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https://it.wikipedia.org/wiki/Macario%20%28nome%29
Macario (nome)
. Varianti Femminili: Macaria Varianti in altre lingue Basco: Makari Catalano: Macari Finlandese: Kari Francese: Macaire Greco antico: Μακάριος (Makarios) Femminili: Μακάρια (Makaria) Latino: Macarius Femminili: Macaria Polacco: Makary Portoghese: Macário Russo: Макарий (Makarij), Макар (Makar) Spagnolo: Macario Femminili: Macaria Origine e diffusione Deriva, tramite il latino Macarius, dal nome greco Μακάριος (Makarios); esso è tratto dall'aggettivo μακάριος (makarios) o μάκαρ (mákar), che vuol dire "benedetto", "felice". Il nome è attestato già anticamente nel mondo ellenico, ma conobbe buona diffusione solo con l'avvento del Cristianesimo, grazie anche al suo valore mistico e beneaugurale; fu poi il nome di numerosi tra i primi santi, in gran parte orientali, il cui culto ne ha promosso l'uso. La forma femminile è portata, nella mitologia greca, da Macaria, figlia di Ercole e Deianira, che si sacrificò volontariamente per difendere i suoi fratelli da Euristeo. In Italia (dove è attestato anche come cognome), il nome risultava già raro negli anni Cinquanta del Novecento, e negli anni Settanta se ne contavano appena trecento occorrenze in tutto il paese. Curiosamente, l'interiezione italiana "magari" deriva dalla stessa radice di questo nome: in greco bizantino era infatti in uso l'espressione μακάριον (makárion), abbreviata in μακάρι (makári), con un senso simile a quello di espressioni come "beato se...", "volesse il cielo che...", "piacesse a Dio che...". Onomastico L'onomastico si può festeggire in memoria di vari santi, alle date seguenti: 2 gennaio, san Macario, prefetto romano, eremita a Sacerno (Calderara di Reno) 6 gennaio, beato Macario lo Scozzese, primo abate del monastero di San Giacomo a Ratisbona 19 gennaio (o 2 gennaio), san Macario il Giovane, abate di Scete in Tebaide 19 gennaio (o 15 gennaio), san Macario il Grande o l'Egiziano, abate di Scete, omonimo del precedente 28 febbraio, san Macario, vasaio, martire ad Alessandria d'Egitto con i santi Rufino, Giusto e Teofilo 10 marzo, san Macario, vescovo di Gerusalemme 8 aprile, san Macario, martire ad Antiochia con i santi Timoteo, Diogene e Massimo 8 aprile, santa Macaria, martire in Africa 10 aprile, san Macario d'Armenia, vescovo di Antiochia, poi pellegrino in Belgio, morto di peste 20 giugno, san Macario, vescovo di Petra, esiliato in Africa dagli ariani 12 agosto, san Macario, monaco e martire in Siria 18 agosto, san Macario, abate di Pelecete in Bitinia, operatore di miracoli e oppositore dell'iconoclastia 5 settembre, san Macario, soldato romano, martire a Miltene in Armenia 6 settembre, san Macario, martire ad Alessandria d'Egitto 21 ottobre, san Macario, martire a Nicea 30 ottobre, san Macario, martire ad Alessandria d'Egitto 12 novembre, san Macario, vescovo di Aberdeen, missionario tra i Pitti 8 dicembre, san Macario, martire ad Alessandria d'Egitto sotto Decio 16 dicembre, san Macario di Collesano, monaco nel Mercurion e nel Latinianon 20 dicembre, san Macario, sacerdote, esiliato in Arabia, poi martire sotto Giuliano l'Apostata Persone Macario I di Alessandria, papa della Chiesa ortodossa copta Macario II di Alessandria, patriarca di Gerusalemme Macario III di Alessandria, vescovo cristiano orientale egiziano Macario di Antiochia, vescovo armeno Macario di Collesano, monaco italiano Macario di Costantinopoli, arcivescovo ortodosso bizantino Macario di Gerusalemme, vescovo romano Macario di Kanev, religioso russo Macario di Mosca, arcivescovo ortodosso, scrittore e iconografo russo Macario I di Mosca, vescovo russo Macario II di Mosca, vescovo russo Macario il Grande, monaco e abate egiziano Macario Melisurgo, avventuriero bizantino Macario Sakay, rivoluzionario, generale e mercante filippino Variante Kari Kari Arkivuo, calciatore finlandese Kari Aronpuro, scrittore finlandese Kari Hotakainen, scrittore finlandese Altre varianti Makarij, monaco russo Makarios III, arcivescovo ortodosso e politico cipriota Il nome nelle arti Macario Duplessis è un personaggio del film del 1943 Macario contro Zagomar, diretto da Giorgio Ferroni. Note Bibliografia Voci correlate Macarena (nome) Altri progetti Prenomi di origine greca
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https://it.wikipedia.org/wiki/Cinclus%20cinclus
Cinclus cinclus
Il merlo acquaiolo, anche noto come passero tuffatore, merlo acquaiolo eurasiatico, merlo acquaiolo golabianca o cinclo (Cinclus cinclus ()), è un uccello passeriforme della famiglia dei Cinclidae. È stato nominato uccello dell'anno 2017 e rappresenta inoltre l'uccello nazionale della Norvegia. Etimologia Il nome scientifico della specie, cinclus, è un tautonimo, in quanto ripetizione di quello del genere. Descrizione Dimensioni Misura 17-20 cm di lunghezza, per 41-76 g di peso: a parità d'età, i maschi possono essere più grandi rispetto alle femmine anche di un terzo. Aspetto Si tratta di uccelletti dall'aspetto tozzo e paffuto, con testa grande e rotonda che sembra incassata direttamente nel torso, becco sottile e appuntito, corte ali arrotondate e coda squadrata, con forti zampe dalle lunghe e robuste dita e dagli artigli ricurvi. Il piumaggio è dominato dalle tonalità del bruno: ad eccezione di gola e petto, che sono di color bianco candido, infatti, fronte, vertice, nuca, faccia e guance sono di colore bruno-cannella, mentre dorso, fianchi, ali e coda sono di color bruno-ardesia nerastro (più bruno su ali e coda, più scuro sul dorso, che in lontananza appare del tutto nero), e la parte inferiore del petto (appena sotto la fine del bianco toracico) e la parte centrale del ventre sono di color nocciola-ramato. Sussiste una certa variabilità di colorazione a livello di sottospecie, con le varie popolazioni che differiscono nella presenza e nella quantità della colorazione ventrale, nelle tonalità di quella dorsale e cefalica e nell'estensione del bianco golare: tali variazioni seguono in genere una direttrice N-S, con le popolazioni meridionali più piccole e vivacemente colorate rispetto a quelle settentrionali (ad esempio, la sottospecie nominale manca di banda ventrale di color nocciola). Non esiste invece dimorfismo sessuale evidente nella colorazione. Il becco è nerastro, le zampe sono di color caramello e gli occhi sono di colore bruno-rossiccio, con palpebre grigio-biancastre ben evidente quando l'animale chiude gli occhi. Biologia Si tratta di uccelletti tendenzialmente solitari (sebbene durante il periodo degli amori essi vivano in coppie), strettamente associati ai fiumi a corso rapido, sulle rive (o sui massi affioranti) dei quali è possibile osservarli durante il giorno: il merlo acquaiolo è inconfondibile, oltre che per l'aspetto e le abitudini di vita, anche per la sua vivacità, in quanto anche se in attività questo uccello continua incessantemente ad "annuire", flettere le zampe e ad alzare e abbassare la coda, a volte aprendo leggermente le ali. Dai sassi, una volta avvistata la preda, i merli acquaioli si tuffano improvvisamente nell'acqua oppure camminano fino ad essere completamente sommersi, rimanendo in apnea fino a un minuto mentre ricercano il cibo, utilizzando frattanto le forti zampe unghiute per ancorarsi al fondale mentre camminano e smuovono i sassi e i detriti sommersi per mettere allo scoperto le prede, oltre alle ali muscolose, utilizzate come pinne per "volare" sott'acqua. Il merlo acquaiolo è aiutato nel suo stile di vita semiacquatico dal piumaggio folto e isolante, costantemente impregnato dall'uccello col secreto oleoso dall'uropigio per garantirne l'impermeabilità, tanto che l'animale in immersione (che mantiene la testa verso il basso e la coda verso l'alto, con corpo in posizione obliqua) appare ricoperto da un sottile strato d'aria. Oltre ad essere buoni nuotatori e camminatori, i merli acquaioli sono anche in grado di volare, frullando incessantemente le corte ali con volo dritto e vicinissimo alla superficie dell'acqua: il volo viene utilizzato perlopiù per allontanarsi da eventuali predatori o fonti di disturbo, rifugiandosi nella vegetazione riparia, mentre è infrequente che questi uccelli volino per lunghe distanze. Il richiamo di questi uccelli è pigolante e molto acuto (4-6 kHz), in maniera tale da essere chiaramente udibile nei dintorni a dispetto del rumore dell'ambiente circostante, dato dallo scorrere incessante dell'acqua. Alimentazione Si tratta di uccelli insettivori, la cui dieta è basata sui piccoli invertebrati raccolti fra i sassi e i detriti del fondale dei ruscelli. La dieta del merlo acquaiolo è composta in massima parte dalle larve e dalle ninfe di effimere, plecotteri, simulidi e tricotteri, ma questi uccelli si nutrono (soprattutto durante i mesi freddi, quando gli insetti sono meno abbondanti) anche di piccoli pesci e delle loro uova, molluschi acquatici, girini e piccole rane e crostacei di piccole dimensioni: seppur raramente, essi possono inoltre rovistare fra il fogliame sul terreno, alla ricerca di piccoli invertebrati terrestri. Riproduzione La stagione riproduttiva cade durante la primavera, con lievi variazioni a seconda della zona dell'areale presa in considerazione: ad esempio, i merli acquaioli si riproducono da marzo a maggio in Europa e Africa, da febbraio a giugno nelle isole britanniche, e fra maggio e luglio in Scandinavia: durante il periodo degli amori, questi uccelli portano generalmente avanti una singola covata, due in caso di condizioni climatiche favorevoli e buona disponibilità di cibo. Si tratta di uccelli monogami: il maschio corteggia la femmina cominciando a cantare con suoni dolci e simili al canto degli scriccioli, per attrarle nei pressi del suo territorio. All'arrivo di un'eventuale partner, il maschio comincia a volare emettendo suoni metallici, cercando al contempo di mettere in massima evidenza il bianco di gola e petto: se la femmina non si allontana, l'accoppiamento avviene a breve giro di posta. Il nido viene costruito da entrambi i sessi nelle vicinanze dei torrenti, sotto le cascate, nelle crepe dei muri, negli argini o su un tubo di scarico, in ogni caso nelle immediate vicinanze dell'acqua e in un luogo chiuso: esso è piuttosto voluminoso e presenta forma globosa, ed è costituito da una parte esterna di fibre vegetali, muschio e foglie morte intrecciate, all'interno della quale è presente una camera di cova (collegata all'esterno da un piccolo tunnel) il cui fondo è foderato da una coppa di foglie secche, nella quale la femmina depone 3-6 uova bianche e lucide. La cova dura circa 15-16 giorni, ed è appannaggio esclusivo della femmina, mentre il maschio stazione a guardia del territorio nei pressi del nido e si occupa di reperire il cibo per sé e per la compagna intenta nell'incubazione. Alla schiusa, i pulli sono ciechi ed implumi, ma, imbeccati ed accuditi dalla madre, essi s'involano attorno ai 12-13 giorni di vita: tuttavia, essi sono in grado di tuffarsi già a pochissimi giorni dalla schiusa, facendolo però solo in caso di estremo pericolo. Dopo l'involo, i piccoli rimangono presso il nido ancora per una settimana: a questo punto, essi cominciano a seguire i genitori durante la ricerca del cibo, ed anche il maschio comincia a prendere parte nel loro allevamento, imbeccandoli per un altro paio di settimane, prima che essi si allontanino definitivamente dal territorio natale e si disperdano. Distribuzione e habitat Il merlo acquaiolo ha distribuzione paleartica, popolando (sebbene in maniera piuttosto discontinua) il Magreb (area dei monti dell'Atlante in Marocco centrale e nord-orientale, Algeria settentrionale ed estremo nord-ovest della Tunisia), l'Europa (penisola iberica, sud-ovest e midi francese, isole britanniche, Europa centrale, penisola balcanica, Fennoscandia) e l'Asia (Caucaso, Anatolia, Iran occidentale, Russia europea fino agli Urali, Pamir, zone montuose del Turkestan, pendici settentrionali dell'Himalaya, a nord fino al lago Bajkal e alla Mongolia centrale): la popolazione cipriota, e molto verosimilmente anche quella levantina, sono localmente estinte. In Italia, la specie è residente lungo tutto l'arco alpino, gli Appennini e la Pianura Padana occidentale, oltre che in Sicilia e Sardegna. Generalmente residente, soprattutto le popolazioni delle zone più settentrionali dell'areale possono migrare a sud in cerca di climi più temperati, svernando sulle coste di Mar Baltico, Mar Caspio o Mar Nero: anche le popolazioni delle aree montuose più elevate possono scendere di quota durante l'inverno, per evitare la carestia dovuta al congelamento dei fiumi di residenza. L'habitat del merlo acquaiolo è rappresentato dai ruscelli a corso rapido, con acqua limpida e ben ossigenata e fondale ghiaioso, possibilmente con presenza di rocce affioranti o argini in rilievo. Sistematica Il merlo acquaiolo ha 14 sottospecie: Cinclus cinclus hibernicus - diffuso nelle Highlands scozzesi (incluse le Ebridi interne) e in Irlanda; Cinclus cinclus gularis () - diffusa in Gran Bretagna; Cinclus cinclus cinclus () - la sottospecie nominale diffusa lungo la costa atlantica dalla Galizia alla Francia sud-occidentale, in Scandinavia, ad est fino alla Peciora, oltre che in Corsica e verosimilmente anche in Sardegna; Cinclus cinclus aquaticus () - diffusa dalla penisola iberica alla Grecia, Italia compresa, a nord fino al Benelux; Cinclus cinclus olympicus † - endemica di Cipro; Cinclus cinclus minor - endemica dei monti dell'Atlante; Cinclus cinclus rufiventris - diffusa in Libano e nella fascia costiera della Siria; Cinclus cinclus uralensis - endemica degli Urali; Cinclus cinclus caucasicus - diffusa nel Caucaso e nell'Azerbaigian persiano; Cinclus cinclus persicus - diffusa nei monti Zagros; Cinclus cinclus leucogaster - diffusa in Afghanistan e Pakistan, ad est fino al Tian Shan e al Kunlun Shan); Cinclus cinclus baicalensis - diffusa in Asia centrale dai monti dell'Altaj alla Transbajkalia; Cinclus cinclus cashmeriensis - diffusa lungo le pendici settentrionali dell'Himalaya dal Kashmir al Sikkim; Cinclus cinclus przewalskii - diffusa dal nord del Bhutan al sud del Gansu e al nord-ovest del Sichuan, attraverso il Tibet orientale; Mentre non tutti sarebbero d'accordo nell'assegnare a baicalensis il rango di sottospecie a sé stante (sinonimizzandola con leucogaster), alcuni autori riconoscerebbero inoltre le sottospecie meridionalis delle Alpi austriache, orientalis della Macedonia del Nord (sinonimizzate con aquaticus), amphytrion del nord-est della Turchia (sinonimiazzata con caucasicus) e sordidus (verosimilmente una forma melanica di leucogaster). La tassonomia della specie è poco chiara e necessita di revisione: le analisi molecolari, infatti, hanno evidenziato un'inaspettata struttura filogenetica che contrasta con la distribuzione delle sottospecie attuali, suggerendo l'esistenza di almeno cinque cladi differenziati in seno al complesso-specie. Note Voci correlate Fauna italiana Altri progetti Collegamenti esterni Cinclidae Taxa classificati da Linneo
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https://it.wikipedia.org/wiki/Mediana%20%28statistica%29
Mediana (statistica)
In statistica, in particolare in statistica descrittiva, data una distribuzione di un carattere quantitativo oppure qualitativo ordinabile (ovvero le cui modalità possano essere ordinate in base a qualche criterio), si definisce la mediana (o valore mediano) come il valore/modalità (o l'insieme di valori/modalità) assunto dalle unità statistiche che si trovano nel mezzo della distribuzione. La mediana è un indice di posizione e rientra nell'insieme delle statistiche d'ordine. Storia Il termine mediano venne introdotto da Antoine Augustin Cournot e adottato da Francis Galton. Gustav Theodor Fechner sviluppò l'uso della mediana come sostituto della media in quanto riteneva che il calcolo della media fosse troppo laborioso rispetto al vantaggio in termini di precisioni che offriva. Definizione e calcolo Se si procede al riordinamento delle unità in base ai valori crescenti del carattere da esse detenuto, in sostanza la mediana bipartisce la distribuzione in due sotto-distribuzioni: la prima (da un lato, ad esempio a sinistra della mediana) costituita dalla metà delle unità la cui modalità è minore o uguale alla mediana, e la seconda (dall'altro lato, ad esempio a destra della mediana) costituita dalla metà delle unità la cui modalità è maggiore o uguale alla mediana. Tecnicamente si afferma che la mediana è il valore/modalità per il quale la frequenza relativa cumulata vale (o supera) 0,5, cioè il secondo quartile, ossia il 50º percentile. Usualmente si indica la mediana con Me. Per calcolare la mediana di dati: si ordinano gli dati in ordine crescente; se il numero di dati è dispari la mediana corrisponde al valore centrale, ovvero al valore che occupa la posizione . se il numero di dati è pari, la mediana è stimata utilizzando i due valori che occupano le posizioni e (generalmente si sceglie la loro media aritmetica se il carattere è quantitativo). Se le modalità sono raggruppate in classi non si definisce un valore univoco, ma una classe mediana . La determinazione di tale classe avviene considerando le frequenze cumulate; indicando con la generica frequenza cumulata relativa dell'osservazione -esima sarà e . Pur essendo corretto considerare un qualsiasi elemento dell'intervallo un valore mediano si è soliti procedere, al fine di avere una misura unica del valore, a un'approssimazione della mediana con la seguente formula: se si assume che la distribuzione dei dati all'interno della classe sia uniforme, che corrisponde ad un processo di interpolazione. Proprietà Una proprietà della mediana è di rendere minima la somma dei valori assoluti degli scarti delle da un generico valore Infatti, sia la variabile aleatoria alla quale si riferiscono le osservazioni . Per la linearità del valore atteso e dell'operatore di derivazione si ha dove è la funzione segno di . Per la definizione di valore atteso dove indica la probabilità che sia minore di e quella che sia maggiore di . Per le proprietà di normalizzazione della probabilità, cioè , l'equazione diventa Quindi cioè è la mediana. Esempio In un sondaggio fatto all'interno di una facoltà composta da 250 studenti (la popolazione statistica), si intende rilevare il carattere "Gradimento dei professori", secondo le cinque modalità "molto deluso", "insoddisfatto", "parzialmente soddisfatto", "soddisfatto", "entusiasta". Risulta che 10 studenti si dicono entusiasti dell'operato dei professori, 51 si dicono soddisfatti, 63 parzialmente soddisfatti, 90 insoddisfatti, 36 molto delusi. La distribuzione di frequenza viene rappresentata con una tabella come la seguente: Nel caso ipotizzato, la mediana è rappresentata dalla modalità "insoddisfatto". Questo significa che almeno la metà degli studenti non è soddisfatta dei professori. Note Bibliografia G. Leti (1983): Statistica descrittiva, Bologna, Il Mulino, ISBN 88-15-00278-2. Voci correlate Quartile Quantile Media (statistica) o Valore atteso Moda (statistica) Funzione di ripartizione Statistica Statistica descrittiva Statistica non parametrica Median absolute deviation Altri progetti Collegamenti esterni Indici di posizione Psicometria
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https://it.wikipedia.org/wiki/Moda
Moda
Il termine moda indica uno o più comportamenti collettivi con criteri differenti. Questo termine è spesso correlato al modo di abbigliarsi. La moda — detta anche, storicamente, costume — nasce solo in parte dalla necessità umana correlata alla sopravvivenza di coprirsi con tessuti, pelli o materiali lavorati per essere indossati. Dopo la preistoria l'abito assunse anche precise funzioni sociali, atte a distinguere le varie classi e le mansioni sacerdotali, amministrative e militari. Origine del termine Il termine moda deriva dal latino modus, che significa maniera, norma, regola, tempo, melodia, modalità, ritmo, tono, moderazione, guisa, discrezione. Nei secoli passati l'abbigliamento alla moda era appannaggio delle sole classi abbienti, soprattutto per via del costo dei tessuti e dei coloranti usati, che venivano estratti dal mondo minerale, animale e vegetale. Prima dell'Ottocento l'abito era considerato talmente prezioso che veniva elencato tra i beni testamentari. I ceti poco abbienti erano soliti indossare solo abiti tagliati rozzamente e, soprattutto, colorati con tinture poco costose come il grigio. A questi si aggiungeva scarpe in panno o legno. Non potendo permettersi il lusso di acquistare abiti nuovi confezionati su misura, tali classi ripiegavano spesso sull'abbigliamento usato. Il significato della moda La moda, detta anche storicamente costume, nasce solo in parte dalla necessità umana correlata alla sopravvivenza di coprirsi con tessuti, pelli o materiali lavorati per essere indossati. Dopo la preistoria l'abito assunse anche precise funzioni sociali, atte a distinguere le varie classi e le mansioni sacerdotali, amministrative e militari. Le donne, che solitamente erano escluse dal potere, non per questo rinunciavano a vestirsi con cura, ricchezza ed eleganza, anche essere lo specchio della posizione del marito. In alcuni casi assunsero la funzione di arbitro d'eleganza, come le due sorelle d'Este: Beatrice, applaudita come la Novarum vestium inventrix, e Isabella. Più legato alla psicologia è l'aspetto del mascheramento: gli abiti possono servire a nascondere lati della personalità che non si vogliono fare conoscere o, viceversa, a mostrarli, si pensa per esempio al proverbio: "l'abito non fa il monaco". Sarti I manuali di taglio e sartoria si svilupparono con una certa lentezza, soprattutto quando, dal XIV secolo in poi, si cominciarono a creare abiti aderenti al corpo. Garzoni, nel suo libro su tutte le professioni del mondo edito a Venezia nel 1585, dice esplicitamente che un buon sarto deve sapere fare di tutto, per soddisfare ogni necessità della sua clientela. Quello del sarto non era quindi un mestiere indipendente, bensì era un servitore delle grandi signorie: viveva e lavorava presso la corte di un signore, che poteva anche scegliere di "prestarlo" a parenti o amici. La retribuzione per l'operato si aggirava intorno al 10% della spesa del tessuto. Era una professione preclusa alle donne, che come sarte avevano compiti minori o si applicavano maggiormente al telaio e al ricamo. Non esistevano le taglie, quindi ogni vestito era un pezzo unico, realizzato su misura del cliente. Le unità di misura erano variabili; a Venezia erano in uso i brazzi: da seda, che corrispondeva a 63,8 cm, e da lana, 67,3 cm. Anche alcuni artisti, come Giotto e Antonio del Pollaiolo crearono modelli di abiti e tessuti. La famosa sarta della regina di Francia Maria Antonietta, Rose Bertin, pur creando sontuose toilettes per la regina, non poteva ancora definirsi stilista. Per fare un esempio, a causa delle rigide leggi suntuarie che regolavano l'abbigliamento, una sarta non poteva comperare direttamente il tessuto, che era venduto esclusivamente dal fabbricante. Dopo la rivoluzione francese la Convenzione nazionale abolì le corporazioni e le regole rigide e minuziose che vi erano applicate, stabilendo che ciascuno potesse vestirsi a proprio piacimento. Il decreto nasceva per l'odio contro le leggi suntuarie che erano ormai diventate uno spartiacque tra l'abito dell'aristocrazia e quello della borghesia, a cui erano proibiti molti oggetti di lusso. Dopo di allora il sarto fu completamente libero di esprimere la sua creatività. La moda per pochi e la moda per tutti Nell'Ottocento la tecnica sartoriale andò affinandosi rendendo più agevole indossare il vestito. Dal XIX secolo si iniziano a distinguere i primi stilisti, che creavano nuovi tagli, nuove stoffe e nuovi canoni nel modo di abbigliarsi, con l'adozione di nuovi abiti femminili quali il tailleur inventato alla fine del secolo dall'inglese Redfern. Lo stilista capovolse il rapporto tra il sarto e la cliente, che ora dipendeva dalle sue idee ed era ben felice di indossare un abito firmato da lui e realizzato nel suo atelier. Gli stilisti lavoravano solo per l'élite poiché i costi per l'ideazione e per la produzione erano molto alti. Questo nuovo impulso di riforma fu principalmente portato avanti da Charles Fréderic Worth, inglese trapiantato in Francia, considerato l'inventore della Haute Couture e sarto personale dell'imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III, e della sua corte, dal 1865. La rivoluzione industriale nata in Inghilterra alla fine del XVIII secolo, creò, nel campo della moda e della tessitura, macchine che permettevano di tessere, tagliare e cucire con rapidità e a basso costo. Tuttavia la moda si avvicinò alla massa solo verso la metà dell'Ottocento, grazie all'invenzione di macchine per tagliare le pezze di tessuto e all'introduzione del telaio meccanico jaquard. All'inizio tali tecniche furono applicate soprattutto alle uniformi militari; con la nascita in Francia dei grandi magazzini, i prezzi degli abiti confezionati in serie si abbassarono notevolmente. Le nuove tecniche della chimica e l'invenzione dell'acciaio introdussero materiali meno costosi: la tessitura meccanica accelerò la produzione di stoffa, così come la stampa delle decorazioni con coloranti industriali; i busti e le sottogonne non furono più rinforzati da stecche di balena, ma di metallo, facilmente riproducibile in serie. La crinolina, la sottogonna a cupola diffusa durante il periodo del romanticismo e munita di cerchi d'acciaio, fu per la prima volta indossata anche dalle donne del popolo. Leggi suntuarie Le leggi suntuarie sono note in Italia fin dall'epoca romana e costituiscono un prezioso documento per conoscere la moda in ogni tempo: si tratta di dispositivi legislativi che limitavano il lusso nella moda maschile e femminile, o obbligavano determinati gruppi sociali a indossare segni distintivi. Già nel 215 a.C. la Lex Oppia cercava di limitare la ricchezza degli abiti femminili. In seguito, lo stesso Giulio Cesare e alcuni imperatori intervennero contro le vesti di uomini e donne stabilendone anche il prezzo. Con l'avvento del Cristianesimo i documenti a nostra disposizione citano, per i primi secoli, esclusivamente prediche di monaci o ecclesiastici contro costumi considerati troppo audaci. In Italia le prime leggi suntuarie di cui si abbia notizia certa riappaiono nel Duecento: erano colpiti acconciature, decorazioni, gioielli, strascichi, pellicce. I colpevoli erano multati, oppure gli si vietava l'assoluzione in chiesa, fatto gravissimo per il tempo. Dal 1500 in poi le leggi diventarono più dettagliate e minuziose e cominciarono a colpire maggiormente le classi medie o popolari, in specie la servitù, chiudendo un occhio sul lusso dei signori e delle loro corti. Non potendo arginare realmente il lusso le leggi suntuarie vi si adeguarono permettendo cose che nei secoli precedenti erano proibite, come alcuni tipi di pelliccia o la moltiplicazione dei gioielli sulle mani e su tutto il corpo. Esse variavano da città a città, con maggiore durezza o tolleranza. A Firenze furono diverse le leggi suntuarie emanate dalla Repubblica fiorentina fin dal 1330, per arrivare al 19 ottobre 1546 con la legge “sopra gli ornamenti et abiti degli uomini e delle donne” e alla riforma del 4 dicembre 1562 “sopra il vestire abiti et ornamenti delle donne ed uomini della città di Firenze”, emanate da Cosimo I de' Medici contro gli eccessi del lusso. Venezia, città libera e ricca, era più clemente di altre. Esistevano guardie delegate al controllo delle disposizioni emanate, che a volte potevano entrare nelle case o raccogliere denunce premiando il denunciante. Le reazioni delle donne, bersaglio preferito dei legislatori, furono a volte di esplicita protesta, a volte di furbi accomodamenti, come quando nascondevano lo strascico con spille per poi scioglierlo alla prima occasione favorevole. Tra le leggi più discriminanti vi erano quelle che colpivano gli ebrei, che erano obbligati a portare un cappello a punta o un contrassegno colorato sul braccio; per le prostitute era solitamente vietato lo sfoggio troppo vistoso, mentre a volte dovevano indossare abiti di determinati colori o segni distintivi. In seguito anche a coloro che furono giudicati eretici si fece indossare un abito penitenziale, solitamente giallo. Nonostante la loro severità le leggi suntuarie si dimostrarono di scarsa efficacia e alla fine del Settecento erano quasi totalmente disattese. Nel 1789 in Francia, alla vigilia della rivoluzione, i borghesi si presentarono all'apertura degli Stati generali in abito nero e cravatta bianca, indumenti che erano stati loro imposti per umiliarli; a confronto l'aristocrazia era addobbata con estremo sfarzo. Il drammatico contrasto provocò invece l'effetto opposto, e i semplici abiti dei borghesi diventarono simbolo di pulizia morale e di nuovi ideali; l'iniqua proibizione inoltre causò l'attuazione, come primo provvedimento dell'Assemblea nazionale costituente, dell'abolizione - almeno per il vestiario - di ogni differenza di classe. Diffusione della moda Fino all'invenzione dei primi giornali nel Seicento la moda si diffuse in modo lento, per poi accelerare il suo sviluppo. Prima e dopo quel secolo guerre, viaggi, matrimoni, lettere di signori e perfino spionaggio, furono i sistemi più usuali per conoscere nuove fogge. Tipico è l'esempio delle conquiste dell'impero romano che introdussero in Italia le braghe, le maniche, la pelliccia. In quanto allo spionaggio, ossia alla propagazione illecita di informazioni sui metodi di lavorazione originali, era proibito dalle corporazioni con pene severissime. L'esplorazione dell'Oriente sui percorsi della Via della seta servì a fare conoscere motivi insoliti che furono in particolare usati per la realizzazione di tessuti in seta. Nel Trecento, draghi, grifoni, pappagalli e il Chi, ossia la nuvola stilizzata cinese, popolarono le decorazioni tessili delle stoffe lucchesi. I viaggi dei mercanti furono assai proficui per la conoscenza di nuove fogge. Nel Trittico Portinari di Hugo van der Goes del XV secolo, conservato alla Galleria degli Uffizi a Firenze, il banchiere Tommaso Portinari e la moglie sono rappresentati in vesti fiamminghe. In particolare la donna indossa lo hennin, fiabesco copricapo a cono completato da un lungo velo, assai di moda in Francia e nel Nord Europa, ma poco usato in Italia. Sul finire del Quattrocento si ha notizia di una sorta di precursore delle moderne sfilate di moda, quando cioè nel 1495, ad Asti, la duchessa Beatrice d'Este indossò una ventina di vestiti su richiesta del re di Francia Carlo VIII, per permettergli di scegliere quello con cui avrebbe posato nel ritratto da spedire alla regina Anna di Bretagna, onde mostrarle la moda milanese. Nel Cinquecento cominciarono a diffondersi le pupe, bambole di piccole dimensioni vestite all'ultima moda e curate nei minimi dettagli. Il re di Francia Francesco I fece scrivere a Isabella d'Este duchessa di Mantova e maestra di mode, una lettera per farsi inviare una pupa. Dal XVI secolo anche a Venezia veniva esposta alle Mercerie una bambola detta "piavola de Franza" che mostrava gli ultimi modelli, subito copiati. La bambola è stata resa famosa da Carlo Goldoni che nella sua commedia I Rusteghi cita un detto evidentemente diffuso a Venezia che paragona una signora elegante alla piavola de Franza. Il matrimonio di Caterina de' Medici con Enrico II, portò in Francia fogge e profumi italiani molto apprezzati all'estero. Intanto la stampa stava facendo progressi, passando dalla xilografia all'incisione su metallo. Il pittore Cesare Vecellio ci ha lasciato un volume, datato alla fine del Cinquecento e intitolato De gli habiti antichi et moderni di diverse parti del mondo che ha avuto una fortuna enorme surclassando la sua fama di artista. Il testo, ricchissimo di incisioni e descrizioni, parla non solo delle mode venete, ma anche di quelle di altre regioni italiane, senza trascurare le mode estere, specie orientali. Anche le incisioni sul costume e i Libri di figurini per sarti, che mostravano gli abiti interi e i loro modelli, furono efficaci propagatori di fogge. Alla diffusione del fenomeno contribuisce la nascita del giornalismo di moda, che si sviluppa nella seconda metà del XVII secolo. Nel 1672 fu fondato in Francia il Mercure Galant, nato come bollettino letterario, giornale di pettegolezzi e di moda. Al Mercure Galant fecero seguito, specie nel Settecento, numerosi altri giornali, che solitamente copiavano senza riguardo ai modelli francesi, che durante il secolo erano all'avanguardia in tutta Europa. Tipico caso italiano sono il Giornale delle Nuove mode di Francia e d'Inghilterra, e il Corriere delle Dame, che continuò la sua pubblicazione anche nell'Ottocento. Bisognerà attendere il secolo successivo, dopo l'abolizione di leggi, dazi, barriere doganali, perché la stampa di moda si diffonda liberamente in tutto il mondo. Storia della moda Periodo antico La moda europea prima di Cristo Nel bacino del Mediterraneo, popolazioni come etruschi, greci, romani si vestirono sostanzialmente con i medesimi capi, seppure con alcune varianti. Si indossava una veste che variava di lunghezza a seconda del genere - chiamata in Grecia chitone e a Roma tunica; nello specifico era una sorta di rettangolo senza maniche fermato sulle spalle da fibule e in vita da una cintura. In epoca arcaica le donne greche indossavano anche il peplo ripiegato nella parte alta creando una mantellina lunga fino alla vita. La varietà delle vesti era data non tanto dal taglio, ma dalla capacità di creare panneggi, sbuffi e piegoline. Per fare ciò veniva usata un'attrezzatura, conosciuta anche da altri popoli antichi, che serviva a mettere in forma l'abito. L'uso di una o più cinture, a volte disposte diagonalmente, aveva lo stesso scopo. Cultori della prestanza fisica e dello sport, i greci preferirono abiti che non costringevano il corpo e che permettevano scioltezza di movimento. Sopra la veste si portava un mantello più o meno lungo e pesante. I mantelli greci più usati furono la clamide corta e rettangolare, che per le sue dimensioni serviva per cavalcare, e lhimation, più grande e portato da entrambi i sessi, avvolto attorno al corpo in modo da lasciare la spalla destra scoperta. Grecia antica Labbigliamento dell'antica Grecia era generalmente di carattere molto semplice, spesso costituito da uno o più rettangoli di stoffa che potevano essere cuciti o, nel caso di un pezzo solo, drappeggiati attorno al corpo. La caratteristica principale del vestiario, sia nell'uomo che nella donna, era che l'abito seguiva le linee del corpo senza deformarlo, come invece avverrà secoli dopo in Europa con l'introduzione del corsetto. L'unico capo a fare parte unicamente del guardaroba femminile era il peplo, più usato nel periodo arcaico e sostituito dal chitone in età classica. Tale genere di costume rimase praticamente invariato nel corso dei secoli, durante i quali cambiarono soltanto i tessuti, i materiali utilizzati e il modo in cui essi venivano indossati. Gli Etruschi Gli etruschi indossavano come mantello la tebenna, ovale da cui si pensi derivi la toga romana. Solitamente allacciata con una fibula su una spalla, nell'ultimo periodo fu avvolta trasversalmente attorno al corpo lasciando un braccio libero. In generale i vestiti etruschi erano caratterizzati da colori molto brillanti. Roma antica Al tempo dei primi re i romani indossavano tuniche e ampi mantelli probabilmente di derivazione etrusca. Per quanto riguarda l'uomo, l'abito usato nel periodo repubblicano prima e imperiale poi, fu la toga, un enorme mantello ovale in lana o lino, avvolto attorno al corpo a formare fitte pieghe verticali che venivano usate anche come tasche. Questo mantello dava alla figura l'aspetto virile e statuario che si confaceva al cittadino della potente Roma, intendendo per questo non colui che vi abitava, ma chi aveva ricevuto la cittadinanza come titolo onorifico. La toga conobbe un'evoluzione stilistica dalla repubblica all'impero. Se ne usavano di vari tipi, da quelle senatoriali orlate da una fascia di porpora, a quelle candide indossate da chi concorreva una carica politica (da cui deriva la parola candidato) a quelle di colore scuro per chi era in lutto. Nell'ultimo periodo dell'impero la toga si era talmente appesantita di ricami e decorazioni da essere abbandonata in favore di mantelli più liberi e sciolti. Le conquiste in Europa e in Asia influenzarono notevolmente la moda romana: furono introdotte le braghe e le maniche di origine orientale. Nel tardo impero maniche strette furono applicate alla tunica, mentre la dalmatica, indumento proveniente probabilmente dalla Dalmazia, le ebbe piuttosto larghe. La donna romana non aveva la libertà dell'uomo, tant'è che poteva uscire di casa solo accompagnata e ricoperta da un mantello portato anche sul capo. Le prime statue che la raffigurano ne esaltano la virtù della "pudicitia". La matrona indossava varie vesti sovrapposte: la tunica intima, la tunica, la stola, ossia una veste senza maniche fermata sulle spalle da fibule. Nel periodo dell'impero le acconciature femminili diventarono estremamente elaborate: le mode erano lanciate dalle mogli degli imperatori che si facevano raffigurare con l'acconciatura preferita che, ripetuta in copia nei busti marmorei, veniva imitata dalle altre. La matrona aveva una schiava appositamente incaricata lornatrix, che ogni mattina eseguiva ricci, corone, trecce. Dopo Nerone le acconciature diventarono torreggianti. Frequentissime erano le parrucche: le più ricercate erano quelle bionde, fatte con capelli di adolescenti germanici, mentre per quelle nere si utilizzavano i capelli delle donne orientali. I bizantini La moda bizantina, chiaramente osservabile nei numerosi mosaici ravennati, in particolare in quelli dell'abside della Basilica di San Vitale, si diffuse in Europa soprattutto da quando l'imperatore Costantino, nel 330 d.C., trasferì la capitale da Roma a Bisanzio, ribattezzata poi Costantinopoli. Importantissimo centro culturale, Costantinopoli diventò un punto di riferimento anche per l'abbigliamento, che si arricchì di influenze orientali. Di particolare rilievo fu l'introduzione della seta: bozzoli di bachi, secondo la leggenda narrata dallo storico Procopio, furono portati dalla Cina in Europa nel bastone cavo di due monaci. A Costantinopoli la produzione serica era severamente controllata da editti imperiali che ne limitavano l'uso ai ceti dominanti. Anche l'uso della porpora, colorante costosissimo ricavato da un mollusco, era riservato alla corte. In quanto alle forme degli abiti la moda non fu che un proseguimento della tarda romanità. Gli uomini usavano la tunica con le maniche, portata sopra un'altra tunica interiore, le braghe e la clamide. Quest'ultima, copiata dai romani alla moda greca, e notevolmente allungatasi, viene rappresentata con un inserto romboidale, il tablion, considerato un simbolo di potere e dignità. Nel mosaico in San Vitale l'imperatore Giustiniano ne porta una in porpora e panno aureo, mentre gli uomini del seguito hanno una clamide bianca con tablion purpureo. Ricchissimo era anche l'abbigliamento femminile: nel mosaico citato, a fronte di Giustiniano, l'imperatrice Teodora indossa anch'essa tunica e clamide ricamata con i Magi in processione. Teodora si distingue per lo splendore dei suoi gioielli: un grande diadema con perle e gemme, lunghi orecchini e una mantellina anch'essa incastonata di pietre preziose. Le dame che l'affiancano indossano dalmatiche e mantelli più corti. La dalmatica era spesso ornata da strisce verticali; nei mosaici della Basilica di Sant'Apollinare Nuovo, questo indumento presenta solo per le