell'organizzazione degli operai e promuovendo scioperi e agitazioni soprattutto nei primi mesi del 1944. La dichiarazione di guerra del governo Badoglio ai danni della Germania pose il PCI dinnanzi a un bivio: continuare nella linea richiesta dalla base di contrapposizione frontale a Badoglio e alla monarchia o l'assunzione di responsabilità di governo. Nel marzo del 1944 Togliatti dopo aver avuto un incontro con Stalin tornò in Italia e praticò quella che rimase famosa come la svolta di Salerno con la quale anteponendo la lotta antifascista alla deposizione della monarchia il PCI sancì il proprio ingresso nel Governo. L'ingresso del PCI nei governi formati da Pietro Badoglio e dal socialista riformista Ivanoe Bonomi andava letto nell'intenzione di Togliatti come il tentativo di accreditarsi come forza responsabile e fondatrice della democrazia italiana. La decisione politica di Togliatti di abbandonare almeno per il momento la volontà di rimanere estranei a un arco costituzionale democratico, specialmente se monarchico, ebbe delle conseguenze pesanti anche all'interno del PCI e più in generale in senso alla sinistra italiana. Nel dopoguerra infatti nel dibattito storico inerente ai rapporti (o addirittura all'eventuale fusione, di cui si ebbe molto a parlare) tra i due massimi partiti di sinistra, vale a dire il PCI e il PSI, non pochi furono gli esponenti sociali che si opposero fermamente a ogni alleanza, fusione e comunanza con i comunisti del partito togliattiano, reo di aver tradito sia pur con il benestare di Stalin la linea internazionalista che con gradazioni alterne a seconda del periodo storico impediva ogni sorta di alleanza con le forze democratiche e liberali degli stati borghesi, non di rado definite insieme ai socialdemocratici come forze «socialfasciste». La scelta di Togliatti da un punto di vista meno ideologico e più pratico è invece considerata come di alto profilo politico. Il segretario, così come i dirigenti sovietici, sapeva infatti che per quanto risultasse sulla carta come la realtà politica clandestina meglio organizzata nel Paese, se non si fosse schierato con le forze liberatrici, allineate in un supporto anglo-americano, il PCI non avrebbe potuto avere un ruolo determinante nella costruzione del nuovo Paese. Per quanto i sovietici stessero all'epoca avanzando nella pianura polacca e fossero in procinto di entrare in Germania, dando una svolta decisiva al fronte orientale, non si poteva ragionevolmente credere che essi sarebbero giunti in Italia prima che le forze alleate l'avessero già liberata. Non allinearsi e non scendere a patti con queste ultime, aspettando l'arrivo dei sovietici, avrebbe comportato l'alienarsi del PCI nella lotta per la liberazione d'Italia e non solo. Infatti nel momento in cui la monarchia, le forze democratiche e persino gli anglo-americani in un'ottica pre-guerra fredda avessero iniziato a percepire una certa ostilità da parte dei comunisti italiani, questi si sarebbero certamente ritrovati isolati e senza messi per salvaguardarsi, perdendo la partita. In seno alla svolta di Salerno era necessario dare un volto nuovo al partito e per ottenere questo era necessario che il PCI fosse ricostruito su basi diverse e diventasse un partito nuovo, ovvero un moderno partito di massa con profonde radici nei luoghi di lavoro e aderente alla società. Il partito cominciò pertanto una crescita costante data sia dal punto di vista dell'organizzazione, che si sviluppò ormai capillarmente in tutte le città italiane, sia in termini di numero di iscritti, passati da nel 1944 a nel 1945, che lo portarono a diventare il più importante e grande partito comunista europeo a ovest della cortina di ferro. Nel corso della guerra ebbero luogo alcune delle pagine più controverse della storia del PCI come l'eccidio di Porzûs ai danni di formazioni resistenziali bianche, commesso da un gruppo di partigiani, in massima parte gappisti (i GAP erano formati dal comando generale delle Brigate Garibaldi). Le formazioni partigiane comuniste furono inoltre coinvolte nelle vendette post-belliche contro fascisti (o presunti tali) in varie zone del nord Italia, quali il cosiddetto triangolo della morte. Rapporti tra PCI e PC Sloveno tra il 1939 e il 1948 Nel 1939 i rapporti tra i vari partiti comunisti erano regolati all'interno della III Internazionale, il cui fulcro era a Mosca, e i partiti comunisti erano più o meno tutti nell'illegalità all'interno dei loro rispettivi paesi. Questi partiti erano la trasformazione dei precedenti Fronti Popolari che in precedenza secondo le istruzioni di Mosca non dovevano partecipare alla guerra definita "conflitto interimperialista"; nondimeno e in contrasto col Comintern dopo l'invasione della Jugoslavia da parte dell'Asse il PC Jugoslavo subì una modifica radicale degli obiettivi per uniformarsi alla decisione di Tito di scatenare la guerra civile. All'interno del PCJ agiva il PC Sloveno (KPS) sotto la guida di Edvard Kardelj, che estendeva gli obiettivi a tutti i territori della cosiddetta "Slovenia Unita", estesa su tutti i territori nei quali fosse presente una popolazione slovena tra cui Trieste e la Venezia Giulia. Con questi presupposti il PCI dovette confrontarsi con la scelta tra l'avallare gli obiettivi territoriali del PCS (Trieste in primis) e il vedersi insidiate le sue stesse strutture al di là dell'Isonzo dalle infiltrazioni slovene e con gli accordi di Bari tra Togliatti, Đilas e Kardelj prese l'impegno di non appoggiare attivamente l'annessione di Trieste alla Jugoslavia ma anche di non ostacolarla, pur di poter attuare nel resto del territorio italiano la politica di ampie alleanze al fine di entrare stabilmente al governo; tra l'altro dopo la Svolta di Salerno dal giugno 1944 effettivamente il PCI partecipava al governo di larghe intese con Togliatti stesso vicepresidente del Consiglio. Le conseguenze di questo furono nella zona di confine la rottura dei rapporti del PCI con gli altri partiti del Comitato di Liberazione Nazionale e l'avallo delle posizioni filoannessionistiche del KPS, oltre alla subordinazione delle stesse unità partigiane italiane alla direzione slovena, e in questo ambito va collocata la strage di Porzus, dovuta alla presenza di una formazione partigiana italiana in una zona "slovena". Questo non bastò comunque a salvare in seno al Cominform il PCI dagli attacchi del KPJ del 1947 in merito a una non sufficiente incisiva strategia di presa del potere in Italia, e tanto meno a raccogliere i frutti all'interno del "governo di larghe intese" dal quale il PCI venne estromesso da De Gasperi nel maggio sempre del 1947. Addirittura Kardelj ritenne che "il PCI si preoccupava troppo dell'unità nazionale" (italiana) quando il nord era più avanzato culturalmente e pronto a sostenere un eventuale movimento rivoluzionario rispetto al sud; Luigi Longo, in qualità di delegato italiano fece notare come un movimento insurrezionale fosse alquanto problematico in presenza di forti contingenti di truppe angloamericane presenti sul territorio italiano; a togliere dall'imbarazzo il PCI provvide l'espulsione dal Cominform del KPJ nel 1948 con varie accuse, e col documento di espulsione redatto dallo stesso Togliatti. Questo pose fine a un decennio di subalternità del PCI al PCS, e non solo nelle zone di frontiera, iniziato con la dislocazione nel 1940 a Lubiana del centro estero dello stesso PCI, che costrinse tutte le comunicazioni del partito verso Mosca a passare al vaglio degli sloveni. Italia repubblicana e rapporti con l'Unione Sovietica A seguito della Liberazione Palmiro Togliatti diede vita a una politica che tenne insieme l'esigenza di consolidamento della democrazia italiana e il sentimento rivoluzionario e il mito dell'Unione Sovietica della base del partito, concretizzato nell'adesione fino al suo scioglimento al Cominform, l'organizzazione dei partiti comunisti filosovietici. Nel maggio 1947, a seguito della crisi di quel mese, Alcide De Gasperi formò un governo senza il PCI e il PSI, ma nonostante ciò il contributo costruttivo dei comunisti nell'Assemblea Costituente non mutò. Cosicché la Costituzione italiana entrò in vigore il 1º gennaio 1948 dopo essere stata approvata da tutti i maggiori partiti, compresi i comunisti. Apparato paramilitare Secondo alcune fonti e atti ufficiali il partito avrebbe mantenuto un'organizzazione paramilitare segreta denominata giornalisticamente da alcune testate, Gladio Rossa (locuzione in contrapposizione alla coeva e acclarata Organizzazione Gladio nata in chiave anticomunista). Lo storico Gianni Donno sostiene che «fino alle elezioni del 18 aprile 1948 un'insurrezione comunista in Italia era possibilità reale, e sarebbe stata sorretta da un apparato militare, incardinato nella struttura organizzativa del PCI». Quest'organizzazione avrebbe seguito la storia del partito estrinsecandosi in due fasi distinte: dal 1948 al 1954 in cui vennero poste le basi dell'organizzazione raccogliendo materiali bellici e creando una rete di contatti e logistica in preparazione di una possibile insurrezione armata alla seconda fase dal 1955 al suo scioglimento nel 1974, nella quale l'organizzazione avrebbe dovuto costituire un sostegno attivo a un'eventuale invasione dell'Italia da parte del Patto di Varsavia. Insieme a quest'organizzazione il partito ne mantenne un'altra, destinata alla protezione e alla fuga dei dirigenti nel caso che il partito stesso fosse stato dichiarato illegale in Italia. In un rapporto del SIFAR l'apparato paramilitare del PCI viene descritto come diviso in due gruppi: uno operativo in tempo di pace con il compito di «sostenere le agitazioni e mantenere l'economia nazionale sotto pressione, affinché la gente appoggi un cambiamento politico attraverso le riforme sociali di cui il PCI si fa promotore» e l'altro pronto a intervenire in caso di guerra con opere di sabotaggio. Il Servizio Ordine Informazioni era la struttura informativa che si affiancava alla struttura paramilitare e svolgeva attività spionistica nei settori militare, industriale e politico. Questa struttura operava in stretto collegamento col KGB e con il GRU (il servizio informazioni militare sovietico) e aveva tra i suoi compiti anche la disinformazione, quindi la costruzione di informazioni false o dossier atti a creare scandali nei momenti opportuni. Riguardo alla Gladio Rossa anche il giornalista Giovanni Fasanella dichiara: In merito il senatore Giovanni Pellegrino nelle vesti di presidente della commissione parlamentare sulle stragi dichiarò proprio a Fasanella che «[nel dopoguerra] [...] mentre gli ex partigiani bianchi tendevano progressivamente a istituzionalizzarsi finendo per confluire nelle strutture di Stay-behind, gli ex partigiani rossi tendevano a riorganizzarsi in una struttura interna del PCI, la cosiddetta Gladio rossa, in cui continuava ad agire una sorta di inerzia rivoluzionaria». Anche per Pellegrino la struttura si evolse col tempo in chiave di protezione nei confronti dei dirigenti in caso di golpe o che il PCI fosse dichiarato fuori legge. A credito dei dirigenti del PCI dell'epoca Pellegrino ascrive anche il merito «di essere riusciti in qualche modo a imbrigliare all'interno di organizzazioni forze altrimenti centrifughe». Situazioni pre-insurrezionali e attentato a Palmiro Togliatti Nel novembre del 1947 dopo la notizia che il prefetto di Milano Ettore Troilo, esponente della Resistenza, era stato destituito dal ministro degli interni Mario Scelba, Gian Carlo Pajetta, capo del partito in Lombardia, prese l'iniziativa di mobilitare le formazioni armate di ex partigiani che bloccarono corso Monforte dove aveva sede la prefettura e si vissero momenti di grande tensione. Pajetta entrò in prefettura, il sindaco socialista Antonio Greppi e altri sindaci si dimisero per protesta contro la rimozione di Troilo e venne organizzato un comitato di agitazione. Ben presto il governo riprese in mano la situazione e senza azioni violente e dopo trattative condotte da Marrazza i militanti comunisti evacuarono la prefettura e accettarono la nomina di un nuovo prefetto di Milano. Togliatti ebbe parole di sarcastica critica per l'avventatezza di Pajetta e colse l'occasione per bloccare l'estremismo di una parte del partito. Il 14 luglio 1948 Togliatti fu gravemente ferito alla nuca e alla schiena all'uscita dalla Camera dei deputati a Roma da Antonio Pallante, un estremista anticomunista. Le condizioni di Togliatti apparvero subito molto gravi e nonostante i suoi inviti a mantenere la calma si diffuse subito grande agitazione tra i militanti comunisti. Il capo del partito venne sottoposto a un difficile intervento chirurgico che si concluse con successo nel pomeriggio, ma nel frattempo in molte regioni d'Italia si era instaurata una situazione pre-insurrezionale. Senza attendere le indicazioni del partito i militanti comunisti e la base operaia diedero inizio a un impressionante sciopero generale con occupazione della fabbriche e ricomparvero formazioni di ex partigiani armati nel Biellese, in Valsesia e a Casale Monferrato. I militanti comunisti assaltarono la FIAT e alcuni dirigenti, tra cui lo stesso Vittorio Valletta, vennero presi in ostaggio e comparvero le armi all'interno della fabbrica. Ufficialmente il partito non aveva ancora dato alcuna direttiva insurrezionale, ma corsero voci che Cino Moscatelli e Pietro Secchia fossero favorevoli a un'azione rivoluzionaria. A Torino e Milano, in parte presidiate dai militanti comunisti, si svolsero grandi manifestazioni di piazza in cui si parlò di armi pronte. Scontri armati nel capoluogo lombardo tra comunisti e polizia terminarono con numerosi feriti e l'occupazione di altre fabbriche. A Genova il movimento insurrezionale fu ancora più esteso: si verificarono scontri tra militanti e forze dell'ordine con feriti, alcuni carabinieri e poliziotti furono presi prigionieri. Nella notte si eressero le barricate e il prefetto decretò lo stato d'assedio. Gli episodi più gravi accaddero sul monte Amiata, dove i minatori si asserragliarono sulla vetta; e ad Abbadia San Salvatore, dove militanti comunisti, presero la centrale telefonica, assaltarono la sede della DC e respinsero il primo attacco della polizia uccidendo due agenti. A Siena, Piombino, Taranto, Ferrara, Modena, Cagliari e La Spezia seguirono altri scontri mentre a Venezia vennero occupate le fabbriche, la RAI e i ponti sulla laguna. Invece a Livorno ci furono combattimenti durante i quali un poliziotto fu ucciso e altri quattro feriti e a Bologna gli ex partigiani bloccarono la via Emilia. Roma fu invasa dagli operai e dai militanti della periferia, che davanti a Montecitorio lanciarono sassi contro gli agenti di guardia durante un grande comizio a piazza Esedra con la presenza di Luigi Longo e Edoardo D'Onofrio. I manifestanti espressero propositi rivoluzionari nonostante la prudenza ufficiale dei dirigenti. Tra i dirigenti del partito l'attentato a Togliatti provocò grande emozione. Dopo le prime notizie confuse arrivarono le informazioni sullo sciopero e sulle azioni pre-insurrezionali spontanee dei militanti. I capi comunisti nelle loro memorie hanno riferito di una scelta unitaria di controllare il movimento ed evitare di uscire «in modo irreparabile dalla legalità». All'epoca si diffuse la voce che Secchia e Longo avessero avuto contatti segreti con i sovietici durante i quali questi ultimi avrebbero escluso la possibilità di fornire aiuto in caso d'insurrezione. In realtà in un primo tempo i dirigenti comunisti preferirono attendere gli eventi senza sostenere esplicitamente l'insurrezione, ma polemizzando aspramente contro il governo e il ministro Scelba, tuttavia la stampa comunista non diramò alcuna parola d'ordine rivoluzionaria. Un'analisi realistica della situazione rendeva del resto impossibile un'alternativa rivoluzionaria: l'Unione Sovietica era contraria ad avventure insurrezionali e le forze dell'ordine col sostegno eventualmente dell'esercito disponevano di una schiacciante superiorità militare, prevedendo anche un intervento diretto statunitense. Inoltre i comunisti erano forti solo in alcune aree del Paese e soprattutto nelle fabbriche e nelle grandi città del nord, ma le campagne e il sud non avevano affatto partecipato al moto insurrezionale. La mattina del 16 luglio i dirigenti comunisti presero la decisione di bloccare l'evoluzione rivoluzionaria e arrestare lo sciopero. Il ministro Scelba mostrò grande decisione e le forze dell'ordine intervennero a Livorno, Bologna, Napoli e Castellammare dove ci furono scontri a fuoco e morti tra i manifestanti. Le occupazioni delle fabbriche furono progressivamente interrotte e Vittorio Valletta fu liberato. Il 17 luglio il comitato centrale del partito approvò ufficialmente la cessazione dello sciopero. Nelle loro memorie i capi comunisti in maggioranza hanno escluso che l'insurrezione potesse avere successo e solo Gian Carlo Pajetta ha affermato che al nord l'insurrezione sarebbe stata possibile, Pietro Secchia ha scritto che solo a Torino, Genova e Venezia i militanti comunisti avevano il pieno controllo della situazione mentre Giorgio Amendola ritiene che l'insurrezione non avrebbe avuto alcuna possibilità di vittoria neppure al nord. Due giorni prima il Senato aveva respinto una mozione di sfiducia presentata da Umberto Terracini al governo De Gasperi con l'accusa di essere moralmente e politicamente responsabile dell'attentato a Togliatti. Gli anni successivi furono caratterizzati da una forte opposizione (che non mancò di veri e propri ostruzionismi) alle politiche del governo De Gasperi, in particolare sull'adesione dell'Italia al Patto Atlantico e sulla legge elettorale cosiddetta truffa. I parlamentari comunisti si impegnarono anche a presentare proposte di legge in favore dei lavoratori, come quella per la tutela delle lavoratrici madri che ebbe come prima firmataria la deputata Teresa Noce. Politica di Togliatti Il PCI si consolidò dopo la scissione socialista del 1947 come la seconda forza della democrazia italiana dopo la DC. Da allora e per circa 30 anni pur rimanendo sempre all'opposizione il PCI conseguì una crescita elettorale costante che si interruppe solo verso la fine degli anni settanta al termine della stagione della solidarietà nazionale. Negli anni successivi pur continuando ad appoggiare l'Unione Sovietica anche nella drammatica crisi d'Ungheria durante la rivoluzione ungherese del 1956 il PCI di Togliatti diede inizio a una nuova politica di partito nazionale imboccando la «via italiana al socialismo» dopo che personaggi significativi, in maggioranza intellettuali, avevano abbandonato il partito protestando contro l'adesione del PCI alla repressione sovietica o avevano espresso dissenso nel cosiddetto Manifesto dei 101. Tale nuova politica non gli impedì di esprimersi in una importante conferenza internazionale dei partiti comunisti a favore della fucilazione di Imre Nagy, il capo comunista ungherese considerato democratico. Tra coloro che in quella situazione manifestarono una posizione di dissenso pur senza abbandonare il partito va ricordato il capo della CGIL Giuseppe Di Vittorio mentre vari intellettuali tra cui lo storico Renzo De Felice ne uscirono per protesta e in aperto dissenso. Soltanto una ventina tra i firmatari del Manifesto dei 101 avrebbero ritenuto posteriori la loro adesione mentre altri come Lucio Colletti ne usciranno comunque in seguito. Il manifesto, che doveva inizialmente essere solo una forma di dissenso interno secondo parte dei suoi partecipanti ed essere pubblicato su l'Unità, venne invece integralmente diffuso dall'ANSA quasi immediatamente e provocò fortissimi dissensi tra la base che si arroccò attorno al suo gruppo dirigente e una gran parte degli intellettuali che finirono per uscire dal partito. La principale conseguenza politica degli avvenimenti del 1956 fu il definitivo tramonto del patto d'unità d'azione tra il PCI e il PSI. Il PSI di Pietro Nenni, che negli anni precedenti aveva pur accettato forme di subordinazione all'Unione Sovietica di Stalin, ripensò, prendendone completamente le distanze, la sua posizione riguardo a quello che i comunisti consideravano il più importante Stato socialista, ma che per i socialisti autonomisti non aveva mai rappresentato una società socialista. Nel cambiamento della linea del PSI ebbe un grande peso la riemersione delle tendenze autonomiste interne, sempre presenti anche nel periodo frontista, che guardavano con sospetto ai comunisti e ai regimi dittatoriali formatisi nell'Europa orientale. Ciò consentì la nascita del centro-sinistra basato sull'alleanza tra PSI e DC. Nel 1960 il PCI partecipò attivamente all'organizzazione delle proteste contro il congresso di Genova del Movimento Sociale Italiano - Destra Nazionale (MSI), giudicato come una provocazione per il fatto di svolgersi in una città medaglia d'oro della guerra di Liberazione. Le proteste si indirizzano contro il governo Tambroni, appoggiato esternamente dallo stesso MSI. Tale appoggio provocò anche una frattura interna alla DC e il governo di converso accusò il PCI dell'esistenza di un attivo coinvolgimento sovietico nell'organizzazione degli scioperi, ma tale ipotesi venne ritenuta non attendibile dalla stessa CIA in un documento dell'8 luglio 1960. Gli eventi legati alle proteste allontanarono ulteriormente Nenni che scrisse nel suo diario il 3 luglio 1960 che i fatti di Genova vennero usati dai comunisti «in termini di frontismo, di ginnastica rivoluzionaria, di vittoria di piazza, tutto il bagaglio estremista che pagammo caro nel 1919». Elezione di Luigi Longo Con la fine del centrismo e con l'inizio dei governi di centro-sinistra il PCI di Togliatti non mutò la sua posizione di opposizione al governo, ma il suo leader morì a Jalta il 21 agosto del 1964. I suoi funerali, che videro la partecipazione di oltre un milione di persone, costituirono il più imponente momento di partecipazione popolare che la giovane Repubblica italiana aveva conosciuto fino a quel momento. L'ultimo documento di Togliatti, che ne costituiva il testamento politico e che fu ricordato come il memoriale di Jalta, ribadiva l'originalità e la diversità di vie che avrebbero consentito la costruzione di società socialiste, unità nella diversità del movimento comunista internazionale. Il PCI lasciato da Togliatti era un partito che pur continuando a rimanere ancorato al centralismo democratico cominciava a sentire l'esigenza di rendere visibili quelle che al suo interno erano le diverse sensibilità e opzioni politiche. Il primo Congresso dopo la morte di Togliatti, l'XI svoltosi nel gennaio del 1966, fu il teatro del primo scontro svoltosi alla luce del sole dalla nascita del partito nuovo. Le due linee politiche che si fronteggiarono furono quella di destra di Giorgio Amendola e quella di sinistra di Pietro Ingrao. Sebbene la posizione della sinistra di Ingrao si rivelò in minoranza, in particolare sul tema della pubblicità del dissenso (che si riteneva avrebbe aperto le porte alla divisione del partito in correnti organizzate), molte delle sue istanze (messa all'ordine del giorno del tema del modello di sviluppo, necessità di una programmazione economica globale che si contrapponesse alla inefficace programmazione del governo e attenzione al dissenso cattolico e ai movimenti giovanili) furono accolte nelle tesi congressuali. Il lavoro di sintesi, rivolto al rinnovamento nella continuità, tra le diverse anime del partito suggellò la guida politica di Luigi Longo, eletto segretario generale dopo la morte di Togliatti e degno continuatore delle sue politiche. Nel ruolo di successore di Togliatti i due candidati più forti erano proprio Amendola e Ingrao, ma Longo per le garanzie di unità e continuità che dava la sua figura, che aveva ricoperto con Togliatti la carica di vicesegretario e aveva sempre con lealtà ed efficacia coadiuvato il segretario, costituiva la soluzione migliore per la segreteria del partito. Longo continuò nella definizione di una politica nazionale del PCI e infatti a differenza del 1956 nel 1968 il partito si schierò contro l'invasione sovietica della Cecoslovacchia. Il PCI e il Golpe Borghese Nella notte fra il 7 e l’8 dicembre 1970 Junio Valerio Borghese tentò un colpo di Stato di carattere militare e fascista senza però alla fine portarlo a termine. Recentemente si è appurato che i vertici del PCI sapevano dell’imminente golpe, anche se probabilmente non nei dettagli. In questo senso vi sono alcuni dati testimoniali, come le informazioni sul golpe che sarebbero giunte ad Arrigo Boldrini da parte del generale antifascista Renzo Apollonio proprio nella notte fra il 7 e l’8 dicembre. Inoltre, diversi militanti ricordano di essere stati mobilitati quella notte per difendere le sedi del partito (anche se va ricordato che tali ordini non erano infrequenti in quegli anni). A questo si aggiungano due articoli pubblicati su l’Unità proprio l’8 e il 9 dicembre 1970, in cui si denunciavano rigurgiti neofascisti e si lasciava intendere fra le righe che il PCI conoscesse il progetto eversivo e fosse pronto a combatterlo. Va notato in particolare che l’articolo uscito l’8 dicembre, dal titolo Nuovi piani dei provocatori, venne materialmente redatto negli stessi momenti nei quali gli uomini di Borghese occupavano il Ministero dell’Interno e si dispiegavano su tutta la Capitale. Le ragioni che spinsero il PCI a non denunciare subito il tutto all’opinione pubblica sono di varia natura. Probabilmente il partito temeva che una denuncia pubblica potesse scatenare una reazione violenta da parte dei settori filofascisti dell’esercito, compattando così le forze cospiratrici e scatenando di fatto il golpe ormai fatto abortire. Inoltre, il Pci aveva capito che Andreotti era coinvolto nel golpe. Questi, nonostante fosse un esponente della destra Dc, continuava a lanciare segnali di apertura ai comunisti in quel periodo, un’apertura che era evidentemente ritenuta preziosa dal partito. Segreteria di Enrico Berlinguer Nel 1972 divenne segretario Enrico Berlinguer, che sulla suggestione della crisi cilena propose un compromesso storico tra comunisti e cattolici democratici che avrebbe dovuto spostare a sinistra l'asse governativo, trovando qualche sponda nella corrente democristiana guidata da Aldo Moro. Fu il periodo in cui Augusto Del Noce preconizzò che il PCI si sarebbe trasformato in un «partito radicale di massa». In questi anni il comunismo «si è rovesciato nel suo contrario: voleva affossare la borghesia e ne è divenuto una delle componenti più salde ed essenziali». Fine della spinta propulsiva della rivoluzione d'ottobre I rapporti con l'Unione Sovietica si allentarono ulteriormente quando a opera dello stesso Berlinguer iniziò la linea eurocomunista basata su un'alleanza tra i principali partiti comunisti dell'Europa occidentale (il PCI, Partito Comunista Francese guidato da Georges Marchais e il Partito Comunista di Spagna guidato da Santiago Carrillo) che cercò una qualche indipendenza dai sovietici. Questi ultimi in realtà mal digerirono la corrente di pensiero berlingueriana, che seguendo la tradizione della via italiana al socialismo già consolidata anni prima da Togliatti affermava la costruzione di un comunismo non pienamente allineato con quello sovietico, gettando le basi anche in senno alla nascitura Comunità europea di un comunismo proprio dei Paesi occidentali e non aderenti al Patto di Varsavia. La linea sovietica infatti era volta all'affermazione di una sola linea di principio, ovvero il comunismo russo come unico e solo punto di riferimento. Il che nelle varie fasi storiche della guerra fredda si tradusse in un continuo e costante contrasto con tutti quei Paesi, europei e non, che non ne adottavano pienamente la linea (Cina, Albania, Jugoslavia e infine anche Italia). Nel momento in cui Berlinguer ebbe a promuovere una linea di pensiero dottrinale distante da quella di Mosca, le conseguenze non si fecero attendere: oltre a richiami e moniti ci fu una sostanziosa riduzione dei finanziamenti sovietici alle casse del PCI. L'eurocomunismo attivo però durò poco a causa del riallineamento del Partito Comunista Francese alla tradizionale dipendenza dalla linea di quello sovietico, il calo del peso elettorale dei comunisti spagnoli e l'acuirsi delle differenze interne nello stesso PCI. Nonostante le critiche rivolte al partito sovietico Berlinguer continuava a elogiarne il regime, sostenendo nel 1975 che lì esisteva «un clima morale superiore, mentre le società capitalistiche sono sempre più colpite da un decadimento di idealità e di valori etici e da processi sempre più ampi di corruzione e di disgregazione», contrapponendo il «forte sviluppo produttivo» dell'Unione Sovietica alla «crisi del sistema imperialistico e capitalistico mondiale». Ancora nel 1977 Berlinguer parlava di «grandi conquiste» realizzate dai Paesi comunisti, ammettendo però l'esistenza di «lati negativi» che «consistono essenzialmente nei loro tratti autoritari o negli ordinamenti limitativi di certe libertà». Aggiungeva infine che «quei paesi rappresentano una grande realtà sociale, una grande realtà nella vita del mondo di oggi». Nel novembre di quell'anno Berlinguer pronunciò a Mosca, dove si era recato per le celebrazioni comuniste dei sessant'anni dalla rivoluzione d'ottobre dei bolscevichi, un discorso che spinse alcuni come Ugo La Malfa e Eugenio Scalfari a ritenere ormai prossima la rottura del PCI con l'Unione Sovietica. Altri però, in particolare gli intellettuali della rivista socialista Mondoperaio, non vedevano nessuna rottura, se non una generica presa di distanza dallo stalinismo che non conduceva però a un effettivo ripudio dell'ideologia marxista-leninista, né all'ammissione di come la repressione del dissenso in Unione Sovietica fosse una diretta conseguenza di quell'ideologia. In occasione della Biennale di Venezia tra la fine del 1977 e il 1978 quando il suo Presidente, l'allora socialista Carlo Ripa di Meana, intese dar voce al dissenso degli intellettuali perseguitati dall'Unione Sovietica reagì duramente all'iniziativa parlando di provocazione e sollecitando il governo italiano a ritardare il finanziamento della Biennale. Diversi artisti e intellettuali vicini al PCI come Vittorio Gregotti e Luca Ronconi si dimisero in segno di protesta dal comitato della rassegna. Il tema dei rapporti del PCI con l'Unione Sovietica fu al centro di aspri dibattiti e scontri politici tra la fine degli anni settanta e l'inizio degli ottanta tra Berlinguer e l'emergente socialista Bettino Craxi, che rimproverava ai comunisti italiani di mantenere intatti i legami col regime sovietico e di non sposare fino in fondo i valori della socialdemocrazia europea. L'ambiguità dei rapporti del PCI con l'Unione Sovietica si protrasse per tutti gli anni ottanta. Se nel 1981 in seguito al golpe polacco di Jaruzelski che si ribellò a Mosca Berlinguer giunse a dichiarare conclusa la spinta propulsiva della rivoluzione d'ottobre e producendo la reazione contraria di Armando Cossutta, che condannò il gesto come uno strappo, il PCI si oppose duramente all'installazione di una base euromissilistica in Italia come risposta ai missili di nuova generazione puntati dall'Unione Sovietica contro l'Italia e l'Europa occidentale. Ancora nel 1984 in risposta al documento dell'allora cardinale Ratzinger che condannava le teologie della liberazione sia per l'ideologia materialista di stampo marxista a esse sottesa, ritenuta inconciliabile col cristianesimo, sia per il loro carattere totalizzante derivante da quella stessa ideologia, il mensile Rinascita, da sempre strumento di elaborazione e diffusione della politica culturale del PCI, attaccò duramente le posizioni espresse da Ratzinger sostenendo che i suoi giudizi sul socialismo in generale e sulle sue applicazioni concrete in Unione Sovietica sarebbero stati «schematici», «grossolani» e privi di «considerazione storica». Solidarizzò invece con Ratzinger un ex membro del PCI, Lucio Colletti, fuoriuscito dal partito in seguito a una profonda revisione delle proprie convinzioni ideologiche: «Il giudizio del PCI sull'Unione Sovietica è il frutto, tuttora, di un avvilente compromesso intellettuale e morale. Decine di milioni di vittime sotto Stalin; il totalitarismo; il Gulag; un sistema che tuttora procede utilizzando il lavoro forzato dei lager; la mortificazione politica dei cittadini; la giustizia asservita al partito unico: tutti questi non sono ancora argomenti sufficienti perché il PCI possa trovarsi d'accordo con l'elementare verità espressa nel documento di Ratzinger: cioè, che in quei paesi, "milioni di nostri contemporanei aspirano legittimamente a ritrovare le libertà fondamentali di cui sono privati da parte dei regimi totalitari"; che questa è una vergogna del nostro tempo; "che si mantengono intere nazioni in condizioni di schiavitù indegne dell'uomo"; e che a questa vergogna si è giunti, "con la pretesa di portare loro la libertà"». Il KGB sovietico fu spesso tramite di trasferimenti illegali di valuta e finanziamento illecito al PCI durante gli anni sessanta e settanta come sostenuto a seguito della diffusione di vari rapporti detti Impedian, contenuti nel dossier Mitrokhin. Secondo il rapporto n. 100 del dossier solo nel 1971 un agente italiano al servizio del KGB, Anelito Barontini (nome in codice Klaudio) consegnò cifre in contanti per complessivi due milioni seicentomila dollari. Nel rapporto n. 122 del 6 ottobre 1995 segue un elenco dettagliato delle cifre dal 1970 al 1977 con elencati i nomi dei vari dirigenti coinvolti, tra cui Armando Cossutta. I rapporti tra PCI e KGB non si limitarono al solo inoltro dei finanziamenti, ma anche nell'utilizzo delle competenze del servizio segreto sovietico per rilevare eventuali apparati di ascolto posti nella sede del comitato centrale italiano (rapporto n. 131) e nell'addestramento alla cifratura e alle comunicazioni radio di personale del partito, come ad esempio dell'agente Andrea, noto come Kekkini (traslitterazione del nome Cecchini), membro del comitato centrale del PCI, inviato con passaporto straniero falso a nome di Ettore Morandi via Australia a Mosca dal giugno all'agosto 1972, anche per prendere accordi sull'instaurazione di una rete di comunicazione bidirezionale, fabbricazione di documenti falsi e altre attività illegali (rapporto n. 197). Solidarietà nazionale Nella seconda metà degli anni settanta si acuirono le tensioni sociali e politiche. La crisi economica-energetica, la disoccupazione, gli scioperi e il terrorismo conversero verso quello che molti hanno definito l'annus horribilis delle rivolte, ossia il 1977: echi sessantottini vibravano di nuovo fra gli studenti, riverberi della lotta di classe animavano il confronto, cioè il conflitto, fra i sindacati e le imprese e molti da molte classi sociali si rivoltavano in armi contro avversari politici e istituzioni. Nel 1976 nel contesto storico che vide alcuni cattolici come Raniero La Valle, Piero Pratesi e Mario Gozzini presentati ed eletti come indipendenti nelle file del PCI e che avrebbe portato il partito a una fugace esperienza di responsabilità di governo avvenne un importante scambio di idee attraverso lettere aperte pubblicate su periodici tra Enrico Berlinguer e monsignor Luigi Bettazzi, nel quale Berlinguer in risposta alle preoccupazioni di Bettazzi precisò che nel PCI «esiste e opera la volontà non solo di costruire e di far vivere qui in Italia un partito laico e democratico, come tale non teista, non ateista e non antiteista; ma di volere, anche per diretta conseguenza, uno Stato laico e democratico, anch'esso dunque non teista, non ateista e non antiteista». Le preoccupazioni dei vescovi, anche di quelli più disposti a un'apertura, tuttavia non si sciolsero anche perché lo stesso Berlinguer omise di citare l'articolo 5 dello statuto che obbligava gli iscritti a sostenere e difendere il marxismo-leninismo e che fu cambiato solo nel 1979 in occasione del XV Congresso. Anche il PCI contestò sempre più fortemente la pregiudiziale che impediva al suo partito di accostarsi alla gestione del Paese. L'iniziativa fu lasciata a Giorgio Amendola, rappresentante prestigioso (anche per tradizione familiare) dell'ala moderata del partito e uomo capace di dialogare con i non comunisti, che proclamò che l'ora era suonata per «far parte a pieno titolo del governo». Nel febbraio del 1977 fu Ugo La Malfa a dichiarare per primo pubblicamente la necessità di un governo di emergenza comprendente i comunisti, ma la proposta fallì per il dissenso democristiano e socialdemocratico. Il 1978 fu per il PCI l'anno del destino e iniziò presto con un incontro subito dopo Capodanno fra Berlinguer e Bettino Craxi, al termine del quale fu prodotta una nota indicativa di ufficiale «identità di vedute», espressione tradotta dagli analisti come una sorta di «via libera» (o di non nocet) del PSI alle manovre del segretario Berlinguer e delle quali, già cominciate da molti mesi, si poteva ora parlare anche pubblicamente. Dopo una paziente opera di ricerca di possibili strategie di accesso pur parziale al governo Berlinguer pareva aver individuato in Aldo Moro l'interlocutore più adatto alla costruzione di un progetto concreto. Moro era il presidente della DC e condivideva con il segretario Berlinguer alcune caratteristiche personali che sembravano predisporre al dialogo: erano entrambi sottili intellettuali, lungimiranti politici e abili nonché pazienti strateghi. Fu Moro a parlare per primo di possibili «convergenze parallele», sebbene non propriamente in relazione ai desideri del segretario Berlinguer, ma fu lo stesso Moro a mobilitare l'apparato democristiano per verificare la possibilità di convertire a utile accordo la sterile distanza che sino ad allora aveva diviso DC e PCI. Dai clandestini iniziali contatti, sinché possibile per interposta persona, si passò in seguito a una minima frequentazione diretta nella quale andava assumendo forma e contenuti il progetto del compromesso storico. Moro individuava nell'alleanza col PCI lo strumento che avrebbe consentito di superare il momento di grave crisi istituzionale e di credibilità dell'apparato governativo (screditato anche dalle campagne comuniste sulla questione morale), coinvolgendo l'opposizione nel governo e assicurandovi il minimo necessario per raggiungere una sicura maggioranza parlamentare. Nella DC Berlinguer vedeva invece primariamente (ma non solo semplicemente) quel possibile cavallo di Troia grazie al quale avrebbe potuto portare finalmente il suo partito al governo, tanto che è stato sostenuto che entrambi potevano aver condiviso il timore che la crisi in cui versava il Paese potesse dare adito a soluzioni di tipo cileno, come già anni prima paventato dallo stesso Berlinguer. Il compromesso storico in quest'ottica poteva porre il Paese al riparo da eventuali azioni dell'uno e dell'altro fronte. Berlinguer fu intanto ammesso come primo comunista italiano a lavori para-governativi come le riunioni dei segretari dei partiti della maggioranza in qualità di esterno interessato. Mentre Moro veniva definitivamente prosciolto dagli addebiti giudiziari in relazione allo scandalo Lockheed, che lo aveva infastidito sin da quando aveva cominciato a guardare a una possibile intesa coi comunisti, si preparava nel marzo del 1978 una riedizione del governo Andreotti, cui il PCI avrebbe dovuto smettere di fornire appoggio esterno (nel precedente governo, detto della «non sfiducia», dal 1976 aveva garantito l'astensione per la prima volta rinunciando al voto d'opposizione), offrendo il voto favorevole a un monocolore DC in attesa di una fase successiva nella quale ammetterlo definitivamente e a pieno titolo nella compagine governativa. Questo governo nasceva con alcuni membri assolutamente sgraditi al PCI, come Antonio Bisaglia, Gaetano Stammati e Carlo Donat-Cattin, la cui inclusione nella compagine ministeriale era stata operata da Giulio Andreotti nonostante le richieste di esclusione da parte del PCI. Secondo una versione accreditata molti anni dopo insieme con Alessandro Natta, capogruppo alla Camera, Berlinguer dovette sveltamente decidere se proporre alla direzione del partito già convocata per il pomeriggio dello stesso giorno di ritirare l'appoggio al governo, ma la stessa mattina del 16 marzo, giorno previsto per la presentazione parlamentare del governo tanto faticosamente messo insieme, Moro fu rapito (e sarebbe poi stato ucciso) dalle Brigate Rosse. Berlinguer intuì la ripercussione negativa dell'evento verso la politica della solidarietà nazionale e scelse di dare al governo la fiducia nel più breve tempo possibile. La fiducia fu dunque votata dal PCI insieme a DC, PSI, PSDI e PRI, ma non senza che Berlinguer precisasse che l'espediente di Andreotti, che suonava di repentina modifica unilaterale di accordi lungamente elaborati, costituisse «invece un Governo che, per il modo in cui è stato composto, ha suscitato e suscita, com'è noto (ma io non voglio insistere in questo particolare momento su questo punto), una nostra severa critica e seri interrogativi e riserve». Ritorno all'opposizione Se Moro non fosse stato rapito, il PCI probabilmente avrebbe dato battaglia ad Andreotti. Durante il sequestro Moro il PCI fu tra i più decisi sostenitori del cosiddetto «fronte della fermezza», del tutto contrario a qualsiasi tipo di trattativa con i terroristi, i quali avevano chiesto la liberazione di alcuni detenuti in cambio di quella di Moro. In questa occasione si acuì la contrapposizione a sinistra tra il PCI e il PSI guidato da Bettino Craxi, che tentò di sostenere politicamente gli sforzi di coloro che tentavano di salvare la vita di Moro (la sua famiglia, alcuni esponenti della DC non direttamente impegnati nel governo e il papa Paolo VI) sia per un intento umanitario e di ripulsa verso una concezione eccessivamente statalista dell'azione politica, tipica del cosiddetto umanesimo socialista, sia per marcare la distanza dei socialisti dai due maggiori partiti e dalla dottrina del compromesso storico che rischiava di confinare definitivamente il PSI in un ruolo marginale nel panorama politico italiano. Dopo il tragico epilogo della vicenda di Moro l'unico effetto di rilievo sulla DC parvero le dimissioni di Francesco Cossiga, che era ministro dell'interno. Il PCI restava fuori della compagine di governo, Berlinguer non partecipava più alle riunioni insieme ai segretari dell'arco costituzionale (anche se a livello parlamentare i contatti continuavano a essere tenuti dal capogruppo Ugo Pecchioli) e il governo Andreotti restava dov'era, sempre con Bisaglia e Stammati nella compagine di governo. Un mese dopo la morte di Moro nel giugno del 1978 esplose con inaudita virulenza il caso del presidente della Repubblica Giovanni Leone, che grazie a una campagna cui il PCI aveva già dato un contributo fondamentale (e che a questo punto omise di ritirare) fu costretto alle dimissioni. Oltre al rancore verso Andreotti, cui si doveva un governo diverso da quello concordato (e che tradizionalmente avrebbe dovuto presentare dimissioni in caso di elezione di un nuovo capo dello Stato), si è supposto che la campagna scandalistica sia stata ulteriormente indurita da Berlinguer per poter far salire al Quirinale qualcuno meno avvinto dalla pregiudiziale anticomunista di quanto non fossero stati i presidenti precedenti. L'elezione di Sandro Pertini, oltre che gradita al PCI, piaceva a molti settori della politica. Da parte dei socialisti, nel cui partito militava, vi era ovviamente la soddisfazione per la nomina di una figura amica che avrebbe potuto accrescere la capacità di influenza del partito di Craxi. Da parte democristiana (dalla quale si era barattata la candidatura con la persistenza al governo) Pertini era ritenuto poco pericoloso, almeno fintantoché fossero proseguiti i buoni rapporti con la DC. Anche i Repubblicani guardavano a possibili riprese di prestigio (e di influenza politica) con un nuovo scenario che premiava con la carica uno degli storici partiti laici italiani. L'entusiasmo di Berlinguer fu però di breve durata poiché non solo Andreotti non si dimise, ma dopo la caduta determinata dall'opposizione comunista all'ingresso nel primo sistema monetario europeo successe a sé stesso con il governo Andreotti V sul principio dell'anno successivo per governare le inevitabili elezioni anticipate. Il PCI fu quindi escluso dalle relazioni fra i partiti della maggioranza e si apprestò a tornare al suo ruolo di opposizione. Il PCI si ritrovò di nuovo all'opposizione e nel decennio successivo fu completamente isolato in quanto il PSI di Craxi dopo avere a lungo oscillato, governando a livello locale sia con la DC sia con il PCI, formulò stabilmente a livello nazionale un'alleanza di governo con la DC e con gli altri partiti laici, PSDI, PLI e PRI, denominata pentapartito, facendo pesare sempre di più nelle richieste di posti di potere il suo ruolo di partito di confine. Per uscire dall'isolamento Berlinguer provò a ricostruire delle alleanze nella base del Paese, cercando convergenze con le nuove forze sociali che chiedevano il rinnovamento della società italiana e riprendendo i rapporti con quello che era il tradizionale riferimento sociale del PCI, ossia la classe operaia, declinando - a partire dal novembre 1980 - la linea dell' "alternativa democratica" come tentativo di raccogliere intorno al PCI un fronte sociale più ampio e rafforzarne la posizione egemonica a sinistra. In tale ottica vanno lette le battaglie contro l'installazione degli euromissili, per la pace e soprattutto nella vertenza degli operai della FIAT del 1980. Il PCI in quella lotta arrivò anche a scavalcare il ruolo della CGIL e la sconfitta finale e quella riportata anni dopo nel referendum sulla scala mobile segnarono in maniera indelebile il partito. Segreteria di Alessandro Natta In particolare il referendum del 1985, che era stato fortemente voluto da Berlinguer, per abrogare il cosiddetto decreto di San Valentino del 14 febbraio 1984 del governo Craxi, con il quale era stato recepito in una norma legislativa valida erga omnes l'accordo delle associazioni imprenditoriali con i soli sindacati CISL e UIL, con l'opposizione della CGIL, che tagliava 4 punti percentuali dell'indennità di contingenza, segnò il punto massimo dello scontro tra Berlinguer e Craxi. L'opposizione comunista al primo governo a guida socialista della storia della Repubblica toccò punte di parossismo e Craxi venne indicato come un nemico della classe operaia, tanto che molti iscritti e sindacalisti socialisti della CGIL furono indotti dal clima di ostracismo determinatosi nei loro confronti ad aderire alla UIL guidata da Giorgio Benvenuto che divenne di fatto il sindacato socialista, pur se molti rimasero nella CGIL grazie anche all'impegno del suo segretario generale Luciano Lama, che non aveva condiviso fino in fondo la scelta di Berlinguer di raccogliere le firme per l'indizione del referendum poi perso. L'11 giugno 1984 il segretario Berlinguer morì a Padova a causa di un ictus che l'aveva colpito il 7 giugno sul palco mentre stava pronunciando un discorso trasmesso in diretta televisiva in vista delle elezioni europee del successivo 17 giugno. La morte di Berlinguer destò un'enorme impressione in tutto il Paese anche per la casuale presenza a Padova del presidente della Repubblica Pertini, che accorse al capezzale di Berlinguer e decise di riportarne la salma a Roma con l'aereo presidenziale. I funerali videro una grande partecipazione di popolo non solo delle migliaia di militanti del PCI provenienti da tutta Italia, ma di molti cittadini romani e l'omaggio alla salma di delegazioni di tutti i partiti italiani (compresa quella del MSI) e dei partiti socialisti e comunisti di tutto il mondo. Alle elezioni europee il PCI raggiunse il suo massimo risultato (33,3% dei voti), sorpassando sia pur di poco e per la prima e unica volta la DC (33,0% dei voti), per cui i commentatori parlarono di un «effetto Berlinguer». Nell'aprile del 1986 fu tenuto anticipatamente a causa della disfatta dell'anno precedente nelle elezioni regionali il XVII Congresso. Come risposta alla crisi il gruppo dirigente del partito tentò grazie alla decisiva spinta dell'area migliorista di Giorgio Napolitano un riposizionamento internazionale del PCI, proponendo il totale distacco dal movimento comunista per entrare a far parte a tutti gli effetti del Partito Socialista Europeo. A questa linea si oppose duramente un piccolo gruppo organizzato da Cossutta, che in minoranza all'interno del partito aveva dato vita a una vera e propria corrente stabile sin da quando, in occasione del golpe polacco di Wojciech Jaruzelski, il segretario Berlinguer aveva proclamato esaurita la «spinta propulsiva della rivoluzione d'Ottobre». Nel maggio 1988 Natta è colto da un leggero infarto. Non è grave, ma gli vien fatto capire dagli alti dirigenti che non è più gradito come segretario. Natta si dimette e al suo posto viene messo il vice Achille Occhetto. Natta viene dimesso dal PCI mentre è ancora convalescente in ospedale nonostante gli fosse stato garantito da Pajetta che avrebbero spostato la direzione del partito a ottobre. Natta apprende infatti la notizia delle sue dimissioni dalla radio mentre è ancora in ospedale, come avrebbe poi dichiarato la moglie Adele Morelli un mese dopo la scomparsa del marito. Segreteria di Achille Occhetto Nel marzo 1989 Occhetto lancia il «nuovo PCI» come uscì dai lavori del XVIII Congresso, il primo a tesi contrapposte nella storia del partito (sebbene non fu garantita una piena ed effettiva parità di condizioni al documento della minoranza). Il 19 luglio 1989 viene costituito un governo ombra ispirato al modello inglese dello «shadow cabinet» per meglio esplicitare l'alternativa di governo che il PCI intendeva rappresentare. Referendum ambientalisti Nel 1989 il PCI promosse con altre forze politiche e gruppi ambientalisti tre referendum per abrogare la legge sulla caccia, eliminare il diritto dei cacciatori di accedere al fondo altrui anche senza il consenso del proprietario e per limitare l'uso dei pesticidi nell'agricoltura. Tutti e i tre referendum, che si svolsero l'anno successivo, videro la vittoria dei sì, ma il quorum non fu raggiunto e dunque le norme sottoposte ad abrogazione rimasero in vigore. Caduta del muro di Berlino e scioglimento Il 12 novembre 1989, tre giorni dopo la caduta del muro di Berlino, Achille Occhetto annunciò «grandi cambiamenti» a Bologna in una riunione di ex partigiani e militanti comunisti della sezione Bolognina. Fu questa la cosiddetta «svolta della Bolognina» nella quale Occhetto propose prendendo da solo la decisione di aprire un nuovo corso politico che preludeva al superamento del PCI e alla nascita di un nuovo partito della sinistra italiana. Nel partito si accese una discussione e il dissenso per la prima volta fu notevole e coinvolse ampi settori della base. Dirigenti nazionali di primaria importanza quali Pietro Ingrao, Alessandro Natta e Aldo Tortorella, oltre che Armando Cossutta, si opposero in maniera convinta alla svolta. Per decidere sulla proposta di Occhetto fu indetto il Congresso XIX, un Congresso straordinario del partito che si tenne a Bologna nel marzo del 1990. Tre furono le mozioni che si contrapposero: La prima mozione, intitolata Dare vita alla fase costituente di una nuova formazione politica, era quella di Occhetto. Proponeva la costruzione di una nuova formazione politica democratica, riformatrice e aperta a componenti laiche e cattoliche che superasse il centralismo democratico. Il 67% dei consensi ottenuti dalla mozione permise la rielezione di Occhetto alla carica di segretario generale e la conferma della sua linea politica. La seconda mozione, intitolata Per un vero rinnovamento del PCI e della sinistra, fu sottoscritta da Ingrao e tra gli altri da Angius, Castellina, Chiarante e Tortorella. Secondo i sostenitori di questa mozione il PCI doveva sì rinnovarsi nella politica e nella organizzazione, ma senza smarrire se stesso. Questa mozione uscì sconfitta ottenendo il 30% dei consensi. La terza mozione, intitolata Per una democrazia socialista in Europa, fu presentata dal gruppo di Cossutta. Costruita su un impianto profondamente ortodosso, ottenne solo il 3% dei consensi. Il XX Congresso tenutosi a Rimini il 31 gennaio del 1991 fu l'ultimo del PCI. Le mozioni che si contrapposero a questo Congresso furono sempre tre, anche se con schieramenti leggermente diversi: La mozione di Occhetto, D'Alema e molti altri dirigenti, intitolata Per il Partito Democratico della Sinistra, che ottenne il 67,46% dei voti eleggendo 848 delegati. Una mozione intermedia, intitolata Per un moderno partito antagonista e riformatore e capeggiata da Bassolino, che ottenne il 5,76% dei voti eleggendo 72 delegati. La mozione contraria alla nascita del nuovo partito, intitolata Rifondazione comunista e nata dall'accorpamento delle mozioni di Ingrao e Cossutta, ottenne il 26,77% dei voti eleggendo 339 delegati, cioè meno rispetto alla somma dei voti delle due mozioni presentate al precedente Congresso. Partito Democratico della Sinistra e Rifondazione Comunista Il 3 febbraio 1991 il PCI deliberò il proprio scioglimento promuovendo contestualmente la costituzione del Partito Democratico della Sinistra (PDS) con 807 voti favorevoli, 75 contrari e 49 astenuti. Il cambiamento del nome intendeva sottolineare la differenziazione politica con il partito originario accentuando l'aspetto democratico. Un centinaio di delegati della mozione Rifondazione comunista non aderì alla nuova formazione e diede vita al Movimento per la Rifondazione Comunista, che poi inglobò Democrazia Proletaria (DP) e altre formazioni comuniste minori assumendo la denominazione di Partito della Rifondazione Comunista (PRC). Correnti Fin dall'inizio il PCI non ha mai avuto componenti interne organizzate e riconosciute, peraltro vietate dallo statuto (cosiddetto «divieto di frazionismo», che proibiva l'organizzazione di minoranze interne), ma piuttosto delle tendenze più o meno individuabili (inizialmente quelle di Amendola e di Ingrao). Le correnti si sono però via via caratterizzate fino a divenire più individuabili negli anni ottanta. Berlingueriani I berlingueriani costituivano il centro del partito, erede delle posizioni di Luigi Longo. Quest'area, formata da ex amendoliani ed ex ingraiani, divenne inquadrabile durante la segreteria di Berlinguer (che la guidava). Anch'essa diffidente nei confronti della nuova sinistra (sebbene meno dei miglioristi), era sostanzialmente favorevole al distacco dalla sfera d'influenza dell'Unione Sovietica per conseguire una via italiana al socialismo, decisamente alternativa a stalinismo e socialdemocrazia. Negli anni ottanta i berlingueriani dopo il fallimento del compromesso storico con la DC tentarono un'alternativa democratica da perseguire moralizzando il sistema partitico («questione morale»), sviluppando al contempo una forte avversione al PSI di Craxi. Il centro del PCI si divise nell'ultimo Congresso del 1989 tra favorevoli e contrari alla svolta di Occhetto (mozioni 1 e 2), anche se poi in stragrande maggioranza confluì nel PDS. Berlingueriani erano oltre a Natta e Occhetto (proveniente dalla sinistra) anche Gavino Angius, Tom Benetollo, Giovanni Berlinguer, Giuseppe Chiarante, Pio La Torre, Adalberto Minucci, Fabio Mussi, Diego Novelli, Gian Carlo Pajetta, Ugo Pecchioli, Alfredo Reichlin, Franco Rodano, Tonino Tatò, Aldo Tortorella, Renato Zangheri e altri ancora. Provenienti dalla Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI) erano Massimo D'Alema, Piero Fassino, Pietro Folena, Renzo Imbeni e Walter Veltroni. Date le divisioni all'ultimo Congresso, l'ex corrente berlingueriana è divisa tra PD (mozione 1), PRC e Sinistra Ecologia Libertà (SEL) (mozione 2, l'ex Fronte del No). Minucci e Nicola Tranfaglia hanno aderito al Partito dei Comunisti Italiani (PdCI), Folena è stato eletto in Parlamento da Rifondazione in quota Sinistra Europea mentre Angius ha lasciato la Sinistra Democratica per il Partito Socialista Italiano. Angius e Folena hanno aderito successivamente al PD. Alcuni sono usciti dalla politica attiva (prima Natta, poi Tortorella e Chiarante che hanno costituito l'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra). Cossuttiani I cossuttiani erano forse l'unica vera e propria corrente del PCI, presente nell'apparato partitico, comprensiva di alcuni ex operaisti. L'area guidata da Cossutta non voleva rompere il legame internazionalista con l'Unione Sovietica, causa di uno strappo lacerante che avrebbe investito anche i connotati politico-ideali in favore di una pericolosa «mutazione genetica» del partito. Erano inoltre assertori di un legame da conservare e sviluppare con tutti gli altri Paesi socialisti (come quello cubano). Nel partito giunsero a criticare con asprezza l'azione politica intrapresa da Berlinguer durante la sua segreteria, combattendo al contempo sia contro l'allontanamento progressivo dall'Unione Sovietica sia i tentativi di compromesso con la DC. Nel Congresso della svolta riuscirono a conquistare solo il 3% dei voti con la mozione 3, più piccola, maggiormente organizzata e meno eterogenea della mozione 2. Cossuttiani erano tra gli altri Guido Cappelloni, Gian Mario Cazzaniga, Giulietto Chiesa, Aurelio Crippa, Oliviero Diliberto, Claudio Grassi, Marco Rizzo, Fausto Sorini e Graziella Mascia. I cossuttiani, che vengono connotati come ex cossuttiani per la divergente strada politica intrapresa dallo stesso Cossutta (tranne Chiesa che ha seguito un diverso percorso politico-culturale), sono presenti in larga parte nel PdCI (che Cossutta ha presieduto fino alle dimissioni avvenute nel 2006), ma anche in consistenti componenti interne del PRC (Essere Comunisti di Claudio Grassi e Alberto Burgio, L'Ernesto di Fosco Giannini e Andrea Catone). Ingraiani Guidati da Pietro Ingrao, tenace avversario di Giorgio Amendola nel partito, gli ingraiani erano per definizione gli esponenti della sinistra movimentista del PCI, opportunamente radicati nella FGCI e anche nella CGIL. Questa corrente era contraria a manovre politiche considerate di destra e sosteneva posizioni che erano definite come marxiste e leniniste, anche se non sempre in modo coerente. Era poco incline ad alleanze con la DC (per questo motivo molti furono gli ex ingraiani passati con Berlinguer). Molto meno diffidente di berlingueriani e amendoliani nei confronti dei movimenti del dopo Sessantotto, riuscì ad attrarre svariati giovani proprio tra questi ultimi, spesso contrapponendoli a quelli più ortodossi che militavano nella DP o in altre formazioni di estrema sinistra. Nel 1969 perse la componente critica del Manifesto, espulsa anche con l'appoggio di Ingrao dal partito e poi rientratavi (una parte) nel 1984. I valori principali degli ingraiani erano quelli dell'ambientalismo, del femminismo e del pacifismo. Si opposero in larga parte alla svolta della Bolognina costituendo il nucleo principale del Fronte del No, cioè la mozione 2 di minoranza più consistente. Ingraiani erano Alberto Asor Rosa, Antonio Baldassarre, Antonio Bassolino, Fausto Bertinotti, Bianca Bracci Torsi, Aniello Coppola, Sandro Curzi, Lucio Libertini, Bruno Ferrero, Sergio Garavini, Ersilia Salvato, Rino Serri e altri ancora. Dalla FGCI provenivano Ferdinando Adornato, Massimo Brutti, Franco Giordano e Nichi Vendola. Di origine ingraiana erano oltre agli ex Manifesto-PdUP, anche berlingueriani come Angius, D'Alema, Fassino, Occhetto, Reichlin e altri. Gli ex ingraiani sono divisi tra sinistra PD, PRC e SEL. Manifesto Il Manifesto era la componente di origine ingraiana nata attorno all'omonima rivista ed espulsa dal PCI nel 1969. Esponenti più significativi e fondatori poi del quotidiano avente il medesimo nome furono Aldo Natoli, Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lucio Magri, Luciana Castellina, Eliseo Milani, Valentino Parlato e Lidia Menapace. La sua dura critica alla politica dell'Unione Sovietica (culminata con la condanna nel 1969 all'invasione della Cecoslovacchia da parte del Patto di Varsavia) le costò la radiazione del PCI. Costituitasi come soggetto politico autonomo della nuova sinistra, nel 1974 si unificò con il Partito di Unità Proletaria (costituito da socialisti provenienti da PSIUP e aclisti del MPL) per fondare il Partito di Unità Proletaria per il Comunismo (PdUP) con Magri segretario. L'unione durò poco e nel 1977 l'area PSIUP-MPL uscì per confluire nella DP mentre gli ex Manifesto inglobarono per poco tempo la minoranza di Avanguardia operaia e infine il Movimento Lavoratori per il Socialismo (MLS), mantenendo il nome di PdUP per il Comunismo. Nel 1983 il partito presentò propri candidati nelle liste comuniste e nel 1984 confluì definitivamente nel PCI con gli ex militanti del MLS. Quando si tenne il Congresso alla Bolognina la maggior parte dei militanti dell'ex PdUP per il Comunismo aderì al Fronte del No. Magri e altri rimasero nel PDS per breve tempo, dopodiché aderirono a Rifondazione nel 1991. Nel 1995 lasciarono però il PRC con Garavini dando vita al Movimento dei Comunisti Unitari, che tranne Magri e Castellina confluì nei DS nel 1998. Dirigenti ed esponenti del PdUP-MLS si ritrovano con ruoli diversi in tutti i partiti della sinistra. Per esempio, Vincenzo Vita, Famiano Crucianelli e Davide Ferrari sono nel PD e Luciano Pettinari nell'SD mentre Franco Grillini ha aderito alla rifondazione del PSI e in seguito all'Italia dei Valori. Del MLS solo Luca Cafiero ha lasciato la politica attiva mentre Alfonso Gianni era in SEL (l'ha abbandonata nel 2013) e Ramon Mantovani in Rifondazione. I fondatori veri e propri della corrente sono fuori dalle organizzazioni di partito. Amendoliani Gli amendoliani rappresentavano la destra del partito. Eredi delle posizioni di Giorgio Amendola (sostanzialmente orientato verso una dinamica impostazione legata alla socialdemocrazia), erano presenti nel suo apparato e nella gestione delle cooperative rosse. Propensi ad avere un atteggiamento riformista verso il capitalismo, non condividevano la politica sovietica (anche se a più riprese vi si conformarono), contrastarono l'estrema sinistra del 1968 e del 1977, ma anche le correnti del PCI più movimentiste o moraliste. Sostenevano il dialogo e l'azione comune con partiti come il PSDI e il PSI, quest'ultimo specialmente durante la segreteria di Craxi, di cui erano interlocutori privilegiati. Nel 1989 furono con qualche eccezione grandi sostenitori della svolta di Occhetto, firmando la mozione 1. Il capo politico tradizionale della corrente era Giorgio Napolitano (divenuto presidente della Repubblica nel 2006) e vi appartenevano anche Paolo Bufalini, Gerardo Chiaromonte, Napoleone Colajanni, Guido Fanti, Nilde Iotti, Luciano Lama, Emanuele Macaluso, Antonello Trombadori e altri ancora. L'area ex DS del PD raggruppa la maggior parte dei seguaci dei miglioristi. Struttura Segretari generali I primi due statuti del Pcd'I (1921 e 1922) non prevedevano la figura del segretario generale. Fino al gennaio 1926 il partito era retto da un comitato esecutivo ristretto che lavorava collegialmente e all'interno del quale era al massimo rintracciabile un «redattore capo» (art. 47 dello statuto del 1921) o «segretario» (art. 51). Al III Congresso il comitato esecutivo mutò nome in ufficio politico e all'interno di questo fu individuata la figura del segretario generale. Dopo l'arresto di Antonio Gramsci nel novembre 1926 la carica di segretario restò comunque formalmente ricoperta dallo stesso Gramsci, ma di fatto l'organizzazione clandestina iniziò ad avere un capo a Mosca (il centro estero) e uno in Italia (centro interno). Furono pertanto a capo del partito: Comitato esecutivo composto da Amadeo Bordiga (redattore capo o segretario), Ruggiero Grieco, Bruno Fortichiari, Luigi Repossi e Umberto Terracini (21 gennaio 1921 – giugno 1923) Comitato esecutivo composto da Angelo Tasca, Palmiro Togliatti, Mauro Scoccimarro, Bruno Fortichiari e Giuseppe Vota (giugno 1923 - agosto 1924) Antonio Gramsci (agosto 1924 – 26 gennaio 1926) Furono segretari generali: Antonio Gramsci (26 gennaio 1926 – 1927) con Camilla Ravera vicesegretaria dal novembre 1926 Palmiro Togliatti (1927 – 1934) e Camilla Ravera come vicesegretaria in Italia dal 1927 al 1930 Ruggero Grieco (giugno 1934 – aprile 1938) Giuseppe Berti (aprile - maggio 1938) Palmiro Togliatti (maggio 1938 – 21 agosto 1964) Luigi Longo (22 agosto 1964 – 17 marzo 1972) Enrico Berlinguer (17 marzo 1972 – 11 giugno 1984) Alessandro Natta (26 giugno 1984 – 10 giugno 1988) Achille Occhetto (21 giugno 1988 – 3 febbraio 1991) Presidenti Luigi Longo (1972–1980) Alessandro Natta (1989–1990) Aldo Tortorella (1990–1991) Organigrammi del vertice nazionale I CongressoComitato centrale: Amadeo Bordiga, Ambrogio Belloni, Nicola Bombacci, Bruno Fortichiari, Egidio Gennari, Antonio Gramsci, Ruggero Grieco, Anselmo Marabini, Francesco Misiano, Giovanni Parodi, Luigi Polano (FGCd'I), Luigi Repossi, Cesare Sessa, Ludovico Tarsia, Umberto Terracini e Antonio Borgia.Comitato esecutivo: Bordiga, Fortichiari, Grieco, Repossi e Terracini. II CongressoComitato centrale: Bordiga, Isidoro Azzario, Vittorio Flecchia, Fortichiari, Leopoldo Gasparini, Gennari, Enio Gnudi, Gramsci, Grieco, Marabini, Repossi, Sessa, Terracini, Palmiro Togliatti e Giuseppe Berti (FGCd'I); nel marzo 1923 cooptazione di Antonio Graziadei e Angelo Tasca.Comitato esecutivo: Bordiga, Fortichiari, Grieco, Repossi e Terracini; nel marzo 1923 cooptazione di Mauro Scoccimarro e Togliatti. Comitato esecutivo dimissionario nel marzo 1923 e sostituito nel luglio 1923 con Fortichiari, Scoccimarro, Tasca, Togliatti e Giuseppe Vota; in autunno dimissioni di Fortichiari sostituito da Gennari. V Congresso CominternComitato centrale: Gramsci, Aladino Bibolotti, Gennari, Gnudi, Fabrizio Maffi, Mario Malatesta, Gustavo Mersù, Scoccimarro, Tasca, Terracini, Togliatti e Giuseppe Tonetti.Supplenti per cooptazione: Flecchia, Alfonso Leonetti, Camilla Ravera, Giovanni Roveda e Giacinto Menotti Serrati.Comitato esecutivo: Gramsci, Maffi, Mersù, Scoccimarro e Togliatti.Supplenti: Bibolotti, Gennari, Malatesta, Tasca, Terracini e Tonetti.Ufficio di segreteria: Gramsci, Giuseppe Di Vittorio, Grieco, Mersù, Ravera, Scoccimarro, Giuseppe Srebrnic e Togliatti. III CongressoComitato centrale: Gramsci, Luigi Allegato, Luigi Bagnolati, Luigi Ceriana, Flecchia, Gennari, Gnudi, Grieco, Alfonso Leonetti, Fabrizio Maffi, Antonio Oberti, Paolo Ravazzoli, Camilla Ravera, Scoccimarro, Giacinto Menotti Serrati, Tasca, Terracini, Togliatti, Bordiga, Carlo Venegoni e un operaio di Trieste (Luigi Frausin?). Membri candidati: Azzario, Teresa Recchia, Giovanni Roveda e Pietro Tresso.Ufficio politico: Gramsci, Grieco, Ravera, Ravazzoli, Scoccimarro, Terracini e Togliatti; nel novembre 1926 arresto di Gramsci, Scoccimarro e Terracini sostituiti nell'ufficio politico da Leonetti, Tasca e Tresso e l'esclusione di Ravazzoli; candidato: Ignazio Silone. VI Congresso CominternComitato centrale: Gennari, Gnudi, Grieco, Leonetti, Luigi Longo, Ravazzoli, Ravera, Silone, Tasca, Togliatti e Tresso; candidati cooptati nell'ottobre 1928: Di Vittorio, Giuseppe Dozza, Giovanni Germanetto, Teresa Recchia e Pietro Secchia.Ufficio politico: Grieco, Leonetti, Ravazzoli, Ravera, Silone, Tasca, Togliatti, Tresso e Secchia (FGCd'I); candidato: Luigi Longo (FGCd'I a Mosca).Ufficio di segreteria: Grieco, Ravera, Secchia e Togliatti. «La svolta» del 1929Comitato centrale: Di Vittorio, Dozza, Gennari, Germanetto, Gnudi, Grieco, Longo, Ravera e Togliatti; candidati: Frausin, Antonio Vincenzo Gigante e Battista Santhià.Ufficio politico: Grieco, Longo, Ravera, Secchia e Togliatti.Nel 1929 espulsione di Tasca; nel 1930 espulsione di Bordiga, Leonetti, Ravazzoli e Tresso; nel 1931 espulsione di Silone. IV CongressoComitato centrale: Berti, Luigi Ceriana, Gaetano Chiarini, Domenico Ciufoli, Di Vittorio, Dozza, Frausin, Gennari, Germanetto, Gnudi, Grieco, Longo, Ernesto Oliva, Santhià, Togliatti, Tonini, Viana, un operaio da Gorizia, un operaio da Torino e un giovane della FGCd'I (Gian Carlo Pajetta?); candidati: Vincenzo Bianco, Luigi Lomellina, Mario Montagnana, Giordano Pratolongo, Francesco Roccati, «Sesto» e Ezio Zanelli; cooptati in seguito: Luigi Amadesi e Luigi Grassi.Ufficio politico: Di Vittorio, Dozza, Grieco, Longo, Santhià, Togliatti e Pajetta(?). VII Congresso CominternComitato centrale: Giuseppe Amoretti, Bibolotti, Ciufoli, Di Vittorio, Dozza, Gennari, Gnudi, Grieco, Longo, Cesare Massini, Montagnana, Celeste Negarville, Teresa Noce, Agostino Novella, Attilio Tonini, Luigi Viana e Zanelli; candidati: Luigi Borelli e Rigoletto Martini.Ufficio politico: Di Vittorio, Gennari, Grieco, Longo, Montagnana e Negarville. Agosto 1938 (scioglimento del comitato centrale)Centro di riorganizzazione: Berti, Di Vittorio, Grieco e Antonio Roasio.Centro ideologico: Berti, Di Vittorio, Grieco, Umberto Massola, Negarville, Novella e Roasio. V CongressoDirezione: Togliatti (segretario generale), Longo (vice segretario generale), Giorgio Amendola, Arturo Colombi, Di Vittorio, Girolamo Li Causi, Massola, Negarville, Novella, Gian Carlo Pajetta, Antonio Roasio, Giovanni Roveda, Mauro Scoccimarro, Pietro Secchia, Emilio Sereni e Velio Spano.Segreteria: Togliatti, Longo, Novella, Scoccimarro, Secchia, D'Onofrio e Terracini. VI CongressoDirezione: Togliatti (segretario generale), Longo (vice segretario generale), Enrico Berlinguer (FGCI), Amendola, Colombi, Di Vittorio, Edoardo D'Onofrio, Li Causi, Negarville, Teresa Noce Teresa, Novella, Pajetta, Roasio, Giuseppe Rossi, Roveda, Scoccimarro, Secchia (vice segretario generale), Sereni e Spano.Segreteria: Togliatti, Longo, Novella, Scoccimarro e Secchia.(17 febbraio 1948: Secchia designato vice segretario generale; agosto 1948: muore Rossi; 3 novembre 1949: Novella esce dalla segreteria e gli subentra Edoardo D'Onofrio) VII CongressoDirezione: Togliatti (segretario generale), Longo (vice segretario generale), Secchia (vice segretario generale), Amendola, Berlinguer (FGCI), Colombi, Di Vittorio, D'Onofrio, Grieco, Li Causi, Negarville, Noce, Novella, Pajetta, Roasio, Roveda, Scoccimarro, Sereni e Spano.Segreteria: Togliatti, Longo, Secchia, D'Onofrio e Scoccimarro. IV Conferenza di organizzazioneDirezione: Togliatti (segretario generale), Longo (vice segretario generale), Berlinguer (FGCI), Amendola, Colombi, Di Vittorio, D'Onofrio, Giuseppe Dozza, Grieco, Li Causi, Negarville, Novella, Pajetta, Roasio, Roveda, Scoccimarro, Secchia, Sereni, Spano e Terracini.Segreteria: Togliatti, Longo, Amendola, Colombi, D'Onofrio, Pajetta e Scoccimarro.(luglio 1955: muore Grieco) VIII CongressoDirezione: Togliatti, Longo, Alicata, Amendola, Colombi, Di Vittorio, Dozza, Ingrao, Li Causi, Novella, Pajetta, Pellegrini, Roasio, Romagnoli, Scoccimarro (presidente CCC), Sereni, Spano, Terracini e Trivelli (FGCI).(novembre 1957: morte di Di Vittorio; luglio 1958: cooptati Bufalini e Scheda).Segreteria: Togliatti, Longo, Amendola, Bonazzi, Bufalini, Ingrao e Pajetta.(luglio 1958: esce Bufalini, entra Berlinguer). IX CongressoDirezione: Togliatti, Longo, Alicata, Alinovi, Amendola, Berlinguer, Bufalini, Colombi, Cossutta, Ingrao, Macaluso, Novella, Pajetta, Roasio, Romagnoli, Scheda, Scoccimarro (presidente CCC), Sereni, Terracini e Trivelli (FGCI).(ottobre 1960: Serri sostituisce Trivelli (FGCI); ottobre 1962: Occhetto sostituisce Serri (FGCI).Segreteria: Togliatti, Longo, Amendola, Barontini, Ingrao e Pajetta.(marzo 1960: entra Luciano Barca)Ufficio di segreteria: Longo, Barca e Barontini. X CongressoDirezione: Togliatti, Longo, Alicata, Amendola, Berlinguer, Bufalini, Colombi, Cossutta, Ingrao, Nilde Jotti, Macaluso, Napolitano, Novella, Pajetta, Pecchioli, Romagnoli, Scheda, Scoccimarro (presidente CCC), Sereni, Terracini e Occhetto (FGCI).(dicembre 1963: cooptati Galluzzi, Lama, Miana, Natta e Reichlin; agosto 1964: muore Togliatti, Longo segretario).Segreteria: Togliatti, Longo, Amendola, Berlinguer, Ingrao, Natta e Pajetta.(dicembre 1963: entrano Alicata e Macaluso; agosto 1964: muore Togliatti, Longo segretario).Ufficio di segreteria: Berlinguer (responsabile), Natta, Calamandrei, Di Giulio e Flamigni.(febbraio 1965: entra Luigi Pintor). XI CongressoDirezione: Longo, Alicata, Amendola, Berlinguer, Bufalini, Chiaromonte, Colombi, Cossutta, Di Giulio, Fanti, Lina Fibbi, Galluzzi, Ingrao, Jotti, Lama, La Torre, Macaluso, Miana, Napolitano, Natta, Novella, Pajetta, Pecchioli, Reichlin, Romagnoli, Scheda, Scoccimarro (presidente CCC), Sereni, Terracini, Tortorella e Occhetto (FGCI).(febbraio 1966: muore Romagnoli; luglio 1966: entra Petruccioli (FGCI), esce Occhetto; ottobre 1966: cooptati Alinovi e Occhetto).Ufficio politico: Longo, Alicata, Amendola, Berlinguer, Ingrao, Napolitano, Novella, Pajetta e Pecchioli.(dicembre 1966: muore Alicata; luglio 1967: entra Macaluso).Segreteria: Longo, Bufalini, Cossutta, Macaluso, Napolitano e Natta.(febbraio 1966: entra Di Giulio; luglio 1967: esce Macaluso, entra Occhetto). XII CongressoDirezione: Longo, Berlinguer, Alinovi, Amendola, Bufalini, Cavina, Chiaromonte, Colombi (presidente CCC), Cossutta, Di Giulio, Fanti, Galluzzi, Ingrao, Jotti, Lama, Macaluso, Minucci, Napolitano, Natta, Novella, Occhetto, Pajetta, Pecchioli, Reichlin, Romeo, Scheda, Scoccimarro, Sereni, Adriana Seroni, Terracini, Tortorella e Petruccioli (FGCI).(marzo 1969: entra Gianfrancesco Borghini (FGCI) esce Petruccioli; aprile 1970: dimissioni per incompatibilità di Lama e Scheda; gennaio 1972: muore Scoccimarro).Ufficio politico: Longo, Berlinguer, Amendola, Ingrao, Macaluso, Napolitano, Novella, Pajetta e Tortorella.(luglio 1969: dimissioni Novella dal sindacato; aprile 1970: cooptato Novella; ottobre 1970 cooptato Natta).Segreteria: Longo, Berlinguer, Bufalini, Cossutta, Di Giulio, Natta e Pecchioli.(ottobre 1970: esce Natta, entra Galluzzi). XIII CongressoDirezione (38 membri): Berlinguer, Longo, Alinovi, Amendola, Luciano Barca, Bufalini, Cavina, Chiaromonte, Colombi (presidente CCC), Cossutta, Di Giulio, Fanti, Vincenzo Galetti, Galluzzi, Ingrao, Jotti, Macaluso, Minucci, Napolitano, Natta, Novella, Occhetto, Pajetta, Pecchioli, Edoardo Perna, Luigi Petroselli, Elio Quercioli, Reichlin, Romeo, Sereni, Seroni, Rino Serri, Terracini, Tortorella e Borghini (FGCI).