donne l'orlo tagliato sbieco. Gli uomini invece indossano sulla tunica il pallio, mantello di origine greca. Periodo medievale Dall'alto Medioevo fino al XII secolo Dopo la definitiva affermazione del Cristianesimo, proclamato religione di stato nel 381 d.C., non vi furono sostanziali mutamenti nella moda per parecchi secoli, e i canoni dell'abbigliamento rimasero fissati a quelli dell'epoca tardo romana. Una delle cause fu l'ondata di depressione economica che attraversò l'Europa fino al Mille. Il senso del sacro, fortissimo nel periodo medievale, e la condanna della carne che ne derivava, mise in ombra l'essere umano come individuo naturale. Non a caso l'iconografia coeva rappresenta principalmente la vita di Cristo e dei Santi. La Chiesa raccomandava la massima modestia nel vestire; nei suoi scritti San Girolamo si scagliò contro gli eccessi femminili, mentre Tertulliano definì la donna "la porta del diavolo". Anche per quanto riguarda l'uomo si accese una lunga diatriba se doveva o no tagliarsi i peli (dono naturale del Signore) sul mento e sul capo. Forse anche per questi motivi per moltissimo tempo non si sentì la necessità di una netta distinzione vestiaria tra maschi e femmine. Lo sviluppo delle città, iniziato già dal 1000, aveva portato al sorgere dei Comuni che lentamente ebbero il sopravvento sui feudi. I comuni cambiarono completamente il volto della società italiana, perché l'organizzazione della vita cittadina era basata sul lavoro e sulla mercatura, attività in mano alla borghesia. Gli abiti erano così costituiti: sulla pelle nuda si portavano direttamente, anche se non sempre, la camicia, e a volte le mutande che i longobardi chiamavano femoralia. Vi si sovrapponevano poi due vesti, una tunica con maniche aderenti e una con maniche più larghe, che poteva anche essere sostituita da un mantello. Gli uomini continuarono a usare le braghe. Il clima gelido delle case dove non esisteva ancora il camino e mancavano le finestre a vetri, determinò la diffusione della pelliccia, elemento di lusso usato come fodera. Abissale era la differenza degli indumenti dei ceti più bassi rispetto a quelli signorili. Mentre i poveri spesso non avevano né scarpe né un mantello per coprirsi, i signori indossavano abiti serici ricamati in oro e calzature purpuree. Non si trattava soltanto di un'esibizione di status: a quel tempo si riteneva che i re e gli imperatori fossero investiti direttamente dall'autorità divina; non a caso uno degli oggetti che veniva consegnato durante l'incoronazione era il globo aureo sovrastato dalla croce, simbolo di potenza benedetta dal cielo. Si forniscono due esempi di costume regale. Nella Vita Mathildis scritta e illustrata da Donizone, la contessa di Canossa in trono indossa una tunica, una sopravveste con grandi maniche a imbuto, un mantello, un velo e un alto copricapo a punta. Tuttavia il più raro e compiuto esempio di corredo, tuttora esistente e conservato al Kunsthistorische Museum di Vienna, è quello realizzato per Ruggero II di Sicilia nel 1133, come attestato dalla scritta in lettere arabe che circonda il bordo del mantello. Usate per incoronare gli imperatori, queste vesti sono costituite da due tuniche, una azzurra e l'altra bianca, da calze, guanti, cintura, e da uno splendido mantello di seta scarlatta ricamato in oro e perle con due leoni che abbattono due cammelli. Il simbolo rappresenta probabilmente la vittoria della fede cristiana su quella musulmana. Il Duecento e il Trecento Questo periodo è anche chiamato Gotico, appellativo che per gli uomini del Rinascimento significava barbarico in quanto le opere d'arte non seguivano le regole auree della prospettiva e la natura era rappresentata solo in forma molto stilizzata. Infatti la Chiesa, nonostante le crisi interne, aveva ancora una forte influenza sulla vita quotidiana, e l'uomo era visto esclusivamente come una creatura che dipendeva in tutto dalla potenza divina. I comuni prosperavano: nacquero le prime corporazioni, che imposero statuti con rigide regole. Le attività e i commerci più importanti in Italia si basavano sulla raffinazione dei tessuti, spesso provenienti dall'estero, sulla concia delle pelli e delle pellicce o sulla tessitura di drappi preziosi. A Firenze la potente Arte di Calimala, importava lana dall'Inghilterra e la rivendeva a prezzi altissimi. Lucca e Venezia furono al centro di una pregiata attività tessile e sartoriale. Le decorazioni erano spesso prese da fonti orientali, poiché il commercio si spingeva fino in India e in Cina, lungo la famosa via della seta, riportando in Europa nuovi stili e immagini. Anche la lavorazione delle pellicce, usate come fodere e ormai entrate nell'uso comune, era soggetta a precisi regolamenti. La moda maschile e femminile pur conservando ancora una certa fissità nel Duecento, iniziò un processo di crescente restringimento degli abiti. Novità di questo secolo fu l'introduzione dei bottoni, che permettevano di fare aderire vesti e maniche al corpo. Il valore del vestito era ingenuamente determinato dalla quantità di stoffa che si indossava; nacquero così - nella moda femminile - i primi strascichi, che compensarono la perdita di tessuto sul busto. Lo strascico fu particolarmente avversato dalle leggi suntuarie e dalla Chiesa, tant'è che proprio in questo periodo il cardinale Malebranca, legato pontificio a Bologna, proibì alla donne di portarlo, colpendo le disubbidienti con la mancata assoluzione in confessionale, pena gravissima per quei tempi. Il sensibile allungamento che la moda dava al corpo umano è stato da alcuni paragonato al verticalismo delle chiese gotiche. La roba, come era chiamato l'insieme degli abiti, si componeva di una camicia, di una veste, sopravvesti con o senza maniche, e mantelli. Per l'uomo erano sempre d'obbligo le braghe. Un nuovo indumento maschile di origine militare fu invece il farsetto, un corto giubbotto portato direttamente sulla camicia. Sul capo si indossavano una cuffietta bianca e un mantello a cappuccio per l'uomo e un velo per la donna, a cui la Chiesa imponeva di nascondere i capelli. Alla fine del secolo furono inventati gli occhiali, probabile opera di un modesto vetraio veneziano. Il primo documento figurativo risale tuttavia alla metà del secolo successivo: a Treviso, nella sala capitolare di San Nicolò, Tommaso da Modena ci ha lasciato un affresco con il cardinale Hughes de Saint-Cher munito di questo importante accessorio. Dal Trecento in poi si verificò una vera e propria rivoluzione vestiaria: per la prima volta dopo secoli gli abiti maschili si differenziarono nettamente da quelli femminili: la donna continuava a portare vesti attillate ma rese sempre più lunghe dallo strascico, mentre verso la fine del secolo grande scandalo suscitò l'introduzione della scollatura, stigmatizzata anche da Dante. L'uomo indossò abiti cortissimi che mostravano completamente le gambe. Anche le braghe si restrinsero diventando vere e proprie calze terminanti in una lunga punta, allacciate al farsetto e munite di una suola che permetteva di escludere le calzature. Per la prima volta nella storia della moda maschile si evidenziò una distinzione tra la parte soprastante e quella sottostante dell'abito, che nei secoli avrebbe portato alla formazione di giacca e pantaloni. I vestiti erano spesso divisi verticalmente in due colori; a questi ultimi si attribuiva spesso una simbologia politica di appartenenza a fazioni o a corti signorili. Nel Trecento le decorazioni aumentarono ed erano concentrate soprattutto sulle maniche dove venivano ricamati stemmi araldici delle famiglie più in vista. Le affrappature erano orli tagliati in forma di foglia che decoravano la sopravveste. Sul capo, oltre alla cuffia, si indossava il berretto arrotolato come un turbante. Le case poco riscaldate e dalle finestre non sempre chiuse da vetri (costosissimi a quei tempi) obbligavano la gente a un uso massiccio del soprabito: tra i più diffusi erano la pellanda e la giornea, la prima ornata da lunghissime maniche, la seconda munita di due aperture laterali per passarvi le braccia. Il XV secolo Questo e il periodo successivo sono stati denominati Rinascimento, perché l'arte si era liberata dalle pastoie del periodo Gotico. La rinascita dell'Umanesimo, la scoperta dei classici greci e latini, e lo studio appassionato che fecero delle rovine romane gli artisti del periodo, portarono a una riscoperta della centralità dell'uomo rispetto all'Universo. Per la prima volta si riaffrontò lo studio delle proporzioni, aiutato dalle prime dissezioni anatomiche, proibite peraltro dalla Chiesa. Uno dei primi disegni che rappresenta le proporzioni perfette del corpo umano è l'uomo vitruviano di Leonardo da Vinci in cui la figura è iscritta in un quadrato e in un cerchio, le due principali forme geometriche più vicine alla perfezione. La moda del periodo era dettata dalle corti signorili come i Medici a Firenze, i Montefeltro a Urbino, gli Sforza a Milano. Le corti avevano spesso la tendenza a sottolineare il lignaggio con colori propri o con scritte, dette Imprese, in cui erano indicati sentimenti o azioni da intraprendere. Gli stessi colori erano estesi alla servitù, e si andarono creando le prime livree. Dal Quattrocento fino alla prima metà del Cinquecento, uomini e donne indossarono abiti che ne sottolinearono le forme senza alterarle. All'inizio del Quattrocento tuttavia il vestito femminile, ancora influenzato dallo stile gotico, ebbe lunghi strascichi e maniche pendenti. Con l'inoltrarsi del secolo lo strascico sparì, ma vi furono altre novità: per la prima volta la gonna fu staccata dal corpetto, dispiegandosi con leggere arricciature. Le maniche inoltre erano dotate di lunghi intagli da cui usciva a sbuffi la candida camicia. L'uso di laccetti permetteva la possibilità di cambiare maniche sul medesimo vestito, custodendole in un forziere. Le maniche signorili erano infatti impreziosite da gemme e puntali in oro, e si trattavano con la cura di veri e propri gioielli. In questo contesto spetta a Beatrice d'Este, inventrice di nuovi vestiti, il merito della diffusione della moda spagnola nel Settentrione d'Italia, con qualche innovazione: scarpe dette pianelle, abiti a liste verticali, sbernie, manicotti, l'acconciatura detta a coazzone e scollature quadrate molto profonde in sostituzione degli abiti accollatissimi della generazione precedente, nonché, presumibilmente, anche la fantasia "del passo cum li vincij", ideato per lei da Niccolò da Correggio sul modello dei nodi vinciani di Leonardo da Vinci, che ebbe molta fortuna nei decenni a venire. Gli uomini invece continuarono a mostrare le gambe e indossarono abiti che ne rigonfiavano il torace. Per questi ultimi il farsetto, un tempo considerato indumento intimo, fu accorciato e messo apertamente in mostra, assieme a calzebraghe aderentissime che fasciavano i glutei. L'esibizione del corpo maschile era ormai completa, e per coprire gli organi genitali fu inventata la braghetta, una sorta di pezza di tessuto, che veniva usato anche come tasca. Questo tipo di moda era seguita soprattutto dai giovani, mentre le persone che avevano una carica pubblica o una specifica professione, come i medici e gli insegnanti, continuarono a portare abiti larghi e lunghi. Periodo moderno Il XVI secolo Durante il XVI secolo le vicissitudini della vita politica italiana, contesa tra Francia e Spagna, e la caduta della penisola sotto l'influenza spagnola, finirono per influenzare la moda che si può suddividere in due momenti, con fogge completamente diverse. Nella prima metà l'influsso Rinascimentale propose ancora il trionfo del corpo: le vesti cominciarono ad allargarsi. Non fu più di moda il tipo gotico longilineo, ma la donna rotonda come le Veneri di Tiziano. Venezia fu in particolare la città italiana dove il costume femminile si espresse con maggior libertà: scollature profonde ed elementi tratti dall'abbigliamento orientale, come i primi orecchini che, come riferisce un cronista scandalizzato foravano le orecchie "a guisa di mora". Alcune stranezze del vestiario femminile colpirono i contemporanei: per esempio l'uso di portare sotto la gonna, braghe rigonfie lunghe fino al ginocchio, moda probabilmente importata da Lucrezia Borgia. Le veneziane si tingevano anche i capelli di rosso tiziano. In Francia tra le nobildonne si diffuse l'uso del french hood, copricapo di forma rotonda tipico dell'epoca che veniva indossato sopra una cuffietta di lino o seta, in seguito introdotto anche in Inghilterra probabilmente da Anna Bolena: precedentemente da quelle parti si era sempre usato il gable hood o English hood, che si distingueva dal french per la sua forma triangolare; tuttavia, la moda del gable hood venne rilanciata quando salì al trono Jane Seymour per poi scomparire alla sua morte. L'uomo cercò di accentuare la sua virilità: muscoloso, con spalle larghe e barba folta, metteva in mostra anche i suoi attributi sessuali, indossando la braghetta una sorta di rigonfiamento sull'inguine chiaramente fallico. Si continuarono a usare più abiti sovrapposti, spesso con maniche tagliate da cui uscivano gli sbuffi della camicia; la pelliccia fu più evidente nei grandi colli a scialle dei soprabiti. La più pregiata era la lince, detta "lupo cerviero". Dalla seconda metà del Cinquecento mentre nel resto d'Europa si erano già formati gli Stati nazionali, l'Italia fu divisa in principati, alcuni retti direttamente da dinastie non italiane. Da questo momento in poi iniziò un processo di maggior irrigidimento dei costumi, forse a causa dell'influenza della moda Spagnola, e dell'intervento morale della Controriforma. Gli abiti tornarono a chiudersi sul busto, scomparvero le scollature che alla fine del secolo furono sostituite da un abito a collo alto e dalla gorgiera, un rigido collo di pizzo inamidato. Fecero anche la loro comparsa i primi busti, in metallo, con la punta che si spingeva verso il ventre. Le gonne si disposero in una rigida campana grazie all'introduzione delle prime sottogonne imbottite. Anche gli uomini cambiarono stile, chiudendo come le donne il collo del busto, ma continuando a mostrare le gambe, a cui si sovrapponevano nella parte superiore bragoni rigonfi e tagliati verticalmente, di forma ovoidale. Le gambe muscolose furono una vera e propria esibizione di vanità: sappiamo che Enrico VIII d'Inghilterra andava fiero delle sue. Altri cronisti, scandalizzati, riferiscono che alcuni uomini con le gambe smilze si imbottivano i polpacci. Il colore nero, di derivazione spagnola, era preferito agli altri. La rigidezza degli abiti, che trasformava la figura in forme geometriche e impediva movimenti sciolti, dava al corpo una forma ieratica che sottolineava la superiorità morale dell'aristocrazia rispetto alla volgarità della plebe. Si andava delineando con molta forza il vestito delle classi alte, che trovò un parallelo anche nell'arte, dove il popolo era dipinto in forma grottesca e caricaturale. Il XVII secolo Occupata prima dalla Francia, poi dalla Spagna, l'Italia iniziò un periodo di decadenza che si rifletté anche sulla moda. Infatti le nazioni vincenti imposero forme e colori, e il baricentro dell'eleganza si spostò soprattutto a nord. Da questo periodo fino a quasi i giorni nostri la Francia fu il paese da cui tutta l'Europa, e in particolare la nobiltà, copiò gli abiti. Il centro di maggiore irradiazione diventò la corte del re. Si apriva il periodo denominato Barocco e caratterizzato da un'esuberanza di forme e da un accostamento, spesso eccentrico, di materiali. La Spagna ebbe minor influenza, se non per l'uso del colore nero, copiato soprattutto in Italia. Questo periodo fu detto Barocco, (termine incerto che indica stravagante o bizzarro) con cui definiamo solitamente il XVII secolo. Caratteri principali dell'arte barocca furono la sovrabbondanza di decorazioni, di marmi, di stucchi; si voleva che di fronte a un quadro o a un edificio lo spettatore rimanesse stupito e meravigliato; si voleva stimolarne l'immaginazione, con un forte senso di teatralità. Anche il vestito fu caricato fino all'inverosimile, perdendo del tutto il senso di essenzialità che era stato caratteristico del primo Rinascimento. Nei primi anni del secolo la moda femminile fu caratterizzata dai rigidi busti a punta, dalla gonna a campana, dal collo a gorgiera, detto anche "ruota di mulino" o "lattuga". Gioielli erano sparsi su tutto l'abito. Successivamente, per influenza francese, le vesti tornarono ad aprirsi sul davanti, arricciandosi lateralmente con scollature a barchetta sottolineate da grandi collari di pizzo. Verso la fine del secolo la donna indossò una veste aperta davanti e sovrapposta a una gonna, che aveva lo strascico arricciato nella parte posteriore. Si introdusse la moda delle cuffie, dette alla Fontange, nate per caso dalla omonima favorita del re Sole che, durante la caccia, si spettinò i capelli e, audacemente, si sollevò la gonna e con le giarrettiere creò questa nuova acconciatura. Spopolarono anche i falsi nei in seta (conosciuti già all'epoca dei Romani) che avevano un significato galante a seconda della posizione in cui venivano incollati. Anche il costume maschile, rigido all'inizio, diventò più sciolto. La guerra dei Trent'anni tra Francia, Spagna e Inghilterra modificò il comportamento maschile, che doveva sembrare maestoso con le spalle tirate indietro, con la mano perennemente appoggiata sul fianco, le gambe ben piantate, il viso con il mento rialzato: un maschio atto alle armi, che incuteva paura. Caratteristico il costume quasi militaresco, con l'uso perenne degli stivali in cuoio, lo spadone e marziali baffi alla moschettiera, mentre la scia dei bravi che seguivano il signore non faceva che instillare timore e rispetto. L'influenza del Re Sole sulla moda Il peso più importante sulla moda lo ebbe Luigi XIV di Francia, detto il re Sole. Luigi infatti obbligò la nobiltà francese a trasferirsi a Versailles, memore dei problemi che i suoi antenati avevano avuto con i feudatari ai tempi della Fronda. La vita della reggia ruotava attorno a lui, che comandava la sua corte in modo assoluto, imponendo comportamenti e stili vestiari. Precise regole obbligarono i cortigiani a indossare determinati capi d'abbigliamento. L'estetica maschile abbandonò i segni della forza. Il nuovo tipo di cortigiano fu chiamato homme de qualité, e aveva alcune precise prerogative come l'essere ricco, alla moda, e ricevuto in società, escludendo a priori la classe borghese. Tra il 1655 e il 1675 si impose il periodo più ricco e stravagante della moda francese, che perse la sua severità e si caricò di ornamenti frivoli. Particolarmente curiosi furono i calzoni alla Rhingrave, presentati a corte dal Rhein Graf (conte del Reno) e costituiti da una gonna pantalone molto larga e ornata di nastri e fiocchi laterali. Sopra al busto si indossava un bolero da cui fuoriusciva fluente la camicia. Aboliti gli stivali, tornarono le calze e le scarpe con il tacco, che era rosso solo per il re e la nobiltà. Sotto il suo regno il Re regolava l'abito secondo le stagioni, le circostanze, il rango. Indicava la lunghezza dei galloni e perfino il materiale dei bottoni. Il re proibì l'uso delle casacche ornate d'oro e d'argento che concesse solo agli uomini più meritevoli della sua corte. Nacquero così i justaucorps à brévet, ossia casacche azzurre foderate in rosso e portate solo dalla sua scorta privata. Una novità assoluta fu l'introduzione della veste a tre capi: marsina (una giacca al polpaccio), sottomarsina, un lungo gilè, e braghe corte al ginocchio. Questo insieme, detto Habit à la française, fu copiato in tutta Europa. Altra novità fu l'uso della parrucca maschile, un torrione di riccioli che arrivava a mezzo busto e ingrandiva e stilizzava l'aspetto di chi la portava. La parrucca più costosa era di capelli veri, mentre chi non se la poteva permettere se la faceva fare in crine o lana. Infine al Seicento si deve l'invenzione della cravatta, all'inizio una lunga striscia di mussola ornata di pizzo che veniva avvolta negligentemente attorno al collo. Questo tipo di nodo provvisorio fu imitato dopo la battaglia di Steinkerque, quando gli ufficiali dovettero accorrere in fretta e furia sul campo, annodandosi malamente la cravatta. Il merletto, inventato a Venezia un secolo prima, e rigidamente protetto dalle leggi della Repubblica, fu introdotto con uno stratagemma in Francia e adottato da uomini e donne. Il XVIII secolo Denominato anche barocchetto o rococò, dal nome di decorazioni a pietruzze e conchiglie allora di moda, il secolo seguitò, almeno fino alla Rivoluzione francese, a essere influenzato dalla moda aristocratica della corte di Francia. In Italia l'imitazione fu spinta al punto che anche parrucchieri e cuochi dovevano avere un nome o una provenienza d'oltralpe. Verso la fine del secolo, grazie alla potenza economica derivata dal colonialismo e dalla Rivoluzione industriale, l'Inghilterra diventò importantissima per la diffusione delle mode, soprattutto maschili. Per tutto il secolo successivo e parte del Novecento gli uomini eleganti si fecero fare vestiti e accessori direttamente a Londra. Fino alla Rivoluzione francese la moda femminile fu caratterizzata da colori chiari, fiorellini intessuti e merletti. Una nota di sensuale civetteria si insinuò nel costume: scollature profonde, falsi nei maliziosamente appoggiati sul seno, avambracci scoperti. Tuttavia la figura era rigidamente ingabbiata dal busto e dal panier, una sottogonna in stecche di balena che dava all'abito una forma piatta e ovoidale. Il panier era talmente largo che le signore avevano difficoltà a passare per le porte e potevano sedere su un unico divano. L'abito più diffuso fino al 1770 fu landrienne, detto anche robe à la française, che aveva sul retro un lungo manto a strascico che comportava l'uso di metri di tessuto. Questa moda derivava dal teatro, dove un'attrice si presentò sulla scena della commedia Andria vestita con un grande abito a campana. Dopo il 1770 la linea della veste diventò rotondeggiante e si accorciò fino a mostrare la caviglia. Comparvero sopravvesti arricciate sul retro e aperte davanti, dette polonaise, e giacchette corte e strette, antenate del moderno tailleur. Intanto Maria Antonietta si era fatta costruire a Versailles un villaggio rustico, le Hameau de la Reine, dove, vestita con abiti di mussola dai colori pastello, cappelli di paglia e con un fazzoletto di pizzo bianco al collo, il fisciù, coltivava ortaggi e allevava animali. Con la scoperta delle rovine di Pompei rinacque l'arte greco-romana. Il gusto neoclassico che si faceva avanti portò una ventata di semplicità, e le donne indossarono la robe en chemise, una veste lunga, soffice e spesso candida. Per l'uomo continuò l'uso dellabit à la française, ma con colori chiari e decorazioni ricamate. La giacca superiore, detta marsina, era decorata da file di bottoni e, fino alla prima metà del secolo, ebbe falde molto svasate grazie a imbottiture cartonate nascoste. La marsina si evolse e diventò una veste lunga e stretta, mentre la sottomarsina si accorciò trasformandosi nel gilet. Comparve anche un piccolo collo montante. Dopo il 1770 cominciarono a insinuarsi, soprattutto nell'abbigliamento maschile, mode che venivano dall'Inghilterra. Questa nazione, grazie alla Rivoluzione industriale e alla ricchezza dei suoi commerci coloniali, si impose come modello per tutta l'Europa e i semplici abiti dei gentiluomini inglesi entrarono definitivamente nella storia della moda. In particolare il frac, e la redingote il cui nome deriva dall'inglese riding coat, e che indicava una veste aperta dietro per potere cavalcare comodamente. Nel 1748 il conte milanese Giorgio Giulini e la stilista sarda Francesca Sanna Sulis organizzarono la prima sfilata di moda al mondo, avvenuta l Circolo dei nobili di Milano, poco lontano dal Castello Sforzesco. Caratteristica del secolo è anche la parrucca usata dai due sessi e abbondantemente incipriata dopo essere stata impomatata con creme fissanti. La regina di Francia Maria Antonietta si fece fare dal suo parrucchiere Leonard acconciature monumentali, sormontate da gabbie per uccelli, fiori, gemme, fiocchi, pizzi e perfino velieri e carrozze. Anche il trucco fu diffuso tra uomini e donne: in generale la figura maschile si fece più leziosa e meno marziale che nel Seicento. Con la Rivoluzione francese una violenta reazione popolare investì anche la moda aristocratica: cominciarono a scomparire tessuti pregiati, trucchi, panier e merletti. Si abbandonò la seta per la mussola di cotone. Come materiale principale per creare gioielli fu usato il ferro al posto di oro e diamanti. Le signore iniziarono a portare attorno al collo un nastro rosso, detto alla ghigliottina perché voleva imitare il segno della testa staccata dal busto. Fu perfino inventato il taglio di capelli à la victime, che ricordava la tosatura imposta alle condannate. Comparvero coccarde tricolori per indicare l'appartenenza rivoluzionaria. Periodo contemporaneo Il XIX secolo La moda ottocentesca è espressione del ceto borghese, che dopo la rivoluzione francese conquista il potere politico ed economico in Europa, imponendo i suoi ideali e il suo stile. È soprattutto l'abbigliamento maschile che registra un significativo e radicale mutamento. Un look austero e rigoroso, con tagli semplificati, tessuti di panno robusto, e decorazioni ridotte al minimo, sostituì il frivolo costume barocco; in tal modo vennero evidenziati la serietà del mondo del lavoro, la praticità, la prudenza, il risparmio, l'ordine. Il nuovo abito maschile ha una patria: l'Inghilterra, che propose un'eleganza più pratica e civile, influenzata dai modi informali, dalla passione per lo sport e la vita all'aria aperta del gentiluomo inglese. Due furono i vestiti informali introdotti: il frac, adottato per andare a caccia e per la vita in campagna, con falde molto arretrate e colletto alto. In seguito diventò l'uniforme del vero gentleman e fu portato di giorno ma soprattutto di sera, per le occasioni eleganti. La redingote era all'inizio una giacca da equitazione, una lunga giubba a due falde e aperta sul dietro che permetteva di stare comodamente in sella. Abbandonata la destinazione sportiva si trasformò in abito da città e da lavoro fino a prendere il significativo nome, dopo la metà del secolo, di finanziera, proprio perché portata dal ceto borghese che si occupava di politica, affari e finanza. Antesignani del nuovo corso che puntava, per identificare il vero gentiluomo, sulla tendenza alla semplificazione e sullo stile furono in Inghilterra i dandy: il più famoso tra loro fu Lord Brummell, che impose il suo modo di vestirsi in tutta Europa. Il suo edonismo esasperato diventò proverbiale e il suo motto: "Per essere eleganti non bisogna farsi notare" fu legge per tutti gli uomini alla moda. Brummell puntò sull'esasperata perfezione dei particolari: la "cravatta" che doveva essere inamidata e con fiocco adatto alle diverse occasioni; l'acconciatura, per la quale Brummel pretendeva tre parrucchieri, i "guanti" che dovevano essere realizzati da due guantai diversi, uno per i pollici, l'altro per le dita. Inoltre Brummell, che detestava i colori sgargianti, impose il blu per il frac e il beige per i calzoni. L'evoluzione del costume ottocentesco maschile si tradusse dall'abito stretto del periodo napoleonico a quello largo in uso dopo l'unità d'Italia. Elementi fondanti del guardaroba furono: i pantaloni, il gilet e i soprabiti. I pantaloni lunghi, derivavano dal mondo del lavoro e della marina. Il gilet o panciotto aveva la funzione di modellare il torace maschile, dandogli la convessità delle antiche armature. La giacca corta, introdotta dopo il 1850 e all'inizio molto criticata per la sua forma a sacco, era caratterizzata dalla brevità e dalla larghezza, ed entrò stabilmente nel guardaroba come abito diurno e come complemento di indumenti estivi. Il paletot o cappotto: consacrato sotto il Secondo Impero, di linea ampia e avvolgente, e di derivazione marinaresca; definito dai suoi osteggiatori “un barile di panno” piacque proprio per la sua comodità e disinvoltura passando anche all'abbigliamento femminile. Quando, tra gli anni trenta e cinquanta, grazie alla scoperta della vulcanizzazione della gomma, cominciarono a diffondersi i primi soprabiti impermeabili, il paletot fu creato anche in versione da pioggia. La cravatta, oggetto di appassionata attrazione, doveva corrispondere a una serie precisa di requisiti, che potevano sintetizzarsi nel motto “a ogni occasione la sua cravatta”; all'inizio del secolo era rigorosamente bianca e inamidata. Le prescrizioni riguardavano anche i nodi, che dovevano essere sempre perfetti e appropriati alle circostanze, in modo che a ogni occasione mondana corrispondesse la cravatta giusta. Dopo la metà del secolo diventò sempre più piccola, e fu fatta anche in tessuti colorati. Riguardo l'abbigliamento femminile, all'inizio del secolo la donna indossava un vestiario leggerissimo e trasparente. La rivoluzione francese, con il culto della Ragione e l'abolizione delle leggi Suntuarie, portò una ventata di anticonformismo che tuttavia durò meno di vent'anni. Nel periodo post-rivoluzionario, si abolirono i busti mentre i vestiti erano semitrasparenti anche in inverno. La moda detta anche del nudo, prescriveva che non si portassero più di un etto e mezzo tra abiti e scarpe. Un'ondata di influenza e il divieto - posto da Napoleone - di importare le leggere mussole indiane, fecero sì che la moda adottasse abiti più pesanti e chiusi. La libertà femminile durò poco: già dopo il 1830 all'interno della famiglia borghese il compito della donna era riservato esclusivamente allo spazio privato dove era custode dell'ordine, del buon convivere, della pace e della moralità. Ancora di salvezza spirituale, portatrice di valori e di virtù, essa incarnò almeno fino alla metà del secolo l'ideale dell'angelo del focolare, modello che si affermò anche in campo estetico influenzando il gusto corrente: obbligatori la modestia del gesto, la prudenza del comportamento, lo sguardo dolce e timido. L'abito ormai chiuso attorno al collo, aveva maniche lunghe e spalle cadenti, mentre le linee del corpo tondeggianti simboleggiavano fragilità, dolcezza e arrendevolezza. La sensualità era rigorosamente controllata, gli istinti severamente repressi: il corpo era nascosto da gonne lunghe e strati di biancheria: camicia, busto, copribusto, molteplici sottogonne, mutandoni che diventarono indumento stabile. Il busto era una corazza di tela irrigidita da stecche di balena che poteva causare anche dolori e svenimenti. Doveva assicurare il vitino di vespa, e lo si portava obbligatoriamente fin dall'infanzia, in quanto era opinione comune che esso dovesse correggere i difetti del portamento e sostenere la “naturale” debolezza della spina dorsale femminile. La soddisfazione carnale per l'uomo si raggiungeva fuori casa: l'Ottocento è anche l'età d'oro delle case di tolleranza, e delle cocottes, le cortigiane francesi famose e celebrate che, dal 1850 in poi, dettarono moda, proponendo un nuovo ideale estetico più provocante e sfacciato, sostenuto dall'avvento sulla scena letteraria della figura della femme fatale. Il vestito femminile si evolse nelle sue linee: all'inizio del secolo la sottana mostrava la caviglia, per poi allungarsi fino ai piedi nel 1840 allargandosi sempre più con la cupola della crinolina; si prolungò con lo strascico dopo il 1870; ritornò infine a una lunghezza moderata e a una linea a campana. Il punto vita, alto fino al 1822, si abbassò alla sua posizione naturale e scese a punta sul davanti alla fine del secolo. Influenzato anche dai movimenti culturali, il costume femminile trovò ispirazione in fogge che guardavano al passato e alla storia: all'inizio del secolo il neoclassicismo imperante voleva tutte le donne vestite e pettinate come statue greche. Con l'avvento del romanticismo gli abiti si coprirono di pizzi e balze; ci si ispirò alla storia, al gotico e al Rinascimento, alle eroine del melodramma. Con l'avanzare del secolo il gusto si spostò verso lo stile rococò, molto amato da Eugenia de Montillo. Attorno al 1870 trionfò leclettismo e si moltiplicano passamanerie e applicazioni; al posto della crinolina venne utilizzato un sostegno nella sola parte posteriore, detto "tournure" o più volgarmente "faux-cul", da cui si dipartivano drappeggi, ornamenti e un lungo strascico. A fine secolo la silhouette femminile era "a clessidra", con la vita stretta, maniche molto gonfie e la gonna molto svasata. Al trionfo dellArt Nouveau gi abiti femminili divennero longilinei e ispirati alle corolle dei fiori. Infine, ogni occasione doveva comportare, nei manuali di galateo, una veste appropriata per la signora elegante, sempre adeguata al ruolo mondano da interpretare: abiti da casa, da viaggio, da passeggio, da carrozza, da visita, da ballo, da lutto, da mezzo lutto, e soprattutto abiti da sport. Lo sport si fece largo dopo la metà nel secolo, e richiese indumenti appropriati per ambo i sessi: il costume da bagno era, per la donna, un compromesso tra il bisogno di avere un indumento con cui muoversi adeguatamente in acqua e l'imperativo morale di nascondere quanta più epidermide possibile. Il completo da amazzone comportava una lunga gonna a strascico che doveva scendere a coprire le gambe quando la donna cavalcava seduta di fianco sulla sella. Il secolo doveva però scoprire altri sport, come il golf, il tennis e la bicicletta. Dopo il 1890 comparirono gli abiti per le cicliste tentando anche un precoce ripudio della sottana: calzoni alla zuava coprivano le gambe fino al ginocchio avendo a volte quale unico compromesso una corta tunica per nascondere parte dei fianchi. Il Novecento Dall'inizio del secolo alla Grande Guerra Dai tempi del re Sole dire moda voleva dire Parigi. La moda del Novecento è invece sempre più veicolata dai mezzi di comunicazione e dalle novità tecniche che si affermano con il cinema, con la fotografia, con i giornali e la televisione. Per questo motivo i cambiamenti di stile assumono una rapidità precedentemente sconosciuta, in modo particolare nel costume femminile, che esce completamente dagli schemi dei secoli precedenti. Le ragioni, abbastanza complesse, possono essere riassunte in alcuni punti fondamentali: la lotta delle Suffragette per ottenere il voto delle donne; l'entrata delle stesse nel mercato del lavoro dovuta alla partenza in guerra degli uomini; il fenomeno delle avanguardie artistiche cui si ispirano molti coutouriers. All'inizio del secolo dettavano legge La Maison Callot diretta dalle sorelle Gerber e La Maison Jacques Doucet, dove lavorava Madeleine Vionnet, destinata poi ad aprire una sua casa. Attorno al 1910 il sarto più in vista e scandaloso fu Paul Poiret, 32 anni, figlio di un mercante di stoffe. Dal 1903 aprì una boutique e in breve divenne un dittatore della moda. Voglio essere ubbidito anche quando ho torto, era il suo motto. Stanco dei colori pallidi e della linea a clessidra dello stile ottocentesco, inventò una donna priva di busto che indossava abiti a vita alta e dai colori vivaci. Poiret era geniale, fantasioso, megalomane. Usava sete, velluti, damaschi, accostava viola e rosso, blu e rosa pallido. Affascinato dai Balletti russi di Sergej Pavlovič Djagilev, che furoreggiavano a Parigi, s'ispirò all'Oriente. Fu il primo ad aprire una scuola per figuriniste, a organizzare corsi di andatura, a creare il pret-à-porter, a fare riprendere i suoi modelli da un grande fotografo (Edward Steichen), a fabbricare gli accessori, dai profumi alle borse. Per lanciare le sue jupe-culottes diede una grande festa che si intitolava Le mille e due notti. La moglie del sarto appariva in una gabbia dorata in compagnia di preziosi uccelli: gli ibis rosa. Lui, vestito da Sultano, le stava a fianco con un prezioso turbante piumato. Nel 1914 scoppiò la prima guerra mondiale. Pur tra mille difficoltà Parigi volle mantenere il suo ruolo di arbitra dell'eleganza e i grandi couturiers continuarono la loro attività, nonostante la mancanza di materie prime che dovevano essere di necessità mandate al fronte. Forse per risparmiate tessuto, le gonne si accorciarono al polpaccio, mentre si affermarono linee militaresche, appena mitigate dalla cosiddetta crinolina di guerra, una gonna imbottita di tulle. L'Inghilterra continuava invece a essere il modello dell'eleganza maschile. L'uomo però rimase legato alle fogge tradizionali ottocentesche: giacca, gilè, calzoni e camicia. I soprabiti invernali erano vari, mentre tra gli abiti da cerimonia, ancora diffusissimi erano il frac, il tight e lo smoking, noto come abito da fumo e diventato poi capo elegante. I colori erano scuri, la camicia, rigorosamente bianca, con il collo rigido e inamidato. Per mantenere la biancheria sempre perfettamente pulita, collo e polsini erano separati dalla camicia vera e propria. Edoardo VII, principe di Galles e figlio della regina Vittoria, fu un modello per i dandy: inventò infatti nuove fogge maschili, come i pantaloni con la piega e il risvolto. Sembra che a lui si debba anche l'invenzione dello smoking, ottenuto tagliando semplicemente le code del frac. Gli anni venti e trenta Dopo la fine della prima guerra mondiale, lo scenario europeo mutò profondamente. La guerra aveva lasciato un'economia traumatizzata e non pochi problemi sociali e psicologici. Gli speculatori ne approfittarono: i grandi patrimoni aristocratici prebellici scomparirono e al loro posto avanzò una nuova classe sociale arricchita e quindi una diversa clientela per le case di moda. Gli ambienti mondani furono frequentati da milionari, psichiatri, pittori surrealisti e cubisti. Le mode americane invasero ogni settore: si bevevano cocktail e whisky, proliferavano le jazz band e i blues. Dopo quattro anni di privazione scoppiò la gioia di vivere, simboleggiata dal nuovo, sfrenato ballo, il charleston. Per tutto il periodo tra le due guerre il cinema influenzò lo stile di vita. A Hollywood nacque lo star system e attori come Rodolfo Valentino prima, Clark Gable, Jean Harlow, Greta Garbo, Marlene Dietrich poi, diventano modelli da imitare. Ma il fenomeno più importante si manifestò con evidenza proprio negli anni venti: l'emancipazione della donna che - durante la guerra - aveva dovuto assumere ruoli maschili di responsabilità e non era affatto disposta tornare indietro, ma pretendeva di governare la sua vita più liberamente. Molte donne si iscrissero all'Università e affrontarono professioni nuove come nel campo della medicina. Le giovani fumavano, si truccavano e frequentano locali notturni alla moda. Il nuovo modello femminile fu la ragazza magra, senza più fianchi né petto, con uno sfrontato piglio mascolino e i capelli cortissimi alla Garçonne. La moda volle gonne sempre più corte e abiti spesso tagliati di sbieco, invenzione che sembra si debba a Madeleine Vionnet. Tuttavia, prima di arrivare all'orlo sotto al ginocchio, vennero inseriti pannelli triangolari che rendevano la forma dell'abito asimmetrica. Alla fine degli anni venti si affermò lo stile bebè, con gonne al ginocchio, scarpe con il cinturino, cappelli a Cloche. La moda propose un nuovo modo di intendere l'abito: pratico, semplice, di costo contenuto, elegante. Antesignana di questo nuovo modo di vestire fu Gabrielle Coco Chanel. Fu lei che lanciò l'abito in jersey corto, imponendo questo tessuto povero anche per il tailleur, una delle sue creazioni caratteristiche. Sempre lei semplificò la linea dell'abito da sera inventando un lineare tubino nero. Fu la prima a lanciare i gioielli fantasia in vetro colorato, l'abbronzatura e il profumo legato alla sua linea, il famosissimo Chanel N° 5. Non disdegnava di portare i calzoni, ancora tabù per le donne. All'assoluto predominio della moda francese per l'abbigliamento femminile, ci fu un tentativo di reazione in Italia. La giornalista Lydia De Liguoro fondò la rivista Lidel, che con l'appoggio dell'industria tessile nazionale, cercò di creare modelli italiani. La moda maschile rimase nei binari rassicuranti che si era scelta. Tuttavia un certo tono sportivo e disinvolto si insinuò nelle giacche dai larghi revers, nei pantaloni con le pinces, nei gilè di lana stile golf. Comparirono i primi trench impermeabili e tornarono i pantaloni alla zuava, o knickerbockers, indossati con calze scozzesi. Grande novità furono l'introduzione del colletto floscio per la camicia e il modello button down con due bottoncini che assicuravano le punte alla camicia. Tra il 1929 e il 1932 una crisi mondiale violentissima spazzò l'economia. Panico e disperazione si abbatterono sul mondo, né la moda uscì indenne dal trauma. Le case di moda francesi, che avevano avuto la loro migliore clientela oltre oceano, si videro imporre drastiche misure protezionistiche che gravarono pesantemente sugli abiti esportati. Il lavoro degli atelier parigini diminuì notevolmente, con conseguenti licenziamenti di personale. Un'ulteriore conseguenza della crisi fu la necessità di usare filati di minor pregio: si diffusero così le fibre sintetiche, come il rayon o il nylon. Quest'ultimo, in particolare, sostituì la seta con cui fino ad allora erano state fatte le calze. Dopo il 1930 l'ideale femminile diventò più aggraziato e copiò le star di Hollywood: le labbra di Joan Crawford, i capelli platinati e le sopracciglia ridisegnate di Jean Harlow, i tailleur pantaloni di Marlene Dietrich. La donna ideale era longilinea e femminile, portava tacchi alti e si tingeva i capelli. Al contrario, nell'Italia del Regime si cercò di lanciare una bellezza formosa e mediterranea, modellata sul tipo fisico della Signorina grandi firme, icona inventata da Gino Boccasile, per la copertina del giornale Le grandi firme. La linea delle vesti negli anni trenta mutò: la vita tornò al punto naturale, gli abiti si allungarono sotto al ginocchio e si aprirono in piccole pieghe e pannelli. D'inverno si preferivano lunghi cappotti con immensi colli di volpe. Per il giorno trionfò il tailleur, mentre le spalle diventarono quadrate a causa di imbottiture nascoste. Il pantalone si insinuò gradatamente nella moda, specie negli abiti sportivi e nei completi estivi. I vestiti da sera, ultra femminili, si allungarono nuovamente fino ai piedi, con scollature vertiginose sulla schiena. Il nuovo oracolo di questo stile fu una sarta italiana emigrata in Francia: Elsa Schiaparelli. Dotata di una fantasia e una creatività irrefrenabili, e da sempre interessata all'arte moderna e alle Avanguardie come il Surrealismo e il Cubismo, ispirò molti dei suoi vestiti ai quadri di Salvador Dalí e di Pablo Picasso, con elementi onirici come specchietti, cassettini, aragoste giganti. Oppure con fogli di giornale stampati, come i famosi papier collé di Picasso. Il rosa fucsia o Shoking fu il suo colore preferito, come il nome di un suo celebre profumo. La sua donna doveva essere spregiudicata e indipendente e non avere paura del giudizio altrui. Negli ultimi anni precedenti la guerra l'abito si accorciò e allargò, mentre lo stile diventò più romantico, con incrostazioni di ricami e paillettes. Per le vesti da sera si usarono tessuti leggeri e fruscianti. Dalla seconda guerra mondiale al New Look Nel 1939 le armate tedesche invasero la Polonia. Con questo atto ebbe inizio la seconda guerra mondiale, che terminò nel 1945 con un terrificante bilancio di morte e distruzione. I primi due anni del conflitto non produssero effetti notevoli nel settore dell'alta moda, ma ben presto le pesanti restrizioni causate dalla guerra, costrinsero i governi e i sarti ad adottare misure cautelative. L'invasione della Francia fu vista da tedeschi come l'occasione per spostare a Berlino le case di moda francesi, molte delle quali avevano nel frattempo chiuso. Grazie a un paziente lavoro di diplomazia, il sarto Lucien Lelong riuscì a convincere l'alto Comando germanico, che l'operazione avrebbe tolto alla alta moda parigina freschezza e vitalità. Tuttavia la crisi bellica causò inevitabilmente la corsa al risparmio, e per qualche anno le linee proposte furono semplici e poco interessanti. Nazioni come l'Inghilterra e l'Italia devettero distribuire tessere in tagliandi per l'abbigliamento. La moda femminile si semplificò, anche per la mancanza di tessuto, soprattutto lana, e cuoio, che venivano usati per vestire le truppe al fronte. Per circa quattro anni si videro solo gonne al ginocchio, spalle quadrate, tessuti modesti. In America le signore, non avendo nylon per le calze, si facevano dipingere la riga dietro alle gambe. Le donne americane, più pratiche, adottarono abiti in tela jeans. Alcuni creatori di moda utilizzarono invece materiali poveri per creare piccoli capolavori. In Italia si crearono scarpe con la suola di sughero o di capretto italico. Antesignano di questo genere fu Salvatore Ferragamo, nato a Bonito, piccolo borgo della provincia di Avellino e da lì emigrato negli Stati Uniti d'America. Intanto per non utilizzare la lana, che era usata dalle truppe al fronte, venne inventato il Lanital un tessuto ottenuto dai cascami della caseina. Negli Stati Uniti si fece leva sull'economico jeans, mentre a causa della mancanza di nylon furbi artigiani inventarono un nuovo mestiere dipingendo le gambe delle signore come se portassero le calze. Con la fine della guerra l'alta moda ripartì da Parigi dove si realizzò un "Teatro della Moda" in miniatura per fare vedere i nuovi modelli. Tuttavia soltanto Christian Dior fu il vero iniziatore e artefice della moda post bellica, lanciando, nel 1947, il New look. Dior era stato prima antiquario e poi disegnatore presso Lelong, e aveva in mente una donna signorile, raffinata e romantica che si ispirava all'epoca della grandeur francese. Puntava sulla perfezione puntigliosa ed esclusiva del taglio, e su una linea che modellava il corpo femminile, tornando alle spalle morbide, alla vita di vespa, alle gonne lunghe. Seno in evidenza, fianchi tondi, gonna immensa, l'abito di Dior era falsamente naturale, ma nascondeva sotto il tessuto pregiato imbottiture e rinforzi. Amante del bianco e nero, prediligeva per gli abiti da giorno linee più caste, mentre per quelli da sera, scollature profonde e metri di tulle. L'aspetto ultrafemminile delle creazioni di Dior era accentuato anche dai dettagli. Obbligatori guanti, scarpe con il tacco, cappelli. Gli anni cinquanta La seconda guerra mondiale fece perdere il ruolo di protagonisti a molti stati, mentre lasciò spazio a Stati Uniti e Unione Sovietica, che ripartirono il mondo in due sfere d'influenza. In Europa si avvertì intensamente il fascino del modo di vita americano, dei suoi alti redditi e dei suoi enormi consumi. Mai come ora le mode americane invasero il vecchio mondo: cinema e televisione proposero un modo di vestire, di parlare, di ballare e cantare che venivano d'oltre oceano. Protagonisti furono per la prima volta i teen-agers che si distinguevano dagli adulti anche per l'abbigliamento: blue-jeans, t-shirt, maglioni, giacche in pelle, look trasandato o sportivo e per gli uomini, brillantina in testa. La fortuna dei jeans fu un fenomeno importante che influenza tuttora la moda. Questo indumento, usato fin dalla metà dell'Ottocento dagli operai, per la robustezza del suo tessuto, fissato con doppie cuciture e rivetti di metallo, fu lanciato nelle università americane dopo il successo de Il selvaggio, interpretato da un giovane e affascinante Marlon Brando. Anche il fenomeno Elvis Presley con il rock 'n' roll, i suoi movimenti provocanti e gli abiti vistosi, entusiasmavano i giovani. In Europa questi modi di vestirsi e di comportarsi esplosero prima nei gruppi giovanili, che vi trovarono una loro identità. Cominciò da questo momento un fenomeno importante: la moda fu imposta dalla gente di strada e non solo dai grandi sarti. Per la prima volta nella storia del costume le masse facevano opinione. In Europa erano gli anni della ricostruzione e del miracolo economico, propagandato anche dai giornali di moda che si moltiplicavano a vista d'occhio. La gente si arricchiva e pretendeva di accedere alle nuove tecnologie: la televisione, il frigorifero, l'automobile. Anche il mondo della moda cominciò a essere investito dal consumo di massa. Le donne si stancarono di portare i vestiti rivoltati e fuori moda delle loro mamme e copiarono i modelli dalle riviste femminili con l'aiuto di cartamodelli e di provvidenziali sartine. Se Parigi continuava a dettare legge, stava nascendo a Firenze l'industria della moda italiana, e nel 1952 a Palazzo Pitti, presso la Sala Bianca, si tenne la prima di molte sfilate e manifestazioni. L'organizzazione si rivolse a cercare nuovi sarti non tra le storiche case di moda italiane, ma tra quelle che più tentavano di distaccarsi dai modelli parigini come Roberto Capucci, Vanna, Giovannelli-Sciarra, Mingolini-Gugenheim, Jole Veneziani, Carosa (della principessa Giovanna Caracciolo), Biki, Emilio Schuberth, Vincenzo Ferdinandi, Emilio Pucci, Simonetta, Eleonora Garnett, le sorelle Fontana, Alberto Fabiani, Antonelli, Germana Marucelli, Clarette Gallotti, Mirsa, Polinober. Sono questi anche gli anni in cui nascono Krizia e Ottavio Missoni, veri pionieri del prêt-à-porter. I loro modelli semplici, creati con materiali nuovi, proposti in abbinamenti allora considerati arditi rivoluzionarono lo stile e il tipo di produzione dei decenni seguenti. Parigi però dettava ancora legge: Dior, fino alla sua morte nel 1957, lanciava due collezioni all'anno che rendevano completamente superate quelle precedenti. Si subivano le sue imposizioni, e le aspettative del pubblico diventarono frenetiche, mentre le notizie sugli orli delle sottane riempivano le pagine dei giornali di moda. Alcune tra le più importanti collezioni di Dior si ispirarono alle lettere dell'alfabeto, come la linea H del 1954, con la vita spostata sui fianchi e il busto allungato e irrigidito come nei ritratti di Anna Bolena, moglie di Enrico VIII Tudor. Successivamente si ebbero la linea Y e la linea A, mentre gli abiti da sera erano solitamente lunghi fino ai piedi. Nel 1957, anno della sua morte, Dior rivoluzionò ancora la moda con la linea sacco, che creò molto scalpore perché nascondeva totalmente il punto vita. Coco Chanel tornò a riaprire la sua casa di moda e, inossidabilmente fedele alle sue idee, ripropose i suoi mitici tailleurs, dalla giacca senza collo e dalla gonna semplice e diritta. Chanel detestava Dior e riteneva che i suoi abiti fossero rigidi, difficili da portare, scomodi da conservare. Al contrario lasciava fotografare i suoi modelli prima delle sfilate ed era felice di vederli moltiplicare, anche se questo significava limitare i suoi guadagni. Fu sempre lei che lanciò la scarpa Chanel, senza tallone e con la punta in colore diverso: era un'alternativa ai tacchi a spillo che dalla metà degli anni cinquanta martoriarono i piedi di molte donne. Nello stesso periodo si sviluppò sempre di più la moda per il tempo libero. Sulle spiagge fece la sua prima comparsa il Bikini, costume da bagno in due pezzi, così soprannominato dal test nucleare sull'atollo di Bikini. I pantaloni continuavano la loro marcia verso il successo: si usavano per l'estate, per lo sport e per lo sci, con un passante sotto i piedi. Adattissimi per il ballo, ebbero particolare successo con il diffondersi del rock 'n' roll, nella loro versione a metà polpaccio. La maglia, da sempre considerata materiale povero e popolare, cominciò a fare parte delle collezioni. Con la morte di Dior Yves Saint Laurent diventò direttore della maison. La sua prima collezione, attesissima, ebbe un successo travolgente: la linea a trapezio, era fresca, giovanile, e sostanzialmente una continuazione del Sacco di Dior. L'entusiasmo per il nuovo couturier durò però fino a quando, tradendo un accordo con gli altri sarti di non alterare l'orlo della gonna, Saint Laurent lo alzò di ben sette centimetri, finendo poi con lo scoprire le ginocchia. A causa della bagarre che ne seguì il giovane sarto ebbe un collasso e si ritirò da Dior cedendo il posto a Marc Bohan. Nel 1962 aprì a Parigi un atelier per conto proprio. Gli anni sessanta Gli anni sessanta, così irrequieti e provocatori, hanno radicalmente cambiato la morale e lo stile di vita in cui siamo tuttora radicati. Nonostante il benessere economico, gruppi sempre più folti di giovani, misero sotto critica la società patriarcale e dei consumi, proponendo nuovi modelli. Nel 1964 era scoppiata la Guerra del Vietnam, e le parole d'ordine dei gruppi giovanili furono pace e amore. Intanto all'Università di Berkeley il disagio provocò le prime contestazioni studentesche. Nel 1968 in Europa scoppiava il Maggio francese La divisa dei contestatori era un rifiuto totale verso il mondo elitario della moda: eskimo, sciarpe, jeans sdruciti, maglioni sformati, scarpe da tennis. Alcuni indumenti furono presi in prestito dalle uniformi di guerra, come per esempio il Montgomery (più propriamente Duffel Coat o Duffle Coat), cappotto in lana pesante chiusa da alamari, introdotto nella dotazione dei marinai della Royal Navy, che il generale Montgomery era solito indossare sopra la divisa; oppure la t-shirt, inventata dalla marina americana come canottiera per i soldati. I giovani salirono alla ribalta delle cronache e la moda si accorse di loro, che pure la rifiutavano ma la società dei consumi è stata capace di incanalare la protesta e renderla commerciabile. In California un ristretto gruppo di giovani intellettuali, che saranno definiti la beat generation crearono una nuova filosofia di vita basata sulla ricerca della libertà anche attraverso esperienze dure come l'uso di droghe e allucinogeni. In Inghilterra lo stesso fenomeno fu diversamente interpretato: la musica beat, rappresentata dai The Beatles e dai The Rolling Stones, ebbe la capacità di aggregare milioni di teen ager, che copiarono i vestiti dei loro idoli preferiti. I Beatles indossavano pantaloni stretti e corti, giacchette striminzite, uniformi ottocentesche con spalline, stivaletti alla caviglia. Gli Stones, più arrabbiati, preferivano camicie e pantaloni di satin, collane e braccialetti, e si truccavano. Per entrambi i gruppi furono fondamentali i capelli lunghi e scompigliati, che da più di un secolo erano vietati agli uomini; colori sgargianti e lucidi sostituirono il grigio abito borghese. Londra diventò meta di pellegrinaggio giovanile: proprio in quegli anni Barbara Hulanicki, detta Biba, vi aprì la prima boutique di moda giovanile, bizzarramente arredata. Gli abiti erano colorati e striminziti; infatti i nuovi stereotipi femminili non furono più le attrici di Hollywood, ma le indossatrici delle riviste di moda: Twiggy, Jean Shrimpton, Veruschka. Sottopeso, con la pelle chiara e gli occhi immensi truccatissimi, furono fotografate da artisti come David Bailey ed ebbero un successo planetario. Brigitte Bardot piaceva invece per il suo broncio sensuale, la coda di cavallo e i lunghi capelli arruffati. Il predominio di Parigi sulla moda stava cominciando a vacillare: in Inghilterra Mary Quant lanciò nel 1964 la minigonna, una sottana o un tubino che scopriva abbondantemente le ginocchia. Non potendo più portare reggicalze, si inventarono i collant colorati. Mary Quant lanciò anche la moda della maglia a coste (skinny rib), che fasciava la parte superiore del corpo. In Francia André Courrèges, che aveva studiato come ingegnere, fu l'unico a seguire la moda giovane, adottando gonne corte con stivaletti senza tacco, calzamaglie bianche, linee geometrizzate, e usando in modo massiccio i pantaloni, che dagli anni sessanta entrarono di prepotenza nel guardaroba femminile di ogni giorno. Audace e innovativo, Courrèges lanciò nel 1969 la Moda spaziale ispirata al primo sbarco dell'uomo sulla luna. Le sue modelle, vestite di abiti metallizzati e parrucche sintetiche multicolori, fecero epoca. Altre novità lanciate in Francia furono gli abiti metallici di Paco Rabanne, che non avevano cuciture ma piastrine agganciate tra di loro con anelle. D'altro canto tutto il periodo guardò al materiale sintetico con interesse, includendo polivinili, con cui si potevano creare effetti di trasparenza, e tessuti acrilici. Né la moda trascurò di ispirarsi all'arte: nel 1965 Yves Saint Laurent lanciò la collezione Mondrian; erano gli anni della Pop art e dell'Op art, fondata da Victor Vasarely. Andy Warhol propose nel 1962 un abito in carta Minestra di pomodoro, stampata con le sue notissime scatole di zuppa Campbell. Alla fine del periodo gli stili si sovrapponevano: si ebbero abiti Unisex, tra cui la famosissima Sahariana lanciata da Saint Laurent, abiti trasparenti in stile Nude look, abiti corti e lunghi. La minigonna non accennava a stancare, tuttavia si cercò di trovare compromessi nella lunghezza degli orli. Dal 1967 fu lanciato il Maxicappotto, sulle orme del successo del film Il dottor Živago, completato da un immenso colbacco di pelo. Mini e Maxi furono abbinati, finché non si arrivò a una via di mezzo, il Midi, con cui si chiudevano gli anni sessanta. Gli anni settanta 18 settembre 1970. In Italia entrava in vigore la legge sul divorzio, sintomo di un evidente e profondo cambiamento culturale. Negli States, come reazione alla guerra del Vietnam, nasceva il Flower power, che ebbe i suoi primi, mitici cantori al raduno del festival di Woodstock. Nata dalle idee innovative che si diffusero alla fine degli anni sessanta, la moda degli anni settanta assunse la forma di un vero e proprio movimento. Gli Hippy indossarono camicioni larghi e lunghi, tuniche trasparenti, colori sgargianti, fiori giganti, monili di tutti i tipi e indumenti esotici. I capelli si trasformarono sempre più in un groviglio di riccioli incolti. Questo look un po' straccione al di là della moda ufficiale diventò una vera e propria antimoda, simbolo di libertà. Anche il movimento femminista di quegli anni si identificò con le gonne lunghe, gli abiti acquistati per pochi spiccioli ai mercatini dell'usato e gli zoccoli. Alla moda di quel periodo furono spesso collegate anche le diverse idee politiche: per esempio in Italia la giacca di pelle, gli occhiali Ray Ban e le polo Lacoste erano prerogativa dei giovani di destra, mentre i giovani di sinistra preferivano l'eskimo verde indossato sopra ai jeans, scarponcini simili ai "Clarks Desert Boots", maglioni di taglia abbondante e borse a tracolla in tela o cuoio. Elio Fiorucci fu il primo che in Italia captò questo tipo di moda controcorrente fatta di stracci. Partito da un modesto negozio di pantofole ereditato dal padre, in pochi anni creò a Milano un grande emporio-bazar. Intuì che il marchio poteva essere un elemento indispensabile per attirare l'attenzione dei giovani compratori, e inventò il suo: due angioletti vittoriani muniti di pesanti occhiali da sole. Il suo emporio era altresì un punto d'incontro, e vi si poteva trovare di tutto: abiti rifiniti male, [zatteroni] altissimi e pericolosi, felpe, jeans, ma anche gadget molto colorati. A lui si deve l'introduzione del tessuto elasticizzato nella moda, che gli permise di inventare tute molto aderenti adatte alla disco-dance. Le case di moda si vedevano fuggire la clientela. Oltretutto un'ondata di scioperi colpì molte industrie nel quinquennio 1970-75, e parecchie tra quelle che lavoravano nell'indotto dell'abbigliamento furono costrette a chiudere. Per salvarsi dalla crisi quasi tutte le case di moda si buttarono sul "pronto"; la passerella si avviava via via a diventare un'esibizione costosissima e a volte folle, ma utile a commercializzare prodotti più normali seppur costosi. Oramai non si poteva parlare di moda, ma di mode. Tra queste quelle etniche, per cui si videro in strada odalische, pellerossa, cinesi e peruviane. E l'esplosione della maglieria, di cui la stilista francese Sonia Rykiel era considerata la regina. Sull'onda del femminismo si indossarono strati su strati di maglia, berretti, sciarpe, scaldamuscoli. Tra le novità, proprio all'inizio del periodo, vi furono gli Hot pants, pantaloncini assai più corti delle minigonne e che lasciavano interamente scoperte le gambe. Ma il couturier più importante del periodo fu Yves Saint Laurent. Coltissimo, appassionato d'arte e fantasioso, aveva capito che le idee nuove possono venire anche dalla strada. Innovatore del guardaroba femminile, applicò alla donna diversi capi tradizionalmente maschili, come lo smoking, il trench, i knickerbockers e il tailleur pantalone. Con un occhio rivolto anche al folklore, creò una celeberrima e sontuosa collezione in stile russo, poi un'altra in stile cinese. Infine parecchie sue collezioni si ispirarono al mondo dell'arte, da quella pop, al cubismo (collezione Picasso) al fauvismo. Negli anni sessanta aveva aperto una famosa catena di negozi di moda pronta denominata Rive Gauche, tuttavia con il tempo il suo stile diventò sempre più prezioso e teatrale. Gli anni ottanta Negli anni ottanta si assistette a una ridefinizione completamente nuova della professione dello stilista. Non bastava più essere un buon artigiano e creare capi di ottima fattura e qualità: seguendo l'esempio delle più sofisticate strategie pubblicitarie, occorreva dare un'immagine accattivante del proprio prodotto. Agli stilisti non restava altra scelta, anche perché il loro successo aveva creato veri e propri imperi finanziari, dove si produceva tutto ciò che stava attorno all'abito. Non solo gli accessori, ma l'arredamento stesso dell'abitazione. La concorrenza, a causa della globalizzazione, era spietata e ogni mossa affidata ad agenzie e curatori d'immagine doveva colpire il target designato. La moda degli anni ottanta fu caratterizzata dal culto del successo e dell'efficienza. Il quadro venne tuttavia completato dalle tendenze eversive dei punk e degli altri gruppi della cultura urbana giovanile. Si sviluppò inoltre la corsa alla forma fisica, e anche per persone non più giovani si crearono indumenti casual presi dall'abbigliamento sportivo. In questo periodo la moda diventò definitivamente internazionale. Ridotta l'importanza della haute couture francese, ogni nazione sviluppò uno stile differente; in Europa, in particolare, furono l'Italia, la Germania e l'Inghilterra, mentre emergevano gli Stati Uniti, con il loro stile classico contemporaneo, e soprattutto il Giappone. Poco apprezzati in patria, gli stilisti giapponesi emigrarono a Parigi, da cui lanciarono linee composite dal taglio impeccabile e dai materiali insoliti. Il successo del Made in Italy in questo periodo derivò anche da abili strategie di marketing. Milano strappò la palma di capitale della moda a Firenze, Venezia e Roma. Diventarono famosi stilisti come Giorgio Armani, Ottavio Missoni, Gianfranco Ferré, Gianni Versace, Dolce & Gabbana, Miuccia Prada e Krizia. Il successo di D&G fu dovuto alla pop star Madonna, entusiasta degli abiti dall'erotismo chic e trasandato, con calze nere e biancheria intima da portare in vista. L'ideale di bellezza femminile si ispirò alla donna sportiva e snella, muscolosa e ambiziosa, di successo sia nel privato che nel pubblico, grazie anche al fatto di essere sempre vestita adeguatamente. Proprio Madonna impersonò questo credo, secondo cui era possibile modellare il proprio corpo attraverso l'aerobica, il culturismo, le diete e le cure di bellezza. Le spalle dei vestiti femminili si allargarono e gonfiarono; onnipresente il binomio giacca-tailleur con valigetta porta documenti. Il modello della donna manager, non più femminile e fragile, ma dura e spietata sul lavoro. In contemporanea nacque negli Stati Uniti d'America il fenomeno, acronimo vezzeggiativo di Young Urban Professional. Rampante e ambizioso, lo yuppie lavorava spesso in Borsa, aveva pochi scrupoli e voleva arricchirsi velocemente. Frequentava ambienti chic e ristoranti costosi, sniffava cocaina e vestiva italiano, in special modo Armani e Versace. Musei della moda A Firenze è presente uno dei più importanti musei italiani dedicati alla moda, la Galleria del Costume sita in Palazzo Pitti, che traccia una storia dettagliata delle mode che si sono susseguite nel tempo, con una collezione di oltre 6000 manufatti, fra abiti antichi, accessori, costumi teatrali e cinematografici di grande rilevanza documentaria, e numerosi esemplari prestigiosi di stilisti italiani e stranieri. All'estero esistono altri musei della moda o musei in cui importanti sezioni sono dedicate alla storia del costume. Note Bibliografia Rosita Levi Pisetzky, Il costume e la moda nella società italiana Cristina Giorgetti, Manuale di Storia del Costume e della Moda, Cantini 1998 Black J.Anderson, Garland J.Anderson Storia della moda, De Agostini 1997 I mestieri della moda a Venezia - Catalogo della mostra. Edizioni del Cavallino, 1988 Ferruccia Cappi Bentivegna - Abbigliamento e Costume nella pittura Italiana - Ed. Bestetti, Roma 1964 Antonio Sandre "Il costume nell'arte", Nova, 1971 Philippe Perrot - Il sopra e il sotto della borghesia - Longanesi, 1981 La galleria del costume, Palazzo Pitti - Catalogo - Centro Di 1983 Grazietta Butazzi, Alessandra Mottola Molfino La donna Angelo, ed. De Agostini, 1992* Grazietta Butazzi, Alessandra Mottola Molfino Bianco e nero, ed. De Agostini, 1991 Grazietta Butazzi, Alessandra Mottola Molfino La moda e il revival, ed. De Agostini, 1992 Grazietta Butazzi, Alessandra Mottola Molfino La donna fatale, ed. De Agostini, 1991 Grazietta Butazzi, Alessandra Mottola Molfino L'uniforme borghese, ed. De Agostini, 1991 Valentina Durante, Sportsystem, tra fashion e performance, Montebelluna, Danilo Zanetti Editore, 2004 Gino Boccasile, La signorina grandi firme, Longanesi, 1981 Lydia Kamitsis, Vionnet, Octavo, 1997 François Baudot, Elsa Schiaparelli, Octavo, 1998 Brigid Keenan Dior in Vogue, Harmony books, New York, 1981 Richard Martin, Fashion and surrealism, edited Jan Fluegel, 1987 Amelia Bottero, Nostra signora la moda, ed. Mursia, 1979 Yves Saint Laurent, catalogo dell'esposizione al Metropolitan Museum of art di New York, 1984 Georgina O'Hara Il dizionario della moda ed. Zanichelli, 1994 Vittoria De Buzzaccarini Pantaloni & Co. ed. Zanfi 1989 Vittoria De Buzzaccarini Giacche da uomo, ed. Zanfi, 1994 Gertrud Lehnert Storia della moda del XX secolo, ed. Könemann Verlagsgesellshaft, 2000 Giuseppe Sergio, Parole di moda. Il Corriere delle Dame e il lessico della moda nell'Ottocento, Franco Angeli, 2010 Voci correlate Abbigliamento Capitale della moda Glamour Moda italiana Moda degli anni 2000 Kitsch Stile rétro Garçonne Vintage Altri progetti Collegamenti esterni Fashion Trasparency Index Antropologia culturale Sociologia della cultura
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https://it.wikipedia.org/wiki/Mercato%20europeo%20comune
Mercato europeo comune
Il mercato europeo comune (MEC) ci si riferisce al mercato unico dell'Unione europea (e, prima, della Comunità economica europea, CEE), la cui creazione era uno degli obiettivi fondamentali del trattato di Roma che istituì la CEE. L'espressione veniva inoltre spesso utilizzata come sinonimo di CEE. Descrizione Il trattato di Roma – firmato il 25 marzo 1957 ed entrato in vigore il 1º gennaio 1958 – fissava un periodo transitorio di dodici anni (conclusosi il 31 dicembre 1969) entro cui si sarebbe dovuto realizzare il mercato unico, vale a dire la libera circolazione di merci, servizi, persone e capitali su tutto il territorio dei sei Paesi aderenti (Francia, Germania Ovest, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo). Nel 1986 l'Atto unico europeo permise di conseguire l'attuazione delle prime tre libertà fondamentali, vale a dire la libera circolazione dei lavoratori, delle merci e dei capitali, mentre lasciava ancora irrisolti una serie di problematiche di ordine pratico relative alla libera circolazione dei servizi. L'obiettivo di un unico mercato europeo comune è stato costantemente menzionato dai principali documenti successivi: Trattato di Maastricht (1992), Trattato di Amsterdam (1999), Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (2007) e Trattato di Lisbona (2009). Dopo il fallimento di progetti di integrazione di più ampio respiro (come la CED), si scelse di procedere, in ottica funzionalista, con l'integrazione nel settore economico, meno soggetto alle resistenze dei governi nazionali. L'istituzione della CEE e, conseguentemente, del mercato unico si orientano in questo senso. La creazione del mercato interno e la garanzia del suo funzionamento è stata nuovamente ribadita dal trattato di Lisbona del 2007. Il mercato comune si basa su quattro libertà non scindibili per averne accesso: libera circolazione delle persone (Accordi di Schengen); libera circolazione dei servizi; libera circolazione delle merci (es. senza dazi doganali interni); libera circolazione dei capitali. Sulla disciplina della concorrenza e sulla limitazione degli aiuti statali alle imprese. Con esso si è voluto creare uno spazio economico unificato, con condizioni di libera concorrenza tra le imprese e permettendo di ravvicinare le condizioni di scambio dei prodotti e dei servizi. Nonostante l'eliminazione delle barriere tariffarie, avvenute in Europa già negli anni sessanta, negli anni ottanta la circolazione delle merci era ancora in parte rallentata e ostacolata dalla presenza di barriere e vincoli di tipo non tariffario. Con il termine "costo della non Europa" ci si riferiva proprio alla perdita di benessere sociale determinata dalla mancata eliminazione di tali vincoli. La presenza di barriere non tariffarie era legata alla persistenza, nei diversi Stati membri, di norme tecniche diverse, alla presenza di normative differenziate che riguardavano i trasporti e le regolamentazioni dei mercati di capitali, alla scarsa trasparenza delle procedure per gli appalti pubblici, che segmentavano la domanda gestita dagli Stati su base nazionale, e da altri ostacoli di carattere amministrativo e doganale. Altri aderenti: AELS e accordi bilaterali singoli Aderiscono al mercato europeo comune, oltre ai membri dell'Unione europea, anche i membri dell'AELS (la Svizzera, l'Islanda, la Norvegia e il Liechtenstein). Gli ultimi tre paesi hanno sottoscritto l'accordo per lo Spazio economico europeo e partecipano al mercato unico tramite questo, mentre la Svizzera è la controparte di uno specifico trattato bilaterale di libero scambio contratto con l'Unione europea. Inoltre, Andorra, Monaco, San Marino e la Turchia sono singolarmente membri dell'Unione doganale dell'Unione europea mediante altrettanti patti bilaterali. Il Regno Unito era presente nel mercato europeo comune, come membro dell'Unione europea, fino alla sua uscita effettiva avvenuta il 1º gennaio 2021 come conseguenza della Brexit, lasciando però la sola Irlanda del Nord al suo interno per mantenere vivo il contatto con la madrepatria irlandese. Voci correlate Comunità economica europea Cronologia dell'integrazione europea Direttiva dell'Unione Europea 2006/123/CE Spazio economico europeo Unione europea Storia dell'Unione europea Diritto dell'Unione europea fr:Marché commun européen
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https://it.wikipedia.org/wiki/Mec
Mec
Sigle Matrice extracellulare Medieval European Coinage – serie di 13 volumi sulla monetazione medievale, coordinati da Philip Grierson Mercato europeo comune Middle East Command – esercito britannico in Egitto durante la Seconda guerra mondiale Middle Eastern Coalition – coalizione del videogioco Battlefield 2 Midwest Express Center Milan Expo Committee – comitato giovanile per Milano Expo 2015 Movimento ecclesiale carmelitano – movimento fondato nel 1993 da Antonio Sicari Multi-access Edge Computing – tecnologia di networking in uso nelle reti 5G Codici MEC – codice aeroportuale IATA dell'aeroporto Eloy Alfaro di Manta (Ecuador) mec – codice ISO 639-3 della lingua mara
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https://it.wikipedia.org/wiki/Mantova
Mantova
Mantova (Mantua in latino e Màntua in dialetto mantovano) è un comune italiano di abitanti capoluogo dell'omonima provincia in Lombardia. Dal luglio 2008 la città d'arte lombarda, con Sabbioneta, entrambe accomunate dall'eredità lasciata dai Gonzaga che ne hanno fatto due tra i principali centri del Rinascimento italiano ed europeo, è stata inserita nella lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Data la sua importanza come capitale del prima marchesato e poi ducato di Mantova, è rappresentata tra le quattordici città nobili del Vittoriano, come simbolo di "madre nobile" e precursore della successiva monarchia sabauda e dell'unità d'Italia. Nel 2016, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha insignito Mantova del titolo di capitale italiana della cultura. Nel 2017 Mantova e la sua provincia, insieme a quelle di Bergamo, Brescia e Cremona, sono state premiate come Regione Europea della Gastronomia sotto il nome di Lombardia Orientale. Mantova è stata inoltre città europea dello sport nel 2019. Mantova è l'unica città, intesa come museo urbano diffuso, presente sulla piattaforma Google Arts & Culture, con più di 1.000 opere digitalizzate, 40 mostre virtuali allestite in 8 differenti musei virtuali. Inoltre, secondo quanto riportato nel rapporto di Legambiente "Ecosistema Urbano 2017", la città si è classificata al primo posto nella graduatoria delle migliori città italiane per qualità dell'ambiente e della vita. Geografia fisica Mantova si trova nella Lombardia sud-orientale, non lontano dal lago di Garda e dal confine con le regioni Veneto ed Emilia-Romagna. Le città di riferimento più vicine sono Verona, 40 km a nord-est, Brescia, 70 km a nord-ovest, e Modena, 65 km a sud. Territorio Idrografia Nel XII secolo l'architetto e ingegnere idraulico Alberto Pitentino, su incarico del Comune di Mantova, organizzò un sistema di difesa della città curando la sistemazione del fiume Mincio in modo da circondare completamente il centro abitato con quattro specchi d'acqua, così da formare quattro laghi: Superiore, di Mezzo, Inferiore e Paiolo; Mantova, di fatto, era un'isola. Alla campagna si accedeva attraverso due ponti – il Ponte dei Mulini e il Ponte di San Giorgio – ancora esistenti. In età comunale venne tracciato il Rio, un canale che taglia in due la città, collegando il lago Inferiore a quello Superiore. Altre dighe e chiuse consentirono un'adeguata difesa dalle acque. Nel XVII secolo una forte inondazione diede inizio a una rapida decadenza: il Mincio, trasportando i materiali solidi, trasformò i laghi in paludi malsane che condizionarono ogni ulteriore sviluppo; fu prosciugato, allora, il lago Paiolo a sud, in modo che la città restasse bagnata dall'acqua solo su tre lati – come una penisola – ed oggi ancora si presenta così. Sono, quindi, tre gli specchi d'acqua, non d'origine naturale, ricavati nell'ansa del fiume Mincio che danno a Mantova una caratteristica del tutto particolare, che ad alcuni sembra quasi magica in quanto compare come una città nata dall'acqua. Nel 1984 è stato istituito il Parco del Mincio di cui il territorio del Comune di Mantova fa parte. Flora e fauna Flora e fauna del territorio ruotano inevitabilmente attorno alla presenza a Mantova dei laghi e delle acque che la cingono. Nei laghi mantovani sono insolitamente presenti i fiori di loto (Nelumbo nucifera), originari del Sud Est asiatico. Dalle sponde del parco pubblico di Belfiore, sul lago Superiore, è ben visibile l'isola galleggiante dei fiori di loto con la spettacolare fioritura in luglio-agosto-settembre. La loro bellezza è indubbia ma dal punto di vista ambientale l'introduzione del fior di loto è stata un'operazione discutibile dato che si tratta di una specie aliena dotata di forte capacità infestante che fa sì che siano oggetto di massicci interventi periodici di sfalcio per preservare l'integrità dei laghi. La loro introduzione in Italia è opera nel 1914 dei padri Saveriani di Parma che decisero di utilizzare la fecola ottenuta dai rizomi a scopo alimentare, come da secoli facevano i cinesi. Maria Pellegreffi, giovane laureata in Scienze Naturali si occupò del trapianto dei rizomi nel Lago Superiore di Mantova nel 1921. La farina non ebbe successo nella cucina mantovana ma il fiore colonizzò i laghi. Il paesaggio emozionante e surreale che la distesa di fiori di loto concorre a creare ha dato vita anche a una leggenda sulla loro nascita in territorio. Si racconta che un giovane viaggiando per l'oriente conobbe una ragazza dagli occhi a mandorla e con la pelle profumata come i petali del fior di loto. Venuta a Mantova, la povera ragazza, nello specchiarsi nel lago, vi cadde, perdendo la vita. Il ragazzo allora gettò dei semi del fiore nel lago in modo che, fiorendo ogni estate, potessero ricordare con il loro profumo e la loro delicata bellezza la sua sposa e sconfitto dal dolore si tolse la vita sparendo anch'egli nelle acque del lago. Oltre al re incontrastato del lago, è facile vedere le specie autoctone come la castagna d'acqua (Trapa natans), detta anche trigöl, particolarmente sviluppata sul lago di Mezzo con i suoi frutti forma di piramide e commestibili, le isolette di ranuncolo d'acqua (Nuphar luteum) con i loro fiori di colore giallo dorato, che aprendosi solo in parte mantengono la particolare forma rotondeggiante e le ninfee bianche con un fiore profumato che forma raggruppamenti vegetali assieme alle altre ninfee ed erbe galleggianti (morso di rana, salvinia, Ceratophyllum demersum etc). Sul margine, assieme alle canne palustri, salici piangenti e cariceti (la famosa carésa utilizzata per impagliare sedie e confezionare cappelli e altri prodotti artigianali), cresce l'ibisco di palude, autoctono e molto raro, che si trova oltre che nelle Valli del Mincio solo in Toscana, Friuli e Veneto. Ormai scomparsa in questi territori, come in quasi in tutta Italia, la scargia (Stratiotes aloides). Gli uccelli trovano nei canneti e nelle acque del territorio palustre il luogo ideale per deporre le uova e trovare cibo. È la fauna aviare quindi quella più rappresentativa della zona anche più limitrofa alla città. L'airone rosso, le gallinelle d'acqua, le folaghe con tipico piumaggio nero in contrasto con il bianco che si estende sulla regione frontale, e altri anseriformi utilizzano il lago per "fabbricare" nidi galleggianti al limitare del canneto sulla riva o su accumuli vegetali mai troppo al largo, l'airone cenerino invece, nidifica sugli alberi vicini ai numerosi corsi d'acqua per l'irrigazione che si ramificano per i campi della provincia, luoghi di nidificazione e di caccia anche delle poiane dei tarabusi e delle più "riservate" civette. La famiglia degli aironi presenti nelle acque del Parco del Mincio, oltre al rosso e al cenerino comprende anche le garzette, svassi, sgarze ciuffetto e le nitticore. Solitamente questi uccelli si osservavano solo nei mesi tra aprile e settembre perché sono specie migratorie, ma negli ultimi anni hanno preferito sostare anche d'inverno. Tra le canne si nascondono i nidi della cannaiola e del basettino. Ma le dolci acque del lago e delle paludi del Mincio e del Po sono popolate anche dal pesce gatto, tinca, carpa, persico sole, anguilla, luccio e siluro. È possibile navigare i laghi di Mantova, con crociere che permettono di vedere tutta la città dall'acqua. Unendo l'aspetto storico, artistico e architettonico alla natura di un'oasi naturale più unica che rara. Lepri, fagiani e volpi possono essere i protagonisti di qualche incontro notturno nelle campagne mantovane. Rimpinzate dalle generose mani dei visitatori anche anatre e cigni sono da annoverare tra le specie presenti in "suolo" virgiliano, popolando, ormai senza troppi timori della presenza umana, le sponde dei laghi e regalando un forse inatteso contatto con la natura al turista della città d'arte. Sismologia Classificazione sismica: zona 3. Il terremoto dell'Emilia del maggio 2012 ha provocato danni rilevanti agli edifici storici della città. Clima Essendo una città dell'entroterra del Nord Italia, ha un clima subcontinentale dove a gennaio non sono infrequenti le nevicate. Essendo circondata da un lago porta come conseguenza che, in tutti i periodi dell'anno, il clima sia caratterizzato da una forte umidità: d'inverno si manifesta con grande frequenza il fenomeno della nebbia. Insistendo in uno spazio chiuso, com'è la Pianura Padana, d'estate il clima è afoso e umido, con poca ventilazione. La minima storica si ebbe il 16 febbraio 1929 con 19 gradi sotto zero mentre la massima si registrò il 7 luglio 1957 con 38,2 gradi all'ombra. Negli inverni degli anni dal 1930 al 1955 era abbastanza usuale che i laghi attorno alla città gelassero, almeno in parte; dopo una gelata eccezionale nel rigidissimo inverno 1985, una nuova gelata completa della superficie lacustre, prolungatasi per più di una settimana, si ebbe nella prima quindicina di febbraio 2012. Origini del nome Il mito della fondazione della città è legato a doppio filo con la storia della profetessa Manto, che la tradizione greca vuole figlia dell'indovino tebano Tiresia. Le vicende narrate nel mito vedono una dicotomia di questo personaggio (come anche accadde per quello di Longino): fonti greche narrano che Manto, fuggita da Tebe, si fermò nell'attuale Turchia; altre invece descrivono il suo arrivo, dopo lungo errare, nel territorio, allora completamente palustre, che oggi ospita la città. In questo luogo creò un lago con le sue lacrime; secondo la leggenda queste acque avevano la magica proprietà di conferire capacità profetiche a chi le beveva. Manto avrebbe incontrato e sposato la divinità fluviale Tybris (il Tevere) re dei Toscani, e il loro figlio Ocno (detto anche Bianore) avrebbe fondato una città sulle sponde del fiume Mincio chiamandola, in onore della madre, Mantua. Questa versione mitica della fondazione della città di Mantova è riportata nell'Eneide di Virgilio. Secondo un'altra teoria, Mantova trae l'origine del suo nome da Manth, dio etrusco, signore dei morti del pantheon tirreno. Il mito della fondazione di Mantova trova spazio anche nella Divina Commedia di Dante Alighieri nel XX Canto dell'Inferno, nel quale Dante stesso e la sua guida mantovana Virgilio incontrano gli indovini. Proprio indicando una di queste anime, Virgilio descrive i dintorni della città, il Lago di Garda ed il corso del Mincio che si tuffa nel Po a Governolo per affermare, riferendosi alla leggenda dell'indovina Manto: Storia Servio dice che Mantova era una delle città fondate dall'antico popolo degli Umbri. Venne successivamente abitata dagli Etruschi, ai quali seguirono i Celti. I Romani provvidero alla loro cacciata iniziando opere di fortificazione. Durante questo periodo ebbe i natali il poeta Virgilio (70 a.C.