(giugno 1972: Renzo Imbeni della FGCI sostituisce Borghini; luglio 1972 cooptati per confluenza del PSIUP: Domenico Ceravolo, Dario Valori e Tullio Vecchietti; settembre 1974: muore Novella)Ufficio politico: Berlinguer, Longo, Amendola, Bufalini, Chiaromonte, Cossutta, Di Giulio, Galluzzi, Ingrao, Macaluso, Napolitano, Natta, Novella, Pajetta, Pecchioli, Reichlin e Tortorella(luglio 1972 cooptati: Valori e Vecchietti).Segreteria: Berlinguer, Bufalini, Cossutta, Di Giulio, Galluzzi, Pajetta e Pecchioli. XIV Congresso XV Congresso XVI CongressoDirezione (34 membri): Berlinguer (segretario generale), Gavino Angius, Luciano Barca, Antonio Bassolino, Gianfranco Borghini, Paolo Bufalini, Giovanni Cervetti, Giuseppe Chiarante, Gerardo Chiaromonte, Luigi Colajanni (cooptato il 10 maggio 1982), Armando Cossutta, Massimo D'Alema, Piero Fassino, Luciano Guerzoni, Pietro Ingrao, Leonilde Jotti, Emanuele Macaluso, Adalberto Minucci, Napolitano, Alessandro Natta (presidente CCC), Achille Occhetto, Pajetta, Ugo Pecchioli, Edoardo Perna, Giulio Quercini, Alfredo Reichlin, Adriana Seroni, Umberto Terracini, Aldo Tortorella, Lalla Trupia, Tullio Vecchietti, Michele Ventura, Renato Zangheri, Marco Fumagalli (invitato come segretario generale FGCI).Segreteria: Berlinguer (segretario generale), Chiaromonte, Minucci, Pajetta, Pecchioli, Reichlin, Seroni, Tortorella e Zangheri. XVII CongressoDirezione (39 membri): Natta, Angius, Bassolino, Giovanni Berlinguer, Borghini, Bufalini, Cervetti, Chiarante, Chiaromonte, Colajanni, D'Alema, Fassino, Ingrao, Jotti, Guerzoni, Luciano Lama, Romano Ledda, Macaluso, Lucio Magri, Minucci, Fabio Mussi, Napolitano, Occhetto, Pajetta, Pecchioli, Gianni Pellicani, Umberto Ranieri, Alfredo Reichlin, Antonio Rubbi, Giulio Quericini, Mario Santostasi, Roberto Speciale, Giglia Tedesco, Aldo Tortorella, Lalla Trupia, Livia Turco, Michele Ventura, Roberto Vitali e Renato Zangheri.Segreteria: Natta, Angius, Chiarante, D'Alema, Napolitano, Occhetto, Reichlin, Tortorella e Turco(luglio 1987: Occhetto vicesegretario; giugno 1988: Occhetto sostituisce Natta) XVIII CongressoDirezione (50 membri): Occhetto, Silvano Andriani, Angius, Tiziana Arista, Antonio Bassolino, Luigi Berlinguer, Goffredo Bettini, Borghini, Claudio Burlando, Luciana Castellina, Gian Mario Cazzaniga, Cristina Cecchini, Chiarante, Chiaromonte, Vannino Chiti, Luigi Colajanni, D'Alema, Silvana Dameri, Biagio De Giovanni, Fassino, Pietro Folena, Francesco Ghirelli, Luciano Guerzoni, Renzo Imbeni, Jotti, Macaluso, Magri, Mussi, Napolitano, Pecchioli, Gianni Pellicani, Claudio Petruccioli, Barbara Pollastrini, Giulio Quercini, Ranieri, Reichlin, Alfonsina Rinaldi, Rubbi, Ersilia Salvato, Santostasi, Pino Soriero, Giglia Tedesco, Tortorella, Trupia, Lanfraco Turci, Turco, Walter Veltroni, Davide Visani, Roberto Vitali e Zangheri.Segreteria: Occhetto, Antonio Bassolino, D'Alema, Fassino, Fabio Mussi, Claudio Petruccioli, Turco e Veltroni. XIX CongressoDirezione (43 membri: 3 di diritto, 27 mozione 1, 12 mozione 2, 1 mozione 3): Occhetto, Tortorella, Tedesco (presidente garanti), D'Alema, Bassolino, Pajetta, Petruccioli, Turco, Rinaldi, Angius, Gianni Aresta, Alberto Asor Rosa, Fulvia Bandoli, Maria Luisa Boccia, Castellina, Chiarante, Fumagalli, Sergio Garavini, Magri, Adalberto Minucci, Salvato e Cossutta.Segreteria: Occhetto, D'Alema, Bassolino, Petruccioli, Ranieri, Giulia Rodano, Cesare Salvi e Turco. Capigruppo alla Camera Luigi Longo (1946–1947) Palmiro Togliatti (1947–1964) Pietro Ingrao (1964–1972) Alessandro Natta (1972–1979) Fernando Di Giulio (1979–1981) Giorgio Napolitano (1981–1986) Renato Zangheri (1986–1990) Giulio Quercini (1990–1991) Capigruppo al Senato Mauro Scoccimarro (1948–1958) Umberto Terracini (1958–1973) Edoardo Perna (1973–1986) Gerardo Chiaromonte (1983–1986) Ugo Pecchioli (1986–1991) Congressi I Congresso - Livorno, 21 gennaio 1921 - chiusura del XVII Congresso del Partito Socialista Italiano II Congresso - Roma, 20-24 marzo 1922 III Congresso - Lione, 20-26 gennaio 1926 - in esilio IV Congresso - Colonia, 14-21 aprile 1931 - in esilio V Congresso - Roma, 29 dicembre 1945 - 6 gennaio 1946 - avanti nella lotta di tutto il popolo per una Italia libera e indipendente per la costituente per la repubblica VI Congresso - Milano, 4-10 gennaio 1948 - contro i provocatori di guerre per la libertà e l'indipendenza contro la miseria del popolo per il rinnovamento d'Italia VII Congresso - Roma, 3-8 aprile 1951 - 30 anni di lotte per la pace, il lavoro, la libertà VIII Congresso - Roma, 8-14 dicembre 1956 - per una via italiana al socialismo IX Congresso - Roma, 30 gennaio - 4 febbraio 1960 - per il rinnovamento democratico della società italiana per avanzare verso il socialismo X Congresso - Roma, 2-8 dicembre 1962 - unità delle classi lavoratrici per avanzare verso il socialismo nella democrazia e nella pace XI Congresso - Roma, 25-31 gennaio 1966 - per avanzare sulla via italiana al socialismo una nuova maggioranza democratica unità delle forze operaie e socialiste XII Congresso - Bologna, 8-15 febbraio 1969 - costruire nell'unità e con la lotta un'alternativa politica per uscire dalla crisi che travaglia l'Italia XIII Congresso - Milano, 13-17 marzo 1972 - unità operaia e popolare per un governo di svolta democratica per rinnovare l'Italia sulla via del socialismo XIV Congresso - Roma, 18-23 marzo 1975 - Intesa e lotta di tutte le forze democratiche e popolari per la salvezza e la rinascita dell'Italia XV Congresso - Roma, 30 marzo-3 aprile 1979 - Avanzare verso il socialismo in Italia e in Europa. Nella pace e nella democrazia. Unità delle forze operaie, popolari e democratiche XVI Congresso - Milano, 2-6 marzo 1983 - Un'alternativa democratica per rinnovare l'Italia XVII Congresso - Firenze, 9-13 aprile 1986 - Un moderno partito riformatore. Un programma, una alternativa per l'Italia e per l'Europa XVIII Congresso - Roma, 18-22 marzo 1989 - Il nuovo PCI in Italia e in Europa. È il tempo dell'alternativa XIX Congresso - Bologna, 7-11 marzo 1990 - Una nuova fase per la sinistra XX Congresso - Rimini, 31 gennaio-3 febbraio 1991 Conferenze Nazionali I Conferenza Nazionale – Como, maggio 1924 II Conferenza Nazionale – Basilea, 22–26 gennaio 1928 Conferenza straordinaria – Parigi, 11–13 agosto 1939 III Conferenza Nazionale – Firenze, 6–10 gennaio 1947 IV Conferenza Nazionale – Roma, 9–14 gennaio 1955 V Conferenza Nazionale – Napoli, 12–15 marzo 1964 Consigli Nazionali I Consiglio Nazionale – Napoli, 30 marzo–1º aprile 1944 II Consiglio Nazionale – Roma, 7–10 aprile 1945 III Consiglio Nazionale – Roma, 15–17 aprile 1953 – Per un governo di pace e di riforme sociali per un'Italia democratica e indipendente IV Consiglio Nazionale – Roma, 3–5 aprile 1956 V Consiglio Nazionale – Roma, 9–10 aprile 1958 VI Consiglio Nazionale – Roma, 24 settembre 1960 Feste nazionali 1945: Mariano Comense 1946: Tradate 1947: Monza 1948: Monza e Roma 1949: Monza 1950: Genova 1951: Bologna 1952: Torino 1953: Milano 1954: Roma 1955: Genova 1956: Roma 1957: Modena 1958: Milano 1959: Ancona 1960: Ferrara 1961: Siena 1962: Milano 1963: Firenze 1964: Bologna 1965: Genova 1966: Modena 1967: Milano 1968: Bologna 1969: Livorno 1970: Firenze 1971: Torino 1972: Roma 1973: Venezia 1974: Bologna 1975: Firenze 1976: Napoli 1977: Modena e Marsala 1978: Genova 1979: Reggio Emilia 1980: Bologna 1981: Torino 1982: Pisa, a Tirrenia 1983: Reggio Emilia 1984: Roma 1985: Ferrara 1986: Milano 1987: Bologna, al Parco Nord 1988: Firenze, a Campi Bisenzio 1989: Genova 1990: Modena Iscritti 1921 – 42.790 1922 – 24 790 1923 – 9 618 1924 – 17 373 1925 – 24 837 1926 – 15 285 1927 – 6 329 (presunti) 1932 – 7 577 (presunti) 1943 – 6 000 (presunti) 1944 – 501 960 1945 – 1 770 896 1946 – 2 068 272 1947 – 2 252 446 1948 – 2 115 232 1949 – 2 027 271 1950 – 2 112 593 1951 – 2 097 830 1952 – 2 093 540 1953 – 2 134 285 1954 – 2 145 317 1955 – 2 090 006 1956 – 2 035 353 1957 – 1 825 342 1958 – 1 818 606 1959 – 1 789 269 1960 – 1 792 974 1961 – 1 728 620 1962 – 1 630 550 1963 – 1 615 571 1964 – 1 641 214 1965 – 1 615 296 1966 – 1 575 935 1967 – 1 534 705 1968 – 1 502 862 1969 – 1 503 816 1970 – 1 507 047 1971 – 1 521 642 1972 – 1 584 659 1973 – 1 623 082 1974 – 1 657 825 1975 – 1 730 453 1976 – 1 814 262 1977 – 1 814 154 1978 – 1 790 450 1979 – 1 761 297 1980 – 1 751 323 1981 – 1 714 052 1982 – 1 673 751 1983 – 1 635 264 1984 – 1 619 940 1985 – 1 595 281 1986 – 1 551 576 1987 – 1 508 140 1988 – 1 462 281 1989 – 1 421 230 1990 – 1 264 790 1991 - dati non disponibili Nelle istituzioni Governi Regno d'Italia Governo Badoglio II Governo Bonomi II Governo Bonomi III Governo Parri Governo De Gasperi I Repubblica Italiana Governo De Gasperi II Governo De Gasperi III Governo Andreotti III Governo Andreotti IV Presidenti della Camera Pietro Ingrao (VII legislatura) Nilde Iotti (VIII legislatura, IX legislatura, X legislatura) Collocazione parlamentare Repubblica Italiana Maggioranza (1946–1947) Opposizione (1947–1976) Maggioranza (1976–1979) Opposizione (1979–1991) Risultati elettorali Il PCI fu un caso straordinario nella politica europea in quanto dagli anni cinquanta fino alla fine degli anni ottanta ha ottenuto una percentuale di voti tale da configurarlo come il più grande partito comunista d'Europa ed eternamente seconda forza politica italiana, ruolo che in Europa spetta di solito ai partiti socialisti. Il suo massimo storico si ebbe nel 1976 (34,4%). Nel 1984 sull'onda emotiva per la morte di Berlinguer operò il primo e unico storico sorpasso sulla DC alle elezioni europee, diventando il primo partito italiano con il 33,33% contro il 32,97% della DC. In diverse occasioni e in particolare nel periodo della collaborazione a sinistra tra PCI e PSI (1975–1985) varie importanti città, specie quelle a vocazione industriale, furono amministrate da sindaci del PCI (Roma, Firenze, Ancona e Perugia, Genova, Torino e Napoli), oltre a Bologna che ebbe ininterrottamente sindaci comunisti dal 1946 al 1991. Giornali e riviste Critica marxista Il Lavoratore L'Ora L'Ordine Nuovo Lotta Oggi L'Unità Rinascita Società Vie nuove Simboli Gestione economica Nel 1986 il bilancio pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale riporta che "le entrate ammontano a L. 102.251.766.777", (oltre cento miliardi) nonostante il quale l'anno si chiudeva in perdita, "con un disavanzo di L. 1.757.102.866". Allo scioglimento del PCI, risultavano intestati al partito 2.399 immobili, in seguito ceduti ad una serie di Fondazioni. Galleria d'immagini Note Bibliografia Libri Maria Luisa Righi, Il PCI e lo stalinismo, Roma, Editori Riuniti, 2007, ISBN 978-88-359-5974-8. Mauro Boarelli, La fabbrica del passato. Autobiografie di militanti comunisti, 1945-1956, Milano, Feltrinelli, 2007. Aldo Agosti, Storia del Partito comunista italiano 1921-1991, Roma-Bari, Laterza, 1999. ISBN 88-420-5965-X. Eva Paola Amendola, Storia fotografica del partito comunista italiano. 2 vol. Roma, Editori riuniti, 1986. Giorgio Amendola, Storia del Partito Comunista Italiano 1921-1943, Roma, Editori Riuniti, 1978. Luciano Barca, Cronache dall'interno del vertice del PCI. 3 vol. Soveria Mannelli, Rubbettino editore, 2005. ISBN 88-498-1257-4. Paolo Buchignani, Fascisti Rossi. Da Salò al PCI, la storia sconosciuta di una migrazione politica. 1943 -1945. Milano, Mondadori "Le scie", 1998, pp. 316. Alberto Cecchi (a cura di), Storia del P.C.I. attraverso i congressi - dal dopoguerra a oggi, Roma, Newton Compton editori, 1977. Marcello Flores, Nicola Gallerano, Sul PCI. Un'interpretazione storica, Il Mulino, 1992. Giorgio Galli, Storia del PCI: Livorno 1921, Rimini 1991, Milano, Kaos edizioni, 1993. ISBN 88-7953-030-5. Alexander Höbel, Il Pci di Luigi Longo (1964-1969), Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 2010. ISBN 978-88-495-2037-8. Alexander Höbel (a cura di), Il Pci e il 1956. Testi e documenti, Napoli, La Città del Sole, 2006. Piero Ignazi, Dal PCI al PDS, Bologna, il Mulino, 1992. ISBN 88-15-03413-7. Lucio Magri, Il sarto di Ulm. Una possibile storia del PCI, Milano, Il Saggiatore, 2009. Giuseppe Carlo Marino, Autoritratto del PCI staliniano 1946-1953, Roma, Editori Riuniti, 1991. ISBN 88-359-3434-6. Renzo Martinelli, Storia del Partito Comunista Italiano. 6: Il "partito nuovo" dalla Liberazione al 18 aprile, Torino, Einaudi, 1995. ISBN 88-06-13877-4. Renzo Martinelli, Giovanni Gozzini, Storia del Partito Comunista Italiano. 7: Dall'attentato a Togliatti all'VIII congresso, Torino, Einaudi, 1998. ISBN 88-06-14905-9. Paolo Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano, 5 voll., Torino, Einaudi, 1967-1975. Umberto Terracini, Come nacque la Costituzione, Roma, Editori Riuniti, 1997. ISBN 88-359-4258-6. Salvatore Coppola, Il gruppo dirigente del PCI salentino dal 1943 al 1963, Leverano, Liberars, 2001. Albertina Vittoria, Storia del PCI 1921-1991, Roma, Carocci, 2006. ISBN 88-430-3894-X. Saggi e articoli Luciano Pellicani, Mondolfo e Gramsci di fronte alla Rivoluzione bolscevica, in "Mondoperaio", n. 2, 2001, pp. 105–110. Luca G. Manenti, La rossa utopia. Luigi Frausin, Natale Kolarič e il comunismo internazionale (1918-1937), in "Qualestoria", a. 47, n. 1, 2019, pp. 9–50. Voci correlate Apparato paramilitare del PCI Brigate Garibaldi Compromesso storico Comunismo Enrico Berlinguer Eurocomunismo Governo ombra del Partito Comunista Italiano Migliorismo Partito Comunista d'Italia Partito Comunista del Territorio Libero di Trieste Partito Democratico della Sinistra Partito della Rifondazione Comunista Sinistra indipendente Treni della felicità Altri progetti Collegamenti esterni
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Paderno Dugnano
Paderno Dugnano (Paderna Dugnan in dialetto milanese, AFI: , e semplicemente Paderno fino al 1862) è un comune italiano di abitanti della città metropolitana di Milano in Lombardia. Il comune fa parte del territorio del Nord Milano. Geografia fisica Territorio Il comune sorge nell'alta pianura lombarda, a 163 m s.l.m., nel margine meridionale della Brianza. Il territorio comunale è per la quasi totalità urbanizzato, ad eccezione della zona agricola orientale e settentrionale compresa nel Parco Grugnotorto Villoresi e di alcune aree a ridosso del fiume Seveso, il corso d'acqua che attraversa la città da nord a sud. Un ulteriore corso d'acqua che attraversa Paderno Dugnano è il canale Villoresi, non lontano dal quale corre il confine che divide Paderno Dugnano dal comune di Varedo. Facente parte dell'area urbana della Grande Milano, e confinante con i comuni di Bollate, Cinisello Balsamo, Cormano, Cusano Milanino, Limbiate, Nova Milanese, Senago e Varedo, Paderno Dugnano è un comune della prima cintura urbana di Milano ed è situato a circa 12 km, in linea d'aria, a nord da Piazza del Duomo di Milano. Clima Secondo la classificazione climatica il comune è situato in "zona E", 2404 GR/G e dunque il limite massimo consentito per l'accensione dei riscaldamenti è di 14 ore giornaliere dal 15 ottobre al 15 aprile. Situata nell'alta pianura padana, Paderno Dugnano ha un clima di tipo continentale con inverni freddi e con molte giornate di gelo ed estati calde, umide e moderatamente piovose; in quest'ultimo periodo, in particolare, le temperature, possono superare i 30 °C e l'umidità che può raggiungere l'80%, causando il fenomeno dell'"afa". Come nel resto della Grande Milano, al contrario, il fenomeno della nebbia, una volta tipico del periodo autunnale e invernale, sta diventando via via sempre meno frequente. Storia Da Paderno, in epoca romana, passava la via Mediolanum-Bellasium, strada romana che metteva in comunicazione Mediolanum (Milano) con Bellasium (Bellagio). Il borgo di Paderno confinava a sud con Cusano e a nord con Dugnano. Una prima esperienza d'unione con la località settentrionale risale all'età napoleonica nel 1810, ma fu interrotta con la proclamazione del Regno Lombardo-Veneto. Nel 1862 assunse il nome ufficiale di Paderno Milanese per distinguersi da altre località omonime. In seguito all'unità d'Italia si cominciò a pensare alla riorganizzazione interna del paese, così con il regio decreto del 17 marzo 1869 a Paderno Milanese vennero annesse Dugnano, Incirano, Cassina Amata e Palazzolo Milanese. La scelta definitiva del nome da attribuire al nuovo comune unificato fu particolarmente difficoltosa. Un suggerimento arrivò persino da Alessandro Manzoni il quale propose la denominazione di Padergnano che tuttavia fu poco apprezzata. Nel 1880 il Consiglio Comunale deliberò il nome di Borgosole, che però risultò poco accetto e venne abolito tramite una petizione firmata dalla maggioranza dei cittadini. Soltanto il 1º febbraio del 1886, in seguito a un regio decreto, venne sancita l'attuale denominazione di Paderno Dugnano. Simboli Lo stemma comunale è stato concesso con regio decreto del 24 febbraio 1938. L'origine di questo stemma risulta essere molto articolata, ma caratterizzata da una ben precisa motivazione di contenuto storico. La figura del castello fa riferimento ad un'antica fortificazione, i cui resti sono stati rintracciati sul territorio della frazione di Palazzolo. La figura del caldaio, ovvero della caldaia che sovrasta il castello, deriva dallo stemma della famiglia lombarda dei Calderari, che dal 1683 era stata investita del feudo di Paderno; il bandato d'argento e di verde di sei pezzi deriva dallo stemma della famiglia milanese dei Dugnani, che dal 1683 risulta siano stati i feudatari della terra di Dugnano; infine le due fasce di rosso in campo d'argento, derivano dallo stemma della famiglia lombarda degli Imbonati, che a partire dal 1697 erano stati i feudatari della terra di Cassina Amata, oggi frazione di Paderno Dugnano. Il gonfalone è un drappo di azzurro. Onorificenze Con D.P.R. del 25 settembre 1989, al Comune di Paderno Dugnano è stato concesso il titolo di Città. Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose Chiesa di Santa Maria Nascente Parrocchiale di Paderno Milanese, venne ricostruita a partire dal 1929 su disegno di Alfonso Orombelli e consacrata nel 1934 dall'arcivescovo Ildefonso Schuster. Oratorio della Beata Vergine del Pilastrello Posto al settimo miglio della strada Comasina, l'Oratorio della Madonna del Pilastrello ha un'origine incerta. Già citato nel XIII secolo, l'edificazione di questo oratorio è, molto probabilmente, legata alla strada d'epoca romana lungo la quale sorge ed è proprio la denominazione di “Pilastrello” che potrebbe indicare, appunto, la relazione di quest'oratorio con il cippo miliare che ivi si trovava. Durante il corso degli anni, l'oratorio ha subìto vari lavori, durante uno dei quali venne rovinato il “pilastrello” e l'antico affresco che lo decorava. Inoltre, a causa della poca manutenzione, durante il XX secolo, le condizioni dell'Oratorio del Pilastrello rimasero pessime tanto che, nel 1981, date le pessime condizioni dell'edificio, l'antico Crocefisso del Pilastrello, lì collocato nel 1836 e vittima nel 1897 di un grave sfregio, venne trasferito nella chiesa di Santa Maria Nascente a Paderno, dove è tuttora conservato. L'Oratorio, nonostante fosse curato dalla Parrocchia di Paderno era, fino al 1982, proprietà privata dei nobili De Capitani D'Arzago, prima di diventare di proprietà comunale. Nel 1987, si decide il recupero dell'edificio sottoponendolo a un restauro conservativo realizzando anche un parchetto che seppur soffocato dalla tranvia, dalle strade, da un canale di irrigazione e dalla vicinissima Rho-Monza, voleva essere un richiamo all'antico paesaggio agricolo. Architetture civili Villa Calderara, Origoni, De Capitani D'Arzago La villa viene costruita dalla famiglia Calderara nella prima metà del Settecento: questa datazione si può evincere da aspetti stilistici particolari come i balconcini in ferro battuto sagomati all'andalusa. L'edificio è stato eretto su precedente edificio medievale e presenta una forma barocchetta, risultato di successive aggiunte e modifiche che hanno complessificato l'originale pianta a "U", composta dal corpo principale (quello che si affaccia lungo l'antica Comasinella, l'attuale via Gramsci) e da due brevi ali minori. Nel 1936, l'ala meridionale del nucleo principale subisce due modifiche in quanto viene alterato l'edificio che prolunga tale ala all'interno del giardino, venendo adibito a scuderie e fienili, e viene alterato il corpo che si addossa al lato meridionale dell'ala sud e costituisce l'attuale ingresso dell'edificio. Un secolo dopo la costruzione della villa Calderara, la proprietà passa alla famiglia Origoni (o Arrigoni) e successivamente due sorelle di questa famiglia si spartiranno l'eredità familiare: la maggiore, sposata De Capitani, acquisì questa villa, all'altra spettò, invece, la villa Maga, essendo lei divenuta Maga per matrimonio. Villa Maga, Asinari di Bernezzo, Calderara Costruita tra la fine del XVII secolo e l'inizio del XVIII, la Villa Maga è un edificio del centro storico di Paderno appartenuto, inizialmente alla famiglia dei Calderari e successivamente ai Maga. L'edificio presenta una pianta a corte con un'ala prominente verso nord; tale ala è raggiungibile tramite un viale alberato privato, visibile dall'antica strada Comasinella. L'ala orientale della villa è sovrastata da una torretta belvedere che permette di affacciarsi sul parco della villa. La torretta è dotata di sei bifore, due per lato sulla facciata meridionale e su quella settentrionale, una per lato sulla facciata occidentale e su quella orientale. Aree naturali Le campagne del comune fanno parte del parco locale di interesse sovracomunale Grugnotorto Villoresi, e del più piccolo Parco Lago Nord, contenuto al suo interno.Nella frazione di Palazzolo si snoda, all'interno del parco del Grugnotorto, un tratto del canale Villoresi con la relativa pista ciclabile che collega Ticino ed Adda. Società Evoluzione demografica Comune di Paderno 718 nel 1751 857 nel 1771 851 nel 1805 nel 1853 nel 1861 Etnie e minoranze straniere Secondo le statistiche ISTAT al 1º gennaio 2019 la popolazione straniera residente nel comune era di persone, pari all'8% della popolazione. Le nazionalità maggiormente rappresentate in base alla loro percentuale sul totale della popolazione residente erano: Romania 736 Albania 463 Egitto 371 Ecuador 291 Ucraina 282 Marocco 262 Perù 225 Cina 171 Filippine 117 Moldavia 103 Nonostante, nel comune si sia registrato un aumento di oltre il 300% di residenti stranieri in dieci anni, passando dai 1.088 del 2004 agli oltre tremila del 2014, Paderno Dugnano è, tra i comuni metropolitani del Nordmilano, uno di quelli con la minore percentuale di stranieri (l'8%, contro il 10% di Cormano, il 12% di Bresso e il 17% di Cinisello Balsamo e di Sesto San Giovanni); solo Cusano Milanino ha una percentuale di residenti stranieri più bassa, il 7%. Nella città si sta affacciando il fenomeno di quartieri ad alto indice straniero, in particolare nel caso del Villaggio Ambrosiano, dove, al 31 dicembre 2014, su 4.181 abitanti, si contavano 1.076 stranieri, ovvero quasi il 26% della popolazione. Cultura Istruzione Biblioteche Dal 2009, la biblioteca comunale ha sede presso l'ex area della Tilane, a Dugnano. Costruita su progetto dell'architetto Gae Aulenti, la biblioteca dispone di volumi, materiali multimediali, riviste e quotidiani. Fa parte del Consorzio Sistema Bibliotecario Nord-Ovest (CSBNO). Villa Gargantini, a Incirano, è stata la sede della biblioteca comunale, prima della costruzione della nuova sede. A seguito del trasferimento, all'interno della villa ha trovato spazio la sede centrale del Consorzio Sistema Bibliotecario Nord-Ovest. Scuole Il sistema scolastico del comune metropolitano si divide in quattro comprensori che raggruppano e amministrano sette scuole dell'infanzia, sei scuole primarie e quattro scuole secondarie di primo grado statali.A queste si aggiunge una scuola secondaria di secondo grado e diverse scuole paritarie di tutti i gradi. Eventi La Fiera di Primavera La Fiera di Primavera si svolge ogni anno in occasione della quinta domenica di Quaresima e dura generalmente tre giorni. La manifestazione è composta da vari appuntamenti nel cuore della città: la tradizionale sagra delle bancarelle, gli spettacoli, le mostre e tante altre proposte attirano ogni anno a Paderno Dugnano diverse migliaia di persone nella sola giornata di domenica. La Fiera di Primavera ha origini antiche nel tempo e si radica nella tradizionale civiltà contadina di Paderno Dugnano. La sua costituzione risale precisamente al 15 gennaio 1888, si svolgeva il quinto lunedì di Quaresima e le sue attività sono proseguite sino al 1957. Nel 1981 Nino Matera, memore dei ricordi giovanili, la ripropose e l'antica fiera riprese a vivere. Con il passare degli anni e con l'ingrandirsi della manifestazione, si è provveduto a dare un primo inquadramento giuridico e con atto notarile datato 19 febbraio 1987 si è costituito il Comitato Promotore "Fiera di Primavera di Paderno Milanese", passo successivo è stata l'apertura di una posizione fiscale. Oggi il Comitato Promotore è riconosciuto dalla Camera di Commercio di Milano. La manifestazione è patrocinata dal Comune di Paderno Dugnano. Geografia antropica Urbanistica Essendo nato dalla fusione di cinque differenti comuni, il comune metropolitano di Paderno Dugnano ha la caratteristica di essere una città policentrica: dei vari comuni successivamente aggregati in Paderno Dugnano uno sorgeva lungo la strada Comasina (Cassina Amata) e quattro lungo il fiume Seveso e la strada Comasinella (Paderno Milanese, Dugnano, Incirano e Palazzolo Milanese). Il quartiere della Calderara, che prima dell'Ottocento era diviso tra i comuni di Paderno Milanese e Dugnano, si è sviluppato, invece, lungo la vecchia strada Valassina, attorno alla cascina omonima, mentre il quartiere del Villaggio Ambrosiano è un quartiere di recente urbanizzazione, sorto nei pressi della fabbrica Tonolli, lungo la Comasina. Nonostante la forte urbanizzazione all'interno dei confini comunali, nei centri storici dei vari quartieri esistono ancora i grandi parchi storici delle varie ville signorili di Paderno Dugnano. Degno di nota il parco della Villa Calderara, Origoni, De Capitani D'Arzago di Paderno, uno dei giardini più recenti delle ville padernesi (non compare infatti nella cartografia del Brenna del 1836) ma anche il più esteso: questo giardino dalla villa, che si trova lungo la strada Comasinella (l'attuale via Gramsci) giunge sino alle rive del fiume Seveso. Suddivisioni storiche La città è suddivisa in 7 quartieri, 5 dei quali erano antichi municipi separati: Calderara, ad est sud-est Cassina Amata, ad ovest Dugnano, al centro Incirano, tra Dugnano e Palazzolo Milanese Paderno, a sud Palazzolo Milanese, a nord Villaggio Ambrosiano, a sud-ovest Altre località All'interno dei 7 quartieri padernesi, vi sono a loro volta alcune località come: Zobbie (a Paderno, confine con Cusano Milanino); Baraggiole, Serviane, Cascina Uccello, Cascina Uboldi e Fattoria Milanino (a Calderara); Battiloca (a Paderno, confine con Cassina Nuova di Bollate e Villaggio Ambrosiano); Castelletto, Cascina Sant'Angelo e Cascina Messa (a Palazzolo). Economia Industria Nel comune si trova la sede operativa della GDE Bertoni un'azienda produttrice di trofei, targhe e medaglie, con sede legale a Milano, che nel 1971 vinse il concorso internazionale per la creazione della nuova Coppa del Mondo di calcio che sarebbe andata a sostituire la Coppa Rimet, assegnata al Brasile nel 1970 . Infrastrutture e trasporti Strade Il Comune di Paderno Dugnano è attraversato da: Direzione Nord-Sud Strada Provinciale 44 Milano-Meda con la presenza di tre svincoli (svincolo n°4 Paderno Dugnano centro, n°5 Incirano e n°6 Palazzolo Milanese); Strada Provinciale 9 Vecchia Valassina (nel quartiere della Calderara) che unisce Milano-Niguarda con Giussano; Strada Statale 35 Comasina (nei quartieri di Villaggio Ambrosiano, Cassina Amata e Palazzolo Milanese) che unisce Milano-Piazzale Maciachini con Como. Direzione Est-Ovest Strada Provinciale 46 Rho-Monza con la presenza di due svincoli (Paderno Dugnano-SP ex SS 35 e Paderno Dugnano-Villaggio Ambrosiano); Tangenziale Nord di Milano con lo svincolo Paderno Dugnano-SP 9 Vecchia Valassina. Ferrovie e tranvie La località è attraversata dalla linea ferroviaria Milano-Asso e servita da due stazioni sul suo territorio, la stazione di Paderno Dugnano (sita in via IV Novembre) e la stazione di Palazzolo Milanese (sita in via Coti Zelati), entrambe servite dalle linee suburbane S2 e S4, svolte da Trenord nell'ambito del contratto di servizio stipulato con la Regione Lombardia. La tranvia Milano-Limbiate, collega Paderno Dugnano (frazioni di Cassina Amata e Villaggio Ambrosiano) con Milano. Lungo la Vecchia Valassina transitava inoltre la tranvia Milano-Desio, che dal 2011 è stata sostituita da una linea gestita da ATM che copre la stessa tratta. Mobilità urbana Il Comune è dotato di una rete urbana di autobus gestita dall'azienda Autoguidovie in associazione con Airpullman. I collegamenti tra la località e i vari centri della provincia invece, sono gestiti sempre da Airpullman e da Brianza Trasporti con due linee. Amministrazione Amministrazioni comunali dal 1946 Note Altri progetti Collegamenti esterni
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Provincia di Piacenza
La provincia di Piacenza è una provincia italiana dell'Emilia-Romagna di abitanti. Confina a nord con la Lombardia (province di Lodi, Cremona e Pavia), a ovest ancora con la Lombardia (provincia di Pavia) e con il Piemonte (provincia di Alessandria), a est con la provincia di Parma e a sud con la Liguria (città metropolitana di Genova). Geografia fisica Territorio La provincia di Piacenza si estende nella pianura Padana a sud del fiume Po, nella parte occidentale della regione Emilia-Romagna. Eccetto un breve tratto nei pressi della foce del torrente Nure in cui esso fa da confine con il comune lodigiano di Caselle Landi, il confine settentrionale con le province di Pavia, Lodi e Cremona è rappresentato dal fiume Po. Il confine ad est con la provincia di Parma segue, da sud, lo spartiacque con la val Ceno, poi il torrente Stirone, il torrente Ongina e, infine, il torrente Arda dalla confluenza con l'Ongina fino alla sua foce in Po. A sud il confine con la città metropolitana di Genova è rappresentato per un breve tratto dallo spartiacque tra val Nure e val d'Aveto, poi dal torrente Aveto e dal torrente Terenzone. Il confine con la provincia di Alessandria è rappresentato dallo spartiacque tra val Borbera e val Boreca, mentre il confine con la provincia di Pavia è rappresentato dallo spartiacque tra val Boreca e val Staffora, per un breve tratto dallo stesso torrente Staffora nei pressi di Samboneto, poi dal fiume Trebbia, dagli spartiacque tra la val Avagnone e altre valli laterali tributarie del Trebbia, tra val Trebbia e val Staffora, tra val Trebbia e val Tidone, tra val Tidoncello e val Tidone e tra val Tidone e val Versa, con l'eccezione della zona di Moncasacco dove è lo stesso torrente Versa a segnare il confine per un brevissimo tratto, e, infine dal torrente Bardonezza. I vari tratti sono separati tra loro da tratti di confine convenzionale. La parte meridionale della provincia è montuosa e collinare e qui si trovano le principali valli piacentine che da ovest ad est sono: la val Tidone (formata dall'omonimo torrente), la val Trebbia (Trebbia), la val Nure (Nure) e la val d'Arda (Arda). Altre valli minori sono la val d'Aveto, attraversata dal principale affluente della Trebbia la val Chiavenna, la val Chero, la val Riglio, la val Luretta, la val d'Ongina, la val Chiaron, la val Perino e la val Boreca. La parte settentrionale della provincia è compresa nella pianura Padana, la cui zona nord-orientale viene chiamata bassa piacentina. Orografia Le vette più alte della provincia sono situate nelle alte valli di Boreca, Nure ed Aveto. La cima più alta della provincia è il monte Bue () Tra le altre cime si segnalano il monte Nero (), il monte Lesima (), il monte Chiappo (), il monte Cavalmurone (), il monte Legnà (), il monte Alfeo () ed il monte Carmo (). Idrografia Fiumi Il territorio della provincia è interamente compreso nel bacino idrografico del fiume Po e vi tributa per mezzo dei suoi affluenti Staffora, che pur scorrendo quasi interamente in provincia di Pavia segna per un breve tratto il confine tra le due province nei pressi di Samboneto, frazione di Zerba, Tidone, Versa, Trebbia, Nure, Chiavenna e Arda. Appartengono al bacino del Trebbia la Boreca, l'Aveto e il Perino. Appartiene al bacino del Tidone il Luretta, mentre al bacino del Chiavenna appartengono Chero, Riglio e Vezzeno, quest'ultimo tributario del Riglio. Al bacino dell'Arda tributa l'Ongina, mentre lo Stirone tributa al bacino del Taro. Al bacino del Nure appartengono il Lardana e il Lavaiana. Laghi Nella provincia vi sono tre laghi sorti a seguito della costruzione di sbarramenti artificiali: il lago di Mignano, sorto con la costruzione dell'omonima diga tra il 1919 e il 1934, attraversato dal torrente Arda e situato tra i comuni di Morfasso e Vernasca e con un'estensione di circa . il lago di Trebecco, sorto con la costruzione della diga del Molato tra il 1921 e il 1928, attraversato dal torrente Tidone e situato tra i comuni di Alta Val Tidone e Zavattarello, quest'ultimo situato in provincia di Pavia, lungo e largo fino a . il lago di Boschi, creato negli anni '20 del XX secolo con la costruzione dell'omonima diga, attraversato dal torrente Aveto, situato tra i comuni di Ferriere e Rezzoaglio, quest'ultimo appartenente alla città metropolitana di Genova, è lungo circa , con una profondità massima di e una capienza di . In alta val Nure esistono piccoli laghi di origine glaciale, il lago Moo, il lago Bino e il Lago Nero. Clima Il clima della provincia è temperato, subcontinentale in pianura e collina e fresco in montagna. La temperatura media annuale è di nel capoluogo, 11,5/ nella media collina e nelle stazioni di fondovalle poste ad altezze più elevate. Il mese più freddo è gennaio con temperature medie di poco sopra lo zero per la pianura e di poco sotto per la montagna, mentre il mese più caldo è luglio con una temperatura media di nel capoluogo e di in montagna. Il clima è più continentale in pianura grazie alla lontananza dalle masse d'acqua mediterranee, mentre in montagna la vicinanza della Liguria influenza il clima rendendolo più simile ad un temperato caldo. Le precipitazioni annue sono pari a circa 850– in pianura per un totale di 80-85 giorni piovosi annui e – nella media collina per un centinaio di giorni di pioggia annui, con un incremento che segue l'incremento di altitudine. A partire dagli ultimi anni del XX secolo sono diminuite le precipitazioni invernali e sono aumentate quelle autunnali. Le nevicate sono abbastanza comuni con una media di all'anno in pianura che aumenta nettamente in collina e montagna. Storia Preistoria e antichità Il territorio piacentino fu abitato sin dalla Preistoria, con diversi insediamenti in vari punti della provincia, tra cui l'area di Sant'Andrea di Travo, la cui datazione è riferibile al Neolitico recente, sul finire del V millennio a.C., durante la diffusione in tutto il territorio dell'Italia settentrionale della cultura di Chassey, proveniente dalla zona francese e la piana di San Martino, situata nel comune di Pianello Val Tidone, con ritrovamenti compresi temporalmente tra la media età del Bronzo e la terza età del Ferro Il territorio fu, poi, abitato da popolazioni liguri, etrusche e celtiche, fino alla conquista della zona da parte dei Romani ai quali si deve, nel 218 a.C., la fondazione della colonia di Placentia che diventò, insieme alla coeva Cremona, la prima colonia romana dell'intera Italia settentrionale. A sud-ovest della città, poco dopo la sua fondazione, venne combattuta la battaglia della Trebbia tra le truppe cartaginesi guidate da Annibale, reduce dalla vittoria nella battaglia del Ticino, e le legioni romane comandate dal console Tiberio Sempronio Longo che subirono una pesante sconfitta. Nel 187 a.C. la città fu collegata con Rimini, posta sulle rive del mare Adriatico, tramite la via Emilia, voluta dal console Marco Emilio Lepido, che diventò l'asse viario principale di tutto il nord Italia. Successivamente, la via Emilia venne prolungata a nord in direzione di Milano, mentre Piacenza divenne punto di diramazione, con la presenza di strade che la collegavano a Tortona e a Susa, quest'ultima passando per Pavia e Torino. A partire dal I secolo a.C. ebbe un grande sviluppo il centro di Veleia, situato in posizione collinare nella val Chero derivato da un preesistente insediamento ligure che divenne prima colonia e, poi, municipium, mantenendo una posizione preminente fino al III secolo d.C. quando decadde rapidamente, probabilmente a causa delle frane a cui era soggetta la zona. Qui fu trovata, nel 1747, la tabula alimentaria traianea iscrizione bronzea riguardante il prestito fondiario ipotecario disposto dall'imperatore Traiano. Piacenza rimase formalmente una colonia fino al 90 a.C. quando, a seguito della promulgazione della legge Iulia, diventò un municipio e vide l'assegnazione ai propri abitanti della cittadinanza romana. A seguito di questa norma, la città venne ascritta alla Gens Veturia. Le campagne piacentine furono teatro della battaglia di Piacenza combattuta nel 271 d.C. dall'esercito romano, guidato dall'imperatore Aureliano, contro un contingente di Alemanni e Iutungi che avevano saccheggiato e bruciato la città: gli invasori ebbero la meglio e i Romani ripiegarono. Epoca medievale Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, Piacenza fu inizialmente occupata dai Bizantini, venendo, poi, conquistata dai Goti guidati da Totila nel 546. Indicatori di insediamenti gotici nel circondario sono ad esempio i toponimi Gossolengo e Gódi (frazione di San Giorgio Piacentino). La città fu però riconquistata dalle forze bizantine dopo alcuni anni, ma nel 570 fu presa dai Longobardi, giunti nell'Italia settentrionale due anni prima. Essi trovarono un centro, Piacenza, ancora piuttosto ricco nonostante la crisi generale e nel 576 vi costituirono un ducato, occupando il Piacentino probabilmente alla fine del VI secolo. Nel 614 venne fondata l'abbazia di San Colombano di Bobbio. L'importanza del territorio aumentò ulteriormente dopo la fondazione del monastero. Si è ritenuto che alla fine dell'VIII secolo la zona fosse divisa in tre distretti: uno costituito dalla città di Piacenza e due organizzati nelle campagne, autonomi dal primo e situati tra la via Emilia e l'Appennino. Si sarebbe trattato rispettivamente di fines Placentina tra la città e la circostante pianura, iudiciaria Medianense in val Trebbia e val Nure, e fines Castriarquatense nella zona collinare e montuosa del Piacentino orientale, ma che da ulteriori indagini sembrano corrispondere più ad uno schema di riferimento ideale che a effettivi organismi amministrativi. Ritrovamenti archeologici che attestano la presenza del popolo germanico sono quelli di Rottofreno, Gazzola, Pianello Val Tidone, Vigolzone, Bettola, Borgonovo Val Tidone, Ziano Piacentino, Alta Val Tidone, Agazzano, Travo, Ponte dell'Olio e Farini. Dopo essere diventata contea durante il periodo di dominazione dei Franchi, la zona fu ripetutamente contesa negli ultimi secoli del millennio, fino ad arrivare, nel 997 alla concessione al vescovo dei poteri comitali sulla città da parte dell'imperatore Ottone III di Sassonia Durante l'XI secolo ci furono diverse lotte tra le fazioni popolare e aristocratica che culminarono, nella prima parte del secolo successivo, nella nascita del comune, la cui genesi era già terminata nel 1126. Successivamente, Piacenza prese parte alle lotte tra i comuni e l'imperatore Federico Barbarossa, partecipando alla Lega Lombarda. Nei pressi di Piacenza, in una zona a cavallo del Po compresa tra Calendasco e Somaglia, tra il 1154 e il 1158 l'imperatore aveva tenuto due tra le più importanti diete da lui convocate, le diete di Roncaglia, in particolare nella seconda egli rivendicò le regalie rispetto alle pretese avanzate da parte dei comuni. Fino al 1164 l'estensione occidentale del Piacentino raggiungeva la Staffora, accorpando quasi interamente l’attuale Oltrepò pavese: quest'ultimo territorio fu assegnato al Ducato di Pavia da Federico Barbarossa; con un successivo arbitrato del 1188 il torrente Bardonezza venne individuato come confine naturale tra Piacentino e Pavese. La progredita agricoltura delle campagne piacentine, la presenza di un fiume navigabile e di importanti assi viari (vie Emilia, Milano-Piacenza e Postumia), unitamente alle valli appenniniche che garantivano i collegamenti con il mar Ligure, oltre all’importanza politica della città e del territorio, ravvivarono l’economia di Piacenza e dei dintorni dal XII secolo, permettendo la creazione di rilevanti relazioni d’affari con Milano, Ferrara, Venezia e soprattutto Genova. In particolare, fu proprio l’espansione verso quest’ultima città ad assicurare il successo di compagnie commerciali e bancarie piacentine, nate e sviluppatesi grazie all’accumulo di consistenti rendite agricole. Il ceto mercantile piacentino rientrava nella categoria di uomini d’affari dell’Italia settentrionale e della Toscana (i lombardi) che praticavano operazioni creditizie e di cambio monetario in tutta Europa. Nei secoli XIII e XIV banchieri e prestatori piacentini operavano in Oriente, a Parigi, Marsiglia, Montpellier, Nîmes, in Champagne, in Borgogna, a Lisbona, Maiorca, Barcellona, Valenza e Siviglia (dove ad essi è dedicata una via, calle Placentines). Nel XIII secolo i domini di Piacenza si estesero verso nord. I territori di San Rocco al Porto, Guardamiglio e Fombio entrarono a farvi parte nel 1225, seppure si trovassero alla sinistra orografica del Po già in epoca altomedievale; la zona di Caselle Landi fu annessa invece nel 1262, mentre Retegno fu a lungo conteso fra Piacenza e Lodi. Con la crisi delle istituzioni comunali, Piacenza diventa il terreno di scontro delle più facoltose famiglie della città, che si fronteggiarono per assumerne la guida. In questo contesto emerse la figura di Alberto Scotti che tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo conquistò più volte il potere su Piacenza, arrivando a conquistare, brevemente, anche Milano, prima di essere definitivamente sconfitto dalle forze Viscontee che conquistarono Piacenza nel 1313. La città rimase sotto il controllo del ducato di Milano fino al 1499, con l'eccezione di brevi periodi. Il Ducato di Parma e Piacenza Nel 1521 il piacentino entrò a far parte dei dominii del papato. Nel 1545 Papa Paolo III istituì il Ducato di Parma e Piacenza, ponendone alla guida il figlio Pier Luigi. Il nuovo ente statale comprendeva buona parte del piacentino, con l'eccezione del bobbiese che continuò a rimanere soggetto al ducato di Milano e del territorio dello stato Pallavicino, posto nella bassa pianura Padana che fu incorporato nel ducato solo successivamente, nel 1585. Il duca venne, però, ucciso due anni dopo da una congiura composta da locali famiglie nobili In seguito a questo episodio il piacentino venne occupato dalla truppe imperiali di Ferrante I Gonzaga. Il figlio di Pier Luigi, Ottavio Farnese riuscì a conservare il dominio di Parma, che diventò, così, la capitale del ducato, mentre il piacentino ritornò sotto il dominio farnesiano solo nel 1585, ceduto a Ottavio da Filippo II di Spagna, con il quale aveva firmato il trattato di Gand. Sotto il governo di Ottavio iniziarono anche i lavori per la costruzione di palazzo Farnese a Piacenza. Nel 1636, nell'ambito della guerra condotta dal duca Odoardo I Farnese, alleato dei francesi, contro la Spagna, la città di Piacenza fu occupata da questi ultimi. In seguito all'accordo di pace, mediato da Papa Urbano VIII, gli spagnoli abbandonarono la città l'anno successivo in cambio della rottura dell'alleanza tra il Farnese e i francesi. Morto senza eredi l'ultimo duca, Antonio Farnese, nel 1731 il trono ducale passò a Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese e del re Filippo V di Spagna: il nuovo duca Carlo I si stabilì a Parma nel 1731, tuttavia nel 1738, con il terzo trattato di Vienna che sanciva la fine della guerra di successione polacca, venne riconosciuta a Carlo la corona del Regno delle Due Sicilie, mentre il Ducato di Parma e Piacenza passò agli austriaci, nella persona dell'imperatore Carlo VI d'Asburgo. Nel 1748 con il trattato di Aquisgrana il ducato tornò sotto il dominio della famiglia Borbone, con il trono che venne assegnato al Reale Infante Don Filippo, fratello di Carlo. Nel 1796, nonostante la neutralità dichiarata dal duca Ferdinando, le truppe napoleoniche entrarono a Piacenza, ottenendo un ingente indennizzo di guerra. Nel 1799 la parte occidentale della provincia fu teatro della battaglia della Trebbia, vinta dagli austro-russi del generale Suvorov impegnato nella sua campagna in Italia contro i francesi guidati dal generale Macdonald. Nonostante l'occupazione francese Ferdinando mantenne formalmente la sovranità fino al 1801 quando, con i trattati di Lunéville e di Aranjuez, il ducato passò sotto il controllo francese, con la contropartita dell'ascesa al trono d'Etruria del figlio di Ferdinando Ludovico. Sotto il controllo francese il piacentino venne separato da Parma e nel 1808 Napoleone nominò Charles-François Lebrun duca titolare di Piacenza in suo nome. Nel 1814, con l'esilio di Napoleone all'Elba, il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla venne assegnato alla moglie di Napoleone, Maria Luisa d'Asburgo-Lorena; tale decisione fu, poi, definitivamente confermata vita natural durante da parte del congresso di Vienna, nonostante le rivendicazioni dei Borbone, ai quali fu previsto il ritorno dello stato alla morte della duchessa. Dopo la morte di Maria Luigia d'Austria, le successe sul trono ducale, il 31 dicembre 1847, Carlo II di Parma il quale prese subito alcune decisioni che gli allontanarono il consenso popolare. Nel marzo 1848 scoppiarono diversi moti prima a Parma e poi a Piacenza dove il 10 maggio successivo si svolse un plebiscito culminato con la richiesta di annessione al Regno di Sardegna. I risultati della votazione furono consegnati al re Carlo Alberto di Savoia, accampato nei pressi di Verona, che proclamò, così, Piacenza Primogenita dell'Unità d'Italia. Dopo la sconfitta di Custoza, la città cadde nuovamente sotto la dominazione austro-borbonica, caratterizzata da una forte repressione. Dall'Unità d'Italia Nel maggio 1859 alcune sommosse costrinsero la duchessa reggente Luisa Maria di Borbone-Francia ad abbandonare Parma. In seguito, il governo cittadino tenne due ulteriori plebisciti che confermarono la richiesta di adesione al Regno di Sardegna e nel mese di agosto il governo della città passò nelle mani di Luigi Carlo Farini, fino a quel momento dittatore delle province modenesi, che costituì l'assemblea dei Rappresentanti del popolo, la quale, il 12 settembre, votò l'annessione al Regno di Sardegna. La provincia venne istituita nel 1860 e la sede dell'amministrazione fu dal marzo 1860 il palazzo della Provincia di corso Garibaldi a Piacenza. Nel 1923 Bobbio e parte del suo territorio, inserito originariamente nella contea di Bobbio, divenuta, poi, nel 1743 provincia di Bobbio e parte del Regno di Sardegna fino all'unità d'Italia, entrò a far parte per la prima volta del territorio della provincia di Piacenza. In contemporanea, i comuni di Bardi e Boccolo de' Tassi, situati in alta val Ceno, in quanto facenti parte del bacino imbrifero della val Taro, passarono alla provincia di Parma. Nel 1926 alcune frazioni del comune di Boccolo, che venne contestualmente aggregato a Bardi, ritornarono parte della provincia di Piacenza, diventando parte dei comuni di Farini d'Olmo e Ferriere. Durante la seconda guerra mondiale la città e alcuni centri della provincia furono pesantemente colpiti dai bombardamenti aerei degli alleati che colpirono in città, tra gli altri, il ponte ferroviario sul Po, la stazione ferroviaria, l'ospedale e l'arsenale oltre a porzioni del centro storico, per un totale di 92 incursioni che causarono circa 300 vittime, mentre in provincia furono colpite le infrastrutture della ferrovia Piacenza-Bettola. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 furono attivi, sia nelle vallate dell'Appennino che nella pianura, diversi nuclei di partigiani che combattevano l'esercito tedesco e repubblichino, per un totale di effettivi e 926 caduti. Al termine del conflitto, alla città venne conferita la medaglia d'oro al valor militare. Nel secondo dopoguerra, nella zona di Cortemaggiore, vennero individuati giacimenti di petrolio e di gas metano particolarmente significativi in grado di dare una spinta decisiva al boom italiano del Dopoguerra. Nacque in quella occasione il logo del cane a sei zampe della Supercortemaggiore, poi diventato simbolo dell'Eni. Nella notte fra il 14 settembre e il 15 settembre 2015 una parte della provincia di Piacenza fu devastata dalle esondazioni improvvise del Nure, dell'Aveto e del Trebbia, dovute al maltempo, che causarono danni ingenti e la morte di tre persone. Le località più colpite sono state Roncaglia, Bettola, Farini, Ponte dell'Olio, Ferriere, Rivergaro, Bobbio, Marsaglia di Corte Brugnatella, Ottone. Durante la pandemia di COVID-19, nel 2020 il Piacentino è risultato la provincia italiana più colpita dal virus per mortalità in numeri relativi sul totale della popolazione, con il capoluogo che si è caratterizzato come il Comune più colpito dell'Emilia-Romagna. Referendum consultivi sulla fusione di comuni La tabella riepiloga i referendum consultivi per la fusione di comuni tenutisi a partire dal 1º dicembre 2013. In grassetto sono indicati i comuni che hanno approvato il quesito. Simboli Descrizione araldica dello stemma: Descrizione araldica del gonfalone: Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose Abbazia di San Colombano a Bobbio (614), fondata da san Colombano, costruita in stile romanico Duomo di Piacenza (1122-1233), chiesa madre della diocesi di Piacenza-Bobbio, costruita in stile romanico. Duomo di Bobbio (XI secolo), concattedrale della diocesi di Piacenza-Bobbio, stile romanico. Basilica di Santa Maria di Campagna a Piacenza (1522-1528) in stile rinascimentale, contiene un vasto ciclo pittorico manierista del primo Cinquecento del Pordenone e tele barocche di Guido Reni e dei Procaccini. Basilica di Sant'Antonino a Piacenza (350-375) in stile romanico, conserva le reliquie di Antonino, martire cristiano ucciso presso Travo. Basilica di Santa Maria delle Grazie a Cortemaggiore (1480-1495), conserva al suo interno un polittico di dodici tavole Filippo Mazzola. Architetture civili Palazzo Comunale a Piacenza (1281), sede del governo cittadino nel Medioevo. Palazzo Farnese a Piacenza (XVI secolo), voluto dal duca Ottavio Farnese e progettato dal Vignola come palazzo di rappresentanza, incompleto a causa delle mutate condizioni politiche intercorse tra la progettazione e l'interruzione dei lavori. Architetture militari Castello di Rivalta, inserito nell'omonimo borgo fortificato in comune di Gazzola, posto a guardia dell'accesso alla val Trebbia dalla pianura. Castello di Grazzano Visconti, fortilizio situato nel comune di Vigolzone costruito nel 1395 da Giovanni Anguissola. Passato nell'Ottocento alla famiglia Visconti di Modrone venne restaurato ai primi del novecento dal conte Giuseppe Visconti di Modrone il quale fece costruire ex novo un piccolo borgo fortificato in stile neo-medievale progettato dall'architetto Alfredo Campanini. Rocca Viscontea, costruita tra il 1342 e il 1347 per opera della città di Piacenza, prima, e dei Visconti, dopo, domina il borgo fortificato di Castell'Arquato. Castello di Riva, posto sulla riva destra del torrente Nure, nel comune di Ponte dell'Olio, tra il corso d'acqua e la strada che collega Piacenza a Ferriere, controllava il passaggio dalla pianura ai primi rilievi della val Nure. Castello di Vigoleno complesso fortificato situato nella parte occidentale della provincia, nel comune di Vernasca, nei pressi del confine con il parmense, venne edificato nel X secolo e fu, poi, ripetutamente distrutto finno alla riedificazione nelle forme definitive avvenuta nel 1389. Siti archeologici Scavi archeologici di Veleia, situati nel territorio comunale di Lugagnano Val d'Arda, ospitano i resti di un municipium romano caduto in rovina a partire dal IV secolo; nel 1747 vi fu trovata la tabula alimentaria traianea, conservata al museo archeologico nazionale di Parma. Piana di San Martino, posta nel comune di Pianello Val Tidone, contiene i resti di un insediamento abitato nella Preistoria, tra l'età del Bronzo e l'età del ferro e, poi, successivamente, in epoca tardoantica e medievale. Il sito è stato reinterrato nel 2018 per garantirne la conservazione. Aree naturali Oasi de Pinedo, in comune di Caorso, zona tutelata dal Piano territoriale di coordinamento provinciale e dal Piano paesistico regionale. Si trova nella fascia di tutela della centrale elettronucleare e per questo è stata preservata. Si presenta come zone di golena con lanche, canneti, boschi ripariali e residui di vegetazione planiziale. Parco di Isola Giarola, in comune di Villanova sull'Arda, nato dopo interventi di rinaturalizzazione su una cava, le sponde, ormai completamente rinaturalizzate, ospitano flora e fauna degli ambienti umidi perifluviali. Parco provinciale Monte Moria, situato tra i comuni di Lugagnano Val d'Arda e Morfasso con un'estensione di più di 10 chilometri quadrati. La sua istituzione risale agli anni '20 con l'intento di valorizzare il patrimonio forestale. Parco regionale dello Stirone e del Piacenziano compreso tra i comuni di Alseno, Castell'Arquato, Carpaneto Piacentino, Gropparello, Lugagnano val d'Arda, Vernasca, Fidenza e Salsomaggiore Terme (questi ultimi due in provincia di Parma), istituito nel 2011 con una legge regionale unendo i due parchi dello Stirone e del Piacenziano. Nel parco sono presenti reperti fossili dell'era Terziaria e Quaternaria, portati alla luce dall'erosione. Parco regionale fluviale del Trebbia, comprende tutto il basso corso del Trebbia da Rivergaro alla confluenza nel Po, per un totale di 4.049 ettari caratterizzati da un ambiente fluviale che alterna periodi di piena a periodi di siccità in cui il fiume si suddivide in più parti nel greto ricoperto di ciottoli. Società Evoluzione demografica La tabella seguente riporta l'evoluzione del numero dei residenti nella provincia dal 2001 al 2016: Etnie e minoranze straniere Al 31 dicembre 2019 nel territorio provinciale risultano essere residenti stranieri ( uomini e donne), pari al 14.98% dell'intera popolazione. Di seguito sono riportate le comunità con più di individui: Romania: Albania: Marocco: India: Macedonia del Nord: Ecuador: Ucraina: Egitto: Bosnia Erzegovina: Cina: Lingue e dialetti Accanto all'italiano, è ancora presente il dialetto piacentino, ascritto alla lingua emiliana nonostante i diversi elementi condivisi con quelle lombarda e piemontese. Sull'Appennino sono invece presenti dialetti di transizione tra emiliano e ligure, che cedono il passo a varietà liguri in alcuni comuni dell'alta val Trebbia. Religione Nella giurisdizione ecclesiastica della chiesa cattolica, gran parte del territorio della provincia coincide con l'area della diocesi di Piacenza-Bobbio. Essa è suddivisa in 7 vicariati e comprende, oltre a gran parte del piacentino, anche l'alta val Trebbia genovese, parte dell'Oltrepò Pavese, la val Taro e la val Ceno nel Parmense Fanno invece parte della diocesi di Fidenza le parrocchie situate nei comuni di Castelvetro Piacentino, Monticelli d'Ongina e Villanova sull'Arda, riunite nel vicariato della Bassa Piacentina. Tradizioni e folclore La zona della provincia più conservatrice per quanto riguarda il folklore è l'area dell'Appennino, cioè quella rimasta più isolata da certe influenze esterne e dalla modernità. Il patrimonio delle tradizioni di buona parte dell'Appennino piacentino è riconducibile a quello dell'area delle Quattro Province. Con questo nome si definisce un territorio prevalentemente montuoso suddiviso amministrativamente tra le province di ben quattro regioni distinte: Genova (Liguria), Piacenza (Emilia-Romagna), Pavia (Lombardia) e Alessandria (Piemonte), dove la gente ha mantenuto per secoli usi e costumi molto simili. Ciò è evidente soprattutto per quanto riguarda i canti, la musica, i balli e le feste popolari. Le alte valli piacentine comprese in questo territorio sono la val Trebbia, la val Tidone, la val d'Aveto e la val Boreca, mentre la val Nure risente in maniera minore di questo patrimonio e la val d'Arda ne è esclusa. Canti I canti folkloristici di Piacenza e del territorio circostante sono scomparsi almeno dall'inizio del XX secolo. Facevano parte di un genere noto come matinäda, che prendeva il nome dal momento della giornata nella quale venivano eseguiti, la mattina appunto. I brani della matinäda erano per lo più a carattere amoroso e simili a quelli di altre zone dell'Italia Settentrionale. Composti da quattro o sei versi endecasillabi - raramente otto - che seguivano ritmi differenti, venivano intonati durante le attività lavorative o all'inizio della primavera, con accompagnamento di chitarra e fisarmonica, per corteggiare le ragazze nubili. I testi erano cantati in dialetto piacentino, ma talvolta inframmezzati da voci derivanti da varietà di altre lingue gallo-italiche o da storpiature del toscano. Ciò è stato spiegato con l'origine non autoctona di parte di essi, nati dunque in altre province e regioni circostanti e adattati al piacentino. Il genere era impropriamente conosciuto anche come buśinäda, termine che in realtà indicava un tipo di composizione poetica di un cantastorie o verseggiatore popolare, che in versi descriveva avvenimenti reali e li esponeva spesso in forma ironica o satirica. Sebbene siano per lo più conosciute nella loro versione milanese, tali opere letterarie, pubblicate su fogli volanti, erano realizzate anche nel Piacentino. I cori dell'Appennino piacentino risultano invece influenzati dal trallallero genovese. Musica e balli La musica dell'Appennino piacentino, compreso nell'area delle quattro province, è tradizionalmente eseguita con piffero dell'Appennino, müsa (simile alla piva più comune in val Nure) e fisarmonica. La müsa, una cornamusa appenninica ad un solo bordone, è forse lo strumento più caratteristico e che attira le maggiori curiosità. Lo strumento cadde in disuso ad inizio del XX secolo, soppiantata dalla più moderna fisarmonica. Negli ultimi decenni è ricomparsa ed è tornata ad accompagnare il piffero, unendosi addirittura alla fisarmonica. È possibile ascoltare i suonatori di questi strumenti alle feste da ballo nei paesi e nelle frazioni dell'Appennino piacentino (o in quelli delle province limitrofe) o in alcuni festival folkloristici che si tengono in estate. In occasione di sagre, feste del patrono, festival folkloristici, celebrazioni della Pasqua o del Carnevale è possibile assistere all'esibizione degli strumenti tipici che eseguono musiche da ballo come la giga (a due o a quattro), la monferrina o l'alessandrina. Esisteva un tempo anche la bisagna, danza scomparsa e recentemente ricostruita nel comune di Ferriere. Qualcuno l'ha ricordata come un ballo eseguito con i bastoni (come nel ballo del Morris inglese), dopo che erano andati perduti i passi e per anni era stata riproposta solo come musica per piffero. Altre fonti non citano però l'uso dei bastoni. All'inizio dell Novecento nelle campagne piacentine era ancora diffuso il ball dal ferì - detto anche ball dal frì nelle zone montuose - (ballo del ferito), un ballo di gruppo in forma ludica. Accompagnato da chitarra e fisarmonica, era eseguito da una coppia di ballerini scelti, attraverso battute prestabilite, da una figura che conduceva le danze. I ballerini si scambiavano un botta e risposta di rime durante la danza, le quali erano utilizzate per fare complimenti, tessere lodi, lanciare sfide o vendette amorose, effettuare dichiarazioni d'amore o con l'intento d'indispettire il partner. Dopo un paio di giri si interrompeva per cambiare compagno o compagna e riprendere con i passi e le rime. Altri balli a figure e a simboli di simile tipologia erano il ball dal tu-tu, il ball dal ciär, il ball dal cüsein e il ball dal specc' , frequenti sulle aie nel periodo dello scartocciamento del granoturco. Festività e celebrazioni Ad esclusione delle feste patronali, sono poche le feste tradizionali sopravvissute alla modernità e allo spopolamento delle aree rurali, in particolare dell'Appennino. Tuttavia, è proprio nelle zone di montagna che si svolgono ancora le celebrazioni legate al ritorno della primavera. Si tratta del Calendimaggio, che generalmente si svolge la sera del 30 aprile. Con questo nome si definisce una festa di natura pagana, di probabile origine celtica (forse collegata a Beltaine), diffusa in quasi tutta l'Europa e che in Italia si è mantenuta vitale prevalentemente nei territori più isolati. Nell'alta val Trebbia piacentina questo evento è noto anche come Carlin di maggio, in val Tidone è celebrato come Festa d'la galeina grisa (Festa della gallina grigia), Cantamaggio in val d'Arda e semplicemente Calendimaggio in alta val Nure. Relegati ai centri appenninici, gli appuntamenti legati al Calendimaggio avevano luogo in una più vasta zona delle campagne piacentine ancora nella seconda metà del XIX secolo. Il 17 gennaio si celebra in varie località della provincia, Piacenza compresa, la ricorrenza di Sant’Antonio abate, con la benedizione di cavalli, asini, muli e animali da compagnia, oltre al pane, al sale e all’olio curativo impiegato tradizionalmente per sanare l’herpes zoster, contro la quale il santo viene invocato. I festeggiamenti del Carnevale sono ancora sentiti a Fiorenzuola d'Arda, dove l'evento è conosciuto come Zobia (Śobia in piacentino). Con questo nome si identificano una figura femminile antiestetica e inquietante, come una strega, e il falò sul quale arde. Tale personaggio sembra fosse nato per deridere gli ebrei che commerciavano abiti usati, ma la connotazione antisemita non è più presente. I falò, spesso alimentati da fantocci dati alle fiamme, erano caratteristici di varie località della provincia e il loro allestimento è ancora presente a Borgonovo Val Tidone, dove è denominato Brüśa la veccia (Brucia la vecchia), e a Gropparello. Scomparse sono le maschere di Piacenza: il pavido e sbruffone ciabattino della città Tulein Cücalla con la vezzosa e pettegola moglie Cesira, lo scaltro montanaro dell'Appennino Vigion e la consorte Lureinsa, madre bonaria e robusta che aiuta il marito nei sotterfugi. Cadute in disuso sono anche le sfilate carnevalesche dell'Appennino, che erano guidate da una maschera dalle sembianze disarmoniche e sgraziate, detta U brüttu (Il Brutto) o A Bestra (La Bestia). Nei giorni di Pasqua e Lunedì dell'Angelo a Fiorenzuola d'Arda e a Lugagnano Val d'Arda si svolge il combattimento con le uova, noto come Ponta e cül (Punta e fondo) o Ponta l'öv (Spingi l'uovo), durante il quale i partecipanti si sfidano a rompere le estremità delle uova dell'avversario urtandole con piccoli colpi. Tale passatempo era praticato anche nelle feste rionali di Piacenza, dove era conosciuto come ciucä i öv (battere le uova). Per la festa di san Giovanni Battista, la sera del 23 giugno si riempie per tre quarti un vaso o una bottiglia di vetro, aggiungendovi l’albume di un uovo: la forma che si manifesterà nel recipiente predirebbe un fortunato evento: un viaggio, una ricchezza o l’amore (l'operazione è replicata nella notte tra il 28 e il 29 dello stesso mese, per la festività dei santi Pietro e Paolo, ed è nota come barca di San Pietro). In passato era credenza che la "rugiada di San Giovanni", raccolta la mattina del 24 avesse poteri miracolosi, come quelli di prevenire le malattie legate alla vista o all’udito e di aiutare le madri in difficoltà nell’allattamento. Nelle tradizioni piacentine estinte era convinzione che i morti tornassero alle proprie abitazioni terrene nella notte tra Ognissanti e la Commemorazione dei defunti, rispettivamente 1 e 2 novembre. Ancora nei primi decenni del XX secolo i valligiani dell'Appennino si alzavano all'alba per cedere il proprio letto ai morti stanchi del viaggio dall'Oltretomba, ai quali venivano lasciati pere e castagne e un lume acceso. Tipici di quei giorni erano dei dolci denominati fave dei morti e le vere e proprie fave. Questi ed altri legumi, ma anche svariati tipi di alimenti, venivano raccolti dai ragazzi poveri bussando alle porte delle famiglie più abbienti di Piacenza. La questua era praticata anche in diversi paesi, da parte di bambini o giovani, nelle osterie o nelle case a seconda delle consuetudini locali. Lumi di vario tipo, come candele, lampade o luminarie, accesi nelle abitazioni, sono stati presenti in tutto il Piacentino per buona parte del XX secolo. Ancora sentita è la ricorrenza legata all'arrivo di Santa Lucia da Siracusa il 13 dicembre. Come in altre località della Lombardia, del Veronese e del Trentino, anche nel Piacentino questo giorno è molto atteso dai bambini, cui la Santa durante la notte farà visita con l'asinello per dispensare loro dolci e doni di ogni sorta. Giochi di carte Per i giochi di carte come scopa (scua), asso pigliatutto (ass ciapatütt), cava camicia (cäva camiśa), rubamazzo, briscola (briscula) e merda o asino sono impiegte le carte piacentine, a figure spagnole, con semi a segni francesi. Furono introdotte dalle truppe francesi durante l'occupazione napoleonica e ridisegnate a Piacenza a figure doppie (anche dette specchiate), assumendo l'aspetto attuale nel XIX secolo. Creature leggendarie Come in molte zone d'Italia e d'Europa, anche nel folclore piacentino è ricorrente il folletto (fulëtt), entità dispettosa che nasconde gli utensili domestici, scherza pesantemente con le donne picchiandole, spettinandole e privandole delle coperte nel letto, prende a schiaffi o pizzica gli uomini dormienti, rompe oggetti, sghignazza in modo sguaiato, fa rumori nella notte e disturba gli animali nelle stalle. Sua vittima prediletta sono i cavalli, che disturba fino allo sfinimento nelle ore notturne e ai quali intreccia la criniera. Le creature spaventose che terrorizzano i bambini sono al mägu, che non è un mago, ma una sorta di babau, e il ben noto omm negar, cioè l'uomo nero. L'omm salvädag o uomo selvatico, ricorrente nei racconti di molte zone dell'Italia settentrionale, è invece un furtivo umanoide scimmiesco, interamente ricoperto di peli, che vive nei boschi. Rè da biss (re di bisce) è la denominazione attribuita ad un biacco o ad una natrice che ha subito una mutazione dopo essere stata mozzata da una falce nell'erba: l'incidente fa sì che la parte del tronco rimasta priva di coda cresca enormemente e sviluppi un'orripilante cresta sulla testa. Bargniff, nome di un'entità fatata e spaventosa che vive sotto i ponti o negli acquitrini delle zone più prossime al Po e che pone indovinelli a chi transita a notte fonda, gettando in acqua chi non trova la soluzione, è passato ad indicare il diavolo. Sono rari i racconti che hanno per protagonista la fata (fäta). Istituzioni, enti e associazioni Sanità Il più importante centro sanitario della provincia è l'ospedale di Piacenza. Questi i principali presidi ospedalieri provinciali: Ospedale "Guglielmo da Saliceto" di Piacenza; Ospedale unico della Valdarda di Fiorenzuola d'Arda; Ospedale unico della Valtidone di Castel San Giovanni; Ospedale di Bobbio; Cultura Università Le sedi universitarie della provincia sono concentrate nel capoluogo dove si trovano una sede dell'università Cattolica del Sacro Cuore di Milano con le facoltà di economia e giurisprudenza, scienze agrarie, alimentari e ambientali e scienze della formazione, una sede del Politecnico di Milano con corsi di laurea in ingegneria e architettura e la sede distaccata del corso di laurea in infermieristica dall'università degli Studi di Parma. La stessa sede che ospitava il corso in infermieristica ha ospitato fino al 2018 anche il corso di laurea in fisioterapia che, a partire dall'autunno di quell'anno è stato spostato in una nuova sede situata a Fiorenzuola d'Arda Piacenza ospita inoltre il conservatorio Giuseppe Nicolini e lo studio di teologia attivo nel collegio Alberoni, affiliato alla facoltà di teologia della pontificia università "San Tommaso d'Aquino" di Roma. Musei Tra i musei principali della provincia: Musei a Piacenza Musei Civici di Palazzo Farnese, ospitati nel palazzo vignolesco, divisi in sezioni dedicate al Medioevo, al Rinascimento, ai Fasti Farnesiani, ai vetri e alle ceramiche, alla pinacoteca, alle armi, alle carrozze, all'archeologia e al Risorgimento. Qui è conservato il fegato etrusco di Piacenza. Museo di Storia Naturale, situato presso lo Urban Center, area nata dalla riqualificazione dell'ex macello cittadino, suddiviso nelle sezioni Botanica, Zoologia e Scienze della Terra. Galleria d'arte moderna Ricci Oddi: galleria d'arte aperta nel 1931 che raccoglie una serie di opere di datazione compresa tra il 1830 e il 1930 provenienti dalla collezione privata raccolta da Giuseppe Ricci Oddi a partire dal 1898. Collegio Alberoni, vasto complesso architettonico dotato di una pinacoteca, osservatorio astronomico, museo di scienze naturali e biblioteca. Musei in provincia Museo dell'Abbazia di San Colombano di Bobbio, allestito nella parte del monastero originariamente adibita alle arti liberali e nello scriptorium, include oggetti legati alla storia cittadina, nonché al culto di san Colombano. Museo archeologico della Val Tidone di Pianello Val Tidone, ospitato nei sotterranei della rocca municipale, conserva numerosi reperti rinvenuti nella val Tidone e nelle valli limitrofe. Museo archeologico di Travo, con sede nel Castello Anguissola, ospita i reperti raccolti dal gruppo di ricerca culturale “La Minerva” in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica dell'Emilia-Romagna in alcuni dei 175 siti archeologici della val Trebbia Museo della città di Bobbio, anch'esso ospitato in un'ala dell'abbazia di san Colombano raccoglie reperti relativi al Santo e all'attività dello scriptorium Museo diocesano di Bobbio, situato nel palazzo vescovile Museo etnografico val Trebbia a Callegari di Bobbio, ideato come coacervo di oggetti e tradizioni popolari. Il percorso espositivo presenta vari mestieri tradizionali legati all'economia rurale della val Trebbia. Museo geologico G. Cortesi di Castell'Arquato, contenente i resti di un cetaceo fossile ritrovato nel 1934 sui calanchi del monte Falcone, nonché il cranio di una balenottera scoperto nel 1983 a Tabiano di Lugagnano e una collezione di molluschi fossili. Museo della Resistenza piacentina di Sperongia di Morfasso, ospita oggetti e documenti relativi alla resistenza nel piacentino. Cucina La gastronomia piacentina vanta di diversi piatti tipici che col tempo sono diventati noti anche al di fuori della provincia stessa, come i pisarei e faśö e i tortelli alla piacentina Un importante ruolo nella gastronomia piacentina è detenuto dai salumi, dei quali i tre più famosi, contrassegnati dal marchio DOP, sono il salame piacentino, la coppa piacentina e la pancetta piacentina. Grazie alla loro presenza, il piacentino è l'unica provincia italiana ad annoverare tre salumi DOP. Altri salumi che non godono dell'indicazione Dop sono la mariola, sorta di salame tipico specialmente della val Nure e che gode del riconoscimento di presidio Slow Food, il salame gentile e il lardo che, pestato insieme al prezzemolo (pistä 'd gras), viene anche usato come ingrediente in diversi piatti. I salumi costituiscono il principale antipasto piacentino; altri piatti diffusi sono il salame cotto, i ciccioli (chiamati graséi in piacentino), la bortellina (burtlëina in piacentino) della val Nure, val Trebbia e val Tidone, sorta di frittella di farina, accompagnata con salumi o formaggi, il chisulén o torta fritta, tipico solo di alcuni comuni della bassa val d'Arda, ma comunissimo in altre province dell'Emilia-Romagna, a volte col nome di gnocco fritto, sempre in abbinamento coi salumi, il batarö, una focaccina originaria della val Tidone, la polenta fritta e la torta di patate tipica dell'alta val Nure. Le salse più note sono la salsa di noci (ajà) e il pesto di matrice ligure sull'Appennino, zona che ha sempre risentito dell'influenza di Genova e della Liguria, la salsa di prezzemolo e la salsa di fegatini alla Farnese. Tra i primi piatti vi sono i già citati pisarei e fasö, gnocchetti di pane e farina con condimento di sugo ai fagioli, e tortelli alla piacentina, gli anolini (anvëin), pasta fresca con ripieno di stracotto di carne servita in brodo, gli anolini all'uso della val d'Arda, variante di quelli appena citati nella quale allo stracotto viene si sostituisce il formaggio, i tortelli di zucca, differenti da quelli di Mantova e Cremona per l'assenza degli amaretti, i tortelli di castagne, tipici della montagna, i malfatti e i maccheroni fatti con l'ago da calza (macaron cun l'agùcia) di Bobbio, le mezze maniche dei frati, sorta di grossi maccheroni ripieni, le tagliatelle o le trofie con salsa di noci tipiche della montagna e della Liguria, il risotto alla Primogenita, il risotto coi funghi, il riso e verza (con costine di maiale), il risotto coi fegatini, il risotto coi codini di maiale e i panzerotti alla piacentina (cilindretti di pasta fresca al forno ripieni di ricotta, bietole e grana padano), piatto di recente introduzione. Comunissimi tra i secondi sono l'anatra e la faraona arrosto, la pìcula 'd cavall, lo stracotto d'asina, lo stracotto alla piacentina, la bomba di riso di Bobbio, le lumache alla bobbiese, il tasto o tasca (punta di vitello ripiena) variante della cima alla genovese che è di casa sull'Appennino, la delicata anguilla in umido, l'anguilla marinata nota come burattino o büratein, gli zucchini ripieni dell'Appennino che mostrano chiare tracce liguri e, tra i secondi più poveri, il merluzzo in umido e la polenta, disponibile in diverse varianti tra cui consa, cioè con strati di sugo e formaggio grana, oppure con i ciccioli, o in accompagnamento alla pìcula 'd caval. I formaggi D.O.P. sono il Grana Padano e il Provolone Val Padana; nelle zone di montagna vengono ancora prodotti formaggi con latte di pecora, capra e vacca tra cui il formaggio da cui escono i vermi saltaréi, la cui commercializzazione è stata vietata a seguito di direttive a livello europeo, ma che continua ad essere prodotto a livello famigliare. Non esiste una grande tradizione dolciaria, comunque i dessert non mancano: i turtlìt (tortelli dolci), le crostate, il latte in piedi, il buslàn (ciambella) e i buslanein (ciambelline) e la spongata molto comune a Monticelli d'Ongina e in val d'Arda, una torta probabilmente di origine altomedievale diffusa dai monasteri benedettini nella bassa piacentina così come in provincia di Parma, nel Reggiano e altre zone; ve ne è testimonianza nel codice diplomatico del monastero di San Colombano di Bobbio in cui i monaci benedettini usavano regalare una spongata a Natale a chi avesse regolarmente portato loro la quota dell'affitto: dando illi qui fictum portaverit unam spongatam (dando a chi abbia portato l'affitto una spongata). Comunissima sulle tavole del piacentino, così come in altre zone della Lombardia e dell'Emilia, è la torta sbrisolona originaria, però, di Mantova. Come si nota da questo lungo elenco di ricette della provincia, la città di Bobbio può vantare un buon numero di ricette locali, tantoché la propria cucina viene considerata, in alcuni casi, come a sé stante, separatamente dalla cucina del resto della provincia. Enologia Molto diffusa nel Piacentino è anche la viticoltura, attività la cui presenza nel piacentino è documentata fin dal primo millennio avanti Cristo preci sono documentazioni che affermano la conoscenza della vite nel territorio), che apporta alla provincia di Piacenza vasta notorietà nel campo dell'enologia. Infatti diversi sono i vini prodotti all'interno della zona DOC dei Colli piacentini, che occupa la fascia collinare della provincia da est a ovest. I vini parte della DOC Colli Piacentini che hanno ottenuto la denominazione di origina controllata sono in tutto 31 afferenti a 14 tipologie Monterosso Val d'Arda, Trebbianino Val Trebbia, Valnure, Barbera, Bonarda, Malvasia, Pinot Nero, Sauvignon, Chardonnay, Pinot Grigio, Vin Santo di Vigoleno, Novello e Cabernet Sauvignon. A questi vini si aggiunge il Gutturnio, che ha una DOC a parte che lo riconosce in 5 varianti. La porzione di territorio della val Versa ricadente sotto la giurisdizione piacentina ricade all'interno delle zone DOC DOCG dell'Oltrepò Pavese. Geografia antropica Comuni Appartengono alla provincia di Piacenza i seguenti 46 comuni: Agazzano Alseno Alta Val Tidone Besenzone Bettola Bobbio Borgonovo Val Tidone Cadeo Calendasco Caorso Carpaneto Piacentino Castel San Giovanni Castell'Arquato Castelvetro Piacentino Cerignale Coli Corte Brugnatella Cortemaggiore Farini Ferriere Fiorenzuola d'Arda Gazzola Gossolengo Gragnano Trebbiense Gropparello Lugagnano Val d'Arda Monticelli d'Ongina Morfasso Ottone Piacenza Pianello Val Tidone Piozzano Podenzano Ponte dell'Olio Pontenure Rivergaro Rottofreno San Giorgio Piacentino San Pietro in Cerro Sarmato Travo Vernasca Vigolzone Villanova sull'Arda Zerba Ziano Piacentino Comuni più popolosi Di seguito è riportata la lista dei dieci comuni della provincia ordinati per numero di abitanti (Istat 31-08-2020): Altre città Zerba con i suoi 78 abitanti è il comune con il più basso dato di popolazione nella provincia e nella regione. Unioni di comuni In Provincia di Piacenza sono presenti cinque unione di comuni che raggruppano 26 comuni del territorio: Unione Alta Val Nure, composta da quattro comuni: Bettola, Farini, Ferriere e Ponte dell'Olio. Unione Montana Valli Trebbia e Luretta, composta da otto comuni: Bobbio, Cerignale, Coli, Corte Brugnatella, Ottone, Piozzano, Travo e Zerba. Unione Bassa Val Trebbia e Val Luretta, composta da sette comuni: Calendasco, Gossolengo, Gragnano Trebbiense, Rivergaro, Rottofreno. Unione Val Nure e Val Chero, è composta da cinque comuni: Carpaneto Piacentino, Gropparello, Podenzano, San Giorgio Piacentino e Vigolzone. Unione Alta Val d'Arda, è composta da quattro comuni: Castell'Arquato, Lugagnano Val d'Arda, Morfasso e Vernasca. Ex Comunità montane Il territorio piacentino comprendeva tre comunità montane, poi sciolte tra il 2008 e il 2013. Economia Agricoltura Uno dei punti focali dell'agricoltura piacentina è il settore del latte, in cui operano 24 imprese per quasi 400 addetti. Il prodotto principale realizzato con il latte piacentino è il Grana Padano. Un'altra filiera molto importante è quella dei salumi, con la produzione che si concentra sui 3 DOP coppa piacentina, salame piacentino e pancetta piacentina. Piacenza occupa inoltre una posizione di leadership nella produzione del pomodoro, al quale è dedicato il festival OroRosso. Infine, molto sviluppata è la viticoltura con la presenza dicomplessive 36 DOC tutelate dal Consorzio Tutela Vini D.O.C. Colli Piacentini con sede in città. Industria Forte a Piacenza è la presenza di aziende del settore delle macchine utensili con più di 100 imprese per un totale di addetti operanti nei settori macchine per la lavorazione meccanica per asportazione, automazione, attrezzature e componentistica speciale, servizi tecnici specializzati, ricerca e sviluppo tecnologico. In città è presente anche il laboratorio MUSP che si occupa dello studio delle macchine utensili e dei sistemi di produzione. Un altro settore molto sviluppato a Piacenza è la raccorderia, presente in città sin dalla fine degli anni '30 con il reparto bocche da fuoco dell'arsenale cittadino, nel complesso nel piacentino sono presenti 15 società di capitali che producono raccordi forgiati. Servizi Grazie alla vicinanza strategica con le aree industriali della pianura padana e alla presenza di importanti vie di comunicazione, sia ferroviaria che autostradale, a partire dagli anni 2000 si sono sviluppati vari poli logistici nella provincia: uno nel capoluogo, nella frazione di Le Mose, a breve distanza dal casello autostradale di Piacenza Sud, dove si sono insediate aziende come UniEuro, Italiarredo ed IKEA. Il polo piacentino si candida inoltre ad essere la piattaforma logistica privilegiata per il porto della Spezia; a questo scopo nel luglio 2015 è stato firmato un protocollo d'intesa tra il comune e l'autorità portuale ligure. Un altro a Castel San Giovanni dove, sfruttando la vicinanza con Milano, si sono insediate aziende come Conad, Bosch, LG Electronics ed Amazon per una superficie totale di . Infine uno a Monticelli d'Ongina che vede la presenza tra le altre di Whirlpool ed Enel per una dimensione di . A poca distanza dal polo logistico del capoluogo si trova il quartiere fieristico, terminato nel 2000 e composto da 3 padiglioni espositivi per complessivi , un'area esterna da , due sale congressi ed una sala corsi. Turismo Il capoluogo ha fatto parte del Circuito Città d'Arte della Pianura Padana insieme ad altre città lombarde ed emiliane fino allo scioglimento avvenuto nel 2018. Nel 2015 si sono registrati in provincia arrivi per complessive presenze, di cui circa la metà nel capoluogo. I principali elementi di attrazione turistica della provincia sono l'enogastronomia e i castelli, alcuni inseriti nel circuito dell'Associazione dei Castelli del Ducato di Parma, Piacenza e Pontremoli. Per quanto riguarda gli sport invernali nella zona di Bobbio sono presenti piste da sci di fondo e impianti di risalita per lo sci alpino. Infrastrutture e trasporti La provincia di Piacenza è attraversata da tre strade statali: la strada statale 45 di Val Trebbia che conduce a Genova, la strada Statale 9 Via Emilia che unisce Milano a Rimini e la strada statale 725 Tangenziale di Piacenza. Altre strade in passato statali e successivamente passate in capo alla provincia sono la strada statale 10 Padana Inferiore, SP 359 R di Salsomaggiore e di Bardi, la SP 412 R della Val Tidone, la SP 461 R del Penice, la SP 462 R della Val d'Arda, SP 586 R della Valle dell'Aveto, la SP 587 R di Cortemaggiore, la SP 588 R dei Due Ponti e la SP 654 R di Val Nure. La provincia è attraversata anche da due autostrade: l'A1 Milano-Napoli sulla quale sono posti i caselli di Piacenza Sud e Fiorenzuola, il casello di Basso Lodigiano, in precedenza noto come Piacenza Nord e posto anch'esso al servizio del capoluogo si trova, invece, all'interno del comune di Guardamiglio, limitrofo al capoluogo, ma posto in provincia di Lodi e dall'A21 Torino-Piacenza-Brescia sulla quale sono posti i caselli di Castelsangiovanni, Piacenza Ovest, Piacenza Sud, Caorso e Castelvetro. Il principale nodo ferroviario è la stazione del capoluogo, posta sulla ferrovia Milano-Bologna e capolinea delle linee per Alessandria e Cremona, quest'ultima priva di traffico passeggeri dal dicembre 2013). La provincia è attraversata anche dalla ferrovia Cremona-Fidenza e dalla linea ad alta velocità Milano-Bologna la quale non presenta, però, stazioni nella provincia. Tra il 1932 e il 1967 era attiva la ferrovia Piacenza-Bettola che collegava il capoluogo con la media val Nure e che fu soppressa, nonostante le proteste dei passeggeri, a causa del deficit accumulato dalla società gestrice. Tra il 1881 e il 1938 la provincia era caratterizzata da una vasta rete tranviaria interurbana a vapore, gestita a partire dal 1908 dalla SIFT, che comprendeva le linee: Tranvia Cremona-Lugagnano (1900-1923); Tranvia Grazzano-Rivergaro (1886-1934); Tranvia Piacenza-Bettola (1881-1933); Tranvia Piacenza-Cremona (1882-1935); Tranvia Piacenza-Pianello-Nibbiano (1893-1938) Tranvia Piacenza-Agazzano (1907-1933); Tranvia Piacenza-Lugagnano (1897-1938). Inoltre, dal 1908 il capoluogo fu servito da una rete tranviaria urbana a trazione elettrica, che nel 1924 raggiunse San Rocco al Porto. Le tranvie urbane furono soppresse nel 1955 e sostituite da autolinee gestite dalla società Auto Guidovie Italiane. Nel comune di San Giorgio Piacentino è presente l'aeroporto militare di Piacenza-San Damiano, fino al settembre 2016 sede del 50º Stormo dell'Aeronautica militare italiana, e diventato da quella data Comando Aeroporto Piacenza con un utilizzo a supporto delle strutture operative dell'aeronautica. Amministrazione Elenco dei presidenti Sport La principale squadra calcistica della provincia è stato il , che ha militato per 8 stagioni in Serie A. Dopo il fallimento del 2011 la squadra cittadina con maggior seguito e ritenuta l'erede del defunto Piacenza FC è il Piacenza Calcio 1919, militante in Lega Pro. La formazione, disputa le partite interne allo stadio Leonardo Garilli, come in precedenza il Piacenza FC. Tra le società calcistiche cittadine capaci di arrivare a militare in ambito professionistico vi è stato anche il che ha disputato per cinque volte la terza serie nazionale, venendo estromesso dal campionato a causa di problemi finanziari nel corso dell'annata 2018-2019. Fuori dal capoluogo la società principale è il , capace di raggiungere nel 1995 la finale play-off per la promozione in Serie B. Negli anni '40 anche l'Olubra di Castel San Giovanni militò per alcune stagioni in serie C. Per quanto riguarda la pallavolo, la provincia di Piacenza è rappresentata dalla squadra maschile cittadina della You Energy Volley, militante in Superlega, nata nel 2018, dopo la chiusura della Pallavolo Piacenza, società che era stata in grado di vincere uno scudetto, una Coppa Italia, una supercoppa italiana e due coppe europee, e, in passato, dalla squadra femminile River Volley, nata a Rivergaro e poi trasferitasi a Piacenza, città nella quale ha vinto due campionati italiano, spostatasi a Modena nel 2016 e, poi, definitivamente chiusa nel 2018. Nella pallacanestro, l'Unione Cestistica Piacentina, nata dalla fusione tra le squadre di Piacenza e Fiorenzuola, ha disputato il campionato di Legadue nella stagione 2011-2012 prima di non iscriversi e successivamente fallire. Dopo la scomparsa dell'UCP a rappresentare la pallacanestro a Piacenza c'è la Pallacanestro Piacentina che milita in Serie B e il Piacenza Basket Club fusosi nel 2016 con l'UC Casalpusterlengo portando la squadra lodigiana a disputare le partite del campionato di Serie A2 a Piacenza. Sono presenti inoltre diverse squadre di rugby, tra cui le due più importanti, il Piacenza Rugby Club, militante in Serie B, e i Rugby Lyons Piacenza, militanti in TOP10, hanno all'attivo diversi campionati in massima serie. Note Bibliografia Massimo Montanari, Maurizio Ridolfi, Renato Zangheri, Storia dell'Emilia romagna. Dalle origini al Seicento, vol. I, Editori Laterza, Bari, 2004 Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/PostgreSQL