-19 a.C.). Nell'anno 1000 iniziò su Mantova il dominio dei Canossa: Tedaldo di Canossa prima e la contessa Matilde ampliarono le loro proprietà e provvidero all'edificazione di chiese e conventi. Dopo la morte di Matilde nel 1115, seguirono frequenti scontri con le popolazioni confinanti: veronesi, cremonesi e reggiani. Ezzelino da Romano nel 1246 conquistò la città col suo esercito ma dopo due mesi di battaglie venne sconfitto e cominciò per Mantova un'epoca di benessere. In questo periodo venne eretto il Palazzo del podestà e il Ponte dei Mulini e la città venne dotata di possenti mura. Nel 1276 iniziò l'ascesa di una delle famiglie più potenti del tempo, i Bonacolsi, che costruirono importanti palazzi merlati. Il 16 agosto 1328 venne ferito a morte l'ultimo dei Bonacolsi, Rinaldo detto "Passerino" ad opera di Luigi Gonzaga, spalleggiato dalla famiglia Della Scala di Verona, che ambiva ad impossessarsi della città. Iniziava così la plurisecolare dominazione della famiglia Gonzaga, che regnò su Mantova fino al 1707. Fu il periodo più importante di Mantova che divenne una delle città più in vista e uno dei massimi centri d'arte in Europa. Pisanello, Leon Battista Alberti, Andrea Mantegna, Giulio Romano e Luca Fancelli lasciarono un'impronta indelebile nell'architettura della città. Mantova subì una guerra di successione e un saccheggio a opera dei lanzichenecchi, che nel 1630 diffusero la peste. Iniziò il lento declino di Mantova, accompagnato dal tramonto della signoria dei Gonzaga che, nel 1707, lasciò la città in mano agli austriaci. Seguì la dominazione francese e nuovamente austriaca nel 1815, quando Mantova divenne caposaldo del Quadrilatero, assieme a Peschiera, Verona e Legnago. L'ultimo dei Gonzaga-Nevers, Ferdinando Carlo riparò a Venezia nel 1701. Nel 1852 avvenne l'eccidio dei Martiri di Belfiore, che anticipò l'unità nazionale. Nel 1866 Mantova entrò a far parte del Regno d'Italia. Simboli Stranamente la città è catalogata come città ghibellina, ma lo stemma è tipicamente guelfo (anti-imperiale come quello di Milano o di Genova). Blasonatura stemma Blasonatura gonfalone Onorificenze Il comune di Mantova si fregia fin dall'antichità del titolo di città, confermato con Imperial regia Patente del 24 aprile 1815. La città di Mantova è la 26ª tra le 27 città decorate con Medaglia d'Oro come "Benemerite del Risorgimento nazionale" per le azioni altamente patriottiche compiute dalla città nel periodo del Risorgimento. Periodo, definito dalla Casa Savoia, compreso tra i moti insurrezionali del 1848 e la fine della prima Guerra Mondiale nel 1918. Un'ulteriore onorificenza, la medaglia di bronzo al merito civile, è stata concessa alla città virgiliana il 31 marzo 2005 per l'azione meritoria svolta dalla popolazione in favore dei soldati italiani e alleati reclusi nei campi di concentramento tedeschi nel periodo 1943-45. Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose Cattedrale di San Pietro (Duomo) dedicato a San Pietro, l'attuale duomo in stile romanico con aggiunte gotiche, fu costruito tra il 1395 e il 1401 dopo che un incendio, secoli prima, aveva distrutto un precedente tempio paleocristiano. Fu ristrutturato nel 1545 da Giulio Romano, che lasciò intatta la facciata ma modificò le forme, ispirandosi alle basiliche paleocristiane. L'attuale facciata, in marmo di Carrara, risale al 1761. Il fianco presenta inserti gotici come rosoni, cuspidi e pinnacoli, resti dell'antica facciata. All'interno si può ammirare il soffitto a cassettoni che sovrasta le tre navate: la principale è ornata di statue di sibille e profeti risalenti al Cinquecento. Sotto l'altare maggiore è conservato il corpo incorrotto di Sant'Anselmo da Baggio patrono della città. La Cattedrale, ubicata nella monumentale piazza Sordello, è la sede vescovile di Mantova. Basilica di Sant'Andrea progettata da Leon Battista Alberti, fu edificata a partire dal 1472 e conclusa 328 anni dopo con la costruzione della cupola su disegni di Filippo Juvarra. Nella cripta è custodita all'interno dei Sacri Vasi la reliquia del Preziosissimo Sangue di Cristo portato a Mantova dal centurione romano Longino. In una delle cappelle è conservato il monumento funebre di Andrea Mantegna, sovrastato dall'effigie in bronzo del pittore della corte dei Gonzaga. Basilica palatina di Santa Barbara chiesa della corte dei Gonzaga fu voluta dal duca Guglielmo che incaricò del progetto l'architetto mantovano Giovan Battista Bertani. Parte integrante del Palazzo Ducale, l'edificazione della chiesa fu conclusa nel 1572. Rotonda di San Lorenzo è la chiesa più antica della città, costruita nell'XI secolo durante la dominazione dei Canossa. A pianta centrale rotonda, la Rotonda di San Lorenzo è posta ad un livello più basso di Piazza delle Erbe e conserva al suo interno un matroneo e tracce di affreschi di scuola bizantina risalenti ai secoli XI-XII. Nel corso dei secoli subì trasformazioni radicali; sconsacrata, divenne magazzino tanto che all'inizio del Novecento risultava inglobata in edifici successivi alla sua costruzione. Espropriati nel 1908, la rotonda di San Lorenzo fu restaurata e riaperta nel 1911 e infine riconsegnata alla sua destinazione religiosa originaria nel 1926. Chiesa di San Sebastiano iniziata nel 1460 da Luca Fancelli su progetto di Leon Battista Alberti, fu completata nel 1529. Sconsacrata nel XVIII secolo fu adibita a diversi usi fino al 1925 quando, dopo un discutibile restauro che ha aggiunto le due scalinate d'ingresso, è stata trasformata in famedio dei caduti mantovani di tutte le guerre. Sinagoga Norsa Torrazzo fu trasferita e fedelmente ricostruita nella sua attuale ubicazione, quando fu decisa la demolizione del quartiere ebraico, tra il 1899 e il 1902. Seminario vescovile l'edificio, situato accanto al Duomo in Via Fratelli Cairoli, fu ristrutturato nel 1825 in stile neoclassico come si rileva in particolare nella facciata e nel cortile interno. Chiesa di Sant'Apollonia – via Benzoni 20 Chiesa di San Barnaba – piazza Bazzani Chiesa di Santa Caterina – corso Garibaldi Chiesa di San Cristoforo – via Acerbi Chiesa di Sant'Egidio – via Frattini Chiesa di San Filippo Neri – via Pasquale Miglioretti (Borgochiesanuova) Chiesa di San Francesco – piazza san Francesco d'Assisi 5 Chiesa dei Santi Gervasio e Protasio – via Trento 1 Chiesa di San Giuseppe Artigiano – via Indipendenza Chiesa di San Leonardo – piazza San Leonardo Chiesa di San Luigi Gonzaga - via Semeghini Defendi 8 (Te Brunetti) Chiesa della Madonna del Terremoto – piazza Canossa Chiesa di Santa Maria degli Angeli – via della Certosa (Borgo Angeli) Chiesa di Santa Maria dei Miracoli - piazza Frassino 2 (Frassino) Chiesa di Santa Maria del Gradaro – via Gradaro Chiesa di Santa Maria della Carità – via Corridoni 33 Chiesa di Santa Maria del Carmine Chiesa di Santa Maria della Vittoria – via Fernelli Chiesa di San Martino – via Pomponazzo Chiesa di San Maurizio – via Chiassi Chiesa di San Michele Arcangelo - via Verona 47 (Cittadella) Chiesa di Ognissanti – corso Vittorio Emanuele 146 Chiesa di Sant'Orsola – corso Vittorio Emanuele 53 Chiesa di Santa Paola – piazza dei Mille Chiesa di San Pio X papa - viale don Luigi Sturzo 22 Chiesa dei Santi Simone e Giuda – via Fernelli Chiesa di Santo Spirito – via Vittorino da Feltre Chiesa di Santa Teresa – via Mazzini Edifici religiosi scomparsi Chiesa delle Quarant'ore Chiesa di San Domenico Chiesa di San Giovanni al Tempio Chiesa di Sant'Agnese Chiesa di Santa Maria di Capo di Bove Chiesa di Santo Stefano Oratorio di Santa Maria del Melone Architetture civili Palazzo Ducale è forse più giusto parlare di "città-palazzo", in quanto il complesso architettonico è costituito da numerosi edifici collegati tra loro da corridoi e gallerie, ed arricchito da cortili interni, alcuni pensili, e vasti giardini. La reggia dei Gonzaga, per estensione dei tetti, è la seconda in Europa superata unicamente dal Vaticano. Non appare improprio definire la reggia gonzaghesca come i Palazzi Ducali, stante l'abitudine di quasi ogni Duca di edificare una propria dimora che si andava aggregando a quanto precedentemente costruito. Già prima dell'avvento al potere dei Gonzaga erano stati edificati i primi nuclei del Palazzo, ma la storia del complesso si identifica soprattutto con quella della famiglia che governò la città fino al 1707. Tra le altre, celeberrima è la cosiddetta Camera degli Sposi (Camera picta) nel Castello di San Giorgio, parte della "città-palazzo", affrescata da Andrea Mantegna e dedicata a Ludovico III Gonzaga e a sua moglie Barbara di Brandeburgo. Diventata Mantova austriaca, le ristrutturazioni sono proseguite fino alla seconda metà del XVIII secolo per opera dei governatori inviati dall'Imperatore. Palazzo Te è opera di Giulio Romano che nel 1525 lo ideò su commissione del marchese Federico II Gonzaga che lo utilizzò per i suoi svaghi. Vi fece dimorare l'amante "ufficiale" Isabella Boschetti. Il "Palazzo dei lucidi inganni" sorgeva al centro di un'isola ricca di boschi e circondata dalle acque di un lago, ora prosciugato: misterioso, ricco di simboli e di miti che risaltano nelle sale stupendamente affrescate anche dallo stesso Giulio Romano, come la celeberrima Sala dei giganti e quella di Amore e Psiche e, non ultima, la sala dei cavalli che celebra le scuderie gonzaghesche all'epoca famose in tutta Europa. Palazzo della Ragione fu edificato quand'era podestà Guido da Correggio (1242), in epoca comunale, con funzioni pubbliche e allo scopo di consentire le assemblee e le adunanze cittadine. Al piano terreno il palazzo ospitava, come ora, numerose botteghe, mentre nell'ampio salone al piano superiore, si amministrava la giustizia. Sulle pareti di questo ambiente sono visibili i resti di affreschi medievali della fine del XII e del XIII secolo recentemente restaurati. A questo salone si accede tramite una ripida scala posta sotto la Torre dell'Orologio innalzata nel Quattrocento, epoca alla quale risalgono anche i portici che si affacciano su Piazza Erbe. Il Palazzo è ora adibito a sede espositiva ospitando mostre d'arte organizzate dal Comune di Mantova. Palazzo Bonacolsi (Castiglioni) si trova in Piazza Sordello, fu edificato da Pinamonte dei Bonacolsi intorno al 1272 e riadattato da Luigi Gonzaga dopo la conquista del potere nel 1328. È stato l'antica dimora della famiglia Bonacolsi, che governò la città dal 1272 al 1328. Il palazzo è attualmente ancora dimora della famiglia dei conti Castiglioni, discendente da Baldassarre Castiglione, uomo politico e studioso del XVI secolo, autore de Il Cortegiano. Al piano terra l'originario portone dell'ingresso con grande arco sesto acuto bicolore e decorato con scudi con lo stemma dei Bonacolsi. Palazzo del Podestà detto anche "Palazzo del Broletto", fu costruito nel 1227, committente il bresciano Laudarengo Martinengo nominato podestà di Mantova. Dal 1462 fu sottoposto ad un'importante ristrutturazione a opera di Giovanni da Arezzo su incarico di Ludovico III Gonzaga. Palazzo di San Sebastiano fu costruito tra il 1506 e il 1508 per volere del marchese Francesco II che lo abitò e vi morì nel 1519. Fu utilizzato dai Gonzaga per trent'anni e già nel 1536 abbandonato e spogliato dai successivi duchi.Nel salone principale del palazzo vi erano le nove tele del Mantegna raffiguranti I Trionfi di Cesare che furono vendute alla corona inglese ed oggi sono conservate ad Hampton Court. Subì molteplici trasformazioni fino al 1998 quando sono iniziati i restauri. Dal 2005 è adibito a Museo della Città. Nelle sale che conservano ancora tracce di affreschi del glorioso passato come la Camera del Crogiuolo, la Camera delle Frecce, la Camera del Sole e nella Loggia dei Marmi, sono esposti dipinti, statue, busti, fregi e altri reperti architettonici. Palazzo d'Arco fu costruito nel 1784 su un preesistente palazzo del XV secolo dall'architetto Antonio Colonna per la famiglia di origini trentine D'Arco. Caratterizzato dall'ampia facciata neoclassica ispirata all'arte del Palladio, il palazzo è sede museale per i tesori d'arte che contiene: tuttora arredato con i mobili della casata ospita importanti collezioni artistiche tra cui spiccano le tele settecentesche di Giuseppe Bazzani, una biblioteca di oltre seimila volumi e una collezione di strumenti scientifici. Nella Sala dello Zodiaco sono visibili affreschi (1520) attribuiti a Giovanni Maria Falconetto. Nel Palazzo vi si celebrò nel 1810 il processo a Andreas Hofer eroe dell'indipendenza tirolese contro la dominazione francese. Casa del Mantegna dimora del pittore Andrea Mantegna, sorse su un terreno donato dal marchese Ludovico Gonzaga che lo nominò pittore di corte nel 1457. È un edificio quadrato di mattoni rossi con al centro un cortile cilindrico spalancato su un tondo di cielo, riproposto nella celeberrima Camera degli sposi in Palazzo Ducale. Casa di Rigoletto Giuseppe Verdi ne musicò la storia e i mantovani gli diedero la residenza; verso la fine di Piazza Sordello si trova la casa del "Rigoletto", il buffone di corte Gonzaga.Il personaggio ha in realtà poco di mantovano, l'omonima opera di Verdi infatti venne tratta da un dramma di Victor Hugo e riadattata in territorio mantovano, trasformando il re di Francia nel duca di Mantova, e cambiando il nome del protagonista da Triboulet a Rigoletto.La struttura quattrocentesca accoglie la scultura del Rigoletto, opera di Aldo Falchi, sistemata nel piccolo cortile interno. Altri palazzi e dimore storiche Casa della Beata Osanna Andreasi in via Frattini 9. Si tratta di un esempio unico di dimora mantovana costruita nel XV secolo, in stile fancelliano, dove visse la beata Osanna Andreasi componente di un'illustre famiglia che fu partecipe della classe dirigente e culturale dello Stato gonzaghesco. Casa del Bertani in via Trieste 8. Fu dimora di Giovan Battista Bertani, architetto al servizio dei duchi Gonzaga, che tra il 1554 e il 1556 trasformò il preesistente edificio del 1300 di proprietà dei marchesi Striggi. Singolare fu l'idea di inserire nella facciata due lapidi con incisi testi di Vitruvio e due colonne ioniche, delle quali una segata a metà con incisioni e decorazioni che didatticamente riportano le regole desumibili dal trattato vitruviano, De architectura. Successivamente la proprietà della casa del Bertani cambiò numerose volte rivivendo una nuova breve stagione artistica quando negli anni cinquanta del XX secolo fu acquistata dal pittore mantovano Vindizio Nodari Pesenti. Casa di Giulio Romano sita in via Carlo Poma 18, fu Federico Gonzaga a convincere Giulio Pippi detto Giulio Romano a venire a Mantova. Abbisognando di un'abitazione Giulio Romano, nell'anno 1544, nell'allora Contrada Larga, si costruì la dimora che nonostante un intervento nell'Ottocento dell'architetto Paolo Pozzo, mantiene inalterato lo stile architettonico del Romano. Casa del Mercante Angolo tra piazza delle Erbe e piazza Mantegna. È detta anche "Casa di Boniforte da Concorezzo", antico proprietario che la fece costruire nell'anno 1455. L'edificio è caratterizzato da una sorprendente facciata tutta in cotto con decorazioni di stile veneziano. Casa del mercato in piazza Marconi. L'edificio, presumibilmente corrispondente alla Domus Mercati, fu riedificato nel 1462 dall'architetto Luca Fancelli su committenza del marchese Ludovico Gonzaga. Durante i lavori di restauro (1997-2001), sono tornati alla luce importanti affreschi attribuiti alla scuola di Andrea Mantegna. Casa del Rabbino in via Giuseppe Bertani 54. Fu edificata negli anni intorno al 1680 dall'architetto fiammingo Frans Geffels, a Mantova come prefetto delle Fabbriche Gonzaghesche. Edificio di quattro piani, la facciata è caratterizzata da pannelli in stucco che raffigurano luoghi ed episodi biblici. Fu costruita all'interno del ghetto istituito alcuni decenni prima, accogliendo, come da tradizione, le famiglie dei capi religiosi della folta comunità ebraica mantovana. Ospedale Grande di San Leonardo in piazza Virgiliana. Voluto da Ludovico III Gonzaga per pubblica assistenza e terminato intorno al 1470 per opera dell'architetto Luca Fancelli, nel 1797 fu trasformato in carcere e successivamente in caserma. Attualmente ospita uffici della Polizia di Stato. Palazzo dell'Accademia in via Accademia, piazza Dante. Su progetto di Giuseppe Piermarini del 1770, fu l'architetto Paolo Pozzo ad occuparsi, tra 1773 e 1775, dei lavori di ricostruzione del palazzo di origine medievale che era diventato prima sede dell'Accademia degli Invaghiti e poi della Reale Accademia di Scienze e Belle Lettere, attuale Accademia Nazionale Virgiliana. L'edificio di stile neoclassico include un tipico esempio di Barocco rappresentato dal teatro Scientifico dell'Accademia detto del Bibiena, dal nome dell'architetto Antonio Bibiena che lo costruì fra 1767 e 1769 Palazzo dell'agricoltura in piazza Martiri di Belfiore. Fu edificato nel 1926-27 come Palazzo dei Sindacati su progetto dell'ing. Carlo Finzi. Assunse l'attuale denominazione divenendo sede delle maggiori organizzazioni provinciali legate all'agricoltura come il Consorzio Agrario, la Federazione Coltivatori Diretti, la Federazione degli Agricoltori e l'Ispettorato Agrario. Palazzo della Banca d'Italia In via Baldassare Castiglioni 3. Fu edificato tra il 1914 e il 1923 su progetto dell'architetto Gaetano Moretti esponente del Liberty e dell'Eclettismo. Quest'ultimo stile si evidenzia nelle finiture e nelle decorazioni delle facciate che richiamano le architetture gotica, barocca, rinascimentale ed esotica. Costruito per ospitare la sede provinciale della Banca d'Italia, cessò tale funzione alla fine del 2008 con la chiusura della filiale di Mantova dell'Istituto d'emissione. Nel frattempo, il 29 gennaio 2007 il palazzo fu classificato d'interesse storico-artistico dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia. Palazzo Canossa sito in piazza Canossa. Il palazzo fu costruito nel Seicento su committenza dei marchesi Canossa, famiglia di antica stirpe proveniente da Verona. La facciata, in bugnato, richiama le soluzioni cinquecentesche di Giulio Romano ed è caratterizzata da un portale di marmo guardato a vista da due cani usciti dallo stemma di famiglia. Altro dettaglio di particolare valore architettonico è un monumentale scalone barocco che conduce al piano nobile del palazzo. Palazzo Capilupi in via Concezione. Divenne dimora della nobile famiglia Capilupi nel 1414. Il portale d'entrata fu progettato da Giulio Romano. Palazzo Cavriani in via Trento. Fu dal Quattrocento dimora della nobile famiglia Cavriani. Venne ricostruito nel 1756 dall'architetto Alfonso Torreggiani. L'esterno presenta una serie di finestre con robuste inferriate, mentre quelle del piano superiore hanno coperture triangolari e a semiluna. L'interno si apre con un ampio salone ricco di stucchi e affreschi di pittori mantovani tra i quali Giuseppe Bazzani e Francesco Maria Raineri. Palazzo Colloredo in via Carlo Poma 11. Il palazzo noto anche come "palazzo Guerrieri-Gonzaga", fu acquistato da Giovanni Battista Guerrieri nel 1599 che ne affidò la ristrutturazione all'architetto Antonio Maria Viani. La facciata pre-barocca è caratterizzata e decorata da dodici erme realizzate in malta di calce con una finitura superficiale in marmorino alternanti figure maschili e femminili. Divenuto proprietà dei conti Colloredo con Carlo Ludovico Colloredo marito di Eleonora Gonzaga (1699-1779) della linea di Vescovato, il 30 marzo 1872 viene acquistato dal Comune e destinato a sede degli Uffici Giudiziari del Tribunale. Da allora divenne il "Palazzo di Giustizia" della città. Palazzo Di Bagno in via Principe Amedeo 30,32. Palazzo settecentesco ha subito intervento ottocenteschi sui prospetti per opera dell'architetto Giovanni Cherubini. I locali interni sono stati decorati da pittori di valore come Giuseppe Bazzani e Giovanni Cadioli. Attualmente è sede della Prefettura e dell'Amministrazione Provinciale. Palazzo Municipale in via Roma 39. È sede di uffici e della sala consigliare del comune di Mantova. Il palazzo che apparteneva dal secolo XV al ramo dei Gonzaga di Bozzolo, dopo numerosi passaggi di proprietà, fu acquistato dalla civica amministrazione nel 1819, la quale ne dispose la ristrutturazione, sia interna che esterna, tra 1825 e 1832, con affidamento dell'incarico all'architetto neoclassico Gian Battista Vergani. Palazzo Sordi in via Pomponazzo 23. Fu il primo marchese del casato dei Sordi, Benedetto, a volere la costruzione del palazzo omonimo. Commissionò il progetto e il seguimento dei lavori, iniziati nel 1680, all'architetto fiammingo Frans Geffels, prefetto delle fabbriche gonzaghesche. Ne nacque uno dei rari esempi di barocco della città Virgiliana. Di particolare valore sopra il portale d'ingresso, un tondo con La Madonna col Bambino, altorilievo di Giovanni Battista Barberini, opera inserita in una facciata d'ordine dorico e ad intonaco e parzialmente a bugnato rustico ricca di altre decorazioni e bassorilievi in marmo e stucco. Il Palazzo è privato e quindi chiuso al pubblico. Palazzo Valenti Gonzaga in via Pietro Frattini 7. Residenza dei marchesi Valenti Gonzaga fin dal 1500, il palazzo fu oggetto di una radicale trasformazione nel XVII secolo, costituendo un impianto architettonico gigantesco, fastoso all'esterno, stupefacente il cortile interno riccamente decorato a stucco, e ricco d'affreschi e statue d'autore all'interno. Rappresenta da allora uno degli esempi più importanti di architettura e decorazioni del periodo barocco a Mantova. Come per altre opere di tale stile, l'autore fu l'architetto Frans Geffels (1625-1694). Recentemente restaurato, è adibito ad uffici. Pescherie denominate anche Loggia di Giulio Romano, furono appunto progettate dal grande architetto del manierismo. L'opera, eseguita del 1536, consistette nella trasformazione del ponte medievale che attraversava il Rio con la costruzione di due porticati paralleli che furono destinati al commercio del pesce. Villa Nuvolari in viale Piave 28. Originariamente denominata Villa Rossini; fu infatti commissionata dal campione di tiro a volo Romolo Rossini, all'architetto Luigi Corsini, nel 1926. La sua costruzione iniziò nel 1929, mentre negli anni quaranta fu acquistata da Tazio Nuvolari, il quale non vi visse mai, limitandosi ad utilizzarne il giardino come autorimessa. Alla morte del campione automobilistico, la vedova Carolina Nuvolari cedette la villa all'ospedale cittadino Carlo Poma in cambio di un vitalizio. Dal 2005 l'edificio è diventato sede di istituti bancari. Ca' degli Uberti – piazza Sordello Casa della Cervetta – piazza delle Erbe Casa di Marco Antonio Antimaco – via Porto Casa de' Speziali – via Giovanni Chiassi Casa Tortelli – piazza Broletto Palazzo Acerbi – piazza Sordello Palazzo Andreani, detto anche "palazzo della camera di commercio" – via Calvi Palazzo Andreasi – via Cavour Palazzo Arrivabene, attribuito a Luca Fancelli – via Giovanni Arrivabene Palazzo Benzoni – via Mazzini Palazzo Bianchi, detto anche "palazzo vescovile" – piazza Sordello Palazzo Biondi – via Cavriani Palazzo Bonoris – via Cavour Palazzo Cadenazzi-Risi – via Cavour Palazzo Cantone del Bonsignore del XVIII secolo – via Giulio Romano Palazzo Cantoni-Marca – via Giovanni Chiassi Palazzo del Capitano, in seguito parte del "palazzo Ducale" – piazza Sordello Palazzo Capilupi De Grado - piazza San Giovanni Palazzetto dei conti Casali – via Fratelli Bandiera Palazzo del Mago – piazza San Leonardo Palazzo del Massaro – piazza Broletto Palazzo Gonzaga di Vescovato – via Principe Amedeo Palazzo Mainoldi, adibito nell'Ottocento a carcere della Mainolda – Via della Mainolda Palazzo Nievo - Via Ippolito Nievo Palazzo Plattis poi Siliprandi - via Giovanni Arrivabene Palazzo di San Cristoforo – via Giulio Romano Palazzo Strozzi – corso Vittorio Emanuele Palazzo degli Studi – via Roberto Ardigò Palazzo Valentini – corso Vittorio Emanuele Ponti Ponte dei Mulini il ponte fu progettato dall'ingegnere Alberto Pitentino, costruito nel XII secolo allo scopo di regolare le acque del fiume Mincio ed evitarne l'impaludamento. Fu quindi creato artificialmente un dislivello di alcuni metri tra il lago Superiore e il lago di Mezzo, che dall'anno 1229 alimentò 12 mulini. L'antica costruzione medievale andò distrutta dai bombardamenti aerei della seconda guerra mondiale. Ponte di San Giorgio il ponte era incluso nel sistema militare difensivo unendo il borgo fortificato di San Giorgio con la corte dei Gonzaga. Dapprima in legno, fu edificato in muratura da Ludovico Gonzaga sul finire del XIV secolo, così dividendo il lago di Mezzo dal lago Inferiore. Nel 1922 le arcate furono interrate e il ponte assunse la forma attuale. Teatri Teatro Bibiena in via Accademia 47. Il "Teatro Scientifico dell'Accademia", capolavoro di Antonio Bibiena (1697-1774) fu inaugurato il 3 dicembre 1769. Poche settimane dopo, il 16 gennaio 1770, ospitò un concerto del giovane Mozart, non ancora quattordicenne. L'austera facciata neoclassica, opera del Piermarini, sembra celare la fantasiosa espressione tardobarocca del teatro che tanto entusiasmo suscitò in Mozart padre. Nello stesso edificio ha sede l'Accademia Nazionale Virgiliana fondata nel 1768. Teatro Sociale in piazza Cavallotti. Il Teatro Sociale nacque per iniziativa di un gruppo di cittadini costituenti una società di novanta palchettisti. L'architetto Luigi Canonica fu incaricato di progettare un teatro di gusto neoclassico che dopo quattro anni di lavoro fu aperto al pubblico la sera del 26 dicembre 1822. La sala del Teatro Sociale di Mantova è composta da cinque ordini: tre ordini di palchi, due ordini di gallerie (loggia, loggione). Canonica decise di affidarsi all'Hayez per le decorazioni interne. Il Teatro Sociale è tuttora aperto ed in funzione. È un teatro privato, posseduto da circa ottanta palchettisti che ne curano la manutenzione ed il buon funzionamento. È un teatro riconosciuto dalla legge 14 agosto 1967 nº800 come uno dei 29 Teatri di Tradizione italiani. Teatro di Corte dei Gonzaga non è più attivo dal 1896. L'area ora occupata dal Museo archeologico nazionale di Mantova era inclusa nel perimetro del Palazzo Ducale e a partire dal 1549, committente il cardinale Ercole Gonzaga e progettista l'architetto Giovan Battista Bertani, su quest'area sorse il primo teatro della Corte dei Gonzaga. Andato distrutto da un incendio fu ricostruito tra il 1591 e il 1592. Un terzo teatro progettato dall'architetto Antonio Maria Viani fu inaugurato nel 1608 con la rappresentazione della tragedia di Claudio Monteverdi L'Arianna. In epoca austriaca un quarto teatro, Nuovo Teatro Arciducale, fu inaugurato il 27 febbraio 1733. I primi disegni furono di Ferdinando Galli da Bibbiena e il lavoro fu portato a termine da un suo allievo, Andrea Galluzzi. Un quinto teatro, su disegno di Giuseppe Piermarini, ebbe la luce il 10 maggio 1783. Il Regio, così venne denominato nel corso del secolo XIX, a causa della concorrenza del nuovo Teatro Sociale venne abbandonato poco alla volta. Nel 1896 il Teatro Regio, venduto dal demanio, fu acquistato dal Comune di Mantova che lo trasformò radicalmente prima a mercato dei bozzoli, poi a mercato ortofrutticolo ed infine destinato alla funzione attuale di sede del Museo Archeologico Nazionale di Mantova. Torri civili Torre dell'Orologio la torre, a pianta rettangolare, fu eretta nel 1472 su progetto di Luca Fancelli e l'orologio a funzionamento meccanico progettato da Bartolomeo Manfredi vi fu collocato l'anno successivo. Nella nicchia sottostante, ricavata nel 1639, è stata collocata una statua della Madonna Immacolata. Torre del Podestà la "Torre Civica" del Broletto (altro nome della torre), alla quale è addossata Casa Tortelli, si erge sulla piazza omonima, ha un'altezza di quasi 47 metri e dall'anno 1227 su iniziativa del podestà Laudarengo Martinengo, è parte integrante del maestoso Palazzo del Podestà. Sul lato verso piazza Broletto spicca l'arma del podestà Gabriello Ginori, del 1494. Torre degli Zuccaro la torre, alta 42 metri, fu edificata nella prima metà del XII secolo. Le prime testimonianze scritte sono del 1143. Sorge in via Enrico Tazzoli. Il nome gli deriva dalla famiglia che ne sarebbe stata proprietaria, anche se la fantasia popolare ha alimentato l'idea che il nome nascesse dalla presenza di zucchero immagazzinato nei pressi, infatti è detta "Tor dal Sücar" nel dialetto locale. Venne acquistata da Pinamonte dei Bonacolsi nel 1273 dalla famiglia dei Ripalta. Torre dei Gambulini la torre, alta 37 metri, sorge in via Ardigò. Da documentazione dell'epoca era già esistente nel 1200, derivando il nome dalla famiglia che la possedeva. Da questi ceduta alla famiglia Ripalta e poi ai da Oculo, nel 1289 divenne proprietà dei Gonzaga, non ancora sovrani di Mantova. L'edificio annesso alla torre divenne dimora saltuaria di Aloisio Gonzaga, signore di Castel Goffredo. Qui mori il 30 novembre 1526 il condottiero Giovanni dalle Bande Nere. Successivamente fu accorpata al collegio e al convento dei gesuiti e dal 1883 è parte del complesso dell'Archivio di Stato di Mantova.Negli ultimi tempi è stato lanciato il progetto di trasformare la torre in una terrazza panoramica che consenta la visione a 360 gradi del centro storico di Mantova. Torre del Salaro del XIII secolo, fu utilizzata come deposito del sale. Torre degli Arrivabene la torre angolare sorge in via Arrivabene e venne eretta contemporaneamente all'omonimo palazzo di famiglia, attribuito a Luca Fancelli, nel 1481. Torre di San Domenico Sorge a fianco delle Pescherie di Giulio Romano ed è quanto resta della chiesa e del convento di San Domenico eretti in stile gotico nel 1466. Torre civica del Palazzo del Podestà Casa torre dei Boateri, del XIII secolo Cartiera Burgo L'edificio fu progettato da Pier Luigi Nervi su commissione delle Cartiere Burgo e realizzato tra il 1961 e il 1964. L'obbiettivo prioritario era quello di collocare in un unico ambiente lungo 250 metri, un'unica macchina a ciclo continuo per trasformare la pasta di legno in carta da giornale. La soluzione trovata da Nervi per la copertura ha fatto sì che la costruzione fosse denominata "fabbrica sospesa" in particolare per i quattro cavi d'acciaio sospesi a due telai di cemento armato alti 50 metri.Il 9 febbraio 2013 le macchine della cartiera Burgo si sono fermate segnando la fine della produzione di carta. Nel 2015 lo stabilimento è acquisito dal gruppo trevigiano Pro Gest della famiglia Zago per essere riconvertito nella produzione di carta riciclata per imballaggi con il nome di Pro Gest Mantova e con un investimento di 150 milioni di euro.. Architetture militari Castello di San Giorgio maniero a difesa della città-fortezza di Mantova, venne edificato dal 1395 al 1406 da Bartolino da Novara su committenza di Francesco I Gonzaga sulle rovine della Chiesa di Santa Maria di Capo di Bove. Rocca di Sparafucile eretta in epoca medievale, era parte delle fortificazioni orientali di Mantova, in particolare adibita alla difesa del ponte di San Giorgio, tanto da essere a lungo esclusivamente denominata Rocchetta di San Giorgio. La sua attuale denominazione si affermò successivamente all'ambientazione sulla "deserta sponda del Mincio", dell'osteria del sicario Sparafucile, luogo del tragico epilogo del Rigoletto, una delle più note opere di Giuseppe Verdi. Forte di Pietole il forte di Pietole, pur sorgendo oggigiorno nel comune di Borgo Virgilio, faceva parte del sistema difensivo della città di Mantova insieme al Castello di San Giorgio e al Forte di Belfiore. Fu costruito dai francesi nel 1808. Torri difensive Torre della Gabbia la torre venne innalzata dai Bonacolsi negli ultimi decenni del XIII secolo e acquisì la denominazione attuale nel 1576 quando il duca Guglielmo Gonzaga fece costruire la grande gabbia in ferro con funzione di "carcere all'aperto" dove i condannati venivano esposti al pubblico ludibrio. Torre di Sant'Alò o Torre Nuova la torre è una costruzione del 1370 sita in Piazza Arche, che faceva parte del sistema difensivo della città. Casa torre dei Bonacolsi la torre, che sorge al termine di vicolo Bonacolsi, fa parte del Palazzo Bonacolsi, del XIII secolo. Porte Porta Giulia Porta Giulia è l'unica attuale testimonianza delle fortificazioni d'epoca medievale e rinascimentale. Già esistente in epoca bonacolsiana, fu rifatta nell'anno 1549, probabilmente progettata da Giulio Romano. Deve il nome all'esistenza, all'epoca della sua prima edificazione, dell'attigua chiesa di Santa Giulia, successivamente andata distrutta. Voltone di San Pietro "Voltone di San Pietro" o "Porta di San Pietro", sino alla fine del XIII secolo, era una delle tre antiche porte che, inserita nella prima cinta muraria della città, chiudeva l'accesso a Piazza San Pietro (ora Piazza Sordello), centro della civitas vetus. Portali delle Aquile i due "Portali delle Aquile", muniti di cancellate, avevano la funzione di delimitare lo spazio paesistico circostante Palazzo Te. Il progetto dei portali e dell'area verde che contemplasse viale alberati da adibire al pubblico passeggio, fu affidato nel 1805 a Giovanni Antonio Antolini, Regio Architetto ed Ispettore dei Reali Palazzi di Mantova. Le aquile che sormontano i portali, furono disegnate dall'architetto bolognese e scolpite nel 1808 dal veronese Gaetano Muttoni. Nel 1990 i Portali delle Aquile furono restaurati su iniziativa del F.A.I. Fondo per l'Ambiente Italiano. Piazze e vie Piazza Sordello è l'antico fulcro della vita artistica e politica di Mantova, di dimensioni modeste (150 × 60 m) accoglie tra i principali edifici monumentali della città, come il Palazzo Ducale (Palazzo del Capitano e Domus Magna), il palazzo Acerbi, al cui interno è collocata la cappella Bonacolsi, sovrastato dalla Torre della Gabbia, il palazzo Bonacolsi (ora Castiglioni), la sede vescovile di palazzo Bianchi (dal nome della famiglia che lo edificò nel Settecento) e il Duomo. Una recente casuale scoperta archeologica (dicembre 2006) ha riportato alla luce i pavimenti a mosaico e i resti di una domus romana d'età imperiale attualmente visitabile all'interno di una struttura provvisoria. Via Broletto importante arteria viaria che collega Piazza delle Erbe a Piazza Sordello, passando sotto il Voltone di San Pietro. Piazza Broletto con l'ampliamento della città al di là del primitivo nucleo storico, verso l'anno 1190, fu creata Piazza Broletto che ancora oggi è attorniata da edifici del periodo comunale come il Palazzo del Massaro, l'Arengario e il Palazzo del Podestà, detto anche Palazzo del Broletto, con la Torre Comunale. Sulla facciata di quest'ultimo palazzo, spicca una statua duecentesca di scuola veronese raffigurante Virgilio in cattedra, tradizionalmente chiamata nel dialetto locale "la vecia" (la vecchia). Al centro della piazza dal 1894 è stata posta una fontana con vasca in marmo veronese e tre delfini posti verticalmente. Piazza Erbe da sempre luogo di scambi commerciali, si apre a sud con la "Casa di Giovan Boniforte da Concorezzo" (o "Casa del Mercante") del 1455, continua con la romanica Rotonda di San Lorenzo, la Torre dell'Orologio, il Palazzo della Ragione e si chiude con Palazzo Broletto (o del Podestà) edificato nel XII secolo, che la separa e dà il nome all'adiacente piazza. Piazza Matilde di Canossa Sulla piazza si affacciano il seicentesco Palazzo Canossa, la chiesa della Madonna del Terremoto e, sul terzo lato, un palazzo porticato del 1720. Dal Cinquecento ai giorni nostri la piazza cambiò nome diverse volte assumendo in sequenza le denominazioni di Plateola cum uno puteo (piazzetta col pozzo), "piazza alberriggia" e, nel XVII secolo, "piazza del fieno" quando con la costruzione di Palazzo Canossa si trasformò in modo definitivo. Sulla piazza è anche presente un'antica edicola liberty di giornali, risalente al 1882 e restaurata a cura del FAI Fondo Ambiente Italiano. Piazza Virgiliana in origine esisteva il porto dell'"Ancona" con il tempo parzialmente interrato. Piazza Virgiliana fu voluta dal generale Sextius Alexandre François de Miollis, governatore durante l'occupazione francese, che indusse le autorità cittadine a trasformare lo spazio informe, spesso parzialmente sommerso dalle esondazione del lago di Mezzo, in una piazza adibita alle esercitazioni militari e a ospitare un monumento che ricordasse essere Mantova la patria di Virgilio. L'incarico fu dato all'architetto Paolo Pozzo. Furono colmati gli avvallamenti e demolite costruzione di scarso valore che cingevano lo spiazzo per consentire l'inserimento di alberi, piante e arbusti. Il monumento inaugurato nel 1801, fu distrutto nel 1919 per essere sostituito dall'attuale opera in marmo di Carrara, il cui progetto fu affidato all'architetto Luca Beltrami. L'inaugurazione avvenne nel 1927. Piazza 80º Fanteria Piazza Leon Battista Alberti Piazza Anconetta Piazza Ferrante Aporti Piazza Arche Piazza Cesare Bazzani Piazza Canonica San Pietro Piazza Castello Piazza Felice Cavallotti Piazza Concordia Piazza Carlo d'Arco Piazza dei Filippini Piazza dei Mille Piazza Teofilo Folengo Piazza Lega Lombarda anche Piazza Pallone Piazza Andrea Mantegna Piazza Martiri di Belfiore Piazza Guglielmo Marconi già Piazza Purgo Piazza Giovanni Paccagnini già Piazza Paradiso Piazza Polveriera Piazza San Francesco d'Assisi Piazza San Giovanni Piazza San Leonardo Piazza Santa Barbara Piazza Adolfo Viterbi Società Evoluzione demografica I comuni di Porto Mantovano, Curtatone, Borgo Virgilio, San Giorgio Bigarello, Roncoferraro, Bagnolo San Vito e Marmirolo, adiacenti alla città, costituiscono con il comune di Mantova un'unica zona residenziale. In questa conurbazione, alla data del 01/01/15, sono risultati residenti, divisi in abitanti del Comune cittadino e dell'hinterland. Questa evoluzione demografica ha suscitato opinioni favorevoli alla trasformazione di comune cittadino e hinterland in un'unica municipalità, denominata indicativamente come "Grande Mantova". La mobilità della popolazione residente nel territorio comunale della città di Mantova, negli ultimi decenni, è stata caratterizzata da una fase d'immigrazione negli anni cinquanta e sessanta del XX secolo. La crescita della popolazione di circa unità tra i censimenti Istat del 1951 e del 1971 fu dovuto a nuovi insediamenti industriali e allo sviluppo del terziario cittadino che hanno rappresentato una valida alternativa per la popolazione rurale della provincia mantovana ormai non più assorbita da un settore agricolo velocemente meccanizzatosi. Dai dati ISTAT 1971 ai dati del 2001, il decremento della popolazione si fece rilevante, circa abitanti, la gran parte dei quali emigrati nei territori dei comuni confinanti, comunque all'interno dell'ipotetica "Grande Mantova". Il declino demografico si arresta nel primo decennio del XXI secolo, conseguenza di una rilevante immigrazione dall'estero che è andata a compensare la perseverante mobilità in uscita a favore dei comuni dell'hinterland dei cittadini di nazionalità italiana. Alla fine del 2010 risultavano residenti nel comune di Mantova abitanti, di cui femmine e maschi. Il numero delle famiglia continua ad aumentare (), aumento soprattutto dovuto al regolare trend in diminuzione del numero di componenti delle famiglie mantovane: 2,05. Ad inizio 2011 si è costituito con atto notarile, un comitato a favore dell'unificazione nell'unico comune di Mantova dei quattro comuni circostanti (Curtatone, Porto Mantovano, San Giorgio di Mantova, Virgilio). Tuttavia, ad oggi, questo progetto non si è concretizzato a causa di divergenze di carattere politico delle diverse amministrazioni comunali. Questo "distacco" ha portato i comuni confinanti di San Giorgio di Mantova a fondersi con i più distanti e decentrati Bigarello, per dar vita al comune di San Giorgio Bigarello a partire dal 1º gennaio 2019, e Virgilio con Borgoforte per dar vita al comune di Borgo Virgilio, a partire dal 4 febbraio 2014. Questo avvicendarsi allontana le prospettive di una reale fusione in un unico ente locale dei comuni della "Grande Mantova". A partire dagli anni 2010, la popolazione del comune capoluogo ha ripreso ad aumentare, per la prima volta dagli anni Settanta, lentamente ma in maniera costante, grazie all'apprezzabile contributo migratorio (sia dall'Italia che dall'estero), in parte compensato dal saldo naturale negativo. Questa crescita, tuttavia, ha subìto un rallentamento a causa del diffondersi della pandemia da COVID-19 negli anni 2020 e 2021 che ha portato il trend, in crescita da quasi una decina d'anni, a subire una battuta d'arresto. Etnie e minoranze straniere La popolazione comunale è stata caratterizzata negli anni 2000, da una crescente immigrazione dall'estero. Al 31 dicembre 2021 gli immigrati stranieri erano corrispondenti al 16,1% della popolazione residente. Le nazionalità più rappresentate sono: Marocco, Romania, Brasile, Ucraina, Albania, Cina, Tunisia, Bangladesh, Ghana, Nigeria, Religione Qualità della vita Dalla ricerca di "Italia Oggi-Università La Sapienza di Roma", Mantova nel 2016 risulta al primo posto per la qualità della vita in Italia. Istituzioni, enti e associazioni 4º Reggimento artiglieria controaerei "Peschiera" Strutture ospedaliere Ospedale Carlo Poma Cultura Istruzione Biblioteche e archivi Archivio di Stato di Mantova - Via Roberto Ardigò, 11 Archivio comunale di Mantova - Corso G. Garibaldi, 88 - Piazza B. Aliprandi, 3 Archivio storico diocesano di Mantova - piazza Sordello, 15 Archivio della Comunità ebraica di Mantova - via Gilberto Govi, 13 Biblioteca Teresiana - Via Roberto Ardigò, 13 Biblioteca Mediateca Gino Baratta - Corso Garibaldi, 88 Biblioteca dell'Istituto mantovano di storia contemporanea - Corso Garibaldi, 88 Biblioteca del Museo civico di Palazzo Te - Viale Te 13 Biblioteca dell'Accademia Nazionale Virgiliana - Via Accademia 47 Biblioteca dell'Università Politecnico di Milano-Polo regionale di Mantova - Via Scarsellini, 15 Biblioteca Fondazione Bam - Corso Vittorio Emanuele II, 13 Biblioteca dell'Azienda ospedaliera Carlo Poma - Viale Albertoni 1 Centro di ricerca sull'emigrazione lombarda - Associazione mantovani nel mondo onlus - Via Mazzini 22 Scuole Scuole secondarie di secondo grado: Liceo "Virgilio", classico e linguistico Liceo scientifico "Belfiore" Istituto superiore "Enrico Fermi" (istituto tecnico settore tecnologico, liceo scientifico delle scienze applicate) Liceo "Isabella d'Este" e Istituto superiore" Carlo d'Arco" Istituto tecnico economico "Alberto Pitentino" Istituto tecnico economico tecnologico "Andrea Mantegna" Istituto d'istruzione superiore "San Giovanni Bosco" (ex IPSIA "Leonardo da Vinci") Istituto superiore "Bonomi-Mazzolari" (istituto professionale di Stato per abbigliamento, moda, servizi commerciali, sociali e turistici) Istituto e liceo statale d'arte "G.Romano" Istituto d'istruzione superiore "Strozzi" Conservatorio di Musica "Lucio Campiani" Istituti "Redentore" (licei classico, linguistico, scientifico e liceo linguistico quadriennale) Istituti "Santa Paola" Mantova, fondati da don Antonio Bottoglia negli anni Sessanta Università Fondazione UniverMantova è, dal giugno 2015, la nuova denominazione della Fondazione Università di Mantova, che era stata costituita il 20 dicembre 2001, la quale aveva a sua volta sostituito il Consorzio Universitario Mantovano, attivo dal 1992 al 2001. Suo scopo principale è promuovere e gestire il sistema universitario mantovano, costituito da corsi di laurea istituiti dal Politecnico di Milano, dall'Università degli Studi di Brescia, dall'Università degli Studi di Milano, dall'Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e dall'Università degli Studi della Repubblica di San Marino. Con l'anno accademico 2018-19 è stato inaugurato il corso di laurea magistrale in conservazione e restauro dei beni culturali degli Istituti Santa Paola Mantova. Istituzioni culturali Accademia nazionale virgiliana di scienza lettere ed arti – via Accademia Società per il Palazzo ducale di Mantova, fondata nel 1902 – via Certosa Centro internazionale d'arte e cultura di palazzo Te – viale Te Fondazione "Umberto Artioli" Mantova capitale europea dello spettacolo – largo XXIV Maggio Fondazione centro studi "Leon Battista Alberti" – largo XXIV Maggio Fondazione istituto "Giuseppe Franchetti" – via Pescheria Accademia teatrale "Francesco Campogalliani" – teatrino di palazzo d'Arco Associazione culturale Mantova ebraica – via Gilberto Govi Fondazione Banca Agricola Mantovana – corso Vittorio Emanuele II Fondazione Comunità mantovana – via Portazzolo Musei e gallerie Palazzo Ducale - Complesso Museale Mantova – piazza Sordello Museo civico di Palazzo Te e raccolta egizia Giuseppe Acerbi – viale Te MACA - Mantova Collezioni Antiche – largo XXIV Maggio Museo Archeologico Nazionale – piazza Castello Museo diocesano Francesco Gonzaga – piazza Virgiliana Museo di Palazzo d'Arco – piazza Carlo d'Arco Accademia nazionale Virgiliana di Scienze, Lettere e Arti – via Accademia Rotonda di San Lorenzo – piazza Erbe Torre dell'Orologio e Museo del Tempo – piazza Erbe Casa del Mantegna – via G. Acerbi Casa della Beata Osanna Andreasi – via Pietro Frattini Madonna della Vittoria, ex chiesa di Santa Maria della Vittoria – via Claudio Monteverdi Sinagoga ebraica "Norsa Torrazzo" – via Gilberto Govi Galleria Storica del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco – largo Vigili del Fuoco Collezione numismatica della Fondazione Banca Agricola Mantovana – corso Vittorio Emanuele II Galleria d'Arte della Fondazione BAM – corso Vittorio Emanuele II Galleria "Arte e Arti" - Il patrimonio artistico della Camera di commercio – via Pier Fortunato Calvi Galleria Museo di Palazzo Valenti Gonzaga – via Pietro Frattini Museo Tazio Nuvolari e Learco Guerra, ex chiesa del Carmelino, Via Giulio Romano – ang. via Nazario Sauro Parco della Scienza – viale Mincio Museo della Gazzetta di Mantova – piazza Mozzarelli Media Stampa Gazzetta di Mantova La Voce di Mantova La Cittadella Il Giorno (ed. locale di Mantova) La nuova Cronaca di Mantova Periodici Online L'Altra Mantova Mantova Notizie Televisione Telemantova Editoria Universitas Studiorum Arte Cinema Lista dei maggiori film e miniserie televisive che hanno avuto Mantova come set: Il mulino del Po, 1948, di Alberto Lattuada. Sensualità, 1952, di Clemente Fracassi. Senso, 1954, di Luchino Visconti. Guerra e pace, 1956, di King Vidor. Le italiane e l'amore, 1961. La marcia su Roma, 1962, di Dino Risi; attori protagonisti Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi. La visita, 1963, di Antonio Pietrangeli. La parmigiana, 1963, di Antonio Pietrangeli. Le stagioni del nostro amore, 1965, di Florestano Vancini; attore protagonista Enrico Maria Salerno. Strategia del ragno, 1970, di Bernardo Bertolucci. Addio fratello crudele, 1971, di Giuseppe Patroni Griffi. Il diavolo nel cervello, 1972, di Sergio Sollima; attrice protagonista Stefania Sandrelli. Il potere, 1974, di Augusto Tretti. Salò o le 120 giornate di Sodoma, 1975, di Pier Paolo Pasolini. Povero Cristo, 1975, di Pier Carpi. Novecento, 1976, di Bernardo Bertolucci; attori protagonisti Robert De Niro e Gérard Depardieu. Gran bollito, 1977, di Mauro Bolognini; attrice protagonista Shelley Winters. Ligabue, 1977, di Salvatore Nocita. Il corpo della ragassa, 1979, di Pasquale Festa Campanile con Enrico Maria Salerno e Lilli Carati. Delitto di stato, 1982, di Gianfranco De Bosio, miniserie TV in cinque puntate. La Certosa di Parma, 1982, di Mauro Bolognini, miniserie TV in sei puntate. Don Camillo, 1983, di Terence Hill. Domani mi sposo, 1984, di Francesco Massaro. Miss Arizona, 1987, di Pál Sándor. La partita, 1988, di Carlo Vanzina I promessi sposi, 1989, di Salvatore Nocita, miniserie TV, sceneggiato televisivo. Solo per dirti addio, 1991 regia di Sergio Sollima, miniserie TV. Il Portaborse, 1991, di Daniele Luchetti; attori protagonisti Silvio Orlando e Nanni Moretti. La famiglia Ricordi, 1995, di Mauro Bolognini, miniserie TV in quattro puntate. Il goal del martin pescatore, 1996, di Ruggero Miti con Mara Venier. Marquise, 1997, di Véra Belmont. Radiofreccia, 1998, di Luciano Ligabue Monella, 1998, di Pier Carpi Viola bacia tutti, 1998, di Giovanni Veronesi. Amor nello specchio (1999), di Salvatore Maira; attrice protagonista Anna Galiena. Il mestiere delle armi, 2001, di Ermanno Olmi. Prima dammi un bacio, 2003, di Ermanno Olmi. Renzo e Lucia, 2004, di Francesca Archibugi, miniserie TV in due puntate. Agata e la tempesta, 2004, di Silvio Soldini. Monamour, 2005, di Tinto Brass. Sandrine nella pioggia, 2007, di Tonino Zangardi. Rigoletto a Mantova, 2010, di Marco Bellocchio, film televisivo in diretta, trasposizione dell'omonima opera di Giuseppe Verdi. Il Processo, 2019, di Stefano Lodovichi, serie televisiva Cucina Fra i prodotti tipici della cucina mantovana troviamo: Mantovana (pane) Antipasti Sorbir d'agnoli Salumi mantovani e grana Polenta, grasso pestato e schiacciatine Primi piatti Tortelli di zucca Agnolini in brodo Risotto alla pilota Risotto col puntèl Capunsei Frittata mantovana con le rane Frittata con i saltarèi (gamberetti di lago) Secondi piatti Luccio in salsa Stracotto d'asino Cappone alla Stefani Anguilla marinata Dolci Sbrisolona Anello di Monaco (dolce stagionale del periodo natalizio) Caldi dolci (stagionali del periodo di ognissanti e del giorno dei morti) Torta Elvezia Sugolo d'uva Bussolano Fiapòn Torta di tagliatelle Bignolata mantovana Torta greca Torta delle rose Eventi Mantova Comics & Games (febbraio), salone del fumetto e del gioco, dal 2006 si tiene annualmente al PalaBam idealmente proseguendo Ludicamente, rassegna che fu ospitata per alcuni anni dal 2003 nelle piazze di Mantova, dedicata interamente al gioco non tecnologico. Gran Premio Nuvolari. Dal 1991 competizione di regolarità riservata alle auto storiche Premio Arlecchino d'Oro (giugno), nato nel 1999 per iniziativa del "Centro Studi Mantova Capitale Europea dello Spettacolo" ora Fondazione, ha lo scopo di rendere omaggio a Tristano Martinelli, attore mantovano a cui si deve l'invenzione della maschera di Arlecchino. Inserito nel programma di una rassegna di teatro, musica e danza, il premio viene consegnato ad un artista del mondo dello spettacolo di valore e fama internazionale. Dal 2006 il premio è inserito nel Festival Teatro - Arlecchino d'Oro, che la Fondazione Mantova Capitale Europea dello Spettacolo organizza e dirige negli ultimi dieci giorni di giugno su mandato del Comune di Mantova. Incontro Nazionale dei Madonnari (14 e 15 agosto) dal 1973, ogni anno nel piazzale del Santuario della Beata Vergine delle Grazie nel comune di Curtatone, decine di pittori, provenienti da tutto il mondo, dipingono coi gessetti sull'asfalto del piazzale del Santuario durante la Fiera di Ferragosto. Festivaletteratura (settembre), dal 1997 organizza e ospita incontri con autori, reading, spettacoli, concerti, laboratori per adulti e bambini. Segni d'infanzia (novembre), festival internazionale d'arte e teatro per l'infanzia. Nato nel 2006 da un'idea di Dario Moretti, Segni d'infanzia è un grande evento artistico rivolto al mondo dell'infanzia, con particolare attenzione ai bambini dai 18 mesi ai 12 anni. La direzione artistica ed organizzativa del festival, promosso dal Comune di Mantova, è di Teatro all'improvviso, compagnia professionale di Teatro per ragazzi. Mantova Medievale: dal 2006 si ripete ogni anno, col sostegno del Comune, fra il mese di agosto e il mese di settembre, l'edizione di Mantova Medievale, una manifestazione organizzata da La Compagnia della Rosa a.d. 1403. Negli spazi adiacenti al lungolago Gonzaga e al prato antistante il Castello di San Giorgio viene allestito un villaggio medievale. Rievocatori provenienti da tutta Italia e da paesi europei tra cui Portogallo, Svizzera, Germania, Repubblica Ceca animano l'accampamento e mostrano i loro equipaggiamenti. Le attrazioni più attese sono il lancio della scure danese, il tiro con l'arco e i giochi di abilità medievali. A conclusione della manifestazione davanti al castello di San Giorgio viene inscenata la battaglia campale. Mantova Musica Festival: per quattro edizioni dal 2004 fu organizzata, sulle orme del consolidato e più noto festival letterario mantovano, una rassegna di musica interessata alle nuove tendenze e frontiere: l'elettronica, il jazz e la musica contemporanea. Con spazi per dibattiti, presentazioni di libri, bande musicali, satira e l'incontro tra la musica e il teatro. Mantova Chamber Music Festival, festival di musica da camera. Mantova fu la prima città italiana ad avere la sua controparte fedele in Second Life. Riproduceva quanto più fedelmente possibile la Mantova reale, utilizzando misure, foto e disposizione degli edifici come dal vero. Operante su tre livelli, centro storico, Palazzo Te e Castello di San Giorgio, si estendeva su due Sim. Furono ricostruiti il museo Tazio Nuvolari, il Teatro Bibiena, la Basilica di Sant'Andrea. La Sim era teatro di eventi culturali e di aggregazione avendo la possibilità di proporre manifestazioni reali e virtuali. Mostre: Nel 2002 presso le Fruttiere di Palazzo Te e a Palazzo Ducale è stata allestita la Celeste Galeria, Il museo dei Duchi di Mantova. 5 anni di studi scientifici, 60 studiosi coinvolti nelle ricerche, 519.000 visitatori, con una media giornaliera di 3923 biglietti per la mostra che ha riportato nella sua cornice ideale, da tutto il mondo, parte della prestigiosa e imponente collezione dei Gonzaga della seconda metà del Seicento. Tra il settembre 2006 ed il gennaio 2007, la città – assieme a Verona e Padova – ha organizzato un percorso culturale sull'arte di Andrea Mantegna, in occasione del quinto centenario della morte, avvenuta proprio a Mantova. Già nel 1961 venne realizzata un'esposizione che meritò a Mantova l'appellativo di "Città del Mantegna". Per una mostra pittorica quello fu il primo grande evento di massa che portò nella città virgiliana più di 200 000 visitatori. Geografia antropica Urbanistica Quartieri Elenco dei quartieri con relativi residenti al 31/12/2019. Centro – (ab. ) Valletta Paiolo – (ab. ) Lunetta – (ab. ) Valletta Valsecchi – (ab. ) Colle Aperto – (ab. ) Borgo Pompilio – (ab. ) Borgo Chiesanuova – (ab. ) Te Brunetti – (ab. ) Castelnuovo Angeli – (ab. ) Cittadella – (ab. ) Dosso del Corso – (ab. ) Belfiore – (ab. 870) Formigosa – (ab. 766) Frassino – (ab. 739) Castelletto Borgo – (ab. 480) Gambarara – (ab. 490) Virgiliana – (ab. 539) Ponte Rosso – (ab. 357) Valdaro – (ab. 219) Economia Ricoprono un ruolo importante nell'economia cittadina il commercio al dettaglio e i servizi del terziario. Tra questi ultimi risaltano la testata giornalistica locale "Gazzetta di Mantova", considerato il più antico quotidiano d'Italia, e la Banca Agricola Mantovana fondata nel 1871 che, in seguito ad un'Offerta pubblica di acquisto del 1999, è entrata a far parte del gruppo bancario Montepaschi. Il processo di acquisizione si è concluso con la fusione per incorporazione di Banca Agricola Mantovana Spa in Banca Monte dei Paschi di Siena avvenuta il 22 settembre 2008. Dall'anno 2000 opera con sede in Mantova e alcune altre filiali in provincia, la Banca Popolare di Mantova ceduta nel 2008 dal Banco Popolare alla Banca Popolare di Milano. Rilevanti sono le attività connesse all'allevamento e all'agricoltura e alle industrie trasformatrici delle loro produzioni: si parla soprattutto della produzione di burro, formaggio e di salumi (tra cui spicca il Salame mantovano). L'importanza del settore economico primario per l'economia mantovana è dimostrata dalla presenza a Mantova di una delle più importanti borsa merci agricole della pianura Padana che dal 30 settembre 2010 è sede della Commissione Unica Nazionale dei suini da macello. Il primo ottobre 2006 esordisce a Mantova il primo mercato contadino italiano che anticipò il decreto ministeriale che solo alla fine del 2007 ne regolamenterà l'attività. Nei primi anni del secondo dopoguerra s'insediarono la Cartiera Burgo e industrie chimiche e petrolchimiche. La prima fu la società di raffinamento del petrolio ICIP, oggi IES Italiana Energia e Servizi s.p.a., che costruita a partire dal 1947 iniziò la produzione il 20 dicembre 1953 ed è stata acquisita nell'anno 2007 dal gruppo ungherese MOL. Importante insediamento chimico è la Versalis del gruppo Eni che continua l'attività dello stabilimento chimico sorto nel 1956 su iniziativa della Edison, proseguita poi sotto altre denominazioni come Montedison, Montedipe e Polimeri Europa. Molto attivi anche il settore dell'abbigliamento, con importanti insediamenti presenti nel territorio comunale della città, Lubiam, Valstar e Corneliani, in particolare specializzati nella moda per uomo, e il settore meccanico dove spiccano la Belleli, passata attraverso una grave crisi negli anni passati, e la SOGEFI, ormai multinazionale attiva nella componentistica per autoveicoli quotata presso la Borsa di Milano fin dal 1986 che nel 2008 ha annunciato la chiusura, definitivamente portata a termine nel gennaio dell'anno successivo, dello storico primo stabilimento mantovano. Nel settore dell'artigianato sono ancora diffuse e rinomate le antiche lavorazioni della ceramica e della porcellana. Principali aziende operanti in città MOL (raffineria) Versalis (energia e chimica di base) TEA (energia, gas, acqua) Immsi S.p.A. (industria motoristica/navale) Lubiam (abbigliamento) Corneliani (abbigliamento) Bottoli (alimentari: schiacciatine) Grossi Carta (cartiera) Plastisac (imballaggi) Consorzio Latterie Virgilio (alimentari: latte, yogurt e formaggio) APAM (azienda di trasporti pubblici) Gazzetta di Mantova (informazione) Banca Agricola Mantovana (oggi Mps) (banca) Banca Popolare di Mantova Belleli Energy (impiantistica) Sisma S.p.A. (igiene) Infrastrutture e trasporti Strade Mantova è attraversata dalle ex strade statali: 10 Padana Inferiore, 62 della Cisa, 236 Goitese, 420 Sabbionetana e 482 Alto Polesana. Due sono i caselli autostradali dell'autostrada A22 Modena-Brennero, denominati Mantova nord e Mantova sud, ubicati nei limitrofi comuni di San Giorgio di Mantova e Bagnolo San Vito, sui quali gravita il traffico della città. Mantova è servita anche da due tangenziali: Tangenziale nord di Mantova, che attraversa i comuni di Mantova, San Giorgio, Porto Mantovano e Marmirolo. Tangenziale Sud di Mantova, che attraversa i comuni di Mantova, Borgo Virgilio e Curtatone. Ferrovie e tranvie La stazione di Mantova, servita da relazioni regionali svolte da Trenitalia, Trenord e Tper. Posto sulla linea Verona-Modena, tale impianto è altresì origine delle linee per Monselice e per Cremona. Un'altra linea, la ferrovia Mantova Peschiera, fu in esercizio fra il 1934 e il 1967. Sulla linea per Monselice è presente una seconda stazione, Mantova Frassine, dalla quale si dirama il raccordo per il porto di Valdaro. Sulla linea Verona-Modena, il 9 dicembre 2012, è stata aperta all'esercizio la fermata di Borgochiesanuova. Altre due stazioni sono presenti nell'hinterland cittadino: la stazione di Sant'Antonio Mantovano nel comune di Porto Mantovano, e quella di Levata nel comune di Curtatone. In passato Mantova fu interessata anche dal percorso di alcune tranvie extraurbane, la linea Brescia-Mantova-Ostiglia, esercita a vapore dalla Società Italiana Tramvie e Autovie di Lombardia e Romagna, attiva fra il 1882 e il 1933 e le linee per Asola e Viadana, in carico alle Tranvie Provinciali Mantovane, attive fra il 1886 e il 1953 nella loro parte terminale, elettrificata nel 1926. Entro il 2023 Mantova sarà collegata direttamente a Reggio Emilia e alla stazione di Reggio Mediopadana, sottostante quella di Reggio Emilia AV Mediopadana, via Suzzara e Guastalla in poco più di un'ora di viaggio. Attualmente il collegamento è già esistente, ma molto più lento (da due ore a due ore e quaranta) a causa del doppio cambio a Suzzara e a Guastalla, dei lunghi tempi di attesa e per i treni diesel attualmente utilizzati. Una volta elettrificate la ferrovia Reggio Emilia-Guastalla (entro l'estate 2020) e almeno la tratta fra Guastalla e Suzzara della ferrovia Parma-Suzzara-Poggio Rusco (entro il 2022), sarà invece possibile un collegamento diretto e veloce. Porti Il porto di Mantova è situato in località Valdaro all'imbocco del canale Mantova-Venezia noto anche come idrovia Fissero-Tartaro-Canalbianco-Po di Levante che consente a navi della V classe per 365 giorni all'anno il collegamento diretto con il mare Adriatico distante 135 km e con la laguna di Venezia. La conca di San Leone nei pressi di Governolo mette in collegamento il porto di Mantova tramite il canale Fissero con il fiume Po. Un raccordo ferroviario unisce il porto alla linea Mantova-Monselice. Porto Catena è l'antico porto commerciale di Mantova, già attivo dal 1200, ora adibito a sole funzioni turistiche. È situato in una piccola insenatura del lago Inferiore nella quale si immette il Rio, canale artificiale che attraversa la città dal XII secolo. Mobilità urbana La città è dotata di un servizio di autobus gestito dall'APAM, acronimo di Azienda Pubblici Autoservizi Mantova. Il servizio di trasporto pubblico urbano che interessa anche il territorio dei comuni limitrofi quali Porto Mantovano, San Giorgio di Mantova, Bigarello, Borgo Virgilio e Curtatone, ossia la cosiddetta "Grande Mantova", è fornito attraverso corse di nove linee. L'APAM adempie anche alla gestione di una rete linee interurbane, in massima parte con capolinea nel capoluogo. L'azienda ATV adempie invece al collegamento con la città di Verona attraverso l'itinerario per Castelbelforte. La rete tranviaria di Mantova, attiva fra il 1908 e il 1953, era un insieme di relazioni costituito da due linee prettamente urbane di pertinenza comunale e da ulteriori tre a carattere suburbano gestite dalla Provincia, realizzate in parte sfruttando le infrastrutture delle preesistenti tranvie a vapore. Piste ciclabili Aeroporti Mantova è servita dall'Aeroporto di Verona-Villafranca, che dista circa dal centro cittadino e opera un servizio d'importanza strategica per le province di Verona, Mantova, Brescia, Trento e Bolzano. L'aeroporto è collegato giornalmente con le principali località nazionali (Roma, Palermo, Catania, Napoli, Olbia, Bari, Cagliari) oltre che con alcune internazionali come Amsterdam, Londra, Parigi, Barcellona, Francoforte sul Meno, Mosca-Domodedovo, Bruxelles, Bucarest, Varsavia, ed è raggiungibile in auto attraverso l'A22 oppure la SR62. Aviosuperfici La città di Mantova dispone di alcune aviosuperfici e campi volo, anche nell'ambito della propria provincia. Il locale Aero Club ha sede presso l'Aviosuperficie Città di Curtatone ed è intitolato al Generale Pilota Alessandro Bladelli, mantovano tra i fondatori della Pattuglia Acrobatica Getti Tonanti, antesignana delle attuali Frecce Tricolori. Presso l'Aviosuperficie Città di Curtatone si svolgono attività di volo a motore sia con ultraleggeri che aviazione generale. Amministrazione Gemellaggi Mantova è gemellata con: Altre informazioni amministrative Mantova fa parte dell'Associazione nazionale città del pane. Sport La città di Mantova vanta importanti figure distintisi in ambito sportivo. Il più famoso è senz'altro Tazio Nuvolari, conosciuto anche come il Mantovano volante. Ai due "campioni" mantovani per eccellenza, Nuvolari e il ciclista Learco Guerra, è dedicato un museo provvisoriamente ospitato in alcune stanze del Palazzo Ducale in piazza Sordello. Calcio Il , nella sua storia centenaria, fu infatti fondato nel 1911, ha disputato 12 campionati di Serie A, dei quali 5 di Prima Divisione negli anni venti, e 17 campionati di Serie B. Il calcio virgiliano ha raggiunto l'apice nell'arco di tempo che va dal campionato 1958/1959 a quello del 1961/1962, grazie ad una superformazione passata alla storia con l'appellativo di Piccolo Brasile guidata da Edmondo Fabbri, futuro c.t. della Nazionale di calcio dell'Italia. Quella squadra passò in quattro anni dalla quarta serie all'Olimpo del calcio. Dopo due retrocessioni consecutive, dal 1973 i biancorossi (questi i colori sociali dell') hanno vivacchiato per anni in Serie C, subendo l'onta di due fallimenti (1983,1994) e risollevandosi in seguito all'arrivo dei presidenti Alberto Castagnaro e Fabrizio Lori. Al primo si deve il ritorno in C1 (2003/2004), al secondo il passaggio dalla C1 alla B. Doveroso ricordare anche Romano Freddi, che seppur poco amato dalla piazza, fu l'artefice della salvaguardia del calcio a Mantova, quando nell'estate del 1994 la società per la seconda volta fallì. La squadra di calcio della città era tornata in serie B alla conclusione della stagione 2004/2005, dopo ben 32 anni di assenza. La cadetteria fu conquistata al termine dei play-off, giocati e vinti contro Frosinone e . La stagione 2005/2006 ha visto il mancare di poco l'immediata promozione alla serie A nella finale dei play-off con il , vittoria per 4-2 a Mantova e sconfitta a Torino per 3-1 dopo i tempi supplementari. Dopo cinque anni di discreti campionati in serie B, alla fine del campionato 2009/2010, l' retrocesse in Lega Pro. Il 30 giugno 2010 la squadra virgiliana non riuscì ad iscriversi al campionato di Lega Pro, scomparendo in tal modo dal calcio professionistico. Fallita l'A.C.Mantova, il calcio rinacque come Mantova Football Club che subito vinse il campionato di serie D riportando immediatamente il calcio virgiliano tra i professionisti, in Lega Pro, ma dopo alcune stagioni tormentate da svariati cambi di gestione risultati fallimentari, nell'estate del 2017 i biancorossi vengono esclusi dalla Serie C dopo essersi salvati sul campo ripartendo nuovamente dalla Serie D con il nome di Mantova 1911 . In ambito calcistico Mantova ha dato i natali a Roberto Boninsegna arrivato fino alla Nazionale di calcio italiana, militando in grandi squadre di Serie A come Cagliari, , Juventus. Pallavolo Buona la tradizione sportiva mantovana per quanto riguarda la pallavolo maschile. La Pallavolo Mantova conquistò la Serie A1 alla fine del campionato 1986-87. Disputò due campionati nella massima serie, venendo poi sostituita per tre anni dalla Gabbiamo Virgilio, comunque invischiate entrambe sul fondo della classifica. Negli anni novanta la Pallavolo Mantova ha militato diverse volte in serie A2. Con la stagione 2006/07, culminata con la vittoria dei play-off promozione, c'e l'approdo del Top Team Volley Mantova al campionato di Serie A2. Lo stesso Top Team Volley ha vinto la Coppa Italia di Serie B nel 2006 e nel 2007. Pallacanestro Dal 2012 Mantova ospita anche la Pallacanestro Mantovana, nota fino al 2013 come Pallacanestro Primavera Mirandola dell'omonima cittadina modenese, attualmente militante nella A2 Gold e che disputa le gare interne al PalaBam.Inoltre è presente la società San Pio che milita in C silver con una notevole attività giovanile. Ciclismo Nel 1931 Learco Guerra vinse il Campionato del mondo di ciclismo, a Copenaghen (Danimarca). Nello stesso anno viene istituita la maglia rosa quale simbolo del primato in classifica ed è proprio Learco Guerra ad indossarla per primo risultando vincitore della tappa inaugurale del 19ºGiro d'Italia, partita da Milano e conclusasi nella natia Mantova. Il "Giro" ha concluso una tappa a Mantova in dieci occasioni. Nel 1963 la città virgiliana è stata solamente sede di partenza della tappa conclusasi a Treviso. Tappe del Giro d'Italia con arrivo a Mantova: 1923 9ª tappa Trieste-Mantova, vinta da Alfredo Sivocci 1931 1ª tappa Milano-Mantova, vinta da Learco Guerra 1935 2ª tappa Cremona-Mantova, vinta da Domenico Piemontesi 1946 16ª tappa Verona-Mantova, vinta da Elio Bertocchi 1956 5ª tappa Voghera-Mantova, vinta da Miguel Poblet 1967 15ª tappa Lido degli Estensi-Mantova, vinta da Michele Dancelli 1971 11ª tappa Sestola-Mantova, vinta da Marino Basso 1981 16ª tappa Milano-Mantova, vinta da Claudio Torelli 1983 1ª tappa Brescia-Mantova, (cron. a squadre) vinta dalla Bianchi 1989 11ª tappa Riccione-Mantova, vinta da Urs Freuler Nel 2008 con un crono prologo di fronte a Palazzo Te vinto dall'olandese Mirjam Melchers, è partito il "Giro d'Italia femminile". Sullo stesso viale Te, nel 2015, si è conclusa la terza tappa del Giro Rosa 2015, la Curtatone > Mantova, con vittoria dell'olandese Lucinda Brand. Mantova è stata anche sede d'arrivo di un'importante corsa ciclistica, la Milano-Mantova, disputata a partire dal 1906 per 24 volte e disputata per l'ultima volta nel 1962 con vittoria di Pierino Baffi. Canottieri Mincio La società Canottieri Mincio nasce nel 1883 come una società polisportiva. Le sue origini sono legate agli sport, in particolare quelli acquatici: nuoto, tuffi, vela, canottaggio e canoa sono le discipline che la distinguono e che hanno esportato il suo nome in Italia e nel mondo. Diverse sono anche le personalità che ne hanno fatto la storia: da Gabriele D'Annunzio, che nel 1928 coniò il motto della società (ancora oggi in uso) "Perseverando arrivi", ad Azeglio Mondini, classe 1923 che dal 1937 fu un grande maestro di canottaggio e che formò sportivi d'alto livello come Marco Penna; oppure Giacomo Bottoli ed Andrea Bonezzi (velisti d'alto livello) e Bruno Pizzamiglio che diede vita alla scuola mantovana di tuffi dove sono nati grandi sportivi come Francesco Priori e Massimo Nibioli. Motocross Mantova ha acquisito negli ultimi anni una notevole importanza nell'ambito delle competizioni di motocross disputate nel circuito del Migliaretto. Nel 1991, 1996, 1998, 2000, 2007, 2008 si è svolto il gran premio d'Italia, nel 2010, 2015 e 2016 il gran premio di Lombardia, prove facenti parte del Campionato mondiale di motocross. Altri sport Discreta la tradizione del rugby mantovano, grazie al "Rugby Mantova", società sportiva nata nel 1974 che gareggia stabilmente nella serie B nazionale. Il Rugby Mantova ha partecipato con una piccola quota alla franchigia italiana di rugby a 15 capitanata dal Rugby Viadana, denominata Aironi Rugby, che partecipò per due anni alla Celtic League. In tarda primavera a Mantova viene disputata la stracittadina "Minciomarcia", corsa podistica non agonistica aperta a tutti. Giunta nel 2011 alla 38ª edizione, vede la partecipazione di un numero di partecipanti spesso superiore a . Dal 1987, con la vittoria nella prima edizione del maratoneta Orlando Pizzolato, viene disputata una corsa competitiva denominata "Maratonina di Mantova". Dopo alcuni anni di sospensione è stata disputata in via continuativa dal 1997, giungendo nel 2011 alla sua 20ª edizione. La serie A2 fu conquistata per due volte, a cavallo dell'anno 2000, dal "Circolo Scacchistico Mantovano" che, rinato nel 1995, fu in grado di organizzare a Mantova nel 1996 la finale del 56º Campionato Italiano Assoluto di scacchi e la finale del 28º Campionato italiano Femminile. Vi è stata altra breve presenza in serie A2 nell'anno 2010. Dal 2013 a Mantova è attiva una squadra di calcio a 5 che partecipa al campionato nazionale di serie B e gioca le partite interne al palazzetto dello sport del quartiere di Lunetta, il PalaLù. Impianti sportivi Stadio Danilo Martelli è il principale impianto sportivo della città. Inaugurato negli anni 30 ha subito numerose ristrutturazioni nel corso degli anni per stabilizzare la struttura. Ci gioca al suo interno le partite il ed ha una capienza di posti a sedere. PalaBam, principale palazzetto dello sport di Mantova, inaugurato nel settembre 2005, deve il suo nome all'acronimo BAM della Banca Agricola Mantovana istituto di credito cittadino incorporato nel 2008 da Banca MPS. Ha una capienza di quasi spettatori che con tribune mobili poste sul parterre, raggiunge la cifra di . Il PalaBam ha spesso ospitato concerti e spettacoli teatrali di richiamo nazionale e internazionale anche nell'attiguo centro fieristico che ospita esposizione di settore tra le quali ha acquisito rinomanza nazionale Mantova Comics & Games. PalaLù è il secondo palazzetto dello sport di Mantova, risiedente nel quartiere popolare di Lunetta. Inaugurato nel 2012, al suo interno ci giocano le partite della Pallamano femminile mantovana. Campo scuola Tazio Nuvolari è un impianto per l'atletica leggera dotato di manto in tartan situato in Via Learco Guerra nei pressi del bosco Virgiliano. Campo da motocross Tazio Nuvolari, in Via Learco Guerra, località Migliaretto, è un impianto agonistico che ospita anche competizioni del Campionato mondiale di motocross. Note Bibliografia . Voci correlate Associazione nazionale città del pane Ducato di Mantova Gonzaga Laghi di Mantova Marchesato di Mantova Monetazione di Mantova Rinascimento mantovano Sovrani di Mantova Museo diffuso del Risorgimento Altri progetti Collegamenti esterni Sito ufficiale Patrimoni dell'umanità d'Italia
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Molise