PostgreSQL
PostgreSQL (pronuncia all'inglese Pronuncia, 5,6 kB MP3) è un completo DBMS ad oggetti pubblicato con licenza libera (stile Licenza BSD). Spesso abbreviato come "Postgres", sebbene questo sia un nome vecchio dello stesso progetto, è una reale alternativa sia rispetto ad altri prodotti liberi come MySQL, Firebird SQL e MaxDB che a quelli a codice chiuso come Oracle, IBM Informix o DB2 ed offre caratteristiche uniche nel suo genere che lo pongono per alcuni aspetti all'avanguardia nel settore delle basi di dati. Storia Inizialmente il DBMS si chiamava INGRES ed era un progetto della Università di Berkeley. Nel 1982 il capo progetto, Michael Stonebraker, lasciò la Berkeley per commercializzare il prodotto, ma in seguito tornò nel contesto accademico. Nel 1985 lasciò nuovamente l'università per dare vita a un progetto post-Ingres (che prese il nome di Postgres) che superasse gli evidenti limiti dei prodotti concorrenti dell'epoca. Le basi dei sorgenti di Ingres e di Postgres erano, e sono rimaste nel tempo, ben distinte. Il nuovo progetto puntava a fornire un supporto completo ai tipi di dati, in particolare la possibilità di definire nuovi tipi di dati, UDF (User Defined Function), User Defined Types. Vi era anche la possibilità di descrivere la relazione tra le entità (tabelle), che fino ad allora veniva lasciata completamente all'utente. Perciò non solo Postgres preservava l'integrità dei dati, ma era in grado di leggere informazioni da tabelle relazionate in modo naturale, seguendo le regole definite dall'utente. Dal 1986 gli sviluppatori diffusero un gran numero di articoli che descrivevano il nuovo sistema e nel 1988 venne pubblicato un primo prototipo funzionante. La versione 1 venne pubblicata nel giugno del 1989 per un numero di utenti contenuto. Seguì una versione 2 nel giugno del 1990, in cui il sistema delle regole venne completamente riscritto. Nella versione 3, del 1991, questo sistema venne riscritto ancora, ma venne aggiunto anche il supporto a gestori multipli di immagazzinamento dei dati e un motore di query migliorato. Nel 1993 vi era già un numero di utenti notevole che inondava il team di sviluppo con richieste di supporto e di nuove caratteristiche. Dopo aver pubblicato la versione 4, che fu principalmente un ripulimento del codice, il progetto terminò. Sebbene il progetto Postgres fosse ufficialmente abbandonato, la licenza BSD dava modo agli sviluppatori Open Source di ottenere una copia del software per poi migliorarlo a loro discrezione. Nel 1994 due studenti del Berkeley, Andrew Yu e Jolly Chen aggiunsero a Postgres un interprete SQL per rimpiazzare il vecchio QUEL che risaliva ai tempi di Ingres. Il nuovo software venne quindi pubblicato sul web col nome di Postgres95. Nel 1996 cambiò nome di nuovo: per evidenziare il supporto al linguaggio SQL, venne chiamato PostgreSQL. La prima pubblicazione di PostgreSQL è stata la versione 6. Da allora ad occuparsi del progetto è una comunità di sviluppatori volontari provenienti da tutto il mondo che si coordina attraverso Internet. Alla versione 6 ne sono seguite altre, ognuna delle quali ha portato nuovi miglioramenti. Nel gennaio 2005 è stata pubblicata la 8, la prima nativa per Windows. Sebbene la licenza permetta la commercializzazione del software, il codice di Postgres non è stato sviluppato commercialmente con la stessa rapidità di Ingres. Ad un certo punto, però, Paula Hawthorn (membro originale del team di Ingres) e Michael Stonebraker formarono una società chiamata Illustra Information Technologies per commercializzarlo. Descrizione Un rapido esame di PostgreSQL potrebbe suggerire che sia simile alle altre basi di dati. PostgreSQL usa il linguaggio SQL per eseguire delle query sui dati. Questi sono conservati come una serie di tabelle con chiavi esterne che servono a collegare i dati correlati. La programmabilità di PostgreSQL è il suo principale punto di forza ed il principale vantaggio verso i suoi concorrenti: PostgreSQL rende più semplice costruire applicazioni per il mondo reale, utilizzando i dati prelevati dalla base di dati. Le basi di dati SQL conservano dati semplici in "flat table", richiedendo che sia l'utente a prelevare e raggruppare le informazioni correlate utilizzando le query. Questo contrasta con il modo in cui sia le applicazioni che gli utenti utilizzano i dati: come ad esempio in un linguaggio di alto livello con tipi di dato complessi dove tutti i dati correlati operano come elementi completi, normalmente definiti oggetti o record (in base al linguaggio). La conversione delle informazioni dal mondo SQL a quello della programmazione orientata agli oggetti, presenta difficoltà dovute principalmente al fatto che i due mondi utilizzano differenti modelli di organizzazione dei dati. L'industria chiama questo problema "impedance mismatch" (conflitto di impedenza): mappare i dati da un modello all'altro può assorbire fino al 40% del tempo di sviluppo di un progetto. Un certo numero di soluzioni di mappatura, normalmente dette "object-relational mapping", possono risolvere il problema, ma tendono ad essere costose e ad avere i loro problemi, causando scarse prestazioni o forzando tutti gli accessi ai dati ad aver luogo attraverso il solo linguaggio che supporta la mappatura stessa. PostgreSQL può risolvere molti di questi problemi direttamente nella base di dati. PostgreSQL permette agli utenti di definire nuovi tipi basati sui normali tipi di dato SQL, permettendo alla base di dati stessa di comprendere dati complessi. Per esempio, si può definire un indirizzo come un insieme di diverse stringhe di testo per rappresentare il numero civico, la città, ecc. Da qui in poi si possono creare facilmente tabelle che contengono tutti i campi necessari a memorizzare un indirizzo con una sola linea di codice. PostgreSQL, inoltre, permette l'ereditarietà dei tipi, uno dei principali concetti della programmazione orientata agli oggetti. Ad esempio, si può definire un tipo codice_postale, quindi creare un tipo cap (codice di avviamento postale) o un tipo us_zip_code basato su di esso. Gli indirizzi nella base di dati potrebbero quindi accettare entrambi i tipi, e regole specifiche potrebbero validare i dati in entrambi i casi. Nelle prime versioni di PostgreSQL, implementare nuovi tipi richiedeva scrivere estensioni in C e compilarle nel server della base di dati. Dalla versione 7.4 è diventato molto più semplice creare ed usare tipi personalizzati attraverso il comando "CREATE DOMAIN". La programmazione della base di dati stessa può ottenere grandi vantaggi dall'uso delle funzioni. La maggior parte dei sistemi SQL permette agli utenti di scrivere una procedura, un blocco di codice SQL che le altre istruzioni SQL possono richiamare. Comunque il SQL stesso rimane inadatto come linguaggio di programmazione, pertanto gli utenti possono sperimentare grandi difficoltà nel costruire logiche complesse. Ancora peggio, il SQL stesso non supporta molti dei principali operatori di base dei linguaggi di programmazione, come le strutture di controllo di ciclo e condizionale. Pertanto ogni venditore ha scritto le sue estensioni al linguaggio SQL per aggiungere queste caratteristiche, e pertanto queste estensioni non per forza operano su diverse piattaforme di basi di dati. In PostgreSQL i programmatori possono implementare la logica in uno dei molti linguaggi supportati. Un linguaggio nativo chiamato PL/pgSQL simile al linguaggio procedurale di Oracle PL/SQL, che offre particolari vantaggi nelle procedure che fanno uso intensivo di query. Wrapper per i più diffusi linguaggi di scripting come Perl, Python, Tcl, e Ruby che permettono di utilizzare la loro potenza nella manipolazione delle stringhe e nel link ad estese librerie di funzioni esterne. Le procedure che richiedono prestazioni maggiori e logiche di programmazione complesse possono utilizzare il C ed il C++. Inoltre è disponibile anche un interfacciamento al linguaggio R, ricco di funzioni statistiche e per il calcolo matriciale. Il programmatore può inserire il codice sul server come funzioni, che rendono il codice riusabile come stored procedure, in modo che il codice SQL possa richiamare funzioni scritte in altri linguaggi (come il C o il Perl). Punti di forza della programmabilità di PostgreSQL: Incremento delle prestazioni, in quanto la logica viene applicata direttamente dal server della base di dati in una volta, riducendo il passaggio di informazioni tra il client ed il server. Incremento dell'affidabilità, dovuto alla centralizzazione del codice di controllo sul server, non dovendo gestire la sincronizzazione della logica tra molteplici client e i dati memorizzati sul server. Inserendo livelli di astrazione dei dati direttamente sul server, il codice del client può essere più snello e semplice. Questi vantaggi fanno di PostgreSQL, probabilmente, il più avanzato sistema base di dati dal punto di vista della programmabilità, il che aiuta a spiegarne il successo. Utilizzare PostgreSQL può ridurre il tempo totale di programmazione di molti progetti, con i vantaggi suddetti che crescono con la complessità del progetto stesso, ovviamente se utilizzato da utenti esperti nel suo utilizzo. Indici Supporta gli indici GiST e GIN (Indice generalizzato invertito) usa B+-tree, hash. Si possono creare indici di espressioni con un indice del risultato di un'espressione o una funzione anziché il semplice valore di una colonna, indici parziali dove si indicizza parte di una tabella con l'espressione SQL: CREATE INDEX. È anche in grado di usare indici multipli insieme per eseguire interrogazioni complesse. Schemi In PostgreSQL, tutti gli oggetti (con l'eccezione di ruoli e tablespace) sono situati in uno schema. Esso agisce effettivamente come un namespace, permettendo agli oggetti con lo stesso nome di coesistere nella stessa base di dati. Gli schemi sono analoghi alle cartelle nel sistema dei file, ad eccezione che non possono essere una dentro l'altra, e non è possibile creare collegamenti simbolici che puntano ad un altro schema o oggetto. Le basi di dati sono create in modo predefinito con lo schema "public" (comune), ma può essere aggiunto qualsiasi altro schema addizionale e il public non è obbligatorio. Un "percorso di ricerca" determina l'ordine in quale schema sono controllati gli oggetti non qualificati (quelli senza uno schema prefissato) che possono essere configurati sulla base di dati o sul livello di ruolo. Il "percorso di ricerca" contiene in modo predefinito il nome di schema speciale di "$user" (utente) che prima cerca uno schema con nome dell'utente connesso alla base di dati. Se non viene trovato procede a cercare il prossimo schema. Tipi di dati Sono inclusi nativamente una grande varietà di tipi di dati: Booleani numerici con precisione arbitraria Caratteri (testo, varchar, char) Binari Data/ora (timestamp/time con/senza fusi orari, date, interval) Money Enum Bit strings Text search type Composite Arrays (lunghezza variabile e qualsiasi tipo di dato, incluso text e tipi composti) fino a 1GB. Primitive geometriche Indirizzi IPv4 e IPv6 Blocchi CIDR e Indirizzi MAC XML che supporta interrogazioni XPath (dalla 8.3) UUID (dalla 8.3) JSON (dalla 9.2) MVCC PostgreSQL gestisce la concorrenza attraverso un sistema conosciuto come controllo della concorrenza multiversione (MVCC) che dà ad ogni transazione un'"immagine" della base di dati, permettendo cambiamenti non visibili ad altre transazioni fino a che questi non sono eseguiti. Ciò permette di eliminare quasi sempre il bisogno di ricorrere all'utilizzo di lock di lettura (read locks) e assicura il mantenimento dei principi ACID in maniera efficiente. Programmi di gestione a interfaccia grafica phpPgAdmin – è un'applicazione PHP libera che consente di amministrare in modo semplificato, con un'interfaccia grafica basata sul web, base di dati di PostgreSQL pgAdmin – è un'applicazione multipiattaforma, scritta in C++, che consente di amministrare in modo semplificato, con un'interfaccia grafica, base di dati di PostgreSQL. Altri progetti Collegamenti esterni PostgreSQL su Appunti di informatica libera * su OpenERP
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https://it.wikipedia.org/wiki/Provincia%20dell%27Ogliastra
Provincia dell'Ogliastra
La provincia dell'Ogliastra (provìncia de Ollastra o provìntzia de Ogiastra in sardo) è una provincia italiana della Sardegna in fase di attivazione, avente come capoluoghi Tortolì (il comune più popoloso del territorio provinciale) e Lanusei. Istituita nel 2001 e attiva tra il 2005 e il 2016, comprendeva il territorio della sub-regione barbaricina dell'Ogliastra, poi tornata alla gestione della provincia di Nuoro, situata nella zona centro-orientale della Sardegna e affacciata a sud e a est sul mar Tirreno. Era una delle sei province italiane con capoluogo condiviso tra due o più città. Con la riforma degli enti locali sardi del 2021, l'ente intermedio ogliastrino è in via di re-istituzione, distaccandosi dal restante territorio della provincia di Nuoro. Dati La provincia contava ventitré comuni e si estendeva per 1 854 km² (il 7,7% del territorio sardo). All'epoca in cui fu attiva risultava essere la provincia meno popolata d'Italia. Geografia fisica Territorio Facevano parte del territorio provinciale: i due laghi del Flumendosa parte del massiccio del Gennargentu con la punta più alta di "La Marmora", 1 834 m, in territorio di Arzana, a nord est il Supramonte di Urzulei e Baunei, a ovest gli altopiani carsici detti tonneri di Seui, a ovest i tacchi di Osini, Ulassai e Jerzu; a est la pianura di Pelau di Jerzu e Cardedu, a sud ovest l'altopiano di "su Pranu" di Perdasdefogu, a sud est il massiccio di monte Ferru di Tertenia e Gairo, a est le coste di Baunei, Lotzorai, Tortolì, Bari Sardo, Cardedu, Gairo e Tertenia. Monumenti naturali Scala di San Giorgio Perda 'e Liana di Gairo Perda Longa di Baunei Punta Goloritze Su Sterru Gola di Gorroppu Urzulei Alberi monumentali L'Ogliastra è la zona con il numero maggiore di alberi monumentali in Sardegna, ne sono stati censiti nel dicembre 2017 ben 116, le tipologie sono variegate, dai tassi ai peri domestici, sino ad arrivare alle viti millenarie. Qui sotto menzioniamo solo alcuni tra gli alberi più importanti del territorio: Nel territorio di Urzulei in località Costa Silana, è presente il leccio di grande del Mediterraneo, con un'altezza di 25 metri e 10 metri di circonferenza al fusto. Sempre a Urzulei in località Sandalu è presente una vite millenaria tra le più longeve al mondo. Nel territorio di Ulassai in località Abba Frida, è presente il terebinto più grande d'Italia, con un'altezza di 10 metri e una circonferenza di 2 metri e mezzo al fusto. Nel territorio di Arzana in località Tedderie, si trovano alcuni tra i tassi più antichi d'Europa. Vanno menzionati anche gli olivastri millenari di Baunei, località Santa Maria Navarrese. Flora In Ogliastra esistono diversi complessi forestali che gestiscono un'unica ed imponente foresta, che va dalle montagne di Talana a quelle di Tertenia, con un'estensione boschiva pari a 28141 ettari, ricadente in 11 comuni. A questa si somma la superficie di parte del Supramonte Ogliastrino di Baunei e Urzulei che in tutto conta di 16 Mila ettari. L'Ogliastra con una superficie totale di 44 Mila ettari di foresta ad alto fusto, è considerata tra i territori più boschivi in Italia. In diverse parti di queste antichissime foreste si sono conservate nei secoli una straordinaria varietà di piante e di fiori, diverse specie sono autoctone e già dagli inizi degli anni 1990 sono state oggetto di studio a livello scientifico, si menziona lo straordinario caso dell'Elicriso, pianta non autoctona ma che nel territorio di Arzana, a oltre i 1 500 metri s.l.m ha sviluppato proprietà necessarie alla lotta contro il cancro e dalla quale è stato estratto il principio attivo dell'arzanolo e del talanolo, anche l'Hypericum scrugli (in questo caso autoctono delle montagne dei tacchi di Ulassai e Osini) che è ancora oggetto di studio per la lotta contro l'HIV. Sempre nel tacco tra il territorio di Osini e di Ulassai è presente la Dactylorhiza elata, un'orchidea autoctona. Fauna Come per quanto riguarda il discorso delle piante così la fauna è variegata e caratterizzata da specie rare e autoctone, si va dal muflone al cinghiale sardo, al cervo sardo per arrivare a pipistrelli rari e autoctoni come Plecotus sardus presente solo nei territori di Baunei. Grotte Grotta su Marmuri di Ulassai è la più imponente dell'isola e tra le più imponenti d'Europa. Grotta Matzeu di Ulassai Grotta di Serbissi di Osini Grotta del Fico di Baunei Grotta di Taccu Isara Gairo Sant'Elena Grotta Su Palu(sistema Carsico Codula Ilune) Grotta Donini Grotta Sa Rutta ‘e S’Edera Parchi Parco nazionale del Golfo di Orosei e del Gennargentu Parco dei Tacchi d'Ogliastra Parco naturale Bruncu Santoru a Perdasdefogu Cascate Cascate di Lequarci a Ulassai sono considerate le cascate più imponenti della Sardegna, e tra le più imponenti d'Italia. Cascate di Lecorci a Ulassai Cascate di Middai a Seui Cascate di Pirincanes ad Arzana Cascate di Sothai a Villagrande Strisaili Cascate di Luesu a Perdasdefogu Cascate di Is caccausu a Ussassai Cascate di Su cunnu e s'ebba a Urzulei Infrastrutture e trasporti Strade Questa zona della Sardegna ha sofferto a lungo di un isolamento causato dalla carenza infrastrutturale: sino agli anni ottanta dell'Ottocento questa zona non era raggiunta né dalle strade né dalle linee ferrate. Tale situazione nei primi decenni del XXI secolo è invece superata dalla presenza di un discreto numero di strade statali che garantiscono i collegamenti con i principali centri della regione di Cagliari e Olbia. Di grande importanza, tale da rompere il millenario isolamento dell'Ogliastra, è la non ancora completata Nuova SS125 Cagliari-Tortolì. Le strade statali che attraversano l'ex territorio della provincia sono: Orientale Sarda: Cagliari – Tortolì – Lotzorai – Olbia (SS) - Arzachena (SS) - Palau (SS). Orientale Sarda: Tortolì – Arbatax. di Seui e Lanusei: Serri (CA) - Nurri (CA) - Seui – Ussassai – Lanusei – Tortolì. Strada statale 389 di Buddusò e del Correboi Strada statale 389 SSV Nuoro-Lanusei di Bari Sardo: Lanusei – Loceri – Bari Sardo. Porti Ad Arbatax è presente un porto, da cui salpano navi dirette a Genova e a Civitavecchia. Aeroporti A Tortolì è presente uno scalo aeroportuale di 3º livello che non era più attivo al momento della dismissione della provincia e che nel 2022 è stato riattivato all'aviazione generale, con voli per aerei con un massimo di 12 posti. Ferrovie La provincia negli anni di attività non era interessata dal passaggio di nessuna linea ferroviaria attiva per il servizio viaggiatori o merci, caso unico in Sardegna e nell'intera Italia (ma va ricordato che, fino al 2001, il territorio di questa provincia era parte della provincia di Nuoro); le stazioni più vicine erano quelle di Nuoro e di Isili, entrambe gestite dall'ARST. L'Ogliastra è però attraversata dalla linea Mandas-Arbatax, chiusa al traffico passeggeri nel 1997 e da allora utilizzata esclusivamente come linea turistica del Trenino Verde dall'ARST: si tratta di un servizio turistico, effettuato anche con treni d'epoca e attivo soprattutto nei mesi estivi, che conduce i turisti attraverso le zone più incontaminate dell'entroterra sardo. Questa linea, realizzata tra il 1893 e il 1894, con i suoi 159 km è la più lunga ferrovia turistica d'Italia. Le premesse storiche all'istituzione della nuova provincia L'origine della Provincia risale al regio editto del 4 maggio 1807 con il quale la Sardegna è stata divisa in quindici prefetture tra cui quella comprendente la regione storico-geografica dell'Ogliastra con sede a Tortolì. Nel 1821, Carlo Alberto riduce il numero delle province a dieci e sposta il capoluogo di quella di Ogliastra a Lanusei, che con Editto del 27 giugno 1837 diviene anche sede di uno dei sette Tribunali di Prefettura dell'isola. La Provincia di Lanusei, già soggetta alla vice-intendenza di Cagliari, viene confermata anche con la riforma operata dopo la "fusione perfetta" della Sardegna al Piemonte, con la legge n. 807 del 12 agosto 1848 in base alla quale (unitamente alle province di Nuoro, Oristano e Cuglieri) rientra nella neoistituita "divisione" di Nuoro. Con l'unità d'Italia e la legge Rattazzi n.3702 del 23 ottobre 1859 la Sardegna viene suddivisa in sole due province e il circondario di Lanusei (sede di sottoprefettura) compreso nella provincia di Cagliari. Nel 1927 sono stati soppressi i circondari e le sottoprefetture e contestualmente istituita la Provincia di Nuoro, in cui l'Ogliastra è stata inclusa. Lanusei è rimasta nel corso degli anni sede di Tribunale ed altri uffici pubblici statali e regionali (ASL, Comitato Regionale di Controllo). Istituzione delle province sarde del 2001 e successive modifiche In seguito alla legge regionale n. 9 del 2001 e successive integrazioni fu effettuata una nuova ripartizione del territorio della Regione Autonoma della Sardegna, che portò il numero delle province da quattro a otto. Le modifiche hanno assunto piena operatività a partire dal maggio 2005, quando si sono svolte le elezioni per rinnovare tutti i consigli provinciali. La provincia dell'Ogliastra fu composta da ventitré comuni provenienti dalla Provincia di Nuoro. In attesa della formalizzazione della scelta del capoluogo, la Giunta provinciale e gli uffici avevano sede a Lanusei, mentre il Consiglio provinciale aveva sede a Tortolì. Dopo una lunga serie di dibattiti tra i sostenitori della conferma del modello del doppio capoluogo (con disponibilità a garantire la sede legale a Tortolì con atto deliberativo o nel preambolo dello Statuto ma non riportata al suo interno al fine di garantire la parità istituzionale tra i due centri) e i sostenitori (in testa il Comune di Tortolì) del capoluogo unico a Tortolì (o in seconda istanza della sede legale garantita dalla modifica dell'articolo 2 dello Statuto), sfociati nel tentativo di approvazione del 16 maggio 2006 e nell'occupazione dell'aula provinciale di Tortolì, era stata successivamente attivata la raccolta di firme per la richiesta di un referendum sul capoluogo unico. Il 14 giugno 2006, a seguito di un accordo, il Consiglio provinciale ha approvato all'unanimità (e quindi con la maggioranza qualificata superiore ai 2/3 prevista dalla legge istitutiva) lo statuto dell'ente, che al titolo 1 attribuisce la qualifica di capoluogo ai comuni di Lanusei (sede della Giunta provinciale, sede del presidente) e di Tortolì (sede legale, sede del Consiglio provinciale, sede del presidente) e ferma restando la distribuzione degli uffici già presenti nei due comuni e la ripartizione degli uffici di nuova istituzione. Il Dipartimento funzione pubblica della Presidenza del consiglio dei ministri e il Ministero dell'economia, con circolare prot. 2006/189860 del dicembre 2006, comunicò di aver definito la sigla di identificazione della Provincia in OG (sigla di Ogliastra), anche ai fini dell'immatricolazione automobilistica, confermando la sigla provvisoria già precedentemente assunta in diversi documenti e tabelle ufficiali emessi dallo Stato (Ministero degli interni, agenzia delle dogane, CIPE etc.). Questo codice non era stato fatto rientrare nel DPR n.133/2006 del 15 febbraio 2006 con cui erano state definite le sigle per le nuove province di Monza e Brianza, Fermo e Barletta-Andria-Trani mentre la sigla postale OG era invece stata recepita nell'ambito della revisione generale dei CAP operativa dal 20 settembre 2006, pur mantenendo provvisoriamente invariati i codici postali sia dei capoluoghi che del territorio della nuova provincia. Coi referendum del 2012 la maggioranza dei votanti ha sostenuto la soppressione, per effetto di quattro referendum abrogativi, delle quattro province istituite nel 2001 (tra cui quella ogliastrina), oltre all'abolizione (con referendum consultivo) delle altre quattro province preesistenti. In seguito al progetto di riforma delle province in Sardegna approvato dal Consiglio regionale il 24 maggio 2012, aveva avvio l'iter di dismissione dell'ente, che con la legge regionale 15 del 28 giugno 2013 veniva commissariato a partire dal 1º luglio 2013. Con l'approvazione della legge regionale 2 del 4 febbraio 2016 veniva ufficialmente stabilita la fine della provincia, concretizzatasi il 20 aprile successivo col ritorno del territorio amministrato dall'ente alla provincia di Nuoro, ad eccezione del comune di Seui, che diviene a far parte della provincia del Sud Sardegna. Nel 2021, con legge regionale 12 aprile, n° 7 si è proceduti nuovamente al riassetto delle province; la provincia dell'Ogliastra è così stata ripristinata assieme a quella del Medio Campidano, creando anche due nuove province (Nord-Est Sardegna e Sulcis Iglesiente) ma sopprimendone una (Sud Sardegna) e riportando di conseguenza ad otto il totale delle province, sostanzialmente le stesse di prima del 2016. L'11 giugno successivo (circa) il provvedimento è stato però impugnato dal governo nazionale e la sorte delle nuove province, a distanza di pochi mesi, risulta perciò incerta. La nuova norma regionale è stata impugnata dal governo nazionale e, perciò, sarà la Consulta a pronunciarsi sulla sua legittimità costituzionale. Industrie Gli insediamenti industriali in Ogliastra sono presenti nel territorio di Tortolì che dal 1962 ospita l'area industriale di Baccasara, nata come supporto logistico della cartiera di Arbatax. Il Consorzio di Industrializzazione di Tortolì-Arbatax provvide alle infrastrutture, tra cui la costruzione di un , la sottostazione di Baccasara dell'energia elettrica, il depuratore consortile delle acque reflue ed il sistema di adduzione delle acque industriali. Nel 1992, alla cessazione della produzione dell'industria cartaria è stato avviato un processo di riconversione industriale. Il cantiere dell'Intermare Sarda nel porto di Arbatax è stato trasformato in stabilimento di produzione della Saipem (produzione cantieristica per l'industria petrolifera). Di supporto alla Saipem ci sono le cosiddette "industrie separate" che ricevono commesse internazionali legate al settore delle raffinerie di petrolio, la più importante di queste è la Saldimpianti s.r.l. L'agglomerato industriale di Tortolì è stato suddiviso in lotti per nuovi insiedamenti, privilegiando le piccole e medie imprese e l'artigianato del territorio. A Ulassai è inoltre presente un parco eolico gestito dalla Sardaeolica, con una produzione di circa 61 aerogeneratori pari a 300  MW grazie ad un aumento di 13 aerogeneratori,di questi 5 si sono sommati ai 48 iniziali a Ulassai e 8 nuovi nel paese di Perdasdefogu. A Perdasdefogu è presente inoltre il Poligono sperimentale e di addestramento interforze, con attività missilistiche e spaziali, alle quali sono di supporto i comparti delle industrie Vitrociset. Dal 2021 sempre all'interno dell'area industriale del poligono è attiva l'industria di alta tecnologia dello Space Propulsion Test Facility di Perdasdefogu. Turismo Il turismo in Ogliastra è variegato, esiste il turismo del mare, presente nei comuni costieri da Baunei a Tertenia, e un turismo montano che riguarda in particolare, realtà rinomate come Ulassai, per via del gran numero di vie d'arrampicata, delle imponenti grotte e cascate, e dell'arte di Maria Lai espressa grazie a un circuito museale diffuso. A Ussassai e Villagrande Strisaili è presente un turismo legato alle diverse piscine naturali che attrae ogni anno centinaia di visitatori. Dal 2021 il comune di Lanusei ospita annualmente a settembre una tappa del Festival del turismo responsabile IT.A.CÀ.. Agricoltura e pastorizia In Ogliastra è molto radicata la tradizione dell'allevamento degli ovini e nelle zone montane dei bovini. Solitamente l'allevamento rispetta la tradizionale pratica del pascolo brado. Negli ultimi anni diversi giovani hanno ripreso a occuparsi di agricoltura. Sono attivi diversi progetti agroforestazione e di agricoltura organica rigenerativa. Società La società ogliastrina è pressoché agropastorale, sia nei paesi di montagna che in quelli del mare, ad eccezione di Tortoli che conserva meglio la tradizione della pesca. Il territorio ha subito un isolamento plurisecolare, essendo sino alla fine dell'Ottocento privo di strade e collegamenti ferroviari, da un lato ha conservato degli aspetti positivi che vanno ricercati nella creatività manuale femminile del telaio, delle forme del pane "pintau", dall'altra in senso negativo poiché il sistema pastorale imponeva all'uomo di trascorrere molto tempo della sua vita a badare al bestiame, spesso divenendo vittima o fautore di furti, grassazioni, bardane, poi bandito, e conservando un primato del quale la zona è tristemente conosciuta, ancora oggi infatti a questa logica in numerosi centri della provincia si registrano gravi atti di violenza efferata, come omicidi, assalti ai portavalori, attentati di vario genere e sequestri di persona. Da questo ambiente fortemente turbolento la cultura ha restituito grandi nomi dell'arte, della politica, della magistratura quali Maria Lai, Stanis Dessy, Francesco Cannas, Anselmo Contu ecc., . Longevità in Ogliastra L'Ogliastra appartiene alle cosiddette Zona blu della longevità Internazionale, assieme a Okinawa in Giappone, Ikaria in Grecia e Nicoya in Costa Rica. Essendo una delle aree più contigue al Gennargentu, i centri abitati godono di aria pulita e di alimentazione sana e frugale. La società di tipo agropastorale inoltre vede l'anziano come un saggio e non come un peso, da sempre in tutta la zona; nella zona dell'Ogliastra della Blue Zone si riscontra un'elevatissima densità di ultranovantenni e ultracentenari, che nell'ambito maschile è la più elevata del globo. Questo fenomeno ha dato luogo a vari studi sulla provenienza degli ogliastrini, rilevando nel loro DNA collettivo delle forti relazioni con quello degli antichi nuragici. Villagrande Strisaili (con la frazione di Villanova) detiene il Primato Mondiale di longevità maschile: dal dopoguerra al 2011, si sono registrati 32 ultracentenari, a cui si sono aggiunti altri 4 ultracentenari nel 2012 e nel 2013. Celebre fu il caso di Damiana Sette, morta a 107 anni. La longevità ogliastrina viene accennatata dall'Angius Casalis già nell'Ottocento. A Arzana la coppia composta da Raffaela Monni, che aveva compiuto 109 anni, con il marito Angelo Stochino (fratello di Samuele Stochino) anche lui morto a 100 anni, sono tra le coppie inserite nel Guinness dei primati. A Perdasdefogu invece ha avuto due Guinness dei primati: il primo riguarda la famiglia più longeva del mondo, nella quale sino al 6 giugno del 2015 era presente la capostipite Consola Melis di 107 anni, il secondo nel 2022 riguarda tutto il paese, diventato il Paese più longevo del Mondo con 8 centenari su 1700 abitanti. Oltre ai centri già citati, vanno ricordati a pieno titolo per la longevità anche i comuni di Baunei, Urzulei, Ulassai, Talana, Triei. Gastronomia L'Ogliastra è conosciuta maggiormente per i culurgiones, tale tradizione poi è stata adottata in buona parte dell'isola, oltre a questi ultimi sono tipici i gattulis di Villagrande Strisaili, su pistocu, la Paniscedda, le seadas, la cocoi prena, la cocoi de corcoriga detta anche "Angule", su casu agedu, su Cagliu o Cagiu, su casu martzu. Il vino ogliastrino è soprattutto il Cannonau, ed è famosa in tutto il mondo per le produzioni del Cannonau di Sardegna Jerzu. Poiché la zona vanta il più grande numero di capre di tutta l'isola, circa (50000 capi), conserva ancora una produzione di formaggio caprino molto pregiata, dalla quale se ne ricavano delle peculiatità quali su Casu Agedu e su Casu marsu. Sino agli anni quaranta del Novecento, nei centri montani dell'Ogliastra era uso realizzare il cosiddetto "pane ispeli" o "pane e landi" ovvero il pane di ghiande. Launeddas in Ogliastra In Ogliastra le launeddas si chiamano propriamente "Bisonas" o "Pisonas", dell'areale intero non si conosce uno stile e un repertorio autoctono rispetto alle ritmiche del vicino Sarrabus, ma si ha notizia di suonatori nati e vissuti in questa regione e attivi musicalmente quasi da sempre, l'unica scuola considerata di interesse significativo è legata alla figura di Raffaele Loi di Triei, amico corale del suonatore villaputzese Antonio Lara, anche lui di origini ogliastrine, che trasferì al nipote Dante Tangianu e quest'ultimo al figlio Roberto, Roberto assai conosciuto oltre che per la sua abililità di suonatore, anche per la professione di giornalista e uomo di spettacolo. I suonatori contemporanei vanno ricercati tra i comuni di Loceri, Jerzu e Tertenia. L'usanza dello strumento a differenza di tutti gli altri areali sardi, è conosciuto per tutte le processioni religiose e per i balli popolari in tutta l'Ogliastra, ma per buona parte dei casi i suonatori provenivano soprattutto dal Sarrabus. Canto a tenore La pratica del canto a tenore in Ogliastra si chiama "A Ponne Passu", la si può individuare esclusivamente nei paesi del versante nord, quindi presso Urzulei, Baunei, Talana, Villagrande Strisaili, Lanusei, ognuno dei quali conserva un suo specifico stile, comunemente detto "Tragiu". Istituzioni religiose Diocesi di Lanusei Banditismo ogliastrino l'Ogliastra per via dell'isolamento prurisecolare è forse stata la Barbagia più cruenta di tutte, la piaga del banditismo ha avuto sfogo sin dall'Ottocento in particolare nei paesi della montagna, ancora oggi si menzionano figure del territorio di rilevanza non solo zonale ma nazionale. Criminali famosi legati al banditismo vissuti nel Novecento: Pasquale Stochino nativo di Arzana (superlatitante dal 1972 al 2013) Pietro Piras nativo di Arzana Attilio Cubeddu nativo di Arzana;(superlatitante dal 1998) Raffaele Arzu nativo di Talana;(superlatitante dal 2002 al 2007) Samuele Stochino nativo di Arzana. Ucciso nella latitanza. Raimondo Pirarba nativo di Arzana, ucciso in uno scontro a fuoco con i carabinieri nella latitanza. Marcello Ladu nativo di Villagrande Strisaili, (superlatitante dal 1999 al 2001) Criminali non legati al banditismo vissuti nel Novecento Maria Ausilia Piroddi nativa di Lanusei Criminali famosi legati al banditismo vissuti nell'Ottocento: Francesco Usai, (Meurra), nativo di Ulassai, bandito dal 1882 al 1883. Fu accusato della grassazione a Montenarba. Antonio Cannas, (Tripanti), nativo di Ulassai, ucciso nella latitanza nel 1827, fu accusato di 11 omicidi. Fratelli Puddu (Billeddu) (Liberato, Giovanni, Valentino, Antonio) nativi di Ulassai, condannati a morte per impiccagione per aver assassinato 5 persone e svariati furti, nella piazza Barigau nel medesimo paese nel 1828. Sequestri Sequestro di Silvia Melis In Ogliastra sono accadute le stragi più cruente della storia sarda, di queste vengono menzionate: Strage di Lanusei 1971 Strage di Jerzu 1896 Strage di Jerzu 1925 Strage di Ilbono1894 Strage di Monte Maore Villagrande Strisaili 1949 Strage di Urzulei 1961 Carnevale ogliastrino Nell'Ogliastra settentrionale il carnevale viene definito su Maimone, mentre nei due centri interni dell'Ogliastra centrale, cioè della Valle del Pardu, (Ulassai, Gairo) il carnevale viene denominato Su Maimulu. Le maschere tipiche, però al giorno d'oggi si trovano solo ad Ulassai. La maschera principale ha lo stesso nome della manifestazione cioè su Maimulu, costituita da una grossa pelle e diversi campanacci sulla schiena è seguita dalle altre maschere quali: sa Ingrastula, sa Martinicca, il fantoccio "su Martisberri", s'ursu e un numeroso gruppo di Assogadoris. Termina il giorno di martedì grasso "Martisberri" con la condanna del fantoccio e la sua aspersione nel grande fuoco "Da studi di Damiano Rossi". Nel paese di Seui il giorno dei fuochi in onore di Sant'Antonio, esce la maschera tipica de sa "Mamulada", tale maschera è costituita da un abbigliamento particolare, mastrucche e pelli di montone, con numerosi campanacci nella schiena, scorrazza per le vie del paese suonando con una particolare conchiglia, accompagnata da un numeroso gruppo di maschere della stessa foggia, il carnevale seuese termina il martedì Grasso "Martis de erri". Anche nel paese di Ussassai nel periodo di carnevale "Santu Musconi" escono a questuare per le vie del paese diversi giovani mascherati, con sé portano un asinello dove depositare i doni ricevuti. Le stesse dinamiche carnevalesche erano in voga anticamente anche nei paesi di Gairo e Tertenia, ora però da diverso tempo non sono state più praticate. Gli altri carnevali ogliastrini non conservano le maschere antiche ma altrettanto conservano un grande spirito carnevalesco. I carnevali maggiori con carri allegorici di tipo moderno sono presenti a Tortolì, Lanusei, Cardedu, Barisardo e Jerzu. Arte in Ogliastra Ulassai e Tortolì riguardano sostanzialmente il percorso dell'Arte Contemporanea, mentre Tertenia riguarda in particolare la figura straordinaria di Albino Manca. Tortolì si affaccia all'arte contemporanea intorno agli inizi degli anni 1990-91, attraverso il museo diffuso Museo Su logu de s'iscultura disseminato nel territorio, il quale comprende opere di artisti di fama internazionale quali Maria Lai, Hidetoshi Nagasawa, Mauro Staccioli, Massimo Kaufman, e diversi altri. Alcune opere sono tuttavia state rovinate dai vandali e altre completamente distrutte. A Ulassai a partire dall'evento di Legarsi alla montagna realizzato da quasi tutti gli abitanti del paese si è dato vita al Museo all'aperto Maria Lai, un percorso di opere sparse nel territorio ulassese da parte dell'artista e anche di altri artisti. A Ulassai si è aggiunto anche il Museo di Arte Contemporanea la Fondazione Stazione dell'arte, in onore a Maria Lai, il museo sin dagli esordi propone convegni e mostre d'arte di alto livello. A Ulassai si celebra ogni anno l'ormai noto "Festival dei Tacchi" nel quale si esibiscono personaggi noti del mondo del teatro nazionale. A Tertenia è presente il "Museo Civico Albino Manca" che contiene una vasta collezione delle opere dell'artista. Musei e collezioni pubbliche Museo del Mare Torre di San Miguel Tortolì Arbatax Centro Museale ex Blocchiera Falchi, Tortolì Museo Su logu de s'iscultura Tortolì Stazione dell'arte Ulassai Museo Arte Contemporanea Museo all'aperto Maria Lai Ulassai Collezione fotografica Virgilio Lai a Ulassai Museo Albino Manca Tertenia Museo Diocesano Lanusei Museo Civico Franco Ferrai Lanusei Percorso Museale Sehuense Seui Museo sa Domu e s'Olia Loceri Museo Storico Etnografico Baunei Osservatorio astronomico Ferdinando Caliumi a Gairo Museo andalas de memoria a Urzulei Monumenti e edifici storici Cattedrale di Santa Maria Maddalena Lanusei Palazzo Piroddi Lanusei Lavatoio Comunale di Ulassai Palazzo Comunale (Ulassai) Beata Vergine del Monserrato Bari Sardo Chiesa di Sant'Andrea Apostolo (Tortolì) Episcopio Palazzo dei Conti Quigini-Puliga Tortolì Chiesa San Antonio Abate XII sec Tortolì Archeologia in Ogliastra Del periodo nuragico si sono individuate alcune etnie guerresche e autoctone delle montagne dell'Ogliastra, gli Iliensi, suddivisi sostanzialmente in quattro tribù: Cunusitani, avevano i loro territori da Fonni in giù, verso Talana e Villagrande Strisaili. Sossinati, da Dorgali in giù verso Baunei, Urzulei, sino alle campagne di Tortolì. Celsitani, avevano i loro territori dal Gennargentu di Arzana in giù, sino a tutto l'attuale territorio di Osini, Gairo e nei Tacchi settentrionali di Ulassai. Gallilensi, da Esterzili, i tacchi meridionali di Ulassai e tutto il territorio di Jerzu. Il territorio che era sotto l'amministrazione dell'ente è assai popolato di siti archeologici di rilievo, in parte tutelati da cooperative archeologiche, altri ancora da valorizzare. Sono presenti sul territorio nuraghi, pozzi sacri, templi Mégaron, tombe dei giganti, domus de janas, dolmen, menhir e sparsi presso questi, diversi villaggi di capanne nuragiche. Oltre al periodo nuragico sono di particolare rilievo i resti dei castelli e delle torri d'avvistamento delle varie dominazioni successive del periodo medievale e dei vari Giudicati sardi. Nuraghi principali e complessi nuragici Complesso di S'Arcu 'e Is Forros a Villagrande Strisaili Nuraghe Serbissi a Osini Nuraghe s'Ulimu a Ulassai Nuraghe Pranu a Ulassai Nuraghe S'Ortali 'e su Monti a Tortolì Nuraghe Ardasai a Seui Nuraghe Bau e Tanca a Talana Nuraghe Bau Nuragi a Triei Nuraghe Coa e serra a Baunei Nuraghe Gessitu a Jerzu Nuraghe Orruinas ad Arzana Nuraghe Scerì a Ilbono Nuraghe Selene a Lanusei Nuraghe Ulleri a Tertenia Nuraghe Corru Trabutzu a Villagrande Strisaili Villaggio nuragico Or Murales a Urzulei Pozzi sacri Tempio a pozzo Su Presoni a Cardedu Pozzo sacro Sa Brecca a Tertenia Pozzo sacro Is Cramoris a Perdasdefogu Domus de janas Necropoli di Tracucu a Lotzorai Domus de janas Sa Crabiola a Ulassai Domus de janas Monte Arista a Cardedu Domus de janas Su Rettore a Bari Sardo Dolmen Dolmen di Mogola e Seroni a Ulassai Tombe dei giganti Tomba dei giganti di Osono a Triei Tomba dei giganti Sa Carcaredda a Villagrande Strisaili Tomba dei giganti Truculu a Ulassai-Osini Tomba dei giganti Selene a Lanusei Tomba dei giganti Genna e Pauli a Ulassai Tomba dei giganti Is Iligir ladas a Ulassai Tomba dei giganti S’ Arena a Urzulei Tempio megaron Tempio Megaron S'Arcu e is Forros a Villagrande Strisaili Menhir Menhir di Cea a Tortolì Età giudicale Castello di Medusa a Lotzorai Torre di San Miguel a Tortolì Torre di San Giovanni a Tertenia Torre del periodo aragonese di Bari Sardo Evoluzione demografica Amministrazione Elenco dei presidenti Comuni La provincia dell'Ogliastra comprendeva 23 comuni, dei quali due, Lanusei e Tortolì, aventi il titolo di Città (Italia). Tutti provenienti dalla provincia nuorese, vi tornarono tutti (eccetto il comune di Seui) alla soppressione della provincia. Note Voci correlate Arbatax Istituzione di nuove province in Sardegna Provincia di Nuoro Altri progetti Collegamenti esterni Carta storica e tabella dell'inizio dell'Ottocento con i confini delle 15 prefetture sarde presso l'Archivio di Stato di Torino (Rif. Inv. Sardegna 26 C I Rosso) Altra carta storica con le 15 province sarde nei primi dell'Ottocento presso l'Archivio di Stato di Torino (Rif. Inv. Sardegna 20 C I Rosso) Ogliastra
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https://it.wikipedia.org/wiki/Provincia%20di%20Carbonia-Iglesias
Provincia di Carbonia-Iglesias
La provincia di Carbonia-Iglesias (provìncia de Carbònia-Igrèsias o provìntzia de Carbònia-Igrèsias in sardo; pruvincia de Carbònia-Igréxi in tabarchino) è stata una provincia italiana della Sardegna, avente come capoluoghi le città di Carbonia e Iglesias. Istituita nel 2001 e attiva tra il 2005 e il 2016, comprendeva 23 comuni dei territori del Sulcis e dell'Iglesiente, comprese le isole di Sant'Antioco e San Pietro (oltre ad altre minori), poi passati alla provincia del Sud Sardegna sino all'istituzione di una nuova provincia del Sulcis Iglesiente nel 2021. Fu una delle 6 province italiane con capoluogo condiviso tra 2 o più città. Geografia fisica Territorio La provincia era situata nell'estrema parte sud-occidentale della Sardegna, comprendendo buona parte del territorio del Sulcis-Iglesiente. Territorialmente si estendeva per 1.494 km² (il 6,2% del territorio sardo), ed era la meno estesa delle province sarde sue contemporanee. La parte settentrionale del territorio provinciale, confinante all'epoca con la provincia del Medio Campidano a nord e con quella di Cagliari a est, era costituita dalla subregione dell'Iglesiente, mentre a sud della valle del Cixerri era presente quella del Sulcis, confinante a sud e a est con la provincia di Cagliari. A ovest il confine naturale della provincia era dato dal litorale che va dalle coste di Fluminimaggiore e Buggerru sino alla parte nord del arenile di Porto Pino, compresa nel comune di Sant'Anna Arresi: per tutta la sua estensione questa parte di costa, bagnata dal mare di Sardegna, alterna spiagge e calette a costoni rocciosi, in buona parte di origine vulcanica. Il territorio provinciale comprendeva anche alcune isole minori della Sardegna, di cui due popolate: l'isola di San Pietro e l'isola di Sant'Antioco (legata al territorio da un istmo artificiale e quarta per estensione in Italia). Una terza isola, l'isola Piana, è invece una proprietà privata e ospita un residence turistico. Queste isole e altre minori (prive di insediamenti umani) formano l'arcipelago del Sulcis. Orografia Dal punto di vista altimetrico il territorio provinciale comprendeva due principali aree montuose: la prima è il massiccio del monte Linas i cui rilievi più elevati all'interno del territorio dell'ente raggiungono quota 1000 m s.l.m., arrivando sino a quota 1094 m sulla cima del monte Lisone. Nell'area sud-orientale della provincia era ricompresa invece la catena dei monti del Sulcis: tra queste vette è da citare il monte Is Caravius, che coi suoi 1.116 metri di altitudine costituiva la cima più alta della provincia. Tra i due sistemi montuosi si presenta una vasta pianura attraversata dal rio Cixerri e da altri corsi d'acqua minori. Idrografia Vari sono i corsi d'acqua che scorrono nel territorio, sebbene di modesta entità: tra di essi il principale è il Cixerri, che nasce nei monti tra Iglesias e Carbonia per poi proseguire verso est e andare a sfociare, dopo 40 km, nello stagno di Cagliari. Gli altri corsi d'acqua sono a carattere per lo più torrentizio e di lunghezza modesta: tra questi da citare il rio Palmas, le cui acque alimentano nei pressi di Tratalias il lago di Monte Pranu, il maggiore degli invasi, tutti artificiali, che erano compresi nel territorio provinciale. Un altro bacino di questo tipo si trova a nord di Iglesias: si tratta del lago Corsi (o di punta Gennarta), inoltre anche una parte del lago di Bau Pressiu, sino al 2016 situato al confine con la provincia di Cagliari, ricadeva nel territorio della provincia, nel comune di Nuxis. Tra San Giovanni Suergiu e Sant'Antioco si trova inoltre lo stagno di Santa Caterina, a est dell'istmo che collega l'isola di Sant'Antioco con la Sardegna. Altri specchi d'acqua di questo tipo sono lo stagno di Porto Botte, lo stagno di Porto Pino, lo stagno della Vivagna e le saline di Carloforte. Clima Nel territorio della ex provincia il clima è di tipo mediterraneo, con estati calde e aride e inverni piovosi, che si fa più fresco nelle zone montuose, dove non mancano le precipitazioni nevose durante il periodo invernale. Dal punto di vista dei venti la zona è esposta in particolar modo al maestrale. Storia Storia amministrativa Le prime origini di una moderna suddivisione amministrativa intermedia del sud-ovest sardo risalgono al regio editto del 4 maggio 1807, con il quale la Sardegna era stata divisa in quindici prefetture, tra cui quella di Iglesias, comprendente la sub-regione storico-geografica del Sulcis-Iglesiente. Nel 1807 con tale regio editto furono istituite le regie prefetture e il territorio del Sardegna venne suddiviso in 15 province, otto nel Capo di Cagliari (tra cui quella di Iglesias) e sette in quello di Sassari. Nel 1821 Carlo Alberto ridusse il numero delle province a dieci e la provincia di Iglesias comprendeva anche il territorio della soppressa prefettura di Villacidro ma restava soggetta al Tribunale di Prefettura di Cagliari. Profonde trasformazioni così furono sancite dal regio editto del 19 luglio 1825, sulla base del quale, furono portate a 10 le circoscrizioni prefettizie. Nel 1838, con regio editto del 27 luglio, furono disciplinate definitivamente le Regie Prefetture con l'istituzione di 6 tribunali da cui dipendevano 85 mandamenti presieduti da giudici ordinari. Dal Tribunale di prefettura di Cagliari dipendevano 21 mandamenti, tra cui quelli di Iglesias, Carloforte, Sant'Antioco e Villamassargia. La provincia di Iglesias, già soggetta alla vice-intendenza di Cagliari, venne confermata anche con la riforma operata dopo la "fusione perfetta" della Sardegna al Piemonte, con la Legge n. 807 del 12 agosto 1848 in base alla quale (unitamente alle province di Cagliari, Isili e Lanusei) rientrava nella "divisione" di Cagliari. In questo modo, durante il Regno di Sardegna, con D.L. 12 agosto 1848 n. 245, la Sardegna fu ripartita in 3 divisioni (Cagliari, Nuoro e Sassari) guidate da un governatore; in 11 province (tra cui Iglesias) guidate da un vice-governatore; in 84 mandamenti (sedi di pretura e di collegi elettorali) e 363 comuni. Sempre durante il regno sardo-piemontese e con l'unità d'Italia, tramite il successivo R.D. 23 ottobre 1859 n. 3702, il cosiddetto decreto Rattazzi o legge Rattazzi, la Sardegna fu suddivisa in due province (Cagliari e Sassari), che divennero sede prima di governatorato e poi di prefettura; in 9 circondari (tra cui quello Iglesiente), che furono sede prima di vice-governatorato e poi di sotto-prefettura; in 91 mandamenti e 371 comuni. Ogni provincia era guidata da un governatore (poi rinominato con il regio decreto n. 250 del 1860, prefetto), nominato dal re, coadiuvato da un vice-governatore, diretti dipendenti del ministro dell'Interno, con un consiglio provinciale eletto dal governo, che fungeva da giudice amministrativo. In questo periodo il circondario di Iglesias (sede di sottoprefettura), compreso nella provincia di Cagliari, si mantenne fino al 1927 quando furono eliminati tutti i circondari in Italia (così stabilì il regio decreto n. 1 del 2 gennaio 1927). Nel 2001, la Regione Autonoma della Sardegna istituì la provincia di Carbonia-Iglesias che è divenuta operativa nel maggio del 2005 staccandosi da quella di Cagliari. Primo presidente eletto il carboniense Pierfranco Gaviano, a cui succederà cinque anni più tardi il concittadino Salvatore Cherchi. Coi referendum del 2012 la maggioranza dei votanti ha sostenuto la soppressione, per effetto di quattro referendum abrogativi, delle quattro province istituite nel 2001 (tra cui quella di Carbonia-Iglesias), oltre all'abolizione (con referendum consultivo) delle altre quattro province preesistenti. In seguito al progetto di abolizione o riforma delle province in Sardegna approvato dal Consiglio Regionale il 24 maggio 2012, aveva avvio l'iter di dismissione dell'ente, che con la legge regionale 15 del 28 giugno 2013 veniva commissariato a partire dal 1º luglio 2013. Con l'approvazione della legge regionale 2 del 4 febbraio 2016 veniva ufficialmente stabilita la fine dell'ente, concretizzatasi il 20 aprile successivo col passaggio del territorio amministrato dall'ente alla provincia del Sud Sardegna. Simboli Lo stemma e il gonfalone della Provincia furono approvati dal consiglio provinciale il 30 settembre 2011. Lo stemma è suddiviso in due campi: quello sinistro rappresenta una statua della dea madre, tra i più antichi reperti rinvenuti nel territorio (nello specifico a Santadi) e risalente al neolitico. La forma stilizzata della grande madre si collega alle antiche civiltà della Sardegna sud-occidentale, e rappresenta le prime attività produttive dell'uomo in quel territorio e le sue risorse anche del sottosuolo, ma, nello stesso tempo, simboleggia il ruolo della donna nella società moderna. La statua è rappresentata sullo stemma in color oro su sfondo blu, che si ricollega a sa mantiglia, il fazzoletto copricapo femminile, indossato, con il costume tradizionale, dalle donne del Sulcis-Iglesiente. Sul campo destro invece sono presenti i quattro mori, richiamo alla bandiera sarda, simbolo di autonomia e indicante anche sardità, sentimento di orgogliosa appartenenza alla Sardegna e alla cultura sarda. Il gonfalone provinciale presentava lo stemma su campo rosso bordato d'oro e la scritta "Sulcis Iglesiente" in alto, sempre con caratteri dorati. Sino al momento dell'adozione dello stemma, come simbolo dell'ente veniva utilizzata la sola corona per il titolo di provincia. Monumenti e luoghi d'interesse Aree naturali La provincia, oltre che possedere le coste rocciose sulla fascia occidentale, era dotata anche di un entroterra di grande interesse paesaggistico. Queste aree interne della provincia sono infatti rimaste intatte per la loro fauna e flora ricca e rigogliosa. L'ambiente dunque incontaminato e selvaggio ha dato la riconoscenza di alcune aree di "zona tutelata". Nel territorio provinciale ricadeva infatti parte del Parco del Sulcis, in parte proprietà dell'Ente foreste della Sardegna, che occupa grandi aree di aspro paesaggio quasi del tutto spopolate. Altre sono poi le aree di rilevante interesse turistico ed escursionistico, e con un'alta qualità naturalistica e paesaggistica, ma non riconosciute come aree protette: Monte Linas, un vasto sistema montuoso nel confine nord-orientale della provincia che tocca la sua massima altezza con la punta Perda de sa Mesa (1236 m) (situata però all'epoca in cui la provincia fu attiva però nel territorio della provincia del Medio Campidano), la vetta più alta della Sardegna meridionale. Il turismo della zona comprende soprattutto escursioni naturalistiche e soste in agriturismo. Monte Is Caravius, che tocca un'altezza di circa 1116 m, è una cima di rilevanza ed era posta a ridosso del vecchio confine con la provincia di Cagliari. Nascono sulle sue cime vari corsi d'acqua a carattere torrentizio della provincia e dell'intera Sardegna meridionale. Società Evoluzione demografica La tabella seguente riporta l'evoluzione del numero dei residenti nella provincia dal 2005, anno di attivazione dell'ente, fino al 2012: Qualità della vita Dal 2009 l'annuale indagine de Il Sole 24 Ore sulla qualità della vita nelle province italiane ha interessato anche la Provincia di Carbonia-Iglesias: Nei primi due anni si è classificata al 76º posto, scivolando al 90º nel 2011 e risalendo all'85º nel 2012 Economia Le risorse minerarie La Sardegna presenta uno dei più ricchi sottosuoli per estrazioni minerarie d'Italia. Fin dall'Ottocento è stata predominante l'estrazione del carbone. La stessa città di Carbonia, come suggerisce il toponimo, nasce come centro di alloggi per i minatori. Tra le più grandi miniere vi era quella di Serbariu, una delle principali per importanza di estrazione, ed è simbolo del popolamento della città di Carbonia. In pochi decenni miniere e centri di lavorazione sorsero quasi ovunque e la provincia divenne un polo minerario e per l'industria pesante. Il sito di Serbariu, insieme ad altre miniere, fu chiuso ufficialmente nel 1971 e gli impianti andarono incontro a un rapido deterioramento e furono oggetto di spoliazioni. Solo nel 2006 il sito minerario è stato recuperato e riconvertito in Museo del carbone. Infrastrutture e trasporti Strade La provincia come l'intera Sardegna era completamente sprovvista di autostrade, le comunicazioni e i trasporti su gomma sono garantiti in buona parte dalle strade statali. Le principali vie di comunicazione comprese nell'ex territorio provinciale sono: La S.S. 126, che collega da sud a nord la provincia. La strada ha origine nei pressi del porto di Sant'Antioco sull'omonima isola: da qui la statale attraversa il territorio sulcitano prima e Iglesiente poi, passando per Carbonia, Gonnesa, Iglesias e Fluminimaggiore, proseguendo poi sino a terminare sulla S.S. 131 nei pressi di Marrubiu. La S.S. 126 dir, che permette i collegamenti interni nell'isola di Sant'Antioco, collegando il centro di Sant'Antioco con l'altro comune dell'isola, Calasetta. La S.S. 130, che è la principale via di comunicazione diretta del territorio verso il capoluogo di regione Cagliari. Dotata di due corsie per senso di marcia, ha origine da Iglesias, da dove prosegue nelle campagne alla periferia di Domusnovas e Musei, per poi terminare, dopo aver lambito vari centri della provincia di Cagliari, nel viale Elmas del capoluogo isolano. La S.S. 195, che collega alcuni comuni della parte meridionale della provincia: la strada ha origine a San Giovanni Suergiu (diramandosi dalla S.S 126), da cui poi prosegue per Giba, Masainas e Sant'Anna Arresi. Oltrepassato il vecchio confine provinciale la strada segue la costa sud occidentale terminando alla periferia di Cagliari. La S.S. 293, che da Giba (dove ha origine e si dirama dalla S.S 195) raggiunge Piscinas, Villaperuccio e Nuxis, terminando poi allo svincolo tra la S.S 131 e la S.S 197 nei pressi di Samassi. Tra le strade non statali da segnalare la Strada Provinciale 2 (detta Pedemontana), che collega Portoscuso Carbonia e Villamassargia (tra questi due comuni la strada ha una carreggiata a 4 corsie) con l'hinterland cagliaritano, e le SP 78 e 85, che collegano alcuni comuni del Basso Sulcis con i due ex capoluoghi di provincia. Ferrovie Al momento della dismissione della provincia erano attive nel territorio gestito dall'ente due linee ferroviarie del gruppo FS, colleganti gli allora capoluoghi provinciali con Cagliari e altre destinazioni intermedie: Decimomannu-Iglesias, collegante Iglesias e Villamassargia con Siliqua, Villaspeciosa, Uta e Decimomannu, nella cui stazione la linea si innesta sulla Dorsale Sarda per Cagliari. Villamassargia-Carbonia, collegante Carbonia con Villamassargia e con la linea per Iglesias e Decimomannu. Tre le stazioni attive per il servizio passeggeri nella provincia al momento della sua dismissione, si tratta di quelle terminali di Carbonia Serbariu e di Iglesias e di quella di diramazione di Villamassargia-Domusnovas. L'originaria stazione carboniense delle FS di Carbonia Stato, era invece attiva per altre finalità di servizio. Porti Nella provincia di Carbonia-Iglesias i principali scali portuali erano quelli di Calasetta, Carloforte, Portovesme (comune di Portoscuso) e Sant'Antioco. I primi tre ospitano gli approdi delle due linee di traghetti che collegano l'isola di San Pietro col resto della Sardegna (va ricordato che l'isola di Sant'Antioco è collegata da un istmo artificiale e da un ponte all'isola madre); i porti di Portovesme e Sant'Antioco sono attrezzati per il traffico merci industriale, legato in gran parte all'attività delle fabbriche del territorio. Vari gli approdi turistici o pescherecci nel territorio: porti di queste tipologie sono presenti a Buggerru, Portoscuso, Porto Pino (comune di Sant'Anna Arresi), Sant'Antioco, Calasetta, Carloforte e sull'isola Piana (quest'ultimo privato). Mobilità provinciale L'ARST gestiva tutte le autolinee extraurbane della provincia al momento della sua dismissione, collegando con i propri autobus l'intero territorio. L'azienda, di proprietà della Regione Autonoma della Sardegna, ha in gestione anche i collegamenti interni all'isola di San Pietro, nonché le autolinee urbane di Carbonia e Iglesias. Amministrazione Istituzione province sarde del 2001 In seguito alla L.R. n. 9/2001 e successive integrazioni fu effettuata una nuova ripartizione del territorio della Regione Autonoma della Sardegna che ha portò il numero delle province da quattro a otto. Le modifiche hanno assunto piena operatività a partire dal maggio 2005, quando si sono svolte le elezioni per rinnovare tutti i Consigli provinciali. La sede provvisoria degli uffici, in attesa della formalizzazione della scelta dei capoluoghi da parte del Consiglio Provinciale, era stata istituita a Carbonia. Con Delibera del Consiglio Provinciale n. 21 del 12 ottobre 2005 (Determinazione del Capoluogo. Atto Statutario.) e con maggioranza qualificata (superiore a 2/3) di 20 consiglieri su 25 fu deliberato con norma statutaria di attribuire la qualifica di capoluogo della provincia alle città di Carbonia (sede degli organi della Provincia Presidente e Giunta Provinciale) e Iglesias (Sede dell'organo della Provincia Consiglio Provinciale). Il Dipartimento Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri e il Ministero dell'Economia, con Circolare Prot. 2006/189860 del dicembre 2006, comunicarono di aver definito la sigla di identificazione della Provincia in CI (acronimo di Carbonia-Iglesias), anche ai fini dell'immatricolazione automobilistica, confermando la sigla provvisoria già precedentemente assunta in diversi documenti e tabelle ufficiali emessi dallo Stato (Ministero dell'Interno, Agenzia delle Dogane, CIPE, ecc.). Questo codice non era stato fatto rientrare nel D.P.R. n. 133/2006 del 15 febbraio 2006 con cui erano state definite le sigle per le nuove province di Monza e Brianza, Fermo e Barletta-Andria-Trani mentre la sigla postale CI è invece stata recepita nell'ambito della revisione generale dei CAP operativa dal 20 settembre 2006, pur mantenendo invariati i codici postali sia dei capoluoghi sia del territorio della nuova provincia. Negli undici anni in cui fu attiva, la provincia è stata amministrata da due presidenti eletti dalla popolazione locale, e da due commissari di nomina regionale: Comuni La provincia di Carbonia-Iglesias comprendeva 23 comuni, dei quali due, Carbonia e Iglesias, hanno il titolo di Città. Note Voci correlate Iglesiente Nuove province sarde Provincia del Medio Campidano Provincia del Sud Sardegna Provincia di Cagliari Sulcis-Iglesiente Sulcis Altri progetti Collegamenti esterni Carbonia-Iglesias
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P2