Il Molise (AFI: , ) è una regione italiana a statuto ordinario dell'Italia meridionale di abitanti, con capoluogo Campobasso. Nata nel 1963 per distaccamento della provincia di Campobasso dalla regione Abruzzi e Molise, istituita nel 1948, confina con l'Abruzzo e il Mare Adriatico a nord, con il Lazio a ovest, la Campania a sud e la Puglia a est; le province sono Campobasso e Isernia, quest'ultima istituita nel 1970 per distaccamento di 52 comuni dalla provincia di Campobasso. Il termine "Molise" proviene dai primi feudatari del Contado, che avevano il cognome "De Molisio", mentre altri sostengono che derivi dal comune di Molise. L'attuale territorio molisano, abitato anticamente dai Frentani e dalla tribù sannitica dei Pentri, fu in gran parte ricompreso nella regione romana Regio IV Samnium. In epoca longobarda, allorquando il territorio fu assoggettato al Ducato di Benevento, comincia a definirsi il primo nucleo di quello che diventerà in seguito il Contado di Molise, un territorio che soltanto in età moderna troverà una stabile autonomia rispetto alla confinante Terra di Lavoro e alla Capitanata. L'entità amministrativa contemporanea, ben diversa dal Contado originario che escludeva ampie zone, trae le proprie origini nella suddivisione del Regno delle Due Sicilie realizzata durante la dominazione napoleonica. Caratteristiche La Regione è caratterizzata da alcune peculiarità: è la regione amministrativa più giovane del Paese, essendo stata istituita come ente solo nel 1963 per distaccamento da un'altra: come unità territoriale fu creata nel 1221 con il nome di Contado di Molise da Federico II, con caratteristiche però molto diverse dal territorio attuale, dato che nella sua formazione originaria escludeva tutta la costa, buona parte dell'Alto Molise, e il Volturno, inoltre dipendeva dalla Terra di Lavoro e in seguito dalla Capitanata. Fu scissa in deroga costituzionale dall'antica regione Abruzzi e Molise e divenne la ventesima regione d'Italia, dapprima con la sola provincia di Campobasso, e dal 1970 anche con la provincia di Isernia. In realtà la precedente regione Abruzzi e Molise, intesa come istituzione burocratico-amministrativa, come tutte le regioni a statuto ordinario, non era mai stata attivata e dunque le due regioni hanno cominciato a funzionare autonomamente dal 1970; è la regione a statuto ordinario più piccola e meno popolosa del Paese; nel territorio della regione, ed in particolare in quello del comune di Termoli, passa il meridiano di riferimento per il fuso orario CET, che stabilisce l'orario d'Italia e buona parte dell'Europa, denominato infatti Termoli-Etna. è l'unica regione in cui sono state annullate in due occasioni le elezioni regionali, le elezioni del 2000 e le elezioni del 2011, ed entrambi i ricorsi hanno visto coinvolto l'ex governatore Angelo Michele Iorio. Geografia fisica Con i suoi 4438 km² è la seconda regione più piccola d'Italia dopo la Valle d'Aosta (è la più piccola tra quelle a statuto ordinario), la sua superficie è divisa quasi equamente tra zone di montagna, il 55,3% del territorio, e zone collinari, per il 44,7% del territorio. La zona montuosa si estende tra l'Appennino abruzzese e l'Appennino sannita. I Monti della Meta (2247 m) e le Mainarde formano il punto d'incontro della linea di confine tra il Molise, l'Abruzzo e il Lazio, poi ci sono i Monti del Matese che corrono lungo il confine con la Campania e raggiungono i 2050 metri con il monte Miletto. A oriente, la zona del Subappennino (Monti Frentani) digrada verso il mare con colline poco ripide e dalle forme arrotondate. Le aree pianeggianti sono poche e di piccole dimensioni, le principali sono la piana di Bojano (CB) nel Molise centrale, a occidente la piana di Venafro (IS) e due minori verso il mare le "Piane di Larino" e Pantano Basso a Termoli. La Bocca di Forlì, o Passo di Rionero, (891 m s.l.m.) segna convenzionalmente il limite geografico tra Italia centrale e Italia meridionale. Il clima è di tipo mediterraneo, soprattutto lungo le coste, con inverni generalmente freschi e piovosi ed estati calde. Sulla costa il clima è più mite, man mano che si procede verso l'interno diventa via via più fresco e le temperature si abbassano notevolmente. Fiumi I fiumi principali della regione sono il Trigno, che segna parte del confine con l'Abruzzo, il Biferno, e il Fortore, al confine con la Puglia. Il Biferno è l'unico fiume che nasce, scorre, e sfocia interamente nella regione Molise, più precisamente nella provincia di Campobasso. Le sue sorgenti danno molte acque. In Molise nasce anche il Volturno, che con una lunghezza di 175 km e un bacino esteso per 5.550 km², è il principale fiume dell'Italia meridionale sia per lunghezza sia per portata. Nel territorio regionale scorre anche parte del fiume Sangro, e nasce il fiume Tammaro. Altri torrenti importanti sono il Verrino, il Saccione, il Cigno, il Sente, il Tappino, il Quirino. La notevole abbondanza di risorse idriche del Molise permette di soddisfare i fabbisogni, oltre che ovviamente della medesima regione, anche di Campania, Puglia e Abruzzo. Laghi Il fiume Biferno è stato sbarrato da un invaso artificiale negli anni settanta, la diga del Liscione, e fu così formato il lago di Guardialfiera, il più esteso del territorio. Altro lago di grande importanza è quello di Occhito che costeggia per diversi chilometri il confine tra Molise e Puglia. Inoltre, tra le Mainarde molisane sorge il bacino artificiale di Castel San Vincenzo (IS), realizzato alla fine degli anni cinquanta e che fa parte dell'area molisana del Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, la diga di Chiauci che sbarra il fiume Trigno e inaugurata nel 2011 e infine la diga di Arcichiaro sul torrente Quirino nel comune di Guardiaregia. I laghi naturali sono pochi, estremamente ridotti e a carattere stagionale, come il lago di Campitello Matese, il lago di Carpinone, il lago di Civitanova e Serra del Lago a Colli a Volturno. Coste La costa del Molise è lunga 36 km ed è bagnata dal mare Adriatico. I quattro centri balneari e di villeggiatura che la compongono, Montenero, Petacciato, Termoli e Campomarino, tutti in provincia di Campobasso e dotati (considerando i territori comunali) di lunghe spiagge, hanno costituito un consorzio di marketing turistico denominato costa dei delfini. La costa è bassa e sabbiosa tranne per il promontorio di Termoli, al cui riparo è stato costruito il porto artificiale da dove tutto l'anno partono le navi per le Isole Tremiti (situate nella provincia di Foggia); lungo le coste ci sono anche alcune fasce pianeggianti, larghe non più di qualche chilometro. La formazione di dune litoranee causava il ristagno delle acque dei torrenti con la conseguente formazione di paludi, da qualche tempo però eliminate con opere di bonifica. Ambiente Nel Molise, che include il settore Mainarde del parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise, sono presenti ulteriori vaste aree boschive, soprattutto nella provincia di Isernia. Di notevole importanza sono le oasi del WWF (Monte Mutria e l'oasi di Guardiaregia-Campochiaro), l'oasi LIPU Bosco Casale di Casacalenda (CB), la riserva naturale di Pesche (IS) (la prima nata in regione nel 1982), l'oasi Le Mortine nel bacino fluviale del Volturno presso Venafro (IS), il massiccio del Matese, due riserve MAB (la riserva naturale di Collemeluccio con le sue estensioni di boschi di abete bianco, e la riserva naturale di Montedimezzo, ), l'oasi di Legambiente "Selva Castiglione" a Carovilli (IS), la riserva naturale Torrente Callora a Roccamandolfi (IS), il giardino della flora appenninica di Capracotta e il . Da segnalare anche la presenza sul territorio regionale del parco regionale agricolo storico dell'olivo di Venafro, unico parco agricolo in Molise, riconosciuto con una legge regionale risalente al 2008, e il parco delle morge cenozoiche del Molise. Nel dicembre 2017 è stato approvato il parco nazionale del Matese. La fauna è caratterizzata dalla presenza del capriolo, del cervo, del cinghiale, del daino, della lontra, del lupo appenninico, dell'orso bruno marsicano e della volpe. La fauna aviaria stanziale include il falco pellegrino, il gheppio, Storia Epoca antica: Sanniti e Romani Testimonianze di vita umana in Molise si hanno sin dal Paleolitico, come dimostra il sito archeologico di "Isernia La Pineta", dove è stato ritrovato anche lo scheletro dell'"Homo Aeserniensis", tra i più antichi d'Italia.In età preromana il Molise era parte del Sannio, un territorio abitato da popolazioni di stirpe sannitica. La popolazione di pastori-guerrieri era stanziata prevalentemente nella zona d'Isernia, città dei Pentri e nelle campagne di Campobasso, allora semplice punto di controllo, dove i Sanniti Pentri comunicavano con i Frentani. La vita sociale dei Sanniti si concentrava sulla difesa del territorio, sulla venerazione di divinità locali come Ercole, e i Dioscuri, divinità principalmente venerate dai soldati che difendevano le cittadelle. La popolazione sannita, stanziatasi nel territorio dall'VIII secolo a.C. circa, iniziò ad avere i primi contatti con Roma dal IV secolo a.C., che sfoceranno nelle note "guerre sannitiche" durante le mire espansionistiche dell'Urbe.Città come Bojano e Isernia furono coinvolte pesantemente nella seconda e terza guerra sannitica, venendo infine assoggettate al potere romano. Venne in seguito conquistato dai Romani e integrato nel sistema del suo imperium (88 a.C.), dopo che gli Italici tentarono contro Silla un'ennesima disperata rivolta, essendosi riuniti nella "Lega italica" a Corfinio (AQ). Esattamente durante il dominio di Augusto il territorio fu ripartito nella Regio IV Samnium. Tale regione comprendeva anche gran parte dell'Abruzzo (Marsica, Frentania, terra dei Marrucini e Valle Peligna). Allora le città maggiori del Molise erano Bojano (Bovianum Vetus), Venafro (Venafrum) e Isernia (Aesernia). All'epoca romana risalgono le città ricostruite quasi daccapo secondo gli schemi dell'Urbe, i cui siti archeologici sono ancora abbastanza conservati; del periodo precedente restano, invece, soltanto poche tracce, individuabili maggiormente in resti di fortificazioni murarie con torri di vedetta, edificate dai Sanniti durante le guerre del III-II secolo a.C.Nelle città maggiori le stesse famiglie patrizie sannite come gli Staii, i Decitii e i Neratii promossero costruzioni all'avanguardia, come terme, teatri, nuovi templi, riformulando anche l'asse viario urbano, rendendolo conforme ai decumani romani. Esempi evidenti sono le città antiche di Altilia (Terravecchia) a Sepino, l'anfiteatro di Venafro e lo stesso impianto urbanistico della città attuale, e il complesso templare di Pietrabbondante. Medioevo: dai Longobardi al Contado di Molise (VIII - XIII secolo) Nel periodo tardo-antico il territorio molisano attraversò una fase di progressivo declino, sia economico che demografico: al loro arrivo i Longobardi trovano una regione priva di centri urbani significativi e spopolata. Sotto il dominio del Ducato longobardo di Benevento il territorio del Molise risulta organizzato in diversi gastaldati, fra i quali quello di Bojano: esso sembra sia stato creato intorno al 667 mediante concessione del Re longobardo Grimoaldo al condottiero bulgaro Alzeco, che divenne il primo gastaldo di un'area pressoché disabitata. La presenza longobarda ha lasciato numerose tracce: una parte consistente dei centri abitati della regione risale a questo periodo; ai Longobardi si deve la promozione del culto di San Michele Arcangelo e la conseguente realizzazione di chiese intitolate al santo. Da ricordare, infine, è la realizzazione dell'abbazia di San Vincenzo al Volturno. Nel 1045 il condottiero normanno Rodolfo di Moulins, disceso in Italia meridionale con gli Altavilla, ottiene la Contea di Bojano. È con l'arrivo dei normanni e della famiglia de' Moulins, tra la fine dell'XI secolo e l'inizio dell'XII secolo, infatti, che comincia ad affermarsi il toponimo Comitatus Molisii riferito, appunto, alla contea di Bojano, che, nel contempo, aveva inglobato altre contee dove governavano altre signorie feudali.Il dominio della famiglia si estinse verso la fine del secolo XII; tale condizione determinò anche la fine della Contea, che si smembrò in piccoli feudi. Con le riforme di Federico II di Svevia il Contado di Molise divenne sede di giustizierato (Justitiaratus Molisii), cioè di un distretto di giustizia imperiale, dove l'autorità del re si sovrapponeva a quella dei feudatari. In realtà, l'amministrazione del Molise era congiunta a quella della Terra di Lavoro, che insieme formavano un unico distretto denominato Justitiaratus Molisii et Terra Laboris. Epoca moderna: dal XVI secolo al 1806 I due territori condivisero il medesimo giustiziere fino al XVI secolo, quando dal 1538 il Molise, pur rimanendo entità distinta, fu staccato dalla Terra di Lavoro e aggregato alla Capitanata. L'aggregazione alla Capitanata cessò nel 1806, quando con la legge 132 "Sulla divisione ed amministrazione delle province del Regno" varata da Giuseppe Bonaparte, si estese al Regno di Napoli il modello amministrativo francese basato sulle Provincie. Ci furono poi negli anni successivi fino al 1811, una serie di regi decreti che completarono il percorso d'istituzione delle province. In base alla suddetta riforma del 1806, quindi, fu stabilita la separazione del Contado di Molise dalla Capitanata. Il processo di definizione dei confini terminò nel 1811 e la provincia del Molise raggiunse quasi tutta la dimensione dell'attuale Regione Molise. Dal 1º gennaio 1817, l'organizzazione amministrativa venne definitivamente regolamentata con la Legge riguardante la circoscrizione amministrativa delle Province dei Reali Domini di qua del Faro del 1º maggio 1816. Fu questo un periodo di isolamento e di grave crisi economica e sociale, data la presenza sul territorio di numerose bande di briganti. Castelli e casate del Molise ai tempi del Contado del Molise (1221-1806) Dal 1806 al 1811: provincia di Molise Con l'invasione francese, ufficialmente il 27 settembre 1806, con la legge 132 del 1806 Sulla divisione ed amministrazione delle province del Regno, varata l'8 agosto di quell'anno, con Napoleone, il Molise divenne per la prima volta una provincia autonoma denominata Provincia di Molise con Campobasso capoluogo e che era suddivisa in tre distretti: Distretto di Campobasso, dal 1806; Distretto di Isernia, dal 1806; Distretto di Larino, istituito nel 1806 come parte della Capitanata e (con mutamenti territoriali) aggregato al Molise nel 1811. Dal 1811 al 1962 Ottocento La provincia di Molise ebbe un forte sviluppo grazie alle opere infrastrutturali e alle politiche messe in atto dal Re di Napoli Gioacchino Murat (succeduto a Giuseppe Bonaparte) a partire dal 1811, e l'annessione di Larino, Venafro e di parte della Valle del Volturno. Dall'epoca del Regno di Napoli il territorio molisano era in realtà compreso in quattro giustizierati diversi: il Contado del Molise, l'Abruzzo Citeriore, la Terra di Lavoro e la Capitanata; tuttora è possibile riscontrare differenze dialettali, gastronomiche e folcloristiche fra queste quattro aree. Con l'annessione al Regno d'Italia, nella regione scoppiarono molte ribellioni che furono completamente sedate solo alla fine del XIX secolo. Primo Novecento e Ventennio fascista Durante il Ventennio fascista, vennero costruite due città di fondazione in Molise: Nuova Cliternia, frazione di Campomarino e Castellino Nuovo, che avrebbe dovuto sostituire il vecchio paese di Castellino del Biferno, in quanto sito su un territorio ad alto rischio idrogeologico. Campobasso fu oggetto di un consistente piano di interventi urbanistici e, a differenza di Isernia, risentì delle politiche a favore della natalità portate avanti dal regime, registrando nel ventennio 1921-1941 una crescita da 16.413 a 22.525 abitanti. Fu esaltata l'attitudine rurale del Molise (al 1936, l'80% degli abitanti era dedito all'agricoltura). Sorgevano almeno due campi d'internamento di civili durante la guerra in Molise: uno ad Isernia, con 139 detenuti, e l'altro ad Agnone, con 155 detenuti. Seconda guerra mondiale Nel corso della Seconda guerra mondiale, il territorio molisano fu interessato da duri combattimenti (esso era infatti attraversato da 4 linee difensive tedesche: la linea Barbara o del Trigno, la linea Bernhardt, la linea Viktor e la linea Gustav) che causarono circa 1.250 vittime civili, di cui circa 500 nel bombardamento alleato di Isernia, e si conclusero per la maggior parte nell'ottobre 1943, con lo sbarco degli alleati a Termoli (CB), che portò nel giro di poche settimane alla resa dei tedeschi nei principali centri abitati molisani (il 12 ottobre si arresero i tedeschi a Larino, il 24 a Bojano, entro i primi di novembre 1943 la valle del Trigno era liberata ed entro il 19 dicembre l'intera provincia di Campobasso fu completamente liberata). La zona delle Mainarde fu invece interessata da combattimenti fino al 1944, con la vittoria del Corpo Italiano di Liberazione nella battaglia di Monte Marrone, al confine col Lazio. Dopoguerra Al termine del conflitto, al referendum sulla forma istituzionale dello Stato del 1946 il 68,5% dei molisani votò per la Monarchia. Alle prime elezioni il Molise risultò una roccaforte della Democrazia Cristiana, che vi raccolse il 58% dei consensi nel 1948, il 46% nel 1953 e il 55% nel 1958, a scapito di socialisti e comunisti. Nel primo dopoguerra restò superiore alla media nazionale anche il consenso ai partiti monarchici. Dal 1963: regione Molise Nel 1963, grazie a una disposizione transitoria che consentì di derogare ai limiti imposti dall'art. 132 della Costituzione italiana quali il referendum e il limite di un milione di abitanti, la provincia di Campobasso, con poco più di 300.000 abitanti, venne distaccata senza referendum dalla preesistente regione Abruzzi e Molise e inserita nella nuova regione denominata Molise, di cui Campobasso divenne capoluogo. Il 3 marzo 1970 una parte del suo territorio venne scorporata e istituita come provincia di Isernia, con Isernia capoluogo. Il Molise è quindi, con le due province di Campobasso e Isernia, la ventesima e più giovane regione d'Italia. Terremoti Il territorio molisano ha subito le conseguenze in epoca storica di diversi terremoti appenninici tra i quali si citano: il terremoto dell'Appennino centro-meridionale del 1349: sisma di magnitudo 6,7 che interessò la parte del Regno di Napoli tra Isernia, il Reatino e L'Aquila, con probabile epicentro situato nel venafrano, causando crolli alle strutture principali della città, che necessitarono di nuova riedificazione, soprattutto a Venafro, Isernia, Cassino e L'Aquila e crolli furono segnalati anche a Roma. il terremoto dell'Italia centro-meridionale del 1456: di magnitudo 7,1, con epicentro tra Sannio e Irpinia, che distrusse molti comuni e danneggiò gravemente città come Sulmona, Campobasso e Napoli. il terremoto del Molise del 1805: disastroso terremoto di magnitudo 6.6 (detto anche di “Sant’Anna” per la notte di luglio in cui si verificò), verificatosi nel massiccio del Matese, tra Bojano e Benevento, che distrusse molti paesi molisani, che furono ricostruiti quasi ex novo, sconvolgendo l'aspetto medievale di Campobasso stessa, e causando danni anche a Isernia. il terremoto dell'Italia centro-meridionale del 1984: di magnitudo 5.9, verificatosi nella Valle di Comino in Lazio, danneggiò i centri molisani della zona isernina a confine con l'Abruzzo come San Pietro Avellana e Castel del Giudice e i comuni della Valle del Volturno come Acquaviva d'Isernia, Pizzone e Colli a Volturno. il terremoto del Molise del 2002: di magnitudo 5.7, verificatosi il 31 ottobre nei pressi di San Giuliano di Puglia, colpendo anche i comuni di Castellino del Biferno, Provvidenti e Santa Croce di Magliano. Famosa è la triste vicenda del crollo della scuola elementare a San Giuliano, dove perirono una maestra e 27 bambini. Società Evoluzione demografica Dopo il massimo storico registrato in occasione del censimento del 1951, nel ventennio successivo la popolazione molisana subì un netto calo per la ripresa del fenomeno migratorio. Dal 1981, grazie alla diminuzione delle partenze e all'aumento dei rientri, si è riscontrata una minima ripresa; al contempo, però, si è assistito a una ridistribuzione degli abitanti a favore dei centri maggiori delle colline e della costa e a discapito dei piccoli borghi di montagna. Negli anni novanta, esauritosi il flusso dei rientri, la popolazione tornò a diminuire, questa volta a causa del calo delle nascite non compensato dalla scarsa immigrazione dall'estero. In circa 30 anni, la popolazione è scesa da 331.000 a 291.000 abitanti. La popolazione del Molise al 31 dicembre 2022 è così distribuita tra le sue due province: Comuni principali Il Molise è composto prevalentemente da comuni di piccole dimensioni, molti dei quali non superano i 1.000 residenti. I comuni più importanti per struttura demografica, sociale ed economica sono Campobasso, Termoli, Isernia e Venafro. Di seguito la tabella riporta la popolazione dei dieci comuni più popolosi del Molise: Etnie e minoranze straniere Al 31 dicembre 2019 gli stranieri residenti in regione erano , ossia il 4,35% della popolazione residente. I gruppi più numerosi erano: Romania: Marocco: Albania: 776 Nigeria: 734 Minoranze etno-linguistiche Nel territorio molisano sono presenti alcune minoranze etniche e linguistiche, site tutte nella provincia di Campobasso. Le principali sono quella dei croati del Molise, in particolare nei comuni di Montemitro, Acquaviva Collecroce e San Felice del Molise, le uniche in Italia, e quella albanese (arbëreshë), soprattutto nei comuni di Campomarino, Ururi, Portocannone e Montecilfone (Basso Molise). In entrambe le minoranze etniche si mantiene la tipica lingua, albanese e croato molisano, e le varie tradizioni (benché gli albanesi del Molise non abbiano conservato il rito bizantino). Politica Dal 24 novembre 2005 la regione Molise ha una rappresentanza istituzionale a Bruxelles, Belgio. Suddivisione amministrativa Con la legge costituzionale del 27 dicembre 1963, n. 3 recante "Modificazioni agli articoli 131 e 57 della Costituzione e istituzione della Regione Molise", pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 3 del 4 gennaio 1964, fu istituita la Regione del Molise, territorialmente separata dall'Abruzzo, ma solo con la legge n. 281 del 1970 furono attuate le sue funzioni. La regione Molise comprende due province: (con 84 comuni) (con 52 comuni) Il Molise è l'unica regione dove in due occasioni sono state annullate le elezioni regionali, in entrambi i casi a causa della raccolta di firme false. La prima volta fu nel 2001, con decisione del TAR confermata in appello dal Consiglio di Stato. Il 17 maggio 2012 il TAR del Molise ha annullato le elezioni regionali del 2011, stabilendo altresì il ritorno alle urne per la scelta del nuovo presidente di regione. Il 29 ottobre 2012 viene depositata la sentenza della 5/a sezione del Consiglio di Stato sui ricorsi elettorali e questa conferma, in via definitiva, l'annullamento delle elezioni del 2011. In entrambe le occasioni si trovò coinvolto l'ex presidente Angelo Michele Iorio: egli promosse insieme ad un elettore il primo ricorso, e 11 anni dopo fu accolto il secondo ricorso che annullò la sua terza elezione a capo della giunta. Onorificenze Economia Dato il basso numero di abitanti, l'economia del Molise è scarsamente sviluppata rispetto alle altre regioni italiane (pur avendo un PIL pro capite leggermente superiore a quello di altre regioni del Mezzogiorno come Campania, Puglia, Calabria, Sicilia), pertanto il settore primario è quello da cui provengono le maggiori rendite economiche. Le industrie sono raggruppate nei nuclei industriali di Termoli (CB), Campobasso-Bojano (CB), Campobasso-Ripalimosani (CB) e Venafro-Pozzilli (IS). , in particolare nei centri balneari e di villeggiatura quali Termoli (CB), Campomarino (CB), Montenero di Bisaccia (CB), Petacciato (CB) anche per i punti di riferimento montani come Campitello Matese (CB), Capracotta (IS) e il parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise. La regione è ultima per arrivi turistici: nel 2014 sono stati 164.550 italiani e 14.071 stranieri. L'area più servita e più sviluppata è quella di Termoli (CB) dove è presente l'area portuale, e attraversata dalla linea ferroviaria Adriatica e dall'autostrada A14. Le attività pastorali in regione sono caratterizzate dalla transumanza, consistente nello spostamento delle greggi dall'Appennino abruzzese al Tavoliere delle Puglie attraverso una fitta rete di tratturi e tratturelli. Nell'industria alimentare è maggiormente rilevante nel capoluogo il pastificio La Molisana. Dal 2006 è attiva la casa automobilistica DR Motor Company, con sede a Macchia d'Isernia (IS), mentre a Termoli (CB) è attiva dal 1972 la Fiat Powertrain, con una fabbrica dedita alla produzione di motori e cambi, che ha influenzato notevolmente lo sviluppo economico e demografico della città adriatica, ed è considerata una delle più importanti fabbriche del gruppo per i volumi prodotti. Di seguito la tabella che riporta il PIL e il PIL procapite, prodotto nel Molise dal 2000 al 2009: Di seguito la tabella che riporta il PIL, prodotto nel Molise ai prezzi correnti di mercato nel 2006, espresso in milioni di euro, suddiviso tra le principali macro-attività economiche: Turismo Benché il Molise sia da sempre la regione italiana con il più basso numero di visitatori e con la percentuale più bassa di turismo, questo ha incominciato a incrementarsi nei primi anni 2000. La regione , nonché pianure, montagne e 35 km di costa. Il turismo marittimo risulta molto importante ed è concentrato su Termoli e Campomarino, mentre il turismo di montagna riguarda specialmente l'attività sciistica presso Campitello Matese e Capracotta. Il turismo artistico e culturale riguarda le principali città di Campobasso, Isernia, Venafro ma molto visitato, specialmente dai turisti che viaggiano verso la Puglia, è il borgo medievale di Termoli, frequente meta di visite per il Duomo e il Castello Svevo. Campobasso è famosa per essere una cosiddetta "città giardino", durante il risanamento di Gioacchino Murat, e per il borgo medievale con chiese storiche del romanico e con il Castello Monforte. Isernia è conosciuta per la Cattedrale, per la pregevole Fontana Fraterna, ma soprattutto per l'Homo Aeserniensis, datato 700.000 anni e risalente al Paleolitico. Venafro è città d'arte e di testimonianze storiche di ogni epoca conservando numerosi monumenti e reperti di epoca romana quali il teatro, l'odeon, l'anfiteatro, l'acquedotto augusteo e resti di ville romane. È conosciuta anche con l'appellativo di "Città delle 33 chiese" grazie al numero cospicuo di edifici di culto presenti nel suo centro storico. Non meno numerosi sono i palazzi signorili, le fortificazioni militari (castello Pandone, Torricella, mura urbane e antiche porte urbiche). Larino poiché custodisce l'Anfiteatro Romano, il Foro, le Terme e altri luoghi di interesse come i mosaici della Lupa, del Polpo, del Kantharos, del Leone. Altri piccoli centri di interesse sono soprattutto Agnone, per la presenza della storica fabbrica di campane della Fonderia Pontificia Marinelli e per la Ndocciata, evento dedicato al fuoco che richiama molti visitatori; Frosolone, capitale meridionale della lavorazione artigiana di forbici e coltelli, tradizione con radici medievali nella lavorazione delle spade; Bojano (con il borgo medievale di Civita Superiore), Venafro (con il borgo rinascimentale in stile napoletano), Guglionesi, Pietrabbondante (resti archeologici), Pescolanciano, Sepino (con la famosa area archeologica romana di Altilia) e Capracotta. Del turismo artistico sono state riscoperte le testimonianze delle storiche abbazie di San Vincenzo al Volturno (Rocchetta a Volturno) e Santa Maria del Canneto (Roccavivara), testimonianza del romanico molisano, come anche la chiesa di Santa Maria Maggiore di Guglionesi e quelle di San Giorgio di Campobasso e Petrella Tifernina. Il territorio è anche molto ricco di castelli e borghi fortificati, come Bagnoli del Trigno, Civitacampomarano, Agnone, Torella del Sannio, Lupara e Sant'Elia a Pianisi. Alcuni castelli come Castropignano e Civitacampomarano hanno conservato la forma originaria del XIII secolo circa, mentre molti altri sono stati trasformati in residenze signorili dai nobili napoletani, come il castello Pandone di Venafro, il castello D'Alessandro di Pescolanciano o il castello De Capoa di Gambatesa. Per ultimo, il Molise ha riscoperto il suo passato pre-romano, con varie campagne di scavi presso il territorio dell'antico Sannio, scoprendo vari villaggi e fortificazioni dei popoli Sanniti Pentri. Così sono rappresentativi il villaggio di Saepinum a Sepino e l'area sacra del Teatro di Bovianum Vetus a Pietrabbondante. Infrastrutture e trasporti Autostrade Autostrada Adriatica Strade statali Strada statale 16 Adriatica Strada statale 17 dell'Appennino Abruzzese ed Appulo-Sannitico Strada statale 85 Venafrana Strada statale 87 Sannitica Strada statale 157 della Valle del Biferno Strada statale 212 della Val Fortore Strada statale 627 della Vandra Strada statale 645 Fondo Valle del Tappino Strada statale 647 Fondo Valle del Biferno Strada statale 650 di Fondo Valle Trigno Strada statale 652 di Fondo Valle Sangro Strada statale 709 Tangenziale di Termoli Strada statale 710 Tangenziale Est di Campobasso Strada statale 711 Tangenziale Ovest di Campobasso Strada statale 751 Fondo Valle del Rivolo Il sistema di viabilità principale del Molise è concentrato sulle strade e sulle ferrovie, con unico sistema di trasporto marittimo presso il porto di Termoli.L'unica autostrada che attraversa la regione è l'A14, che lambisce Termoli, con uscita da nord per Montenero di Bisaccia-Termoli Nord, e svincolo a Termoli Centro, con allacciamento alla strada statale 647 Fondo Valle del Biferno per raggiungere Campobasso. Le principali strade statali sono innanzitutto la Statale 16 Adriatica che dall’Abruzzo di San Salvo porta alla Marina di Montenero, attraversando fino alla Puglia i comuni di Petacciato Marina, Termoli (zona industriale ovest) e Campomarino Lido, poi la SS17 dell'Appennino Abruzzese che porta da Sulmona a Isernia, la Statale 85 Venafrana, che da Isernia attraversa i centri di Pescolanciano e Carovilli, l'87 Sannitica che da Napoli porta a Termoli passando per Vinchiaturo e Larino e la 650 Fondo Valle Trigno, che da San Salvo lambisce il Trigno passando per Bagnoli del Trigno, Pietrabbondante e Sessano del Molise. Le ferrovie principali del Molise sono la ferrovia Adriatica, la ferrovia Benevento-Campobasso, la ferrovia Termoli-Campobasso e la ferrovia Isernia-Campobasso. Istruzione Università Università degli Studi del Molise, fondata nel 1982, ha sede a Campobasso e sedi periferiche a Termoli (CB) e Pesche (IS). Università degli Studi di Roma "La Sapienza", presente sul territorio regionale con il Polo Didattico del Molise, che eroga corsi di laurea nelle professioni sanitarie presso le principali strutture sanitarie della regione. Università Cattolica del Sacro Cuore, presente con il presidio ospedaliero specialistico Gemelli Molise a Campobasso. Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica Conservatorio Lorenzo Perosi, Campobasso. Scuole militari Arma dei Carabinieri Scuola allievi carabinieri "Eugenio Frate", Campobasso. Polizia di Stato Scuola allievi agenti "Giulio Rivera", Campobasso. Sanità Il sistema sanitario regionale è gestito dall'ASREM (Azienda Sanitaria Regionale del Molise), che è presente nel territorio con sette distretti socio-sanitari (Campobasso, Isernia, Termoli, Larino, Venafro, Bojano-Riccia, Agnone) e sei presidi ospedalieri: Ospedale "Antonio Cardarelli", Campobasso Ospedale "Ferdinando Veneziale", Isernia Ospedale "San Timoteo", Termoli (CB) Ospedale di comunità "Giuseppe Vietri", Larino (CB) Ospedale di comunità "San Francesco Caracciolo", Agnone (IS) Ospedale di comunità "Santissimo Rosario", Venafro (IS) Sono presenti inoltre in ambito specialistico il Gemelli Molise di Campobasso, già sede distaccata della facoltà di medicina e chirurgia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore, e l'Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico "Neuromed" di Pozzilli (IS). Si affiancano a queste altre strutture, sia private sia convenzionate con l'azienda sanitaria regionale. Cultura Arte Epoca romana La caratteristica principale che distingue e universalizza l'arte molisana è l'architettura: infatti dell'epoca della prima colonizzazione italica dei Sanniti Pentri, si conservano fortificazioni a mura ciclopiche, che servivano a delimitare i territori e le aree sacre attorno ai villaggi, salvo poi divenire punti di guardia e di controllo durante gli scontri con Roma dal IV secolo al I secolo a.C. Gli esempi migliori di muraglie, lunghe anche chilometri poste lungo le dorsali montuose, composte da pietre ciclopiche, sono quelli di Duronia, Baranello, Monte Acero, Venafro, Monte della Civita Superiore di Bojano, Pietrabbondante e Altilia di Sepino. In seguito alla colonizzazione romana, gran parte del patrimonio architettonico italico è andato irrimediabilmente modificato secondo gli accomodamenti dell'Urbe: le città principali di Venafrum, Bovianum, Aesernia, Saepinum, Bovianum Vetus (Pietrabbondante), Larinum si dotarono di strutture nuove come i fori, i templi della Triade Capitolina, le strade a cardi e decumani, i sepolcri monumentali, e soprattutto i complessi termali e gli anfiteatri, i cui esempi migliori si trovano nei siti archeologici di Larino, Venafro, Sepino e Pietrabbondante. Epoca medievale Allo sfaldamento dell'Impero Romano, la ricostruzione delle città riprese intorno al X-XII secolo, mentre già dall'epoca longobarda erano state erette nei punti strategici le torrette di vedetta, che poi diventeranno veri e propri castelli fortificati. Al periodo longobardo-franco (VIII-IX secolo) risale l'edificazione dell'importante cenobio dell'abbazia di San Vincenzo al Volturno, che insieme ai monasteri di Cassino e Farfa possedeva gran parte delle terre del centro-sud Italia sino all'Adriatico. Il monastero si presenta alquanto manomesso, privato del complesso di San Vincenzo Maggiore (poi diventato sito archeologico), con in piedi soltanto l'Abbazia Nuova del XIII secolo. La "cripta di Epifanio vescovo" rappresenta il primi importante ciclo pittorico di affreschi della regione, risalente al IX secolo, con le raffigurazioni del martirio di San Lorenzo, della gloria di Epifanio, e della Crocifissione.Sempre al periodo longobardo risale la costruzione della fortezza di Civita Superiore di Bojano, di Tufara, di Roccamandolfi e di Campobasso (il fortilizio sopra cui nel XV secolo verrà costruito il castello Monforte). Nel periodo normanno (XII-XIII secolo) furono costruiti altrettanti castelli nella regione, come Castello D'Alessandro di Pescolanciano, il castello angioino di Vastogirardi, il castello normanno di Torella del Sannio (XIII secolo), a pianta trapezoidale con tre torri circolari, il castello di Castropignano, posto in cima al promontorio roccioso che sovrasta il paese e la Valle del Biferno; e poi ancora il Castello Pignatelli di Monteroduni (si presenta nel rifacimento in dimora gentilizia del XV-XVI secolo), quello di Cercemaggiore (in seguito palazzo baronale). Di quest'epoca, abbastanza conservatosi nello stile originario, è il Castello Svevo di Termoli edificato da Federico II nel 1247, insieme alla cinta muraria del borgo vecchio attorno al Duomo. Nell'epoca angioina, vennero eretto i castelli di Colletorto (mirabile è la torre merlata), Civitacampomarano, Venafro (che verrà trasformata nel XV-XVI secolo nel Castello Pandone), Cerro al Volturno, e Riccia (di cui rimane la torre cilindrica). Dal punto di vista religioso, dal X al XIV secolo i maggiori templi cristiani d'interesse romanico e gotico (malgrado delle manomissioni barocche e neoclassiche negli interni), sono il Duomo di Larino con la mirabile facciata gotica di Francesco Petrini (1319), una delle più rappresentative del gotico molisano, il Duomo di Termoli in stile romanico pugliese, la chiesa di San Giorgio e quella di San Leonardo a Campobasso, poste ai piedi del castello, la chiesa madre di San Giorgio di Petrella Tifernina (1165), e i complessi abbazia di Santa Maria di Canneto a Roccavivara (a guardia della sponda sinistra del Trigno) e di Santa Maria della Strada presso Matrice (CB). Si presume che quest'ultima chiesa fosse stata eretta sopra un tempio romano, con la facciata a salienti decorata con pseudo protiro e due lunette laterali, rosone centrale a raggi, e bassorilievi a motivi animali. Il monumento funebre interno è del XIV secolo, ricavato nella navata sinistra. La chiesa santuario di Santa Maria di Canneto invece risale al IX secolo, con facciata a spioventi in pietra liscia, col portale romanico e il rosone. L'interno a tre navate absidate ha copertura a capriate, colonne romane provenienti da un tempio, e un pregevole pulpito scolpito in pietra nel 1223, della scuola abruzzese del maestro Ruggero di Guardiagrele (l'autore dei pulpiti di San Clemente a Casauria, Santa Maria in Valle Porclaneta, San Paolo di Peltuino e San Pelino); tale pulpito mostra un parapetto ornato da sette archi, con figure di monaci, la scena dell'Ultima Cena, scolpita su paliotto d'altare. Dell'epoca gotica (XIV-XV sec) si hanno gli esempi della già citata Cattedrale di Larino, del Duomo di Venafro (anche se si tratta di un rifacimento degli anni '60 eliminando le coperture barocche), e delle chiese parrocchiale di San Silvestro a Montefalcone nel Sannio, l'abbazia di Santa Maria di Faifoli a Montagano, della chiesa di Sant'Erasmo e di Santa Maria del Parco a Bojano (in parte gotica è anche la facciata del Duomo di San Bartolomeo, anche se subì varie distruzioni, in particolare nel 1805 e nel 1943), la chiesa di Sant'Emidio ad Agnone con mirabile portale a ghimberga dello stile dei portali abruzzesi di Vasto, e della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo a Tufara (CB). Rinascimento e barocco In coincidenza con l'umanesimo, nei primi anni del Quattrocento, nel Molise entrò il rinascimento, favorito anche nel campo architettonico dalla necessità di ricostruire alcuni borghi e città distrutte dal terremoto del 1456, come Campobasso soprattutto. Tale terremoto tuttavia distrusse anche opere rinascimentali che erano state già completate, sicché di questo periodo artistico nella regione si contano pochi esemplari, danneggiati irreparabilmente anche dal terremoto del 1805. Timidi esempi di costruzioni rinascimentali si hanno soprattutto nei palazzi signorili di Agnone, nella chiesa di Sant'Antonio abate di Campobasso, e nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Riccia (CB). Fu costruita nel '500, con la facciata decorata da due grandi paraste, portale rettangolare centrale, e in alto la trabeazione formata da architrave, fregio e cornice. Il rifacimento della chiesa madre di San Marco ad Agnone comportò la realizzazione di un portale in stile veneziano, per la presenza di numerose maestranze in loco; a Gildone nella chiesa di Sant'Antonio venne realizzato un dipinto di scuola umbra della Madonna col Bambino tra angeli e santi. L'epoca rinascimentale in Molise, per quel che rimane, costituisce il fiorire dei palazzi signorili, ricavati per lo più dei castelli medievali. Ne sono testimonianza il Palazzo Santangelo, Nuonno, D'Onofrio, e Apollonio presso Agnone; il palazzo vescovile di Antonio Attilio a Sepino, il Palazzo Carafa di Jelsi, il palazzo marchesale di Fornelli, il palazzo baronale ricavato dal castello ducale di Macchia d'Isernia e quelli di San Martino in Pensilis. In dimore principesche furono trasformati anche i castelli di Ferrazzano, Riccia, Pescolanciano, Carpinone, Bagnoli del Trigno, Monteroduni, Venafro. Per quanto riguarda l'arte sacra, si ricorda innanzitutto la Dormitio Virginis, pittura su tavola presso la chiesa di Santa Maria Assunta di Riccia; l'altare in pietra del 1543 e il fonte battesimale del 1580, situate nella chiesa madre di Lucito (CB); la copia della Sacra Sindone presso la Collegiata di Santa Maria Assunta a Ripalimosani, con la torre campanaria alla cuspide cipollinea del 1532, coeva di altre torri campanarie presenti nel territorio, che hanno affinità soprattutto con i due campanili di Venafro, delle chiese dell'Annunziata e del Cristo Re.Di questo periodo sono anche la croce in pietra di Castelbottaccio di Antonio De Cristofaro (1550), e quella di San Giovanni in Galdo; nella Cattedrale di Larino sono stati realizzati pannelli lignei dell'Ultima Cena e il "Trasporto di San Pardo a Larino"; nella chiesa madre di Macchia Valfortore si trovano dipinti pregevoli di Antonio Solario, detto "lo Zingaro", opere di lui sono conservate anche a Casacalenda. Il tardo Rinascimento molisano è caratterizzato dalla figura di Fabrizio Santafede, che realizzò la Natività per la chiesa madre di Casacalenda, mentre la Vergine del Rosario, che era custodita a Lucito, è nel Museo Nazionale d'Abruzzo a L'Aquila; dipinti del XV-XVI secolo di vari autori, alcuni ignoti, si trovano presso l'episcopio e nel Santuario dei Santi Cosma e Damiano a Isernia, e nelle chiese madri di Pesche, Guglionesi, Agnone, e Cerro al Volturno. A Campobasso, presso il Palazzo Magno, si trova una tela del 1592 ritraente Pace tra i Crociati e i Trinitari; affreschi di scuola benedettina si trovano nella chiesa di Santa Maria delle Grotte presso un romitorio nel territorio comunale di Rocchetta a Volturno (IS), così come pitture presso la cripta di San Casto nel Duomo di Trivento (XIV secolo). Nell'epoca di transizione dal rinascimentale al barocco, l'artista più famoso fu Antonio Solario di Chieti (secondo altri di Civita d'Antino), detto "lo Zingaro". Di origini venete, si ispirò alle tele di Vittore Carpaccio, tra le sue opere ci sono il dipinto della chiesa madre di Casacalenda, ritraente la morte di San Giuseppe; a Montorio nei Frentani nella chiesa di Santa Maria Assunta realizzò l'Assunzione, a Rotello nella chiesa di San Nicola realizzò la Deposizione. La matrice di fondo della pittura molisana barocca è data dalla scuola di Napoli, Paolo Gmaba fu amico del Solimena, cui si attribuiscono Caduta degli Angeli nella chiesa parrocchiale di Ripabottoni, la tela dell'Immacolata nella Cattedrale di Larino, e Cacciata dei mercanti dal Tempio nel convento di San Francesco, sempre nella stessa città, e La Pietà nella chiesa di San Martino a Castelpetroso. Paolo Gamba (1712-82), molisano di Ripabottoni, realizzò numerosi dipinti per la chiesa parrocchiale del paese natio, lavorando anche in Puglia e Abruzzo, e nel Lazio. Nella chiesa madre di Ripabottoni si conservano le tele della Madonna del Rosario - Maria SS. del Carmelo - San Rocco con gli angeli; altre sue opere sono a Fossalto, Sant'Elia a Pianisi, Colletorto, Agnone nella chiesa convento di San Francesco, poi a Casacalenda presso la chiesa di Santa Croce. Altro pittore molisano barocco fu Benedetto Brunetti di Oratino, che realizzò tele per la chiesa madre dell'Assunta, e per lo splendido oratorio del Carmine, interamente rivestito in legno intagliato e dorato, con tele. Neoclassicismo ed eclettismo Il periodo neoclassico in Molise è caratterizzato prevalentemente dalla ricostruzione di mezza regione dopo il disastroso "terremoto di Sant'Agata" del luglio 1805, che colpì il Matese, tra Bojano e Benevento. Gli esempi migliori, quasi sempre chiese e palazzi signorili, è la facciata della