P2 (acronimo di Propaganda due, fondata nel 1877 con il nome di Propaganda massonica), fu un’associazione per delinquere e loggia della massoneria italiana aderente al Grande Oriente d'Italia (GOI). Fondata nella seconda metà del XIX secolo, venne sciolta durante il ventennio fascista e poi ricostituita alla fine della seconda guerra mondiale; nel periodo della sua conduzione da parte di Licio Gelli assunse forme deviate rispetto agli statuti della massoneria ed eversive nei confronti dell'ordinamento giuridico italiano. Fu sospesa dal GOI il 26 luglio 1976; successivamente, la Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2 sotto la presidenza dell'onorevole Tina Anselmi concluse il caso P2 denunciando la loggia come una vera e propria «organizzazione criminale» ed «eversiva», venendo sciolta definitivamente nel 1982. Storia L'unità d'Italia, la loggia Propaganda e lo scioglimento Con la proclamazione del Regno d'Italia unitario, sorse l'esigenza, da parte del Grande Oriente d'Italia, cioè la più importante e numerosa comunione massonica d'Italia, di salvaguardare l'identità degli affiliati più in vista, anche all'interno dell'organizzazione. Per tale motivo, l'adesione di questi ultimi non figurava in nessun elenco ufficiale, ma era nota al solo Gran maestro, risultandogli come iniziazione «all'orecchio». Fu solo nel 1877 che Giuseppe Mazzoni iniziò a stilarne un elenco denominato Propaganda massonica, costituendo ufficialmente la loggia in questione e diventandone il primo "maestro venerabile". Adriano Lemmi (Gran maestro dal 1885 al 1895) fu iniziato alla loggia Propaganda già nel 1877 e contribuì a darle prestigio, riunendo al suo interno deputati, senatori e banchieri che, in ragione dei loro incarichi, erano costretti a lasciare le loro logge territoriali e stabilirsi a Roma. Tra gli iniziati o affiliati più famosi della fine del XIX secolo si ebbero Agostino Bertani (1883), Giosuè Carducci (1886), Luigi Castellazzo (1888), Giuseppe Ceneri (1885), Giuseppe Aurelio Costanzo (1889), Francesco Crispi (1880), Nicola Fabrizi, Camillo Finocchiaro Aprile, Menotti Garibaldi (1888), Pietro Lacava, Ferdinando Martini (1885), Giuseppe Muscatello (1907), Ernesto Nathan (1893), Oreste Regnoli (1892), Aurelio Saffi (1885), Gaetano Tacconi (1885) e Giuseppe Zanardelli (1889). Anche dopo la Gran maestranza di Lemmi, la loggia continuò a rappresentare un riferimento importante nell'organizzazione del Grande Oriente massonico. Tra gli affiliati dell'inizio del XX secolo si ebbero Giovanni Ameglio (1920), Mario Cevolotto, Eugenio Chiesa (1913), Alessandro Fortis (1909), Gabriele Galantara (1907), Arturo Labriola (1914) e Giorgio Pitacco (1909). Sin dalla fondazione, la caratteristica principale della loggia fu quella di garantire un'adeguata copertura e segretezza agli iniziati di maggior importanza, sia all'interno che al di fuori dell'organizzazione massonica. L'originale loggia operò fino alla promulgazione della legge 26 novembre 1925, n. 2029 che ebbe come conseguenza lo scioglimento di tutte le associazioni caratterizzate da vincoli di segretezza, costringendo il Gran maestro Domizio Torrigiani, a firmare il decreto di scioglimento di tutte le logge. La massoneria italiana, peraltro, si ricostituì in esilio, a Parigi, il 12 gennaio 1930. Il secondo dopoguerra, la ricostituzione e la figura di Licio Gelli Dopo la caduta del regime fascista, alla fine della seconda guerra mondiale, con il rientro in Italia del Grande Oriente, la loggia venne ricostituita con il nome di «Propaganda 2», per ragioni di numerazione delle logge italiane imposte da necessità organizzative. Ripresero le attività delle logge, che tornarono ad essere alle dipendenze dirette del Gran maestro dell'Ordine, sino all'avvento di Licio Gelli. Quest'ultimo venne prima delegato dal Gran maestro Lino Salvini a rappresentarlo in tutte le funzioni all'interno della loggia (1970), poi ne fu nominato Maestro venerabile, cioè capo a tutti gli effetti (1975) Sulla base di alcuni appunti del SISMI e del SISDE scoperti dal magistrato Vincenzo Calia nella sua inchiesta sulla morte di Enrico Mattei, la Loggia P2 sarebbe stata fondata da Eugenio Cefis, che l'avrebbe diretta sino a quando fu presidente della Montedison: poi, dopo lo scandalo petroli, sarebbe subentrato il duo Licio Gelli-Umberto Ortolani. Secondo altre testimonianze il capo occulto della Loggia P2 sarebbe stato l'ex democristiano Giulio Andreotti. Nel secondo dopoguerra Licio Gelli, un imprenditore toscano che in precedenza aveva aderito sia al fascismo (combattendo come volontario nella guerra civile spagnola ed essendo poi agente di collegamento con i nazisti durante l'occupazione della Jugoslavia), sia all'antifascismo (organizzando la fuga dei partigiani dal carcere delle Ville Sbertoli in collaborazione con il partigiano Silvano Fedi), fu iniziato alla massoneria il 6 novembre 1963, presso la loggia "Gian Domenico Romagnosi" di Roma.La Commissione parlamentare crede che Gelli aveva ottenuto anche aderenze presso la «corte» del generale argentino Juan Domingo Perón (una fotografia lo ritrae alla Casa Rosada insieme al Presidente e a Giulio Andreotti): fu successivamente affiliato alla loggia Hod dal Maestro venerabile Alberto Ascarelli, e promosso al grado di «Maestro». Successivamente nella loggia "Garibaldi – Pisacane di Ponza – Hod" Gelli cominciò a inserire numerosi personaggi di spicco, destando l'apprezzamento del suo Maestro venerabile, che lo presentò a Giordano Gamberini, Gran maestro dell'Ordine. Gelli convinse Gamberini a iniziare «sulla spada» (cioè al di fuori dello specifico rituale massonico) i nuovi aderenti, e a inserirli nell'elenco dei «fratelli coperti» della loggia P2. Gli anni 1970 e l'influenza nella società italiana Il 15 giugno 1970, Lino Salvini (succeduto da poco a Giordano Gamberini come Gran maestro del Grande Oriente d'Italia), delegò a Gelli la gestione della loggia P2, conferendogli la facoltà di iniziare nuovi iscritti, anche «all'orecchio» – funzione che tradizionalmente fino ad allora era prerogativa esclusiva del Gran maestro – e nominandolo altresì «segretario organizzativo» (19 giugno 1971). Da allora in poi, il solo Licio Gelli sarebbe stato a conoscenza dell'elenco dei nominativi degli affiliati alla loggia P2. Una volta preso il potere al vertice della loggia, Gelli la trasformò in un punto di raccolta di imprenditori e funzionari statali di ogni livello (fra quelli alti), con una particolare predilezione per gli ambienti militari. Nel dicembre 1970 secondo un dossier del SID Licio Gelli e la P2 avrebbero dovuto prendere parte al golpe Borghese, tale documentazione frutto degli interrogatori del colonnello Sandro Romagnoli nei confronti di Torquato Nicoli e Maurizio Degli Innocenti, entrambi esponenti del Fronte Nazionale verrà inviata nel 1974 da Giulio Andreotti alla magistratura inquirente. Sempre nel 1974 il generale di brigata Giovanni Allavena, allontanato dal SIFAR il 12 giugno 1966 e affiliato alla P2, aveva fatto pervenire a Gelli i fascicoli riservati del SIFAR di cui era stata disposta la distruzione da parte del Ministero della Difesa. Tra essi i fascicoli relativi all'ex Ministro della Difesa Roberto Tremelloni, al più volte Presidente del Consiglio Amintore Fanfani, a Giorgio La Pira, al futuro segretario generale del Ministero degli Affari Esteri Francesco Malfatti di Montetretto e al Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. L'utilizzo fattone da Gelli non è stato del tutto chiarito. Nella notte del 4 agosto 1974, a San Benedetto Val di Sambro, avvenne la strage dell'Italicus: morirono 12 persone e ne furono ferite 48. Pur concludendosi con l'assoluzione generale di tutti gli imputati, stante l'impossibilità di determinare concretamente le personalità dei mandanti e degli esecutori materiali, venne riconosciuto il contesto in cui l'attentato era maturato. La sentenza di assoluzione di primo grado attribuì la strage all'ambiente di Ordine Nero e alla P2 definendo come pienamente comprovata una notevole serie di circostanze del tutto significative e univoche in tal senso, che nel frattempo erano state richiamate dalla Relazione della Commissione Parlamentare sulla Loggia P2. La sentenza di appello condannò come esecutori materiali Mario Tuti e Luciano Franci, appartenenti alla sigla terroristica Fronte Nazionale Rivoluzionario, inquadrando la strage in un disegno di colpo di Stato che doveva avvenire nell'agosto del 1974. La Cassazione annullò la condanna, sentenziando che comunque la matrice neofascista era stata correttamente individuata. Nel frattempo erano emersi numerosi elementi di collegamento tra la P2 e i terroristi toscani, provenienti da diverse fonti: le dichiarazioni del principale teste d'accusa, Aurelio Fianchini, che già nel 1976 parlava di massoneria dietro i terroristi neri; le ammissioni di Franci nel confronto con Batani il 13 agosto 1976, di fronte al giudice Pier Luigi Vigna; la testimonianza dell'estremista lucchese Marco Affatigato; il materiale ritrovato a Stefano Delle Chiaie in particolare l'appunto intitolato Italicus: Cauchi e massoni; le testimonianze che collegano l'estremista Augusto Cauchi direttamente con Licio Gelli fra cui anche quella del maresciallo di polizia Sergio Baldini; la testimonianza del collaboratore di giustizia Andrea Brogi, che asserì di essere stato testimone del pagamento di somme di denaro da parte di Gelli ad Augusto Cauchi: «A Gelli e penso anche a Birindelli fu detto chiaramente che eravamo un gruppo che si armava e che era pronto alla lotta armata nel caso di una vittoria delle sinistre al referendum. Su insistenza del G.I. escludo che a Gelli sia stato fatto un discorso con riferimento specifico o ad attentati individuati oppure al procacciamento di queste armi o di questo esplosivo. Gelli sapeva che eravamo pronti per la lotta armata e che gli chiedevamo finanziamenti ma non gli fu detto nulla né di singoli attentati né di singoli armamenti». «Per quanto ne so tutto il denaro ricevuto dal Gelli è stato speso per l'acquisto di armi ed esplosivo». Ben presto sorsero contrasti tra Gelli e Lino Salvini. Nel dicembre 1974, a Napoli la Gran Loggia dei Maestri venerabili del GOI, su proposta del Gran maestro, decretò lo scioglimento della secolare loggia P2, offrendo agli iniziati, in alternativa alle dimissioni, la possibilità di entrare in una loggia regolare o di affidarsi «all'orecchio» del Gran maestro. La reazione di Gelli ebbe effetti devastanti per la carriera del Gran maestro Salvini. Nel 1973, si erano riunificate le due famiglie massoniche di Palazzo Giustiniani e quella di Piazza del Gesù (quest'ultima nata da una scissione negli anni sessanta avvenuta nella Serenissima Gran Loggia d'Italia), guidata da Francesco Bellantonio, ex funzionario dell'Eni e parente di Michele Sindona. Come conseguenza di questa riunificazione (che ebbe vita breve, solo due anni) la loggia Giustizia e Libertà – loggia coperta del gruppo massonico di Piazza del Gesù, che contava tra i suoi iscritti il direttore generale di Mediobanca Enrico Cuccia), il procuratore generale della Procura di Roma Carmelo Spagnuolo e l'avvocato Martino Giuffrida di Messina – aveva visto molti iscritti passare «all'orecchio» del Gran maestro del GOI. Approfittando del malcontento di questi ultimi, Gelli prese immediatamente contatto con Bellantonio e il suo gruppo, con l'obiettivo di cambiare i vertici del Grande Oriente d'Italia. In occasione della Gran Loggia tenutasi nel marzo 1975, l'avvocato Giuffrida produsse prove su presunti reati finanziari (finanziamenti illeciti ai partiti, provenienti dalla FIAT e dalla Confindustria, traffici illeciti e contrabbando nel porto di Livorno, tangenti private) compiuti dal Gran maestro, suscitando la richiesta a gran voce delle dimissioni di Salvini, da parte dell'assemblea. Durante una sospensione dei lavori Gelli e Salvini raggiunsero un accordo in base al quale la Gran Loggia avrebbe riconfermato la fiducia al Gran maestro; in contropartita, quest'ultimo ricostituiva nuovamente la Loggia P2, riaffidandola a Licio Gelli (nell'accordo, Gelli conveniva l'espulsione dal GOI di Bellantonio e Giuffrida e degli altri «congiurati») e nominandolo Maestro venerabile il 12 maggio 1975. L'affiliazione alla loggia sarebbe stata sottoposta a verifica da parte dell'ex Gran maestro Giordano Gamberini, «all'orecchio» del quale dovevano pervenire le iniziazioni coperte. Gelli, tuttavia, convinse Gamberini ad effettuare le eventuali «concelebrazioni» non in un tempio massonico, ma in un appartamento all'Hotel Excelsior di Roma e – soprattutto – a sottoscrivere in bianco almeno quattrocento brevetti di ammissione, cui in seguito avrebbe aggiunto i nominativi degli affiliati. Nell'agosto 1975, subito dopo la vittoria elettorale del PCI alle elezioni regionali, Gelli mise a punto uno «Schema R», che trasmise al Presidente della Repubblica Giovanni Leone, senza ottenere riscontri. Nel documento il massone aretino propugnava l'instaurazione della Repubblica presidenziale, la riduzione del numero dei parlamentari e l'abolizione delle loro immunità. Propose anche l'abolizione del servizio militare di leva e la sua sostituzione con un esercito di professione. Poco meno di un anno dopo, alcune indagini della magistratura condussero all'arresto nel nuovo segretario organizzativo della loggia P2, l'avvocato Gian Antonio Minghelli, con l'accusa di legami con il clan del gangster marsigliese Albert Bergamelli, quali i sequestri di persona e il riciclaggio di denaro sporco. Il 26 luglio 1976 Gelli ne approfittò per chiedere a Salvini la sospensione ufficiale di tutte le attività della P2, circostanza che gli permise di evitare il passaggio elettorale per la regolare conferma della sua maestranza venerabile e di continuare a dirigere la loggia in regime di prorogatio, a tempo indeterminato. In pratica, la P2 continuò ad esistere come gruppo gestito direttamente da Gelli, il quale manteneva personalmente i rapporti con Salvini e Gamberini (che, dopo il 1976, nella sua veste di garante, continuò a concelebrare molte iniziazioni per conto della Loggia P2) e gli altri vertici della massoneria. Il 15 aprile 1977, pur essendo ufficialmente sospese le attività della P2, il Gran maestro Salvini conferì a Gelli una sorta di «delega in bianco» autorizzandolo a promuovere tutte le attività che avesse reputato di interesse e di utilità per la massoneria, rispondendo unicamente al Gran maestro per le azioni intraprese a tale scopo. Nel 1978, il Gran maestro Lino Salvini rassegnò le dimissioni dalla guida del GOI in anticipo sulla scadenza del mandato. La Gran Loggia dei Maestri venerabili elesse al suo posto l'ex generale dell'aeronautica Ennio Battelli, il quale confermò la delega e la posizione speciale di Gelli nell'ambito della massoneria, imponendo peraltro la sua presenza o quella dell'ex Gran maestro Gamberini, durante le cerimonie di affiliazione dei nuovi aderenti ed escludendo pertanto ogni iniziazione «all'orecchio» da parte del Gelli. Di conseguenza tutte le iniziazioni, a partire da tale data, ancorché effettuate in una sede irrituale quale l'Hotel Excelsior di Roma, furono celebrate alla presenza del Gran maestro in carica o di Giordano Gamberini. Nella seconda metà degli anni 1970 la P2 ebbe la massima espansione ed influenza e cominciò ad operare anche all'estero (pare che abbia tentato proselitismo in Uruguay, Brasile, Venezuela, Argentina e in Romania, Paesi nei quali avrebbe, secondo alcuni, tentato di influire sulle rispettive situazioni politiche).: in particolare realizzò ramificazioni estese e importanti in Uruguay, aiutato da uomini d'affari come Umberto Ortolani e Francesco Pazienza. Per una gestione efficace, Gelli dispone il decentramento degli affiliati in circoscrizioni regionali: ogni gruppo regionale dovrà far riferimento a un coordinatore con il grado di «Maestro», responsabile della presentazione al Maestro venerabile dei nuovi adepti. Intanto già intorno al 1978 risalirebbe un il primo rapporto riservato dei servizi segreti italiani in merito all'esistenza della loggia massonica P2, realizzato dal SISMI di Santovito. Gli anni 1980, la scoperta e la fine Il 5 ottobre 1980 Gelli rilasciò un'intervista a Maurizio Costanzo (anch'esso affiliato con tessera n. 1819 della P2) per il Corriere della Sera, all'epoca diretto da Franco Di Bella, tessera P2 1887 (che la pubblicò), nella quale si sintetizzavano gli obiettivi già descritti nello «Schema R», e che saranno rinvenuti nel Piano di rinascita democratica. Il 17 marzo 1981 i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell'ambito di un'inchiesta sul presunto rapimento dell'avvocato e uomo d'affari siciliano Michele Sindona, fecero perquisire la villa di Gelli ad Arezzo, villa Wanda, e la fabbrica di sua proprietà (la Giole a Castiglion Fibocchi presso Arezzo – divisione giovane di Lebole – e la Socam): l'operazione, eseguita dalla sezione del colonnello Vincenzo Bianchi della Guardia di Finanza, scoprì fra gli archivi della Giole una lista di quasi mille iscritti alla loggia P2, tra i quali il comandante generale dello stesso corpo, Orazio Giannini (tessera n. 832). Secondo la Commissione parlamentare, presieduta da Tina Anselmi, il Venerabile, durante il suo presunto periodo di latitanza in America Latina, portò con se la parte più importante del suo archivio personale, compresa la lista completa degli iniziati alla P2, la quale, secondo alcune testimonianze, sarebbe stata composta da quasi 2400 nomi. La lista fu ritrovata il 17 marzo 1981 durante una perquisizione a Villa Wanda. La scoperta suscitò grande scalpore nell'opinione pubblica italiana. La lista fu resa pubblica solo il 21 maggio seguente dal Presidente del Consiglio Forlani, che, travolto dallo scandalo, si dimise. Sette mesi dopo il ritrovamento, il 31 ottobre 1981, la corte centrale del Grande Oriente d'Italia espulse Licio Gelli dal consesso massonico: Gelli, in quel momento latitante all'estero, aveva già presentato richiesta di «assonnamento» in data 1º ottobre 1981. Pur tuttavia il Grande Oriente ritenne di non poter procedere allo scioglimento della Loggia Propaganda 2, essendo la sua attività all'interno del GOI ufficialmente sospesa sin dal 1976; così in tale contesto la loggia affermò che tutte le attività gestite dal Gelli dal 1976 sino a quel momento, eccedenti la normale amministrazione della loggia da lui diretta in regime transitorio, erano state adottate autonomamente e non dovevano essere ricondotte alla responsabilità dell'ordine massonico, ma nulla si disponeva nei confronti degli altri 961 iscritti alla loggia che – di conseguenza – restavano a far parte della massoneria italiana. Poco dopo una perquisizione, la polizia rinvenne nella sua villa oltre 2 milioni di dollari in lingotti d'oro. Ai sensi della legge 23 settembre 1981, n. 527, nel dicembre dello stesso anno venne costituita una apposita commissione parlamentare d'inchiesta presieduta da Tina Anselmi, e successivamente con l'emanazione della legge 25 gennaio 1982, n. 17 la loggia venne definitivamente sciolta e venne sancita l'illegalità della costituzione di associazioni segrete con analoghe finalità. Lo scandalo e le conseguenze Lo scandalo conseguente al ritrovamento delle liste della P2 fu senza precedenti. Nel giugno 1981, al posto del dimissionario Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani, fu insediato il repubblicano Giovanni Spadolini, che divenne così il primo Presidente del Consiglio non appartenente alla Democrazia Cristiana (DC) della Storia repubblicana, mentre il Presidente della Repubblica Sandro Pertini dichiarò: «Nessuno può negare che la P2 sia un'associazione a delinquere». Dalle sinistre si era prontamente levata un'intensa campagna d'accusa, che di fatto non sgradiva un eventuale riconoscimento del coinvolgimento di esponenti dei partiti di governo e del Partito Socialista Italiano (PSI), antica «concorrente» a sinistra del partito di Enrico Berlinguer. Soprattutto i comunisti avevano da recriminare contro un organismo che clandestinamente lavorava per la loro espulsione dalla società civile, e non risparmiarono ai partiti di governo e ai loro esponenti accuse di golpismo e di prono asservimento a interessi di potenze straniere. Altri politici, tra cui Bettino Craxi del PSI e alcuni deputati della DC, attaccarono invece l'operato della magistratura, accusandola di aver dato per scontato la veridicità di tutta la lista che invece, secondo Craxi, mischiava «notori farabutti» (di cui però non faceva i nomi) a «galantuomini» e di aver causato, con le indagini e l'arresto di Roberto Calvi, una crisi della Borsa, che nel luglio 1981 dovette chiudere per una settimana per eccesso di ribasso. Mentre, intimoriti dal clima arroventato, alcuni personaggi di altro campo come Maurizio Costanzo negavano ogni coinvolgimento (Costanzo fu poi costretto a lasciare la direzione del telegiornale Contatto del network PIN, facente capo al gruppo Rizzoli), altri, come il deputato socialista Enrico Manca, che fu anche presidente della Rai, già minimizzavano la loro condivisione delle esperienze piduiste. Si ebbe quindi una sorta di temporanea epurazione, in realtà agevolata dal ridotto desiderio degli interessati di restare sotto i riflettori, e molti piduisti si eclissarono dalle cariche più in vista, o si fecero da parte per poi ripresentarsi qualche tempo dopo. La scoperta della lista degli appartenenti Dopo la scoperta della lista, il Presidente del Consiglio Arnaldo Forlani attese il 21 maggio 1981, prima di rendere pubblica la lista degli appartenenti alla P2, che comprendeva i nominativi di 2 ministri allora in carica (il socialista Enrico Manca, e il democristiano Franco Foschi) e 5 sottosegretari (Costantino Belluscio del PSDI, Pasquale Bandiera del PRI, Franco Fossa del PSI, Rolando Picchioni della DC e Anselmo Martoni del PSDI, quest'ultimo peraltro citato come «in sonno», cioè dimissionario). Tra le 962 persone che figuravano tra gli iscritti alla loggia massonica, vi erano politici, imprenditori, avvocati, dirigenti di imprese ma soprattutto membri delle forze armate italiane e dei servizi segreti italiani. Lo stesso Michele Sindona comparve nella lista degli iscritti alla P2, confermando le intuizioni dei giudici istruttori. Il colonnello Bianchi resistette a vari tentativi di intimidazione, in quanto erano ancora al potere gran parte delle persone che ivi erano citate, e trasmise la lista agli organi competenti. Fra i generali, la stampa fece più volte il nome di Carlo Alberto dalla Chiesa, sebbene risultasse solo un modulo di iscrizione firmato di suo pugno e nessuna prova di un'adesione attiva. Circa i servizi segreti, si notò che vi erano iscritti non solo i capi, (fra i quali Vito Miceli a capo del SIOS e successivamente direttore del SID, Giuseppe Santovito del SISMI, Walter Pelosi del CESIS e Giulio Grassini del SISDE) che erano di nomina politica, ma anche i funzionari più importanti, di consolidata carriera interna. Tra questi si facevano notare il generale Giovanni Allavena (responsabile dei fascicoli SIFAR), il colonnello Giovanni Minerva (gestore dell'intricato caso dell'aereo militare Argo 16 e considerato uno degli uomini in assoluto più importanti dell'intero Servizio militare del dopoguerra) e il generale Gianadelio Maletti, che con il capitano Antonio Labruna (anch'egli iscritto) fu sospettato di collusioni con le cellule eversive di Franco Freda e per questo processato e condannato per favoreggiamento. Fu avanzata l'ipotesi che la lista trovata nella villa di Gelli non fosse la lista completa, e che molti altri nomi siano riusciti a non restare coinvolti. Nella ricostruzione della commissione parlamentare, ai 962 della lista trovata sarebbero da aggiungere i presunti appartenenti a quel vertice occulto di cui Gelli sarebbe stato l'anello di congiunzione con la loggia. Lo stesso Gelli, come evidenziato anche dalla Commissione Anselmi, in un'intervista del 1976, aveva parlato di più di duemilaquattrocento iscritti. Secondo il procuratore di Roma del periodo, gli iscritti delle due liste dovevano essere complessivamente 2000, mentre il 29 maggio 1977 il settimanale L'Espresso scrisse: «Loggia P2... È il nucleo più compatto e poderoso della massoneria di Palazzo Giustiniani: ha 2400 iscritti, la crema della finanza, della burocrazia, delle Forze Armate, dei boiardi di Stato, schedati in un archivio in codice... Gelli, interlocutore abituale delle più alte cariche dello Stato (si vede spesso con Andreotti ed è ricevuto al Quirinale), è ascoltato consigliere dei vertici delle Forze Armate, con amici fidati e devoti nella magistratura». Lo stesso Gelli, commentando la presenza di numerosi iscritti alla P2 nei comitati di esperti che si occuparono del rapimento di Aldo Moro (marzo-maggio 1978), ha affermato che la presenza di un elevato numero di affiliati alla loggia in questi era dovuto al fatto che al tempo molte personalità di primo piano erano iscritte, quindi era naturale che in questi se ne trovassero diverse. Gelli affermò che normalmente gli aderenti non erano a conoscenza dell'identità degli altri iscritti, ma che l'esistenza della Loggia P2 era comunque nota, avendone parlato anche in diverse interviste ben prima della scoperta della lista. Si fecero delle ipotesi su chi potesse essere il vertice occulto dell'organizzazione, la vedova di Roberto Calvi dichiarò che Giulio Andreotti fosse il vero capo della loggia, mentre l'incarico di vice sarebbe stato ricoperto da Francesco Cosentino (il quale risultava iscritto tra le liste della P2 con la tessera n. 1618): di tale affermazione però non sono mai stati raccolti riscontri attendibili. Anche Nara Lazzerini, per molti anni segretaria e amante di Licio Gelli, affermò nel 1981 e nel 1995 davanti ai magistrati che nell'ambiente della loggia si diceva che il vero capo fosse Giulio Andreotti: Rosati e Giunchiglia erano due leader regionali della Loggia P2: il primo gestore di una clinica privata e capogruppo della P2 per la Liguria con simpatie per l'estrema destra (tessera n. 1906 e morto nel 1984); il secondo funzionario del Ministero della Difesa (tessera n. 1508) delle provincie Pisa e Livorno. Giunchiglia durante il processo Gelli più 622 venne definito dalla PM Elisabetta Cesqui come un personaggio che si collocava «nella zona di maggiore ombra della P2 tra la sponda dei contatti con ambienti militari e informativi USA e quella che riconduce al commercio di armi».Durante il processo per la strage di Bologna Lia Bronzi Donati, Gran maestra della Loggia tradizionale femminile (e figura femminile all'epoca più importante dell'universo massonico, e forse l'unica), dichiarò ai magistrati che la interrogavano come testimone che la lista degli affiliati alla P2 era composta da almeno 6000 nomi e che Andreotti era «la presenza al di sopra della Loggia P2»: notizia confidatale da William Rosati «divenuto il riferimento morale della P2 dopo il sequestro delle liste». Andreotti da parte sua aveva sempre smentito di conoscere Gelli, sino alla pubblicazione della citata foto di Buenos Aires. Licio Gelli, per il quale la magistratura spiccò un ordine di cattura il 22 maggio 1981 per violazione dell'art. 257 del codice penale (spionaggio politico o militare), si rifugiò temporaneamente in Uruguay. La commissione parlamentare Dopo la scoperta delle liste, Arnaldo Forlani nominò un comitato di tre saggi (Vezio Crisafulli, Lionello Levi Sandri e Aldo Mazzini Sandulli) per fornire elementi conoscitivi e critici sull'attività della P2. Alla fine del 1981, per volontà della Presidente della Camera Nilde Iotti, venne istituita una commissione parlamentare d'inchiesta, guidata dalla deputata democristiana Tina Anselmi, ex partigiana «bianca» e prima donna a diventare ministro nella storia della Repubblica Italiana. La commissione affrontò un lungo lavoro di analisi per far luce sulla Loggia, considerata un punto di riferimento in Italia per ambienti dei servizi segreti americani intenzionati a tenere sotto controllo la vita politica italiana fino al punto, se necessario, di promuovere riforme costituzionali apposite o di organizzare un colpo di Stato. La commissione - che concluse i lavori nel 1984, produsse sei relazioni. La P2 fu oggetto d'indagine anche della commissione Stragi per un presunto coinvolgimento in alcune stragi, ma non portò a niente di rilevante. Gli appartenenti alla P2 e Gelli furono assolti con formula piena dalle accuse di «complotto ai danni dello Stato» con le sentenze della Corte d'assise e della Corte d'assise d'appello di Roma tra il 1994 e il 1996. Le conseguenze e le inchieste giudiziarie La Cassazione decise che il caso Gelli fosse di competenza della Procura di Roma dalla quale fu accusato solo di truffa e millantato credito. Nel maggio 1983 fu archiviato il dossier a carico dei vertici della P2. In seguito, il giudice Colombo dichiarò che, se l'inchiesta fosse rimasta a Milano, Tangentopoli sarebbe scoppiata un decennio prima, data la mole di informazioni presenti nelle carte di Gelli. La Procura di Roma iniziò un procedimento contro Licio Gelli e una ventina di altre persone, accusate di cospirazione politica, associazione per delinquere ed altri reati. Dopo un'inchiesta durata quasi dieci anni, nell'ottobre 1991, il giudice istruttore presso il Tribunale penale di Roma chiese il rinvio a giudizio. Il processo durò un anno e mezzo e con sentenza in data 16 aprile 1994, depositata il successivo 26 luglio, la Corte pronunciò una sentenza d'assoluzione di tutti gli imputati dal reato di attentato alla Costituzione mediante cospirazione politica perché il fatto non sussiste. L'appello, proposto, fu rigettato, e il 27 marzo 1996 la Corte d'appello confermò la sentenza. Nonostante le successive inchieste giudiziarie abbiano (non senza ricevere critiche da più parti) in parte rinnegato le conclusioni della commissione d'inchiesta, tendendo a ridimensionare l'influenza della loggia, la scoperta del caso della P2 fece conoscere in Italia l'esistenza, in altri sistemi ed in altri Paesi, del lobbismo, cioè di un'azione di pressione politica sulle cariche detenenti il potere affinché orienti le scelte di conduzione della nazione di appartenenza in direzione favorevole ai lobbisti. In altri Paesi il lobbismo si applicava e si applica in modo pressoché palese, e nemmeno – d'ordinario – desta scandalo: per l'Italia il fenomeno, almeno in questa forma subdola, illegale e sovversiva e con questa evidenza, era inusitato. In più, la circostanza che l'associazione fosse segreta ha immediatamente evocato allarmanti spettri, che le conclusioni dell'inchiesta della commissione parlamentare non hanno fugato. Il caso P2 ha certamente sensibilizzato la società italiana sui meccanismi attraverso i quali le scelte ed il potere politico possono venir influenzati dagli interessi di gruppi di potere non eletti, e quindi non pienamente legittimati a prender parte al dialogo politico. Nel 1987 Licio Gelli fu condannato a 8 anni di carcere dalla Corte d'assise di Firenze per aver finanziato esponenti dell'estrema destra toscana, coinvolti negli attentati sulla linea ferroviaria Firenze-Bologna. Due anni dopo, in appello, i giudici dichiararono di non dover procedere contro l'imputato perché, al momento della sua estradizione dalla Svizzera, erano stati esclusi i reati di tipo politico. La Cassazione ordinò un nuovo processo, affermando che Gelli avrebbe dovuto essere assolto con formula piena e il 9 ottobre 1991 la Corte d'assise d'appello di Firenze lo assolse con formula ampia. Il 23 novembre 1995 Gelli venne condannato in via definitiva per depistaggio nel processo per la strage di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980, nella quale furono uccise 85 persone e 200 rimasero ferite. Il depistaggio fu messo in atto, in concorso con il generale del SISMI Pietro Musumeci, aderente alla P2, il colonnello dei carabinieri Giuseppe Belmonte e il faccendiere Francesco Pazienza, sistemando una valigia carica di armi, esplosivi, munizioni, biglietti aerei e documenti falsi sul treno Taranto-Milano del 13 gennaio 1981. Licio Gelli è stato anche riconosciuto colpevole della frode riguardante la bancarotta del Banco Ambrosiano collegato alla banca del Vaticano, lo IOR (vi si trovò un buco di 1,3 miliardi di dollari). Altrettanta attenzione è stata posta, nel tempo, al destino dei piduisti, qualcuno dei quali ha avuto pubblico successo, in politica o nello spettacolo, mentre altri sono tornati nell'anonimato. Ad alcuni è stato revocato lo stigma sociale (Silvio Berlusconi è sceso in politica con successo, conseguendo quattro volte la Presidenza del Consiglio nel corso di quindici anni; Fabrizio Cicchitto rientrò in politica; Maurizio Costanzo pronunciò un autodafé e mantenne la sua carriera giornalistica). Proprio Berlusconi dichiarò ad Iceberg (programma di approfondimento politico in onda su Telelombardia): «Io non ho mai fatto parte della P2. E comunque, stando alle sentenze dei tribunali della Repubblica, essere piduista non è un titolo di demerito. [...] Ho letto dopo, di questi progetti. Una montatura: la P2 è stata uno scoop che ha fatto la fortuna di Repubblica e dellEspresso, è stata una strumentalizzazione che purtroppo ha distrutto molti protagonisti della vita politica, culturale e giornalistica del nostro Paese». Massimo D'Alema, all'epoca Presidente del Consiglio, replicò: «Essere stato piduista vuol dire aver partecipato a un'organizzazione, a una setta segreta che tramava contro lo Stato, e questo è stato sancito dal Parlamento. Opinione che io condivido». Tra i personaggi politici menzionati nel famoso «programma di rinascita» elaborato per la P2 da Francesco Cosentino, . Ad Antonio Bisaglia, invece, la morte improvvisa non consentì di soddisfare le previsioni su di lui espresse nel medesimo testo. Dal 2007 Licio Gelli fu posto in detenzione domiciliare nella sua villa Wanda di Arezzo, per scontare la pena di 12 anni per la bancarotta del Banco Ambrosiano. In un'intervista rilasciata a la Repubblica il 28 settembre 2003, durante il governo Berlusconi II, ha raccontato: «Ho una vecchiaia serena. Tutte le mattine parlo con le voci della mia coscienza, ed è un dialogo che mi quieta. Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d'autore. La giustizia, la tv, l'ordine pubblico. Ho scritto tutto trent'anni fa in 53 punti». I contenuti del programma eversivo Il Piano di rinascita democratica Fu immediatamente intuito che i documenti sequestrati testimoniavano dell'esistenza di un'organizzazione che mirava a prendere il possesso degli organi del potere in Italia: il Piano di rinascita democratica, un elaborato a mezza via fra un manifesto ed uno studio di fattibilità sequestrato qualche mese dopo alla figlia di Gelli, conteneva una sorta di ruolino di marcia per la penetrazione di esponenti della loggia nei settori chiave dello Stato, indicazioni per l'avvio di opere di selezionato proselitismo e, opportunamente, anche un bilancio preventivo dei costi per l'acquisizione delle funzioni vitali del potere: «La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo». Si indicavano come obiettivi primari il riordino dello Stato all'insegna dell'autoritarismo, accompagnato da un'impostazione selettiva e classista dei percorsi sociali. Tra i punti principali del piano vi era la semplificazione del panorama politico con la presenza di due grandi macropartiti, portare la magistratura italiana sotto il controllo del potere esecutivo, separare le carriere dei magistrati, superare il bicameralismo perfetto e ridurre numero dei parlamentari, abolire le province, rompere l'unità sindacale e riformare il mercato del lavoro, controllo sui mezzi di comunicazione di massa, trasformare le università in Italia in fondazioni di diritto privato, abolizione della validità legale dei titoli di studio e adozione di una politica repressiva contro la piccola delinquenza e avversari politici. Le persone «da reclutare» nei partiti in cambio avrebbero dovuto ottenere il «predominio» (testuale) sulle proprie organizzazioni (nel piano vengono indicati «per il PSI, ad esempio, Mancini, Mariani e Craxi; per il PRI: Visentini e Bandiera; per il PSDI: Orlandi e Amidei; per la DC: Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia; per il PLI: Cottone e Quilleri; per la Destra Nazionale (eventualmente): Covelli»), mentre i giornalisti «reclutati» avrebbero dovuto «simpatizzare» per gli uomini segnalati dalla loggia massonica. Una parte dei politici indicati ebbero poi ruoli di primo piano nei loro partiti e nell'esecutivo, tali personalità erano però considerate «da reclutare», tuttavia non è mai stato accertato con chiarezza se Gelli si sia messo in contatto con loro per il perseguimento degli scopi della P2. Il controllo sui mass media La scoperta del Piano di rinascita democratica ha permesso di comprendere le ragioni dei notevoli cambiamenti avvenuti all'interno dei mass media italiani alla fine degli anni settanta. La scalata ai media italiani iniziò dall'obiettivo più ambito: il Corriere della Sera, il quotidiano nazionale più diffuso e allo stesso tempo più autorevole. Per quest'operazione Licio Gelli fu coadiuvato dal suo braccio destro Umberto Ortolani, dal banchiere Roberto Calvi, dall'imprenditore Eugenio Cefis e dalle casse dello IOR, l'Istituto per le Opere di Religione. Infine era necessario un editore interessato all'acquisto della testata giornalistica più importante d'Italia, e furono individuati i Rizzoli. I Rizzoli, Andrea e il figlio Angelo, acquistarono la proprietà del Corriere di propria iniziativa da Giulia Maria Crespi, Gianni Agnelli e Angelo Moratti, poi si ritrovarono sotto una montagna di debiti. Bruno Tassan Din, direttore amministrativo del giornale, dichiarò: «La Rizzoli fatturava 60 miliardi di lire l'anno ed altrettanti ne fatturava il Corriere: quindi la Rizzoli aveva acquistato un'unità grande come la Rizzoli facendo tra l'altro un debito a breve termine senza avere programmato e pianificato un eventuale ricorso al medio termine». Angelo Rizzoli spiegò che «per ottenere finanziamenti dei quali il nostro gruppo aveva bisogno l'unica strada praticabile era quella di rivolgerci all'Ortolani», giacché quando «qualche volta tentavamo di ottenere finanziamenti senza passare attraverso l'Ortolani ed il Gelli ci veniva immancabilmente risposto di no». Successivamente Andrea si ritirò a vita privata e rimase a guidare il gruppo il figlio Angelo, il cui braccio destro Bruno Tassan Din gli presentò Gelli e Ortolani. I Rizzoli, sostenuti finanziariamente da Eugenio Cefis (secondo la ricostruzione di Alberto Mazzuca i Rizzoli non furono sostenuti da Eugenio Cefis), nel 1974 si decisero quindi per l'acquisto, ma si resero conto ben presto che l'operazione si sarebbe rivelata molto più onerosa di quello che si aspettavano. I Rizzoli (Andrea e il figlio Angelo) quindi si misero alla ricerca di altri fondi presso le banche italiane, inconsapevoli del fatto che molte erano presiedute o dirette da affiliati della P2, e che quindi la decisione di conceder loro nuovi liquidi era condizionata dal parere di Gelli. Non vedendo altre vie di uscita, nel luglio 1977 si appellarono al capo piduista: a quel punto entrò in scena Roberto Calvi, che aveva rapporti con lo IOR, e che grazie all'intermediazione di Gelli era entrato nell'operazione per rilevare il Corriere della Sera. Si è affermato che il pacchetto azionario, pagato 200 miliardi di lire, ne valesse al massimo 60. La concessione di nuovi fondi, provenienti dallo IOR, rese i Rizzoli sempre più indebitati nei confronti della P2 ed economicamente deboli. In questo modo non fu difficile far passare il controllo della casa editrice al sistema Gelli-Calvi-IORTina Anselmi, Relazione di maggioranza della Commissione Parlamentare sulla Loggia massonica P2, Allegato I – Editoria e Corriere della Sera.. Licio Gelli ottenne il suo primo obiettivo: inserire nei posti chiave della Rizzoli i suoi uomini, uno su tutti Franco Di Bella alla direzione del Corriere della Sera al posto di Piero Ottone. Il controllo del quotidiano dava alla P2 un'enorme capacità di manovra: Poteva condizionare ai propri voleri la condotta dei politici, ai quali l'adesione all'area piduista era ripagata con articoli e interviste compiacenti che garantivano visibilità presso l'opinione pubblica. Poteva inserire nell'organico del quotidiano personaggi affiliati alla loggia, come Maurizio Costanzo, Silvio Berlusconi, Fabrizio Trecca, con l'ovvio intento di pubblicare articoli graditi alle alte sfere della P2. Poteva infine censurare giornalisti, come capitò a Enzo Biagi, che sarebbe dovuto partire come corrispondente per l'Argentina, governata da una giunta militare golpista. Nel 1977 la P2 spinse i Rizzoli verso l'acquisizione di molti altri quotidiani: Il Piccolo di Trieste, il Giornale di Sicilia di Palermo, l'''Alto Adige di Bolzano e La Gazzetta dello Sport. Nel 1978 fu fondato un nuovo quotidiano locale: L'Eco di Padova: la casa editrice entrò nella proprietà de Il Lavoro di Genova e finanziò L'Adige di Trento. Nello stesso anno Andrea lasciò il gruppo al figlio Angelo e si ritirò a vita privata. Nel 1979 la Rizzoli portò la propria quota azionaria del periodico TV Sorrisi e Canzoni al 52%, ottenendone il controllo. Infine fu fondato L'Occhio, con direttore Maurizio Costanzo. Secondo il piduista Antonio Buono, magistrato già presidente del Tribunale di Forlì, e collaboratore del Giornale nuovo, nel corso di un incontro a Cesena Gelli lo avrebbe informato del progetto di creare una catena di testate, nell'ambito della Rizzoli, in funzione antimarxista e anticomunista, e si sarebbe dovuta creare anche, nell'ambito di questo progetto, un'agenzia di informazione – alternativa all'ANSA – che avrebbe trasmesso le veline ai vari direttori di questi giornali associati. Nell'occasione, il Venerabile incaricò Buono di coinvolgere il direttore de il Giornale: «Avevo un grande ascendente su Indro Montanelli, e quindi avrei dovuto persuadere Montanelli, per il Giornale, a entrare». Nonostante il tentativo non riuscisse (secondo persone vicine a Indro Montanelli, in realtà Buono non aveva alcun ascendente su di lui) almeno due personaggi in contatto con gli ambienti massonici diventarono collaboratori del Giornale nuovo: lo stesso Buono e Michael Ledeen, legato a CIA, SISMI e alla stessa P2. Una volta scoppiato lo scandalo, le ripercussioni sul gruppo Rizzoli furono enormi: il Corriere della Sera ne uscì pesantemente screditato e perse dal 1981 al 1983 copie. Firme come Enzo Biagi, Alberto Ronchey e Gaetano Scardocchia lasciarono via Solferino. Franco Di Bella lasciò la direzione il 13 giugno e venne sostituito da Alberto Cavallari. L'Occhio e il Corriere d'Informazione chiusero, mentre Il Piccolo, lAlto Adige e Il Lavoro furono ceduti. Angelo Rizzoli e il direttore generale della casa editrice, Bruno Tassan Din (entrambi iscritti alla Loggia), ricevettero un mandato d'arresto e il gruppo fu messo in amministrazione controllata (4 febbraio 1983). Aspetti dibattuti Il ruolo nella «strategia della tensione» Nel periodo della maestranza di Gelli, la P2 riuscì a riunire in segreto almeno un migliaio di personalità di primo piano, principalmente della politica e dell'amministrazione dello Stato, a fini di sovversione dell'assetto socio-politico-istituzionale italiano e suscitando uno dei più gravi scandali politici nella storia della Repubblica italiana. Nel materiale presente negli atti della Commissione parlamentare di inchiesta vi sono gli stessi scritti inviati da Gelli agli aderenti della sua Loggia che, all'inizio degli anni settanta, invitavano ad azioni politiche di emergenza: Inseriti nella P2 furono molti ufficiali o politici coinvolti nel Golpe Borghese del 1970 (gli ammiragli Giovanni Torrisi e Gino Birindelli, il generale Vito Miceli) e/o in tentativi di golpe successivi come il generale Giovanbattista Palumbo (coinvolto anche nei depistaggi per l'attentato di Peteano, in cui morirono tre carabinieri) o Edgardo Sogno nel 1974 (e altri militari a lui collegati). Sempre nel 1974 Gelli avrebbe sovvenzionato estremisti di destra coinvolti in attentati ferroviari. Di sovvenzioni ne hanno parlato diversi ex estremisti (seppur riferendosi a episodi diversi) come Marco Affatigato, Giovanni Gallastroni, Valerio Viccei, Vincenzo Vinciguerra e in particolare Andrea Brogi: Sono emersi collegamenti, non sempre colti dall'autorità giudiziaria, fra P2 ed estremisti di destra anche in delitti gravi, come quello al giudice Occorsio del 10 luglio 1976, dove il magistrato stava indagando sulla loggia di Gelli, per primo, mentre fu ucciso da un commando di Ordine Nuovo guidato da Pierluigi Concutelli. L'ex estremista nero Paolo Bianchi raccontò: A Gelli e alla P2 sono stati attribuiti tutti i misteri d'Italia, dal progetto di golpe del generale Giovanni de Lorenzo del 1964 (piano Solo) fino all'inchiesta del 1993 sui rapporti tra mafia e politica in cui fu coinvolto Giulio Andreotti. In particolare furono attribuiti alla Loggia P2 il presunto coinvolgimento nella strage dell'Italicus, il depistaggio sulla strage di Bologna, lo scandalo del Banco Ambrosiano, gli omicidi di Mino Pecorelli (a Roma) e di Roberto Calvi (a Londra), i mancati risultati delle indagini durante il rapimento di Aldo Moro, velleità golpiste (secondo alcune testimonianze nel 1973 Gelli ipotizzò la formazione di un esecutivo di centro presieduto dal procuratore generale di Roma Carmelo Spagnuolo e appoggiato dall'Arma dei Carabinieri) e alcune affiliazioni con lo scandalo di Tangentopoli (conto protezione). I rapporti internazionali A livello internazionale, la P2 è stata associata alla preparazione del colpo di Stato argentino del 1976 (tramite José López Rega) e il successivo sostegno al regime di Jorge Rafael Videla tramite l'ammiraglio piduista e membro della giunta militare Emilio Eduardo Massera, al furto delle mani della salma di Juan Domingo Perón e di alcuni oggetti della sua tomba (apparentemente a scopo di riscatto, ma forse per usarne le impronte digitali onde accedere ai presunti conti svizzeri di Evita e Juan Perón), e infine all'omicidio del politico svedese Olof Palme secondo una delle piste. Uomini della P2 risultarono collegati alla società Permindex di cui facevano parte elementi della CIA e persone come l'imprenditore Clay Shaw, l'unico indagato per cospirazione nell'assassinio di John Fitzgerald Kennedy, e poi assolto. All'inizio dell'estate del 1990 (28 giugno - 2 luglio) sul TG1 compare un'inchiesta in 4 parti realizzata dal giornalista Ennio Remondino su incarico di Roberto Morrione, allora Capo redazione cronaca: partendo da un'intervista a Stoccolma al giornalista svedese Ölle Alsen, l'inviato italiano fa luce su un probabile complotto internazionale, da cui sarebbe scaturito l'omicidio del premier svedese Olof Palme, alla realizzazione del quale avrebbero preso parte personaggi vicini a Licio Gelli. Le dichiarazioni ottenute, durante un soggiorno sul suolo americano, da parte di Barbara Honegger, ex appartenente allo staff dell'amministrazione Reagan, nonché di Ibrahim Razin (alias Oswald LeWinter) e Richard Brenneke, rispettivamente ex agente e collaboratore esterno della CIA, sembreranno portare conferme in tal senso, nonché ad ulteriori rivelazioni, inerenti ai rapporti operativi, agli ingenti finanziamenti intercorsi e agli scambi di esplosivi e droga tra i servizi segreti statunitensi e la P2 nei venti anni precedenti, con precisi riferimenti alla strategia della tensione. L'indagine giornalistica (della quale un'ulteriore quinta parte viene trasmessa il 31 luglio successivo) scatenerà un acceso dibattito politico sui mass media ed in Parlamento, che avrà come conseguenza quasi immediata le dimissioni dal TG1 del direttore Nuccio Fava (8 agosto), ma alcuni mesi dopo porterà pure alla prime rivelazione ufficiali sull'esistenza di Gladio, da parte dei vertici istituzionali del tempo. I giudizi critici sullo scandalo Un giudizio critico estremamente drastico sulle origini, teorie e finalità dell'organizzazione è stato dato da Massimo Teodori, che partecipò come deputato radicale ai lavori della commissione parlamentare presieduta da Tina Anselmi, nel suo libro Complotto! Come i politici ci ingannano'' (2014): «Sono trent'anni che si spaccia la patacca P2 come il grande complotto dietro i tanti misteri dell'Italia repubblicana»: per lui la P2 non era altro che la faccia nascosta della partitocrazia denunciata dai radicali, non una centrale di complotti. Quarant'anni dopo ribadisce lo stesso giudizio. Anche il giornalista Indro Montanelli criticò queste teorie, sostenendo che la P2 era una mera e semplice «cricca di affaristi» in stile mafioso, senza volontà né capacità di vero pericolo golpista, affermando: «Spadolini propose lo scioglimento della P2 e fu un gesto doveroso. Ma il "Giornale" assunse subito una posizione controcorrente rispetto a quella ch'era la smisurata leggenda nera imbastita sulla P2. Che non aveva certo come fine l'eversione, la dittatura e le stragi, ma la creazione d'una società di mutuo soccorso per incettare palanche e poltrone. Perché poi Gelli e i suoi compari avrebbero dovuto proporsi il rovesciamento d'un regime che sembrava studiato apposta per i loro comodi? Quel ch'è certo è che se i piduisti approfittarono della congrega per arraffar posti, molti di quelli che ne reclamarono il crucifige lo fecero per occuparli a loro volta, profittando della purga dei titolari. Ci fu chi sostenne che il "Giornale" minimizzava la portata della P2 perché il suo editore vi era coinvolto. Infatti il nome di Berlusconi risultò nell'elenco. Ma prima di tutto non aveva mai avuto ruoli nella conduzione politica de "il Giornale". E poi, come ho già raccontato, soltanto il caso m'aveva salvato dal ritrovarmici anch'io. Sapevo quindi perfettamente quale valore dare a quella lista». In un'intervista dichiarò poi di non aver mai voluto infierire su chi avesse avuto la tessera piduista. Note Annotazioni Fonti Bibliografia Camera dei Deputati, Atti Parlamentari, discussione Legge Anselmi, sedute del 26.11.1981 (pp. 36641-ss) e (pp. 37006-ss) Voci correlate Anni di piombo Anticomunismo Appartenenti alla P2 Autoritarismo Censura in Italia Commissione P2 Golpe Borghese Guerra fredda Legge Anselmi Licio Gelli Fascismo Massoneria in Italia Noto servizio Operazione Condor Legge 25 gennaio 1982, n. 17 Organizzazione Gladio P3 (inchiesta) P4 (inchiesta) Piano di rinascita democratica Stay-behind Storia della Repubblica Italiana Strategia della tensione Altri progetti Collegamenti esterni Versione pdf a cura dell'Archivio Flamigni InviatoSpeciale InStoria Corriere della Sera 150 Storia d'Italia la Repubblica documentario da "La Storia siamo Noi" - Rai la tribuna di Treviso Radio Radicale Anni di Piombo
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https://it.wikipedia.org/wiki/Provincia%20di%20Matera
Provincia di Matera
La provincia di Matera è una provincia italiana della Basilicata di abitanti. Fu istituita nel 1927. Geografia fisica Affacciata ad est sul golfo di Taranto, confina a nord con la Puglia (la città metropolitana di Bari e la provincia di Taranto), ad ovest con la provincia di Potenza, a sud con la Calabria (provincia di Cosenza). La provincia di Matera ha un'exclave, Serra del Ponte (frazione del comune di Tricarico), situata all'interno della provincia di Potenza. Geograficamente è divisa in due tipologie, una pianeggiante (Metapontino) ed una collinare (Collina materana). Costa jonica lucana La prima, che si affaccia sulla costa jonica lucana, ha un clima mediterraneo con inverni miti ed estati secche e calde, la piovosità è molto bassa (intorno ai 500 mm annui). Collina materana La zona collinare ha un clima più freddo in inverno con escursioni termiche notevoli e man mano che aumenta l'altitudine aumenta anche la piovosità. Spesso in inverno, dai 400 in su ci sono fitte nevicate. Riserve naturali Fanno parte del territorio provinciale tre riserve naturali regionali (la riserva regionale San Giuliano, il bosco Pantano di Policoro, oasi del WWF, e la riserva naturale speciale dei Calanchi di Montalbano Jonico), il parco naturale di Gallipoli Cognato - Piccole Dolomiti Lucane, il parco archeologico storico naturale delle chiese rupestri del Materano, detto anche parco della Murgia Materana, ed infine una piccola porzione del parco nazionale del Pollino. Storia Comuni Trasporti e vie di comunicazione Strade Strada statale 7 Via Appia Strada statale 103 di Val d'Agri Strada statale 106 Jonica Strada statale 175 della Valle del Bradano Strada statale 176 della Valle del Basento Strada statale 277 di Calle Strada statale 380 dei Tre Confini Strada statale 407 Basentana Strada statale 598 di Fondo Valle d'Agri Ferrovie Sono due le compagnie che gestiscono la rete ferroviaria nella provincia: RFI e le Ferrovie Appulo Lucane. Le reti ferroviarie di RFI sono: Battipaglia-Potenza-Metaponto (elettrificata e a binario semplice) Ferrovia Jonica (a binario semplice ed elettrificata fino a Sibari). Fatto di rilievo è che non è presente una stazione gestita da RFI nel capoluogo della provincia. Le linee ferroviarie delle Ferrovie Appulo Lucane sono: Altamura-Avigliano Lucania-Potenza Ferrovia Bari-Matera-Montalbano Jonico Nel 1986 iniziarono i lavori per collegare la città alla rete ferroviaria nazionale presso la stazione di Ferrandina, ma non sono mai stati ultimati e la linea Matera-Ferrandina è rimasta un'incompiuta. A tutt'oggi la città risulta essere, insieme con Nuoro e Andria, l'unico capoluogo di provincia a non essere servito dalle Ferrovie dello Stato. Porti Nel territorio sono presenti il porto turistico di Pisticci e il porto turistico di Policoro. Aviosuperfici Nel comune di Pisticci si trova l'aviosuperficie Enrico Mattei. Economia Il Metapontino è il cuore agricolo della provincia con un'agricoltura intensiva di tipo industriale, ma anche una buona presenza di piccole e medie industrie. È inoltre una zona a forte vocazione turistica con notevoli presenze nel periodo estivo sulle spiagge della costa jonica. Nella collina materana invece l'agricoltura è caratterizzata soprattutto da produzioni cerealicole, uliveti e vigneti. Gli insediamenti industriali più importanti si trovano nella valle del Basento e nel territorio di Matera, facente parte del Distretto del salotto. La città di Matera negli ultimi anni ha avuto un notevole incremento del turismo, influenzato dall'inserimento dei Sassi nel Patrimonio dell'umanità e dalla nomina a capitale europea della cultura per il 2019. Amministrazione Il territorio della provincia di Matera comprende due exclave: il primo, presso Brindisi Montagna, è la frazione Serra del Ponte del comune di Tricarico, ed è totalmente circondato dalla provincia di Potenza; il secondo è la contrada Iesce del comune di Matera, circondata dalla città metropolitana di Bari. Elenco dei presidenti Note Voci correlate Matera DOC Dialetto materano Dialetto metapontino Altri progetti Collegamenti esterni
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Pinales
Le Pinales sono un ordine di piante appartenenti alla divisione Pinophyta e alla classe Pinopsida; comprendono tutte le conifere viventi. Questo ordine era in precedenza noto come Coniferales. La caratteristica distintiva è la struttura riproduttiva nota come pigna, cono o strobilo, prodotta da tutte le Pinales. Tutte le conifere esistenti, come cedro, pino, abete, peccio, larice, cipresso, ginepro e tasso vi sono incluse. Alcune conifere fossili, comunque, appartengono ad altri ordini distinti all'interno della divisione Pinophyta. I tassi sono stati in passato separati in un ordine distinto (Taxales), ma le recenti prove genetiche indicano che sono monofiletici con altre conifere e sono ora inclusi nell'ordine Pinales. Altri progetti Collegamenti esterni Pinophyta
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Protone
Il protone è una particella subatomica dotata di carica elettrica positiva, formata da due quark up e un quark down uniti dalla interazione forte e detti "di valenza" in quanto ne determinano quasi tutte le caratteristiche fisiche. Costituisce il nucleo atomico assieme al neutrone, con il quale si trasforma continuamente mediante l'emissione e l'assorbimento di pioni. In quanto formato da quark appartiene alla famiglia degli adroni, in particolare al gruppo dei barioni, e avendo spin semi-intero è un fermione. Oltre che legato, sempre dall'interazione forte, nel nucleo atomico, può trovarsi libero, stato nel quale è fra le particelle più stabili esistenti, con un tempo medio di decadimento spontaneo ipotizzato pari o superiore all'età dell'universo. Scoperta ed etimologia Scoperto da Ernest Rutherford nel 1919, il nome "protone" venne introdotto nel 1920 dallo stesso Rutherford come "proton" (in inglese), basandosi sul termine πρῶτον (pròton) del greco antico, un superlativo di genere neutro che significa "che è dinanzi a tutti, il primo". Il termine inglese "proton" è stato importato in italiano aggiungendovi una -e finale per italianizzarne la forma; e quindi la parte finale "-one" di "protone" non è qui un suffisso e non deve quindi far pensare ad un accrescitivo, come peraltro accade in diversi altri casi in italiano; questo in contrapposizione a quanto accaduto al nome del neutrino, dove la desinenza -ino ha invece effettivamente valore diminutivo. Il nome venne infatti proposto da Fermi nel 1932 per l'allora "neutrone di Pauli" per differenziarlo dal "neutrone di Chadwick" (l'attuale neutrone), particella ben più massiva; poi il nome rimase. Esperimenti precedenti, fra cui quelli condotti dai fisici Eugen Goldstein e Wilhelm Wien, avevano già messo in luce l'esistenza nei raggi canale di particelle con carica positiva. Caratteristiche generali Il valore della carica elettrica del protone è uguale a quello dell'elettrone, ma di segno opposto (). Nei nuclei la forza repulsiva fra i protoni è bilanciata dalle presenza dei neutroni e dalla forza nucleare forte che attrae i nucleoni fra loro. La massa a riposo del protone è pari a circa (/c²), leggermente inferiore a quella del neutrone e circa 1836 volte superiore a quella dell'elettrone. Il momento magnetico del protone in unità di magnetone nucleare è pari a +2,793 μN: è stato possibile spiegare il valore anomalo del momento magnetico del protone solo grazie al modello a quark costituenti introdotto negli anni sessanta. Viene anche definito un raggio classico del protone: pari a , il quale però non ha un significato fisico ben definito. Infatti, sperimentalmente, la sua carica elettrica si distribuisce in una sfera di raggio medio pari a . Il raggio del protone è cioè circa volte più piccolo di quello dell'atomo libero di elio, che è di circa . Per avere un'idea della sua dimensione, si può considerare che il diametro di un capello umano è circa diecimila miliardi di volte maggiore di quello di un protone, oppure che il puntino di una i potrebbe contenerne circa 500 miliardi, seppure mediamente molto distanziati fra loro. Proprietà chimiche Il nucleo del più comune isotopo dell'idrogeno, il prozio, è costituito esclusivamente da un protone. I nuclei degli altri atomi sono composti da neutroni e protoni tenuti insieme dalla forza forte, che contrasta efficacemente la repulsione coulombiana dovuta all'interazione elettromagnetica fra cariche dello stesso segno. Il numero di protoni nel nucleo, detto numero atomico, determina, assieme al numero di elettroni, le proprietà chimiche dell'atomo e la natura stessa dell'elemento. In chimica e biochimica il termine viene usato quasi sempre impropriamente per riferirsi allo ione dell'idrogeno in soluzione acquosa (idrogenione), mentre in realtà il protone libero in soluzione acquosa non esiste ed esiste invece lo ione molecolare covalente idrossonio o semplicemente ossonio H3O+. In questo contesto, secondo la teoria acido-base di Brønsted-Lowry, un donatore di protoni è un acido e un accettore di protoni una base. Proprietà quantistiche Il protone, al contrario di altre particelle come l'elettrone, non è una particella fondamentale ma è costituito da quark e gluoni, legati dal meccanismo chiamato confinamento di colore. Il confinamento è una fenomeno risultante dalla interazione forte, la cui natura è però oscura ed elusiva. Ad esempio, è interessante notare che la grandissima parte, il 99% circa, della massa del protone, come di quella del neutrone, è determinata dall'energia della stessa interazione forte che tiene uniti i quark, piuttosto che dalla loro massa propria. L'intensità della forza nucleare forte decresce al crescere dell'energia delle particelle interagenti, sicché i quark e i gluoni si manifestano come particelle singole solo in collisioni ad alte energie o temperature, alle quali i protoni, come in generale gli altri adroni, fondono formando il plasma di quark e gluoni. La struttura interna dei protoni è studiata negli acceleratori di particelle attraverso gli urti elastici e anelastici ad alta energia fra protoni e nucleoni e fra protoni e leptoni, come gli elettroni. Da questo tipo di esperimenti, a partire da SLAC, è stato possibile scoprire per la prima volta l'esistenza di particelle interne al protone. Sulla base di questi esperimenti, Feynman formulò il modello a partoni, il primo che tenesse in considerazione la struttura composita del protone. Negli anni successivi, i partoni furono identificati con i quark e i gluoni, le cui interazioni sono descritte dalla cromodinamica quantistica. Dal punto di vista teorico, le funzioni di distribuzione dei quark e dei gluoni codificano la struttura composita del protone. Funzione d'onda dei quark di valenza Il protone è formato da tre quark detti di valenza, che sono in grado cioè di spiegare i suoi numeri quantici, come lo spin e la carica elettrica, ma che non catturano tutte le interazioni e le dinamiche interne al protone. Ad esempio, sapendo che il protone è formato da due quark up e uno down di valenza, e sapendo che il quark up ha carica elettrica , mentre quello down , è possibile calcolare che la carica elettrica del protone è uguale a . La funzione d'onda del protone deve essere totalmente antisimmetrica rispetto allo scambio di due quark di valenza, visto che il protone è un fermione. L'antisimmetria nel caso dei barioni è data dalle componenti di colore, mentre la funzione d'onda per le componenti di sapore e di spin è simmetrica e uguale a , dove a ciascun quark up o down è assegnato uno spin up o down . Il decadimento del protone In base agli attuali esperimenti di fisica particellare il protone è una particella "stabile", il che significa che non decade in altre particelle e quindi, entro i limiti sperimentali, la sua vita è eterna. Questo fatto è riassunto dalla conservazione del numero barionico nei processi fra particelle elementari. Infatti il barione più leggero è proprio il protone e, se il numero barionico deve essere conservato, esso non può decadere in nessun'altra particella più leggera. Tuttavia rimane aperta la possibilità che, in tempi molto più grandi di quelli finora osservati, il protone possa decadere in altre particelle. Diversi modelli teorici di grande unificazione (GUT) propongono infatti processi di non conservazione del numero barionico, tra cui proprio il decadimento del protone. Studiando questo eventuale fenomeno sarebbe possibile indagare una regione energetica attualmente irraggiungibile (circa ) e scoprire l'esistenza o meno di un'unica forza fondamentale. Per questo motivo nel mondo sono attivi diversi esperimenti che hanno come obiettivo quello di misurare la vita media del protone. Tale evento però, se esiste, è estremamente difficile da osservarsi in quanto richiede apparati molto grandi e complessi per raccogliere un numero sufficientemente grande di protoni ed avere una probabilità non trascurabile di rilevare un decadimento. Attualmente esistono solo dei limiti sperimentali per i diversi canali di decadimento, tutti molto maggiori dell'età dell'universo. Ad esempio, uno dei canali di decadimento maggiormente studiato è il seguente: con un limite inferiore per la vita media parziale pari a anni. Note Bibliografia ) Voci correlate Atomo Elettrone Neutrone Magnetone nucleare Altri progetti Collegamenti esterni Concetti fondamentali di chimica Barioni
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Provincia di Modena
La provincia di Modena è una provincia italiana della regione Emilia-Romagna di abitanti, la seconda per popolazione dopo quella di Bologna. Confina a nord con la Lombardia (provincia di Mantova), a est con la provincia di Ferrara e la città metropolitana di Bologna, a sud con la Toscana (province di Lucca e Pistoia), a ovest con la provincia di Reggio Emilia. Geografia fisica Orografia Come altre province emiliane la provincia di Modena è abbastanza nettamente divisa in: una zona pianeggiante (la bassa): va approssimativamente dalla parte a nord della via Emilia fino al confine con la Lombardia (territorio di Mirandola e Finale Emilia) una zona pedemontana e collinare: territorio che va da Vignola-Maranello-Formigine-Sassuolo alla via Emilia a nord una zona di montagna, il Frignano: da Serramazzoni fino al crinale dell'appennino tosco-emiliano, che comprende la cima più alta dell'Appennino settentrionale, il Monte Cimone (2165 m s.l.m.); la parte più alta di questo territorio è il parco regionale dell'Alto Appennino Modenese. Idrografia I fiumi più importanti della provincia sono la Secchia e il Panaro, due affluenti di destra del Po; da menzionare anche un affluente del Panaro, lo Scoltenna che dà nome ad un'ampia vallata ove si affacciano quasi tutte le località notevoli dell'Appennino e dominata dall'imponente presenza del Monte Cimone. Modena si è sempre fatta un vanto di essere l'unica città ad avere due fiumi vicini; nel centro della città, la grande fontana di piazza Garibaldi (Fontana del Graziosi) è detta anche Fontana dei due fiumi, ha infatti due sbocchi in cui si dice scorra acqua dei rispettivi bacini fluviali. Storia Il passato della provincia è costituito dal ducato di Modena e Reggio (una realtà che precede l'unità d'Italia) e alla cui voce si rimanda per la storia dettagliata dal XIII secolo al Regno d'Italia; basti qui ricordare che la casata nobiliare che ha segnato la storia del territorio è quella degli Estensi e che le province di Ferrara e di Lucca (la Garfagnana) sono state per molti anni consorti del Ducato Estense. La provincia di Modena venne istituita nel 1859, con decreto dittatoriale di Carlo Farini, in previsione dell'annessione dell'Emilia al Regno di Sardegna; era suddivisa nei circondari di Modena, di Mirandola, di Pavullo e di Castelnuovo di Garfagnana, quest'ultimo poi ceduto nel 1871 alla provincia di Massa e Carrara. Le prime elezioni provinciali si tennero il 12 febbraio 1860. Nel 1929 venne assegnato alla provincia di Modena il comune di Castelfranco Emilia, già in provincia di Bologna. A Modena uno degli edifici più notevoli è per l'appunto il Palazzo Ducale i cui giardini sono oggi in parte pubblici e in parte Orto Botanico; a Sassuolo è pure presente un Palazzo Ducale di minori dimensioni che era la residenza estiva del Duca. Per il passato più remoto si ricorda l'enorme produzione culturale ed economica determinata dalla presenza dell'abbazia di Nonantola, uno dei luoghi cardine del monachesimo in Italia (VIII secolo). Andando ancora più indietro in epoca pre-romana si ricordano i Galli Boi e i Liguri Friniati come le prime popolazioni storiche del territorio. Durante la seconda guerra mondiale in provincia di Modena il campo di Fossoli fu tristemente noto per essere stato un campo di smistamento di deportati per ragioni politiche o razziali. Il campo fu poi utilizzato da don Zeno Saltini per le sue iniziative a favore degli orfani e dei diseredati da cui nacque l'esperienza di Nomadelfia. Nei territori di montagna, venne creata la prima repubblica partigiana: la Repubblica partigiana di Montefiorino, con sindaco Teofilo Fontana, che comprendeva i territori di Montefiorino, Palagano, Frassinoro, Prignano sulla Secchia, Polinago e alcuni territori reggiani. Nel maggio e giugno 2012 la provincia di Modena è stata soggetta a una serie di violente scosse di terremoto con epicentri nella zona della bassa modenese, che hanno causato alcune vittime e grossi danni al patrimonio storico, agricolo ed industriale. In base al riordino istituzionale attuato dal governo Renzi con la legge Delrio le province cessano di esistere e vengono sostituite da "enti territoriali di area vasta" caratterizzati da elezione di secondo livello. Partecipano alla loro elezione i sindaci e consiglieri comunale dei comuni parte della vecchia provincia e, di conseguenza, parte anche del nuovo ente. Le prime elezioni si sono tenute il 4 ottobre 2014 e la cerimonia ufficiale di proclamazione è avvenuta il 6 ottobre 2014. Infrastrutture e trasporti La provincia ha una rete di trasporto pubblico su gomma esercitata dalla SETA, ed una linea ferroviaria tra la stazione di Modena piazza Dante (stazione centrale) e Sassuolo, dal 2 gennaio 2008 gestita da Tper. Tper gestisce anche l'autolinea Modena-Cento-Ferrara (550/551/552), che nel suo ultimo tratto attraversa la provincia. Di grande utilità è anche la ferrovia Verona-Mantova-Modena, che collega Modena con Carpi, e la Milano-Bologna, che la unisce a Castelfranco e Rubiera. L'intensità media è di 20 corse al giorno. La provincia è attraversata anche dalla linea Bologna–Verona, che passa per Mirandola, San Felice sul Panaro e Camposanto, nonché dalla linea Bologna - Vignola, con le stazioni in territorio modenese di Vignola, Savignano sul Panaro e Mulino. In passato la provincia di Modena era il gestore di un fitto sistema di trasporti su rotaia che la collegavano vari centri della provincia, con tre linee ferroviarie e due tranvie a vapore, la Modena-Maranello e la Castelfranco-Bazzano. Altre due linee ferroviarie vennero progettate ma mai realizzate completamente. Economia La provincia di Modena è economicamente una delle maggiori realtà europee. Infatti, qui hanno sede importanti industrie alimentari (tra cui Grandi Salumifici Italiani, Gruppo Cremonini e Gruppo Fini, centri di produzione del Parmigiano Reggiano e della lavorazione del maiale a cui Castelnuovo Rangone, il cuore di questo settore, ha dedicato addirittura un monumento), metalmeccaniche (Modena può essere considerata la capitale mondiale dell'automobilismo sportivo con le sedi della Ferrari a Maranello, della Maserati in città, De Tomaso in periferia e Pagani a San Cesario), delle ceramiche (la zona di Sassuolo, nel modenese, e di Scandiano, nel reggiano, è nota come "distretto della ceramica"), tessili (Carpi) e biomedicale (Mirandola). Gastronomia La provincia è al centro di una fortunatissima porzione della Pianura padana in cui si estendono le aree di produzione tipica del formaggio Parmigiano Reggiano e del prosciutto di Parma. Queste due glorie della gastronomia nazionale illustrano alla perfezione i caratteri della cucina modenese, basata sul formaggio e soprattutto sul maiale, l'animale d'allevamento più diffuso nella zona. Oltre al prosciutto (da segnalare la presenza anche di quello tipico di Modena, che è più sapido del parmense), tanti sono gli insaccati di suino che meritano di essere assaggiati: citiamo i salami, la mortadella e i ciccioli. Un piatto tipico delle feste invernali è lo zampone, ottenuto con carne macinata di maiale insaccata nella cotica della zampa anteriore. Ma dal maiale si ottiene anche lo strutto indispensabile per il tipico gnocco fritto: una focaccia quadrata che si accompagna molto bene ai salumi. Originaria dell'Appennino è invece la crescentina, detta anche tigella, cotta sulla pietra nella caratteristica forma rotonda. Anche in questo caso formaggio e salumi sono l'ideale complemento. Tipico delle zone montane in particolare di Guiglia, Zocca, Marano sul Panaro, Serramazzoni è anche il borlengo sottilissima sfoglia ottenuta cuocendo in apposite piastre "rola" un impasto di uovo latte acqua e sale, condito, una volta cotto, con la "cunza" ovvero lardo macinato, aglio e rosmarino. Delle zone più ad ovest, come ad esempio Montefiorino e Palagano, è tipico il ciaccio, una pietanza molto simile al borlengo. Sicuramente il territorio è famoso per i tortellini (turtléin), cioè pasta all'uovo con un ripieno di carne; solitamente vengono serviti in brodo. Ma la provincia di Modena è giustamente famosa per altri due prodotti tipici della tradizione: l'aceto balsamico e il vino lambrusco. Il primo si ottiene con l'uva bianca della zona collinare intorno a Spilamberto, e una sapiente lavorazione che prevede una complicata serie di passaggi tra botti di legni diversi (comunemente cinque). Di aceto balsamico esistono due tipi denominati il primo "Aceto balsamico tradizionale di Modena" il più costoso invecchiato anche più di venticinque anni prodotto con i metodi tradizionali e "Aceto balsamico di Modena" prodotto industrialmente e meno costoso. Quanto al lambrusco, è forse il più celebre dei vini rossi frizzanti. Gli intenditori sanno distinguere al primo sorso le differenti varietà: il Lambrusco di Sorbara rosso (prodotto nella pianura) ha un aroma più delicato e un profumo di violetta; il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro (prodotto sulla collina) ha una gradazione più alta e una caratteristica schiuma rossa. Si tratta in entrambi i casi di un vivace vino da pasto che va bevuto rapidamente, prima che svapori: non è un vino d'annata, anzi, esso dà il meglio di sé a un anno dall'imbottigliamento, mentre il novello è un vino ideale per i brindisi e i festeggiamenti. Si dice che il lambrusco "soffra" particolarmente i trasporti: perciò esso dovrebbe essere gustato appieno soltanto nel territorio modenese. Il che non gli ha impedito di essere commercializzato con successo un po' in tutto il mondo (anche se questa grande diffusione ha significato forse un abbassamento della qualità). Tra i liquori il più tipico è certo il nocino, un infuso in alcool dei malli verdi delle noci, che si raccomanda per il sapore intenso e le proprietà digestive; tra i dolci va ricordato il bensone, una sorta di pane dolce, cotto al forno e decorato con grani di zucchero: si mangia tagliato a fette e intinto nel vino. Sempre in provincia di Modena vengono prodotte le famose ciliegie di Vignola, rinomate per l'ottima qualità. Comuni Appartengono alla provincia di Modena i seguenti 47 comuni: Bastiglia Bomporto Campogalliano Camposanto Carpi Castelfranco Emilia Castelnuovo Rangone Castelvetro di Modena Cavezzo Concordia sulla Secchia Fanano Finale Emilia Fiorano Modenese Fiumalbo Formigine Frassinoro Guiglia Lama Mocogno Maranello Marano sul Panaro Medolla Mirandola Modena Montecreto Montefiorino Montese Nonantola Novi di Modena Palagano Pavullo nel Frignano Pievepelago Polinago Prignano sulla Secchia Ravarino Riolunato San Cesario sul Panaro San Felice sul Panaro San Possidonio San Prospero Sassuolo Savignano sul Panaro Serramazzoni Sestola Soliera Spilamberto Vignola Zocca Comuni più popolosi Di seguito è riportata la lista dei primi 15 comuni della provincia di Modena (dati Istat: 31/10/2022): Comuni ad estremità geografiche Unioni di comuni Le sei unioni di comuni sono: Unione dei Comuni dell'Area Nord, composta dai comuni di Camposanto, Cavezzo, Concordia sulla Secchia, Finale Emilia, Medolla (sede amministrativa dell'unione), Mirandola, San Felice sul Panaro, San Possidonio e San Prospero; Unione Terre d'Argine, composta dai comuni di Campogalliano, Carpi (Sede amministrativa dell'unione), Novi di Modena e Soliera; Unione del Sorbara, composta dai comuni di Bastiglia, Bomporto (Sede amministrativa dell'unione), Ravarino, Nonantola, San Cesario sul Panaro e Castelfranco Emilia; Unione Terre di Castelli, composta dai comuni di Castelnuovo Rangone, Castelvetro di Modena, Guiglia, Marano sul Panaro, Savignano sul Panaro, Spilamberto, Vignola (sede amministrativa dell'unione) e Zocca; Unione dei Comuni del Distretto Ceramico, composta dai comuni di Fiorano Modenese, Formigine, Frassinoro, Maranello, Montefiorino, Palagano, Prignano sulla Secchia e Sassuolo (sede amministrativa dell'unione). Comunità montane Unione dei Comuni del Frignano, che comprende i comuni di Fiumalbo, Fanano, Lama Mocogno, Montecreto, Pavullo nel Frignano (sede amministrativa), Pievepelago, Polinago, Riolunato, Serramazzoni e Sestola. Comunità montane soppresse Comunità montana Modena Est, che comprendeva i comuni di Guiglia, Marano sul Panaro, Montese e Zocca; Unione di comuni Montani Valli Dolo, Dragone e Secchia (ex Comunità montana Modena Ovest), che comprendeva i comuni di Frassinoro, Montefiorino, Palagano e Prignano sulla Secchia. Amministrazione Elenco dei presidenti Gemellaggi Note Bibliografia Saltini Antonio, Salomoni M. Teresa, Rossi Cescati Stefano, Via Emilia. Percorsi inconsueti fra i comuni dell'antica strada consolare, Edagricole, Bologna 2003, ISBN 88-506-4958-4 Antonio Saltini, Dove l'uomo separò la terra dalle acque, Storia delle bonifiche in Emilia-Romagna, Diabasis, Reggio Emilia 2005 ISBN 88-8103-433-6 Voci correlate Armoriale dei comuni della provincia di Modena Ducato di Modena e Reggio Arcidiocesi di Modena-Nonantola Diocesi di Carpi Ferrovie modenesi Tranvia Castelfranco-Bazzano Tranvia Modena-Maranello Dipartimento del Panaro Emilia Romagna Teatro Altri progetti Collegamenti esterni
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Piante transgeniche
Le piante transgeniche sono piante il cui DNA è stato modificato con tecniche di ingegneria genetica allo scopo di apportare miglioramenti o modifiche di una o più caratteristiche. Le piante transgeniche, spesso indicate con il termine più generale di OGM (Organismi Geneticamente Modificati), rappresentano una delle più rilevanti innovazioni apparse nell'ultimo decennio nel settore dei mezzi tecnici agricoli. Tecnicamente sono definiti organismi transgenici quegli organismi in cui i geni inseriti provengono da specie diverse (ad esempio geni di origine animale inseriti in piante, vedi transgenesi) mentre si indicano come organismi cisgenici quelli in cui si modificano/integrano geni appartenenti alla pianta stessa o a specie correlate. Nella accezione comune si tende a utilizzare indifferentemente il termine pianta transgenica o OGM per indicare le piante modificate geneticamente trascurando le distinzioni tecniche. Il miglioramento genetico tradizionale La selezione e il miglioramento delle varietà sono praticati da centinaia di anni, prima dai contadini nei campi coltivati e, successivamente, a partire dal XX secolo, nei laboratori e nei campi sperimentali dei genetisti. I metodi convenzionali di miglioramento genetico hanno il limite di non poter prescindere dall'incrocio sessuale seguito da ripetuti reincroci tra progenie e progenitori. Questo metodo, accanto ai caratteri di interesse, trasferisce anche caratteri non voluti. Per esempio, l'inserimento del carattere "seme giallo" in mais ha portato con sé oltre al gene di interesse altri 20 geni che sono oggi presenti in tutte le varietà a seme giallo; cosa siano e cosa facciano questi geni è ancora oggetto di ricerca. I metodi oggi impiegati per superare la barriera sessuale comprendono sia le colture in vitro (dove per il miglioramento si usano, ad esempio, la fusione di protoplasti, la variazione somaclonale, l'embriogenesi somatica o altre tecniche) sia la mutagenesi (che prevede l'irradiazione di vaste popolazioni vegetali con raggi X, raggi gamma, neutroni lenti e veloci o altri tipi di radiazione, per poi selezionare quegli individui – pochi – che presentano caratteristiche migliorative). Questi metodi però lasciano ampi spazi al caso e i criteri di selezione sono limitativi e non comprendono la conoscenza di cosa sia realmente mutato a livello genetico negli organismi selezionati. Si è ad esempio scoperto recentemente come tra 2 varietà di mais commerciali circa il 20% dei geni non sia condiviso, indicando come differenze fenotipiche all'apparenza piccole possano tradursi in profonde differenze genotipiche. La creazione di piante transgeniche Il paradigma biotecnologico rovescia l'approccio al miglioramento genetico: se fino a oggi si modificava in modo casuale e solo in un secondo momento avveniva la ricerca e selezione dei caratteri desiderati, oggi i biotecnologi si propongono di comprendere prima della modificazione i meccanismi di base dei caratteri che si intendono modificare e quindi di modificare o inserire solo quei geni che li controllano. Per inserire frammenti di DNA nelle piante possono essere utilizzate diverse tecniche, tra cui metodi biologici, impiegando l'agrobatterio (Agrobacterium tumefaciens), un microorganismo innocuo per l'uomo e molto diffuso in natura che possiede la capacità di trasferire alcuni suoi geni alle piante, oppure metodi fisici, utilizzando la biobalistica, ovvero "sparando" microproiettili ricoperti di DNA dentro le cellule vegetali. Dal momento che le cellule vegetali contengono al loro interno dei plastidi dotati di un proprio corredo genetico (peraltro di tipo procariota), è possibile modificare questo. Le piante così ingegnerizzate sono dette Transblastoniche. Confronto tra metodologie tradizionali e nuove Le nuove tecniche di miglioramento basate sulla trasformazione genetica presentano due sostanziali differenze rispetto al miglioramento genetico tramite incrocio: Specificità: la tecnologia è estremamente specifica, ovvero vengono inseriti solo i geni di interesse, mentre la riproduzione sessuale trasferisce (e "rimescola"), oltre al gene di interesse, migliaia di altri geni, della maggior parte dei quali non si conosce la sequenza e la funzione. Posizione del transgene nel genoma: In generale non è possibile prevedere a priori per le piante in quale posizione del genoma dell'ospite si inserirà il transgene (frammento di DNA inserito). È però possibile identificare con precisione la sua posizione dopo averlo trasferito. Sintetizzando dunque i due approcci, possiamo dire che gli incroci convenzionali chiamano in causa l'organismo intero, le tecniche di propagazione clonale si rivolgono alle cellule e l'ingegneria genetica si limita a modificare singole parti di DNA del genoma. Scopo delle piante transgeniche I campi nei quali le piante transgeniche vengono usate maggiormente a fini sperimentali sono quelli dei vaccini (sono state prodotte piante con antigeni di tantissimi agenti eziologici di malattie quali ad esempio AIDS, papilloma virus, epatiti, carie dentale, vaiolo), del biorisanamento di siti contaminati e della genomica funzionale (per scoprire cioè le funzioni di geni e proteine poco conosciute). La prima pianta transgenica posta in vendita fu ufficialmente il FlavrSavr (in USA nel 1994), un pomodoro modificato per rallentare il processo di decomposizione. Sono molti i geni oggi identificati che presentano potenziali applicazioni sia nel settore propriamente agricolo sia in quello più ampio del molecular farming (la produzione di sostanze industriali o farmecutiche dalle piante). Tra le applicazioni già in commercio o comunque prossime alla commercializzazione si trovano piante con caratteri di: tolleranza a stress atmosferici: temperature estreme; salinità: siccità e inondazioni; resistenza a virus, funghi e batteri; aumento della qualità e quantità del raccolto; tolleranza a erbicidi; resistenza agli insetti; produzione di sostanze come farmaci, vaccini, tessuti e materiali. La lista è largamente incompleta e in continua evoluzione, esiste comunque un database che contiene un elenco aggiornato degli eventi autorizzati (Agbios). Se si osserva la diffusione commerciale di piante transgeniche, che oggi investe a livello mondiale circa 160 milioni di ettari, pari a circa 10 volte la superficie agricola italiana, si nota comunque come il 99% di esse sia rappresentato da sole 4 varietà: soia, mais, cotone e colza modificate per ottenere la tolleranza agli erbicidi (principalmente al glyphosate o al glufosinato, cosiddetti erbicidi ad ampio spettro) o la resistenza ad alcuni insetti (ad esempio la piralide o la diabrotica per il mais). Diffusione delle piante transgeniche Secondo i dati diffusi dall'ISAAA (International Service for the Acquisition of Agri-biotechnology Applications) nel 2005 le piante transgeniche occupavano più di 81 milioni di ettari (pari a circa 190 milioni di campi da calcio), concentrati prevalentemente negli Stati Uniti, Argentina, Canada, Brasile e Cina. In tutte le nazioni d'Europa vengono coltivate piante transgeniche a fini sperimentali in condizioni controllate, vi sono anche piccole coltivazioni in campo aperto in Germania, Francia, Spagna, Repubblica Ceca, Romania, Bulgaria e altre nazioni dell'Europa orientale. Sempre secondo la stessa fonte nel 2006 la superficie totale dei biotech crops è di 102 milioni di ettari con un incremento del 135 rispetto all'anno precedente. Il numero dei Paesi interessati è salito a 22 di cui 11 paesi industrializzati e 11 in via di sviluppo. Detti 22 Paesi rappresentano il 55% della popolazione mondiale e il 52% della terra arabile del mondo. La graduatoria mondiale vedeva: Stati Uniti: 54,6 milioni di ettari Argentina: 18 milioni di ettari Brasile: 11,5 milioni di ettari Canada: 6,1 milioni di ettari India: 3,8 milioni di ettari Cina: 3,5 milioni di ettari Presunti rischi e relativo dibattito C'è ampio consenso in ambito scientifico nel ritenere che i cibi OGM non presentino rischi maggiori di quanti ne presenti il normale cibo. Non esistono infatti studi o report che documentino un qualche danno alla popolazione derivato da cibi OGM. Ciononostante a livello europeo esistono delle linee guida volte a indicare quali potenziali rischi vanno valutati prima di diffondere nell'ambiente un OGM e prevede una valutazione preventiva dei seguenti aspetti: Rischi ambientali: Cambiamenti nell'interazione tra pianta e ambiente biotico: Persistenza e invasività Vantaggi o svantaggi selettivi Trasferimento di geni Interazioni con organismi target (esempio induzione di resistenza negli insetti infestanti cui le piante sono resistenti) Interazioni con organismi non-target (esempio effetti su api e altri insetti non infestanti, con conseguenze sulla biodiversità) Interazioni con l'ecosistema del suolo con conseguenti effetti biogeochimici Cambiamenti nell'interazione tra pianta e ambiente abiotico: Alterazioni nelle emissioni di gas serra Alterazioni nella sensibilità a effetti climatici Alterazioni nella sensibilità a fattori abiotici del suolo (salinità, minerali...) Rischi per la salute umana o animale: Effetti tossicologici Effetti tossici delle proteine sintetizzate dai geni inseriti Effetti tossici di costituenti diversi dalle proteine Allergenicità Cambiamenti nel valore nutritivo Trasferimento di antibioticoresistenza Note Bibliografia De Virgilio M et al, The human immunodeficiency virus antigen Nef forms protein bodies in leaves of transgenic tobacco when fused to zeolin, Journal of experimental botany, 59(10), p. 2815-29, 2008. Břiza J. et al, Production of human papillomavirus type 16 E7 oncoprotein fused with β-glucuronidase in transgenic tomato and potato plants, Biologia Plantarum, 51 (2), p. 268-276, 2007. Richter LJ et al, Production of hepatitis B surface antigen in transgenic plants for oral immunization, National biotechnology, 18, p. 1167-71, 2000. Twyman RM et al, Molecular farming in plants: host system and expression technology, Trends in biotechnology, 21(12), p. 570-578, 2003 Watson Gilman Witkowski Zoller, DNA ricombinante, 1ª ed. Zanichelli Paolo Costantino, inserto redazionale allegato a Scienza e dossier, 1º marzo 1986 Alessandro Bruni, Farmacognosia generale ed applicata, Piccin Arms & Camps, Biologia, Piccin Maria Fonte, Organismi geneticamente modificati. Monopolio e diritti, Franco Angeli 2004 APAT (Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici), Piante Geneticamente Modificate e ambiente, settembre 2004, ISBN 88-448-0127-2 Voci correlate Miglioramento genetico Biotecnologie Organismi geneticamente modificati Propagazione clonale DNA ricombinante (botanica) Rivoluzione verde Altri progetti Collegamenti esterni Database Agbios che raccoglie tutti gli eventi autorizzati Biotecnologie OGM Piante per tipo
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https://it.wikipedia.org/wiki/Piano
Piano
Edilizia Piano – in architettura, livello di un edificio Piano di campagna o piano campagna – livello di riferimento usato in edilizia e ingegneria Piano di calpestio Geografia Comuni Piano – comune francese della Corsica settentrionale Piano di Sorrento – comune italiano della città metropolitana di Napoli Frazioni Piano – frazione di Ariano nel Polesine in provincia di Rovigo Piano – frazione di Costa Volpino in provincia di Bergamo Piano – frazione di Vallarsa in provincia di Trento Piano – frazione di Montoro in provincia di Avellino Piano Porlezza – frazione di Carlazzo in provincia di Como Piano – frazione di Commezzadura in provincia di Trento Piano – frazione di Gaverina Terme in provincia di Bergamo Laghi Piano – lago della provincia di Como Isole Piano (Ravnik) – isolotto nell'arcipelago di Lissa (Croazia). Musica Piano – indicazione dinamica musicale Piano – nome alternativo del pianoforte Piano – brano musicale composto da Tony De Vita, cantato da Mina e da Frank Sinatra nella versione inglese intitolata Softly, As I Leave You Piano – album di Sergio Cammariere del 2017 Persone Matteo Piano – pallavolista italiano Renzo Piano – architetto e senatore a vita italiano Rosellina Piano – scrittrice italiana Stefano Piano – storico delle religioni, orientalista e indologo italiano Altro Piano – insieme di scelte e regole, solitamente organizzate nel tempo, per il conseguimento di un determinato obiettivo nel futuro Piano - strumento di pianificazione territoriale / urbanistica Piano – concetto primitivo della geometria Piano – in fotografia, termine usato per indicare l'ampiezza di un'inquadratura Piano – in geologia, unità cronostratigrafica Piano – in informatica, nello standard Unicode, gruppo continuo di 65 536 punti di codice PIANO – serie animata giapponese Altri progetti
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https://it.wikipedia.org/wiki/Propagazione%20clonale
Propagazione clonale
La propagazione clonale è un metodo di propagazione di una pianta che permette di ottenere un clone della pianta, ovvero un insieme di individui dotati dello stesso patrimonio genetico. Si tratta quindi di un metodo di clonazione di organismi vegetali. Tale risultato si può ottenere con metodi diversi: moltiplicazione vegetativa (talea e margotta) e micropropagazione. Fra le più antiche e diffuse metodiche di propagazione di una pianta troviamo le talee e le margotte, le quali prendono spunto proprio dalla riproduzione vegetativa (o agamica) delle cormofite. La riproduzione vegetativa determina l'aggressività di una specie nel colonizzare l'ambiente, non porta vantaggi evolutivi perché gli organismi che nascono sono tutti geneticamente identici al capostipite. In molte crittogame pluricellulari (funghi, licheni, briofite e pteridofite) avviene per mezzo di spore, prodotte in seguito a mitosi e contenute negli sporangi, nelle cormofite (pteridofite e spermatofite) per mezzo di parti del corpo della pianta che una volta caduti a terra possono metter radici. La talea è una porzione di corpo vegetale (di solito fusto o ramo) tagliata subito sotto il nodo, senza foglie, e interrata. La riuscita dell'operazione dipende dalla capacità di mettere radici. La margotta consiste nel far formare le radici alla parte di corpo vegetale che si interrerà mentre è ancora unita alla pianta madre. Il ramo o il fusto è inciso e cinto di un manicotto di terra o torba ben inumidita in cui affonderanno le nuove radici. È quindi un metodo più rapido ed efficiente della talea. È evidente che queste metodiche non apportano cambiamenti genetici, ma servono solo per clonare la pianta. Micropropagazione L'uso dei terreni di coltura con le cellule vegetali ha permesso ai ricercatori di studiare i cosiddetti calli, ammassi cellulari indifferenziati propagabili in vitro all'infinito. Per ottenere i calli occorre innanzitutto espiantare delle cellule dalla pianta. A seconda della specie si preferisce scegliere tra: Punte di germogli; Foglie; Gemme laterali; Tessuto del fusto o delle radici; La pianta originale in questo processo non è distrutta. Fondamentale si sono sterilizzati i tessuti prelevati, per evitare che la rapida crescita dei batteri presenti sulla superficie delle piante soffochi la crescita del callo; sminuzzando e trattando con cellulasi si libera il protoplasto, che dopo qualche ora incomincia a ricostruirsi la parete (ovviamente se l'enzima è tolto dal medium). Fatta la nuova parete la cellula comincia a dividersi se sono presenti le giuste sostanze nutritizie (sali, zuccheri e vitamine) e tracce di ormoni vegetali. Incominceranno così a formarsi dei germogli, che potranno essere separati e trattati ancora con cellulasi per un nuovo ciclo di propagazione. Si possono ottenere calli sia da cellule somatiche sia da cellule sessuali. Attraverso il passaggio a protoplasto, le cellule tessuto-specifiche della pianta si differenziano in cellule totipotenti, capaci cioè di esprimere qualsiasi parte della loro informazione genetica. Questa caratteristica, insieme alla capacità di formare stipiti cellulari immortali, differenzia le cellule vegetali da quelle animali. Ogni cellula di un callo può rigenerare l'intera pianta da cui è stata isolata in due modi principali: Embriogenesi somatica:: dal callo origina un embrione, che si sviluppa poi in pianta adulta (per esempio la carota); Organogenesi somatica:: dal callo si rigenera un organo, di solito foglioline, e in seguito il resto della pianta (per esempio il tabacco). In entrambi i casi la crescita in vitro avviene nei Fitotroni, celle climatiche sterili in cui temperatura, umidità e ciclo luce-buio sono controllati e programmabili. Con l'embriogenesi somatica si possono incapsulare gli embrioni vegetali di certe specie (come carote, sedano e pomodoro) per ottenere semi artificiali. Una parte importante spetta agli ormoni vegetali, il cui ruolo è stato scoperto proprio grazie all'analisi del comportamento delle cellule in coltura; la produzione di radici è controllata dalla classe di ormoni Auxine, mentre le Citochinine regolano la crescita dei germogli e quindi del fusto. Li si può usare come induttori nelle talee e margotte. È evidente quindi che queste tecniche di micropropagazione permettono di generare moltissime piante, anche milioni, nel giro di pochi mesi. Inoltre si ha la possibilità di evitare che si formino piante infette semplicemente usando tessuti meristematici o prelevando tessuti in zone sane della pianta e coltivando in presenza di antibiotici e antivirali. Variabilità somaclonale Spesso le piante ottenute per micropropagazione non sono geneticamente identiche all'originale. Si verificano con maggior frequenza mutazioni quando le cellule sono coltivate in vitro. Questa variabilità somaclonale è considerata utile, in quanto è uno strumento per ottenere piante migliori dell'originale. Si distingue: Variabilità genetica:: mutazioni ereditabili del DNA; Variabilità epigenetica :: mutazioni non ereditabili, potenzialmente reversibili che non implicano modificazioni genetiche permanenti (Meins and Thomas, 2003); Ovviamente non tutte le mutazioni saranno vantaggiose, ma fra le tante che avvengono qualcuna lo sarà, e la si potrà selezionare. Siccome è improbabile che la stessa mutazione capiti su entrambi gli alleli di una pianta diploide (per non parlare delle piante tetraploidi...), quando si vuole sfruttare il fenomeno della variabilità somaclonale per ottenere mutanti migliori si coltivano in vitro cellule aploidi come il polline immaturo. Dosando opportunamente gli ormoni vegetali si induce l'embriogenesi di piante aploidi. Questo facilita il riconoscimento di mutazioni, visto che l'eterozigosi le può mascherare fenotipicamente. Una volta riconosciuta e isolata la pianta mutata si può ristabilire lo stato diploide con la colchicina, un alcaloide derivato dal colchicum autumnale che si lega alle molecole di tubulina impedendo la formazione del fuso mitotico e quindi la citodieresi. I cromatidi fratelli si separano e diventano cromosomi omologhi. Questa tecnica è nota col nome di androgenesi. Molte specie di interesse commerciale (più di un centinaio) portano miglioramenti ottenuti in questo modo, fra cui spiccano tabacco, orzo, vite, patata, riso, granoturco e frumento. Meccanismi che producono variabilità Cambiamenti nella ploidia delle cellule in coltura Questi sono dovuti a: L'origine del tessuto usato per l'espianto, in quanto tanto più lontano dagli apici meristematici tanto più alta la frazione di cellule tetra- e octaploidi; Gli effetti del processo di coltura stesso (durata, ormoni, limitazioni nutrizionali); Tre fenomeni che capitano durante la mitosi: Endomitosi :: i cromatidi fratelli si separano ma non c'è formazione del fuso né citodieresi; Endoreduplicazione :: i cromosomi all'interfase subiscono un'extra-duplicazione; Formazione di un plasmodio :: non c'è citodieresi, si formano cellule bi- o multinucleate; Un alto tasso di questi fenomeni non corrisponde a un'alta percentuale di cellule o piante poliploidi. Ciò è dovuto alla selezione diplontica: in una popolazione mista di cellule con diversa ploidia, le diploidi conservano il loro potenziale organogenetico meglio delle poliploidi, probabilmente per un'accresciuta abilità a formare meristemi. Riarrangiamenti chimerici di strati tissutali Molte piante da ortocoltura sono chimere periclinali, cioè hanno subito una mutazione in una cellula meristematica e questa ha dato origine a uno strato diverso dal precedente e dal successivo. Le cellule dei meristemi infatti possono dividersi in modo anticlinale (perpendicolarmente alla superficie) o periclinale (parallelamente); se una cellula continua a dividersi periclinalmente dà origine a uno strato di tessuto. Questi strati possono mescolarsi durante una proliferazione rapida come quella dei calli (se viene usato proprio quel meristema). Quindi piante rigenerate con questi imprevisti possono contenere una diversa composizione chimerica o addirittura non esser più chimeriche. Cambiamenti strutturali nella sequenza del DNA Sono indotti da radiazioni e da sostanze chimiche ma possono esser anche spontanei. Le grossolane alterazioni del genoma sono la causa principale della variabilità somaclonale. Distinguiamo: Delezioni Inversioni Duplicazioni Trasposizioni Mutazioni puntiformi Queste alterazioni, come i cambiamenti di ploidia, aumentano all'aumentare della durata della coltura. Alterazioni fenotipiche epigenetiche Sono cambiamenti temporanei e reversibili, ma possono persistere per tutta la vita della piantina rigenerata. Comune è il fenomeno del ringiovimento, soprattutto in specie legnose (Gimnosperme), che porta a differenze morfologiche, fioritura precoce, aumento della formazione di radici avventizie e del vigore della pianta. Le cause di queste alterazioni non ereditabili non sono note, ma probabilmente son indotte dall'ambiente di coltura. Selezione in vitro Con questo metodo si può ottenere una pianta resistente a malattie, insetti e stress ambientali. Implica il sottoporre una popolazione calliforme a un'adatta pressione selettiva (come la crescita in piccole dosi di erbicidi) e il recupero di una linea variante di cellule che ha sviluppato resistenza o tolleranza allo stress. Si avvantaggia della velocità di propagazione in coltura dei calli per attuare una vera e propria selezione naturale (mutazioni spontanee) o per ottenere variabilità con agenti chimici o fisici (mutazioni indotte). I campi di ricerca tentano di selezionare linee resistenti alla salinità, al freddo, agli erbicidi, ai metalli pesanti. Ibridi cellulari L'informazione genetica contenuta in cellule di diversa origine può essere combinata in un singolo nucleo attraverso la fusione cellulare. La fusione cellulare richiede che delle cellule entrino in contatto e include una breve distruzione delle membrane cellulari usando agenti chimici. Quando avviene la ricostituzione delle membrane, le cellule adiacenti possono riformare insieme le loro membrane producendo una singola cellula ibrida. Inizialmente la cellula derivata da fusione conterrà due nuclei (eterocarionte binucleato), ma dopo la divisione cellulare i corredi cromosomici delle due cellule si vengono a trovare dentro un singolo nucleo (sincarionte). È possibile eseguire la fusione sia su due tipi di cellule che appartengono alla stessa specie (si parla in questo caso di ibridi interspecifici) sia su due tipi di cellule appartenenti a specie diverse. Nel primo caso la cellula ibrida conserverà l'intero assetto cromosomico delle due cellule di partenza, mentre nel secondo caso la cellula fusa tende a eliminare i cromosomi appartenenti a un tipo di cellula. I prodotti della fusione di più di due cellule hanno in genere scarse possibilità di sopravvivenza. Si possono ibridare qualsiasi cellula con qualsiasi altra, senza limiti; sono stati fatti esperimenti molto fantasiosi, nei quali si ottenevano cellule di uomo-topo, cellule animali-vegetali e addirittura con microrganismi! Isolando gli ibridi così ottenuti si potrà propagare in coltura una linea cellulare ibrida, tanto più stabile quanto più simili erano gli organismi di partenza. Successivamente alla fusione dei nuclei, nel corso delle seguenti divisioni cellulari, i geni di una delle due specie vengono progressivamente eliminati. Questo ha permesso lo studio dell'espressione genica in ambienti cellulari diversi del solito e soprattutto dell'organizzazione del genoma: controllando quale cromosoma o frammento di cromosoma è stato perso, è possibile stilare una mappa genetica dei cromosomi che contenga la localizzazione di ogni singolo gene. Nonostante questo sbarramento alla formazione di una pianta completamente ibrida, si è visto che una frazione dei geni può essere conservata, con formazione del cosiddetto ibrido asimmetrico. Si ottiene così una pianta con tutte le caratteristiche di un progenitore più qualche tratto dell'altro. In questo modo è possibile trasferire qualità utili anche se l'ibridazione sessuale non lo permette. L'ibridazione sessuale altro non è che l'impollinazione guidata dall'uomo di una pianta di varietà o, quando è possibile, di specie diversa. Si riuniscono così le qualità positive di varietà diverse, selezionando poi per diverse generazioni fino a stabilità genotipica e fenotipica. Bibliografia Watson Gilman Witkowski Zoller, DNA ricombinante, 1ª ed. Zanichelli Paolo Costantino, inserto redazionale allegato a Scienza e dossier, 1º marzo 1986 Alessandro Bruni, Farmacognosia generale ed applicata, Piccin Arms & Camps, Biologia, Piccin Voci correlate Piante transgeniche DNA ricombinante (botanica) Talea Margotta Collegamenti esterni Micropropagazione il Blog Tecniche botaniche
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https://it.wikipedia.org/wiki/DNA%20ricombinante%20in%20botanica
DNA ricombinante in botanica
Questa voce tratta del DNA ricombinante in botanica, e con specifico riferimento alle piante transgeniche. Agrobacterium Agrobacterium tumefaciens L'A. tumefaciens è un batterio aerobio Gram negativo che induce tumori nella zona d'infezione, noti col nome di Galla del colletto, cioè della parte di confine tra fusto e radici. Le cellule infette acquisiscono la proprietà di crescere in modo non regolato, e la mantengono anche se il batterio non è più presente; sono perciò vere e proprie cellule tumorali il cui genoma è stato però integrato con porzioni estranee. Cellule danneggiate di una pianta (per es. da una lesione) liberano fattori (quali ad esempio acetosiringone) che attivano nel batterio i geni vir, responsabili della virulenza, localizzati nel plasmide Ti tumor inducing. Verranno sintetizzate proteine con funzione di fattori di trascrizione. I plasmidi sono molecole di DNA circolare extracromosomico non strettamente necessari ai batteri, ma che apportano vantaggi. Conferiscono resistenza ad antibiotici, patogenicità, capacità di metabolizzare in nutrienti sostanze insolite, ecc. Sono trasmissibili sia verticalmente da un batterio alla progenie, sia orizzontalmente da batterio a batterio. Nell'ingegneria genetica sono usati come vettori per il trasporto di DNA. Questo plasmide contiene anche un segmento denominato T-DNA, portante geni per la sintesi di opine, di enzimi che degradano le opine e di fitormoni (auxine e citochinine) responsabili dei sintomi della malattia. Segmento del plasmide Ti selvatico: La sintesi di opine (derivati di amminoacidi) avviene grazie ad alcuni enzimi codificati dal T-DNA i quali portano alla modificazione di certi amminoacidi che solo il batterio infettante è in grado di metabolizzare come fonte di carbonio e di azoto. Il T-DNA in seguito alla produzione dei TF (fattori di trascrizione) della virulenza, viene escisso all'altezza delle due sequenze border a monte e a valle del T-DNA stesso, che passa come singolo filamento nella cellula vegetale in un processo simile alla coniugazione batterica. Il plasmide è riparato per replicazione del DNA. Una volta all'interno della cellula, al T-DNA non rimane che entrare nel nucleo e integrarsi col DNA cellulare in un sito casuale all'interno di un promotore genico e fuori da una sequenza codificante, di solito in copie multiple. Questo fa sì che vengono prodotti fitormoni (auxine e citochinine) con vie metaboliche diverse rispetto a quelle utilizzate normalmente dalla pianta e che essa non può controllare; ciò sovverte il metabolismo della cellula mettendola al servizio del suo sofisticato parassita genetico. Inoltre l'eccessiva produzione di fitormoni nelle cellule vegetali infettate causa una crescita abnorme dei tessuti infettati. Ai fini della infezione il T-DNA originario non è importante, infatti i vettori di trasformazione agrobatterici usati in ingegneria genetica vengono detti "disarmati", in quanto il T-DNA originario è sostituito con i geni che si vogliono esprimere in pianta. Ricapitolando, il processo di infezione si compone di: Chemiotassi e legame iniziale del batterio al sito della lesione; Sviluppo di un ancoraggio solido; Inizio della escissione del T-DNA e del suo impacchettamento con proteine; Costruzione del canale transmembrana; Migrazione del T-DNA nella cellula vegetale; Migrazione del T-DNA nel nucleo, integrazione e trascrizione. Agrobacterium rhizogenes Esiste anche A. rhizogenes, un altro Gram negativo che contiene al posto del plasmide Ti il plasmide Ri, root inducing. Con lo stesso procedimento esso guida le cellule in cui è integrato a differenziarsi in radici, dette hairy roots, radici pelose, anche nelle quali si producono opine. Da radici hairy root indotte dal batterio è stato possibile ottenere, direttamente o più spesso via coltura di tessuti, intere piante transgeniche contenenti il T-DNA trasformante. L'analisi fenotipica di questi individui ha messo in evidenza una serie di modificazioni caratteristiche dette fenotipo hairy roots. Seppure con alcune diversità tra le specie studiate, le piante transgeniche presentano un colore verde più intenso nelle foglie, un'altezza minore per accorciamento degli internodi, perdita della dominanza apicale con maggior sviluppo delle gemme ascellari, accartocciamento fogliare, una accentuata rizogenesi con parziale perdita del geotropismo radicale 2.1, una riduzione della fertilità e della produzione di seme, e in specie bi- e poliennali una riduzione del periodo di vita. Tutto ciò non farebbe certo pensare a una possibile utilizzazione di un gruppo di geni in grado di scatenare alterazioni così negative della pianta. Il T-DNA di A. rhizogenes, di cui si conosce la sequenza nucleotidica, è composto di 18 open reading frame (ORF), cioè presumibilmente di 18 differenti funzioni geniche, la dissezione delle quali e il loro trasferimento in pianta ha permesso di appurare che il fenotipo hairy root può essere indotto trasferendo nella pianta solo tre dei 18 geni presenti nel T-DNA, in particolare ORF 10, 11, 12 (secondo una definizione genetica rol A, B, C, dove rol sta per root locus) e che l'intensità delle modificazioni è funzione sia del numero di copie del frammento di T-DNA presente sia del livello di espressione dei geni stessi. Metodo della cointegrazione Viste le premesse si è quindi ben pensato di sfruttare queste conoscenze per introdurre un carattere utile in una pianta. Questo metodo è stato sviluppato per evitare i problemi associati alla manipolazione di frammenti di DNA grandi quanto il plasmide Ti. Il T-DNA è stato clonato nel vettore standard pBR322 di E. coli assieme al gene NPT2 (per la resistenza alla kanamicina), al gene AMPr (per la resistenza all'ampicillina) e al gene d'interesse. Il risultato è un plasmide detto integrativo. Sono semplici operazioni di taglia-cuci attuate con gli enzimi di restrizione adatti, cioè che separano il frammento più piccolo possibile senza toccare il gene utile. Plasmide integrativo: ------------------------------------- | | | | | --------------| T-DNA | gene | NPT2 | AMPr |-------------- | | | | | | | | ------------------------------------- | | | ----------------------------------------------------------------- Si trasforma il plasmide (che è in provetta) in E.Coli e si selezionano i batteri trasformati con l'ampicillina (e qui ci viene utile il marcatore che dà la resistenza all'ampicillina, pBR322). Si mettono questi a contatto con Agrobacteria intatti, e, in condizioni adatte alla coniugazione, il plasmide ricombinante viene trasferito in Agrobacterium, che avrà ora il suo Ti normale e il plasmide integrativo. Entrambi hanno il frammento T-DNA, le cui sequenze potranno interagire per dare ricombinazione omologa, cioè la fusione del plasmide integrativo, grande circa 5 kilobasi (kb), col più grosso plasmide Ti (200 kb). I plasmidi che non si integrano non si accumulano perché mancano di un'origine di replicazione per Agrobacterium (la cosiddetta oriC in E.Coli). Si selezionano con la kanamicina gli Agrobacteria contenenti il plasmide Ti ricombinato (e qui ci torna utile l'altro marcatore usato, NPT2). Il sistema è straordinariamente efficiente, fino al 50 % dei protoplasti trattati contiene ed esprime il DNA trasferito dall'Agrobacterium. Quest'alta efficienza di trasformazione ci permette di selezionare e clonare facilmente i protoplasti modificati. Sistema binario È oggi il metodo standard per il trasferimento del T-DNA. Fa uso di due plasmidi, vettore binario e plasmide helper. Il vettore binario è semplicemente un plasmide Ti senza il T-DNA, al posto del quale sono inseriti tra i border destro e sinistro il gene da trasferire nella pianta e un marcatore di selezione. Un altro marcatore è inserito all'esterno dei border per la futura selezione in E. coli. Da notare che questo vettore mantiene l'origine di replicazione per Agrobacterium. Vettore binario -------------------------------------------------- --------------- | Marcatore | left | gene | Marcatore | right | |Origine di | ---| batterico | border | | per calli | border |---|replicazione |--- | | | | | | | | | | | -------------------------------------------------- --------------- | | | -------------------------------------------------------------------------- Il plasmide helper è un plasmide Ti senza il T-DNA ma con ancora i geni vir. Il vettore binario è trasformato in E. coli, dopo selezione i trasformanti sono fatti coniugare con un ceppo di Agrobacterium contenente il plasmide helper ma non il Ti. In questo modo, in seguito all'attivazione da parte di una pianta ferita, le proteine dei geni vir (del plasmide helper) traslocano il frammento di DNA tra i due border (del vettore binario) nella cellula vegetale. Il vettore binario, cioè il plasmide contenente il DNA da trasferire, è mantenuto come vettore che si replica separatamente in Agrobacterium; in ciò sta la differenza col metodo della cointegrazione. Tecnica dei dischi fogliari Non è facile far crescere piante intere a partire da protoplasti, anche per le specie più adatte. Un miglioramento lo si ebbe con questa tecnica, visto che le foglie sono una buona fonte di cellule rigeneranti. Si ritagliano piccole forme a disco dalle foglie, i cui margini sono prontamente infettati se si inocula con Agrobacteria. I dischi sono poi trasferiti su carta da filtro posta sopra cellule nutrici che producono fattori di crescita. Dopo 2-3 giorni di coltura si trasferisce in terreno stimolatore di germogli (citochinine) dove le cellule che recano il plasmide sono selezionate grazie a un marcatore (antibiotico). Per non correre il rischio di diffondere Agrobacteria ricombinanti nell'ambiente si aggiunge alla coltura un antibiotico come il cefotaxima che uccide il batterio. I germogli si sviluppano in poche settimane, si trasferiscono quindi in terreno che induce la formazione delle radici (auxine). L'intero processo prende da 4 a 7 settimane ed è applicabile a un'ampia varietà di dicotiledoni. Marcatori di selezione I Geni reporter ci forniscono supporto nel visualizzare le cellule trasformate. Il gene di E. coli per l'enzima β-glucuronidasi (GUS) viene spesso affiancato al DNA da trasfettare alle piante perché esse hanno livelli inapprezzabili di quest'enzima. Quando cellule che esprimono il GUS sono incubate con X-glucuronide, si produce una colorazione blu individuabile con metodi istochimici. Oppure se si usa un substrato differente, il GUS può essere misurato quantitativamente con un fluorimetro. Unico svantaggio è che le cellule devono essere uccise per l'analisi istochimica. Altrimenti, usando il gene della luciferasi come gene reporter, all'aggiunta di adenosintrifosfato (ATP) e luciferina nel terreno di coltura viene prodotta luce, rilevabile anche per mezzo di un film fotografico. Spesso, quando si è già certi di un metodo e non c'è bisogno di confermare l'avvenuta trasformazione, si usano antibiotici in modo da eliminare direttamente le cellule non trasformate. Uso di virus I virus sarebbero la soluzione ideale per trasferire del DNA a tutte le cellule di una pianta adulta, visto che si sono adattati nell'evoluzione a fare proprio questo, ma la quasi totalità dei virus vegetali sono a RNA. Solo due classi di virus contenenti DNA sono note, il virus del Mosaico del cavolfiore (caulimovirus) e i Geminvirus. Il caulimovirus ha una molecola circolare di DNA di piccole dimensioni, si diffonde nella pianta attraverso il sistema vascolare e non può esser trasmesso attraverso i semi. L'ultima caratteristica è molto interessante perché permette di controllare la diffusione dei geni nuovi, ma il virus del mosaico del cavolfiore ha due grandi svantaggi, infetta solo qualche pianta della famiglia del cavolfiore ed è in grado di trasportare nel suo capside solo brevi sequenze di DNA (300-400 basi). I geminivirus hanno genomi fatti da due molecole a singola elica di DNA, ciascuna delle quali passa attraverso una forma replicativa a doppia elica. La molecola A da sola è capace di replicarsi nelle cellule della pianta, ma per l'infettività è richiesta la molecola B. Poiché il DNA replicativo a doppia elica (molecola A) è infettivo anche in assenza del rivestimento proteico, molte delle regioni che codificano proteine di rivestimento possono venir eliminate per far luogo a un transgene. Il DNA A può quindi esser inserito fra le sequenze border del T-DNA, e così il DNA B fra altri border, per costituire il vettore binario, che verrà usato nel sistema binario. Altro Trasformazione diretta La sorte di un acido nucleico introdotto come tale in una cellula è quella di esser rapidamente degradato enzimaticamente. Qualche cellula, detta cellula competente, è in condizioni particolari e accetta l'integrazione del DNA estraneo nel genoma. Il principale vantaggio è che richiede poca manipolazione del DNA, ma ha una frequenza di trasformazione a tutt'oggi piuttosto bassa, circa l'1%. Microiniezione Manovrando un sottilissimo ago di vetro con meccanismi che permettono spostamenti minimali e lavorando costantemente al microscopio è possibile perforare la membrana di una cellula senza ucciderla e iniettarvi piccole quantità di DNA. La microiniezione può scavalcare i problemi legati all'uso dei protoplasti e delle colture in vitro con le monocotiledoni importanti per l'agricoltura. In teoria basterebbe iniettare il gene nel polline e impiantare questo nell'ovario della specie per ottenere il seme transgenico e quindi la pianta. Bombardamento Il DNA può esser precipitato con CaCl2 su sfere di tungsteno (o di oro) di 1 µm di diametro e sparato con un cannone speciale su vari bersagli alla velocità di circa 430 m/s. Il cannone e la camera del campione devono essere sottovuoto 2.2 altrimenti la resistenza dell'aria rallenta i microproiettili. I bersagli finora usati sono colture in sospensione di cellule embrionali piastrate su filtri, foglie intatte e chicchi di mais. Le cellule situate nella traiettoria diretta di tiro vengono uccise, ma c'è una zona concentrica in cui i proiettili penetrano senza uccidere la cellula. L'analisi con vettore GUS ha dimostrato che le particelle penetrano nel mesofillo delle foglie attraversando l'epidermide. Un importante risultato è stato ottenuto con questa tecnica nel rendere resistente a un erbicida (PPT, fosfinotricina) cellule embriogeniche di mais. Test finali Arrivati al punto in cui si è riusciti a far crescere una pianta transgenica occorre fare dei test per valutare: L'attività del gene introdotto; L'ereditabilità del gene; Effetti non previsti su crescita della pianta, qualità, ecc. Se una varietà transgenica passa questi test, molto probabilmente non sarà comunque coltivata, ma sottoposta a una serie di incroci per ottenere ancora varietà migliori. Questo perché le poche varietà di una specie che possono essere efficientemente trasformate, generalmente non possiedono tutte quelle qualità richieste dal produttore e dal consumatore. Per cui la pianta transgenica è sottoposta a ripetuti incroci con una pianta di una varietà migliore al fine di recuperare il più possibile del genoma di quest'ultima con in più il transgene. Il passo successivo è rappresentato dai test per valutare le prestazioni della pianta transgenica negli anni e nei diversi ambienti in cui sarà coltivata, quali il campo o la serra. Questa fase include anche la valutazione degli effetti sull'ambiente e della sicurezza dell'alimento. La lista è largamente incompleta, anche perché non è ancor del tutto conosciuta; Per inquadrare meglio l'argomento possiamo dire che gli incroci convenzionali chiamano in causa l'organismo intero, le tecniche di propagazione clonale si rivolgono alle cellule, l'ingegneria genetica manipola la molecola di DNA. Voci correlate Piante transgeniche Propagazione clonale Biotecnologie DNA Tecniche botaniche Tecniche di laboratorio
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https://it.wikipedia.org/wiki/Pat%C3%B9
Patù
Patù (Pàtu in dialetto salentino) è un comune italiano di abitanti della provincia di Lecce in Puglia. Situato nel basso Salento, all'estremità meridionale del Capo di Leuca, fa parte dell'Unione dei comuni Terra di Leuca. Sorge presso l'antica città messapica di Veretum e conserva i resti della notevole costruzione megalitica delle Centopietre. Dal 2004 si fregia del titolo di città e nel 2016 entra a far parte dell'associazione Borghi Autentici d'Italia Geografia fisica Territorio Patù sorge nell'estremo lembo meridionale della penisola salentina su un declivio tufaceo digradante verso sud-ovest a 124 metri sul livello del mare. Il comune occupa una superficie di 8,54 km² e risulta compreso tra gli 0 e i 155 m s.l.m. Si affaccia sul mare Ionio per circa 3 km con le località di Felloniche e Torre San Gregorio. L'intero territorio comunale è sottoposto a vincolo paesaggistico per la composizione naturale caratterizzata da macchia mediterranea ed essenze locali e per la presenza di antichi monumenti dall'inestimabile valore estetico e tradizionale come le pajare. Importante è la presenza di flora tipica del luogo come l'Alisso di Leuca, il timo, il mirto e varie specie di orchidee selvatiche. Il territorio comunale confina a nord e a est con il comune di Castrignano del Capo, a ovest con il comune di Morciano di Leuca, a sud con il mare Ionio. Classificazione sismica: zona 4 (sismicità molto bassa), Ordinanza PCM n. 3274 del 20/03/2003 Clima Dal punto di vista meteorologico Patù rientra nel territorio del basso Salento che presenta un clima prettamente mediterraneo, con inverni miti ed estati caldo umide. In base alle medie di riferimento, la temperatura media del mese più freddo, gennaio, si attesta attorno ai +16,8 °C, mentre quella dei mesi più caldi, agosto e settembre, si aggira sui +28,5 °C. Le precipitazioni medie annue, che si aggirano intorno ai 321mm.Facendo riferimento alla ventosità, i comuni del basso Salento risentono debolmente delle correnti occidentali grazie alla protezione determinata dalle serre salentine che creano un sistema a scudo. Al contrario le correnti autunnali e invernali da Sud-Est, favoriscono in parte l'incremento delle precipitazioni, in questo periodo, rispetto al resto della penisola. Classificazione climatica di Patù: Zona climatica: C Gradi giorno: 1097 Origini del nome Si presume che il nome derivi dal termine greco pathos (patimento – dolore), in quanto ricorderebbe le sofferenze della città di Vereto (Veretum), dalla cui distruzione ad opera dei saraceni deriva la nascita del paese. Secondo altre ipotesi, essendo un granaio dove i veretini riponevano le vettovaglie, ebbe il nome del custode: Verduro Pato. Poi, per influenza della dominazione francese, Pato divenne Patù. Storia Il territorio di Patù è stato abitato sin dall'antichità; ha ospitato l'importante città messapica di Vereto distrutta dai Saraceni nel IX secolo d.C. con lo scopo di guadagnare un punto di riferimento nel Capo di Leuca e invadere così l'intera penisola salentina. L'invasione saracena venne tuttavia sventata dall'imponente esercito mandato dal re di Francia Carlo il Calvo durante la battaglia del 24 giugno 877. Dalle rovine del centro messapico ebbe origine l'agglomerato urbano di Patù fondato, secondo la tradizione, nel 924 da alcuni superstiti veretini che si spostarono più a valle. A ricordo della vittoria sui Saraceni venne edificata la chiesa di San Giovanni Battista, la cui memoria liturgica ricorre proprio il 24 giugno. Durante il periodo feudale si avvicendarono varie famiglie: nel 1318 erano feudatari i Sambiasi; ad essi succedettero i Capece e i De Electis. Contemporaneamente appartenne alla Curia Vescovile di Alessano e al principe d'Aragona di Cassano, passò poi ai Guarino ed infine ai Granafei. Simboli Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica n. 3350 del 16 aprile 1991. Descrizione araldica dello stemma: Descrizione araldica del gonfalone: Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose Chiesa madre di San Michele Arcangelo La chiesa madre di San Michele Arcangelo venne eretta nel 1564 su progetto dell'architetto neretino Francesco Centolanze. Il prospetto tardo-rinascimentale, inquadrato da due robuste paraste, è costituito da un rosone posto in asse col portale d'ingresso su cui è riportata la discussa iscrizione Terribilis est locus iste, talvolta considerata di origine esoterica. L'interno è a navata unica con altare maggiore e quattro altari laterali dedicati a san Michele Arcangelo, a san Francesco d'Assisi, alla Madonna del Rosario e alla Madonna del Carmine. Alla destra dell'altare maggiore è posta una statua lignea di san Michele. Del 1723 è l'organo a 25 canne posto sulla cantoria, situata sopra la porta d'ingresso. Il campanile, a pianta quadrata, fu ricostruito nel 1940 in adiacenza al prospetto principale della chiesa. Accoglie cinque campane, di cui la più antica è datata 1752. Chiesa di San Giovanni Battista L'edificio nella sua struttura architettonica rispecchia lo stile romanico-bizantino. L'interno è a tre navate divise da pilastri, con il tetto a spioventi. Sul frontone troneggia una bifora, mentre sull'abside vi è un rosone. Questo monumento, edificato tra il X e l'XI secolo con lastroni provenienti da edifici dell'antica città di Vereto, custodisce nel suo interno alcune testimonianze monumentali e calcaree di questa città.L'episodio immortalato della costruzione di tale chiesa, per unanime consenso, si riferisce alla terribile battaglia combattuta tra cristiani e saraceni il 24 giugno dell'877 d.C. alla periferia di Patù, nella vasta piana denominata ancora oggi Campo Re ai piedi di Vereto. L'edificio è stato più volte restaurato nel corso dei secoli. Bisogna riconoscere nella chiesa almeno tre fasi; alla prima fase appartengono oltre che l'impianto essenziale, la bifora e l'arco a tutto sesto della facciata principale. La copertura attuale fu realizzata nel primo decennio del Novecento. Degli antichi affreschi rimane un San Giovanni Battista. Ha svolto anche la funzione di cimitero comunale. Chiesa della Madonna di Vereto La chiesa della Madonna di Vereto venne edificata agli inizi del XVII secolo dal Principe Zunica, Signore di Alessano. Sorge nel punto più alto della Serra di Vereto corrispondente all'acropoli della città messapica. La chiesa presenta una semplice facciata; gli unici elementi decorativi sono rappresentati da una croce e dal piccolo campanile a vela posti sulla sommità. L'interno, a navata unica rettangolare, conserva le tracce degli affreschi seicenteschi che ricoprivano interamente le pareti. Interessante è l'iconografia di san Paolo raffigurato con una spada intorno alla quale sono attorcigliati due serpenti; ai piedi del santo vi è uno scorpione sormontato da due serpenti intrecciati a forma di caduceo. Cripta di Sant'Elia La cripta di Sant'Elia, anticamente nota come cripta dei Verginelli, risale ai secoli VIII-IX e venne realizzata dai monaci basiliani. Posizionata fuori dal centro abitato, nel recinto di pertinenza di un calzaturificio dismesso, la cripta si presenta con un ingresso costituito da un varco scavato nella roccia. Mediante tre scalini si accede nell'ipogeo a pianta quadrilatera irregolare sulla cui parete nord-orientale è stato ricavato l'altare. Tra le deboli tracce di affreschi ancora visibili si distingue una figura di un santo benedicente che regge nella mano sinistra un libro con scritte greche e, in prossimità dell'architrave, una figura velata e circondata di angeli che potrebbe raffigurare la Vergine Maria. Architetture civili Palazzo Romano, primi decenni del XIX secolo Architetture militari Torre del Fortino. È l'ultimo dei quattro torrioni angolari del castello quattrocentesco di Patù andato totalmente distrutto. Torre San Gregorio. Nulla rimane della torre che ha dato il nome all'omonima località. Costruita nel XVI secolo, fu distrutta da un'invasione dei turchi nello stesso periodo. Originariamente il nome della torre era San Ligorio. Siti archeologici Vereto Vereto è un'antica città messapica situata a poca distanza dal centro abitato. Situata sull'omonima collina, fu un importante centro per il commercio, sia con la Grecia che con la Magna Grecia. A tale proposito, i cittadini di Vereto costruirono un porto nella vicina baia di San Gregorio i cui resti possono essere visibili sul fondo del mare. Divenne municipio romano e poi fu rasa al suolo nel IX secolo ad opera dei Saraceni. Di tale centro rimangono alcune testimonianze monumentali come le fondamenta delle mura che cingevano la città, diverse sepolture, ecc..Tutti gli studiosi concordano che il sito occupato attualmente dalla chiesetta della Madonna di Vereto, fosse il centro, l'acropoli, sia della Vereto messapica, che quello della Vereto romana e medievale. Centopietre Centopietre è un antico monumento funerario dichiarato Monumento nazionale di seconda classe nel 1873. Databile al IX secolo, venne edificato come mausoleo sepolcrale del cavaliere Geminiano, messaggero di pace trucidato dai saraceni subito prima della battaglia finale tra cristiani e islamici del 24 giugno 877.La struttura, di forma rettangolare, è costruita con 100 blocchi di roccia calcarea provenienti dalla città messapica di Vereto. All'interno presenta diversi strati sovrapposti di affreschi a soggetto sacro risalenti al XIV secolo. Società Evoluzione demografica Etnie e minoranze straniere Al 31 dicembre 2017 a Patù risultano residenti 71 cittadini stranieri. Lingue e dialetti Il dialetto parlato a Patù è il dialetto salentino nella sua variante meridionale. Il dialetto salentino, appartenente alla famiglia delle lingue romanze e classificato nel gruppo meridionale estremo, si presenta carico di influenze riconducibili alle dominazioni e ai popoli stabilitisi in questi territori nei secoli: messapi, greci, romani, bizantini, longobardi, normanni, albanesi, francesi, spagnoli. Cultura Istruzione Scuole A Patù hanno sede una scuola dell'infanzia, una scuola primaria e una scuola secondaria di I grado. Eventi Fiera di San Giovanni Battista – 24 giugno Sagra dei Piatti Tipici – 18 luglio Festa di San Michele Arcangelo – 29 settembre Geografia antropica Frazioni Marina di San Gregorio è una frazione del comune e centro balneare dello stesso. Ospita resti visibili della città di Vereto, come una scalinata di origine messapica, un pozzo per il rifornimento di acqua fresca e un porto ancora visibile a pochi metri di profondità, situato sulla punta dell'insenatura. Felloniche è una località costiera situata nell'estremo sud del territorio di Patù al confine col comune di Castrignano del Capo. Distante circa 3 km da Santa Maria di Leuca, si presenta con una baia sabbiosa delimitata da una bassa costa rocciosa. Nel mare antistante, è presente un vasto posidonieto il cui habitat naturale è tutelato in quanto interesse comunitario. Economia L'economia di Patù è basata principalmente sull'agricoltura e piccole imprese commerciali. Considerevole è la produzione di olio extravergine d'oliva. Lungo la costa è sviluppato il turismo balneare. Infrastrutture e trasporti Strade I collegamenti stradali principali sono rappresentati da: Strada statale 101 Salentina di Gallipoli (Lecce-Gallipoli) Strada statale 274 Salentina Meridionale (Gallipoli-Santa Maria di Leuca), uscità Patù. Il centro è anche raggiungibile dalle strade provinciali interne: Strada provinciale Patù-Gagliano del Capo Strada provinciale Torre San Gregorio-Patù-Giuliano di Lecce Strada provinciale Patù-Morciano di Leuca-Salve Ferrovie La stazione ferroviaria più vicina è quella di Barbarano del Capo posta sulla linea locale Novoli-Gagliano del Capo gestita da Ferrovie del Sud Est. Amministrazione Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune. Note Bibliografia L. A. Montefusco, Le successioni feudali in Terra d'Otranto, Lecce, Istituto Araldico salentino, 1994. AA.VV., Salento. Architetture antiche e siti archeologici, Edizioni del Grifo, 2008. Archeoclub d'Italia di Vereto-Patù, Itinerario storico-archeologico tra Giuliano e Patù. Guida fotografica, Bonfrate, 2002. Voci correlate Salento Messapi Vereto Centopietre Diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca Diocesi di Alessano Altri progetti Collegamenti esterni *
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Pretore
Pretore – istituzione dell'Antica Roma Pretore – termine usato per indicare funzionario pubblico in vari ordinamenti nel Medioevo, nell'età moderna e nell'età contemporanea Altri progetti
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Presicce
Presicce è stato un comune italiano di abitanti della provincia di Lecce in Puglia. Dal 15 maggio 2019 è fuso con Acquarica del Capo a costituire il nuovo comune di Presicce-Acquarica. Geografia fisica Territorio Il territorio del comune di Presicce, che si estende su una superficie di 24,09 km², sorge nel territorio delle serre salentine, nel Capo di Leuca. Il territorio possiede un profilo orografico caratterizzato dai modesti rilievi delle serre: risulta compreso tra i 65 e i 169 m s.l.m. con la casa comunale a 104 m s.l.m. Il centro abitato, posizionato in una vallata particolarmente ricca di acqua, è dominato dalla Serra di Pozzomauro, un'altura organizzata in terrazzamenti e muretti a secco lungo i pendii e ricoperta di macchia mediterranea, distese di uliveti secolari, pini e specie arbustive di querce spinose. Confina a nord con i comuni di Acquarica del Capo e Specchia, a est con il comune di Alessano, a sud con il comune di Salve, a ovest con il comune di Ugento. Classificazione sismica: zona 4 (sismicità molto bassa), Ordinanza PCM n. 3274 del 20/03/2003. Clima Dal punto di vista meteorologico Presicce rientra nel territorio del basso Salento che presenta un clima prettamente mediterraneo, con inverni miti ed estati caldo umide. Le precipitazioni presentano un minimo in primavera-estate e un picco in autunno-inverno. Facendo riferimento alla ventosità, i comuni del basso Salento risentono debolmente delle correnti occidentali grazie alla protezione determinata dalle serre salentine che creano un sistema a scudo. Al contrario le correnti autunnali e invernali da Sud-Est, favoriscono in parte l'incremento delle precipitazioni, in questo periodo, rispetto al resto della penisola. Classificazione climatica di Presicce: Zona climatica: C Gradi giorno: 1332 Storia La storia delle origini di Presicce non è ben delineata. Probabilmente fu la grande presenza di falde acquifere superficiali ad attirare i primi insediamenti, che sembrano risalire intorno al VII secolo. Lo stemma di Presicce, un cervo che beve da una fonte, sembra ricalcare questa abbondanza di acqua nel territorio presiccese. Dare una precisa derivazione al nome "Presicce" è una impresa non facile. La mancanza di fonti storiche accreditabili ha favorito la diffusione di leggende, fantasticherie e addirittura storie miracolose riguardo alla sua origine. Il Cepolla affermava che il nome derivi dall'unione dei termini "Praesi"(nome con cui venivano chiamati gli Eterocretesi) e "Sixos"che significa abitazione. Il Colella si basò sulla voce latina "Praesepe"; in seguito si sarebbe evoluta in "Praesippum" ed infine in Presicce. Molti pensano che il paese fosse un presidio romano; il termine deriverebbe appunto da "Praesidium". Particolare è la versione di chi sostiene che il paese fu originato da un miracolo di S. Ilarione, il quale, pregando, in un periodo di carestia, riuscì a convincere il Padre Celeste ad ottenere una fonte d'acqua per gli abitanti. La fonte più attendibile comunque, è Giacomo Arditi, storico locale, il quale afferma che l'etimologia del termine sia "Praesitium" "Praesitio", "Presicce". La causa che determinò la nascita del paese fu il bisogno di acqua, che spinse a valle gli abitanti del casale di Pozzomauro e dei vicini, quali Specchiano, Ugento, Pompignano. Alcune fonti affermano che la fondazione vera e propria del borgo sia stata opera degli abitanti di Pozzomauro un insediamento individuato sulla collina a sud-ovest dell'attuale centro abitato. Di questo insediamento rimangono ancora ben visibili le rovine di un'antica torre usata come difesa dalle invasioni dei saraceni, una cripta basiliana scavata nella roccia e una chiesetta dallo stile molto essenziale. Nel 1481 i saraceni invasero Pozzomauro distruggendolo. Anche le origini del nome del paese sembrano legate a questo insediamento, si pensa infatti che Presicce derivi dalla parola latina praesidium come ad indicare un presidio militare. Nel 1088 Presicce entra a far parte del Principato di Taranto, da qui si sa che il feudo passò tra le mani di diverse famiglie nobiliari tra cui i Securo, i De Specola, i Gonzaga, i Brayda ed ai Principi Bartilotti. Nel 1714 il feudo venne elevato a principato ed affidato successivamente ai de' Liguoro. Una storia di sangue è quella legata alle origini del termine "Mascarani", soprannome degli abitanti di Presicce. Un tempo nel principato seicentesco era in vigore la legge dello ius primae noctis, ovvero un presunto diritto del feudatario, mai documentato, di passare con le novelle spose la prima notte di nozze fino a che una notte, durante il carnevale dell'anno 1655 secondo la leggenda (nella realtà l'episodio avvenne in novembre, durante la festa del santo patrono, sant'Andrea apostolo), il principe si affacciò da una finestra dell'antico Castello per salutare i festosi cittadini, quando tra la folla apparve un uomo mascherato che sparò un colpo, uccidendo il principe. Proprio da questo episodio scaturisce il soprannome degli abitanti di Presicce, Mascarani. In seguito all'avvenimento delittuoso perpetrato da un abitante del luogo, i de' Liguoro acquistarono il principato approntando una riforma agricola con la redistribuzione dei terreni in enfiteusi ai contadini e installando una serie di frantoi atti alla produzione d'olio d'Oliva esportato a Napoli ed in Spagna. Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose Chiesa madre di Sant'Andrea Apostolo La chiesa madre di Sant'Andrea Apostolo sorge sullo stesso luogo dell'antica parrocchiale distrutta dal terremoto del 1743. Venne ricostruita tra il 1778 e il 1781 con il contributo dell'Universitas e dell'intera popolazione di Presicce. Conserva ancora intatto il campanile rinascimentale risalente alla metà del XVI secolo.La facciata si presenta maestosa nel suo elegante e sobrio stile barocco. All'interno, a croce latina ad una sola navata, vi sono nove altari; gli otto laterali sono decorati da pregevoli stucchi. L'altare maggiore, in marmi policromi, è di scuola napoletana. Di marmo sono pure la balaustra, il battistero, e le acquasantiere. Queste furono donate dal re Francesco I delle Due Sicilie per intercessione del presiccese Michele Arditi, fondatore del Museo archeologico nazionale di Napoli. L'architetto esecutore dell'opera fu Saverio Negro. Adiacente alla chiesa, della quale è parte integrante, vi è la chiesa dei Morti, così definita per le bocche dei sepolcri sotterranei che essa contiene, oggi chiuse e non più visibili. La chiesa dei Morti porta incisa sull'architrave la data 1575.Numerose sono le opere pittoriche di vari artisti salentini (Catalano, Riccio, Tiso, Lillo): il quadro del protettore sant'Andrea Apostolo, che sovrasta il coro in legno, è datato 1601 e firmato da Giovan Battista Catalano; questo dipinto si trovava già nella vecchia chiesa parrocchiale. Altri dipinti: Mosè salvato dalle acque, i Santi Medici, il Trasporto dell'Arca dell'Alleanza. Chiesa del Carmine e convento La chiesa del Carmine, con l'annesso convento dedicato a san Giovanni Battista, sorse nella seconda metà del XVI secolo in seguito a una donazione di un cittadino di Presicce, Martino Alfarano, ai Carmelitani di Lecce. I lavori di edificazione del complesso conventuale si protrassero dal 1585 al 1590. Il convento, soppresso una prima volta nel 1652, ha ospitato i frati sino al 1809, anno in cui fu soppresso definitivamente e incamerato dallo Stato. Ceduto successivamente all'amministrazione comunale, nel 1883 subì una prima ristrutturazione necessaria per adattarlo ad ospitare il municipio, la pretura, la scuola e le prigioni. Una seconda ristrutturazione venne effettuata fra il 1930 e il 1935. Attualmente ospita il comando di polizia municipale, la biblioteca comunale ed è destinato a sede di attività socio-culturali.La chiesa, a unica navata con due arcate per lato ospitanti quattro altari (Sant'Anna e San Gioacchino con Maria Bambina, Santa Teresa, Crocifissione, e Sant'Angelo Martire con Sant'Eligio), venne consacrata nel 1605. Pregevole è l'altare maggiore in pietra leccese finemente scolpito con colonne tortili ricche di intagli, bassorilievi e statue; al centro è presente l'immagine della Madonna del Carmelo e la statua di san Giovanni Battista mentre ai lati sono posizionate le statue di sant'Alberto Magno, sant'Eliseo, sant'Elia e sant'Angelo Martire. Ancora presenti sono il coro e il pulpito in legno. Il campanile, abbattuto da un fulmine nel 1945, venne ricostruito nel 1951. Chiesa di Santa Maria degli Angeli e convento La chiesa di Santa Maria degli Angeli, con l'attiguo convento dei Padri Riformati, è ubicato fuori dal centro urbano, sul luogo dove sorgeva l'abitato medievale di Pozzo Magno (o Pozzomauro) distrutto dai saraceni nel XV secolo. L'attuale chiesa è sorta sul sito di un antico edificio sacro databile al XII-XIII secolo. L'edificazione della nuova chiesa è legata secondo la tradizione a due eventi prodigiosi avvenuti nel 1596; alla presenza di un'immagine della Vergine che invita un contadino a farsi portavoce della ricostruzione dell'edificio e alla guarigione di un cieco. Nel 1598, su progetto del barone di Presicce Filippo De Cito che era anche architetto, si dà avvio alla riedificazione della chiesa. Nel 1603, con l'insediamento dei Padri Riformati si edifica ex novo il convento.La chiesa, con pianta a croce latina commissa (cioè a T) ad un'unica navata, presenta una copertura con volte a crociera attraversate da costoloni a festoni e riccamente decorate da stucchi settecenteschi. Lungo le pareti della navata sono addossati otto altari dedicati alla Natività, all'Adorazione dei Magi, asant'Oronzo e a san Pasquale Baylon sul lato destro; alla Deposizione di Gesù, alla Madonna di Costantinopoli, al Crocifisso e a san Gerolamo sul lato sinistro. Nel transetto sono presenti gli affreschi più antichi della chiesa, segno evidente dei resti dell'antica struttura. Si tratta di opere pittoriche di fattura bizantineggiante databili tra il XII e il XIV secolo e che raffigurano un santo con la barba, una Madonna col Bambino e altre figure di difficile comprensione. Sempre nel transetto, tra dipinti di epoca seicentesca, vi è l'immagine di un'altra Madonna col Bambino del XV secolo che è l'immagine dell'evento miracoloso. Dall'altare maggiore si accede a due porte che conducono al coro e nel quale è possibile vedere le porte murate che mettevano in comunicazione l'edificio sacro con il convento. Il convento è distribuito intorno al chiostro con pozzo centrale che presenta alcuni dipinti murali di scuola francescana. Al piano terra è il refettorio e le stanze necessarie per le attività dei frati; al piano superiore, lungo il corridoio, si affacciano le celle dei monaci e altri ambienti. Soppresso nel 1866, il complesso conventuale cadde in un profondo abbandono e fu oggetto di numerosi furti. Chiesa S. Maria dei Dolori o dell'Addolorata La chiesa dell'Addolorata emerge dal crinale della collina ad ovest di Presicce su un costone di formazioni rocciose tagliato per far posto al basamento dell'edificio stesso. La cappella ha una invidiabile posizione panoramica e guarda la vallata sottostante nella quale è adagiato il centro abitato di Presicce. Giacomo Arditi paragona la chiesetta dell'Addolorata ad una sentinella che guarda e presidia dall'alto il suo paese natio. L'intento e la volontà dei Presiccesi di costruire una cappella alla Beata Vergine dei Dolori a spese dell'Università e dei cittadini risalgono ai primi anni del 1700. Tra i rogiti dei notai presiccesi dei primi decenni del diciottesimo secolo troviamo diversi lasciti, talvolta cospicui, a volte meno per la costruzione della futura chiesa dei Dolori. Tra i lasciti dei Presiccesi vogliamo ricordare che nel 1710 il notaio concittadino Leonardo Paiano roga il testamento del Sacerdote Oronzo Cicco nel quale si legge: " …. item (inoltre) lascio alla Madonna dei Dolori, quando si fabbricherà, tutti i vestimenti sacerdotali con il calice da conservarsi in detta chiesa“. Per circa 30 anni il desiderio di costruire questa chiesa restò solo nell'elenco delle buone intenzioni dei Presiccesi. Non avendo un mecenate che potesse dare un sostanzioso aiuto alla costruzione dell'edificio, la costruzione della chiesetta poté avere inizio solo nei primi mesi del 1739. Sul finire del 1740 tuttavia la sua costruzione era già completata. In un documento di quest'anno infatti incontriamo il nome dell'oblato (custode) della Cappella: Gregorio Trotta di anni 65. Il sentimento religioso degli abitanti di Presicce dei primi del settecento trovò la sintesi nella costruzione della chiesetta dell'Addolorata e nella fondazione della Confraternita di "Santa Maria dei Sette Dolori" che aveva la sua sede nelle stessa cappella. La Confraternita dell'Addolorata si aggiunse alle confraternite già esistenti in Presicce nel 1700: quella del Sacramento, del Rosario e dell'Assunta. La Cappella dell'Addolorata non aveva benefici ecclesiastici né in terreni né in capitali censi. Nel Catastuolo del 1742 si documenta che "La venerabile cappella universale (dell'Università) dei Dolori tiene solo un giardinello che serve per uso dell'oblato che serve la Vergine e non porta nessuna rendita. Confina da ogni pare col demanio e sta attaccato alla Cappella". L'edificio, essendo stato costruito sul costone della collina aveva la facciata ad un notevole dislivello dal piano di calpestio per cui fu necessario costruire una gradinata per raggiungere la porta d'entrata della chiesetta. Nel 1766 la gradinata era malridotta perché fatta male ed i Presiccesi riuniti in pubblico Parlamento decisero di "fare ancora la gradinata davanti alla Madonna dei Sette Dolori, per maggior commodo dei naturali (cittadini) di questa Terra". La Cappella, essendo stata costruita col denaro pubblico, era di natura sua "laicale"; all'Università spettava perciò il diritto di nominare il "procuratore", nonché il priore della confraternita e gli altri amministratori. Ciò doveva avvenire nel pubblico Parlamento. Era parroco di Presicce al tempo della costruzione della chiesa dell'Addolorata don Persio Fococelli. Il suo successore don Ippazio Martano, iniziò una controversia circa il diritto di nomina degli amministratori del sodalizio. Tale controversia si protrasse per alcuni anni finché il Cavaliere Bausan, Preside del regio tribunale di Lecce comunicò nell'agosto 1770 al Governatore di Presicce che Sua Maestà il Re ordinava al parroco Martano "di non prendere alcuna ingerenza e governo della cappella suddetta la quale si appartiene alla Università e deve essere amministrata da procuratori laici eletti in Pubblico Parlamento, giusto l'antico solito." La chiesetta nel suo interno non ha molto da mostrare. Nella sua povertà di elementi decorativi rappresenta un esempio di tipologia architettonica propria degli ambienti rurali salentini. Sull'altare tuttavia vi è un quadro del celebre pittore ottocentesco Sampietro firmato e datato, e che ha subìto orrendi ritocchi nel 1988 da un "pittore" ... locale. Ai lati della chiesetta quattro capanne con volta ad arco sfalsate erano nel passato il rifugio di uomini e bestie. La costruzione delle arcate probabilmente fu un'esigenza non solo pratica, ma è verosimile che fosse dovuta anche alla necessità di dover coprire il taglio della roccia in più parti sporgente in maniera difforme dai lati della chiesetta . Nel 1875, quando lo Stato incamerò i beni della Chiesa, il sindaco di Presicce dichiarava all'Intendenza di Finanza che la cappella dell'Addolorata non ha mai tenuto patrimonio "salvo un piccolo giardino che si tiene dall'oblato da sempre". Nel 1878 fu nominato un sacerdote che si prendesse cura delle chiese suburbane presiccesi: chiesa dell'Addolorata, degli Angeli, del Soccorso, di Loreto e provvedesse alla pulizia ed al decoro; tale manutenzione doveva essere fatta con le offerte ricevute dai cittadini. La celebrazione della festa dell'Addolorata fu fissata sin dall'antichità al venerdì precedente la settimana di Pasqua: Era una festa con fiera di animali, conosciuta e frequentata dagli abitanti dei centri vicini. Nel 1906 troviamo registrato in un manoscritto un evento luttuoso accaduto durante lo svolgimento di tale festa. " Il 6 aprile giorno di Maria Santissima Addolorata, facendosi lo sparo del giorno successero delle disgrazie: allo scoppio delle bombe (sic!) uno fu colpito e ucciso immediatamente e questo era di Salve, e così altre piccole e grandi disgrazie del medesimo sparo". La cappella dell'Addolorata, una volta meta di pellegrinaggi dei Presiccesi nei giorni di venerdì di quaresima, attualmente negli stessi giorni è meta di uno sparuto numero di donne anziane, ultimo retaggio di un tempo passato . L'edificio fiero dei suoi 270 anni di vita, continua dalla collina a sovrastare le case del centro abitato presiccese, nell'attesa di un serio restauro che gli dia maggior dignità e decoro. Chiesa Madonna di Loreto e Cripta di San Mauro La chiesa della Madonna di Loreto, meglio conosciuta con l'espressione dialettale di Madonna del Rito o te lu Ritu, è una piccola chiesetta rurale di origine basiliana situata sull'altura della Serra di Pozzomauro. La piccola costruzione presenta una facciata a capanna terminante con un piccolo arco, sede di campana rubata nel 1950. L'interno, ad aula rettangolare con volta a botte, presenta un modesto altare sul quale campeggia l'affresco di una Madonna col Bambino fra angeli. Alle spalle della cappella è situata una cripta bizantina trasformata in seguito in frantoio ipogeo come deducibile dai resti di una macina per la molitura delle olive. L'ipogeo è noto col nome di San Mauro e i dipinti frammentari si possono datare tra il XII ed il XIV secolo. Gli affreschi ancora visibili sono concentrati nella navata di destra; si tratta di sette figure sacre e di una scena dell'Annunciazione. Altre chiese Chiesa Madonna del Soccorso, del XIX secolo. Chiesa Madonna Addolorata, situata al di fuori del nucleo urbano, risale agli ultimi anni del XIX secolo e custodisce un altare maggiore in pietra leccese con tela ottocentesca della Madonna Addolorata. Chiesa di San Luigi, edificata nel XX secolo per iniziativa del sacerdote locale don Agostino Mele, possiede un aspetto classicheggiante e all'interno è presente un piccolo altare con nicchia contenente la statua di san Luigi Gonzaga. Cappella di San Luigi degli Arditi, realizzata nel XVIII secolo in stile barocco dalla nobile famiglia Arditi. Presenta una sfarzosa facciata riccamente decorata con angeli, festoni e volute; al centro, sopra il portale d'ingresso, è posizionato lo stemma della famiglia. Architetture civili Palazzi Palazzo Soronzi o Pepe, XVII secolo Palazzo Adamo-Izzo, XVI secolo Palazzo Ponzo, XVIII secolo Palazzo Cazzato, XVIII secolo Palazzo Arditi, primi anni XVIII secolo con rifacimenti effettuati nel 1924 Palazzo Villani, XVIII secolo con ristrutturazione del XX secolo Palazzo Rollo, metà XVIII secolo con ampliamenti nel corso del XIX e del XX secolo Palazzo Arditi, XVII secolo Palazzo Seracca-D'Amico, XIX secolo Palazzo Alberti, primi anni XX secolo in stile liberty Casa Cesi, XVI secolo con Torre colombaia Case a corte Le numerose case a corte presenti nel borgo antico dell'abitato di Presicce risalgono al Cinquecento. Sono delle umili abitazioni, composte principalmente da un unico vano (massimo due) e dalla cantina, raggruppate attorno ad uno spazio scoperto, la corte. In questo spazio, in cui si svolgevano le principali attività domestiche, è sempre presente il pozzo e la pila, un lavatoio in pietra utilizzato per lavare i panni. Casa a corte Sant'Anna Casa a corte di via Anita Garibaldi Casa a corte di via E. Arditi Casa a corte di vico G. Matteotti, 1581 Masserie e casine Nell'agro di Presicce sono presenti le seguenti masserie: Masseria Fortificata del Feudo, XVI secolo Masseria Fortificata La Casarana, XVI secolo Masseria fortificata Tunna, 1553 con ambienti settecenteschi e ottocenteschi Masseria Monaci, XIX secolo Masseria de lu Peshcu, XVII secolo Nel XVIII secolo, ad esse si affiancarono eleganti ville di campagna edificate dai ricchi proprietari terrieri, dette casine, delle quali si conservano: Casina Celle Casina Arditi Casina Carratta o Casina degli Angeli, 1778 Casina Spisciani Casina Stefanelli Casina Adamo Frantoi ipogei Il clima caldo e il terreno fertile hanno permesso ai presiccesi di sviluppare il settore agricolo, intensificando particolarmente la produzione di vino e soprattutto d'olio d'oliva, principale fonte economica del paese nei tempi andati. Intorno al XI-XIII secolo si diffuse l'uso di scavare frantoi ipogei a grotta, detti trappeti. La loro presenza suggerisce che Presicce avesse un'economia fiorente e consente di ricostruire le tappe del suo sviluppo: i primi furono costruiti sulle pendici della Serra di Pozzomauro; in seguito, dopo il prosciugamento della palude "Arnea", le attività iniziarono a spostarsi a valle. La maggior parte dei trappeti si concentra lungo l'asse viario che collegava i primi due nuclei urbani dal quale si snoda l'intero paese. In passato, in piazza Villani, erano presenti banditori che fissavano il prezzo sul mercato. Tra i commercianti vi era il veneziano Pietro David, noto per i suoi rapporti commerciali in tutto il mondo. La tipologia dei trappeti di Presicce è semplice: sono scavati nella roccia tufacea, il pavimento in è terra battuta, vi erano torchi "alla genovese" o frantoi "alla francese". Le modeste dimensioni degli ambienti, inadatte a contenere nuovi frantoi e torchi, non consentirono di apportare modifiche tecnologiche. Verso la fine del XIX secolo i trappeti vennero abbandonati, alcuni trasformati in discariche o cantine e altri, ubicati in campagna, in ovili o stalle. A partire dagli anni '90, successivi interventi di bonifica e ristrutturazione hanno consentito il recupero di questi ambienti come meta turistica. Architetture militari Palazzo Ducale Le più antiche notizie dell'edificio sono di epoca normanna, ma a difesa dei primi nuclei abitativi, probabilmente in epoca bizantina, venne realizzato un primo castrum. L'attuale Palazzo Ducale, quindi, ingloba le testimonianze di oltre mille anni di storia. Casa Turrita La Casa Turrita, o Torre di San Vincenzo, risale con molta probabilità alla metà del XVI secolo. La torre rientra nel contesto di protezione territoriale messo in atto da Carlo V contro le incursioni nemiche. La costruzione era infatti parte integrante del sistema difensivo dell'abitato di Presicce insieme ad altre due torri che erano posizionate in corrispondenza degli accessi al borgo. Successivamente la torre, perdendo la sua funzione difensiva, venne trasformata in residenza e furono aggiunti nuovi ambienti. Mantiene ancora gli elementi originari come le caditoie e le feritoie e nella parte inferiore è presente un bugnato a punta di diamante. Restaurata e resa accessibile è di proprietà del Comune di Presicce dall'anno 2012. Altro Colonna di Sant'Andrea La Colonna di Sant'Andrea è situata al centro di Piazza Villani, di fronte alla chiesa Madre. Fu edificata nei primi anni del Settecento dalla nobile famiglia dei principi Bartilotti. In stile barocco, è costituita da un alto fusto con capitello su cui è posizionata la statua del santo; il fusto poggia su un basamento circondato da balaustra sulla quale sono presenti quattro figure femminili che simboleggiano le quattro virtù cardinali (Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza). Siti archeologici Specchia di Pozzomauro Pagliarone di San Mauro; è una delle più grandi costruzioni rurali realizzati interamente in pietra locale. Questa costruzione di forma conica, alta 9.15 metri, veniva utilizzata come riparo degli agricoltori durante i lavori stagionali delle campagne e come ricovero di attrezzi e animali. Frantoi ipogei Società Evoluzione demografica Etnie e minoranze straniere Al 31 dicembre 2017 a Presicce risultano residenti 170 cittadini stranieri. Le nazionalità principali sono: Romania - 44 Marocco - 34 Bulgaria - 31 Lingue e dialetti Il dialetto parlato a Presicce è il dialetto salentino nella sua variante meridionale. Il dialetto salentino si presenta carico di influenze riconducibili alle dominazioni e ai popoli stabilitisi in questi territori che si sono susseguite nei secoli: messapi, greci, romani, bizantini, longobardi, normanni, albanesi, francesi, spagnoli. Tradizioni e folclore Festa di San Luigi Gonzaga; 20-21 giugno. Festival I Colori dell'olio, 17-18-19 Agosto. Istituito nel 2008, si propone di valorizzare il borgo di Presicce e l'olio extravergine d'oliva prodotto in queste zone, portando sul palco grandi artisti. La focareddha de Sant'Andrea, 29 Novembre, sera della vigilia del patrono del paese Cultura Istruzione Biblioteche Biblioteca Comunale Scuole Insistono nel comune di Presicce due scuole dell'infanzia (di cui una privata paritaria), una scuola primaria e una scuola secondaria di I grado. Musei Il Museo della Civiltà Contadina è ospitato nelle sale del Palazzo Ducale, accoglie una raccolta di attrezzi da lavoro e suppellettili utilizzati nell'agricoltura, incentivata dalle donazioni di privati cittadini. Gli oggetti sono distribuiti all'interno di quattro sale tematiche: la stanza del fuoco, la stanza dell'acqua, la stanza della terra e la stanza del tempo. In quest'ultima stanza è presente l'antico orologio del campanile della Chiesa Matrice, fabbricato nel 1879. Cucina Il comune aderisce all'associazione nazionale città dell'olio. Economia Dal 2011 Presicce fa parte è dell'associazione I borghi più belli d'Italia. Infrastrutture e trasporti Strade I collegamenti stradali principali sono rappresentati da: Strada statale 274 Santa Maria di Leuca - Gallipoli Strada statale 101 Gallipoli - Lecce Il centro è anche raggiungibile dalle strade provinciali interne SP 76 Presicce-Specchia, SP 79 Presicce-Alessano, SP 193 Presicce-Lido Marini, SP 360 Acquarica del Capo-Presicce-Salve. Ferrovie La cittadina è servita dalla stazione ferroviaria Presicce-Acquarica posta sulla linea Novoli-Gagliano del Capo gestita dalle Ferrovie del Sud Est. Amministrazione Dal 23 aprile 1995 - Giacomo Monsellato Dal 13 giugno 1999 - Loonardo La Puma Dal 13 giugno 2004 - Antonio Luca A Presicce, dal 1º ottobre 2013 il viceprefetto Guido Aprea per guidare il commissariamento „ PRESICCE - Parte la stagione del commissariamento a Presicce: con decreto del Prefetto di Lecce, Giuliana Perrotta, infatti, Guido Aprea, vice prefetto, è stato nominato commissario del comune salentino, con poteri di sindaco, di giunta e consiglio comunale. L'atto arriva dopo che il sindaco, in quota Pdl, Leonardo La Puma aveva rassegnato le proprie dimissioni irrevocabili. Docente di storia delle dottrine politiche presso l'Università del Salento, era stato eletto primo cittadino nel 2009, a capo di una lista civica, superando nell'occasione il 60% dei consensi Note Bibliografia André Jacob, Testimonianze bizantine nel Basso Salento, Galatina, 1982. Stendardo Antonio, Presicce sotterranea, Congedo Editore, 1995. Muratore Maria Rosaria, Guida del Salento, dolmen, menhir, specchie, siti messapici e romani, cripte, i centri storici del Barocco, piazze, musei, artigianato, feste, Congedo Editore. L. A. Montefusco, Le successioni feudali in Terra d'Otranto, Lecce, Istituto Araldico salentino, 1994. AA.VV., Salento. Architetture antiche e siti archeologici, Edizioni del Grifo, 2008. Roberto De Salvatore, I Mascarani, Luca Pensa Editore, 2012. Carlo Luigi Lubello, L'antico sapore delle more di gelso, Besa editrice, 2007. Voci correlate Salento Terra d'Otranto Serre salentine Diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca Patata novella sieglinde di Galatina Masserie fortificate della provincia di Lecce Monumenti megalitici della provincia di Lecce Altri progetti Collegamenti esterni *