Cattedrale di Isernia, rifatta da Berardino Musenga: la facciata si rifà alle costruzioni dei templi romani, con pronao ionico, tipico frontone triangolare, mentre l'interno mostra ancora caratteri tardo barocchi, con le tre navate divise da colonnato ionico. Musenga rifece anche la chiesa madre di San Michele a Baranello, anche Campobasso fu interessata da importanti lavori di rifacimento, in particolar modo la Cattedrale della Trinità, e le chiese di San Giovanni del Gelsi e del Sacro Cuore, mentre sorgevano il Palazzo del Convitto, il Palazzo San Giorgio sopra l'ex monastero dei Celestini, il Palazzo Magno, la Prefettura e la Banca di Napoli. Identica sorte di restauro neoclassico subirono il palazzo ducale di Larino, la chiesa di Santa Maria della Croce a Campobasso, e le parrocchiali di Filignano, Montaquila, Vinchiaturo e Trivento (il duomo venne quasi rifatto daccapo, eccettuala la cripta medievale, eretta sopra il tempio di Diana). Dell'eclettismo molisano (liberty e neogotico), i migliori esempi sono la palazzina sul laghetto di Venafro, e la Basilica santuario di Maria Santissima Addolorata presso Castelpetroso, in puro stile neogotico, eretta nel 1890. Tradizioni e folclore In Molise sono assai diffuse le tradizioni di carattere religioso quali le processioni, come quelle del venerdì santo di Campobasso e di Isernia con la sfilata degli incappucciati, il Festival dei Misteri di Campobasso, la regata di San Basso a Termoli (CB), la solenne processione di San Nicandro a Venafro (IS) caratterizzata dal canto dell'inno, la processione di Capracotta (IS) in onore della Madonna di Loreto ogni tre anni, la festa del grano in onore di Sant'Anna a Jelsi (CB), la festa in onore di Santa Cristina a Sepino (CB), la sfilata dei carri di San Pardo a Larino (CB), i carri di Sant'Antonio e l'ultimo sabato di aprile a Santa Croce di Magliano (CB), la festa e il fuoco di Sant'Antonio Abate il 17 gennaio a Palata (CB), Colli a Volturno (IS) e Colletorto (CB), la storica carrese del 30 aprile di San Leo i tradizionali altari di San Giuseppe e la festa di San Biagio a San Martino in Pensilis (CB) nel basso Molise, oltre al caratteristico "Volo dell'angelo" del 1 e 2 luglio a Vastogirardi (IS). Dal punto di vista prettamente folcloristico si segnala il Festival della Zampogna di Scapoli (IS), l'Eddie Lang Jazz Festival che si svolge nella cornice del castello Pignatelli di Monteroduni (IS), il Macchia Blues a Macchia d'Isernia, la Pezzata a Capracotta (IS), la 'Ndocciata di Agnone (IS), il Bonefro Rock Festival, la tartufata a Miranda (IS), la festa dell'uva a Riccia (CB), la Via Dolorosa a Colli a Volturno (IS), "gl'Cierv" a Castelnuovo al Volturno (IS) e Il ballo dell'orso di Jelsi (CB). Musica La musica in Molise ha ancora un'impronta generalmente popolare, basata sulla tradizione secolare della figura dello zampognaro. Gli zampognari in Molise sono particolarmente radicati nel centro di Scapoli (IS), dove esiste anche il Museo del Bufù e della Zampogna, insieme a botteghe artigianali dove si continua la tradizione della fabbricazione di questo strumento musicale. I canti popolari sono diffusi in tutta la regione, mescolati ai balli del saltarello tradizionale, ma anche con i canti delle minoranze slave presenti nella pianura costiera molisana di Ururi e Portocannone. Per questa tradizione nel 1954 Diego Carpitella e Alberto Mario Cirese hanno pubblicato un disco di registrazioni, affinché la tradizione orale della lingua arbresche non vada perduta in regione.Altra forma di canto popolare tipico del Molise e del basso Abruzzo è la "maitunata", ossia un gruppo di stornelli cantati per occasioni, completamente improvvisati, ma racchiusi in un preciso schema metrico e tematico. La maitunata è generalmente diffusa a Campobasso, Sepino e Tufara. La città di Campobasso è inoltre sede dell'orchestra sinfonica regionale e del conservatorio di musica "Lorenzo Perosi". Teatro Le prime forme di tradizione teatrale molisana si hanno dai reperti archeologici rinvenuti a Larino, Pietrabbondante, Venafro e Sepino, quando dal I secolo a.C. i Romani costruirono i teatri e anfiteatri per spettacoli circensi e di tragedie classiche. Successivamente bisognerà aspettare il XVIII secolo, quando i teatri esistevano solamente presso le cappelle di alcuni palazzi nobiliari, il più antico dei quali il seicentesco teatrino del Castello Pandone di Venafro. Dall’Ottocento il teatro divenne d’uso mondano, e si formarono le prime compagnie teatrali locali, che misero in scena gli spettacoli in voga che si componevano nella Capitale. Tra i più grandi teatri del Molise si annovera il Teatro Savoia di Campobasso, seguito dal piccolo Teatro del Loto di Ferrazzano (uno dei più piccoli d’Italia), e dal Teatro Italo-Argentino di Agnone, costruito nel primo ‘900 lungo il corso principale.La compagnia teatrale principale molisana è il “Teatro Stabile del Molise”. In regione sono presentii seguentiTeatri:Provincia di Campobasso Teatro Savoia di Campobasso Teatro Risorgimento di Larino Teatro del Loto di Ferrazzano Teatro K di Casacalenda Provincia di Isernia Teatro Unità d'Italia di Isernia Teatro Italo-Argentino di Agnone Teatro comunale di Bojano Letteratura Non si attesta la presenza di scrittori e poeti molisani nell'epoca del dominio Sannita dei Pentri; tuttavia il territorio allora detto "Samnium" compare nelle opere dei principali storiografi romani Tito Livio, Plinio il Vecchio, Tacito soprattutto per la parte storica riguardante le "guerre sannitiche". Anche i greci naturalizzati romani Diodoro Siculo, Strabone, Claudio Tolomeo, Polibio fecero alcuni riferimenti, principalmente a carattere etno-antropologico, sul Molise nello specifico citando nelle loro opere la città di Venafro esaltandone il clima mite e salubre, l'eccellente olio e la produzione di materiali edilizi. Nell'epoca medievale la letteratura in Molise assume la connotazione dei canti e dei laudari composti da preti, e da documenti notarili. Nel campo della storiografia, l'esempio più importante del XII secolo è il Chronicon Vulturnense di un tal monaco Giovanni, riguardante la storia dell'abbazia di San Vincenzo al Volturno dalla fondazione carolina (IX secolo) sino all'XI, permettendo così un'importante ricostruzione anche dal punto di vista archeologico delle vicende del cenobio, uno dei principali dell'Italia meridionale sino al XV secolo. Nel Medioevo pieno si hanno poche testimonianze cronachistiche sul Molise, principalmente si tratta di regesti e privilegi redatti da notai e protonotai, che verranno raccolti per le opere storiografiche del XVII-XVIII secolo. Tra questi storici moderni il più illustre è Domenico La Porta, che ha scritto Historia della Contea di Molise, pubblicato 2015, mentre il cardinale Anton Ludovico Antinori negli Annali degli Abruzzi (1771) menzionò il Molise in base ad alcuni fatti storici accaduti nel Medioevo, legati all'Abruzzo. Poi viene Raffaello Genari con la sua Historia della Città e Regno di Napoli (1750), dove si fa menzione in alcuni capitoli anche della Terra di Lavoro, dove gran parte del Molise era incluso sino al 1927. Dal punto di vista della ricerca letteraria, i poeti e i romanzieri più famosi del Molise sono stati Francesco Jovine, noto nel panorama nazionale per il libro Le terre del Sacramento, Benito Jacovitti per aver creato il fumetto di Cocco Bill, poi Laura Vitone (poetessa crepuscolare ottocentesca), Giuseppe Jovine e Vincenzo Rossi, poeti decadentisti, e infine Nicola Iacobacci, che nelle sue poesie recupera i miti e le tradizioni molisane, alternando l'ambientazione di città-campagna. Nell'ambito della letteratura dialettale si ricordano Giuseppe Altobello detto "Minghe Cunzulette", Michele Cima, Domenico Sassi ed Eugenio Cirese. Cinema Due mogli sono troppe di Mario Camerini (1950), girato quasi interamente a Colli a Volturno. La legge è legge di Christian-Jaque (1958), girato interamente a Venafro. ...continuavano a chiamarlo Trinità di E.B. Clucher (1971), con alcune scene girate a Venafro. Il prefetto di ferro di Pasquale Squitieri (1977), con alcune scene girate a Colli a Volturno. I magi randagi di Sergio Citti (1996), con alcune scene girate a Rocchetta a Volturno, Sesto Campano e Venafro. Non ti muovere di Sergio Castellitto (2004), con alcune scene girate a Bojano, Oratino e Sepino. Il sole dei cattivi, di Paolo Consorti (2013), con alcune scene girate a Larino. Sole a catinelle di Gennaro Nunziante (2013), con alcune scene girate a Petrella Tifernina, Sepino, Casacalenda, Limosano e Provvidenti. Il viaggio di Alfredo Arciero (2017), girato sulla tratta ferroviaria Carpinone - Sulmona e in diverse località molisane come Campobasso, Isernia, Ripalimosani, Limosano, Sepino, San Pietro Avellana, Vinchiaturo e Bagnoli del Trigno. Monumenti e luoghi d'interesse Città d'arte Campobasso: città di origini sannite, si sviluppò in epoca romana e fu ricostruita dai Normanni che edificarono il castello sopra una torre di guardia, in cima al monte che sovrasta l'abitato storico. Campobasso ebbe pieno sviluppo nel Medioevo dal XIII secolo in poi, e venne ricostruita con un'ampia cinta fortificata voluta da Nicola Monforte dopo il disastroso terremoto del 1456, il quale riedificò anche l'attuale Castello Monforte a guardia della cittadella. Il centro di Campobasso si divide in due nuclei storici: quello medievale che si arrampica sul monte del castello, e il nuovo centro di Gioacchino Murat fatto costruire dopo il 1805, alle porte del paese vecchio, dove si trovano la centralissima Piazza Pepe, la Piazza e il Corso Vittorio Emanuele e il corso Mazzini.In cima alla montagnola si erge il quattrocentesco castello con il santuario della Madonna del Monte (o Santa Maria Maggiore, frequentata anche da Padre Pio), e dalla fortezza partiva la cinta muraria che abbracciava tutto il nucleo medievale, demolita dal sisma del 1805 e inglobata nelle case, dove è ancora è possibile vedere alcune porte di ingresso allineate con le torri (Porta Sant'Antonio a ovest, Porta San Nicola a sud-ovest, Porta Mancina a sud-est e Porta San Paolo a est). Dopo il terremoto del 1456 il centro nevralgico della vita cittadina è divenuta la piazzetta con la chiesa di San Leonardo, a differenza della parte di sopra con la chiesa di San Bartolomeo e l'ancora più periferica chiesa romanica di San Giorgio, usata come sepolcro dei cittadini e delle famiglie illustri. Diversi sono i palazzi rinascimentali e settecenteschi, come il Palazzo Japoce, il Palazzo Angioino, il Palazzo Mazzarotta sede del museo sannitico di Campobasso. Scendendo sempre più in basso si trovano il Teatro Savoia accanto l'ottocentesca Cattedrale della Santissima Trinità e il Palazzo Magno. In Piazza Vittorio Emanuele si trovano diversi edifici progettati insieme ai principali decumani della città a scacchiera, come il Palazzo San Giorgio (comune, ricavato dall'ex monastero dei Celestini), il Palazzo della Banca d'Italia, il Banco di Napoli e il Convitto Nazionale "Mario Pagano". Isernia: città antica, risorse nel Medioevo divenendo una delle città più importanti molisane. Il nucleo antico, benché non più racchiuso tra le mura, presenta ancora le caratteristiche originali, malgrado i bombardamenti del 1943 che distrussero il rione dell'attuale Piazza Celestino, dove si trovava la presunta casa natale di Pietro da Morrone, accanto alla medievale Fontana Fraterna. Il borgo si sviluppa a ellisse, delimitato al centro dal corso Marcelli che sbocca in piazza della Cattedrale di San Pietro, in stile barocco-neoclassico, dove si affacciano le facciate della chiesa di Santa Chiara, dell'ex convento di San Francesco, del Palazzo d'Avalos e dell'ex Complesso di Santa Maria delle Monache.Il centro nuovo si è sviluppato a nord intorno a Piazza Tedeschi, dove si trovano il parco delle Rimembranze, il complesso del Sacro Cuore e i principali palazzi degli uffici amministrativi.Nei pressi del centro si trovano anche l'eremo dei Santi Cosma e Damiano e il parco archeologico di "Isernia La Pineta". Venafro (IS): è una delle città più antiche del Molise, posta in un punto fondamentale di comunicazione con Caserta, Napoli e Roma. Fu città dei Sanniti, come dimostrano i ritrovamenti presso il monte Santa Croce (la Rocca Saturno) effettuati nel 2002 dall'archeologo locale Franco Valente. Quando nel I secolo a.C. fu conquista dai romani, Venafro cambiò completamente aspetto ed è possibile rintracciare alcuni manufatti antichi conservatisi, come l'anfiteatro romano che sorgeva fuori dal perimetro murario e il teatro presso il Castello Pandone, le terme, le ville signorili e le testimonianze conservate nel Museo Archeologico Nazionale di Santa Chiara. Anche la pianta della città è frutto della ricostruzione romana, con il nuovo sistema viario formato da cardi e decumani (via Plebiscito, Via Cavour, via Porta Guglielmo, Corso, Garibaldi, Via Amico da Venafro, Via Duomo, Via del Carmine, via Mura Ciclopiche, Largo Torre del Mercato).Fu costruito anche un acquedotto romano, che prelevava le acque dalla sorgente del Volturno, distribuendola non solo alle ville, ma anche ai lotti della centuriazione. L'acquedotto di Venafro è in opera cementizia, con pareti interne ricoperte da intonaco levigato, avente larghezza di 65 cm per altezza di 160 cm.Dopo il dominio romano, Venafro fu conquistata dai Longobardi, che edificarono la primitiva Cattedrale presso il colle Sant'Angelo, insieme a una torre di vedetta denominata "Torricella". Nei secoli successivi Venafro godette sempre dei benefici dei signori che si succedevano al potere, tra cui i napoletani Pandone, che riedificarono l'imponente castello che sovrasta la cittadella. Il centro storico ha un aspetto stilistico settecentesco, con mirabili esempi del barocco napoletano evidenti sia nelle strutture palaziali che nelle chiese, delle quali la chiesa dell'Annunziata risulta essere, insieme alla chiesa del Gesù, l'esempio più riuscito. In posizione decentrata si trova la Cattedrale di Santa Maria Assunta, di origini romaniche, ristrutturata nel Settecento in stile barocco, e ripristinata con interventi massicci negli anni '60 nell'ipotetico stile medievale. Nei dintorni sorgono altre costruzioni di rilievo, come la Basilica e il Convento di San Nicandro, la chiesa di San Francesco, la chiesa di Sant'Agostino, la chiesa del Carmine e numerose altre chiese, Palazzo Caracciolo conosciuto popolarmente con il nome di "Torre del Mercato", il Cimitero Militare Francese, la Palazzina Liberty. Agnone (IS): la cittadina posta a confine con l'Abruzzo, è stata ricostruita nel Medioevo con un sistema murario difensivo, benché un villaggio esistesse sin dall'era dei Sanniti. La città ebbe da subito un fiorente commercio delle materie prime, tanto che aveva contatti perfino con i Veneziani, come dimostrano i palazzi gentilizi, che imitano le caratteristiche dell'edilizia civile della Serenissima. Nel XIII secolo circa venne fondata la nota "Pontificia fonderia di campane Marinelli", che fabbrica ancora i bronzi per i campanili delle chiese dapprima italiane, e adesso anche per le altre nel mondo. Benché il perimetro murario non si sia conservato, sono ancora riconoscibili gli slarghi con le scomparse porte di accesso. Il borgo antico è delimitato al centro dal corso Vittorio Emanuele II, accessibile da Porta Maggiore, e dal corso Garibaldi, situato all'estremo sud del paese, dove si trovano le antiche chiese di San Pietro, il monastero di San Francesco e San Marco Evangelista, la chiesa più antica della città. Altre strutture religiose di notevole rilievo stilistico (esternamente gotiche e internamente barocche), sono la chiesa di Sant'Antonio abate (la più grande di Agnone) e la chiesa di Sant'Emidio, protettore contro i terremoti, che per secoli afflissero la cittadina. La Fonderia Marinelli si trova nella moderna città tardo-ottocentesca, sviluppatasi presso le campagne che erano di proprietà del monastero di San Bernardino e di Santa Maria a Maiella. Bagnoli del Trigno (IS): piccolo borgo situato a poca distanza da Agnone, sviluppatosi nel Medioevo come insediamento fortificato per il controllo della vallata, e successivamente nel tardo Settecento estesosi più a valle. Nella parte più antica, aggrappata a una montagna spaccata in due corni, si trovano le case pastorali inframmezzate a chiesette, come quella di Santa Caterina, mentre sopra i picchi della montagna torreggiano il Castello Ducale Sanfelice e la chiesa di San Silvestro. La parrocchia è nella parte bassa del paese, tardo-ottocentesca, dedicata all'Assunta. Nel paese il 18 agosto si svolge la festa rievocativa "Frammenti d'Antico", in cui si celebrano i costumi e le abitudini paesane dal Medioevo sino al Settecento mediante serate a tema e sfilate lungo il corso principale. Bojano (CB): la città, posta alle porte del Matese e della provincia di Benevento, è una delle più antiche del Molise, fondata dagli italici Sanniti. L'antica Bovianom aveva riti e tradizioni religiose proprie, quando dal III secolo a.C. si trovò a combattere nelle guerre sannitiche contro Roma, vincendo inizialmente presso le Forche Caudine, e successivamente venendo attaccata in vari scontri, dalla seconda guerra fino alla terza, quando la città capitolò definitivamente. Con la definitiva conquista romana, la città cambiò nome in Bovianum e venne riedificata alla romana, i cui monumenti sono scomparsi, essendo andato perduto anche gran parte dell'impaginato medievale della connotazione urbana, a causa di vari disastrosi terremoti, ultimo dei quali quello di Sant'Anna, che ha danneggiato anche la Cattedrale di San Bartolomeo. Bojano infatti fu sede diocesana sin dal VI secolo, favorita dal governo longobardo di Benevento, ed era sorvegliata e ben protetta dal castello di Rocca di Civita Superiore, che ebbe vari proprietari dopo Federico II, dai Pandone agli Aragonesi, fino alla rovina totale dopo il 1805.Il terremoto distrusse anche le porte con le mura che cingevano la città e Bojano si presenta come una cittadina ottocentesca, con abitazioni e chiese di stampo neoclassico, conservando solo alcuni sparuti esempi di barocchismo e goticismo, principalmente nelle strutture palaziali primarie (il Palazzo Ducale, il Palazzo del Museo Civico) e nelle chiese (il Duomo, Santa Maria a Prato e Sant'Emidio).L'abitato di Civita Superiore che troneggia sopra il Monte Crocella, affiancato dagli eremi medievali di San Michele e Sant'Egidio, era anch'esso cinto da mura, in parte ancora conservate, ed è caratterizzato da semplici case pastorali intervallate da due piazze con le chiese maggiori, delle quali la parrocchia è di San Giovanni. Poco più in alto si erge la pianta dell'antico Castello Pandone, le cui origini risalgono alle fortificazioni sannite. Castropignano (CB): piccolo borgo che si erge presso la cresta di un monte, separato dall'antico castello medievale. Il castello sarebbe stato costruito sopra una fortificazione sannita del IV secolo a.C., anche se l'area fu frequentata anche nel Neolitico. Il presidio di origine longobarda fu ampliato dai normanni e andò in cessione ai De Sangro-Lucera, successivamente trasformato nel XVII secolo in residenza nobiliare. Una leggenda vuole che il castello (danneggiato da incuria e dai bombardamenti del 1943), avesse 365 stanze, cambiate ciascuna per ogni giorno dell'aqnno dai proprietari. Nel borgo antico le case sono di pietra, caratterizzate dall'impronta del rifacimento settecentesco per le varie necessità che si andavano a sommare secolo dopo secolo. Le chiese più importanti sono quelle del Santissimo Salvatore e di Santa Lucia. Capracotta (IS): piccolo borgo non lontano da Agnone, Capracotta è stata fondata come castello fortificato nel Medioevo, e mantenne l'aspetto antico fino alla devastazione del 1943, quando venne distrutta dai nazisti in fuga sulla linea Gustav. Il paese, ricostruito quasi completamente seguendo l'antico schema originario di case combatte e sobrie, per sopportare il peso della neve, ha scoperto dagli anni '50 la vocazione turistica dello sci e delle escursioni montane, divenendo il secondo comprensorio sciistico del Molise dopo Campitello Matese. Il piccolo borgo ha pianta ellittica, con la parte più alta dominata dalla chiesa barocca di Santa Maria Assunta, circondata dalle case. Una via conduce al serpentone della periferia, dove si trovano la chiesa di Sant'Antonio e la villetta comunale. Castel San Vincenzo (IS): si trova in una zona montuosa con il fulcro centrale nel lago San Vincenzo, posto tra i comuni di Castel San Vincenzo, Rocchetta a Volturno e Cerro al Volturno. In origine questi castelli erano i feudi della potente abbazia di San Vincenzo al Volturno, ancora esistente, benché reliquia di un complesso monastico molto più vasto, andato quasi distrutto, e recuperato nel percorso archeologico di "San Vincenzo Maggiore - Cripta di Epifanio".Oltre il contesto naturale della riserva lacustre e la chiesa di San Vincenzo al Volturno, il centro conserva ancora la caratteristica di borgo medievale fortificato, accessibile da un arco d'ingresso, e diviso in due principali rioni, quello della chiesa di San Martino e il secondo della chiesa di Santo Stefano. Civitacampomarano (CB): di origine incerta, forse sannita, il nome "Campomarano" risale al 999 d.C., quando l'imperatore Ottone III confermò la donazione della chiesta di Sant'Angelo al borgo, realizzata nell'870 dal principe longobardo Arechi II in favore della basilica di Santa Sofia di Benevento. Il borgo si sviluppò attorno all'antico castello svevo, poi angioino, fregiandosi del titolo di "civitas". Tra le bellezze del paese c'è proprio il monumentale castello medievale, che si trova dietro la chiesa di Santa Maria Maggiore, semi-distrutta da una frana, di cui resta il torreggiante campanile. Altre chiese sono quella di San Giorgio e della Madonna delle Grazie, mentre per quanto riguarda l'architettura civile si trovano a Civitacampomarano una casa mercantile rinascimentale e l'abitazione che dette i natali al patriota Vincenzo Cuoco. Colletorto (CB): la prima menzione ufficiale del paese si ha in un documento del 1320 degli angioini,m dove viene chiamato "Collis Tortus". Dopo il periodo della casa D'Angiò, nel Quattrocento il borgo divenne proprietà della regina Giovanna II di Napoli, la quale realizzò l'imponente torre cilindrica che ancora sovrasta l'abitato, divenendone il simbolo, e riedificò l'antico castello, trasformandolo in palazzo di rappresentanza, situato esattamente tra la torre e la chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista. Il borgo è molto variegato e offre altri monumenti non meno importanti d'interesse architettonico, come la chiesa del Purgatorio dai campanili gemelli, il convento di Sant'Alfonso Maria dei Liguori e la chiesetta di Santa Maria di Laureto. Frosolone (IS): paese noto per la produzione artigianale di coltelli, conserva molto bene il nucleo medievale-settecentesco ancora racchiuso in parte della mura, specialmente nella zona del Palazzo D'Alena (l'antico castello). Il corso Vittorio Emanuele divide in due il borgo, passando per il piazzale del Duomo di Santa Maria Assunta, ed è costituito da eleganti casette in pietra; altri edifici di interesse dentro le mura sono la chiesa di San Pietro e di San Rocco, mentre nella parte moderna si trovano il Museo dei Coltelli e l'ottocentesca Fontana dell'Immacolata. Gambatesa (CB): sorge su un villaggio romano, dove sono state rinvenute monete e armi. Il villaggio fu saccheggiato dai barbari dopo la caduta romana, e nel XIII secolo fu riedificato, prendendo il nome dal signore Riccardo di Gambatesa, del casato angioino, che prese il potere nel castello medievale. Avendo due figlie, ottenne che il nipote Riccardello, figlio di Sibilia e Giovanni Monforte di Campobasso, aggiungesse al cognome quello paterno, dando inizio a un nuovo casato. Essendo per vari secoli, fino al XVIII secolo, roccaforte dei Di Capua, che dettero il proprio nome al castello, Gambatesa nel 1799 divenne municipio. Conserva l'impianto urbano medievale-settecentesco, arroccato attorno al Castello, esternamente ancora di fattezze medievali, ma all'interno trasformato in palazzo gentilizio, ricco di notevoli affreschi rinascimentali, raro esempio conservatosi nelle strutture signorili in Molise. La chiesa principale, barocca, è dedicata a San Bartolomeo. Guglionesi (CB): si trova nei pressi della costa molisana, e fa parte di quel comprensorio di borghi molisani che nel XV secolo ha risentito degli influssi orientali-slavi e croati, che ne hanno contaminato lo stile di vita culturale e architettonico per quanto riguarda i palazzi e le chiese principali. L'impianto circolare dimostra che il borgo fu fortificato attorno all'antico castello centrale, scomparso, ma ciò che risalta subito all'occhio è il connubio di architettura religiosa-civile settecentesca tra tradizione centro-italiana e quella della penisola balcanica. Un esempio primario è la Collegiata di Santa Maria Maggiore, ricostruita più volte, e presentante un impianto settecentesco, con opere di Michele Greco da Valona, e la cripta gotico-romanica dove si trova il reliquiario del patrono Sant'Adamo.Altri esempi architettonici, dove intervenne anche la mano mediatrice dello stile romanico pugliese, sono la chiesetta di San Nicola e la chiesa di Sant'Antonio di Padova, in un originale compendio di romanico-gotico molisano. Larino (CB): città di fondazione dei Frentani, fu conquistata dai Romani, la cui eredità massima è l'anfiteatro di "Larinum" ai piedi del paese medievale, inglobato in una discutibile area di espansione moderna. Larino rinacque durante il Medioevo, e molti sono gli esempi dell'architettura gotica locale, primo tra tutti la facciata del Duomo di San Pardo, costruita da Francesco Petrini di Lanciano, poi il Palazzo Ducale, la chiesa di Santo Stefano e di San Giuseppe, benché queste siano state modificate nel Settecento. Di architettura barocca il miglior esempio larinese è il convento di San Francesco dei Cappuccini nella zona periferica, insieme all'ex monastero di Santa Maria delle Grazie, il cui convento è stato demolito per un centro convegni di discutibile qualità artistica moderna. A Larino molto celebre è la festa patronale di San Pardo, dove viene proposta una sfilata di carri trainati da bovi nel centro antico. Montefalcone nel Sannio (CB): l'etimologia del nome non è ancora chiarita; si sa che nel 1869 il comune fu autorizzato a aggiungere "del Sannio" per differenziarlo da casi di omonimia. Il ritrovamento di monete italiche sul Monte Rocchetta ha fatto supporre che ivi sorgesse la "Maronea" dei Sanniti, espugnata dal console Marcello nel 212 a.C. Nel periodo angioino fu feudo della famiglia Cantelmo, poi degli Accursio. Nel 1381 il territorio fu concesso agli Zurlo che lo tennero fino al 1495, venendo aggregato al feudo di Guglionesi. Nel borgo settecentesco da vedere sono la chiesa madre di Santo Stefano e il Palazzo baronale. Monteroduni (IS): città sannita, fu conquistata nel VI secolo dai Longobardi i quali vi costruirono il castello. Nel 1193 il paese fu distrutto dagli scontri dei signori locali contro i Normanni, e lo stesso avvenne nella guerra contro gli Svevi. Dal XIII secolo il paese fino al 1806, fu feudo di Pignatelli principi di Napoli, che si stabilirono nel castello, ristrutturandolo a dimora gentilizia; il castello è il monumento simbolo di Monteroduni, insieme al borgo antico, dove si trova l'ottocentesca chiesa di San Michele. Oratino (CB): piccolo paese vicino a Campobasso, nominato uno dei "Borghi più belli d'Italia", caratterizzato da una pianta circolare con stradine a spirale che giungono nella piazza centrale del Palazzo Ducale. La chiesa principale è dedicata all'Assunta, ma appena fuori dall'antico perimetro murario si trova uno degli esempi più interessanti del barocco molisano, nell'oratorio della Madonna delle Grazie. Pietrabbondante (IS): antica città-santuario dei Sanniti, vi si trovano, appena fuori dall'abitato medievale, le rovine del sacro complesso templare e teatrale all'ellenistica, del II secolo a.C., principale attrazione del paese. Il borgo antico è stato ricostruito nel Medioevo presso una cresta rocciosa, dove si trovano la torre del castello e la chiesa di Santa Maria Assunta, monumenti primari. Riccia (CB): il borgo aveva origini sannite, e si sviluppò nel Medioevo. Nel 642 vi pervennero gli Schiavoni, scampati all'eccidio del duca Rodoaldo nella battaglia dell'Ofanto, successivamente il feudo fu dominio dei De Capua di Altavilla, che edificarono il castello, di cui è rimasta solo la torre centrale delle originali otto. I feudatari avevano anche il privilegio di coniare moneta, essendo ancora conservato il palazzotto della Zecca. Nel 1397 il principe Andrea Di Capua condusse nel castello la moglie Costanza di Chiaromonte, ripudiata dal re Ladislao di Durazzo. Il borgo dunque presenta una connotazione prettamente rinascimentale-settecentesca, frutto del periodo secolari di forte sviluppo dovuto alla famiglia De Capua; si divide in due principali nuclei: uno più piccolo, dominato dalla torre del castello e dalle chiese dell'Annunziata e della Madonna delle Grazie, e il secondo di fondazione tardo settecentesca, più esteso, sorto attorno ai feudi del convento dell'Immacolata Concezione. San Martino in Pensilis (CB): la nascita del borgo risale al 1110 circa, quando era un villaggio attorno alla chiesa madre di San Martino, realizzata dagli abitanti di Cliternia Frentana (Campomarino) sfuggiti dalla costa per evitare attacchi barbarici. Con i Normanni, San Martino fece parte della Contea di Loritello, donata poi all'abbazia di Montecassino nel 1182, ed entrata nel ducato di Benevento. I signori di San Martino furono i Conti di Montagano, venne poi venduta nel XIV secolo agli Orsini e poi a Giovanna di Durazzo, che detenne il feudo fino al 1433. Il paese presenta una connotazione settecentesca, che mostra evidenti tracce del passato medievale; i monumenti maggiori sono la chiesa di San Martino, ricostruita in solenne aspetto settecentesco, e il Palazzo baronale, dove si trovava l'antico castello. Sepino (CB): ha origini antichissime ed è una delle città meglio conservate del Molise, divisa in due nuclei ben distinti: l'abitato italico di Altilia - Saepinum, detto anche "Terravecchia", e il nuovo nucleo medievale sorto più a valle. L'antica fortezza di Altilia divenne nota nella terza guerra sannitica quando cadette sotto il potere romano, e il villaggio fu ampliato alla maniera dell'Urbe con un cardo e un decumano, insieme al perimetro murario a pianta quadrangolare con tre porte di accesso, ancora molto ben conservate. La vecchia città romana comprendeva un foro, un teatro, dei templi, una fontana monumentale detta Fonte del Grifo, e un mausoleo dedicato a Ennio Marso. Il villaggio crebbe d'importanza con il principato di Augusto, fino ad essere abbandonato durante le invasioni barbariche affinché gli abitanti si proteggessero dentro le mura di un nuovo presidio fortificato. La zona di Terravecchia però rimase sempre rifugio di pastori, e le antiche abitazioni vennero riedificate come case pastorali; tale perpetua frequentazione dell'abitato non permise lo spoglio delle opere principali, come solitamente è accaduto a Roma e in altre città, tanto che l'impianto urbanistico è perfettamente leggibile e ben conservato.Il nuovo abitato medievale fu fondato dai Longobardi, rimanendo sotto il ducato di Benevento fino al IX secolo. Rinacque come "Castellum Sepini", anche se l'antica fortificazione è successivamente scomparsa. Nell'abitato medievale notevoli sono i monumenti, come la chiesa di Santa Cristina, anticamente di rito cristiano-ortodosso, poiché nel paese risentì di una forte presenza bulgara, la chiesa di Santa Maria Assunta, la chiesa di Sant'Agostino e quella di San Lorenzo, tutte medievali, ma con rifacimenti barocchi.Suggestiva è anche la Piazza Nezario Prisco, che offre scorci di abitazioni civili settecentesche in stile napoletano. Termoli (CB): la città è la più grande della costa molisana, fondata dai Normanni e accresciuta grazie alle concessioni di Federico II di Svevia. Il fiorente sviluppo dei commerci marittimi rese Termoli per secoli una città cardine della costa nelle comunicazioni tra gli Abruzzi e le Puglie, anche se svariate volte andò in guerra contro le principali repubbliche marinare italiane, tra cui Venezia. Inoltre in numerosi casi fu saccheggiata dagli Ottomani, tra cui il sacco del 1566, conclusosi con un intervento miracoloso, per cui si edificò la chiesetta di Santa Maria della Vittoria su un colle vicino alla città.Nell'800 il borgo si sviluppò fuori dalle mura, venendo caratterizzato da una moderna edilizia neoclassico-umbertina, fino all'espansione industriale dei giorni nostri.Il borgo antico è ancora racchiuso dentro le mura, proteso verso il mare, fortificato da due torri e dal gigantesco bastione del Castello svevo, con torretta dell'orologio. Al centro della cittadella sorge la Cattedrale di Santa Maria della Purificazione, in stile romanico pugliese, che conserva le reliquie di San Basso da Lucera e di San Timoteo, discepolo di Paolo di Tarso. Trivento''' (CB): sorto come piccolo villaggio sannitico, il nuovo borgo si sviluppò molto presto dopo la caduta di Roma, poiché divenne una delle prime sedi vescovili del Molise, nel ducato di Benevento. La Cattedrale dei Santi Nazario e Celso venne ricostruita nel XII secolo, con la cripta, si suppone, fondata sopra un tempio romano, ed era protetta dall'imponente castello situato in cima al paese medievale, divenuto palazzo baronale. Il paese conserva l'aspetto medievale, benché abbia le case ristrutturate in stile settecentesco, e oltre alla Cattedrale con l'annesso episcopio, sono da vedere la chiesa di Santa Croce e l'ex convento di Sant'Antonio. I borghi di minoranza croata Dopo il terremoto del 1456, molti paesi della costa molisana furono gravemente danneggiati e si spopolarono (soprattutto dopo la peste del 1495; in seguito vennero riabitati dagli esuli provenienti dai Balcani, in fuga per il sacco di Costantinopoli del 1453. Tali minoranze erano chiamate dagli italiani "schiavoni", poiché di ceppo linguistico slavo, ma in realtà si tratta di croati e arbëreshë dell'Albania. Essi si stabilirono nella costa di Termoli, fondando ex novo borghi andati distrutti, come Sant'Elia a Pianisi, Portocannone, Ururi, Santa Croce di Magliano, Montecilfone e San Giacomo degli Schiavoni.La convivenza tra italiani e "schiavoni" fu sempre pacifica, fino all'assimilazione completa delle nuove tradizioni di rito ortodosso portate dai Balcani, affinché la tradizione locale continuasse. Oltre alle tradizioni popolari, anche al livello urbanistico i borghi della costa molisana di fondazione arbëreshë si differenziano dai classici italiani, poiché sono molto più simili a quelli pugliesi, composti da una piazza principale molto ampia con la chiesa e dai decumani a scacchiera. Soltanto Sant'Elia a Pianisi e Portocannone si differenziano da questo semplicissimo schema urbanistico, poiché i villaggi esistevano già prima della colonizzazione: Portocannone presenta l'impianto più antico come un agglomerato di case accessibili da un arco o porta d'ingresso, e si chiama Borgo Costantinopoli, mentre Sant'Elia ha connotazioni di abitato medievale con vie intersecate e attorcigliate alla piazza principale.Le chiese a rito cristiano ortodosso nei borghi di fondazione sono la chiesa greca di San Giacomo degli Schiavoni, la chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Portocannone, la chiesa di Santa Maria Nova a Palata e la chiesa della Beata Vergine delle Grazie a Ururi. Cattedrali e basiliche Cattedrale metropolitana della Santissima Trinità a Campobasso Cattedrale di San Pietro Apostolo a Isernia Concattedrale di San Bartolomeo a Bojano (CB) Concattedrale di Santa Maria Assunta e San Pardo a Larino (CB) Cattedrale di Santa Maria della Purificazione a Termoli (CB) Cattedrale dei Santi Nazario, Celso e Vittore a Trivento (CB) Concattedrale di Santa Maria Assunta a Venafro (IS) Basilica dei Santi Nicandro, Marciano e Daria a Venafro (IS) Basilica Santuario di Maria Santissima Addolorata a Castelpetroso (IS) Santuari e abbazie Santuario di Maria Santissima Incoronata del Monte a Campobasso Santuario della Madonna Grande a Campomarino (CB) Santuario della Madonna in Saletta a Castel del Giudice (IS) Abbazia di San Vincenzo al Volturno a Rocchetta a Volturno (IS) Santuario della Madonna della Libera a Cercemaggiore (CB) Ex Monastero di San Benedetto De Jumento Albo di Civitanova del Sannio (IS) Collegiata di Santa Maria Maggiore di Guglionesi (CB) Chiesa santuario di Santa Maria della Strada di Matrice (CB) Abbazia di Santa Maria di Faifoli a Montagano (CB) Santuario della Madonna del Canneto a Roccavivara (CB) Monastero Ex Abbazia di Sant'Elena a San Giuliano di Puglia (CB) Convento dei Padri Cappuccini a Sant'Elia a Pianisi (CB) - luogo di visita di Padre Pio Convento di San Nicandro a Venafro (IS) Monastero di Santa Maria di Monteverde a Vinchiaturo (CB) Santuario della Madonna di Santa Giusta a Palata (CB) Castelli e borghi fortificati Castello Longobardo di Macchiagodena (IS) Castello medievale di Bagnoli del Trigno (IS) Castello normanno, poi Pandone (resti) a Bojano (CB) Castello Caldora di Carpinone (IS) Castello angioino di Civitacampomarano (CB) Castello Carafa di Ferrazzano (CB) Castello di Capua a Gambatesa (CB) Castello Pandone a Venafro (IS) Castello Pandone a Cerro al Volturno (IS) Castello Pignatelli a Monteroduni (IS) Castello Pandone a Vastogirardi (IS) Castello D'Alessandro a Pescolanciano (IS) Palazzo ducale di Larino (CB) Borgo antico di Limosano (CB) Torre Angioina di Colletorto (CB) Castello svevo di Termoli (CB) Castello di Torella del Sannio (CB) Musei Tra i più importanti: Museo sannitico di Campobasso (Campobasso) Museo nazionale del Molise (Venafro) Museo Archeologico Nazionale di Santa Chiara (Venafro) Museo Winterline (Venafro) Complesso Monumentale di Santa Maria delle Monache (Isernia) Museo Internazionale della Campana "Giovanni Paolo II" (Agnone) Museo Civico (Bojano) Galleria di Arte Moderna (Termoli) Museo del castello di Torella del Sannio Museo della zampogna (Scapoli) Museo dell'Abbazia di San Vincenzo al Volturno (Castel San Vincenzo) Museo Internazionale delle Guerre Mondiali (Rocchetta a Volturno) Siti archeologici Acquedotto romano a Isernia Isernia La Pineta a Isernia Monte Vairano a Baranello (CB) e Busso (CB) Arx Calela a Casacalenda (CB) Geronio a Casacalenda (CB) Abbazia di San Vincenzo al Volturno a Castel San Vincenzo (IS) e Rocchetta al Volturno (IS) Cliternia Frentana vicino a Larino (CB) Larinum a Larino (CB) "Bovianum Vetus" e complesso teatrale a Pietrabbondante (IS) Tempio italico di San Giovanni in Galdo (CB) Saepinum a Sepino (CB) Terravecchia (Saepins) a Sepino (CB) Tempio Italico di San Pietro dei Cantoni a Sepino (CB) Acquedotto romano a Venafro (IS) Mura ciclopiche sannitiche, resti di Acquedotto romano e di villa romana a Colli a Volturno (IS) Teatro romano a Venafro (IS) Anfiteatro romano a Venafro (IS) Acquedotto augusteo a Venafro (IS) Rovine romane di Venafro (IS) Sepolcreto e villa rustica di Piana Quadrata a San Giuliano di Puglia (CB) Villa romana e necropoli a Morrone del Sannio (CB) Resti abbazia Casalpiano Morrone del Sannio (CB) Riserve naturali Parco nazionale d'Abruzzo, Lazio e Molise Parco regionale agricolo storico dell'olivo di Venafro Riserva naturale regionale Guardiaregia-Campochiaro (Oasi WWF) Riserva naturale di Collemeluccio - Riserva naturale di Montedimezzo (Riserva MAB UNESCO Collemeluccio-Montedimezzo Alto Molise) Riserva naturale Pesche Riserva naturale Torrente Callora Parco Fluviale del Volturno a Colli a Volturno Oasi Lipu di Casacalenda Cucina Prodotti agroalimentari Quella molisana è una cucina molto varia, e può vantare, secondo la revisione del ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, 159 prodotti agroalimentari tradizionali. Tra i prodotti più importanti vi sono le varietà di olio extravergine dal sapore soave consumato anche crudo su insalate e crostini. Sempre a proposito dell'olio d'oliva, molti paesi fanno parte dell'associazione "Città dell'olio", con sede a Larino (CB). Notevole è il settore produttivo della pasta. Questo vede come punta il pastificio La Molisana di Campobasso attivo dal 1912, rilanciato nel 2011 dopo un periodo di crisi, ma da citare sono il Colavita, sempre del capoluogo, e un certo numero di piccoli pastifici artigianali. Un tipo di pasta fresca tipica sono i cavatelli (in molisano, cavatiélle/cavàte), ottenuto con una sfoglia senza uova, che è una delle più importanti specialità della regione Molise e del suo capoluogo Campobasso. Grande importanza è data alla produzione di latticini e di formaggi: il caciocavallo di Agnone (IS) e quelli di Vastogirardi (IS) e di Frosolone (IS), la treccia di Santa Croce di Magliano (CB), le mozzarelle di Bojano (CB), e le mozzarelle di bufala che in Molise sono prodotte solo nel comune di Venafro (IS), prodotte a marchio DOP. Per ciò che riguarda i salumi, nel Molise vengono prodotti da alcuni insaccati, come la soppressata (cenni storici della produzione della soppressata del Molise risalgono al 1816). Piatti tipici Molto importante e buono il brodetto di pesce di Termoli (CB) (du' bredette). Un preparato tipico del basso Molise, specialmente a San Martino in Pensilis (CB), è la pampanella, carne di maiale cotta al forno con alcune spezie e molto peperoncino rosso sia dolce che piccante. La Tradizionale Frittata di Pasqua, preparata con centinaia di uova unite a prosciutto, formaggio e coratella, è tipica della Valle del Volturno, in provincia di Isernia, ed in particolare a Colli a Volturno, Montaquila e Fornelli. Fra i dolci sono tipiche le ferratelle, simili ai waffel tedeschi, ma con l'aggiunta di semini di finocchio. I caragnoli e rosacatarle o rosacatarre, intinte nel miele, sono dolci tipici natalizi. Vini Tra i vini si segnalano i DOC Tintilia del Molise rosato, Tintilia del Molise rosso, Tintilia del Molise rosso riserva, Biferno bianco, Biferno rosato, Biferno rosso, Biferno rosso riserva, Pentro di Isernia bianco, Pentro di Isernia rosato, Pentro di Isernia rosso, e Molise. Sport Calcio Cinque anni di Serie B, uno stadio da 25.000 posti e una prestigiosa partita vinta con la Juventus, fanno del Campobasso la squadra più importante della regione. L'esordio nella serie cadetta avvenne nel 1982, con i molisani che alla prima giornata bloccarono la Lazio all'Olimpico di Roma. Il 27 febbraio 1983 il Campobasso andò a San Siro per affrontare il Milan e ne uscì indenne, con un prestigioso 0-0. Nell'11º turno del campionato 1983-84, il Campobasso superò 1-0 l'Arezzo con la rete di D'Ottavio e si isolò al comando della serie cadetta, dove restò per tre settimane. La partita più importante della storia del Campobasso fu però un'altra, quella del 13 febbraio 1985: in quella data il Campobasso inaugurò lo stadio Nuovo Romagnoli di contrada Selvapiana affrontando la Juventus di Platini e Boniek, in un match valido per l'andata degli ottavi di finale di Coppa Italia. 