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https://it.wikipedia.org/wiki/Platyhelminthes
Platyhelminthes
Il Phylum Platyhelminthes (in italiano platelminti) o vermi piatti (dal greco antico: πλατύς platýs, "piatto"; ἕλμινς hélmins, genit. ἕλμινθος hélminthos, "verme"; cioè, "vermi piatti") è costituito da circa specie di animali vermiformi. I platelminti comprendono sia specie conducenti vita libera sia parassiti, i quali infestano molti tipi di organismi, incluso l'uomo. I platelminti conducenti vita libera appartengono tutti alla classe dei Turbellaria e sono presenti sulle rocce, nel fango e nella sabbia dei fondali acquatici (marini, salmastri e dulciacquicoli). Molti turbellari vivono negli stagni o in pozze temporanee mentre solo alcune specie, come la geoplanaria, sono tipiche dei terreni umidi. I turbellari più noti e studiati sono quelli appartenenti al genere Planaria. I platelminti parassiti rappresentano l'85% del phylum e vengono raggruppati in quattro classi: i Turbellari, i Monogenei, i Trematodi e i Cestodi. Fra questi ultimi i più conosciuti, per i danni che provocano agli uomini, sono le specie del genere Tenia (Taenia o Taeniarhynchus) Anatomia e fisiologia I platelminti sono organismi acelomati, quindi non sono dotati di una cavità che separa il canale alimentare dalla parete del corpo, e mostrano uno schiacciamento dorso-ventrale che conferisce ad essi il nome di vermi piatti, distinguendosi così dai Nematoda (vermi cilindrici) e dagli Anellida (vermi segmentati o metamerici). Generalizzando sulla loro morfologia, si può dire che tutti i platelminti sono costituiti da un sacco muscolo-cutaneo che avvolge e protegge il parenchima, un tessuto connettivo di origine mesodermica, all'interno del quale si trovano immersi i vari organi ed apparati. Dei liquidi interstiziali impregnano gli spazi extracellulari nel parenchima offrendo un sostegno idrostatico all'organismo e agevolando, con il movimento, la circolazione delle sostanze nutritive e dei gas respiratori. Epiderma I platelminti sono rivestiti da un tessuto epidermico monostratificato. Nelle forme conducenti vita libera, come i raggruppamenti più basali (Turbellari), le cellule dell'epitelio sono pluriciliate, soprattutto nella zona ventrale, e sono atte alla locomozione che avviene per strisciamento su una sostanza mucosa secreta da apposite cellule ghiandolari. Un altro tipo di cellule presenti nell'epitelio sono quelle rabditogene, che producono strutture bastoncellari dette rabditi. La loro espulsione provoca la formazione di una guaina mucosa a scopo di difesa dai predatori. In altre specie, come quelle dei Trematodi e dei Cestodi, adattati ad una vita di parassitismo, l'epitelio è di tipo sinciziale e talvolta, come nel caso dei Cestodi, presenta microvilli. Nell'epidermide sinciziale le cellule sono fuse a formare una continua massa citoplasmatica connessa ai corpi cellulari, che si trovano sotto la muscolatura, da sottili ponti citoplasmatici. Molti tipi di Turbellari e di specie parassite mostrano invece un epitelio di tipo insunk (cioè affondato): i corpi cellulari contenenti i nuclei si trovano protetti al di sotto di una lamina basale sopra la quale poggia il tegumento citoplasmatico che riveste l'organismo. Nelle forme parassite il tegumento secerne uno strato protettivo esterno detto glicocalice, costituito da polisaccaridi e glicoproteine che hanno lo scopo di eludere le difese immunitarie dell'organismo ospitante. L'epidermide dei parassiti è munita, inoltre, di organi di attacco: uncini e ventose organizzati in rostelli, spicole o botri, necessari per l'ancoraggio alle superfici interne od esterne dell'ospite. Muscolatura Al di sotto dello strato epidermico, i platelminti sono dotati di una serie di strati muscolari lisci (longitudinali, circolari e diagonali) che permettono movimenti ondulatori utili per la torsione e il nuoto. All'interno del parenchima, sottili strati muscolari si estendono dorso-ventralmente assicurando una maggiore consistenza alla massa corporea; nonostante ciò, i platelminti sono facilmente sgretolabili in mano. Alimentazione e digestione Tutti i platelminti sono aprocti. La bocca si trova in posizione anteriore o ventrale ed è quasi sempre munita di una faringe che la collega all'intestino. In alcune specie la faringe è muscolosa e può essere protrusa per catturare la preda e succhiarne le parti nutrienti prima di giungere all'intestino, dove la digestione continua poi intracellularmente. La regione intestinale è a fondo cieco e si può trovare in varie forme: a sacco (come nei Rabdoceli), ramificata (Tricladi e Policladi) oppure formata da un semplice strato di cellule digestive come negli Aceli che, come dice il nome, sono privi di qualsiasi cavità, compreso il canale alimentare. Circolazione, respirazione ed escrezione I platelminti non hanno un apparato circolatorio, infatti le sostanze nutritive e i gas respiratori raggiungono le cellule grazie ai liquidi interstiziali che bagnano il parenchima. Il tutto è facilitato dai movimenti dell'animale. Essendo privi di organi respiratori, gli scambi gassosi avvengono per diffusione attraverso la superficie corporea: a questo riguardo, risulta particolarmente vantaggiosa la forma appiattita del corpo dei platelminti, cosicché nessuna cellula si trovi troppo distante dall'ambiente esterno. L'escrezione dei cataboliti e l'osmoregolazione sono affidati ad un apparato protonefridiale. Sistema nervoso e sensoriale Nei Turbellari Aceli, i platelminti meno evoluti, il sistema nervoso è simile a quello degli Cnidari: una semplice rete nervosa subepiteliale non centralizzata. Nei platelminti più evoluti si assiste invece ad una cefalizzazione e centralizzazione del sistema nervoso, con la comparsa di uno o più gangli cefalici dai quali si dipartono da uno a quattro paia di cordoni nervosi longitudinali submuscolari, che innervano l'intero organismo, collegati tra di loro attraverso commissure trasverse. Dal ganglio cefalico si diramano, inoltre, fasci di fibre nervose dirette agli organi di senso. Gli organi sensoriali comprendono ocelli fotosensibili, statocisti e recettori superficiali. Gli organi visivi sono formati da cellule pigmentate e fotorecettori localizzati nell'estremità anteriore del corpo in prossimità dei gangli cefalici. La statocisti è un organo di senso statico che permette all'organismo di riconoscere la sua posizione nello spazio. È formata da una capsula rivestita da cellule meccanorecettrici e contenente al suo interno lo statolite, una sferetta di calcite che, in base alla posizione dell'animale, tocca alcuni punti della capsula e trasmette informazioni ai gangli cefalici. Recettori superficiali ciliati sono diffusi su tutto il corpo e permettono la ricezione di stimoli fisici e chimici. In alcune specie, come le planarie, cellule chemiorecettrici sono concentrate ai lati del capo, formando campi sensori detti auricole. Riproduzione e biologia dello sviluppo Ad eccezione di poche specie, tutti i platelminti sono ermafroditi e utilizzano una fecondazione incrociata, mentre l'autofecondazione si ha più frequentemente nei Cestodi. Alcune specie utilizzano anche la riproduzione asessuale, che può avvenire per scissione trasversale (detta schizogenesi architomica - Turbellari dulciacquicoli) o per amplificazione dei diversi stadi larvali nei Trematodi e Cestodi. Il sistema riproduttivo maschile è formato da uno o più testicoli collegati, tramite dotti deferenti, ad una vescicola seminale dove vengono raccolti gli spermatozoi. La vescicola continua con un apparato copulatore rappresentato da un pene o un cirro. L'apparato riproduttore femminile è costituito da uno o più ovari che si collegano tramite ovidotti ad una borsa seminale, dove vengono momentaneamente raccolti gli spermatozoi dopo la copulazione. Il gonoporo femminile può coincidere o no con quello maschile. Nei Turbellari Arcoofori gli ovari producono uova ricche di vitello o endolecitiche mentre nelle forme più evolute (Turbellari Neoofori e le altre tre classi) si hanno due strutture: i germari, che producono uova prive di vitello, e i vitellari, che producono cellule vitelline che, in seguito, verranno accorpate alle uova con la formazione dei bozzoli. Le uova, dai Neoofori in poi, sono quindi ectolecitiche. Dopo la fecondazione, lo zigote subisce una segmentazione spirale. In molti Turbellari lo sviluppo è diretto e porta alla formazione di un individuo adulto. Nei Turbellari Policladi e nei parassiti si assiste ad uno sviluppo indiretto con formazione di uno o più stadi larvali che precedono la forma adulta. I cicli biologici dei platelminti parassiti saranno descritti in dettaglio nella parte riguardante ciascuna classe. Sistematica Phylum Platyhelminthes viene generalmente suddiviso in 4 classi: Classe Turbellaria (Turbellari) Sottoclasse Arcoophora (Arcoofori) Ordine Acoela (Aceli) Ordine Aplofaringidi Ordine Catenulida (Catenulidi) Ordine Lecithoepitheliata (Lecitoepiteliati) Ordine Macrostomida (Macrostomidi) Ordine Nemertodermatida Ordine Neorhabdocoela (Neorabdoceli) Ordine Polycladida (Policladi) Ordine Prolecithophora (Prolecitofori) Ordine Proplicostomati Ordine Proseriata (Proseriati) Ordine Tricladida (Tricladi) Sottoclasse Neoophora (Neoofori) Ordine Lecithoepitheliata (Lecitoepiteliati) Ordine Prolecitophora (Prolecitofori) Ordine Rhabdocoela (Rabdoceli) Ordine Seriata (Seriati (Proseriati, Tricladi)) Classe Monogenea (Monogenei) Ordine Monopisthocotylea (Monopistocotilei) Ordine Polyopisthocotylea (Poliopistocotilei) Classe Trematoda (Trematodi) Sottoclasse Aspidogastrea (Aspidogastrei) Sottoclasse Digenea (Digenei) Classe Cestoda (Cestodi) Sottoclasse Cestodaria (Cestodari) Ordine Amphilinidea (Anfilinidei) Ordine Dilepididea Ordine Gyrocotylidea (Girocotilidei) Sottoclasse Eucestoda (Eucestodi) Ordine Aporidea Ordine Caryophyllidea Ordine Cyclophyllidea (Ciclofillidei) Ordine Diphyllidea (Difillidei) Ordine Lecanicephalidea Ordine Litobothridea Ordine Nippotaeniidea Ordine Proteocephalidea Ordine Pseudophyllidea (Pseudofillidei) Ordine Spathebothriidea Ordine Tetraphyllidea (Tetrafillidei) Ordine Trypanorhyncha (Tripanorinchi) Note Voci correlate Antielmintici Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Planaria
Planaria
Le planarie sono i più noti tra i platelminti che conducono vita libera. Si tratta di organismi simili a vermi, di pochi centimetri, che vivono nel fondo sabbioso o fangoso degli stagni. Il loro corpo è appiattito o allungato. Nel capo presentano ocelli molto semplici e una fossetta con recettori per le sostanze chimiche. L'apparato digerente è ramificato e fornito di un'apertura ventrale, unica, all'estremità di una corta proboscide. Il sistema nervoso centrale è costituito da due cordoni longitudinali, uniti da collegamenti simili ai pioli di una scala, e da due gangli cefalici. L'apparato escretore è formato da canalicoli che drenano il liquido intracellulare e da semplici protonefridi che lo filtrano. L'apparato riproduttore comprende sia testicoli sia ovaie e gonodotti. In alcune specie la fecondazione avviene mediante una sorta di spina che inietta gli spermatozoi nel corpo della femmina. Lo strato esterno del corpo è formato da un sacco muscolare ricoperto da un tegumento. Le planarie hanno una notevole capacità rigenerativa: se si taglia una planaria in due parti, destra e sinistra, si rigenerano due individui distinti. La planaria è capace di rigenerare più della metà del suo corpo. Essendo animali molto sensibili agli agenti inquinanti, la presenza di planarie in uno specchio d'acqua è indice di assenza di inquinamento chimico nelle acque stesse. Voci correlate Rigenerazione (biologia) Tenia (zoologia) Altri progetti Collegamenti esterni Platelminti
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https://it.wikipedia.org/wiki/Perla
Perla
Una perla è una struttura generalmente sferica costituita da carbonato di calcio in forma cristallina (aragonite) deposto in strati concentrici, prodotta dai tessuti viventi – in particolare dal mantello – dei molluschi (tipicamente le ostriche) bivalvi, gasteropodi e, molto raramente, nautiloidi. Anche le conularie producevano perle, composte, tuttavia, da fosfato di calcio. Il termine "perla" deriva dal latino "pernula", il nome con cui si indicava la conchiglia che la contiene, e la cui forma ricorda la "coscia del maiale". Formazione e caratteristiche Una perla si forma quando un corpo estraneo, come parassiti o pezzi di conchiglie, si ferma nella cavità palleale. Esso viene ricoperto da strati successivi di madreperla allo scopo di difendere i tessuti dell'animale dall'irritazione. Si depositano vari strati di calcio che, in combinazione con altri minerali, creano questi particolari oggetti preziosi. Per creare perle con forme speciali, quando si estrae la perla dall'ostrica, si immette un frammento di plastica con la forma scelta, che l'ostrica coprirà con la madreperla. Il risultato è che, dopo anni di attesa, la perla che nasce ha la forma ingrandita del frammento iniziale. Il colore più comune nelle perle è il bianco, ma si possono trovare anche perle rosa, color crema, viola scuro, grigie e nere. Grazie alla tecnologia e ad anni di studio, possiamo anche avere perle con colori bizzarri come il verde, l'azzurro, l'arancione, che vengono usate soprattutto nella bigiotteria. Quando si parla di perle nere, oltre alla Akoya e a quelle di fiume, si pensa subito alla costosissima perla di Tahiti, molto pregiate e particolarmente belle. Il valore delle perle però, non si distingue solo dal colore, ma anche dalla forma e dal lustro, cioè la luce che riesce a riflettere. Una curiosità particolare è che, a differenza delle altre, le ostriche che creano le perle nere sono molto più delicate e in ogni coltivazione ne muoiono tantissime. Questo è un altro fattore che le rende così costose e rare. Ci sono due categorie di perle: le perle di acqua dolce e le perle di acqua salata. Come dice la parola stessa, le perle d'acqua dolce vengono coltivate nei laghi e nei fiumi, mentre le altre provengono dall'oceano e molto spesso dalle lagune. Le tre categorie di perle d'acqua salata sono le Akoya, le perle di Tahiti e le costosissime e rare perle South Sea. Caratteristiche chimico-fisiche Formula chimica: CaCO3+conchiolina+H2O 84÷92% CaCO3, 4÷13% sostanze organiche, 3÷4% acqua Sistema cristallino: ortorombico Durezza secondo la scala di Mohs: 2,5-3,5, 3-4 Densità: 2,6-2,8 g/cm³, 2,6-2,78 Sfaldatura: assente Frattura: irregolare, assente Colore della polvere/Striscio: bianco Lucentezza: madreperlacea Fluorescenza: bianca, debole o assente, rossastra nelle perle nere Trasparenza: da tralucida a opaca Pleocroismo: assente Dispersione: assente Tipi di perle Le perle generalmente non vengono intagliate, ma recentemente in commerci si trovano perle polinesiane incise dai nativi . La forma tuttavia può essere variabile: sferica ovale a goccia irregolari (in questo caso si parla di scaramazze o perle barocche) a grano di riso Materiali simili Anticamente vetro e plastica. Le imitazioni di solito vengono fatte di madreperla, ma anche in plastica e in rari casi vetro ricoperta di "essenza d'oriente" una sostanza che viene ottenuta da scaglie di pesci d'acqua dolce. Imitazioni Sono molte, tutte a base di sferette di vetro. Anticamente si usava la guanina, nelle "Perle delle Antille" si usavano i gusci dei gasteropodi o dai denti di dugongo. Le quattro S delle perle Size, cioè taglia, più una perla è grande, più è preziosa Shape, cioè forma, più sono sferiche, più sono belle Shade, cioè colore, normalmente deve essere tra il rosato, il bianco e l'argenteo Skin, cioè pelle, la superficie dev'essere liscia come la seta senza irregolarità Note Voci correlate Bivalvi Gasteropodi Altri progetti Collegamenti esterni Molluschi Gemme
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https://it.wikipedia.org/wiki/Polychaeta
Polychaeta
I policheti (Polychaeta ) sono la classe filogeneticamente più antica del phylum degli Anellidi, comprendente circa specie. Sono animali bentonici e hanno habitat marino. Morfologia Presentano uno sviluppo indiretto per larva di tipo trocofora, nella quale vi è la presenza di tasche celomatiche già differenziate e metamerizzate. La trocofora dei policheti rappresenta la forma classica, è caratterizzata da una tipica forma a trottola e da due bande ciliate, prototroco e metatroco, che ne circondano la superficie all'incirca a livello del piano equatoriale. Queste bande funzionano sia per il movimento che per l'alimentazione attraverso la filtrazione del plancton. Lo sviluppo avviene con l'allungamento nella parte posteriore e l'inizio della segmentazione, dunque i segmenti di più recente formazione sono quelli in prossimità del pigidio. Le dimensioni della maggior parte delle specie variano dai 5 ai , ma ci sono specie che misurano pochi millimetri e altre (Dasybranchus caducus) che possono oltrepassare il metro di lunghezza e lo spessore di . Il corpo mostra una chiara segmentazione metamerica. Si distinguono tre regioni, prostomio o regione cefalica, metastomio o tronco e pigidio o coda. Sono privi di clitello (rigonfiamento paracentrale ricco di ghiandole mucipare presente invece nei lombrichi). Il prostomio è il segmento preorale, dove si trovano i gangli cerebrali e gli organi sensoriali, inclusi gli occhi, le antenne o tentacoli, i palpi sensoriali e gli organi nucali; nelle forme sedentarie sia il prostomio sia gli organi sensoriali possono presentarsi di dimensioni molto ridotte. Il peristomio o segmento orale, dove si apre la bocca e dove si trovano gli organi necessari alla cattura degli alimenti e quelli sensoriali legati all'alimentazione. Prostomio e peristomio non sono sempre ben diversificati, anzi frequentemente si presentano più o meno fusi o sovrapposti. La cavità buccale è frequentemente evaginabile e provvista di papille e mandibole chitinose. Il metastomio I restanti segmenti metamerici possono essere somiglianti (metamero, segmentazione omonoma) o formare regioni chiaramente distinte (metamero, segmentazione eteronoma); questo è il caso di alcuni policheti sedentari. le strutture più caratteristiche del metastomio sono i parapodi. solitamente i parapodi sono costituiti da due parti, una dorsale detta notopodio, e una ventrale detta neuropodio, entrambe presentano un cirro e sono provviste di setole, delle formazioni chitinose a forma di ago molto caratteristiche da cui deriva il nome del gruppo, le quali sono connesse mediante muscoli al mesenterio ventrale, questo permette il loro movimento e il conseguente movimento dell'animale. Il pigidio Alcune specie hanno parapodi presenti e ben visibili che permettono loro di strisciare sul fondo (cosiddetti policheti erranti). In molte altre specie (cosiddetti policheti sedentari) mancano invece i parapodi: sono forme spesso semisessili, affondate nel sedimento attraverso un tubo prodotto dalle secrezioni di cellule epidermiche (tubicolati). La composizione del tubo è molto varia, potendo essere mucoso, frequentemente misto a particelle di fango, sabbia o resti organici, membranoso, chitinoso o calcareo. Alcune specie, come lo spirografo, sono ornate di una ricca e colorata corona di tentacoli a spirale. Anatomia Le loro appendici (o chete) sono carnose ed espanse. Questi ultimi sono sostenuti da parapodi, i quali a loro volta sono mossi da fasci muscolari parapodiali o circolari. Sono presenti anche altri due diversi tipi di fasci muscolari, quelli longitudinali e quelli obliqui; del primo tipo in particolare ne sono presenti 4 all'interno di un polichete e percorrono tutta la lunghezza del corpo accoppiati in posizione ventrale e dorsale. È presente una robusta cuticola collagenica composta da fibre a fasci crociati (perpendicolari tra loro) attraversata da microvilli che si ramificano all'esterno. Importante la presenza di questo organo attraverso il quale è impedita la disidratazione dell'organismo; da notare che nei policheti le fibre collageniche sono più sottili rispetto a quelle degli oligocheti a causa dell'abbondanza di materiale matriciale. Il sistema nervoso rispecchia molto bene le caratteristiche del phylum: cerebro dorsale collegato alla catena gangliare ventrale tramite un cingolo periesofageo agganciato allo gnatocerebro. Il sistema circolatorio risulta essere chiuso. Il sistema escretore è di tipo metanefridiale, e da notare è il fatto che il nefridioporo presente su un metamero sia in collegamento attraverso un canale ciliato e un tunnel ciliato (nefrostoma) al metamero precedente. Riproduzione La riproduzione è in genere di tipo sessuale e avviene, a seconda delle specie, per liberazione di uova e sperma in acqua o per accoppiamento. Alcune specie (ad esempio Microstomum lineare) si riproducono per paratomia, cioè una rigenerazione cellulare che precede la fase in cui l'individuo si divide in più animali (fino a 30) che rimangono allineati e uniti per un certo periodo per poi staccarsi. Tassonomia Si conoscono circa specie di policheti, di cui almeno presenti nel Mar Mediterraneo. La loro sistematica è ancora problematica, ma vi è ormai accordo nell'abbandonare la tradizionale classificazione in Policheti Erranti (Errantia) e Policheti Sedentari (Sedentaria). La classificazione in atto più accreditata è la seguente: Sottoclasse Echiura Ordine Bonelliida Ordine Echiurida Sottoclasse Palpata Ordine Aciculata Sottordine incerto Famiglia Aberrantidae Famiglia Nerillidae Famiglia Spintheridae Sottordine Eunicida Famiglia Amphinomidae Famiglia Diurodrilidae Famiglia Dorvilleidae Famiglia Eunicidae Famiglia Euphrosinidae Famiglia Hartmaniellidae Famiglia Histriobdellidae Famiglia Lumbrineridae Famiglia Oenonidae Famiglia Onuphidae Sottordine Phyllodocida Famiglia Acoetidae Famiglia Alciopidae Famiglia Aphroditidae Famiglia Chrysopetalidae Famiglia Eulepethidae Famiglia Glyceridae Famiglia Goniadidae Famiglia Hesionidae Famiglia Ichthyotomidae Famiglia Iospilidae Famiglia Lacydoniidae Famiglia Lopadorhynchidae Famiglia Myzostomatidae Famiglia Nautillienellidae Famiglia Nephtyidae Famiglia Nereididae Famiglia Paralacydoniidae Famiglia Pholoidae Famiglia Phyllodocidae Famiglia Pilargidae Famiglia Pisionidae Famiglia Polynoidae Famiglia Pontodoridae Famiglia Sigalionidae Famiglia Sphaeodoridae Famiglia Syllidae Famiglia Typhloscolecidae Famiglia Tomopteridae Ordine Canalipalpata Sottordine incerto Famiglia Polygordiidae Famiglia Protodrilidae Famiglia Protodriloididae Famiglia Saccocirridae Sottordine Sabellida Famiglia Oweniidae Famiglia Siboglinidae (raggruppa specie in precedenza assegnate ai phyla Pogonophora e Vestimentifera) Famiglia Serpulidae Famiglia Sabellidae Famiglia Sabellariidae Famiglia Spirorbidae Sottordine Spionida Famiglia Apistobranchidae Famiglia Chaetopteridae Famiglia Longosomatidae Famiglia Magelonidae Famiglia Poecilochaetidae Famiglia Spionidae Famiglia Trochochaetidae Famiglia Uncispionidae Sottordine Terebellida Famiglia Acrocirridae Famiglia Alvinellidae Famiglia Ampharetidae Famiglia Cirratulidae Famiglia Ctenodrilidae Famiglia Fauveliopsidae Famiglia Flabelligeridae Famiglia Flotidae Famiglia Pectinariidae Famiglia Poeobiidae Famiglia Sternaspidae Famiglia Terebellidae Famiglia Trichobranchidae Sottoclasse Scolecida Famiglia Aeolosomatidae Famiglia Arenicolidae Famiglia Capitellidae Famiglia Cossunidae Famiglia Maldanidae Famiglia Ophelidae Famiglia Orbiniidae Famiglia Paraonidae Famiglia Parergodrilidae Famiglia Potamodrilidae Famiglia Psammodrilidae Famiglia Questidae Famiglia Scalibregmatidae Alcune specie Note Voci correlate Anellidi Oligocheti, Irudinei Altri progetti Collegamenti esterni Anellidi
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Phylum
Il phylum (; plurale phyla), raramente italianizzato in filo, è il gruppo tassonomico gerarchicamente inferiore al regno e superiore alla classe. Il termine phylum, in Italiano, è sinonimo di tipo quando si riferisce alla zoologia ed è sinonimo di divisione in botanica. Gli organismi dello stesso phylum hanno un piano strutturale comune (derivato da un antenato comune che per primo ha originato tale piano strutturale), non necessariamente evidente dalla morfologia esterna. Nome scientifico Il nome scientifico latino attribuito a un phylum è sempre un neutro plurale (finisce con la lettera "a"): per le piante, termina con -phyta (p.es. Bryophyta, Cycadophyta) che viene reso in italiano con la terminazione -fite (Briofite, Cicadofite); per i funghi, termina con -mycota (p.es. Ascomycota, Zygomicota), che viene reso in italiano con la terminazione -miceti (Ascomiceti, Zigomiceti); in altri casi la terminazione è più variabile (p.es. Arthropoda, Mollusca, Chordata, Bryozoa), la finale "a" viene trasformata in italiano in "i" (Artropodi, Molluschi, Cordati, Briozoi). Phyla conosciuti Phyla del regno animale Note Voci correlate Classificazione scientifica Tassonomia Sistematica Nomenclatura binomiale Altri progetti Collegamenti esterni Classificazione scientifica
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Pesca sportiva
La pesca sportiva è uno sport che può essere praticato sia in corsi d'acqua dolce che in mare. È molto diffusa in diverse regioni italiane attraverso circoli di appassionati. Categorie di pescatori La pesca sportiva si suddivide in: pesca di superficie pesca subacquea pesca dalla barca Tutte e tre le categorie sono accomunate nella stessa federazione sportiva, la FIPSAS (Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività Subacquee). L'etica della pesca sportiva pone colui che la pratica (pescasportivo) in condizioni di parità con la sua preda. Chi pratica la pesca sportiva nella sua autenticità non si pone come unico obiettivo di catturare pesce per nutrirsene, ma cerca la sfida nella cattura stessa; ne è la prova il recente diffondersi del No-kill cioè (pesca) senza uccisione e del Catch & Release ovvero cattura e liberamento. Il "No-Kill" è una particolare regolamentazione adottata specialmente nelle acque cosiddette "a salmonidi" e che prevede che ogni pesce catturato venga rilasciato. Il "Catch & Release" è il complesso sempre in evoluzione di quegli accorgimenti che, se adottati dal pescatore di superficie, favoriscono la sopravvivenza del pesce catturato e rilasciato. La continua evoluzione dei suddetti accorgimenti è dettata dalla volontà di garantire la sopravvivenza del pesce; attualmente tale garanzia manca in quanto una percentuale non bene identificata delle catture può riportare ferite tali da causarne la morte per via dell'impossibilità ad alimentarsi. Per quanto riguarda la pesca subacquea essa pur non permettendo il "Catch & Release", offre la possibilità di evitare di catturare le prede che non hanno valore gastronomico o venatorio, e in ogni caso di selezionare preventivamente le prede di cui effettuare la cattura. Inoltre esistono degli accorgimenti nelle varie tecniche di pesca sportiva che permettono di selezionare in anticipo le prede da catturare evitando catture indiscriminate e prede sottomisura (ad esempio la misura degli ami, il tipo di esca... e nella pesca in apnea la possibilità di vedere la preda prima di scoccare il tiro per valutare la specie e le dimensioni). Comunque il pescatore sportivo, in quanto tale, non trae profitto economico dalla pesca e non cattura prede di cui poi non si ciba, integrandosi quindi nella catena alimentare che lega tutti gli esseri viventi. Tecniche di pesca La pesca sportiva di superficie ha le sue discipline rappresentate dalle diverse tecniche di pesca. Le principali sono: cefalo al tocco Pesca al tocco alla trota con la mosca attrezzature tecniche di lancio costruzione di mosche artificiali pesca a mosca inglese pesca a mosca valsesiana a spinning (o con esca artificiale) a fondo pesca a fondo in acqua dolce pesca a legering carpfishing trota lago col vivo morto manovrato (mort manié) surfcasting traina pesca al colpo all'interno della quale è opportuno fare le seguenti distinzioni: pesca alla bolognese pesca all'inglese pesca alla roubaisienne pesca con la canna fissa pesca all'alborella pesca alla casentinese pesca in mare con lenze leggere tecniche la pasturazione pesca in porto pesca in foce pesca dalla spiaggia pesca dalla scogliera pesca da riva Tra le tecniche utilizzate per la pesca subacquea citiamo: pesca in tana pesca all'agguato agguato in acque basse agguato profondo pesca all'aspetto aspetto in acque basse aspetto profondo aspetto nel blu pesca in caduta pesca in parete invece, tra le tecniche di pesca dalla barca ricordiamo: bolentino bolentino di profondità traina vertical jiging No-kill o Catch & Release Il No-kill (o Catch and Release – letteralmente "Prendi e Rilascia") è una filosofia di pesca diffusasi da pochi anni che svincola definitivamente la pesca sportiva dalla sua anziana parente commerciale e "nutrizionale". Diffusasi recentemente, è oggi applicata da un numero sempre crescente di pescasportivi e consiste nel rilasciare il pescato immediatamente dopo la cattura, procurandogli meno danni possibile. La pratica del Catch and Release è particolarmente diffusa nelle tecniche di pesca a mosca, spinning e carp fishing, e adotta una serie di regole per recare il minor danno possibile al pesce catturato: utilizzare ami singoli senza ardiglione, bagnare le mani prima di toccare il pesce per liberarlo e maneggiare il pesce il meno possibile; l'ideale sarebbe liberarlo senza toglierlo dall'acqua e senza toccarlo, facendo leva unicamente sull'esca o sull'amo. Questa filosofia sembra piacere anche ad alcune associazioni ambientaliste che, come ad esempio nel caso del fiume Nera, appoggiano o addirittura si fanno carico dell'istituzione di tratti di fiumi o torrenti riservati al No-kill, per pescare nei quali è spesso necessario pagare una quota, a volte anche rilevante, per ottenere un permesso oltre l'ordinaria licenza di pesca. Altre associazioni animaliste considerano il "No-kill" come una pratica inutile e sadica che, anche se quasi mai porta alla morte immediata dell'animale, gli infligge comunque inutili sofferenze solo per appagare il protagonismo del pescatore. Secondo questa corrente di pensiero la pesca, a prescindere da come venga praticata, non è uno sport, ma solo violenza ed il No-Kill sarebbe una tortura poco accettabile sotto tutti gli aspetti. Note Voci correlate Surfcasting Diritti degli animali Allevamento ittico Pesca alla bolognese Pesca subacquea in apnea Pesca con canna fissa Caparozzolante Carpodromo Altri progetti Collegamenti esterni
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Pallanuoto
La pallanuoto o palla a nuoto (inglese: water polo dalla pronuncia inglese della parola palla in lingua balti, pulu) è uno sport di squadra acquatico nato nel XIX secolo in Inghilterra e in Scozia, le cui regole furono definite per la prima volta nel 1887 da William Wilson. Una partita di pallanuoto vede affrontarsi due squadre, ognuna rappresentata in campo da sette giocatori (per le competizioni agonistiche, per quelle giovanili possono variare), chiamati pallanuotisti, che possono essere sostituiti nell'arco della partita per un numero illimitato di volte, tranne nel caso commettano tre falli gravi; in quel caso, viene decretata una espulsione definitiva con relativo obbligo di sostituzione. Nuotando in uno specchio d'acqua gli atleti devono tirare con le mani (vige per tutto l'incontro, tranne che per il portiere, l'obbligo di toccare la palla obbligatoriamente con una mano sola) un pallone il maggior numero di volte possibile nella porta avversaria. Ogni volta che ciò avviene si effettua un punto (detto gol o rete). Al termine dei quattro tempi di gioco la squadra con il maggior numero di punti è proclamata vincitrice. Inserita nel programma olimpico fin dal 1900, la pallanuoto è diventata nel tempo uno degli sport più popolari di tale competizione. Nonostante la grande popolarità che conquistò agli inizi del ventesimo secolo, resta una disciplina diffusa principalmente in Europa, Stati Uniti e Australia, anche se la sua diffusione sta aumentando grazie all'iniziativa di numerose nazioni che stanno aumentando l'interesse e le iniziative intorno a questo sport, come per esempio il "Development Trophy", torneo tra le squadre asiatiche. Caratteristiche La pallanuoto è uno sport che mette costantemente sotto sforzo chi lo pratica. Il giocatore durante una partita esegue con un ritmo veloce sia fasi di accelerazione che di decelerazione, nonché cambi di direzione e gesti tecnici che richiedono precisione, potenza e freddezza. La caratteristica che accomuna molti pallanuotisti è la possenza fisica in quanto nello svolgimento del gioco sono frequenti i contatti tra i nuotatori. Tale prerogativa non è però indispensabile; la pallanuoto offre difatti la possibilità di trovare un ruolo adatto alla propria costituzione corporea. Nella pallanuoto è richiesta capacità natatoria, fondamentale per gli spostamenti, e coordinamento. Essendo uno sport sviluppatosi dal nuoto, i muscoli esercitati in questa attività sportiva sono gli stessi dell'attività originaria. Per questo sviluppa armonicamente tutti i muscoli del corpo. Rispetto allo sport d'origine lo sforzo è maggiormente concentrato negli arti inferiori e nel busto. Come il nuoto, questo sport migliora la capacità polmonare e inoltre favorisce un miglioramento della coordinazione motoria. Storia La storia della pallanuoto trova le sue origini in Inghilterra e in Scozia, alla fine del XIX secolo, dove si diffuse con il nome di aquatic hand-ball e successivamente di water-polo. Originariamente la pallanuoto fu una competizione esclusivamente maschile ed era una dimostrazione di forza bruta e abilità. Le prime partite si giocarono fra i galeotti che venivano portati a lavarsi nel mare e nei fiumi e successivamente si estese a mostre, festival e fiere delle contee. Alcuni testi riportano che una prima forma di pallanuoto si sviluppò ad Aberdeen, Scozia, dove il Bon Accord Club of Aberdeen, una locale associazione di sport acquatici, organizzò nel 1873 delle partite di uno sport simile al rugby nelle acque del fiume Dee. Il nuovo sport riscosse un successo tale che la London Swimming Association nel 1870 affidò a una commissione il compito di elaborare un apposito regolamento. Quattro anni più tardi, nel 1874, si disputò a Londra la prima partita di pallanuoto. Nel 1887 William Wilson, istruttore e allenatore di nuoto scozzese, apportò una modifica fondamentale allo sport, prendendo ispirazione dal calcio. Fino ad allora la palla doveva essere posizionata con le mani in un punto prestabilito. Wilson mise in acqua delle porte simili a quelle usate nel gioco del calcio, permettendo così ai giocatori di poter lanciare la palla in porta. Wilson, oltre all'inserimento delle porte, stilò una serie di nuove regole per il neonato sport, che egli stesso ribattezzò con il nome di aquatic football (it: calcio acquatico). Nel 1888 si disputò il primo campionato ufficiale, quello inglese. Due anni più tardi, nel 1890, a Kensington ebbe luogo il primo incontro tra due rappresentative nazionali tra inglesi e scozzesi, vinto 4-0 a favore dei primi. Tra il 1890 e il 1900 il gioco della pallanuoto si diffuse in tutta Europa; furono organizzati tornei in Germania, Austria, Francia, Belgio, Ungheria e Italia, che seguivano le regole elaborate in Inghilterra. Nel 1900 la pallanuoto maschile fece la sua prima comparsa ai Giochi olimpici, nella seconda Olimpiade tenuta a Parigi. A rappresentare le nazioni in detta manifestazione non erano presenti singole selezioni nazionali, bensì squadre di club. Il torneo, al quale partecipavano quattro club francesi tra gli otto totali, si disputò con un formato ad eliminazione diretta. A vincere furono gli inglesi dell'Osborne Swimming Club, che batterono in finale i belgi del Brussels Swimming and Water Polo Club per sette a due. Con la sua partecipazione alla seconda Olimpiade la pallanuoto confermò il suo successo, annoverandosi tra i primi sport di squadra nel programma Olimpico. Nel 1929 venne costituita una commissione, formata da quattro rappresentanti della pallanuoto britannica e da alcuni loro pari della Federazione Internazionale di Nuoto. La commissione elaborò nuove regole per le partite internazionali, che vennero attuate solo nel 1930. Da allora la FINA è l'organismo internazionale che disciplina la pallanuoto. Con il passare del tempo il gioco della pallanuoto divenne sempre più tecnico. Nel 1928 l'allenatore Béla Komjádi inventò il passaggio sulla mano; fino ad allora, infatti, la palla veniva sempre passata solamente sull'acqua, con un conseguente notevole rallentamento del gioco; con il passaggio sulla mano lo stesso acquisì invece un discreto dinamismo. Nel 1949 venne modificato il regolamento per giocare senza troppe interruzioni; la modifica apportata stabiliva che il gioco non si doveva fermare quando l'arbitro fischiava un fallo semplice. Negli anni settanta l'espulsione definitiva fu sostituita con l'espulsione temporanea durante la quale, per un minuto, la squadra che la subiva giocava con un uomo in meno. Fu inoltre imposto un limite di durata per ogni azione di quarantacinque secondi. Nel 1994 fu inserito nel regolamento il rigore dai quattro metri, modificato poi a cinque metri nel 2005. Regolamento Le regole della pallanuoto vengono elaborate e pubblicate con un intervallo di quattro anni dalla pubblicazione precedente dalla FINA, l'associazione internazionale che coordina l'attività agonistica internazionale della pallanuoto, oltre che quella del nuoto, del nuoto sincronizzato e dei tuffi. Campo da gioco Le partite di pallanuoto si svolgono in specchi d'acqua, solitamente piscine. Nelle partite ufficiali il campo dove si disputa l'incontro deve essere conforme alle norme della Federazione Internazionale del Nuoto, conosciuta anche come World Aquatics. Nella pallanuoto maschile la distanza tra le due linee di porta deve essere compresa tra i 20 e i 30 metri (salvo diversa disposizione per impossibilità o per i campionati giovanili) e la larghezza deve essere compresa tra 10 e 20 metri. Per le partite femminili, invece, il campo deve essere lungo 25 metri e largo 17 metri. Nelle competizioni FINA il campo per le squadre maschili deve essere lungo 33 metri e largo 20 metri, mentre per le squadre femminili le dimensioni del campo restano invariate. Per le partite di entrambi i sessi l'acqua deve avere una profondità minima di 3.20 metri in tutti i punti della piscina. Lungo il perimetro del campo devono essere presenti, contrassegnati da colori diversi e ben visibili durante la partita, dei segnali che indichino le linee di porta e di metà campo (segnali bianchi), la linea dei 2 metri e dei 5 metri per il tiro di rigore (segnale rosso), la linea dei 6 metri (segnale giallo o verde). Spesso le corsie che delimitano la lunghezza del campo, sono colorate in base all'area che "coprono"; se vi dovesse essere una di queste corsie, la zona di corsia compresa tra i 6 e i 2 metri dalla porta sarà gialla, dai 2 metri alla linea di porta rossa e così via. Porte La porta è lo strumento che delimita la linea che la palla deve attraversare per segnare un punto; durante una partita di pallanuoto ne vengono impiegate due, una per ogni squadra. Queste sono formate da due assi verticali, dette montanti, e una orizzontale posizionata sopra di esse, la traversa. Il tutto deve avere una tinta unica di colore bianco. Il galleggiamento delle porte è dovuto a una sezione apposita posizionata sotto di esse. Le porte, per essere omologabili, devono comprendere una lunghezza di 3 metri tra un montante e l'altro, la traversa deve essere posta a 90 centimetri dal pelo dell'acqua e la rete deve essere attaccata sia ai montanti che alla barra trasversale in modo da chiuderne completamente lo specchio. Le altezze e le distanze variano in caso di campionati giovanili. Pallone Il pallone da pallanuoto, usato anche nelle varianti dello sport, è caratterizzato dalla sua superficie molto ruvida, che permette una più agevole presa utilizzando un'unica mano, nonostante le discrete dimensioni del pallone. Nel corso della storia il pallone usato in questa disciplina ha subito delle frequenti modifiche. Inizialmente, nel XIX secolo, si utilizzava una palla di gomma, che venne poi sostituita dal pallone di cuoio usato nel calcio; questo, assorbendo l'acqua, diveniva però eccessivamente pesante. Così, nel 1936, James Smith, un allenatore di pallanuoto, progettò un pallone che era dotato di una camera d'aria gonfiabile e di un rivestimento in tessuto di gomma. Inizialmente rosso, il pallone diventò giallo per acquisire visibilità, per venire poi dotato in epoca moderna di una striscia centrale colorata. tuttavia i recenti palloni sono di diverse colorazioni, nelle quali è presente il colore giallo o bianco. In Italia, per i campionati di Serie A1, A2 e di serie B è obbligatorio l'uso di palloni Arena Waterpolo Ball Italia, con colorazione gialla o in alternativa tricolore. Il pallone da pallanuoto pesa 400-450 grammi ed è gonfiato a una pressione relativa di () per gli uomini e () per le donne. La circonferenza dei palloni è di per gli uomini e di per le donne. la misura dei palloni degli uomini è detta "5", mentre quella delle donne è "4".Esiste anche un'ulteriore taglia più piccola detta "3" utilizzita pero solamente nelle primissime categorie giovanili. Abbigliamento I giocatori durante una partita di pallanuoto indossano un abbigliamento specifico, idoneo all'attività. Sul capo portano una cuffia da pallanuoto, chiamata anche calotta, la quale ha due scopi principali: quello di permettere all'arbitro di identificare i giocatori e la loro squadra di appartenenza e quello di proteggere gli stessi atleti. Essa è dotata di due protezioni rigide per le orecchie, che proteggono da eventuali urti. Il costume, altro indumento utilizzato nella pallanuoto, presenta delle differenze tra quello maschile e quello femminile. I pallanuotisti indossano il costume a slip, mentre le omologhe femmine il costume intero, generalmente del tutto chiuso anche sul dorso. Solitamente i costumi riportano il logo o i colori societari. Gli atleti, per via del grande agonismo che è presente in questo sport, indossano sopra il primo un ulteriore costume, chiamato copricostume; ciò a causa dei frequenti contatti con gli avversari, dove accade spesso che il proprio marcatore si aggrappi all'indumento, col rischio di strapparlo. Ciò accade soprattutto nelle competizioni femminili, in quanto il costume intero offre un "appiglio" più ampio per le trattenute. Alcuni pallanuotisti inoltre utilizzano il paradenti per evitare lesioni a denti, gengive e labbra. Questo strumento ha un'importante funzione protettiva per eventuali colpi al volto, ma molti pallanuotisti non lo utilizzano, per timore che esso interferisca con la respirazione, e di conseguenza con la propria prestazione, anche se è stato scientificamente dimostrato che il paradenti non altera le performance degli sportivi. Direttori di gara Per le competizioni FIN (Federazione Italiana Nuoto) secondo il regolamento ad arbitrare una partita devono essere presenti arbitri e giudici di porta ma in quelle giovanili i giudici di porta non sono presenti. Esistono varie possibilità riguardo alla composizione della commissione arbitraria. Possono essere presenti due arbitri e due giudici di porta, due arbitri senza giudici di porta oppure un arbitro e due giudici di porta. Oltre ai citati direttori di gara devono essere presenti cronometristi e segretari (giudici di gara). Questi hanno il compito di cronometrare i periodi di possesso palla di ogni azione, per fare in modo che esso non superi il limite imposto dal regolamento, cronometrare i periodi effettivi di gioco, segnare il punteggio della partita e cronometrare il periodo relativo all'espulsione di un giocatore e segnalarne il rientro. Durata del gioco La durata di una partita è di quattro periodi, ognuno di 8 minuti effettivi. Per ottenere un cronometraggio effettivo il tempo viene fermato ad ogni fallo, gol e timeout. Il cronometro viene fatto ripartire nel momento in cui la palla lascia la mano del giocatore che ne effettua la rimessa in gioco. È presente un intervallo di due minuti tra il primo e il secondo periodo e tra il terzo e il quarto, mentre sono previsti tre minuti di pausa tra il secondo e il terzo periodo. Se al termine dei tempi regolamentari in una partita dove è richiesto un risultato definitivo il punteggio è ancora di parità, dopo una pausa di cinque minuti si procede ad una serie da cinque tiri di rigore; in caso di parità si procede ad oltranza come nel calcio ma continuando con gli stessi cinque giocatori. Falli, scorrettezze e sanzioni disciplinari Nella pallanuoto si effettua una principale distinzione dei falli: i falli semplici e i falli gravi. I falli semplici non comportano sanzioni disciplinari, ma una punizione a favore dell'avversario. Si considerano falli semplici quelli che ostacolano o impediscono in qualche modo la libera circolazione di un avversario che non detiene il possesso della palla. Inoltre sono considerate falli semplici altre infrazioni al regolamento, come mettere completamente il pallone sott'acqua (detto in gergo palla sotto), toccare il pallone con entrambe le mani contemporaneamente (portieri esclusi), respingere la palla con il pugno chiuso (portieri esclusi), partire prima del fischio dell'arbitro, spruzzare in faccia all'avversario,nuotando sopra (senza esagerare), proteggere la palla in modo scorretto o mantenere (sia come singolo che come squadra) il possesso palla per più di 30 secondi senza tirare nella porta avversaria.. I falli gravi comportano l'espulsione di chi li commette; un giocatore espulso deve recarsi nell'apposita zona chiamata in gergo pozzetto e non può partecipare al gioco per venti secondi, nei quali la squadra avversaria è in superiorità . Al termine dei venti secondi, il giudice incaricato alza una bandierina blu o bianca (a seconda della squadra di appartenenza del giocatore) che sta ad indicare il rientro del giocatore; se egli non dovesse entrare o uscire correttamente nel/dal pozzetto, viene espulso con effetto immediato e alla squadra avversaria viene assegnato un tiro di rigore. Alla terza espulsione il giocatore non può più rientrare in campo e deve essere sostituito. Si considerano falli gravi lo sferrare intenzionalmente calci o gomitate all'avversario, strattonarlo, trattenerlo o affondarlo. Inoltre è considerato un fallo grave commettere un fallo semplice con l'intento di evitare un probabile gol avversario. Esistono inoltre altre due categorie di falli rientranti nella categoria dei falli gravi che comportano punizioni più severe, nelle quali rientrano ad esempio lo sferrare intenzionalmente calci, pugni, testate, gomitate o similia all'avversario, dette gioco violento e brutalità. Il gioco violento o la brutalità comportano l'espulsione immediata e definitiva del giocatore che le ha commesse e nel caso della brutalità un tiro di rigore contro la squadra del giocatore che ha commesso il fallo, la quale sarà inoltre costretta a giocare con un uomo in meno per quattro minuti effettivi. La brutalità comporta anche una squalifica per almeno due turni del giocatore sanzionato e una ammenda automatica per la sua squadra. La severità nel sanzionare il fallo brutale deriva proprio dalla volontà di evitare la violenza in questo gioco già molto agonistico. Viene assegnato il tiro di rigore dai cinque metri quando un difensore compie un fallo grave all'interno della linea dei cinque metri interferendo con una chiara occasione da rete. I difensori che fiancheggiano il tiratore al momento del rigore gli devono stare ad almeno due metri di distanza. Il giocatore, posizionato sulla linea dei cinque metri con la palla appoggiata sull'acqua accanto a lui, al fischio dell'arbitro deve immediatamente afferrarla e concludere a rete, altrimenti il rigore è considerato nullo. Vi è stato uno scandalo mediatico su questo punto dei rigori ai mondiali di Barcellona del 2013. La giocatrice italiana Roberta Bianconi dopo il fischio dell'arbitro non tira il rigore in quanto l'estremo difensore avversario era avanzato irregolarmente. Al direttore di gara non interessa: è rigore sbagliato. Ruoli e schemi di gioco Nella pallanuoto i ruoli principali sono cinque: portiere, difensore, attaccante, centrovasca e centroboa. La disposizione tipica della pallanuoto è un semicerchio formato dai suddetti elementi, che al suo interno contiene il sesto giocatore, il centroboa. I ruoli vengono spesso associati a un numero da uno a sei, partendo dall'ala destra arrivando fino a quella sinistra. Il portiere, non partecipando alla fase offensiva, non possiede un numero che lo identifichi. Ha il compito di difendere la propria porta per evitare di far segnare punti alla squadra avversaria. Per fare ciò, a differenza degli altri giocatori, può toccare la palla con entrambe le mani contemporaneamente, respingere la palla con il pugno chiuso e spingersi sul fondo della piscina. È distinguibile dagli altri giocatori per la sua calotta, dal colore rosso. Gli attaccanti (1,5) sono i due pallanuotisti più avanzati e defilati, dato che si posizionano sulla linea dei due metri. Nella numerazione vengono identificati con il numero uno, attaccante destro, e cinque, attaccante sinistro. L'attaccante destro solitamente è un pallanuotista mancino; ciò perché la fascia destra del campo è ritenuta la fascia migliore, gergalmente detto lato giusto, per le caratteristiche dei mancini, cioè la zona del campo dove possono ricevere palla e concludere con più facilità. Oggigiorno il termine attaccante viene spesso sostituito con il termine Ala considerando il ruolo e la posizione analoga alle Ali calcistiche poste ai lati del centravanti, ruolo che nella pallanuoto è svolto dal centroboa. I difensori (2,4) sono, dopo il centrovasca, i giocatori più arretrati. Spesso è da loro che viene eseguito il tiro a rete. A loro è assegnato il compito di essere i primi a ripiegare in fase difensiva. Nella numerazione sono contrassegnati dal numero due, difensore destro, e quattro, difensore sinistro. Gergalmente possono venire chiamati anche mezze ali oppure mezz'ali. Il centrovasca, (3) chiamato marcatore quando ricopre il ruolo difensivo, è il giocatore più arretrato del semicerchio. Il suo ruolo offensivo è quello di regista, trovandosi a metà del semicerchio; importante è il suo compito nella fase difensiva, dato che gli è assegnata la marcatura del centroboa avversario, ed è deputato a ostacolarne i movimenti per evitare che egli concluda a rete da distanza ravvicinata. Il centroboa (6) è il giocatore più vicino alla porta avversaria. Svolge un ruolo fondamentale nella fase d'attacco; infatti nella pallanuoto moderna il passaggio verso di esso fa da perno all'azione offensiva. Il fine principale del centroboa è quella di riuscire a concludere a rete da breve distanza, oppure quella di ottenere l'espulsione del proprio marcatore. Per concludere a rete il giocatore, che si trova solitamente spalle alla porta, deve utilizzare varianti del tiro classico come il tiro a sciarpa o la rovesciata(detta anche beduina). Questi tipi di conclusione permettono al giocatore di scagliare il pallone verso la porta senza doversi girare. Essendo il gioco moderno incentrato sul centroboa, le tattiche difensive hanno lo scopo o di ostacolare i passaggi verso di esso o di limitarne lo spazio a sua disposizione e i movimenti. Nel primo caso si attua una strategia chiamata difesa a uomo o pressing. In questo schema i difensori marcano in maniera molto ravvicinata gli attaccanti della squadra avversaria per impedire che essi lo possano servire facilmente. Il centrovasca svolge un ruolo fondamentale: ha il compito di gestire e coordinare le dinamiche difensive, in secondo al portiere; il centrovasca cerca inoltre di porsi “in anticipo”, ovvero dinanzi l’attaccante frapponendosi tra questo e la palla. Ruota la propria posizione in funzione degli spostamenti del pallone operati dai giocatori avversari cercando inoltre di impedire il sopraggiungere del pallone all’attaccante centrale. Nel secondo caso si attua una strategia chiamata difesa a zona chiamata generalmente dal portiere quando vede che il marcatore non è più in anticipo ma è dietro al centroboa. In questo schema la difesa raddoppia la marcatura sul centroboa. Ciò avviene mediante l'arretramento del marcatore del centrovasca, che chiude il pallanuotista in una morsa, tra lui e il marcatore del centroboa. Ovviamente è conseguenza inevitabile che per raddoppiare la marcatura un giocatore rimanga libero; per riparare a ciò il giocatore che ha chiuso da davanti il centroboa alza il braccio cercando di murare il tiro dell'attaccante; oppure, i marcatori degli esterni si dispongono tra il proprio uomo e il centrovasca, così da poter coprire ugualmente gli spazi e aumentare la difficoltà dei passaggi della squadra avversaria. Tale schema difensivo prende il nome di zona M poiché i difendenti si dispongono in maniera tale che, osservando tale disposizione dall’alto, sembra una lettera M. Uomo in più Nel gergo della pallanuoto, con il termine uomo in più si indica la superiorità numerica di una delle due squadre, causata da un fallo grave, e quindi con conseguente espulsione, di un giocatore. Quando una squadra si trova in superiorità numerica, ossia con un uomo in più, essa tende ad attaccare la squadra avversaria cercando di trovare un varco per tirare. Seguendo questo concetto, gli attacchi in superiorità numerica sono caratterizzati da velocità e precisione nei passaggi, il che obbliga ad un grande sforzo i difensori, costretti a fare avanti e indietro per coprire la porta. Si attacca la difesa spesso con 4 uomini sulla linea dei due metri tra cui 2 sui pali. Questo però non è l'unico metodo per giocare l'uomo in più; infatti esistono altri schemi come il 3 3 che dispone tre uomini sulla linea dei due metri e tre su quella da cinque. Quando, al contrario, una squadra si trova in inferiorità numerica, essa tende a far posizionare i difensori in una posizione intermedia rispetto agli attaccanti, in modo da coprire la porta ma contemporaneamente senza essere troppo distanti dal giocatore libero. Generalmente si dispongono 3 difensori sulla linea dei 2 metri tra i vari attaccanti e due a metà strada tra la linea dei 2 metri e quella dei 5 a protezione della porta ma pronti a pressare i due attaccanti posti sulla linea dei 5 per chiudere il più possibile lo specchio aiutando in tal modo il portiere. Nel caso in cui avvengono due espulsioni per una stessa squadra, si parla di doppia superiorità numerica. In questa situazione, molti allenatori tendono a far arretrare un uomo che non parteciperà all'azione, così da creare una situazione di uomo in più. Fondamentali Nuotata Dato che la pallanuoto è uno sport sviluppatosi sulle basi del nuoto, uno dei movimenti fondamentali è la nuotata, che permette ai giocatori di spostarsi dentro l'acqua. A differenza del tipico stile del nuoto, nella pallanuoto spesso si nuota con la testa fuori dall'acqua, con la bracciata molto corta. La prima caratteristica consente di seguire costantemente l'evoluzione del gioco, mentre la seconda facilita il controllo della palla durante la nuotata. A seconda della fase di gioco che si viene a creare vengono usati più stili di nuotata, che posseggono delle caratteristiche atte ad affrontare ogni situazione nel migliore modo possibile. La nuotata a forbice, detta anche Trudgeon dal nome del suo inventore, è uno stile che viene utilizzato frequentemente nella pallanuoto, viste le potenti accelerazioni che riesce a imprimere alla nuotata. È l'unione di due stili: si effettua una gambata rana ogni bracciata stile libero. Da ciò scaturisce l'andatura a balzi che contraddistingue questo stile. Questa nuotata permette un ottimo galleggiamento, permettendo di conseguenza di mantenere la testa fuori dall'acqua senza problemi, sì da seguire lo svolgimento dell'azione durante il movimento. Un buon pallanuotista deve essere rapido nei movimenti e nel passare da una posizione orizzontale(tipica del nuotatore) che viene adottata dal giocatore per i trasferimenti da lato a lato,ad una verticale (o semiverticale in acqua) che invece gli consente di poter passare la palla ai compagni e tirare verso la porta. Questa tecnica è ampiamente adoperata soprattutto nelle azioni di contropiede in particolare caso quando il difensore insegue l’attaccante a poca distanza. La nuotata a Trudgeon consente a chi attacca di poter passare rapidamente alla posizione di tiro rendendo vano il tentativo di ostacolare l’azione da parte del difendente. La nuotata a bicicletta viene utilizzata per mantenere costantemente il corpo fuori dall'acqua quando si è in posizione verticale. Prende il nome dal movimento che viene effettuato, che ricorda il movimento delle gambe durante la pedalata. Per eseguire tale nuotata bisogna flettere alternativamente le gambe tenendo il piede a martello, spingendo prima verso l'esterno e poi verso il basso. Si può definire anche come una nuotata a rana a gambe alternate le quali non sforbiciano contemporaneamente generando il tipico stile. La posizione non è completamente distesa come nel caso della nuotata a rana classica ma leggermente inclinata rispetto al piano orizzontale. Il movimento delle gambe in velocità assume una caratteristico andamento che ricorda il modo di girare delle eliche delle navi. In inglese viene definita eggbeater (sbattiuova, frusta) perché la gambata descrive la forma dello sbattiuova quando è in funzione. La nuotata a dorso viene utilizzata per il ritorno in difesa o per la ricezione dei lanci lunghi. Il dorso eseguito nella pallanuoto differisce da quello del nuoto vero e proprio dal piegamento del busto, che è molto più vicino alle ginocchia, quasi ad assumere una posizione per sedersi, così da poter mantenere la testa più alta e di conseguenza avere una miglior visuale di gioco. Passaggio Il passaggio è un fondamentale che serve principalmente nella fase offensiva. Nella pallanuoto il passaggio di palla da un giocatore a un altro avviene continuamente e in modo rapido e preciso. Ciò serve per disorientare la difesa e a trovare un giocatore con lo specchio della porta libero. Esistono due tipi principali di passaggio: il passaggio sulla mano e il passaggio sull'acqua. Il passaggio sulla mano (ingl. air pass o dry pass) consiste nel passare la palla a un giocatore direzionandola verso la mano del ricevente, così da facilitare la presa al volo della palla. Questo tipo di passaggio viene utilizzato solitamente tra i giocatori che formato il semicerchio esterno, che creano così una fitta e rapida rete di scambi prima di andare alla conclusione. Il passaggio sull'acqua (ingl. wet pass) consiste nel passare la palla a un giocatore direzionandola sull'acqua, in una zona vicina al ricevente. Questo tipo di passaggio viene utilizzato solitamente dai giocatori del semicerchio esterno per servire il centroboa, che avendo la palla davanti a sé e la porta alle spalle può concludere a rete con una rovesciata o una sciarpa invece nelle controfughe il passaggio può avvenire "a volo" con tiro,o in caso con nuotata a dorso una deviazione. Tiro a pallanuoto Il tiro è un fondamentale della pallanuoto il cui fine è quello di scagliare la palla nella porta avversaria. Il movimento si divide in due fasi, trazione e tiro: la prima è la fase di preparazione alla seconda. Durante essa il pallanuotista, con la mano libera, esercita una pressione continua sull'acqua, che accompagnata da un movimento rotatorio delle gambe, chiamate gambe a bicicletta, permette l'elevazione del busto. Contemporaneamente con l'altra mano solleva la palla e con una rotazione del busto carica il tiro portando la palla dietro la nuca. La seconda fase, il tiro, consiste nello scaricare la potenza accumulata con la trazione, scagliando con un movimento rapido del braccio la palla verso la porta avversaria. Per un tiro ottimale, oltre alla qualità balistica del giocatore, sono importanti una buona coordinazione e una ottima elevazione, risultato della fase preparatoria. In alternativa al tiro classico esistono molteplici varianti, frutto di un adattamento del tiro alle varie situazioni che si possono verificare durante una partita, come il trovarsi spalle alla porta o dover tirare durante la nuotata. Il tiro a schizzo è una variante del tiro classico che viene utilizzato quando si è a una distanza ravvicinata rispetto allo specchio della porta. Il tiro consiste nel sollevare leggermente la palla con una mano e impattarla con le dita dell'altra, con la quale si sta terminando la bracciata. Questo tiro consente di concludere con estrema velocità ma scarsa potenza, a causa della poca forza che si riesce ad imprimere al pallone. Il tiro di polso è una variante del tiro classico che viene utilizzato quando si è a una distanza ravvicinata rispetto allo specchio della porta; consiste nel concludere a rete senza uscire con il busto dall'acqua, cioè non eseguendo la fase di trazione, e scagliare la palla verso la porta con la sola forza del polso. Il tiro a colonnello è una variante del tiro classico che viene utilizzato quando si è a una distanza ravvicinata rispetto allo specchio della porta. Il tiro consiste nell'afferrare la palla con il braccio disteso sull'acqua, trascinarla indietro, prima affondandola e poi lasciandola riemergere. Posizionando la palla all'altezza del viso, con il braccio intraruotato fuori dall'acqua si fa forza su di esso per lanciare la palla verso la porta. Questo tiro consente di concludere durante la fase di nuotata. Il tiro a sciarpa è una variante del tiro classico che viene utilizzato quando si è di spalle o in posizione laterale rispetto allo specchio della porta. Il tiro prende il nome dal movimento che si effettua durante questo tiro, che ricorda il gesto per indossare una sciarpa. Infatti il giocatore afferra la palla e con un movimento semicircolare verso la spalla opposta scaraventa la palla verso la porta. La rovesciata, nota anche come beduina, è una variante del tiro classico che viene utilizzato quando si è di spalle o in posizione laterale rispetto allo specchio della porta. Per eseguire questo tiro bisogna afferrare la palla bloccandola tra il palmo e il polso ed eseguire un movimento di novanta gradi verso destra (sinistra se mancini) durante il quale si lascia la palla. La palomba, detta anche palombella, colomba o colombella, è una variante del tiro classico il cui scopo è quello di scavalcare il portiere. Per eseguire questo tiro bisogna eseguire la fase di trazione e, invece di imprimere potenza alla palla, distendere il braccio per darle una traiettoria morbida che punti a scavalcare il portiere. Organi di governo Il maggior organo di governo di pallanuoto a livello internazionale è la Federazione Internazionale di Nuoto (FINA), che ha sede a Losanna, in Svizzera. Ad essa sono affiliate cinque confederazioni continentali che coordinano la pallanuoto nei propri paesi associati. La Asian Amateur Swimming Federation, o AASF, coordina la pallanuoto in quarantatré paesi del continente asiatico, tutti tranne Israele. La Confédération Africaine de Natation, o CANA, coordina la pallanuoto in quarantatré paesi del continente africano, che la federazione divide in quattro principali zone. Oltre a questi, sono presenti altri sedici paesi africani affiliati direttamente alla FINA e non alla CANA. La Ligue Européenne de Natation, o LEN, coordina la pallanuoto in cinquanta paesi del continente europeo, ai quali si aggiunge anche lo stato di Israele. La Oceania Swimming Association, o OSA, coordina la pallanuoto in tredici paesi del continente oceanico. La Unión Americana de Natación, o UANA, coordina la pallanuoto in trentotto paesi del continente americano. Essa è a sua volta divisa in quattro sottofederazioni, ognuna delle quali gestisce una determinata zona del continente: America Meridionale, America Centrale e Caraibi, Stati Uniti e Canada. Competizioni internazionali Giochi olimpici La pallanuoto maschile fu uno dei primi sport di squadra ad apparire alle Olimpiadi, venendo introdotto nel 1900 in occasione dell'edizione di Parigi. La pallanuoto femminile, invece, comparve per la prima volta nel programma olimpico nel 2000, nell'edizione di Sydney, dopo le insistenti richieste della nazionale femminile australiana per l'inserimento della pallanuoto femminile tra gli sport olimpici. La persistenza delle australiane fu premiata anche dalla vittoria del primo oro olimpico, conquistato nella finale contro gli Stati Uniti grazie a un gol da notevole distanza segnato all'ultimo minuto. Tra i recordman della pallanuoto alle Olimpiadi troviamo Manuel Estiarte, che partecipò a sei edizioni consecutive, riuscendo ad andare a segno in quattro di queste. Debuttò a diciannove anni al torneo Olimpico laureandosi capocannoniere della competizione al suo esordio. Nelle sei manifestazioni a cui ha preso parte ha segnato centoventisette gol con la Nazionale spagnola. Dezső Gyarmati detiene il record per il maggior numero di medaglie vinte consecutivamente (ben cinque) di cui tre ori, un argento e un bronzo. Invece lo spagnolo Alfonso Tusell e l'inglese Charles Smith sono rispettivamente il più giovane (14 anni) e il più anziano (45 anni) partecipante alla competizione. Probabilmente la partita di pallanuoto più famosa è quella delle Olimpiadi estive del 1956, tra Ungheria e Unione Sovietica, valevole per le semifinali del torneo maschile, ribattezzata partita del sangue nell'acqua. La partita, finita quattro a zero per gli ungheresi, fu uno dei match più violenti nella storia della pallanuoto. Simbolo degli avvenimenti fu Ervin Zádor che, colpito dal pallanuotista sovietico Valentin Prokopov, uscì sanguinante fuori dall'acqua scatenando la furia dei tifosi ungheresi. Campionati mondiali di pallanuoto Il FINA World Water Polo Championship, comunemente detto in Italia campionato mondiale di pallanuoto, è la più importante competizione organizzata dalla FINA e in campo internazionale. Chi vince il torneo si aggiudica il titolo di campione del mondo. Ogni edizione prevede due tornei: quello maschile, la cui prima edizione si disputò nel 1973 a Belgrado, e quello femminile, che invece iniziò a disputarsi nel 1986 a Madrid. La competizione si svolge nel contesto dei campionati mondiali di nuoto. La cadenza dell'evento fu inizialmente aperiodica. Tra una edizione e l'altra passava un periodo che poteva variare dai due ai cinque anni. Solo nel 2001 la FINA stabilì la cadenza biennale dell'evento, la quale è ancora in atto. Dal 2003 i due tornei, maschile e femminile, si giocano simultaneamente ed hanno il medesimo numero di squadre partecipanti, sedici. Attualmente la nazionale detentrice del titolo è l'. Water Polo World League La FINA Water Polo World League è una competizione internazionale organizzata dalla FINA. Competizione di nascita recente, vede la sua prima edizione maschile nel 2002 e la prima edizione femminile nel 2004. Da allora entrambi i tornei si svolgono ininterrottamente con cadenza annuale. In campo maschile la Serbia detiene il record del maggior numero di podi, sei in otto edizioni, e il record del maggior numero di ori conquistati, quattro. In campo femminile, invece, il primato va agli Stati Uniti, vincitori di quattro delle sei edizioni. Water Polo World Cup La FINA Water Polo World Cup (it: Coppa del Mondo di pallanuoto) è una competizione internazionale organizzata dalla FINA. Ogni edizione prevede due tornei: quello maschile e quello femminile. Entrambi i tornei vedono la loro prima edizione nel 1979. Il torneo maschile nell'edizione disputatasi a Fiume, ex Jugoslavia, e quello femminile nell'edizione disputatasi a Merced, Stati Uniti d'America. Il torneo maschile si è svolto regolarmente ogni due anni fino al 1999 e ogni quattro anni a partire dal 2002; il torneo femminile, invece, ha avuto nel corso della sua storia una programmazione casuale, che si è interrotta nel 2002, da quando si svolge regolarmente ogni quattro anni. La modalità di partecipazione è variata dopo l'edizione del 2006. Fino ad allora era la stessa FINA a proporre la partecipazione alle otto squadre nazionali qualificatesi ai quarti di finale dell'ultimo campionato mondiale, che avrebbero preso parte alla competizione. La prassi cambiò nel 2010; la nuova formula permetteva l'accesso alla competizione alle prime tre nazionali classificate al campionato mondiale precedente e la migliore rappresentativa di ognuno dei cinque continenti. Varianti Canoa polo La canoa polo è uno sport che si è evoluto principalmente dalla pallanuoto. Le regole fondamentali sono le stesse: le partite si giocano su uno specchio d'acqua e si usa un regolare pallone da pallanuoto. A differenza della pallanuoto, i giocatori sono equipaggiati con una canoa e una pagaia. È obbligatorio indossare durante la partita un corpetto protettivo e un casco munito di griglia per proteggere i giocatori da eventuali impatti. Questo sport, praticato per la prima volta intorno al 1938, si è sviluppato notevolmente dopo la pallanuoto, e ancor più tardi diffuso. Iniziò ad essere praticato da un maggior numero di atleti negli anni settanta, quando venne usato come alternativa ai normali allenamenti di canoa, diffondendosi presto in tutta l'Europa. Inner tube water polo Linner tube water polo è uno sport derivato dalla pallanuoto. Nell'inner tube water polo, abbreviato anche ITWP, i giocatori, escluso il portiere, giocano all'interno di pneumatici. Questa caratteristica consente a chiunque, anche ai giocatori occasionali, di praticare uno sport simile alla pallanuoto senza fare un eccessivo sforzo fisico. Ciò è dovuto al fatto che gli pneumatici tengono a galla i giocatori e impediscono i veloci sprint tipici della pallanuoto. Questo sport è principalmente praticato nelle università da squadre miste, ma vengono svolti tornei anche da persone adulte. Le regole, anche se quasi uguali a quelle della pallanuoto, non sono uniformi, e variano a seconda della zona in cui è praticato. Il risultato finale può essere determinato dai gol segnati, come nella pallanuoto e dagli autori dei gol. Infatti è in uso in alcune zone la regola di assegnare due punti se a segnare un gol è una ragazza. Altre varianti Il surf polo è una variante della pallanuoto sulle spiagge di Waikiki, Hawaii, diffuso tra il 1930 e il 1940. L'elaborazione di questa variante è attribuita a Louis Kahanamoku, fratello di Duke Kahanamoku. A differenza della pallanuoto, in questa variante i partecipante giocano cavalcando una tavola da surf. La beach waterpolo è una variante della pallanuoto ideata nel 1995 da Gualtiero Parisio, ingegnere napoletano ed ex pallanuotista del Circolo Canottieri Napoli. Questa variante ha delle regole semplificate rispetto alla pallanuoto e le dimensioni del campo da gioco sono ridotte. Invece del cronometraggio viene usato il gioco a set. Questo sport si pratica solitamente in acque aperte, come laghi, mari o fiumi. Pallanuoto nell'arte La pallanuoto, data la sua poca diffusione nei vari continenti, è stata raramente al centro di rappresentazioni artistiche come film, rappresentazioni o dipinti. L'attore Carlo Pedersoli (Bud Spencer) ha giocato a pallanuoto professionista (Giochi del Mediterraneo del 1955). Uno dei pochi film che vede la pallanuoto come protagonista è Palombella rossa, uscito nel 1989, diretto e interpretato da Nanni Moretti. La quasi totalità delle scene del film si svolgono nella piscina delle Terme di Acireale durante una partita di pallanuoto. Anche grazie a questo film Nanni Moretti fu insignito del Gold Medallion Award della Swimming Hall of Fame, premio che viene assegnato annualmente a un ex nuotatore o pallanuotista che si è distinto in campo culturale. Nel 1952, invece, venne emesso nel Lussemburgo il primo francobollo dedicato alla pallanuoto in occasione dei Giochi della XV Olimpiade di Helsinki. Esso, dal valore di tre franchi, rappresentava due giocatori di pallanuoto durante una partita. A esso nel tempo iniziarono a seguire altri francobolli dedicati a tale sport. Nel 1994 l'Italia emise un francobollo da 750 lire dedicato ai campionati mondiali di nuoto rappresentate un pallanuotista. Esso però conteneva un grossolano errore: il pallanuotista aveva sul capo una calottina rossa con il numero nove, cosa impossibile in quanto la calottina rossa è riservata esclusivamente ai portieri, che sono obbligati ad avere il numero uno o il numero tredici. Note Bibliografia Enrico Roncallo, Almanacco della pallanuoto,''' Urbone Publishing, Praga, 2015, p 1118, (EN) Kelvin Juba, A Short History of Water Polo, [Roma 2007] (DE) Wolfgang Philipps, „Aquatic football“, „aquatic polo“, „water-polo“... Grundzüge der Geschichte des Wasserballs in Großbritannien und Hannover (1870 bis 1933). In: Christian Becker/Cornelia Regin/Anton Weise (eds.): „Als der Sport nach Hannover kam“. Geschichte und Rezeption eines Kulturtransfers zwischen England und Norddeutschland vom 18. bis zum 20. Jahrhundert'', Münster et. al., Lit-Verlag, 2015, ISBN 978-3-643-13152-2, pp. 107–135. Voci correlate Nuoto Sport di squadra Pallone da pallanuoto Cuffia da pallanuoto Federazione Internazionale di Nuoto Asian Amateur Swimming Federation CANA UANA OSA Ligue Européenne de Natation Lista delle competizioni pallanuotistiche in Europa Altri progetti Collegamenti esterni Discipline olimpiche Sport in Scozia
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https://it.wikipedia.org/wiki/Pentathlon%20moderno
Pentathlon moderno
Il pentathlon moderno è uno sport multidisciplinare in cui gli atleti competono in cinque diverse discipline: scherma (spada); nuoto ( stile libero); equitazione (salto ostacoli, sostituita dalle Obstacle Race dopo Parigi 2024); corsa ( corsa campestre); tiro a segno (pistola). L'aggettivo "moderno" serve a distinguerlo dal pentathlon "tradizionale" che veniva disputato durante i Giochi olimpici antichi, le cui cinque prove erano: stadion (gara di velocità su una distanza di c. ); lancio del giavellotto; lancio del disco; salto in lungo; lotta greca. Storia Il pentathlon moderno fu inventato dal barone Pierre de Coubertin, il fondatore dei moderni Giochi olimpici. Così come nell'antichità le cinque prove del pentathlon servivano a saggiare le capacità del soldato ideale dell'epoca, de Coubertin pensò ad una competizione che simulasse l'esperienza di un soldato della sua epoca (a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento) dietro le linee nemiche: doveva cavalcare un cavallo non suo, combattere con la pistola e con la spada, nuotare, e correre. La prima gara di pentathlon moderno si svolse alle Olimpiadi del 1912, e venne vinta dallo svedese Gösta Lilliehöök. Lo statunitense George Patton, che sarebbe poi diventato il generale Patton della seconda guerra mondiale, arrivò quinto. Data l'ispirazione militare, la competizione era solo maschile; soltanto da Sydney 2000 è stata istituita anche la gara per le donne. Dai Giochi del 1952 venne aggiunta anche la prova a squadre, poi soppressa dal 1992. A partire dal 1949, negli anni non olimpici si svolge il campionato del mondo. Originariamente la competizione si svolgeva in quattro o cinque giorni, la gara di tiro a segno utilizzava pistole a fuoco (calibro 22) e si usavano sagome poste a distanza di che alternativamente rimanevano chiuse per 7 secondi e si aprivano per 3 secondi (tempo utile per alzare l'arma, mirare e fare fuoco); la prova consisteva di 2 serie di 5 colpi di prova e di 4 serie di gara per un totale di 20 colpi. Il torneo di scherma si svolgeva in una giornata intera ed ogni assalto poteva durare 3', tempo necessario per tirare la sola stoccata che ne decretava il vincitore; tutti i concorrenti dovevano incontrare ogni altro partecipanti del torneo. Il concorso di equitazione utilizzava 15 ostacoli per 18 salti totali (gabbia e doppia gabbia) e gli ostacoli potevano avere un'altezza massima di 1.20 metri. Il percorso di corsa era di campestri con un dislivello massimo di e la prova di nuoto prevedeva in cui era permesso di usare lo stile preferito. Durante il corso degli anni la disciplina del Pentathlon ha subito numerose ed importanti modifiche fino alla 1996 dove si è passati alla gara in un'unica giornata (one-day competition) per velocizzare l'intera durata della gara nel tentativo di far fronte alle richieste del CIO di adeguare la competizione alle esigenze del mondo commerciale e televisivo che necessita di tempi sempre più stretti e veloci. Dal 1912, anno della sua introduzione, il pentathlon moderno ha sempre fatto parte del programma olimpico. A ciò si aggiunga che è l'unica competizione creata appositamente per le Olimpiadi moderne, ideata da De Coubertin stesso. Tuttavia per la sua scarsa popolarità e diffusione, al di fuori dell'Europa orientale, viene considerato uno dei possibili candidati all'esclusione dai futuri Giochi olimpici. Il CIO ha dichiarato che non intende aumentare il numero di sport presenti nel programma olimpico, quindi l'entrata di nuove discipline comporterà l'eliminazione di altre. La massima autorità mondiale del pentathlon moderno è l'Unione Internazionale Pentathlon Moderno (UIPM), mentre in Italia è la Federazione Italiana Pentathlon Moderno (FIPM). Discipline La versione attuale del pentathlon moderno combina cinque discipline sportive in quattro eventi: Scherma: l'arma utilizzata è la spada. La gara si svolge con la formula del cosiddetto girone all'italiana (round robin), cioè ogni concorrente affronta a turno tutti gli avversari. Ogni assalto dura un minuto, e il primo che mette a segno una stoccata vince. Se in un minuto nessuno mette a segno la stoccata, entrambi perdono l'assalto. C'è inoltre un round bonus: gli ultimi due si affrontano e chi vince affronta il terzultimo, e così via fino a esaurimento. Nuoto: la prova si svolge sui 200 metri. Lo stile è libero, cioè si possono nuotare a scelta tutti e quattro gli stili ma, essendo il crawl quello più veloce, è piuttosto infrequente che gli atleti scelgano altri stili. I concorrenti vengono suddivisi in batterie in base alla migliore prestazione dell'anno. Equitazione: si tratta di salto ostacoli su un tracciato lungo 350-450 metri su cui sono posti 12 ostacoli per un totale di 15 salti (sono comprese una gabbia e una doppia gabbia). L'abbinamento tra cavaliere e cavallo avviene per sorteggio, dopo il quale il cavaliere ha a disposizione 20 minuti prima della partenza della prova per conoscere il cavallo ed effettuare un massimo di 5 salti di riscaldamento. Combinata: è una prova combinata di tiro e corsa (fino al 2008 erano separati) nella quale si inizia con di corsa, poi si alternano una serie di tiro (in cui si devono colpire 5 bersagli) e di corsa da eseguire per quattro volte per un totale di 20 bersagli e di circa . I colpi di tiro si effettuano in posizione eretta con pistola laser ed il bersaglio è fisso e posto ad una distanza di 10 metri, essa inoltre va caricata ad ogni turno di tiro al bersaglio. Campioni olimpici Campioni del mondo Individuale maschile Individuale femminile Note Voci correlate Biathle Pentathlon invernale Altri progetti Collegamenti esterni Pentathlon moderno
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https://it.wikipedia.org/wiki/Polo
Polo
Geografia Polo celeste – ciascuno dei due punti immaginari in cui l'asse di rotazione terrestre incontra la sfera celeste Polo geografico – ciascuno dei due punti in cui l'asse di rotazione di un pianeta incontra la superficie del pianeta stesso Polo Nord e Polo Sud – i due punti in cui l'asse di rotazione terrestre incontra la superficie del pianeta. Si usa anche il termine generico polo terrestre Polo – comune della provincia di Barahona Polo – città della Contea di Ogle, Illinois Polo – città della Contea di Caldwell, Missouri Matematica Polo – singolarità isolata per una funzione olomorfa Polo – punto dello spazio rispetto al quale si valuta il momento di un vettore applicato Polo – punto fisso di un sistema di coordinate polari, rispetto al quale viene espressa la prima coordinata polare (la distanza dal polo) Persone Polo di Agrigento – retore e filosofo siceliota Alberto Polo – pallavolista italiano Ana Maria Polo – avvocata e conduttrice televisiva statunitense di origine cubana Andy Polo – calciatore peruviano Bernardo Polo – pittore spagnolo Carmen Polo, I signora di Meirás – nobildonna spagnola Diego Polo – pittore spagnolo Enrico Polo – violinista italiano Fantina Polo – nobildonna italiana Gabriele Polo – giornalista italiano Giuseppe Polo – calciatore italiano Joseph Polo – giocatore di curling statunitense Malvina Polo – attrice statunitense Marco Polo – esploratore italiano Marco Polo – produttore beatmaker canadese di origini italiane Matteo Polo – mercante ed esploratore italiano, zio di Marco Niccolò Polo – mercante ed esploratore italiano, padre di Marco Ramón Polo – calciatore spagnolo Ramperto Polo – vescovo cattolico italiano Teri Polo – attrice statunitense Polo – calciatore ghanese Politica Nuovo Polo per l'Italia – coalizione elettorale italiana (2010-2012) Polo del Buon Governo – coalizione elettorale di centro-destra che si presentò alle elezioni politiche del 1994 Polo delle Libertà – coalizione elettorale italiana di centro-destra (1994) Polo per le Libertà – coalizione politica italiana (1994-2000) Scienze Polo – estremità della cellula durante la meiosi e la mitosi Polo – ciascuno dei morsetti di un elemento circuitale (per esempio nei bipoli) Polo elettrico – singola carica Polo galattico Polo magnetico – punti estremi di un magnete Sport Polo – sport equestre praticato da due squadre di 4 cavalieri che si fronteggiano e, per mezzo di una mazza di legno, cercano di fare gol nella porta avversaria. Bike polo – sport praticato da due squadre di 3 giocatori che si muovono su biciclette Canoa polo – sport praticato da due squadre di 5 giocatori che si muovono su canoe Elephant polo – variante del polo cavalcando gli elefanti Altro Polo – famiglia patrizia veneziana Polo – particolare tipo di maglietta con colletto Polo – caramella con la forma caratteristica di una ciambella stilizzata Polos – antico copricapo, attributo di alcune divinità Volkswagen Polo – automobile della Volkswagen Pagine correlate San Polo Marco Polo (disambigua) Altri progetti
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https://it.wikipedia.org/wiki/Paderno%20d%27Adda
Paderno d'Adda
Paderno d'Adda (Padèrnu in dialetto brianzolo, Padéren in dialetto bergamasco, Paderno fino al 1863) è un comune italiano di abitanti della provincia di Lecco in Lombardia. Paderno d'Adda è sita nel settore orientale del fiume Adda, all'interno del Parco Adda Nord e dell'ecomuseo Adda di Leonardo. Paderno costituiva un punto di strozzatura nel percorso fluviale lungo l'Adda. Dopo svariati tentativi, solo nel 1700 fu superato l'ostacolo alla navigazione con la costruzione del naviglio di Paderno, permettendo così il congiungimento tra il Lago di Como e Milano tramite la Martesana. Storia In epoca medievale, Paderno era parte della pieve di Brivio. Per ovviare al problema dell'attraversamento dell'Adda, reso difficoltoso dalla presenza di alcune rapide, Leonardo da Vinci progettò un sistema di chiuse. L'implementazione del progetto, interrotta alla morte di Ludovico il Moro, venne ripresa solo nel 1574 e finì con la realizzazione del naviglio di Paderno. Simboli Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica del 23 luglio 2004. Il gonfalone è un drappo di bianco. Monumenti e luoghi d'interesse Architetture civili Architetture legate al fiume Adda A Paderno d'Adda si trova il famoso ponte di Paderno o ponte San Michele. Fu costruito tra il 1887 e il 1889 dalla Società Nazionale Officine di Savigliano di Cuneo, sotto la direzione dell'ingegnere svizzero Julius Rothlisberger (1851-1911). Il ponte è lungo 266 m ed è sostenuto da nove appoggi, che reggono un'arcata metallica di 150 m di corda e 37,50 di freccia. Nella travata interna del viadotto passa la ferrovia Seregno-Bergamo, sulla parte superiore c'è la strada destinata al traffico leggero. L'altezza sul fiume è di circa 85 metri. Poco lontano dal ponte si trova la centrale idroelettrica Bertini della Edison. Di interesse è la casa del guardiano della diga. Altro Villa Gnecchi-Ruscone, risalente alla prima metà dell'Ottocento Cascina Assunta (1862), abitazione rurale in stile lombardo. Cascina Maria Cascina Chioso Architetture religiose Parrocchiale di Santa Maria Assunta, riedificata alla fine del XIX secolo Chiesa di Santa Marta (XVI secolo), probabilmente costruita laddove si trovava la vecchia chiesa di San Pietro, la quale era alle dipendenze della pieve di Brivio. Chiesa di Santa Elisabetta (XVIII secolo) Oratorio di Sant'Ambrogio, già attestato alla fine del Seicento Altro Da segnalare anche il monumento ai caduti (1931), opera dello scultore Giuseppe Mozzanica, inoltre nel cimitero locale è sepolto Enzo Bearzot. Società Evoluzione demografica 535 nel 1751 514 nel 1771 662 nel 1805 annessione a Robbiate nel 1809 920 nel 1853 annessione a Robbiate nel 1928 Etnie e minoranze straniere Gli stranieri residenti nel comune sono 387, ovvero il 10% della popolazione. Di seguito sono riportati i gruppi più consistenti: Marocco, 76 Romania, 68 Albania, 39 Egitto, 23 Senegal, 22 Bangladesh, 22 Note Bibliografia Voci correlate Stazione di Paderno-Robbiate Naviglio di Paderno Santuario della Madonna della Rocchetta (Paderno d'Adda) Altri progetti Collegamenti esterni Comuni della provincia di Lecco
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https://it.wikipedia.org/wiki/Plantae
Plantae
Le piante (dette anche vegetali) sono organismi uni o pluricellulari, eucarioti foto-aerobici, con cloroplasti di origine endosimbiotica primaria. Vi sono specie di piante catalogate. Sono piante gli alberi, gli arbusti o cespugli, le erbe, i rampicanti, le succulente, le felci, i muschi, alghe verdi e molti altri ancora. La maggior parte delle piante sono incluse nel gruppo delle Angiosperme, con circa specie, che si distinguono dagli altri gruppi per la produzione di fiori, seguita, dopo l'impollinazione, dalla formazione di semi racchiusi e protetti all'interno di un frutto. Le branche della biologia più importanti che si occupano dello studio delle piante sono la botanica per la sistematica e l'anatomia, la fisiologia vegetale per il loro funzionamento e l'ecologia vegetale, che studia la distribuzione delle piante e l'effetto dei fattori ambientali che influenzano tale distribuzione, nonché le interazioni tra le piante e gli altri organismi. Definizione Per la biologia le piante hanno alcune caratteristiche fondamentali: sono formati da cellule eucariote, cioè cellule particolarmente evolute, dotate di un nucleo protetto da una membrana; sono organismi autotrofi, per l'approvvigionamento energetico svolgono la fotosintesi clorofilliana, un insieme di reazioni biochimiche, che permette di catturare parte della luce solare trasformando l'anidride carbonica in zuccheri ed altre sostanze; le pareti cellulari sono strutturate con una base di cellulosa e le cellule stesse possono immagazzinare amido come fonte energetica di riserva. I limiti precisi del regno delle Piante, per quanto riguarda gli organismi inferiori e in particolare unicellulari, sono stati oggetto di valutazioni in parte discordanti. Inizialmente, il regno delle Piante (più esattamente il regno Vegetale, vedi sotto) comprendeva anche organismi eterotrofi (come gli animali) come i Funghi, e tutti i batteri e archeobatteri. Successivamente, le Piante vennero ristrette ai soli organismi autotrofi pluricellulari, rimandando tutti gli organismi unicellulari anche autotrofi al regno dei Protisti. Oggi prevale la tendenza a riportare nel regno delle Piante gli organismi unicellulari autotrofi, purché eucarioti. Ciò si applica in particolare alle alghe verdi, tradizionalmente incluse nei Protisti; esse farebbero parte del regno delle Piante, perché hanno cellule con le pareti di cellulosa, contengono lo stesso tipo di clorofilla delle piante terrestri e producono amido con la fotosintesi. Vi sono anche altre posizioni, come quella degli studiosi che considerano ancora oggi le Piante un gruppo tassonomico ben circoscritto, dal quale ribadiscono l'esclusione delle alghe. Ancora più controversa è la collocazione delle alghe rosse o Rodofite, che hanno una parentela meno stretta delle alghe verdi con le piante superiori. Rimangono unanimemente esclusi i procarioti capaci di fotosintesi, in particolare il gruppo delle alghe azzurre (più correttamente chiamate Cianobatteri). Per la loro semplicità strutturale e la stretta vicinanza filogenetica, le alghe verdi vengono considerate antenate delle piante terrestri. Secondo questa ipotesi, circa 400 milioni di anni fa alcune alghe verdi d'acqua dolce (le Caroficee o le Carofite secondo i diversi inquadramenti tassonomici), facevano capolino sulle rive dei laghi esposte per breve tempo all'aria. Queste sottili fasce verdi intorno alle zone d'acqua erano l'unica vegetazione sulla terraferma, allora completamente deserta. Evoluzione Sistematica A partire dal XVII secolo, le piante venivano incluse nel più vasto – ed allora poco conosciuto – Regno Vegetale, che comprendeva anche tutti i tipi di alghe, i funghi, i batteri e i licheni. Dal XX secolo, con l'avanzare delle conoscenze scientifiche, i funghi, biochimicamente e filogeneticamente molto più affini agli animali, vennero ascritti a un separato regno tassonomico, i batteri si ripartirono nei due regni (o, più correttamente, divisioni) eubatteri e archeobatteri, i licheni vennero riconosciuti come organismi modulari formati dalla simbiosi di un'alga e di un fungo, mentre le alghe della prima classificazione vennero disperse: la maggior parte di quelle microscopiche comprese nelle piante, mentre molte altre, a seconda dei gruppi, divise in ambiti tassonomici differenziati e tuttora in parte controversi. Nel corso della complessa storia della tassonomia delle piante, i continui cambiamenti apportati dai botanici sistematici hanno così generato diversi raggruppamenti, spesso basati su distinzioni morfologiche e riproduttive. Anche se molti di essi sono ufficialmente in disuso, questi gruppi rimangono tuttora utilizzati in botanica perché offrono una rapida comprensione delle differenze mostrate dagli organismi vegetali, a seguito di una diversa complessità tracciata dal cammino evolutivo. Con l'avvento della filogenesi molecolare, molti gruppi inizialmente considerati monofiletici come le Bryophyta, le Gimnosperme o le Charophyta, sono stati suddivisi in linee separate risultando così parafiletici. La più recente e comprensiva analisi molecolare basata sull'uso di molti marcatori ottenuti dal trascrittoma, tecnica conosciuta come filogenomica o filotrascrittomica ha individuato un forte supporto per la monofilia delle Bryophyta (muschi ed epatiche) e delle Gimnospermee, ma ha anche confermato la parafilia delle Charophyta, rappresentate nel cladogramma sottostante da solo due linee. Una di queste, le Zygnemataceae, sono risultate essere il sister group delle Embryophyta, le piante terrestri. Altri gruppi di piante sono: Rhodophyta Glaucophyta Anthocerotophyta Marchantiophyta Pteridophyta Psilophyta Ecologia La fotosintesi condotta dalle piante e dalle alghe è la principale fonte di energia e di materia organica (la fitomassa) in quasi tutti gli ecosistemi. Questo processo portò ad un radicale cambiamento della composizione dell'atmosfera originaria, causato da un incremento della quantità di ossigeno, che ora ne occupa il 21% del volume. Ciò permise lo sviluppo degli organismi aerobi ed in seguito l'approdo della vita nell'ambiente sub-aereo. Grazie all'autotrofia, le piante sono i produttori primari negli ecosistemi terrestri, formando la base della catena alimentare, da cui dipende l'esistenza degli animali e degli altri organismi eterotrofi. Le specie vegetali svolgono un'importante funzione all'interno del ciclo dell'acqua (evapotraspirazione) e di altri cicli biogeochimici. Alcune piante si sono coevolute con batteri azotofissatori, essenziali per il ciclo dell'azoto. Inoltre, lo sviluppo radicale ha un ben determinato ruolo nell'evoluzione del suolo (pedogenesi) e, assieme alle chiome che formano il manto vegetale, nel prevenire la sua erosione. Le piante sono anche gli organismi dominanti i vari biomi terrestri, i cui nomi derivano proprio dal tipo di vegetazione caratteristica. Numerosi animali si sono coevoluti con le piante, assumendo entrambi forme e comportamenti specializzati a favorire un'associazione mutualistica che, a volte, diviene così stretta da legare le due specie letteralmente per la "vita", perché la scomparsa di una particolare pianta provoca l'immediata estinzione della specie animale simbiotica e viceversa. Mentre le piante offrono tane, siti per la riproduzione e cibo in quantità, alcuni animali, detti pronubi, favoriscono l'impollinazione dei fiori; altri la dispersione dei semi. Le mirmecofite sono piante coevolutesi con le formiche, che le difendono dagli erbivori o da piante competitrici e le fertilizzano con i loro rifiuti organici, in cambio di una casa e, non sempre, di cibo. Oltre che con i batteri e gli animali, le piante instaurano frequentemente simbiosi con delle specie fungine tramite le radici, formando un'associazione definita micorriza: i funghi aiutano la pianta per l'assorbimento dell'acqua e dei nutrienti presenti nel suolo; la pianta offre in cambio i carboidrati prodotti con la fotosintesi. Altre specie ospitano al loro interno dei funghi endofitici che proteggono la pianta dagli erbivori mediante la produzione di tossine. Nelle Orchidacee, i semi sono privi o carenti di endosperma e la germinazione non può avvenire senza l'ausilio di un fungo specifico. Reattività delle piante Come tutti gli esseri viventi le piante possono essere sensibili a molecole perché le loro cellule sono dotate di recettori di tali sostanze; usano questi recettori, per esempio, per ricevere informazioni dall'ambiente. Se le cellule delle radici captano la presenza di nutrienti come azoto e fosforo, la crescita delle radici si rivolge verso la direzione degli elementi. Le piante sono anche in grado di reagire in tempo reale a uno stimolo meccanico. Le piante carnivore hanno questa caratteristica. Ad esempio la dionea ha sulle foglie-trappola dei peli sensibili che rilevano la presenza degli insetti e che consentono alle trappole di chiudersi immediatamente, impiegando meno di un secondo, e la Mimosa pudica ritrae le foglie se toccata. Le piante individuano la luce grazie a molecole presenti sulle foglie (come i fitocromi) che agiscono da recettori. Diverse specie di piante sono in grado di percepire l'umidità del terreno, la gravità, la CO2 (anidride carbonica) o altri composti chimici. Come difesa passiva usano centinaia di molecole, quali l'acido salicilico, la morfina, la nicotina e la caffeina. Queste molecole rendono la pianta poco appetibile o velenosa. L'emissione di alcune molecole si verificano in caso di predazione; ad esempio l'artemisia, se ferita, emette dei composti chimici che fanno reagire le piante vicine. Il tabacco, cotone o fagiolo del Perù, quando sono attaccati da insetti, producono molecole che attirano altri insetti predatori che le liberano dai loro aggressori. Le piante usano i filamenti (miceli) dei funghi che vivono in simbiosi con le radici, scambiandosi segnali chimici, formando una rete molto più vasta di quella delle sole radici. Già Charles Darwin aveva supposto, nel suo The power of movement in plants (1880), che le radici potevano essere considerate sede di fenomeni di elaborazione dell'informazione delle piante. Ogni segmento delle radichette ha una funzione particolare quando si addentra nel terreno. È in grado di percepire le condizioni ambientali e produce e propaga segnali elettrici. La mimosa è anche in grado di memorizzare localmente eventi passati. Dopo alcuni di questi colpi innocui smette di chiudere le foglie, mostrando il fenomeno dell'abituazione. Suoni Da evidenze emerse sullo studio di piante di pomodoro, tabacco ed altre, è emerso che ogni pianta emette suoni acuti quando viene sottoposta a stress, nell'ordine di -65dbspl tra i ed i e che quindi il suono emesso è piuttosto forte e può essere udito da diversi metri di distanza in parte da umani, altri animali, insetti ed altre piante. Questi suoni sono stati registrati da un team diretto da Itzhak Khait al Tel Aviv University in Israele, e sottoposti ad un programma di intelligenza artificiale che è riuscito a predire dal solo ascolto del suono emesso anche in mezzo a rumori ambientali, lo stato della pianta come secca, recisa o intatta. Quando la pianta è intatta ed in salute emette pochissimi suoni praticamente trascurabili e spesso neanche rilevabili, praticamente resta in silenzio, mentre quando è sottoposta a stress l'ultrasuono è netto, rilevabile ed acuto. L'emissione dei suoni viene prodotta per cavitazione, la produzione di piccole bolle all'interno delle piante stressate. Alcune piante sono più "loquaci" di altre, ad esempio il "lamento" del pomodoro è il triplo più frequente del tabacco, ed anche le "motivazioni" sono differenti, ad esempio alcune piante fanno più rumore se hanno poca acqua piuttosto che vengano danneggiate. Animali come gli umani possono sentire, solo se in perfetta salute, una parte dei suoni emessi dalle piante, mentre altri mammiferi come i pipistrelli, ad esempio, sono in grado di udire chiaramente tutto lo spettro dei suoni emessi, e quindi si ipotizza che per loro una foresta sia troppo rumorosa per dormirci, o che insetti come le falene che allo stesso modo sentono perfettamente tutta la gamma di emissioni sonore delle piante, preferiscano deporre le uova su alberi in salute e quindi più silenziosi. Forse alcune leggende su questo tema, come l'urlo straziante che emette la Mandragora quando viene estratta, ha una base di verità poiché forse qualcuno può effettivamente sentire il forte suono molto acuto e fastidioso, e probabilmente molti animali domestici lo sentono bene e chiaramente. Come applicazione, questa scoperta apre le porte alla progettazione di sistemi ed algoritmi di intelligenza artificiale nelle coltivazioni, che provvedano ad irrigare le piante quando esse lo chiedano. Note Voci correlate Botanica Fitoanticipine Piante alimurgiche Piante ornamentali Piante aromatiche Piante officinali Piante medicinali Piante velenose Piante carnivore Piante parassite Piante acquatiche o palustri Specie botaniche in Italia Altri progetti Collegamenti esterni Piante Piante Italia Database Taxa classificati da Ernst Haeckel
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https://it.wikipedia.org/wiki/Paul%20Dirac
Paul Dirac
Premio Nobel per la fisica nel 1933 (insieme a Erwin Schrödinger) per "la scoperta di nuove fruttuose forme della teoria atomica", diede contributi fondamentali allo sviluppo della meccanica quantistica e alla teoria quantistica dei campi, formulando, fra l'altro, l'omonima equazione e predicendo l'esistenza dell'antimateria. È considerato uno dei più importanti fisici del ventesimo secolo. Giudicato dai suoi amici e colleghi di carattere insolito (in una lettera del 1926 a Paul Ehrenfest, Albert Einstein scrisse di lui: «Questo equilibrio sul vertiginoso percorso tra il genio e la pazzia è impressionante»), fu professore lucasiano di matematica all'Università di Cambridge, membro del Center for Theoretical Studies dell'Università di Miami e trascorse gli ultimi dieci anni della vita all'Università statale della Florida. Biografia Nacque da una famiglia di origine svizzera, formata dal padre Charles, insegnante di francese, dalla madre Florence e da due fratelli. Ricevette un'educazione rigida per le tendenze autoritarie del padre. Frequentò la Bishop Road Junior School di Bristol, dove fu compagno di classe di Cary Grant. Dimostrò sin da piccolo grande predisposizione per la matematica e a dodici anni si iscrisse al Merchant Venturers Technical College, una scuola moderna di indirizzo tecnico-scientifico. Si iscrisse poi all'Engineering College dell'Università di Bristol, dove conseguì la laurea in ingegneria elettrica nel 1921. Nel 1926 ottenne il PhD all'Università di Cambridge in matematica applicata e fisica teorica. Dopo un periodo nelle università americane, diventò professore lucasiano di matematica a Cambridge nel 1932. Nel 1926 sviluppò una formalizzazione della meccanica quantistica basata sull'algebra non commutativa di operatori. Nello stesso anno contribuì a formulare la statistica di Fermi-Dirac, relativa ai fermioni. Nel 1928, partendo dai lavori di Wolfgang Pauli sui sistemi non relativistici con spin, in una serie di articoli derivò l'equazione che porta il suo nome, che descrive l'elettrone da un punto di vista relativistico in una teoria di grande semplicità. La sorprendente intuizione d'attribuire un significato fisico alle soluzioni a energia negativa della sua equazione gli permise nel 1930 di predire l'esistenza del positrone. Nel suo Principi di Meccanica Quantistica, pubblicato nel 1930, introdusse gli operatori lineari come generalizzazione delle formalizzazioni di Werner Heisenberg e Erwin Schrödinger; introdusse anche la distribuzione nota come delta di Dirac e ipotizzò l'esistenza di una particella con carica magnetica isolata, ribattezzata monopolo magnetico. Un altro importante risultato fu l'introduzione della notazione bra-ket, che consentì di inserire nella meccanica quantistica la matematica degli spazi vettoriali. Nel 1933, in condivisione con Erwin Schrödinger, ricevette il premio Nobel per la fisica «per la scoperta di nuove, fruttuose forme della teoria atomica». Negli anni successivi si occupò di teorie di campo e soprattutto cercò le equazioni più adatte per l'elettrodinamica quantistica; nel 1938 ideò un modello relativistico classico dell'elettrone nel tentativo di rinvigorire quello proposto da Lorentz. Intorno agli anni settanta Dirac ritornò sui suoi studi cosmologici per esporre una sua interpretazione delle coincidenze cosmologiche che riguardano alcuni rapporti adimensionali di certe costanti fondamentali (gravità, costante di Planck, velocità della luce, massa e carica delle particelle subatomiche). Negli ultimi anni insegnò all'Università statale della Florida. Più di qualsiasi altro fisico suo contemporaneo assegnò al concetto di "bellezza matematica" un ruolo preminente tra gli aspetti fondamentali della natura, fino a sostenere che "una teoria che includa la bellezza matematica ha più probabilità di essere giusta e corretta rispetto ad una teoria sgradevole, pur confermata dai dati sperimentali". In suo onore fu istituito il Premio Dirac. Considerato uno scapolo predestinato, nel 1937 sposò Margit Wigner, sorella del collega Eugene Wigner. Tra le sue passioni, i viaggi e le passeggiate in montagna. Personalità Di carattere schivo, estremamente timido, a volte ruvido e poco portato all'empatia, secondo alcuni con una forma leggera di autismo, Dirac era noto per l'estrema riluttanza a parlare. I suoi colleghi a Cambridge avevano istituito ironicamente il "dirac" come unità di misura della loquacità: un dirac valeva l'emissione di una parola all'ora. Un aneddoto raccontato da George Gamow a Arthur Koestler riguarda la lettura del romanzo Delitto e castigo di Dostoevskij la cui traduzione in inglese gli fu fornita dal fisico russo Peter Kapica. Quando gli chiese che cosa ne pensasse egli rispose: «Niente male. Ma in un capitolo l'autore ha fatto uno sbaglio. Ha raccontato che il sole è sorto due volte nello stesso giorno.» Fu il suo unico commento al romanzo. Opere principali The Principles of Quantum Mechanics, 4th Edition, At the Clarendon Press, Oxford, UK, 1958 (trad. it.: I principi della meccanica quantistica, I edizione italiana, Editore Boringhieri, Torino, 1959). Onorificenze Note Bibliografia Voci correlate Campo di Dirac Costante di Dirac Delta di Dirac Equazione di Dirac Gamma di Dirac Ipotesi dei grandi numeri di Dirac Mare di Dirac Meccanica quantistica Rappresentazione di interazione Regola di quantizzazione di Dirac Spinore di Dirac Statistica di Fermi-Dirac Teoria quantistica dei campi Altri progetti Collegamenti esterni Scienziati atei Membri della Royal Society Membri dell'Accademia delle Scienze di Torino
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https://it.wikipedia.org/wiki/Proiezione%20cartografica
Proiezione cartografica
Una proiezione cartografica è il risultato di trasformazioni geometriche, matematiche o empiriche di punti geografici espressi in coordinate geografiche in punti espressi in coordinate cartesiane. Le proiezioni vengono usate in cartografia per rappresentare su un piano (con le carte geografiche) un fenomeno che nella realtà esiste sulla superficie della sfera (più propriamente di un ellissoide). È impossibile evitare deformazioni (lo stesso globo, o mappamondo, ne subisce alcune), ma alcune proiezioni vengono privilegiate per i pregi che presentano. Essendo storicamente utilizzate per la navigazione, alcune proiezioni cartografiche possono contenere linee lossodromiche, che incontrano ogni meridiano sotto lo stesso angolo, e linee ortodromiche, che indicano il tragitto più corto tra due punti. Classificazione Per proprietà Le proiezioni cartografiche possono essere costruite (e classificate) in modo da possedere alcune proprietà. Ad esempio una proiezione può essere suddivisa in: equivalente se mantiene i rapporti tra le superfici, cioè se le superfici sono in scala (modulo di deformazione superficiale unitario); equidistante se mantiene i rapporti tra le distanze da un punto (o da due punti, ma è impossibile costruire carte con tutte le distanze in scala); conforme (o equiangola, o isogonale) se mantiene gli angoli (modulo di deformazione lineare costante e modulo di deformazione angolare nullo). Alcuni esempi sono: la proiezione di Cassini le proiezioni di Eckert la proiezione di Flamstead la proiezione di Gauss-Boaga la proiezione di Goode la proiezione di Hammer la proiezione di Mercatore (e la derivata proiezione universale trasversa di Mercatore) la proiezione di Mollweide (e la sua versione "spezzata") la proiezione di Peters Per proiezione Le proiezioni si possono classificare anche in funzione del tipo di proiezione con cui vengono ottenute. La proiezione di sviluppo si ottiene per proiezione prospettica su un altro solido (tipicamente un cilindro o un cono), che viene poi sviluppato ("srotolato"). La proiezione azimutale si ottiene per proiezione prospettica su un piano tangente e mantiene gli angoli rispetto al punto di tangenza. Può essere classificata in funzione del tipo di proiezione. In funzione del punto di tangenza è: polare se il punto è uno dei due poli; equatoriale se il punto è sull'equatore; obliqua altrimenti. In funzione del punto di proiezione può essere: gnomonica (o centrografica), rispetto al centro della Terra; stereografica, rispetto al punto opposto al punto di tangenza; scenografica, rispetto ad un punto fuori dalla Terra; ortografica, rispetto al punto all'infinito. Alcuni esempi notevoli sono: la proiezione di Bonne la proiezione di Delisle la proiezione di Lambert la proiezione di Mercatore la proiezione di Nicolosi la proiezione di Sanson la proiezione di Tolomeo la Proiezione di Winkel-tripel Note Bibliografia A. Dardano, Cartografia elementare pratica,, rivista La geografia, IGDA, Novara. anno I, 1912-13 M. Eckert, Die Kartenprojektion, 1910 M. Eckert, Neue Entwürfe für Erdkarten, in Petermanns Mitteilungen, 53, N. 5, 1906 pp. 97-109 J.P. Goode, Goode's School Atlas Phisical, political, and economic, revised by E. B. Espenshade jr,New York Chicago San Francisco, Rand Mc. Nally, 1949, pp. XIII-XVI e tavole 2 e 3 E. Raisz, General cartography, New York Toronto London, McGraw-Hill Book Company, inc., 1948, pp.63-96 A. Sestini, La lettura delle carte geografiche, con cenni sugli esercizi cartografici e sulla storia della cartografia, Le Monnier, Firenze 1959 4ª ed., con breve bibliografia A. Sestini, Cartografia generale, Bologna, Patron, 1981 L. Visintin, U. Bonapace, G. Motta, Proiezioni cartografiche, tavv. 4 e 5 in Grande Atlante Geografico, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1972 L. Visintin, Sulle migliori proiezioni in planisfero, in La geografia, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1921, IX, N.6, pp.181-203 L. Visintin, Ancora sui migliori planisferi, in La geografia, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1922, 1X, N.1, pp.37,38 L. Visintin, Una costruzione geometrica del planisfero ellittico di Eckert, in La geografia, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1930, XVIII, N. 1-6, pp. 95-97 L. Visintin, La carta geografica: come si costruisce e come si stampa, in Nuovo atlante per tutti, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1920, riportato anche in Atlas metodico de Geographia moderna (Curso superior de geographia) Istituto Geografico De Agostini e Collegio Salesiano di Santa Rosa, 1921 L. Visintin, Geografia generale, Corso di geografia ad uso dei licei, parte I, Istituto Geografico De Agostini, Roma Novara Parigi, pp. 18-19 L. Visintin, Appunti di critica cartografica, in La geografia, Istituto Geografico De Agostini, 1926, 14, N. 1-2, pp. 42-60 Tutti questi articoli di Luigi Visintin sono ristampati in: G. Maghet, G. Motta, G, Valussi, Luigi Visintin geografo e cartografo 1892-1958, Cormons, Comune di Cormons, 1989. Si possono vedere anche le pagine 22 e 23 del World geo-grafic Atlas edito per la Container Corporation of America. Cfr. Herbert Bayer Wagner H., Trattato di geografia generale vol. I pp. 237-313, Torino, Fratelli Bocca, 1911 Voci correlate Cartografia Lista delle proiezioni cartografiche EGM96 GPS Modulo di deformazione lineare Topografia Scala di rappresentazione WGS84 Altri progetti Collegamenti esterni https://web.archive.org/web/20151010063516/http://www.geografia-applicata.it/wordpress/wp-content/uploads/2011/04/03_Proiezioni_Cartografiche.pdf Le proiezioni, Corso di Camillo Berti all'Univ. di Firenze
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https://it.wikipedia.org/wiki/Proiezione%20cilindrica%20centrografica%20modificata%20di%20Mercatore
Proiezione cilindrica centrografica modificata di Mercatore
La proiezione cilindrica centrografica modificata di Mercatore o più semplicemente proiezione di Mercatore è una proiezione cartografica conforme e cilindrica proposta nel 1569 dal geografo e cartografo fiammingo Gerardo Mercatore. La rappresentazione di Mercatore è uno sviluppo cilindrico diretto modificato da un procedimento misto geometrico-analitico che rende le carte isogone (angoli uguali nella rotta). Essa è diventata la proiezione cartografica più usata per le carte nautiche per la sua proprietà di rappresentare linee di costante angolo di rotta (linee lossodromiche) con segmenti rettilinei. Mentre la scala delle distanze è costante in ogni direzione attorno ad ogni punto, conservando allora gli angoli e le forme di piccoli oggetti (il che rende la proiezione conforme), la proiezione di Mercatore distorce sempre più la dimensione e le forme degli oggetti estesi passando dall'equatore ai poli, in corrispondenza dei quali la scala della mappa aumenta a valori infiniti (secondo un grigliato delle latitudini crescenti). Descrizione Nel corso dei secoli sono state proposte decine di sistemi di proiezione della Terra o parti di essa, in forma piana, dove i punti geografici determinati su tali mappe non corrispondevano in "conformità" o "isogonismo" (dl greco iso = uguale, gonios = angolo) con gli stessi punti presi sul pianeta. Per isogonismo bisogna intendere: la latitudine e la longitudine di un punto generico preso su una carta geografica (espresse in gradi, primi e secondi d'arco) devono essere uguali o conformi alle latitudine e longitudine (espressi in gradi, primi e secondi d'arco) del medesimo punto identificato sulla Terra, e viceversa. A tal proposito si interessò il geografo cartografo e matematico fiammingo Gerhard Kremer detto "Mercatore" (Belgio 1512 – Duisburg 1594) il quale, dal 1563 fino all'età di 82 anni, volle dedicarsi allo sviluppo di mappe che raffigurassero al meglio la superficie terrestre su un piano, venendo incontro proprio a quei dilemmi di isogonismo che i geografi e studiosi anche antecedenti a Mercatore non riuscirono a risolvere. Lo scienziato, visionando le varie proiezioni già esistenti, scelse come "canovaccio" da rielaborare la Proiezione Cilindrica Centrale o Centrografica per Sviluppo, in quanto di suo presentava già il vantaggio di avere: il parallelismo e l'equidistanza dei meridiani, che non variavano la scala delle Longitudini "λ"; l'intersezione ortogonale tra meridiani e paralleli che permettevano la rettificazione delle lossodromie; l'isometria all'Equatore (il quadro cilindrico che avvolge la Terra è tangente all'Equatore, da cui proiezione cilindrica centrale), rendeva qualsiasi punto o più punti presi sulla carta, alla stessa distanza paragonati sulla Terra o viceversa. Gli svantaggi di tale proiezione erano: limiti nel rappresentare sul cilindro le varie regioni del territorio terrestre, fino all'altezza del 80º parallelo, mentre tutta la zona circostante i poli non poteva essere raffigurata. Ciò era dovuto al fatto che il punto di vista posizionato al centro Terra, proiettava le immagini dei poli a 90°, rendendole parallele al perimetro del cilindro stesso, causando il loro incontro solo all'infinito; la legge di distribuzione dei paralleli, che non rendevano conforme la carta. Mercatore, preso atto di ciò, sviluppò una formula matematica composta da: un integrale definito, che moltiplica la funzione trigonometrica secante riferita alla latitudine "φ", nelle varie distanze "d" dall'Equatore e che è uguale al logaritmo naturale della tangente, che moltiplica 45° sommati alla latitudine "φ" del punto d'interesse diviso 2 (vedi formula generica più in basso). Con tale formula, modificò solo la legge di distribuzione dei paralleli della proiezione cilindrica, ottenendo così il tanto ambito isogonismo e dando vita alla "carta analitica di Mercatore a latitudini crescenti" (φ,c). L'intervento di Mercatore è tale da "deformare", allungandola manualmente, la proiezione centrografica nella sua funzione secante, in modo da poter disporre i paralleli diversamente da come erano in origine e di conseguenza deformando anche le latitudini. Infatti la latitudine crescente "φc" va intesa come la deformazione analitica e progressiva sulla sola carta geografica, della latitudine di un punto d'interesse in funzione della sua distanza dall'Equatore. Per determinare sulla carta geografica la distanza o la latitudine di un parallelo qualsiasi rispetto all'Equatore, si divide il meridiano della sfera terrestre in parti infinitesimali di parallelo (dφ). Ad esempio, alla lunghezza 0 – 1 = dφ sulla terra, corrisponde sulla carta la misura 0' - 1' = dφ ∙ secdφ. Alla lunghezza 1 - 2 = dφ, corrisponde sulla carta la misura 1' - 2'= dφ ∙ sec2dφ e così via, da cui la nota formula: Latitudine crescente: Nella navigazione per grandi distanze sferiche > 500 miglia (o navigazione oceanica), gli ufficiali di coperta oltre all'ausilio delle carte nautiche di Mercatore (spezzate lossodromiche), utilizzano come controprova la navigazione analitica, calcolando la distanza dal porto di partenza al porto d'arrivo, mediante l'utilizzo dell'apposita formula matematica per il calcolo della latitudine crescente "φc", come da formula seguente: Per ovviare alla formula e velocizzare il calcolo, si utilizzano tavole nautiche apposite redatte in funzione di tale formula. Proprietà e dettagli storici Nel 1569 Mercatore pubblicò un grande planisfero delle dimensioni di 202x124 cm, stampato in diciotto diversi fogli. Come in ogni proiezione cilindrica, paralleli e meridiani sono rappresentati da linee rette perpendicolari tra loro. L'inevitabile distorsione est-ovest della carta geografica, che aumenta con la distanza dall'equatore, è accompagnata da un'identica dilatazione nord-sud, tale che in ogni punto, la scala delle distanze est-ovest è la stessa della scala nord-sud, rendendo la proiezione conforme. Una mappa di Mercatore pertanto non può mai coprire pienamente le aree in prossimità dei poli, in quanto in quel punto la scala delle distanze assume valori infiniti. Essendo una proiezione conforme, gli angoli sono conservati a partire da ogni posizione, mentre la scala delle distanze varia da punto a punto, distorcendo la forma degli oggetti geografici. In particolare, le aree prossime ai poli ne sono più affette, rendendo una immagine del pianeta tanto più distorta quanto più ci si avvicini ai poli. Infatti, a latitudini maggiori di 70° nord o sud, la proiezione di Mercatore è praticamente inutilizzabile. Tutte le linee di costante angolo di rotta (linee lossodromiche — quelle che determinano un angolo costante con i meridiani) sono rappresentate su una mappa di Mercatore da segmenti rettilinei. Queste sono precisamente il tipo di rotta usualmente seguite dalle navi sul mare, dove è utilizzata la bussola per indicare le direzioni geografiche e per orientare le navi. Le due proprietà, conformità e lossodromie rettilinee, rendono la proiezione di Mercatore particolarmente adatta alla navigazione marina: rotte e puntamenti sono misurate mediante rosa dei venti e goniometro, e le corrispondenti direzioni sono facilmente trasferite da punto a punto della mappa con l'aiuto di un regolo parallelo o un paio di squadrette di navigazione. Il nome dato da Mercatore alla sua mappa del mondo (Nova et Aucta Orbis Terrae Descriptio ad Usum Navigatium Emendate: "nuova ed aumentata descrizione della Terra corretta per l'uso di navigazione") dimostra che essa era già allora concepita per la navigazione marina. Benché il metodo di costruzione della mappa è non esplicitato dall'autore, Mercatore probabilmente ha usato un metodo grafico, riportando alcune linee lossodromiche precedentemente tracciate su una sfera in un reticolo quadrato, e aggiustando lo spazio tra i paralleli in modo tale che tali linee diventino dritte, segnando con i meridiani lo stesso angolo riportato sul globo. Lo sviluppo della proiezione di Mercatore rappresenta il passo più significativo nella cartografia nautica del XVI secolo. Comunque, essa fu molto più avanti del suo tempo, in quanto le vecchie tecniche di navigazione e rilevamento non erano compatibili con il suo uso in navigazione. Due principali problemi ne limitavano infatti la sua immediata applicazione: l'impossibilità a quel tempo di determinare la longitudine sul mare con adeguata accuratezza ed il fatto che in navigazione venisse fatto riferimento alle direzioni magnetiche invece che geografiche. Solo a metà del XVIII secolo, dopo che fu inventato il cronometro nautico e conosciuta la distribuzione spaziale della declinazione magnetica, la proiezione di Mercatore poté essere pienamente adottata dai naviganti. Diversi altri autori sono associati con lo sviluppo della proiezione di Mercatore: Il tedesco Erhard Etzlaub (c. 1460–1532), che ha stampato mappe per bussole miniaturizzate (circa 10x8 cm) dell'Europa e parti dell'Africa, latitudini 67°–0°, al fine di permettere aggiustamenti della sua meridiana solare portabile, fu per decenni ritenuto di aver progettato "una proiezione identica a quella di Mercatore". Recentemente è stata provata la falsità di tale affermazione, che trae origini su dubbie ricerche risalenti al 1917. Il matematico e cosmografo portoghese Pedro Nunes (1502–1578), che per primo descrisse la linea lossodromica ed il suo uso nella navigazione marina, e suggerì la costruzione di diverse carte nautiche di diversa grande scala in una proiezione cilindrica equidistante al fine di rappresentare il mondo con il minimo angolo di distorsione (1537). Il matematico inglese Edward Wright (c. 1558–1615), che formalizzò per primo la matematica della proiezione di Mercatore (1599), e pubblicò accurate tavole per la sua costruzione (1599, 1610). I matematici inglesi Thomas Harriot (1560–1621) e Henry Bond (c.1600 – 1678) che, in maniera indipendente (c. 1600 e 1645), associarono la proiezione di Mercatore con la sua moderna formula logaritmica, successivamente dedotto dal calcolo. Matematica della proiezione Le seguenti equazioni determinano le coordinate cartesiane e di un punto nella mappa di Mercatore a partire dalle coordinate geografiche di latitudine e longitudine ( con è indicato il meridiano posto al centro della mappa): Le funzioni inverse determinano le coordinate geografiche a partire dalle coordinate cartesiane riportate nella mappa di Mercatore: La scala della mappa di Mercatore è proporzionale alla secante della latitudine , diventando arbitrariamente grande vicino ai poli, dove . Pertanto, come si deduce dalle formule, le coordinate dei poli sono . Derivazione della proiezione Assumiamo la Terra con una forma sferica (in realtà, è un geoide, ma assumiamo per semplicità la forma sferica essendo la differenza irrilevante su mappe di piccola scala). Possiamo immaginare la proiezione di Mercatore immaginando un cilindro avvolto attorno alla sfera terrestre e tangente ad essa lungo la superficie dell'Equatore. L'asse della terra coincide con l'asse del cilindro ed i piani passanti per l'asse terrestre, che “tagliano” la sfera lungo i meridiani, intersecano anche la superficie del cilindro lungo le sue generatrici. Quindi, proiettando dal centro della Terra, tutti i punti dei meridiani sulla superficie del cilindro, detti meridiani corrispondono sul cilindro alle rette generatrici. Tagliando la superficie del cilindro lungo una sua generatrice e stendendola su un piano (la carta), i meridiani che sulla sfera convergono nei poli, sulla carta sono rappresentati da linee rette verticali e parallele, che pertanto non convergono mai. Sulla carta, equatore e paralleli sono invece rappresentati da rette orizzontali. Sulla carta, a causa del parallelismo dei meridiani, la lunghezza dei tratti di parallelo tra due meridiani risulta sempre uguale: essa è quindi dilatata, al crescere della latitudine, rispetto alla situazione reale della sfera terrestre. In altri termini, la distanza tra due meridiani, apparentemente costante sulla carta, corrisponde ad una distanza reale sulla sfera terrestre che decresce al crescere della latitudine (verso nord o verso sud). Le due distanze, reale ed apparente, risultano apparentate dal fattore . Per mantenere inalterato il rapporto di forma dei piccoli oggetti a qualsiasi latitudine, alla dilatazione sulla carta della distanza tra i meridiani si fa corrispondere anche una uguale dilatazione della distanza tra i paralleli. Tale requisito di similitudine è imposto su quadrati di lato infinitesimo orientati secondo le linee meridiane e parallele Quindi la coordinata è una funzione solo della latitudine con da cui si ricava per integrazione la funzione cercata Ponendo l'origine delle coordinate tale che per , si annulla il valore della costante di integrazione (). Applicazioni Come ogni mappa di proiezione che tenta di rappresentare una superficie curva su un foglio piano, la forma della mappa è una distorsione della reale forma della superficie terrestre. La proiezione di Mercatore esagera le dimensioni delle aree lontane dall'equatore. Per esempio: la Groenlandia è rappresentata con un'area equivalente a quella dell'intero territorio dell'Africa, quando in realtà l'area di questa è approssimativamente 14 volte quella della Groenlandia; l'Alaska è rappresentata con un'area simile se non superiore a quella del Brasile, quando l'area del Brasile è in realtà più di 5 volte quella dell'Alaska; la Finlandia è rappresentata avente un'estensione nord-sud più grande di quella dell'India, quando nella realtà è vero il contrario. Benché la proiezione di Mercatore sia ancora di uso comune per i naviganti, dovuto alle sue uniche proprietà, i cartografi sono d'accordo nel ritenere che essa non sia adatta ad una rappresentazione globale dell'intero pianeta, dovuta ai suoi effetti di distorsione delle aree. Mercatore stesso fece uso di una proiezione sinusoidale di uguale area per rappresentare le aree relative. In conseguenze di tali critiche, i moderni atlanti geografici non usano più la proiezione di Mercatore per le mappe dell'intero pianeta e per aree distanti dall'equatore, preferendo altre proiezioni cilindriche o qualche forma di proiezione sinusoidale (area uguale). La proiezione di Mercatore è ancora, invece, comunque comunemente usata per aree vicine all'equatore, dove la distorsione è minima. Web Mercator Per i servizi cartografici online come Google Maps, Bing Maps e OpenStreetMap viene utilizzata una versione semplificata della proiezione di Mercatore, comunemente detta Web Mercator (indicata anche come Google Web Mercator, Spherical Mercator, WGS 84 Web Mercator oppure WGS 84/Pseudo-Mercator). Pur non essendo un sistema geodetico di riferimento riconosciuto, è codificato ufficialmente come EPSG:3857. I problemi sono dovuti all'utilizzo di un modello sferico per la conversione di coordinate basate su un modello ellissoidale; inoltre tale proiezione risulta non conforme. Per questi motivi si possono avere differenze di oltre 40 chilometri rispetto alla proiezione conforme di Mercatore. Utilizzando la proiezione Web Mercator, viene considerata una massima latitudine pari a ±85,05113 gradi, quando la coordinata è pari a . Più precisamente: da cui Note Bibliografia Needham, Joseph (1986). Science and Civilization in China: Volume 3-4. Taipei: Caves Books Ltd. Voci correlate Proiezione universale trasversa di Mercatore Gerardo Mercatore Proiezione UPS Altri progetti Collegamenti esterni Geometria proiettiva Proiezioni cartografiche Storia della geografia
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Provincia di Lodi
La provincia di Lodi è una provincia italiana della Lombardia di abitanti, con capoluogo a Lodi. Confina a nord con la città metropolitana di Milano, a est con la provincia di Cremona, a sud con l'Emilia-Romagna (provincia di Piacenza), a ovest con la provincia di Pavia e con l'exclave di San Colombano al Lambro (appartenente alla città metropolitana di Milano). Fu istituita il 6 marzo 1992, a seguito dello scorporo di 61 comuni dalla allora provincia di Milano. Nella provincia cinque comuni si fregiano del titolo di città: Lodi, Codogno, Casalpusterlengo, Sant'Angelo Lodigiano e Lodi Vecchio. Geografia fisica Territorio La provincia di Lodi si estende nella pianura padana interamente a nord del fiume Po, con l'eccezione di alcune porzioni di terreno localizzate sulla sponda meridionale, tra queste la porzione più estesa si trova in comune di Caselle Landi, incuneata tra i comuni di Piacenza e Caorso appartenenti alla provincia di Piacenza, per circa , a est è delimitata dalla riva destra dell'Adda, fatta eccezione per una parte del capoluogo e dei limitrofi comuni di Abbadia Cerreto, Boffalora d'Adda, Corte Palasio e Crespiatica e, a ovest, dalla sponda sinistra del Lambro Meridionale prima e del Lambro poi, con l'eccezione dei comuni di Sant'Angelo Lodigiano e Graffignana. Il confine nord è, invece, perlopiù convenzionale, tranne alcuni tratti, come quello tra i comuni di Truccazzano e Comazzo dove è delimitato dal torrente Molgora. Il territorio è composto quasi interamente dalla pianura Padana, inclinata leggermente da nord a sud-est con declivio circa dell'1.5 per mille. Il terreno è tipicamente alluvionale, generalmente composto di arena o siliceo calcarea, o argilloso silicea e calcarea che unita a strato di carbonato di calcio, mista spesso ad allumina, forma la crosta vegetale o arabile. Orografia L'unico rilievo presente nella provincia è la collina di San Colombano al Lambro, posta nei pressi dell'omonimo comune exclave della città metropolitana di Milano; la collina è un'elevazione isolata che si innalza rispetto alla pianura Padana formata da materiali argillosi e calcarei di epoca pliocenica posti sotto ad uno strato di sedimenti di origine alluvionale. Il profilo della collina suggerisce che essa sia l'unica parte rimanente di un più esteso territorio collinare successivamente eroso a seguito dell'azione dei fiumi. La collina raggiunge un'elevazione massima di Idrografia Fiumi Il territorio della provincia è interamente compreso nel bacino idrografico del fiume Po e vi tributa per mezzo dei suoi affluenti Lambro e Adda. Appartiene al bacino del Lambro il Lambro meridionale, mentre al bacino dell'Adda appartengono la Molgora e il Tormo. Sono, inoltre, presenti numerosi canali artificiali tra i quali i principali sono il Brembiolo e il canale della Muzza. Appartiene alla provincia di Lodi, al comune di Caselle Landi, anche un breve tratto del torrente Nure, affluente di destra del Po, nei pressi della sua foce. Sono infine presenti numerose risorgive. Laghi Non esistono nella provincia laghi di rilievo, tuttavia in epoca medievale la parte orientale della provincia (compreso il capoluogo) era lambita dal lago Gerundo: il cui territorio paludoso e insalubre fu bonificato e trasformato in una delle regioni più fertili d'Europa grazie alle opere di ingegneria idraulica e al lavoro dei monaci cistercensi e benedettini Clima Il clima del territorio lodigiano, analogamente al resto della val Padana, presenta peculiarità riconducibili all'area continentale: le estati sono molto calde e caratterizzate dal fenomeno dell'afa (in base ai dati relativi al periodo di riferimento 1961-1990, la temperatura massima media della stagione estiva si attesta a ); invece gli inverni sono spesso freddi (la temperatura minima media è pari a ) e sono diffuse le nevicate, raramente di grossa portata. Fenomeno molto frequente durante il semestre invernale è la nebbia, che talvolta può persistere per giorni a causa dell'assenza di venti sinottici a livello del suolo. L'autunno e la primavera sono le stagioni in cui si registrano le maggiori precipitazioni. Storia Sebbene istituita nel 1992, le origini storiche di questa provincia ben inserita in una tipologia ambientale omogenea di bassa pianura e delimitata da grandi fiumi, risalgono almeno a 2 millenni fa. Il primo riconoscimento giuridico si ebbe nell'89 a.C. con Gneo Pompeo Strabone, il quale concesse la cittadinanza latina agli abitanti di Laus Pompeia, mentre nel 49 a.C. Giulio Cesare concesse agli stessi la cittadinanza romana. Il territorio era conosciuto come ager laudensis. Nel 374 nacque la diocesi di Lodi, dando al territorio Lodigiano unitarietà sotto la rispetto religioso. Nel basso Medioevo furono avviate importanti opere di bonifica delle estensioni paludose presenti in buona parte del territorio tramite consistenti opere di ingegneria idraulica, che resero il Lodigiano una delle terre maggiormente fertili dell'intera Europa. Nei secoli successivi all'età dei comuni, al territorio venne riconosciuta dai vari dominatori una certa libertà amministrativa, ad esempio tramite l'istituzione del contado di Lodi. Nel XIII secolo Piacenza espanse i propri domini verso nord: i territori di San Rocco al Porto, Guardamiglio e Fombio entrarono a farvi parte nel 1225, seppure si trovassero alla destra orografica del Po già in epoca altomedievale; la zona di Caselle Landi fu annessa invece nel 1262, mentre Retegno fu a lungo conteso fra Piacenza e Lodi. Nel 1492 gli abitanti di Codogno ottennero lo status di cittadini di Piacenza. Solamente con l'inizio della dominazione austriaca, nel XVIII secolo, si assistette ad un riconoscimento delle peculiarità del territorio Lodigiano che portò il contado ad essere elevato in provincia nel 1757, assumendone formalmente il nome nel 1786, a seguito della riforma amministrativa voluta da Giuseppe II. Dopo la parentesi napoleonica, durante la quale venne prima costituito il dipartimento dell'Adda nel 1797, dipartimento poi annesso al dipartimento dell'Alto Po con capoluogo Cremona, nel 1816 venne ripristinata la provincia, che acquisì anche il territorio Cremasco e prese il nome di provincia di Lodi e Crema. Nel settembre 1859 il governo del Regno di Sardegna, al quale tre mesi prima era stata annessa la Lombardia, decise, tramite il decreto Rattazzi, l'abolizione dell'ente provinciale. A partire da quel momento vennero avanzate a più riprese richieste al governo italiano per chiedere la ricostruzione della provincia, che, tuttavia, non venne ricreata: il territorio lodigiano fu degradato a circondario della provincia di Milano, anch'esso, poi, soppresso nel 1927 insieme a tutti gli altri circondari italiani. Duarnte il secondo dopoguerra il Lodigiano, territorio che durante il ventennio fascista era passato attraverso una fase di stasi, iniziò il recupero delle tradizioni e dell'identità locale: alla fine degli anni quaranta venne costituita l'ATSIL, associazione di tutela e sviluppo del Lodigiano, mentre nel 1959 nacque il progetto di costituire un consorzio tra i comuni lodigiani nell'ambito della provincia di Milano; questo consorzio verrà effettivamente costituito il 4 maggio 1965 con decreto prefettizio. L'ipotesi di concedere maggiore autonomia al territorio iniziò a prendere piede dal 1970, a seguito della costituzione delle regioni. Il 6 marzo 1975 venne istituito dalla regione Lombardia il circondario di Lodi, sorta di riconoscimento regionale del raggiungimento da parte del territorio dei requisiti per la richiesta di creazione di una provincia. Tra il 15 gennaio e il 16 gennaio 1992 la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica votano favorevolmente riguardo all'istituzione della provincia di Lodi. Il 27 febbraio successivo il Consiglio dei ministri delibera l'approvazione della costituzione del nuovo ente. Il giorno successivo anche la regione Lombardia esprime il proprio parere favorevole. La provincia venne ufficialmente istituita, tramite un decreto legislativo, il 6 marzo 1992 da parte del presidente della repubblica. Nello stesso anno era stato indetto a Codogno un referendum popolare sull'adesione al nascituro ente provinciale. La consultazione vide l'89% dei cittadini votare "no", testimoniando la volontà dei codognesi di restare nella provincia di Milano. Nonostante ciò, il referendum di Codogno, così come quello della vicina Fombio, non trovò applicazione, e la città venne comunque inserita all'interno della provincia di Lodi. Al contrario, altri comuni, come San Colombano al Lambro, Cerro al Lambro, San Zenone al Lambro e Dovera riuscirono a vedere applicata la volontà popolare, restando nelle province di appartenenza (Milano e Cremona). Referendum consultivi sulla fusione di comuni La tabella riepiloga i referendum consultivi per la fusione di comuni tenutisi a partire dal 1º dicembre 2013. In grassetto sono indicati i comuni che hanno approvato il quesito. Simboli Descrizione araldica dello stemma: Descrizione araldica del gonfalone: Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose Cattedrale di Lodi: Costruito tra il 1158 e il 1284. La facciata tipicamente romanica, pur essendo caratterizzata da un alto protiro gotico e da un grande rosone rinascimentale; il campanile, realizzato fra il 1538 e il 1554 su progetto del lodigiano Callisto Piazza, rimase incompiuto per motivi di sicurezza militare. Nella cripta sono conservate le spoglie del patrono san Bassiano. Tempio Civico della Beata Vergine Incoronata a Lodi: capolavoro del Rinascimento lombardo e rappresenta il monumento più prestigioso della città sotto il profilo artistico. Progettato nel 1488 da Giovanni Battagio, fu costruito a spese del comune come espressione della religiosità popolare sul luogo di un postribolo. Il tempio si presenta come una piccola costruzione a pianta ottagonale, coperta da una cupola a otto spicchi sormontata da una lanterna; il campanile a punta e la facciata furono completati in epoche successive. Basilica dei XII Apostoli a Lodi Vecchio, costruita nel XIV secolo secondo lo stile gotico lombardo sulla preesistente Basilica Apostolorum consacrata nel 378 da San Bassiano, all'epoca vescovo di Lodi, che vi fu poi sepolto. Le spoglie furono poi trasferite nel duomo di Lodi in seguito alla fondazione della nuova città. Oratorio di San Biagio in Rossate a Comazzo, costruito da Bartolomeo Suardi seguendo le influenze della scuola bramantesca tra la fine del XV secolo e l'inizio del XVI secolo. Caratterizzata da una planimetria a base quadrata, con una coppia di cappelle laterali a sezione poligonale, abside e sacrestia a pianta quadrata. Chiesa di San Biagio e Santa Maria Immacolata a Codogno, realizzata tra il XV e il XVI secolo con una pianta a croce latina presenta una facciata di stile rinascimentale-barocca. La navata centrale presenta una volta a botte e costoloni, mentre quelle laterali presentano volte a crociera. Architetture civili Palazzo Broletto a Lodi, edificato nel 1284 a fianco della cattedrale, dopo numerosi rimaneggiamenti si presenta in forme neoclassiche, come risulta evidente dal porticato e dalla loggia superiore, su cui si affaccia la sala del consiglio comunale. Ai due lati del portico sono collocati il busto di Gneo Pompeo Strabone, che attribuì il titolo di municipium a Laus Pompeia (a sinistra), e quello di Federico Barbarossa, fondatore di Laus Nova (a destra). Palazzo Mozzanica a Lodi: Sorto nella seconda metà del XV secolo, è il migliore esempio di dimora patrizia lodigiana. La facciata è caratterizzata dalla presenza di una fascia marcapiano in terracotta, decorata con corone floreali e figure della mitologia marina; il portale è adornato da medaglioni che raffigurano Gian Galeazzo Visconti, Isabella d'Aragona, Francesco e Bianca Maria Sforza. Il piano superiore è ricco di affreschi. Secondo lo storico Giovanni Agnelli, vi soggiornò Francesco I re di Francia durante l'estate del 1509. Centro direzionale della Banca Popolare di Lodi a Lodi: Progettato da Renzo Piano e sorto nei pressi della stazione ferroviaria a pochi passi dal centro storico, si sviluppa su oltre e rappresenta la costruzione più interessante della città sotto il profilo architettonico tra quelle della seconda metà del Novecento. È stato scelto come ambientazione per alcuni spot pubblicitari. Villa Biancardi a Codogno, costruita in stile Liberty alla fine dell'Ottocento. Presenta una pianta irregolare con tetti a padiglione con rivestimento in tegole portoghesi. Nel corpo principale dell'edificio sono presenti una torretta angolare sul lato posteriore e due rialzi ai lati della facciata principale. Villa Biancardi a Zorlesco di Casalpusterlengo, edificata per volontà di Serafino Biancardi ai primi del Novecento sulla zona precedentemente occupata dal castello, in stile Liberty eclettico con rimandi all'arte medievale, gotica e rinascimentale. Divenuta di proprietà del comune di Casalpusterlengo nel 1972, cadde in una situazione di degrado fino al 1998 quando iniziarono i lavori di ristrutturazione guidati dall'architetto Paolo Mascheroni. Villa Litta Carini ad Orio Litta, costruita dall'architetto Giovanni Ruggeri per volere del conte Antonio Cavazzi della Somaglia a partire dalla seconda metà del XVII secolo. Tra la fine del secolo e il 1749 fu ampliata secondo le volontà di Paolo Dati, pronipote del conte Cavazzi, trasformandola in reggia e luogo di ritrovo dei letterati dell'epoca. Divenuta di proprietà della famiglia Litta alla fine dell'Ottocento fu frequentata da personaggi noti come re Umberto I e Giacomo Puccini. Villa Pertusati, sede del municipio di Comazzo, progettata dall'architetto Francesco Croce, mentre il giardino è opera di Carlo Croce, che si occupò anche della sistemazione idraulica. Architetture militari Castello Visconteo e Torrione di Lodi, tipica fortezza medievale, andata in buona parte distrutta; il suo alto e massiccio Torrione è uno dei simboli più noti della città. L'edificio non può essere visitato poiché è occupato dagli uffici della questura. Castello di Maccastorna, costruito attorno al 1250 a protezione di un guado sul fiume Adda da ghibellini in fuga da Cremona, fu in seguito espugnata e distrutta da truppe guelfe, le quali decisero poi di ricostruirla. Originariamente presentava otto torri perimetrali, tuttavia cinque di queste furono negli anni ribassate al livello delle mura perimetrali. Castello di Maleo, risalente al Cinquecento, si compone di un corpo principale, uno secondario, la cinta muraria esterna ed il parco dove è presente un laghetto naturale. Il corpo principale, costituito da un edificio a due piani più uno interrato dispone di una cappella privata, un grande loggiato colonnato, uno scalone d’onore, alcuni camini ed una serie di volte affrescate ad opera di Bernardino e Giulio Campi. Castello di Sant'Angelo Lodigiano, costruito nel XIII secolo dalla Signoria di Milano, per poi essere trasformato in dimora estiva da Regina della Scala. Fu poi donato alla famiglia Bolognini da Francesco Sforza. Ai primi del Novecento fu oggetto di restauri per volere di da Gian Giacomo Morando Bolognini; 1933 la vedova Lydia Caprara Morando Bolognini ordinò altri lavori per farne sede della Fondazione Morando Bolognini e dei musei Morando Bolognini, del pane e della storia dell'agricoltura. Siti archeologici Area archeologica di Lodi Vecchio, nella zona, dove si trovava il foro dell'antica Laus, sono parzialmente visibili i resti d'epoca romana appartenenti al teatro e all'anfiteatro. Sono altresì visibili i resti della cattedrale di Santa Maria, fondata nel V secolo su preesistenti edifici romani e poi definitivamente demolita nel 1879. Aree naturali Riserva naturale Adda Morta - Lanca della Rotta, situata lungo il corso dell'Adda morta, ramo abbandonato senza più collegamento col fiume Adda, tra i comuni di Castiglione d'Adda e Formigara, quest'ultimo nel cremonese, occupa una superficie di . A Castiglione si trova un centro visite del parco Adda Sud. Parco dell'Adda Sud, si estende lungo il basso corso del fiume Adda da Rivolta d'Adda, nel cremonese, fino alla foce in comune di Castelnuovo Bocca d'Adda, comprendendo 35 comuni tra le province di Lodi e Cremona. Comprende zone umide (lanche e morte) e boschi igrofili insieme ad ampi territori agricoli. Sono presenti un centro a Villa Pompeiana, frazione di Zelo Buon Persico, ricavato dall'ex oratorio di San Michele, a breve distanza dalla Riserva Naturale il Mortone, un'area umida di 30 ettari dove scorreva un antico alveo del fiume Adda caratterizzato dalla presenza di canne palustri e di affioramenti d'acqua meta di varie specie di uccelli, e da un centro visite a Castiglione nei pressi della riserva dell'Adda Morta. Bosco del Belgiardino, piccola oasi naturalistica situata sulle rive dell'Adda, al confine tra Lodi e Montanaso Lombardo; dall'area hanno origine numerosi sentieri che permettono di visitare i boschi circostanti, parzialmente trasformati in orto botanico, in cui inoltre vivono uccelli acquatici come gallinelle d'acqua, germani reali, cigni, aironi e tuffetti. Durante l'estate diventa un centro ricreativo grazie alla presenza di una piscina gestita dal Comune di Lodi. Bosco Valle Grassa-Coldana-Sant'Antonio, situato nel capoluogo, è un'area di notevole interesse naturalistico, realizzata a cura della provincia tramite un finanziamento regionale. Situato nelle vicinanze del centro abitato, può essere visitato grazie alla presenza di percorsi ciclopedonali. Si tratta di un rimboschimento realizzato con specie arboree e arbustive autoctone, con destinazione giuridica permanente a bosco. Parco della Collina di San Colombano, situato tra il comune omonimo appartenente alla città metropolitana di Milano e i comuni lodigiani di Graffignana e Sant'Angelo Lodigiano e quelli pavesi di Inverno e Monteleone e Miradolo Terme, ha un'estensione di , e raggiunge un'altezza massima di . Parco del Tormo, situato lungo il corso dell'omonimo fiume, occupa una superficie di tra i comuni di Abbadia Cerreto, Crespiatica, Corte Palasio e le province di Bergamo e Cremona, è caratterizzato da un'estesa rete idrografica composta, oltre che dal Tormo da altri corsi d'acqua originati da risorgive. Società Evoluzione demografica La tabella seguente riporta l'evoluzione del numero dei residenti nella provincia dal 2001 al 2015: Etnie e minoranze straniere Al 31 dicembre 2019 nel territorio provinciale risultano essere residenti stranieri ( uomini e donne), pari all'11.97% dell'intera popolazione. Di sotto sono riportate le dieci comunità numericamente più rilevanti, con il valore assoluto degli abitanti e quello relativo sul totale della popolazione residente: Romania: (3.44% della popolazione) Egitto: (1.36% della popolazione) Albania: (1.01% della popolazione) Marocco: (0.96% della popolazione) India: (0.54% della popolazione) Ecuador: (0.36% della popolazione) Nigeria: (0.35% della popolazione) Tunisia: (0.33% della popolazione) Cina: (0.33% della popolazione) Perù: (0.28% della popolazione) Lingue e dialetti In provincia è parlato il dialetto lodigiano, facente parte della lingua lombarda e, più precisamente, del ramo occidentale. Spostandosi dal capoluogo verso Milano, Pavia, Cremona e Piacenza il dialetto varia assumendo forme che si avvicinano via via ai dialetti delle città confinanti. Queste differenze sono evidenti specialmente nella parte meridionale della provincia a sud di Casalpusterlengo dove il dialetto include forti somiglianze con il piacentino. Religione Nella giurisdizione ecclesiastica della Chiesa cattolica, il territorio della provincia coincide con l'area della diocesi di Lodi. Essa è suddivisa in 8 vicariati e comprende, oltre a al lodigiano, anche alcuni comuni della città metropolitana di Milano, della provincia di Cremona e il comune di Miradolo Terme in provincia di Pavia. Istituzioni, enti e associazioni Sanità Il più importante centro sanitario della provincia è l'ospedale Maggiore di Lodi. Questi i principali presidi ospedalieri provinciali: Ospedale Maggiore di Lodi; Ospedale di Casalpusterlengo; Ospedale civico di Codogno; Ospedale di Sant'Angelo Lodigiano; Qualità della vita Cultura Università Dal 2005 è attivo nel capoluogo un polo scientifico-universitario, composto dal Parco Tecnologico Padano e dal 2018 anche dalla nuova sede della facoltà di Veterinaria dell'università degli Studi di Milano progettata dall'archistar giapponese Kengo Kuma. Il Parco Tecnologico Padano è uno dei più importanti centri di ricerca a livello europeo nel campo delle biotecnologie agroalimentari. Il polo dell'università degli Studi di Milano comprende un ospedale veterinario per grandi animali, costituito da strutture didattiche e cliniche per equini, bovini, suini, ovini e caprini, accanto al quale si trova un centro zootecnico didattico-sperimentale. Ha inoltre sede in città il Centro di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero-Casearie, nato dall'accorpamento dell'Istituto Sperimentale per le Colture Foraggere – retto dal 1948 al 1976 dall'illustre agronomo Giovanni Haussmann – con l'Istituto Sperimentale Lattiero-Caseario e l'Istituto Sperimentale per la Zootecnia dei Bovini da Latte. Sempre nel capoluogo è attivo anche il corso di laurea in costruzioni e gestione del territorio organizzato dall'università degli Studi di Modena e Reggio Emilia in collaborazione con l'università degli Studi della Repubblica di San Marino. Musei Tra i musei principali della provincia: Musei a Lodi Museo Civico, ospitato dal 1876 nell'ex convento adiacente alla chiesa di San Filippo, conserva numerose opere del lodigiano Callisto Piazza, ma anche due importanti dipinti di Francesco Hayez È presente inoltre una sezione archeologica che custodisce numerosi reperti provenienti da Laus Pompeia, una sezione risorgimentale e l'importante sezione della ceramica, elemento classico dell'artigianato locale. Collezione anatomica Paolo Gorini che raccoglie 166 preparazioni anatomiche prodotte dallo scienziato Paolo Gorini, noto preparatore di cadaveri, tra il 1842 e il 1881, donate dagli eredi all'Ospedale Maggiore di Lodi. Museo di scienze naturali, nato nel 1850 come museo del Collegio di Santa Maria degli Angeli di Monza, diretto dai Barnabiti. Chiusa la scuola all'inizio nel 1884, gran parte del materiale passa al collegio lodigiano. Nel 1996 l'apertura, prima riservata ai soli studenti del collegio, viene estesa a tutti. Museo del tesoro del tempio dell'Incoronata, raccolta di oggetti liturgici legati alla storia del tempio Civico della Beata Vergine Incoronata, è stato inaugurato nel 1988 in occasione del 500º anniversario dell'edificazione del tempio. Museo diocesano di arte sacra, contiene dipinti, affreschi, sculture e paramenti liturgici provenienti dal patrimonio del vescovado e da varie parrocchie della diocesi; sono inoltre presenti alcuni reperti archeologici rinvenuti nel duomo di Lodi e numerose opere di oreficeria risalenti al Rinascimento, che un tempo facevano parte del cosiddetto "tesoro di san Bassiano". Museo della stampa e stampa d'arte Andrea Schiavi, inaugurato nel giugno 2008 e dedicato ad Andrea Schiavi, raccoglie numerosissime macchine di vario genere. Nel museo si possono trovare diverse macchine come le stampatrici tipografiche, i torchi, le matrici e molte macchine da scrivere, comprese le monotype e le lynotipe. Musei in provincia Musei del castello di Sant'Angelo Lodigiano: sono ospitati il museo Morando Bolognini che include mobili, dipinti e vasellame risalenti ad un arco di tempo tra il XVII e il XIX secolo, una biblioteca che contiene circa volumi e un'armeria che raccoglie 500 pezzi di epoche e provenienze diverse, il museo della storia dell'agricoltura che racconta la storia dal Neolitico fino all'industrializzazione delle campagne e il museo del pane, diviso in 5 sale monotematiche dedicate a cereali, le procedura per la creazione del pane, forme di pani, macchinari necessari per la produzione e parte burocratica (tasse, regolamenti e disposizioni governative). Museo della Civiltà Contadina "Ciòca e berlòca" a Cavenago d'Adda, ospita oltre quattromila pezzi riguardanti la vita lungo il corso dell'Adda e le tradizionali attività agricole (coltura della vite, bachicoltura, artigianato agricolo, produzione del latte), nonché forme di folclore e religiosità popolare. Museo storico della basilica di Sant'Angelo Lodigiano, allestito all'interno della basilica, include reperti risalenti tra il XVII secolo e i primi del novecento, interessanti per la varietà delle tecniche e dei materiali utilizzati. Raccolta d'arte Carlo Lamberti a Codogno, nata dal lascito testamentario di Carlo Lamberti, raccoglie 122 tra dipinti, acquerelli, disegni e sculture dal XVI secolo fino all'arte contemporanea. Sono ospitate opere di autori come Giuseppe Novello, Enrico Groppi, Alessandro Bertamini, Giorgio Belloni, e Tranquillo Cremona. Cucina La gastronomia lodigiana è prevalentemente caratterizzata dai prodotti caseari. Il più rinomato tra i formaggi locali è il Grana Padano DOP, che nella sua migliore produzione prende il nome di Granone Lodigiano PAT. Il Granone, in particolare, è considerato il «capostipite» di tutti i formaggi grana: un tempo era di colore giallo, in quanto alla pasta veniva aggiunto dello zafferano; inoltre, non venendo pressato, durante la stagionatura espelle siero, formando la caratteristica «lacrima». Le forme giovani vengono tagliate a metà e raschiate con un apposito attrezzo: mediante questa tecnica si ottengono delle sfoglie sottilissime, note come raspadüra. Altri formaggi tipicamente lodigiani sono il mascarpone PAT e il pannerone PAT, entrambi preparati con la panna. Frittate, zuppe e insaccati di maiale rappresentano le altre specialità; esistono anche numerosi dolci tipici, quali la Tortionata PAT, gli Amaretti Fanfullini e gli Gnam-gnam. Geografia antropica Comuni Appartengono alla provincia di Lodi i seguenti 60 comuni: Abbadia Cerreto Bertonico Boffalora d'Adda Borghetto Lodigiano Borgo San Giovanni Brembio Casaletto Lodigiano Casalmaiocco Casalpusterlengo Caselle Landi Caselle Lurani Castelgerundo Castelnuovo Bocca d'Adda Castiglione d'Adda Castiraga Vidardo Cavenago d'Adda Cervignano d'Adda Codogno Comazzo Cornegliano Laudense Corno Giovine Cornovecchio Corte Palasio Crespiatica Fombio Galgagnano Graffignana Guardamiglio Livraga Lodi Lodi Vecchio Maccastorna Mairago Maleo Marudo Massalengo Meleti Merlino Montanaso Lombardo Mulazzano Orio Litta Ospedaletto Lodigiano Ossago Lodigiano Pieve Fissiraga Salerano sul Lambro San Fiorano San Martino in Strada San Rocco al Porto Sant'Angelo Lodigiano Santo Stefano Lodigiano Secugnago Senna Lodigiana Somaglia Sordio Tavazzano con Villavesco Terranova dei Passerini Turano Lodigiano Valera Fratta Villanova del Sillaro Zelo Buon Persico Comuni più popolosi Di seguito è riportata la lista dei dieci principali comuni della provincia di Lodi ordinati per numero di abitanti: Il comune meno abitato è Maccastorna, paese di soli 59 abitanti. Unioni di comuni In provincia di Lodi sono presenti tre unioni di comuni che raggruppano complessivamente undici comuni: Unione Nord Lodigiano, composta da cinque comuni: Casalmaiocco, Cervignano d'Adda, Merlino, Tavazzano con Villavesco e Zelo Buon Persico. Unione di Comuni Lombarda Oltre Adda Lodigiano, composta da quattro comuni: Abbadia Cerreto, Boffalora d'Adda, Corte Palasio e Crespiatica. Unione lodigiana Grifone, composta da due comuni: Casaletto Lodigiano e Caselle Lurani. Economia Agricoltura e allevamento L'agricoltura e l'allevamento sono di fondamentale importanza per il lodigiano fin dal Medioevo. A testimonianza di quanto il settore primario sia tuttora significativo, i dati del quinto censimento generale dell'agricoltura dell'ottobre 2000 riferiscono di aziende nel territorio della provinciale che producono prevalentemente mais (47% della superficie agricola utilizzata) e foraggi (24% della SAU). Per garantire e promuovere le eccellenze del settore, oltre che tutelare l'ambiente, il benessere degli animali e la salute dei consumatori, nel 2004 è stato fondato il comitato del marchio "Lodigiano Terra Buona". Industria e artigianato Tra Montanaso Lombardo e Tavazzano con Villavesco, sorge una grande centrale termoelettrica di proprietà della EPH, alimentata a gas naturale. La centrale, con una potenza installata di , è una delle più importanti d'Italia e conta 120 dipendenti. Il primo nucleo, realizzato nel 1952 nell'ambito del piano Marshall, fu inaugurato da Enrico Mattei e dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi; gli impianti sono stati attivati in diversi scaglioni tra il 2002 e il 2010. La centrale preleva l'acqua di raffreddamento dal canale Muzza, dal canale Belgiardino e dal fiume Adda. Le industrie più sviluppate sono quella casearia (il Lodigiano è una delle 14 aree in cui è concentrata la produzione del Grana Padano) e quella artigianale, in particolare nei settori della ceramica e della cosmesi, settore in cui è attiva, presso il capoluogo Erbolario. Servizi Nel capoluogo è presente un polo fieristico, in zona San Grato, inaugurato nel maggio 2009, dopo essere stato progettato una decina di anni prima ed aver subito un iter di realizzazione piuttosto lungo. Il centro era originariamente gestito dalla società Lodinnova partecipata da comune, provincia, camera di commercio e unione artigiani. Nell'ottobre 2016 la società Lodinnova è stata poi posta in liquidazione, con le strutture da trasferire al comune di Lodi che dovrà poi procedere alla loro vendita. In provincia sono presenti alcuni poli logistici, favoriti dalla vicinanza con Milano e dalla presenza dell'autostrada A1 e della ferrovia Milano-Bologna, tra i quali il polo Milano Sud di Secugnago, inaugurato nel 2009 e gestito da Federtrasporti, quello di Somaglia, dove sono presenti il polo TyreCity dedicato a stoccaggio e movimentazione degli pneumatici e Lidl. Turismo Tra il 1999 il 2018, anno del suo scioglimento, il capoluogo ha fatto parte del circuito delle città d'arte della Pianura Padana. Oltre al turismo culturale, particolarmente importante è quello naturalistico, in virtù anche dell'efficiente rete ciclabile che dal capoluogo si diparte in tutto il territorio. Il turismo enogastronomico si concentra soprattutto nei mesi compresi fra ottobre e dicembre, durante i quali – a partire dal 1988 – si svolge la «rassegna gastronomica del Lodigiano». Infrastrutture e trasporti La provincia di Lodi è attraversata da una strada statale: la strada Statale 9 Via Emilia che unisce Milano a Rimini, da cui si dirama la tangenziale est del capoluogo, inaugurata nel 2001. Altre strade in passato statali ed ora passate in capo alla provincia sono la strada statale 234 Codognese, la strada statale 235 di Orzinuovi, la strada statale 412 della Val Tidone, la strada statale 415 Paullese, la strada statale 472 Bergamina e la strada statale 591 Cremasca. La provincia è attraversata anche da due autostrade: l'A1 Milano-Napoli sulla quale sono posti i caselli di Lodi, Casalpusterlengo - Ospedaletto Lodigiano e Basso Lodigiano, posto in comune di Guardamiglio, e dalla tangenziale est esterna di Milano sulla quale non sono tuttavia posti caselli in territorio lodigiano. I principali nodi ferroviari sono la stazione del capoluogo, posta sulla ferrovia Milano-Bologna e la stazione di Codogno, posta sulla medesima tratta e sulla ferrovia Pavia-Cremona. La provincia è inoltre attraversata dalla linea ad alta velocità Milano-Bologna la quale non presenta però stazioni nella provincia. Fra il 1880 e i primi decenni del Novecento, il capoluogo fu al centro di una vasta rete di tranvie extraurbane che comprendeva le linee Milano-Lodi, Lodi-Treviglio-Bergamo, Lodi-Sant'Angelo e Lodi-Crema-Soncino, nonché la linea di collegamento Melegnano-Sant'Angelo permettendo di collegare la città con i principali capoluoghi della Lombardia. Da Sant'Angelo partiva inoltre la linea per Pavia. A partire dal 1924 il comune di San Rocco al Porto fu collegato alla rete tranviaria urbana a trazione elettrica di Piacenza. Le tranvie urbane furono soppresse nel 1955 e sostituite da autolinee gestite dalla società Auto Guidovie Italiane. Amministrazione Presidenti eletti direttamente dai cittadini (1995-2014) Presidenti eletti dagli amministratori comunali (dal 2014) Sport La disciplina sportiva più seguita nel capoluogo è per tradizione l'hockey su pista. La principale squadra della città, l'Amatori Lodi, ha conquistato due scudetti, tre Coppe Italia, una Supercoppa italiana, una Coppa di Lega, una Coppa delle Coppe e una Coppa CERS. L'attività maggiormente praticata nella provincia è il calcio: la società cittadina fu protagonista nel campionato di Serie B tra gli anni trenta e gli anni cinquanta, conquistando poi nel 1984 una Coppa Italia di Serie C. In provincia altre due compagini possono vantare trascorsi in campionati nazionali: il , arrivato a disputare nel 1928-1929 la Prima Divisione, all'epoca secondo livello del calcio italiano e con un totale di dodici partecipazioni a campionati di terzo livello (l'ultima nella Serie C 1947-1948) e il che vanta una partecipazione ad un campionato di secondo livello (la Seconda Divisione 1921-1922 e tredici complessive partecipazioni a campionati di Serie C (l'ultima nella Serie C2 1983-1984). Nel basket la provincia di Lodi è rappresentata dall'Unione Cestistica Casalpusterlengo che ha disputato per complessive quattro stagioni nel secondo campionato italiano, prima di trasferire a partire dalla stagione 2016-2017 la sede di gioco al PalaBanca di Piacenza a causa dell'inadeguatezza del PalaCampus di Codogno, pur mantenendo la sede a Casalpusterlengo. La squadra di pallavolo più importante del lodigiano è stata il Volleyball Club Lodi, che nella stagione 2003-2004 ha militato nel campionato di Serie A2 femminile. Nell'estate del 2004 due imprenditori siciliani acquistarono la società, allestendo una formazione molto competitiva con l'obiettivo dichiarato della promozione nella massima categoria: la squadra era composta da numerose atlete di riconosciuto valore internazionale, tra le quali l'azzurra Maurizia Cacciatori. Tuttavia, prima dell'inizio del campionato, un'ispezione della Guardia di Finanza riscontrò gravi irregolarità nella gestione della società, decretandone di fatto lo scioglimento. Nel baseball le squadre principali sono l'Old Rags Baseball Club di Lodi, fondato nel 1966. Nel 1980 vinse il campionato di Serie A2, militando poi per tre stagioni nella massima categoria nazionale. Dopo aver disputato nel 2012 il campionato di Serie A Federale, nel 2013 la squadra è ripartita dalla Serie C e il Codogno Baseball '67 che vanta uno scudetto di Serie A (conseguito nel 1976 quando la Serie A era il secondo livello del campionato) ed una presenza in massima serie, nel 2002 conclusasi con una retrocessione. Analogamente a quanto accaduto agli Old Rags, al termine della Serie A Federale 2013 la squadra si è ritirata ripartendo dalla Serie C. Note Annotazioni Fonti Bibliografia Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Porifera
Porifera
Porifera (, dal latino "portatore di pori") è un phylum animale, che comprende gli organismi comunemente noti come spugne. Si tratta di organismi pluricellulari, aventi un corpo ricco di pori e canali che permettono all'acqua di circolare attraverso essi; sono costituiti da un sacco, o spongocele, strutturato come un composto gelatinoso, il mesoilo, collocato tra due strati sottili di cellule, il coanoderma, interno e il pinacoderma, esterno. Le cellule non differenziate nel mesoilo, o archeoblasti, in grado di trasformarsi ad assumere funzioni specializzate, possono migrare tra gli strati di cellule principali e il mesoilo. Possiedono una struttura scheletrica, l'endoscheletro, formato da spicole calcaree o silicee, o costituite da fibre proteiche di spongina, prodotto da cellule specializzate. Le spugne non hanno apparati o organi differenziati; la maggior parte delle funzioni si basano sul mantenimento di un flusso costante di acqua attraverso i loro corpi per ottenere cibo e ossigeno e rimuovere i prodotti catabolici. Generalità I poriferi sono, come gli altri metazoi, pluricellulari, eterotrofi, non possiedono parete cellulare e producono spermatozoi e ovocellule. A differenza di altri animali, non hanno veri tessuti e organi, e, generalmente, non hanno simmetria somatica. Le forme dei loro corpi sono adattate per la massima efficienza del flusso di acqua attraverso la cavità centrale, dove deposita nutrienti, ed esce attraverso un foro chiamato osculum. Gli scheletri interni sono di spongina e/o formati da spicole di carbonato di calcio o silice. Tutte le spugne sono animali acquatici, in maggioranza marini e sessili; vi sono anche specie d'acqua dolce, e colonizzano ambienti che vanno dalle zone di marea alle profondità superiori a 8000 m. Evoluzione I tassonomi collocano le spugne in uno dei quattro sottoregni animali, quello dei Parazoi. Analisi molecolari dal 2001 hanno concluso che alcuni gruppi di spugne sono più strettamente imparentati con gli eumetazoi (la stragrande maggioranza degli organismi animali) rispetto al resto dei poriferi. Tali conclusioni implicano che le spugne non sono un gruppo monofiletico, poiché l'ultimo antenato comune di tutte le spugne sarebbe anche un antenato diretto degli eumetazoi, che non sono spugne. Uno studio condotto sulla base di confronti di DNA ribosomale ha concluso che la divisione più importante all'interno del phylum è tra spugne vitree o hyalospongiae e il resto del gruppo, e che gli eumetazoi sono più strettamente correlati alle spugne calcaree, quelle con spicole di carbonato di calcio, rispetto ad altri tipi di spugna. Nel 2007 un'analisi basata sul confronto di RNA e un'altra basata principalmente sul confronto di spicole ha concluso che demosponge e spugne di vetro sono più strettamente correlate tra loro che non altre classi, come le spugne calcaree, che a loro volta sono più strettamente legate agli eumetazoi. Queste ed altre analisi, hanno stabilito che le spugne sono i più vicini parenti degli antenati comuni a tutti metazoi, ovvero tutti gli animali pluricellulari. Un altro confronto nel 2008 di 150 geni in ciascuna di 21 specie che vanno dai funghi all'uomo, ma includente unicamente due specie di spugna, ha suggerito che gli ctenofori siano il lignaggio più basale dei metazoi inclusi nel campione. Se questo è corretto, i moderni ctenofori hanno sviluppato le loro strutture complesse indipendentemente da altri metazoi, o gli antenati delle spugne "erano più complessi" e tutte le spugne conosciute si sono drasticamente semplificate nelle forme. Lo studio raccomanda ulteriori analisi utilizzando una gamma più ampia di spugne e altri semplici come i placozoi. I risultati di tale analisi, pubblicata nel 2009, suggeriscono che il ritorno alla visualizzazione precedente, con le spugne alla base dell'albero evolutivo, possa essere giustificata. Un dendrogramma costruito utilizzando una combinazione di tutti i dati disponibili, morfologici, di sviluppo e molecolari ha concluso che le spugne sono in realtà un gruppo monofiletico, con i cnidari formati il gruppo gemello ai bilateri. Si era ipotizzata, nel XX secolo, una loro origine filogeneticamente indipendente dagli altri phylum animali, secondo cui i poriferi si sarebbero evoluti da ceppi ancestrali di organismi unicellulari dotati di flagello (protozoi coanoflagellati) aggregatisi in colonie. Le prime testimonianze fossili della esistenza dei poriferi risalgono a circa 570 milioni di anni fa (fine del Precambriano): i reperti di quel periodo, la cosiddetta piccola fauna dura (dall'inglese small shelly fauna), sono costituiti in gran parte da ammassi di spicole di poriferi, assieme frammenti o resti disarticolati di altri organismi quali molluschi, brachiopodi, echinodermi. Fossili di Protospongia sp., un porifero con struttura simile a quella degli attuali Hexactinellida, risalenti al Cambriano inferiore (circa 540 milioni di anni fa) sono stati rinvenuti nell'argillite di Burgess, in Canada, mentre i primi fossili di Demospongiae (Hazelia sp.), risalenti a circa 525 milioni di anni fa, sono stati ritrovati nei giacimenti fossili del Chengjiang (Cina). Le spugne ebbero il loro momento di massima diffusione nell'Eocene, durante il quale formarono colonie marine paragonabili a vere e proprie foreste. Ricchi giacimenti di spongoliti sono presenti in Australia. In Italia a titolo di esempio si possono citare i depositi di spongoliti della Lombardia e del Piemonte. Tassonomia Il phylum Porifera viene generalmente suddiviso in 4 classi che differiscono per la composizione dell'endoscheletro: Classe Calcispongiae o Calcarea (Calcispongie o Spugne calcaree) Sottoclasse Calcinea Ordine Clathrinida Ordine Leucettida Sottoclasse Calcaronea Ordine Leucosolenida Ordine Sycettida Sottoclasse Pharetronida Ordine Inozoa Ordine Sphinctozoa Classe Hyalospongiae o Hexactinellida (Ialospongie o Esattinellidi o Spugne vitree) Sottoclasse Hexasterophora Ordine Lyssacina Ordine Dictyonina Sottoclasse Amphidiscophora Ordine Amphidiscosa Classe Demospongiae (Demospongie o Spugne silicee) ordine Agelasida ordine Astrophorida ordine Chondrosida ordine Dendroceratida ordine Dictyoceratida ordine Halichondrida ordine Halisarcida ordine Haplosclerida ordine Homosclerophorida ordine Hadromerida ordine Lithistida ordine Poecilosclerida ordine Spirophorida ordine Verongida Classe Sclerospongiae (Sclerospongie o Spugne coralline) Ordine Ceratoporellida Ordine Tabulospongida Anatomia e fisiologia I poriferi sono animali sessili, cioè vivono attaccati sulle rocce dei fondali marini o sugli scogli. Essi formano il gruppo degli animali più primitivi e presentano una scarsa specializzazione cellulare. Il loro corpo, dalle forme più varie, è formato da tre strati: lo strato esterno funge da rivestimento ed è costituito da cellule appiattite dette pinacociti, quello intermedio contiene delle strutture di sostegno, dette spicole e infine quello interno delimita una cavità ed è formato da cellule dette coanociti. La struttura base delle spugne è un sacco, chiamato spongocele, con un'apertura principale, l'osculo, e numerosi pori nella parete. La parete è formata da due strati cellulari: il coanoderma e il pinacoderma. Il coanoderma è lo strato interno; presenta cellule flagellate, i coanociti, che svolgono un ruolo fondamentale sia per la riproduzione sessuale che per l'alimentazione, la quale avviene per filtrazione di microrganismi e particelle alimentari sospese nell'acqua. Lo strato esterno, spesso vivacemente colorato, è detto pinacoderma ed è formato da cellule appiattite e strettamente appressate, dette pinacociti, che svolgono un ruolo di protezione e rivestimento. Tra il coanoderma e il pinacoderma è presente uno strato acellulare gelatinoso, il mesoilo o mesoglia, in cui si trovano diversi elementi cellulari, detti archeoblasti, che a seconda delle necessità possono trasformarsi in: cellule ameboidi, o amebociti, che hanno la funzione di distribuire a tutto il corpo le sostanze nutritive; cellule sessuali che producono i gameti (micro- e macrogametociti rispettivamente maschili e femminili) Quasi tutte le spugne posseggono una struttura scheletrica, l'endoscheletro, formato da spicole calcaree o silicee, o fibre proteiche (spongina) prodotte rispettivamente dagli scleroblasti (o sclerociti) e dagli spongoblasti, o (spongociti). Le spugne silicee hanno generalmente due tipi di spicole: le megasclere e le microsclere. Le megasclere misurano oltre 100 µm e partecipano alla funzione di sostegno dei tessuti. Le microsclere sono di piccola taglia (1 à 100 µm) e non svolgono il ruolo di struttura scheletrica. Le spicole silicee costituiscono delle vere e proprie fibre ottiche naturali, il che fa ipotizzare un ruolo di queste strutture nel successo evolutivo delle spugne silicee rispetto a quelle calcaree. La respirazione avviene attraverso le cellule, il ricambio continuo di acqua permette una continua ossigenazione dell'ambiente detta "respirazione cutanea". Le spugne non hanno un sistema nervoso, ovvero cellule collegate l'una all'altra da giunzioni sinaptiche. Recenti studi di sequenziamento del genoma della spugna Amphimedon queenslandica hanno tuttavia dimostrato che nel DNA dei poriferi esistono geni omologhi di quelli che svolgono ruoli chiave nella funzione sinaptica. Le cellule di spugna esprimono un gruppo di proteine che si raggruppano insieme per formare una struttura che assomiglia a una densità postsinaptica (la parte che riceve il segnale di una sinapsi). Tuttavia, la funzione di questa struttura non è al momento chiara. Sebbene le cellule di spugna non mostrino trasmissione sinaptica, comunicano tra loro tramite le onde di calcio e altri impulsi, che mediano alcune semplici azioni come la contrazione di tutto il corpo (effettori N.d.JW). Tutti i tipi cellulari dei Poriferi derivano da un unico gruppo di cellule ameboidi indifferenziate e totipotenti, gli archeociti. In base alla loro struttura macroscopica le spugne possono presentarsi con tre differenti morfologie: tipo ascon o Asconoide: sono le spugne calcaree più semplici, con struttura a sacco singolo; tipo sycon o Siconoide: comprende la gran parte delle spugne silicee (e le calcaree più grandi e complesse), caratterizzate da una struttura più evoluta in cui lo spongocele presenta una serie di digitazioni a fondo cieco, che consentono, a parità di volume, un aumento della superficie di scambio; tipo leucon o Leuconoide: è la morfologia più evoluta, in cui lo spongocele è caratterizzato da un complesso sistema di concamerazioni, che potenzia l'efficacia filtratoria. Biologia I Poriferi sono animali bentonici. Alimentazione Sono filtratori e si nutrono di piccoli organismi e particelle organiche che fluttuano sospese nell'acqua. Il sistema di filtraggio è possibile grazie all'azione dei coanociti, cellule flagellate che, muovendosi ripetutamente, creano una corrente di risucchio che permette all'acqua di attraversare i pori, entrare nelle cavità della spugna e, in seguito, fuoriuscire dall'osculo. I coanociti sono muniti di un collaretto, estensione citoplasmatica composta da microvilli, che circonda il flagello ed imprigiona l'alimento. Le particelle catturate penetrano nel coanocita per essere trasferite agli amebociti del mesoilo, dove avviene una digestione intracellulare. È stato dimostrato che non tutte le specie di porifera sono filtratori, ma che al contrario alcune di esse sono carnivore. Si nutrono di crostacei ed altri piccoli animali, e per la maggior parte appartengono alla famiglia delle Cladorhizidae, e, in misura minore se ne trovano anche fra le Guitarridae e le Esperiopsidae Nonostante si conosca ancora poco del meccanismo di cattura, è noto come alcune specie avvicinino e catturino la preda con delle strutture 'a velcro' o tramite delle strutture simili ad uncini formate da spicole. La maggior parte di queste specie vive in acque profonde, oltre gli 8800 metri. e lo sviluppo dell'esplorazione dei fondali marini ne sta portando alla luce sempre di nuove. La maggior parte delle specie carnivore hanno perso il loro sistema acquifero, nonostante alcune specie usino un sistema acquifero modificato per gonfiare delle strutture in grado di fagocitare la preda. Riproduzione e sviluppo Le spugne sono ermafroditi insufficienti. La loro larva è detta anfiblastula, e possiede un polo di cellule grandi e non flagellate (macromeri) e un altro di cellule piccole e flagellate (micromeri); queste ultime daranno origine ai coanociti ed hanno inizialmente i flagelli rivolti all'interno della cavità; successivamente l'intera struttura si rovescia come un dito di guanto in modo da esporre all'esterno i flagelli dei micromeri (modalità di sviluppo simile a quella di alcune microalghe verdi d'acqua dolce come Volvox) e si fissa al substrato, non subendo poi grandi cambiamenti: non vi sono infatti organi veri e propri, e anche la differenziazione in tessuti è rudimentale. La riproduzione sessuale avviene tramite la trasformazione delle cellule coanociti, in spermi e/o uova. Gli spermi, liberi nell'acqua, verranno catturati da un altro individuo, tramite i coanociti che condurranno lo spermatozoo all'uovo. Questo tipo di riproduzione avviene solamente nel periodo primavera-autunno, a differenza della riproduzione asessuale. La riproduzione asessuale avviene tramite la formazione di gemme, gemmule e propaguli. Le gemme si formano all'esterno del porifero, esse sono delle vere e proprie spugne in miniatura che staccandosi dalla "spugna madre" formano un nuovo individuo. Le gemmule invece si formano all'interno del porifero, esse sono composte internamente dagli archeociti, ed esternamente da particolari spicole che prendono il nome di anfidischi. La gemmula presenta un'apertura, il micropilo, dal quale fuoriusciranno gli archeociti una volta trovato un ambiente favorevole, che daranno origine ad un nuovo individuo. I propaguli (o larve corazzate) sono molto simili alle gemmule, si differenziano per la presenza di sei/otto/dieci stili e dal rivestimento di placche di natura silicea, denominate discotriene. Una caratteristica dei Poriferi è la capacità di disgregazione-riaggregazione: se, ad esempio, una spugna viene disgregata con un setaccio si assiste ad una ricostruzione generale dell'organismo da parte degli amebociti. In natura questa capacità permette a questi semplici animali di dividersi in più individui e colonizzare maggiormente il substrato. Ecologia Il phylum Porifera è composto quasi esclusivamente da specie acquatiche filtratrici, bentoniche e sessili (vivono ancorate al substrato), in prevalenza marine, diffuse in tutti i fondali, dai tropici ai poli, fino a profondità abissali. Le spugne d'acqua dolce, rappresentate dalla famiglia Spongillidae (Demospongie), abitano i fiumi ed i laghi di tutti i continenti (escluso l'Antartide). I poriferi possono avere vita solitaria o costituire dense colonie che, come accade con le madrepore, diventano importanti habitat per comunità animali e vegetali. Infatti, le loro cavità possono ospitare numerosi organismi simbionti (come piccoli crostacei, alghe unicellulari, cianobatteri, funghi.) In alcuni casi questi microorganismi possono costituire sino al 40% del volume della spugna e possono contribuire in maniera significativa al metabolismo dell'ospite, contribuendo, per esempio, alla fotosintesi o alla fissazione dell'azoto. Una curiosa associazione mutualistica è quella che si instaura tra alcune specie di paguro e la spugna Suberites domuncula, che si accresce sulla conchiglia di gasteropode utilizzata come protezione dal paguro; in questo modo la spugna trae vantaggio ottenendo mobilità dal crostaceo ed evitando così di riempirsi di sedimento, mentre il paguro evita di essere predato grazie allo sgradevole gusto e odore del porifero. Inoltre la Suberites domuncula si accresce attorno al nicchio ed al paguro consentendogli di vivere tutta la vita all'interno della stessa conchiglia, evitando così di esporre l'addome molle ai predatori durante il cambio di conchiglia, inevitabile per chi non si avvale di tale mutualismo. I Crostacei del genere Spongicola vivono come commensali all'interno di Ialospongie ma, una volta cresciuti, rimangono intrappolati nella cavità della spugna che, in genere, ne ospita una coppia, costretta così a rimanere "fedele" per tutta la vita. Le spugne fanno parte della dieta di molti organismi marini (Pesci, Anellidi, Molluschi, Echinodermi, ecc.). Studi sulla dieta della tartaruga marina Eretmochelys imbricata hanno dimostrato che essa è costituita per il 70-95% da spugne della classe Demospongiae, in particolare da specie appartenenti agli ordini Astrophorida, Spirophorida e Hadromerida. Note Bibliografia https://www.nature.com/articles/s41586-021-03658-1 Voci correlate Spongoliti Altri progetti Collegamenti esterni Le Spugne scheda di B. Usai su www.mondomarino.net Checklist aggiornata dei Poriferi dei mari e delle acque interne italiane comprende 180 generi e 492 specie. Poster poriferi (pdf 6,63 MB) Fondazione Michelagnoli World Porifera Database schede su 8.240 diverse specie di Porifera https://www.nature.com/articles/s41586-021-03658-1
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https://it.wikipedia.org/wiki/Plancton
Plancton
Il plancton (, ossia vagabondo) è la categoria ecologica che comprende il complesso di organismi acquatici galleggianti che, non essendo in grado di dirigere attivamente il loro movimento (almeno in senso orizzontale), vengono trasportati passivamente dalle correnti e dal moto ondoso. Per queste sue caratteristiche, il plancton si distingue dal necton, il complesso di organismi viventi nella colonna d'acqua e dotati di nuoto attivo, e dal benthos, costituito dagli organismi abitanti i fondali e con i quali mantengono uno stretto rapporto di carattere trofico. Il plancton comprende sia organismi vegetali (fitoplancton) che animali (zooplancton) di varie dimensioni; microorganismi (unicellulari, protozoi etc.), larve, piccoli animali (come i crostacei che formano il krill), ma anche organismi di una certa mole come meduse e alghe pluricellulari (quali i sargassi). La branca della biologia che si occupa dello studio di questi organismi, comprese le interrelazioni ed interdipendenze con l'ambiente fisico, chimico e biologico circostante, viene definita planctologia. L'insieme degli esseri viventi formante il plancton è caratterizzato da un alto tasso di biodiversità specifica, per il quale è possibile analizzare e distinguere organismi di diversa forma e dimensione, dotati di vari adattamenti e differenti anche per ciclo biologico e per le modalità con cui si procurano energia. Il termine plancton fu coniato dal biologo tedesco Victor Hensen. Adattamenti alla vita planctonica Come tutti gli esseri viventi (se si esclude la presenza dell'aria negli organi), anche gli organismi planctonici hanno una densità maggiore di quella dell'acqua, dovuta alla costituzione del citoplasma cellulare, la cui densità si aggira tra 1,02 e 1,06. Nonostante questo fattore, il plancton riesce ad ostacolare la tendenza a cadere sul fondo grazie ad una serie di adattamenti di varia natura, che ne permettono il galleggiamento. Uno di questi, sicuramente il più importante, è la forma del corpo, che offre una certa resistenza alla caduta tanto più ampia è la sua superficie rispetto al volume che occupa. La presenza di tentacoli, ciglia, flagelli, espansioni laminari o filiformi e le associazioni di alghe monocellulari in colonie filamentose con struttura a catena sono solo alcuni degli adattamenti con cui si realizza questo vantaggio. La diminuzione del peso specifico può avvenire anche grazie alla presenza di vacuoli riempiti d'aria o da gas, grassi ed oli che l'organismo stesso produce e mantiene all'interno del suo corpo. La velocità di caduta è contrastata anche dai deboli movimenti propri che possono avvenire per contrazione del corpo (come per le meduse) oppure grazie al movimento di ciglia, tentacoli ed altri organi locomotori. Ciclo biologico In base alle modalità con le quali si può svolgere il ciclo vitale, è possibile suddividere gli organismi planctonici in due grandi categorie: l'oloplancton e il meroplancton. Gli organismi oloplantonici trascorrono la loro intera esistenza galleggiando passivamente nell'ambiente pelagico e, quindi, in ogni stadio della loro vita contribuiscono alla densità del popolamento planctonico. Fanno parte dell'oloplancton diversi tipi di alghe, uni- e pluricellulari, e di Protozoi, gli Cnidari come i Sifonofori ed alcuni Scifozoi, la quasi totalità degli Ctenofori, i Rotiferi, vari gruppi di Crostacei, alcuni Molluschi Gasteropodi, i Chetognati, molti Tunicati e l'oloturoide Pelagothuria natatrix come rappresentante degli Echinodermi. Gli organismi meroplanctonici vivono solo una parte della loro vita allo stadio planctonico, preceduto o sostituito in forma adulta da quello bentonico o nectonico. Il meroplancton è costituito in prevalenza da gameti, larve di animali e spore di piante bentoniche e, per questa caratteristica, la sua densità e biodiversità sono fortemente influenzate dalle differenti stagioni riproduttive del popolamento acquatico. Esempi di meroplancton sono: le larve delle Spugne e dei Molluschi che, in seguito, si depositano sul fondo divenendo bentonici; le actinule, le efire e lo stadio di medusa degli Cnidari, quando questo si alterna allo stadio sessile o sedentario di polipo; i vari stadi larvali dei Pesci che, in forma adulta, si trasferiscono nel necton o nel benthos. Briozoi, Anellidi, Artropodi, Echinodermi, Tunicati e molti altri phyla animali sono anch'essi presenti nel plancton in varie forme larvali. Dimensioni Il plancton viene spesso descritto in termini di dimensioni. Solitamente vengono usate le seguenti suddivisioni: Megaplancton, 2×10−1→2×100 m (20–200 cm) Macroplancton, 2×10−2→2×10−1 m (2–20 cm) Mesoplancton, 2×10−4→2×10−2 m (0.2 mm-2 cm) Microplancton, 2×10−5→2×10−4 m (20-200 µm) Nanoplancton, 2×10−6→2×10−5 m (2-20 µm) Picoplancton, 2×10−7→2×10−6 m (0.2-2 µm), include molti batteri Femtoplancton, < 2×10−7 m, (< 0.2 µm), costituito dai virus. Alcune di queste suddivisioni, specialmente quelle di grandezza maggiore, vengono a volte utilizzate con diversa scala di valori. L'esistenza e l'importanza del nanoplancton e delle categorie inferiori è stata scoperta solo negli anni 80. Nutrizione Analizzando le diverse modalità con le quali gli organismi si procurano l'energia necessaria per il proprio metabolismo, è possibile individuare nel plancton i tre principali livelli trofici della catena alimentare: produttore, consumatore e decompositore. La produzione è affidata al fitoplancton, composto da varie specie di alghe mono- e pluricellulari che, come tutti gli organismi autotrofi fotosintetici (ad esempio le piante terrestri), riescono a sintetizzare la materia organica utilizzando le sostanze inorganiche disciolte nell'acqua e la radiazione solare come fonte di energia. Per questa caratteristica il fitoplancton si trova alla base della catena alimentare nella stragrande maggioranza degli ecosistemi acquatici Il ruolo di consumatori è invece svolto dallo zooplancton, comprendente i Protozoi e gli Animali; organismi eterotrofi che devono necessariamente cibarsi di altri organismi per sfruttare così l'energia immagazzinata nella materia organica delle loro prede. Ultimo, ma non per importanza, è il livello trofico occupato dal bacterioplancton, costituito dai batteri galleggianti nella colonna d'acqua, i quali ottengono energia attraverso la decomposizione della necromassa e restituiscono all'ambiente acquatico le sostanze inorganiche che verranno riutilizzate dal fitoplancton. Si deve puntualizzare che questo schema di suddivisione non presenta dei confini del tutto netti. Infatti, alcune specie di Protisti hanno la capacità di comportarsi sia da produttori fotosintetici che da consumatori eterotrofi a seconda delle circostanze (mixotrofia).. Distribuzione Il plancton è presente sia nelle acque salate (mari ed oceani) che negli ambienti dulciacquicoli come i laghi, le paludi ed i fiumi a decorso molto lento. La concentrazione del fitoplancton dipende strettamente dall'intensità della radiazione luminosa e dalla quantità di nutrienti presenti. La sua biodiversità è influenzata invece dalla salinità e dalla temperatura. Anche il movimento delle correnti e la concentrazione di zooplancton erbivoro svolgono un ruolo importante nella sua distribuzione. Per il suo metabolismo basato sulla fotosintesi, il fitoplancton si trova maggiormente concentrato negli strati superficiali fin dove i raggi solari riescono a penetrare (zona eufotica). Non tollerando però un'eccessiva radiazione solare, tipica delle zone intertropicali e di quelle temperate nella stagione estiva, in queste regioni gli organismi fitoplanctonici raggiungono la massima densità qualche metro al di sotto della superficie marina, dove le condizioni sono più favorevoli al loro sviluppo. Non essendo condizionato dalla luce, lo zooplancton è invece presente in tutta la colonna d'acqua, dalla superficie alle zone profonde, e la ripartizione verticale dipende principalmente dalla diversa tolleranza alla temperatura, la quale decresce verso il fondo, dal tipo di alimentazione e dalle esigenze riproduttive. Gli organismi fitofagi si localizzano in prossimità della superficie dove il fitoplancton è più abbondante; le specie necrofaghe sono maggiormente presenti nella regione meno luminosa, dove si cibano degli organismi morti che tendono a cadere sul fondo. Molti organismi, che durante il dì risiedono in profondità, nella notte risalgono in superficie provocando un notevole aumento del popolamento acquatico. La distribuzione dello zooplancton dipende anche dalla presenza di un'area riproduttiva, che, durante la stagione appropriata, con la riunione della popolazione e la conseguente produzione di larve e spore, incrementerà la sua concentrazione. Campionamento e studio Il plancton viene campionato essenzialmente con il retino da plancton con maglie di misura idonea a trattenere gli individui dei gruppi tassonomici di maggior interesse. Per organismi troppo piccoli o che, comunque, non incappano nei comuni retini si usa la bottiglia di Niskin, una bottiglia che può essere aperta e chiusa da bordo alla profondità desiderata e che raccoglie un campione di acqua completo di plancton. Un altro sistema è il campionatore continuo che viene trainato da una imbarcazione e che fissa automaticamente in formalina gli organismi catturati annotando automaticamente profondità e luogo di cattura. Voci correlate Zooplancton Fitoplancton Aeroplancton Retino da plancton Planctologia Necton Benthos Euphausiacea Biologia marina Altri progetti Collegamenti esterni Planctologia
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https://it.wikipedia.org/wiki/Pseudoceloma
Pseudoceloma
Lo pseudoceloma (falso celoma) è una cavità, posta tra il canale alimentare e la parete del corpo, presente in alcuni gruppi di animali triploblastici, a simmetria bilaterale e proctodeati. Questa divisione tassonomica presenta punti oscuri, divisioni controverse ed è considerata obsoleta. Differisce dal celoma perché si origina dal blastocele (primitiva cavità dell'embrione) che non viene occupato interamente dal mesoderma durante lo sviluppo embrionale. Lo pseudoceloma è riempito da un liquido organico (liquido pseudocelomatico) che offre un sostegno idrostatico all'organismo ed è coinvolto nella circolazione, trasporto ed escrezione delle sostanze organiche. I vari organi e apparati si trovano a contatto diretto con il liquido per mancanza del peritoneo, un tessuto di origine mesodermico caratteristico degli eucelomati. Sistematica Gli pseudocelomati o aschelminti costituiscono un gruppo rappresentato dai seguenti phyla animali: Phylum Rotifera (Rotiferi) Phylum Gastrotricha (Gastrotrichi) Phylum Entoprocta (Endoprocti o Endoprotti) Phylum Kinorhyncha (Chinorinchi) Phylum Priapulida (Priapulidi) Phylum Nematoda (Nematodi o Vermi Cilindrici) Phylum Nematomorpha (Nematomorfi) Phylum Acanthocephala (Acantocefali) Phylum Loricifera (Loriciferi) Phylum Cycliophora (Cicliofori) Collegamenti esterni Anatomia animale Anatomia comparata
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https://it.wikipedia.org/wiki/Partizione%20%28teoria%20degli%20insiemi%29
Partizione (teoria degli insiemi)
In matematica una partizione di un insieme X è una divisione di X in sottoinsiemi, detti parti, classi o blocchi della partizione, che "coprono" X senza sovrapporsi. Più formalmente, una partizione di X è una collezione P di sottoinsiemi di X tali che: i sottoinsiemi non sono vuoti; l'unione di tutti i sottoinsiemi sia l'insieme X stesso (P è un ricoprimento di X); dati due sottoinsiemi (distinti) qualsiasi di X, questi sono disgiunti. Una partizione in due parti si dice bipartizione, una in tre parti tripartizione; con significato simile talora si usano termini come tetrapartizione o più in generale k-partizione. Esempi Per un qualsiasi insieme X, la partizione banale P={X}. Per un qualunque X, la partizione formata da tutti i singoletti degli elementi di X. Dato un sottoinsieme A di X, la partizione formata da A e dal suo complementare in X. Nell'insieme dei numeri naturali, la partizione formata dai numeri pari e dai numeri dispari. Nell'insieme dei numeri interi, la partizione formata dalle classi di resto modulo un qualsiasi numero n. Partizioni e relazioni di equivalenza Ad ogni partizione P di un insieme X si può associare, in modo naturale, una relazione di equivalenza ρ sullo stesso X: due elementi sono in relazione secondo ρ se e solo se appartengono allo stesso elemento della partizione P. Viceversa, ad ogni equivalenza si può associare naturalmente una partizione, quella costituita dalle relative classi di equivalenza. Questo rapporto è importante perché definisce una funzione biunivoca tra l'insieme delle partizioni e quello delle relazioni di equivalenza; inoltre "tornando indietro" si ritorna all'inizio, ovvero, data una relazione ρ e la partizione R ad essa associata, la relazione associata alla partizione non è altro che ρ. Per queste situazioni si usano termini quali equivalenza canonica di una partizione e partizione associata canonicamente ad una equivalenza. La proiezione canonica Data una partizione P, si può costruire una funzione suriettiva che associa ad ogni elemento il sottoinsieme tale che . Questa funzione è detta proiezione canonica. Questa funzione è sfruttata ad esempio nel costruire, a partire da una qualsiasi funzione, una funzione biunivoca. Data , si costruisce in X una partizione tale che due elementi di uno stesso sottoinsieme hanno la stessa immagine secondo f; la funzione definita dalla partizione all'immagine di X sarà quindi una funzione biunivoca. Questo processo è detto decomposizione di un'applicazione. Ad esempio, la funzione parte intera definita sull'insieme dei reali non negativi ha come partizione canonica associata la partizione costituita dagli intervalli chiusi a sinistra e aperti a destra per diversi n interi non negativi; secondo l'equivalenza canonicamente associata a questa partizione, ovvero canonicamente associata alla funzione parte intera, sono equivalenti due reali positivi che presentano la stessa parte intera. Restringendo poi il codominio della funzione all'insieme dei numeri naturali si ottiene una funzione biunivoca da P a . Altri ambiti Tra le partizioni di un insieme si definisce un importante ordine parziale stabilendo che una partizione è più fine di una seconda se ogni parte di è contenuta in una (sola) parte di B. Munita di questo ordinamento, la collezione delle partizioni di un insieme costituisce un reticolo detto reticolo delle partizioni di un insieme, molto importante ad esempio nella combinatoria e anche nella meccanica statistica. Ad ogni partizione di un insieme finito si associa canonicamente anche una partizione dell'intero fornito dalla sua cardinalità. La nozione di partizione viene sfruttata anche per il calcolo dell'integrale. Numero di partizioni di un insieme finito Il numero di partizioni di un insieme di elementi è il numero di Bell . I primi numeri di Bell sono: . I numeri di Bell soddisfano la ricorsione: e hanno funzione generatrice esponenziale I numeri di Bell possono essere calcolati usando il triangolo di Bell in cui il primo valore in ogni riga coincide con l'ultimo della riga precedente e i valori successivi sono calcolati sommando due numeri: il numero a sinistra e il numero in alto a sinistra rispetto alla posizione considerata. I numeri di Bell sono riportati lungo entrambi i lati di questo triangolo. In generale il numero della riga e colonna del triangolo conta il numero di partizioni di un insieme con elementi in cui è presente il singoletto e tutti i singoletti presenti nella partizione contengono elementi minori di . Ad esempio conta le partizioni dell'insieme che hanno il singoletto ma non il singoletto , che sono: {1}, {2, 4}, {3} {1, 4}, {2}, {3} {1, 2, 4}, {3}. Il numero di partizioni di un insieme di elementi in esattamente parti non vuote è il numero di Stirling di seconda specie Note Voci correlate Relazione di equivalenza Partizione di un intervallo Proprietà di tricotomia Numeri di Bell Dicotomia Altri progetti Collegamenti esterni Teoria degli insiemi Matematica di base
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https://it.wikipedia.org/wiki/Polimero
Polimero
Un polimero (dal greco polymerḗs, comp. di polýs- e -méros, letteralmente "che ha molte parti") è una macromolecola, ovvero una molecola dall'elevato peso molecolare, costituita da un gran numero di gruppi molecolari (o unità strutturali) uguali o diversi (nei copolimeri), uniti "a catena" mediante la ripetizione dello stesso tipo di legame (covalente). Secondo la definizione internazionale IUPAC, l'unità strutturale viene denominata "unità ripetentesi costituzionale" (CRU, Constitutional Repeating Unit). I termini "unità ripetitiva" e "monomero" non sono sinonimi: infatti un'unità ripetitiva è una parte di una molecola o macromolecola, mentre un monomero è una molecola composta da un'unica unità ripetitiva. Nel seguito, quando si parla di "monomeri" s'intendono dunque i reagenti da cui si forma il polimero attraverso la reazione di polimerizzazione, mentre con il termine "unità ripetitive" si intendono i gruppi molecolari che assieme ai gruppi terminali costituiscono il polimero (che è il prodotto della reazione di polimerizzazione). Per definire un polimero bisogna conoscere: la natura dell'unità ripetente; la natura dei gruppi terminali; la presenza di ramificazioni e/o reticolazioni; gli eventuali difetti nella sequenza strutturale che possono alterare le caratteristiche meccaniche del polimero. Benché a rigore anche le macromolecole tipiche dei sistemi viventi (proteine, acidi nucleici, polisaccaridi) siano polimeri (i cosiddetti "polimeri naturali"), nel campo dell'industria chimica col termine "polimeri" s'intendono comunemente le macromolecole di origine sintetica: materie plastiche, gomme sintetiche e fibre tessili (ad esempio il nylon), ma anche polimeri sintetici biocompatibili largamente usati nelle industrie farmaceutiche, cosmetiche e alimentari, tra cui i polietilenglicoli (PEG), i poliacrilati e i poliamminoacidi sintetici. I polimeri inorganici più importanti sono a base di silicio (silice colloidale, siliconi, polisilani). Storia Il termine "polimero" deriva dal greco πολύς (polýs, che significa "molto") e μέρος (méros, che significa "parte") e fu coniato da Jöns Jacob Berzelius, con un'accezione differente da quella attuale utilizzata dalla IUPAC. Tale termine può indicare sia i polimeri naturali (tra i quali il caucciù, la cellulosa e il DNA) sia i polimeri sintetizzati in laboratorio (in genere utilizzati per la produzione di materie plastiche). La storia dei polimeri ha quindi inizio molto prima dell'avvento delle materie plastiche, sebbene la commercializzazione delle materie plastiche abbia aumentato notevolmente l'interesse della comunità scientifica verso la scienza e la tecnologia dei polimeri. I primi studi sui polimeri sintetici si devono a Henri Braconnot nel 1811, il quale ottenne dei composti derivati dalla cellulosa. Nel 1909 il chimico belga Leo Hendrik Baekeland realizza la prima materia plastica interamente sintetica, appartenente al gruppo delle resine fenoliche, chiamandola bachelite, la prima plastica termoindurente. Nel 1912 lo svizzero Jacques Brandenberger produce il cellofan, derivato dalla cellulosa e nello stesso periodo sono introdotti i polimeri sintetici come il rayon, anch'esso un derivato della cellulosa. Fu il chimico tedesco Hermann Staudinger nel 1920 a proporre l'attuale concetto di polimeri come strutture macromolecolari unite da legami covalenti. Sempre negli anni venti Wallace Carothers si dedicò allo studio delle reazioni di polimerizzazione. Nel 1950 la Du Pont brevetta il teflon (PTFE), frutto di ricerche sui composti di fluoro e, in particolare, dei fluorocarburi. Nel corso degli anni sono stati svolti molti studi sul comportamento reologico dei polimeri e sulla loro caratterizzazione, nonché sulle metodiche di polimerizzazione. In particolare nel 1963 Karl Ziegler e Giulio Natta ottengono il premio Nobel per la chimica come riconoscimento dei loro studi sui polimeri (in particolare per la scoperta dei cosiddetti "catalizzatori di Ziegler-Natta"). Nel 1974 il premio Nobel per la chimica fu consegnato a Paul Flory, che concentrò i propri studi sulla cinetica delle polimerizzazioni a stadi e polimerizzazioni a catena, sul trasferimento di catena, sugli effetti di volume escluso e sulla teoria di Flory–Huggins delle soluzioni. Nel 2022, il machine learning mediante un algoritmo basato su grafi è riuscito a prevedere dieci proprietà fondamentali dei polimeri, includendo nell'analisi la periodicità di decine o migliaia di atomi le cui catene si ripetono nella molecola di struttura. Classificazione dei polimeri I polimeri possono essere classificati in vari modi: I polimeri prodotti da monomeri tutti uguali sono detti omopolimeri, mentre quelli prodotti da monomeri rappresentati da due o più specie chimiche differenti sono detti copolimeri. A seconda della loro struttura, possono essere classificati in polimeri lineari, ramificati o reticolati. In relazione alle loro proprietà dal punto di vista della deformazione, si differenziano in termoplastici, termoindurenti ,fibre ed elastomeri. Esistono polimeri naturali organici (ad esempio cellulosa e caucciù), polimeri artificiali, ossia ottenuti dalla modifica di polimeri naturali (come l'acetato di cellulosa) e polimeri sintetici, ossia polimerizzati artificialmente (ad esempio PVC e PET). A seconda del tipo di processo di polimerizzazione da cui sono prodotti si distinguono in "polimeri di addizione" e "polimeri di condensazione". In relazione all'omogeneità del peso molecolare si possono distinguere i polimeri omogenei da quelli eterogenei o polidispersi, con questi ultimi caratterizzati da alta variabilità del peso molecolare medio. Classificazione dal diagramma sforzo-deformazione Ogni materiale, in seguito a uno sforzo risponde con una deformazione, a cui è associata un maggiore o minore allungamento percentuale. Nel caso dei polimeri si distingue tra: Fibre Polimeri termoindurenti Polimeri termoplastici Elastomeri. In linea di massima, i polimeri con maggiore cristallinità (fibre) sono più fragili, mentre i polimeri amorfi (elastomeri) sono più duttili e più plastici. A partire dal diagramma sforzo-deformazione è possibile ricavare i seguenti parametri: Modulo di elasticità: aumenta all'aumentare della cristallinità del polimero Allungamento percentuale alla rottura: diminuisce all'aumentare della cristallinità del polimero Tensione di rottura: aumenta all'aumentare della cristallinità del polimero Tensione di snervamento: aumenta all'aumentare della cristallinità del polimero. Classificazione dei polimeri per struttura La struttura dei polimeri viene definita a vari livelli, tutti tra loro interdipendenti e decisivi nel concorrere a formare le proprietà reologiche del polimero, dalle quali dipendono le applicazioni e gli usi industriali. L'architettura delle catene è un fattore che influenza, ad esempio, il comportamento del polimero al variare della temperatura e la sua densità. Si può distinguere infatti tra catene lineari (alta densità), ramificate (bassa densità) e reticolate. I polimeri lineari sono quelli nei quali le unità ripetitive di una singola catena sono unite da un estremo all'altro. Tra queste catene si possono instaurare numerosi legami di Van del Waals e a idrogeno. I polimeri ramificati hanno catene da cui si dipartono ramificazioni laterali, che riducono le capacità di compattazione delle catene. Materiali come il polietilene possono essere lineari o ramificati. Classificazione in base alla struttura chimica Esclusi i gruppi funzionali direttamente coinvolti nella reazione di polimerizzazione, gli eventuali altri gruppi funzionali presenti nel monomero conservano la loro reattività chimica anche nel polimero. Nel caso dei polimeri biologici (le proteine) le proprietà chimiche dei gruppi disposti lungo la catena polimerica (con le loro affinità, attrazioni e repulsioni) diventano essenziali per modellare la struttura tridimensionale del polimero stesso, struttura da cui dipende l'attività biologica della proteina stessa. Classificazione in base alla struttura stereochimica L'assenza o la presenza di una regolarità nella posizione dei gruppi laterali di un polimero rispetto alla catena principale ha un notevole effetto sulle proprietà reologiche del polimero e di conseguenza sulle sue possibili applicazioni industriali. Un polimero i cui gruppi laterali sono distribuiti senza un ordine preciso ha meno probabilità di formare regioni cristalline rispetto a uno stereochimicamente ordinato. Un polimero i cui gruppi laterali sono tutti sul medesimo lato della catena principale viene detto isotattico, uno i cui gruppi sono alternati regolarmente sui due lati della catena principale viene detto sindiotattico e uno i cui gruppi laterali sono posizionati a caso atattico. La scoperta di un catalizzatore capace di guidare la polimerizzazione del propilene in modo da dare un polimero isotattico ha valso il premio Nobel a Giulio Natta. L'importanza industriale è notevole, il polipropilene isotattico è una plastica rigida, il polipropilene atattico una gomma pressoché priva di applicazioni pratiche. I polimeri isotattici, infatti, differiscono notevolmente da quelli anisotattici allo stato solido sia nel comportamento alla luce polarizzata sia in altre proprietà come la temperatura di fusione, la solubilità e la densità. Due nuove classi di polimeri sono i polimeri comb e i dendrimeri. Classificazione in base al peso molecolare I polimeri (al contrario delle molecole aventi peso molecolare non elevato o delle proteine) non hanno peso molecolare definito, ma variabile in rapporto alla lunghezza della catena polimerica che li costituisce. Lotti di polimeri sono caratterizzati da un parametro tipico di queste sostanze macromolecolari ovvero dall'indice di polidispersione (PI), che tiene conto della distribuzione di pesi molecolari (DPM) riferibile a una sintesi. Il peso molecolare sarà quindi espresso tramite un valore medio, che può essere definito in diversi modi: come media numerica su intervalli dimensionali o come media pesata su intervalli di peso. Si fa inoltre uso del grado di polimerizzazione, che indica il numero di unità ripetitive costituenti il polimero, e che può essere: basso: sotto 100 unità ripetitive; medio: tra 100 e 1 000 unità ripetitive; alto: oltre 1 000 unità ripetitive. Dal grado di polimerizzazione dipendono le proprietà fisiche e reologiche del polimero, nonché le possibili applicazioni. Nel caso in cui il grado di polimerizzazione sia molto basso si parla più propriamente di oligomero (dal greco "oligos-", "pochi"). Polimeri amorfi e semi-cristallini I polimeri amorfi sono generalmente resine o gomme. Essi sono fragili al di sotto di una data temperatura (la "temperatura di transizione vetrosa") e fluidi viscosi al di sopra di un'altra (il "punto di scorrimento"). La loro struttura può essere paragonata a un groviglio disordinato di spaghetti, poiché le catene sono posizionate in modo casuale e non vi è ordine a lungo raggio. I polimeri semi-cristallini sono generalmente plastiche rigide; le catene di polimero, ripiegandosi, riescono a disporre regolarmente loro tratti più o meno lunghi gli uni a fianco degli altri, formando regioni cristalline regolari (dette "cristalliti") che crescono radialmente attorno a "siti di nucleazione", questi possono essere molecole di sostanze capaci di innescare la cristallizzazione ("agenti nucleanti") o altre catene di polimero stirate dal flusso della massa del polimero. Una situazione intermedia tra i polimeri amorfi e i polimeri semi-cristallini è rappresentata dai polimeri a cristalli liquidi (LCP, Liquid-Crystal Polymers), in cui le molecole mostrano un orientamento comune ma sono libere di scorrere in maniera tra loro indipendente lungo la direzione longitudinale, modificando quindi la loro struttura cristallina. Per un polimero amorfo il volume specifico cresce linearmente fino alla temperatura di transizione vetrosa, in corrispondenza della quale il comportamento cambia da vetroso a gommoso per il fatto che la mobilità delle catene polimeriche aumenta con l'aumentare della temperatura. La transizione è quindi di tipo cinetico e non termodinamico. I polimeri semi-cristallini hanno anche una temperatura di fusione, alla quale è presente una discontinuità nell'andamento del volume dovuta alla transizione di tipo termodinamico in cui è richiesto calore latente per passare dallo stato cristallino a liquido. Le condizioni che rendono possibile la cristallizzazione di un polimero sono: la regolarità costituzionale, la regolarità configurazionale e la velocità di raffreddamento. La prima è verificata se i monomeri si susseguono in modo regolare lungo la catena, come per tutti gli omopolimeri. La seconda deriva dalla struttura stereochimica ed è verificata solo per i polimeri isotattici e sindiotattici. Infine se il raffreddamento dallo stato liquido procede troppo in fretta le catene non potranno organizzarsi in cristalli e il polimero risulterà amorfo. Polimeri reticolati Un polimero viene detto "reticolato" se esistono almeno due cammini diversi per collegare due punti qualsiasi della sua molecola; in caso contrario viene detto "ramificato" o "lineare", a seconda che sulla catena principale siano innestate o meno catene laterali. Un polimero reticolato si può ottenere direttamente in fase di reazione, miscelando al monomero principale anche una quantità di un altro monomero simile, ma con più siti reattivi (ad esempio, il co-polimero tra stirene e 1,4-divinilbenzene) oppure può essere reticolato successivamente alla sua sintesi per reazione con un altro composto (ad esempio, la reazione tra lo zolfo e il polimero del 2-metil-1,3-butadiene, nota come vulcanizzazione). Le catene reticolate sono unite tra loro da legami covalenti aventi un'energia di legame pari a quella degli atomi sulle catene e non sono perciò indipendenti le une dalle altre. Per questo motivo un polimero reticolato è generalmente una plastica rigida, che per riscaldamento si decompone o brucia, anziché rammollirsi e fondere come un polimero lineare o ramificato. Conformazione dei polimeri Le molecole polimeriche non sono esattamente lineari ma presentano un andamento a zig-zag, dovuto all'orientazione dei legami che sono in grado di ruotare e piegarsi nello spazio. La conformazione di un polimero indica quindi il profilo o la forma di una molecola, che può essere modificata dalla rotazione degli atomi intorno ai legami covalenti semplici. Il legame tra atomi di carbonio, ad esempio, ha un angolo di 109,5° dovuto alla struttura geometrica tetraedrica. Pertanto una singola catena molecolare può avere numerosi avvolgimenti, piegamenti e cappi. Più catene possono quindi intrecciarsi tra loro e aggrovigliarsi come la lenza di una canna da pesca. Questi "gomitoli" sono alla base di importanti caratteristiche dei polimeri, come l'estensibilità e l'elasticità. Altre proprietà dipendono dalla capacità dei segmenti delle catene di ruotare quando sottoposti a degli sforzi. Macromolecole come il polistirene, dotato di un gruppo laterale fenilico e quindi più voluminoso, sono infatti più resistenti ai movimenti rotazionali. Copolimeri Quando il polimero è costituito da due unità ripetitive di natura diversa, si dice che esso è un copolimero. Nell'ipotesi di avere due monomeri, vi sono 4 modi di concatenamento delle unità ripetitive A e B che derivano da tali monomeri: random: le unità ripetitive A e B si avvicendano in maniera casuale; alternato: se le unità ripetitive si susseguono in coppia, prima A, poi B, poi di nuovo A e così via; a blocchi: se le unità ripetitive di uno stesso tipo (A) sono in blocchi che si alternano con i blocchi costituiti dall'altra unità ripetitiva (B); a innesto: se le unità ripetitive di uno stesso tipo (A) formano un'unica catena, sulla quale s'innestano le catene laterali costituite dalle unità ripetitive del secondo tipo (B). I copolimeri random, alternati e a blocchi sono copolimeri lineari, mentre i copolimeri a innesto sono polimeri ramificati. Configurazione dei polimeri Le proprietà di un polimero possono dipendere significativamente dalla regolarità e dalla simmetria della configurazione del gruppo laterale. Ad esempio unità ripetitive con il gruppo laterale R possono succedersi in modo alternato lungo la catena (in questo caso la configurazione si chiamerà testa-coda) o in atomi della catena adiacenti (configurazione testa-testa). La configurazione testa-coda è predominante in quanto quella testa-testa generalmente provoca una repulsione polare tra i due gruppi R. Nei polimeri è presente anche il fenomeno dell'isomeria: stereoisomeria e isomeria geometrica. Si ha stereoisomeria quando gli atomi sono nella configurazione testa-coda ma differiscono per la disposizione spaziale. Si possono individuare perciò tre configurazioni diverse: isotattica, sindiotattica e atattica. Per passare da una configurazione a un'altra non basta ruotare i legami ma è necessario romperli. Per unità ripetitive che presentano il doppio legame sono possibili altre configurazioni dette isomeri geometrici: cis e trans. Si avrà una configurazione cis se due gruppi laterali simili si trovano dalla stessa parte del doppio legame, e trans se si trovano dal lato opposto. Anche in questo caso non è possibile operare una conversione di configurazione semplicemente tramite rotazione del legame della catena data la natura estremamente rigida del doppio legame. Polimeri organici e inorganici Quasi tutte le materie plastiche impiegate oggi sono polimeri organici, formati da molecole molto grandi costituite da lunghe catene di atomi di carbonio. Il polietilene (PE), ad esempio, è un polimero organico in cui ogni atomo di carbonio è legato da due atomi di idrogeno. Polimeri sintetici di questo tipo, come anche il polistirene (PS) e il polietilentereftalato (PET) possono essere utilizzati per fabbricare fibre resistenti o elastomeri simili alla gomma. Molti di questi polimeri presentano però gravi deficienze, legate ad esempio agli sbalzi di temperatura, che li rendono inadatti per certi utilizzi. Tutti i polimeri lineari sono vetrosi alle basse temperature e si trasformano in gommosi quando riscaldati. Le differenze rilevabili tra polimeri sono quindi attribuibili principalmente a differenti temperature di transizione vetrosa, condizionate dalla presenza nella catena di diversi gruppi sostituenti o di elementi diversi dal carbonio. I polimeri inorganici dovrebbero avere le stesse transizioni termiche dei polimeri organici, ma con alti punti di fusione e una considerevole resistenza alla degradazione ossidativa. Grazie alla presenza di gruppi sostituenti diversi, infatti, i polimeri inorganici possono avere proprietà differenti. Il vetro, per esempio, è un polimero inorganico costituito da anelli di unità silicato ripetentesi, e le rocce, i mattoni, i calcestruzzi e le ceramiche sono per la maggior parte polimeri inorganici tridimensionali. Il problema di questi materiali è il loro non essere flessibili o resistenti all'urto e perciò non rispondono alle molteplici esigenze della moderna tecnologia. Proprietà dei polimeri Le proprietà dei polimeri sono suddivise in varie classi in base alla scala e al fenomeno fisico a cui fanno riferimento. In particolare, queste proprietà dipendono principalmente dagli specifici monomeri costituenti e dalla microstruttura del polimero stesso. Queste caratteristiche strutturali di base sono fondamentali per la determinazione delle proprietà fisiche di un polimero e quindi del suo comportamento macroscopico. La microstruttura di un polimero fa riferimento alla disposizione nello spazio dei monomeri costituenti lungo la catena polimerica. La microstruttura influenza fortemente le proprietà del polimero - come ad esempio resistenza meccanica, tenacità, durezza, duttilità, resistenza alla corrosione, comportamento a diverse temperature, resistenza a fatica,... Ad esempio, l'architettura e la forma di un polimero, ossia la complessità e la ramificazione del polimero rispetto a una semplice catena lineare, possono influenzare la viscosità in soluzione, la viscosità di fusione, la solubilità in diversi solventi e la temperatura di transizione vetrosa. Anche la lunghezza delle catene polimeriche (o in modo equivalente, il peso molecolare) ha un effetto sulle proprietà meccaniche del materiale: infatti maggiore la lunghezza delle catene, maggiore la viscosità, la resistenza meccanica, la durezza e la temperatura di transizione vetrosa. Questa influenza è dovuta all'aumento di interazioni tra le catene polimeriche, quali forze di Van der Waals e nodi fisici. Proprietà meccaniche Le proprietà meccaniche dei polimeri, e di un materiale in generale, sono influenzate da molti fattori come il processo di ottenimento del polimero, la temperatura di utilizzo, la quantità di carico e la velocità con cui varia, il tempo di applicazione. Proprietà tensili Le proprietà tensili di un materiale quantificano quanto sforzo e deformazione il materiale riesce a essere sottoposto prima di arrivare a rottura, quando sottoposto a prove di trazione e/o compressione. Queste proprietà sono particolarmente importanti per applicazioni e usi che fanno affidamento sulla resistenza, tenacità, duttilità dei polimeri. In generale, la resistenza meccanica di un polimero aumenta con l'aumentare della lunghezza della catena polimerica e delle interazioni tra catene. Per lo studio delle proprietà di uno specifico polimero si può fare affidamento su prove di creep e di rilassamento. Un modo per quantificare le proprietà di un materiale è il modulo elastico (o di Young). Questo è definito, per piccole deformazioni, come il rapporto tra sforzo e deformazione. Il modulo di elasticità è fortemente caratterizzato dalla temperatura di applicazione, oltre che alla struttura molecolare del polimero stesso. Infatti, polimeri cristallini e amorfi si comporteranno diversamente. Tuttavia il modulo di elasticità non è sufficiente a descrivere le proprietà meccaniche dei polimeri. Infatti, esso descrive solo il comportamento elastico di un materiale, ma i polimeri annoverano materiali viscoelastici ed elastomeri. Questi dimostrano una complessa risposta dipendente dal tempo a stimoli elastici, presentando isteresi nella curva sforzo-deformazione quando il carico viene rimosso. Proprietà di trasporto Le proprietà di trasporto, quali la diffusione, descrivono la velocità con la quale le molecole si muovono attraverso la matrice polimerica. Sono particolarmente importanti per applicazione dei polimeri come film e membrane. Il movimento delle singole macromolecole avviene tramite un processo chiamato "reptazione". Transizioni termiche Come detto precedentemente, a seconda della loro struttura microscopica i polimeri possono essere amorfi o semi-cristallini, ossia costituiti da una parte amorfa e una cristallina (nota bene: non esistono materiali polimerici al 100% cristallini). In base alla temperatura a cui sono sottoposti possono avere determinate proprietà fisiche e meccaniche. Transizione vetrosa La parte amorfa di un materiale polimerico è caratterizzata da una temperatura di transizione vetrosa (Tg), durante la quale si ha il passaggio da uno stato solido vetroso a uno stato solido gommoso. Questa è una transizione isofasica. Al di sotto di questa temperatura i moti microbrowniani tendono a congelarsi e la sostanza assume le caratteristiche meccaniche di un vetro, ossia è rigida, fragile e perde ogni caratteristica di plasticità. Al di sopra di questa temperatura i movimenti delle catene molecolari si riattivano e portano la macromolecola a divenire flessibile e gommosa (il cosiddetto "rammollimento"). In questa fase i polimeri amorfi si presentano gommosi ed elastici, con comportamento viscoelastico. Al contrario, grazie a forze intermolecolari relativamente forti, i semi-cristallini non si rammoliscono troppo e il loro modulo elastico comincia a subire variazioni solo ad alte temperature vicine a quella di fusione. Questo dipende dal grado di cristallinità: più è alto, più il materiale è duro e termicamente stabile, ma al contempo è anche più fragile. La componente amorfa nei semi-cristallini invece garantisce elasticità e resistenza agli urti, dando al materiale una certa duttilità e capacità di deformazione plastica. Questo permette al materiale sotto sforzo di subire inizialmente una deformazione elastica (ossia l'allungamento delle catene molecolari della fase amorfa) e, solo in seguito, una deformazione plastica della fase cristallina. Cristallizzazione I polimeri amorfi non presentano ulteriori transizioni di fase all'aumentare della temperatura, al contrario dei semi-cristallini che invece subiscono cristallizzazione e fusione (rispettivamente alle temperature Tc e Tm). Infatti, tra la temperatura di transizione vetrosa Tg e quella di fusione Tm, il materiale passa da uno stato solido gommoso/amorfo a uno stato liquido viscoso, nel quale le catene polimeriche sono più o meno libere di muoversi e tendono a riallinearsi secondo il gradiente di temperatura. Quindi, se la temperatura a cui il polimero semi-cristallino è sottoposto diminuisce, la struttura di quest'ultimo rimane così riordinata, aumentandone il grado di cristallinità (ciò comporta il rafforzamento delle proprietà cristalline di cui sopra). Se la temperatura supera invece la temperatura di fusione Tm tipica dello specifico polimero, allora anche le regioni cristalline passano da uno stato solido ordinato cristallino a uno stato fuso (liquido viscoso), per cui il materiale perde ogni proprietà meccanica. La calorimetria differenziale a scansione (DSC) è un test che misura il calore assorbito o liberato durante il riscaldamento o il raffreddamento di un provino di materiale e riesce quindi a estrarre informazioni riguardanti il punto di fusione (Tm), la temperatura di transizione vetrosa (Tg) e la temperatura di cristallizzazione (Tc). Elenco di polimeri In base alle normative DIN 7728 e 16780 (nonché la ISO 1043/1), a ogni materia plastica è associata una sigla, che la identifica univocamente. Queste designazioni brevi sono una notazione tecnica conveniente alternativa alle regole della organizzazione di nomenclatura chimica IUPAC. CA – Acetato di cellulosa CAB – Acetobutirrato di cellulosa CN – Nitrato di cellulosa CP – Propionato di cellulosa EP – Epossidi MF – Melammina-formaldeide PA – Poliammidi PAI – Poliammidiimmide PAN – Poliacrilonitrile PB – Polibutene-1 PBT – Polibutilentereftalato PC – Policarbonato PCTFE – Policlorotrifluoroetilene PDAP – Polidialliftalato PE – Polietilene PE-C – Polietilene clorurato PEI – Polieterimmide PEK – Polieterchetone PEEK – Polietereterchetone PES – Polietersolfoni PET – Polietilentereftalato PF – Fenolformaldeide PI – Poliimmide PIB – Poliisobutilene PMI – Polimetacrilimmide PMMA – Polimetilmetacrilato PMP – Poli-4-metilpentene-1 POM – Poliossimetilene, Poliformaldeide, Poliacetale PP – Polipropilene PPE – Polifeniletere PPO – Polifenilenossido PPS – Polifenilensolfuro PS – Polistirene PSU – Polisolfone PT – Politiofene PTFE – Politetrafluoroetilene (Teflon) PUR – Poliuretano PVB – Polivinilbutirrale PVC – Polivinilcloruro PVC-C – Polivinilcloruro clorurato PVDC – Polivinildencloruro PVDF – Polivinildenfluoruro PVF – Polivinilfluoruro RC – Cellulosa rigenerata SI – Siliconi UF – Urea-formaldeide UP – Poliestere insaturo PDMS – Polidimetilsilossano Caratterizzazione dei polimeri La caratterizzazione dei polimeri avviene tramite l'utilizzo di numerose tecniche standardizzate dall'ASTM, SPI e SPE, tra cui (accanto a ciascuna tecnica s'indicano le grandezze misurate): analisi dei gruppi terminali: peso molecolare medio numerico; ebulliometria, crioscopia e osmometria: peso molecolare medio numerico; light scattering: peso molecolare medio ponderale; viscosimetria: peso molecolare medio viscosimetrico; cromatografia di esclusione molecolare: distribuzione della massa molare; calorimetria differenziale a scansione (DSC) e analisi termica differenziale (DTA): calore di fusione, calore di reazione, calore specifico, temperatura di transizione vetrosa, velocità di cristallizzazione; termogravimetria (TG): velocità di reazione, purezza; analisi termomeccanica (TMA): coefficiente di espansione termica, modulo elastico, temperatura di rammolimento; analisi dinamico-meccanica (DMA): modulo elastico, temperatura di transizione vetrosa; test di solubilità; test di diffusione e permeabilità; microscopio ottico: indice di rifrazione; spettrofotometro: riflettanza, trasmittanza; test di indice di ossigeno; test di resistenza chimica; test di resistenza agli agenti atmosferici; resistenza a trazione; misura della deformazione permanente. Note Bibliografia Voci correlate Chimica dei polimeri e delle macromolecole Dimero Grado di polimerizzazione Materie plastiche Melt flow index Monomero Nanopolimeri Oligomero Pentamero Polimeri conduttori Polimerizzazione Rigonfiamento dei polimeri Stampaggio di materie plastiche Trimero Riviste accademiche Polymer Bulletin Polymer Journal Polymers for Advanced Technologies Altri progetti Collegamenti esterni Chimica dei polimeri e delle macromolecole Chimica industriale Scienza dei materiali Materia soffice