40.000 spettatori accompagnarono il goal di Ugolotti deviato da Stefano Pioli, con il quale il Campobasso di Bruno Mazzia sconfisse la Juventus di Giovanni Trapattoni. La parentesi in Serie B del Campobasso ebbe inizio con la Lazio, e con la Lazio finì. Nel 1987 furono infatti i biancocelesti a vincere lo spareggio play-out del San Paolo di Napoli contro il Campobasso, il 5 luglio 1987, con una rete di Fabio Poli. Da quel giorno i molisani non fecero più ritorno in Serie B. Per il calcio femminile l' Monti del Matese Bojano è riuscita ad arrivare in Serie A partecipando al campionato 2005-2006 dopo aver vinto consecutivamente i campionati di B e di A2. In serie A chiuse all'8º posto, ma al termine della stagione si scioglie. Da allora nessun'altra squadra molisana è arrivata nel massimo campionato nazionale. Pallacanestro Il Molise ha ospitato diverse squadre di basket che sono arrivate, nel corso del tempo, nella Serie B, come il Nuovo Basket Campobasso, l'Isernia e il Dynamic Venafro. Nel 2017 nasce a Campobasso una squadra femminile, la Magnolia Basket Campobasso, che, nel 2020, ottiene una storica promozione in A1, confermandosi per le stagioni successive ad alti livelli ed ospitando le Final Eight di Coppa Italia nel 2019 per l'A2 e nel 2023 per l'A1. Note Bibliografia Sammartino A., Ali tagliate – Parole di un libro incompiuto/Podrezana krila – Rije i nedovršene knjige (volumetto bilingue, in italiano e croato, a ricordo di Agostina Piccoli), Cannarsa Editore, Vasto 1999, pag. 63. Cfr. Registro delle deliberazioni consiliari del Comune di Acquaviva Collecroce per l'anno 1896, esistente presso il locale archivio comunale. Cultura e immagini dei gruppi linguistici di antico insediamento presenti in Italia. Cfr. Bosio G., Dell'istoria della sacra Religione et illustrissima Militia di San Giovanni Gierosolimitano, Stamperia Apostolica Vaticana, Roma, 1594 in "Bibliografia sui Croati del Molise", raccolta e pubblicata dal redattore del periodico Naš jezik/La nostra lingua, Mario Spadanuda, sul n. 4 del 1970. Rešetar M., Le colonie serbo-croate nell'Italia meridionale, (prima traduzione in italiano, a cura di Walter Breu e Monica Gardenghi), Amministrazione Provinciale di Campobasso, 1997. Ministero Interno –Ufficio Centrale zone di confine e minoranze etniche -Ufficio minoranze linguistiche nel 1465 e in circolazione nel Regno di Napoli sino al termine del secolo XV. Giovanni Zarrilli, Il Molise dal 1789 al 1900'', Campobasso, Edizioni del Rinoceronte, 1984. Voci correlate Abruzzi e Molise Contado di Molise Dialetti molisani Sannio Tratturo Università degli Studi del Molise Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Muhammad%20al-Bar%C4%81de%CA%BF%C4%AB
Muhammad al-Barādeʿī
Dal 1º dicembre 1997 al novembre 2009 è stato direttore generale dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA), ricevendo per il suo impegno il Premio Nobel per la pace nel 2005 insieme all'agenzia stessa, è stato per anni l'ambasciatore del suo paese presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite. Dal 9 luglio al 14 agosto 2013 è il Vicepresidente dell'Egitto, incarico cessato a seguito delle sue spontanee dimissioni. Biografia Vita privata Al-Barādeʿī è sposato con ʿĀʾida al-Kāshef, che aveva svolto attività di docente a Riad, e ha avuto da lei due figli, Laylā e Muṣṭafā. Ha studiato diritto presso l'Università del Cairo dove si è laureato nel 1962. Ha poi proseguito i suoi studi in diritto internazionale all'Institut universitaire de hautes études internationales di Ginevra (oggi conosciuto come Graduate Institute of International and Development Studies) ed a New York, dove nel 1974 ha conseguito un dottorato presso la New York University. Carriera diplomatica Nel 1974 tornò in patria e cominciò la carriera diplomatica presso il ministero per gli Affari Esteri egiziano. Dal 1984 è senior member presso il segretariato dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica, ricoprendo diversi alti incarichi. Prima di essere nominato direttore generale ha ricoperto gli incarichi di Legal Adviser (1984-1993) e di Assistant Director General per le relazioni esterne (1993-1997). Dal 27 novembre 2002, assieme a Hans Blix, ha guidato la missione in Iraq degli ispettori ONU e della AIEA nell'ambito della Risoluzione ONU 1441 per il disarmo delle armi di distruzione di massa. Il 14 febbraio 2003 al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, in qualità di direttore generale dell'AIEA, dichiara che non vi sono prove che l'Iraq abbia utilizzato materiale nucleare per finalità belliche o che si fosse attivato per tale scopo. Nel marzo dello stesso anno gli USA di George W. Bush attaccarono l'Iraq con accuse che includono il possesso di armi nucleari. Nel 2005 gli è stato attribuito il Premio Nobel per la pace come direttore dell'AIEA. Il 5 ottobre 2007, presso l'Aula Magna del Rettorato dell'Università di Firenze, gli è stata conferita la Laurea Honoris Causa in Fisica e Astronomia. Nel 2007 è vincitore del premio Colombe d'Oro per la Pace, premio assegnato annualmente dall'Archivio disarmo a una personalità distintasi in campo internazionale. Il 17 novembre 2009 ha ricevuto la laurea honoris causa in Relazioni internazionali dall'Università di Perugia. Carriera politica Nel novembre 2009, nel mezzo delle polemiche politiche riguardanti le elezioni presidenziali egiziane del 2011, dovute agli ostacoli costituzionali posti davanti ai candidati di cui all'articolo 76 modificato nel 2007 e le indiscrezioni sulla possibile successione al Presidente Hosni Mubarak a favore del figlio Gamāl, al-Barādeʿi annuncia la volontà di candidarsi per la presidenza, a condizione che esistano "garanzie scritte" riguardo l'integrità e la libertà del processo elettorale. Nel febbraio 2011 è ritornato in Egitto per partecipare alle manifestazioni di protesta contro Mubarak poi note come "Rivoluzione egiziana del 2011"; al suo arrivo all'Aeroporto Internazionale del Cairo ricevette un'accoglienza trionfale, con qualche migliaio di persone presenti, e diverse personalità eccellenti come ʿAlāʾ al-Aswānī. È diventato quindi, di fatto, il leader dell'ala laica che si opponeva a Mubarak ma che non voleva l'insediamento di un regime islamico. Considerato il naturale candidato alle elezioni presidenziali del 2012, annuncia dapprima la sua candidatura, ma vi rinuncia poi il 14 gennaio 2012, denunciando la mancanza di un vero sistema democratico. Il 28 aprile 2012 al-Barade'i annuncia la fondazione del Partito della Costituzione (Al Dostour), con l'obiettivo di unificare e accrescere tutte le forze liberali del paese e di proteggere e promuovere i principii e gli obiettivi della rivoluzione del 2011. Il 5 dicembre partecipa alla fondazione del Fronte di Salvezza Nazionale, la coalizione che raggruppa i principali partiti d'opposizione contro i decreti del presidente Mohamed Morsi, di cui diventa coordinatore. Il 2 luglio 2013 viene designato, da parte di tutte le opposizioni egiziane, come rappresentante del popolo egiziano nella stesura della road map che deciderà il futuro del paese successivamente alla destituzione di Mohamed Morsi. Dopo essere stato inizialmente indicato come possibile Primo ministro dell'Egitto, il 9 luglio viene quindi nominato Vicepresidente dal Presidente ad interim Adli Mansur. A seguito delle imponenti violenze scatenatesi nel paese nelle prime settimane del mese di agosto culminate col Massacro di piazza Rabi'a al-'Adawiyya, Al-Barādeʿī presenta le sue dimissioni dal ruolo di Vicepresidente criticando le violenze delle forze dell'ordine con una nota indirizzata al Presidente Mansur il giorno 14 agosto 2013, e parte prudenzialmente per Vienna. Onorificenze Onorificenze egiziane Onorificenze straniere Note Voci correlate Hans Blix Agenzia internazionale per l'energia atomica (IAEA) Risoluzione 1441 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite Altri progetti Collegamenti esterni Studenti dell'Università del Cairo
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https://it.wikipedia.org/wiki/Medio%20Oriente
Medio Oriente
Il Medio Oriente è una regione storico-geografica che comprende territori dell'Asia occidentale e dell'Africa settentrionale (Egitto) e in esso a volte è distinto anche il cosiddetto Vicino Oriente: arabi, persiani e turchi costituiscono i maggiori gruppi etnici per numero di abitanti, mentre curdi, azeri, copti, ebrei, aramei, assiri, armeni, circassi, berberi e altri gruppi formano minoranze significative, mentre le tre principali religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo e Islam) sono sorte proprio in quest'area. Storia del nome Storicamente l'espressione "Medio Oriente" ha origini molto antecedenti all'avvento del colonialismo. Nel suo Historiae Adversum Paganos (416), lo storico romano Paulus Orosius (374-420) fece ad esempio riferimento a una delegazione spagnola di stanza a Babilonia (odierno Iraq) usando l’espressione «medio Oriente» («Hispanorum Gallorumque legatio in medio Oriente apud Babylonam»), mentre quattordici secoli dopo Goethe utilizzò l'espressione «Mittlerer Orient» per riferirsi alla Persia e alle aree limitrofe . Alla metà dell'Ottocento venne ripresa dall'India Office britannico. In origine si riferiva però a una regione diversa da quella attuale: quella tra Arabia e India. Venne riportata dallo stratega navale statunitense Alfred Thayer Mahan nel 1902 e usata poi dagli americani nel significato attuale, che andò imponendosi. Nel periodo coloniale, l'odierno Medio Oriente ricadeva nel cosiddetto Near East ("Vicino Oriente"), che indicava per il Foreign Office e il Ministero delle Colonie il mondo arabo sottoposto al dominio ottomano, esteso dall'allora Reggenza di Algeri all'odierna Turchia; pertanto, vi era inclusa la stessa Grecia che era parte integrante dell'Impero ottomano "vicino-orientale" e se ne rese indipendente solo nel 1820-21. L'espressione Far East ("Estremo Oriente") si riferiva infine all'area che si estendeva ancor più a oriente dell'India ed è tuttora utilizzata. Un equivalente di ciò, con qualche minore differenziazione, fu usato anche dalla Francia che impiegava (e tuttora impiega) correntemente i termini Proche-Orient, Moyen-Orient ed Extrême-Orient. L'espressione "Medio Oriente" è comunque stata recepita e usata nel mondo arabo (al-Sharq al-awsat) che peraltro ricorre assai più volentieri al termine Màghreb ("Occidente") per identificare i paesi nordafricani, con l'eccezione dell'Egitto per il quale, verso le aree arabofone più orientali, si usa appunto il termine Màshreq ("Oriente"). La confusione non si pone invece per le aree "vicino-orientali" d'età antica (precedenti alla conquista araba) per le quali è stata adottata oramai l'espressione accademicamente attestata di "Vicino Oriente antico". Si tratta quindi di una convenzione geografico-politica legata a storia e storiografia delle potenze occidentali: Gran Bretagna, Francia e Stati Uniti. In ogni caso non può venir utilizzata come sinonimo di "Stati arabi" (visto che comprende Israele, Turchia e Iran) o "Stati islamici", visto che comprende appunto Israele e altri Stati con forti minoranze religiose non-musulmane e non comprende ad esempio quelli a maggioranza musulmana più popolosi, Indonesia e Pakistan. Società Demografia Il Medio Oriente è una regione molto eterogenea dal punto di vista etno-religioso. Popolazioni di lingua araba rappresentano maggioranze significative nella penisola arabica, così come in Egitto, in Libano, in Giordania, in Iraq e in Siria; cospicue comunità arabofone vivono in Israele e nelle regioni meridionali dell'Iran e della Turchia; esse costituiscono un gruppo molto eterogeneo dal punto di vista identitario e religioso. In Libano, comunità cristiane convivono con quelle musulmane. Sugli altopiani della Siria meridionale e dello Shūf vivono i drusi, gruppo etnoreligioso praticante una religione di derivazione musulmana sciita. In Egitto vi è una vasta e antica comunità cristiana di identità copta. Popolazioni di lingua ed etnia turca, vivono principalmente in Anatolia e vaste comunità rappresentano minoranze significative nell'isola di Cipro e nei Paesi arabi (dove sono conosciuti come turcomanni). Sono di etnia turca anche gli azeri (distribuiti principalmente tra le regioni nord-occidentali dell'Iran e l'Azerbaigian). In Iran sono distribuite principalmente popolazioni di lingua iranica, tra le quali i persiani rappresentano la maggioranza. I curdi vivono in una vasta regione comprendente la Turchia sud-orientale, l'Iraq settentrionale, parte dell'Iran occidentale e alcuni lembi della Siria. Il governo turco ha a lungo negato la loro esistenza, definendoli come "Turchi delle montagne". In Iraq, il regime di Saddam Hussein ha attuato una repressione feroce con uno sterminio sistematico dei civili (genocidio dell'Anfal). Vicino a queste popolazioni più numerose ve ne sono altre ugualmente importanti: in Israele risiede la comunità ebraica. Gli ebrei israeliani discendono in gran parte da immigrati giunti nella regione tra il XIX e il XX secolo dall'Europa (in larga maggioranza aschenaziti), dal Maghreb (in parte sefarditi) e dal Medio Oriente (Mizrahì) e formano un gruppo molto eterogeneo, anche se accomunato dall'identità e dalla religione israelitica. Oggi l'immigrazione di ebrei in Israele continua, incoraggiata dal governo che punta a rafforzarne la presenza nella regione. A Kiryat Luza, in Cisgiordania e a Holon risiede la comunità samaritana. Sono poi diffusi armeni, greci e popolazioni di lingua aramaica. Queste ultime sono in gran parte di religione cristiana. Le popolazioni di lingua aramaica a est dell'Eufrate si identificano principalmente in un'identità assira. Gli armeni risiedono principalmente nel Caucaso; comunità armene vivono poi anche in Siria e nel Libano. Diffusa un tempo anche nell'odierna Turchia orientale, la comunità armena ha subito il genocidio all'inizio del XX secolo da parte degli Ottomani, nell'ambito della prima guerra mondiale. Comunità greche si trovano nell'isola di Cipro, dove formano la maggioranza della popolazione; un tempo numerose anche in alcuni territori dell'odierna Turchia, come nella regione di Smirne, nel Ponto e in Cappadocia, furono espulse nei primi anni venti del Novecento. Nelle zone desertiche della penisola arabica vi sono popoli nomadi, ma nella maggior parte della regione la popolazione vive in villaggi e in città. Di solito la popolazione urbana è più numerosa di quella rurale e tende ad aumentare per l'immigrazione dalle campagne. Alcune città hanno origini antichissime (si citano ad esempio Gerusalemme, Damasco e Baghdad) e superano il milione di abitanti. Tra le città principali vi sono Istanbul, in Turchia, Teheran, capitale dell'Iran, e Il Cairo, in Egitto. La regione è interessata da vasti fenomeni migratori: notevoli sono gli spostamenti dai paesi del subcontinente indiano verso i paesi del golfo. I conflitti che hanno interessato la regione nel corso del XX secolo hanno portano a una vaste migrazioni interne di rifugiati e verso l'Europa. Vi è poi il fenomeno dell'Aliyah verso Israele. Politica Paesi e territori La tabella che segue elenca gli Stati che rientrano nella definizione comune di Medio Oriente, e corrisponde ai territori appartenenti all'Asia occidentale, con l'esclusione della regione del Caucaso, più l'Egitto. Lo Stato di Palestina non ha confini ufficialmente definiti. I dati si riferiscono ai territori palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza. La Palestina rivendica Gerusalemme Est come propria capitale, sebbene la città sia sotto il controllo di Israele dal 1967. Note Bibliografia Lorenzo Kamel, The Middle East From Empire to Sealed Identities, Edinburgh University Press 2019. Simone Bocchino, Media e Oriente, Mursia 2011. Yaseen Noorani, Culture and Hegemony in the Colonial Middle East, 978-1-349-38467-9, 978-0-230-10643-7, Palgrave Macmillan US, 2010. Voci correlate Grande Medio Oriente Vicino Oriente Estremo Oriente Maghreb Mashrek Occidente MENA Mezzaluna Fertile Mondo arabo Vicino Oriente antico Rivolta araba Altri progetti Collegamenti esterni Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente
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https://it.wikipedia.org/wiki/Migliarino
Migliarino
Migliarino (AFI: ; Miarìn in dialetto ferrarese) è una frazione di abitanti del comune di Fiscaglia, nella provincia di Ferrara. Fino al 31 dicembre 2013 costituiva un comune autonomo. Società Evoluzione demografica Amministrazione Classificazione climatica: zona E, 2272 GR/G Storia amministrativa Il 6 ottobre 2013 si è svolto un referendum consultivo sulla proposta di fondere o meno i tre comuni di Migliaro, Migliarino e Massa Fiscaglia, i cittadini dei tre comuni hanno votato a maggioranza per il sì alla fusione. Infrastrutture e trasporti La località è situata sulla strada provinciale 68 ed è servita da una stazione ferroviaria sulla linea ferrovia Ferrara-Codigoro. Fra il 1901 e il 1931 Migliarino era servita da un analogo impianto posto sulla tranvia Ferrara-Codigoro. Cultura Il paese ospita il Museo del Trotto, realtà unica in Italia riguardo all'archiviazione di documenti, cimeli ed altro, riguardanti la disciplina del Trotto. Note Altri progetti Collegamenti esterni Comuni dell'Emilia-Romagna soppressi Frazioni di Fiscaglia
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https://it.wikipedia.org/wiki/Mesola
Mesola
Mesola (La Mèsula in dialetto ferrarese) è un comune italiano di abitanti della provincia di Ferrara in Emilia-Romagna. Fa parte dell'Unione Delta del Po. Geografia fisica Territorio Mesola è un comune del Delta del Po, a sud del ramo denominato Po di Goro che rappresenta sia il confine comunale sia regionale tra Veneto ed Emilia-Romagna. Il territorio interamente pianeggiante è per gran parte sotto il livello del mare, ma sono ancora visibili le linee delle dune che rappresentano l'antica costa. In località Massenzatica si trova la riserva di circa 50 ettari delle antiche dune fossili. Un tempo in gran parte vallivo è stato oggetto di vari interventi di bonifica. Prima gli Este nel XVI secolo, poi la Società Bonifiche Terreni Ferraresi nella seconda metà dell'Ottocento e infine l'Ente Delta Padano hanno realizzato una grandiosa opera fatta di canali, chiaviche ed idrovore a cui viene affidato il quotidiano governo delle acque. La parte a ridosso del fiume è caratterizzata da terreni argillosi, mentre le aree più vicine al mare adiacenti alla riserva naturale Bosco della Mesola sono caratterizzate da terreni sabbiosi. Il comune è compreso nel Parco regionale del Delta del Po dell'Emilia-Romagna ed è caratterizzato dalla presenza di vaste aree con boschi e pinete. Nel Bosco della Mesola è presente una sottospecie autoctona di cervo. Clima La stazione meteorologica più vicina è quella di Codigoro. In base alla media trentennale di riferimento 1961-1990, la temperatura media del mese più freddo, gennaio, si attesta a +2,1 °C; quella del mese più caldo, luglio, è di +23,5 °C. Classificazione climatica: zona E, 2269 GR/G Origine del nome Il toponimo di Mesola, "media insula", indica come l'origine e lo sviluppo di questo territorio siano legati all'equilibrio tra terra e acqua dell'antica Valle Padusa. Storia Le dune fossili di Massenzatica e di Monticelli di epoca romana indicano dove arrivava il mare all'epoca. L'evoluzione successiva del Delta del Po ha originato la rimanente parte del territorio. Massenzatica è altresì citata nel diploma di papa Benedetto VIII del 1013 col quale all'abbazia di Pomposa venne assegnata una zona comprendente "...Masinzatica usque monticello...". La storia del territorio è legata dagli estremi confini est sul mare dei possedimenti dell'Esarcato d'Italia sino al dominio dello Stato Pontificio e degli Este. Furono proprio gli Este a valorizzare il territorio intraprendendo grandi opere di bonifica agraria, progettando il porto di Alcina sul Po di Ariano e costruendo il Castello di Mesola. La rivalità con la Serenissima sfociò spesso in conflitti armati ma il territorio, sino al momento della devoluzione di Ferrara, rimase sempre sotto il controllo estense. Solo nel 1597, alla morte di Alfonso II d'Este, papa Clemente VIII riprese sotto il controllo diretto dello Stato Pontificio l'antico Ducato di Ferrara. La delizia rimase disponibile come bene allodiale agli Estensi fino al 1771 quando Maria Beatrice d'Este e Ferdinando Carlo Antonio d'Asburgo-Lorena si sposarono. Nel 1785 papa Pio VI acquistò il feudo dall'Imperatore Giuseppe II d'Austria poi, con l'invasione di Napoleone Bonaparte nel 1796, divenne parte della Repubblica Cispadana. Nel 1797 si trovò a far parte della Repubblica Cisalpina in seguito alla fusione della Repubblica Cispadana con la Repubblica Transpadana in ottemperanza ad un altro editto napoleonico. Dal 1802 entrò nella Repubblica Italiana e dal 1805 fino al 1814 nel Regno d'Italia. Amministrativamente era incorporato nel Dipartimento del Basso Po con capoluogo Ferrara. Ritornò allo Stato Pontificio nel 1816 in seguito alla restaurazione operata dal Congresso di Vienna sin dal 1815, sconfitto Napoleone. Amministrativamente venne operata la cessione all'Istituto di Santo Spirito di Roma e tra il novembre 1816 ed il febbraio 1817 le due frazioni di Ariano (sui due lati del Po) furono colpite da una epidemia di tifo esantematico che provocò 29 morti. Questo ebbe come effetto la soppressione del Comune di Massenzatica. Mesola è comune dal 1º luglio 1828 ed incorpora dalla stessa data anche il soppresso comune di Massenzatica, che esisteva sin dal Medioevo (citato in un atto dell'abbazia di Pomposa del 17 agosto 1337). Nel 1860, in seguito alla seconda guerra d'indipendenza italiana, entrò a far parte del Regno d'Italia e dal 1962, con decreto del Presidente della Repubblica, Goro, in precedenza frazione di Mesola, è stato istituito comune autonomo. Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose Chiesa parrocchiale della Natività di Maria Santissima Chiesa della Beata Vergine del Rosario nella frazione di Bosco Mesola Chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo nella frazione di Massenzatica Chiesa di San Lorenzo nella frazione di Ariano Ferrarese Architetture civili Castello di Mesola Torre Abate, nell'oasi della frazione di Santa Giustina Aree naturali Riserva naturale Bassa dei Frassini - Balanzetta Riserva naturale Bosco della Mesola Riserva naturale orientata dune fossili di Massenzatica Società Evoluzione demografica Nel 1962 la frazione di Goro è divenuta comune autonomo. Cultura Musei Museo del bosco e del cervo della Mesola presso il castello Estense Economia Mesola ha sviluppato una importante attività agricola, in particolare nel settore delle coltivazioni orticole e nel vivaismo. Di particolare importanza è la produzione dell'asparago verde "IGP asparago verde di Altedo" a cui si aggiungono notevoli produzioni di radicchio e carota. È presente una cartiera e numerose attività artigianali legate in particolar modo all'attività edilizia. Recentemente, vista la vicinanza con il Porto di Goro, sul territorio mesolano, si sono insediate numerose attività di lavorazione dei mitili ed in generale dei prodotti della pesca e molti sono dediti alla pesca della vongola nella vicina sacca. Infrastrutture e trasporti Strade Strada statale 309 Romea Strada provinciale 27 Bosco Mesola-Goro Strada provinciale 61 Gran Linea (Romea - Copparo - Ferrara) Amministrazione Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune. Sport Calcio La principale squadra di calcio della città è F.C. Mesola 1925 che milita nel girone C di Promozione. Note Bibliografia Gustavo Cristi. Storia del Comune di Ariano Polesine – Padova, 1934; ristampa Ariano nel Polesine 2008, contiene riferimenti ai Comuni del Basso Ferrarese. Luisa Furlani, Gianfranco Cori, Giovanni P. Raminelli. Tùti i paìsi i gh'a al ssò dialèt: al dialèt mundsiànt. Tutti i paesi hanno il loro dialetto, il dialetto monticellese – Tipografia Artigiana Stampa – Ariano nel Polesine, 1980. Gianfranco Cori, Giovanni Raminelli. Mesola, Massenzatica, Monticelli – Pagine di storia del Mesolano – Arti Grafiche Masini – Serravalle di Berra, 1982. Gianfranco Cori. ‘Na bòna spigá int al dialèt munsiànt. Dialetto e cultura popolare di una comunità del Basso Ferrarese: Monticelli – Arti Grafiche Masini – Serravalle di Berra, 1984. Valentino Zaghi. L'Eroica viltà. Socialismo e fascismo nelle campagne del Polesine. (1919-1926) - Franco Angeli editore – Milano, 1989. Valentino Zaghi. Povera it'alia in fama. Lettere di fuoriusciti polesani. (1923-1942) - Minelliana – Rovigo, 1991. M. Zunica. Civiltà del lavoro industriale in Polesine 1870-1940 – Associazione Culturale Minelliana – Rovigo, 1991. Aldo Tumiatti. La questione del passo nell'ex frontiera austro-pontificia di Goro-Gorino (1854-1862) - Taglio di Po, 1992. Valentino Zaghi. Lettere dal lager. Soldati e internati polesani nella seconda guerra mondiale – Minelliana – Rovigo, 1996. Gianfranco Cori. MASSENZATICA dal Comune al CUM – Ariano nel Polesine, 1998. Aldo Tumiatti. Il Taglio di Porto Viro. Aspetti politico-diplomatici e territoriali di un intervento idraulico nel delta del Po (1598-1648) - Taglio di Po, 2005. autori vari. Enciclopedia del Polesine. Il Basso Polesine: Atlante polesano del Delta del Po – Rovigo, 2007. Valentino Zaghi. Lettere al Duce – I Polesani scrivono a Mussolini – Minelliana – Rovigo, 2009. Voci correlate Po di Goro Provincia di Ferrara Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Massa%20Fiscaglia
Massa Fiscaglia
Massa Fiscaglia (La Mase nel dialetto locale) è una frazione di 3.781 abitanti del comune di Fiscaglia, nella provincia di Ferrara. Fino al 31 dicembre 2013 costituiva un comune autonomo. Geografia fisica Territorio Il territorio del paese è posto fra i 30 e i 35 chilometri ad est di Ferrara e tra i 15 e i 20 chilometri a nord-ovest di Comacchio, lungo il Volano, una diramazione del Po attualmente ridotta a canale di bonifica, ma che dal primo medioevo ne costituiva il principale ramo deltizio. Interamente pianeggiante (altitudine massima 3 metri) ed in parte sotto il livello del mare, il territorio era originariamente caratterizzato da una successione di valli (bacini lacustri, talvolta salmastri) e paludi deltizie, separate da dossi, con un precario equilibrio idrografico. La coltivazione è stata resa possibile da continui interventi di canalizzazione e bonifica, particolarmente estesi ed intensi nella seconda metà del XIX secolo. Ora le campagne si caratterizzano per ampi lotti in coltura industriale, a relativamente bassa densità abitativa. I terreni sono costituiti da depositi palustri-alluvionali di tipo argilloso (argille organiche e lenti di limi sabbiosi), sebbene siano ancora visibili tracce di qualche cordone dunoso, residuo delle antiche linee di costa. Geologicamente recenti ed abbastanza potenti (ossia costituiti da strati molto spessi, con granulometria piuttosto uniforme), ricchi di torbe che li rendono tendenzialmente acidi, sono di norma con la falda freatica in prossimità del piano campagna e frequentemente saturi. Clima La stazione meteorologica più vicina è quella di Codigoro. In base alla media trentennale di riferimento 1961-1990, la temperatura media del mese più freddo, gennaio, si attesta a +2,1 °C; quella del mese più caldo, luglio, è di +23,5 °C. Classificazione climatica: zona E, 2270 GR/G Origini del nome Il più probabile significato del toponimo indica l'esistenza di una "massa di beni" (o, dal celtico mas o mae, campo, gran campo, prato) che in seguito a confische divenne "con-fisco" (lat. fĭscu(m), "cesto" poi “cassa dello Stato”), zona in cui si imponevano tasse a favore del fiscus Caesaris, ossia la cassa privata dell'imperatore, in contrapposizione allager publicus, l'erario statale, suggerendo l'ipotesi di un'origine tardo-romana. Storia Medioevo L'etimo del toponimo Massa Fiscalie, o Massa Phiscalia, assieme all'autonomia del «consortium», lascia pensare a due possibili ipotesi sulla sua origine: la prima è che sia frutto di una confisca nel VI secolo dell'Esarcato di Ravenna, poi organizzata a «castrum» a scopo difensivo. Come nota Procopio di Cesarea in una sua missiva, presso l'Esarcato si riscontravano infatti diverse proprietà appartenenti al fisco, molte delle quali provenienti da re ostrogoti. La seconda ipotesi, sostenuta da alcuni studiosi locali, è che l'origine sia tardo-romana. Ad avvalorare quest'ultima è anche il ritrovamento delle tracce di alcuni insediamenti romani (tra cui una stele funeraria e alcuni laterizi con timbro imperiale), principalmente lungo l'argine Trebbia e Gallare. Meno probabile pare che l'origine derivi piuttosto da un insediamento arimanno dopo la caduta dell'Esarcato di Ravenna nel 750-751 ad opera dei longobardi (e quindi degli arimanni). Anche se nel Liber censuum Romanae Ecclesiae di papa Onorio III del 1192 si definisce Masse Fuscalie esplicitamente come arimanniam, tale zona fu però riconquistata circa 4 anni dopo da Pipino il Breve, tra il 754 e il 756. Le terre sottratte ai longobardi furono poi cedute alla Santa Sede da Carlo Magno nel 774 in ottemperanza alla Promissio Carisiaca. Pertanto, arimanniam andrebbe intesa come tipo di organizzazione comunitaria, non come comunità fondata da arimanni. La prima menzione certa di «Massam item cognomento Fiscaliam» appare nel 921 in una bolla di papa Giovanni X il quale la concedeva ad Onesto, arcivescovo di Ravenna. Sempre nello stesso anno è menzionata in un placito su querela dell'arcivescovo, in quanto gli abitanti rifiutarono di assoggettarsi contestando la precedente appartenenza alla Chiesa. I giudici imperiali di Berengario I infine la riconoscono Patrimonium Petri. L'antica Fiscaglia però non corrisponde all'odierna Massa Fiscaglia, ma era un territorio molto più ampio che si estendeva interamente sulla desta del Po di Volano e sulla sinistra del Verginese tra Medelana, Codigoro e Lagosanto avendo come confine orientale il fiume Trebba. Essa aveva il suo epicentro intorno alla pieve di San Vitale in Fiscaglia, presso Migliarino, la quale viene fatta risalire al VI secolo. Ad essa si aggiunsero la chiesa di Santa Margherita nel 1031 e l'abbazia di San Marco nel 1227 a Valcesura, il cui etimo riecheggia un'origine romana (portus salis versus Vallem Clusuriam, da cui Valcesura, ma di porti per il sale erano dotati tutti i tre centri principali; a Migliaro esiste ancora oggi un Vicolo Porto che portava alla Ripa sul Volano). Dei tre complessi religiosi, il primo, dopo tre secoli di abbandono, è stato riedificato attorno al 1983, mentre degli altri due oggigiorno sono pervenuti solo ruderi. Il primo statuto comunale fu "concesso" da Ferrara (con l'intento di formalizzare il proprio dominio de facto nella zona, inasprendo il contenzioso con la Santa Sede) il 26 maggio 1219; in esso si dona in locazione perpetua alla comunità locale un vasto terreno sulla sponda destra del Volano, che da Codigoro giungeva a una distanza da Castracavallo di un miglio (da Stracavallo per un unum miliare sopra Padum). Con l'intervento del Comune di Ferrara di inizio 1200, il quale mirava a controllare il Volano e forse ad espandersi fino a Pomposa, fu così costituita nella parte orientale la Massa Nova Fiscalie con una confinazione già allora ben definita che corrisponde ancora oggi agli attuali confini di Massa Fiscaglia. La singolarità del «consortium» di Fiscalia è testimoniata dall'esistenza di antichi statuti comunali, leggi che regolavano la vita comunitaria nel Medioevo, segno che godettero di un'ampia autonomia. Per tutto il territorio ferrarese ne è stato reperito solo un altro, quello di Bondeno. Prima ancora degli statuti comunali si aggiungono alcuni rescritti del X e XI secolo che accennano ai privilegi già in essere. Tale organizzazione è definibile come un'unione di liberi (excertitales) insediati su un'arimannia. Non secondario fu per la zona il ruolo del Volano, lungo il quale (o perlomeno lungo l'attuale corso) sorge il nucleo abitativo di Massa Fiscaglia. Tale ramo del Po ne fu il principale ramo deltizio a partire dallo sconvolgimento idrologico del VI secolo, acquistando importanza nella navigazione fluviale, nonché militare. Dalla lettura del corpo di leggi trecentesco si nota un grande interesse per l'ambiente, indotto dalla profonda instabilità idrografica di un territorio da sempre caratterizzato da paludi e valli, sulle quali la abitabilità e la messa a coltura dipendevano dalla manutenzione degli argini dei fiumi, a cominciare dal Volano che, con la sua notevole portata, poteva modificare l'assetto delle terre emerse e strappare all'agricoltura raccolti preziosi. I lavori di manutenzione del territorio erano obbligatori per tutti e non presupponevano remunerazione. Dall'ultimo periodo Estense all'unità d'Italia Nel 1598, con la fine del dominio Estense, il territorio del paese entrò a far parte dello Stato Pontificio fino all'ottobre del 1796 con la costituzione della Repubblica Cispadana. Nonostante gli sforzi per gli arginamenti e la cura dei canali, un peggioramento delle condizioni climatiche nel XVI-XVII secolo, assieme ai fenomeni di subsidenza, riportarono diversi territori circostanti, mai completamente bonificati, in uno stato semi paludoso, sebbene in condizioni relativamente migliori rispetto al VI-VII secolo, periodo di grandi sconvolgimenti idrici nella pianura padana, come la rotta della Cucca. In questo lungo periodo di progressivi cambiamenti climatici, due furono gli avvenimenti che incisero drasticamente sulla rete idrografica ferrarese. Il primo fu il sisma del 17 novembre 1570: se durante tutto il dominio della signoria Estense il braccio principale del Po scorreva per Ferrara per poi dividersi nei rami di Volano e Primaro, successivamente l'acqua prese a incanalarsi con forza nel ramo di Venezia (allora Po di Corbola o Po del Mazzorno), fino ad allora marginale nell'immensità del delta. Il secondo degli avvenimenti fu il Taglio di Porto Viro iniziato nel 1600, col quale il ramo di Venezia diventò definitivamente il braccio principale del Po e si determinò il quasi completo interramento del ramo di Primaro e una forte riduzione della portata del ramo di Volano, rendendolo poco utilizzabile per la navigazione di grandi imbarcazioni. Come si può cogliere in una mappa del 1570, riportata qui a lato, la valle Padusa isolava a sud il territorio ferrarese, mentre Pomposa e Comacchio non erano quasi collegate con la terraferma. A sud e ad est dell'abitato di Massa Fiscaglia vi erano le valli della Massa, Gallare e Brulla, a nord del Volano si estendeva la valle di Ambrogio e infine ad ovest, prima di Migliaro, si interponeva la valle Mazzore. Codigoro era raggiungibile unicamente percorrendo gli argini. Se si escludono l'isola della Corba e i dossi fluviali, la totalità dei terreni a sud e ad est erano in stato paludoso o semipaludoso. La costituzione nel 1605 del "Consortium di San Giorgio" e gli interventi del cardinale Sigismondo Chigi del 1673 (unita ad una sua riforma mirata ad alleggerire il carico della tassazione sulla comunità), migliorarono un poco la situazione. Nel frattempo l'economia della zona, da una tipologia mista agricola e valligiana, con i contributi derivati dal commercio fluviale e dall'avamposto militare/doganale di Tieni, si era portata ad una tipologia principalmente valligiana, la quale non poteva assicurare un sostentamento pari al precedente. Proseguì il declino della popolazione, già iniziato nel periodo rinascimentale. Se negli statuti comunali nel 1219 si può leggere che erano presenti 700 famiglie che, con approssimativamente 3-4 persone per focolare, fanno ipotizzare più di persone, nel 1786 erano scese a . Scompaiono il seminario della collegiata di Massa Fiscaglia nel 1766 ed alcuni oratori, mentre nei territori attualmente di Migliaro e Migliarino furono abbandonate anche la pieve di S. Vitale, la chiesa di San Margherita e l'abbazia di S. Marco di Valcesura, nel 1600. Dal 9 febbraio al 4 luglio 1849 ci fu il breve governo della Repubblica romana prima della restaurazione dello Stato Pontificio, mentre il 21 giugno 1859 l'Emilia Romagna entrò a far parte del Regno di Sardegna fino ad arrivare all'unità d'Italia. Dall'unità d'Italia ad oggi L'aspetto e l'economia della zona mutarono in modo radicale con le grandi opere di bonifica rese possibili dall'introduzione e l'utilizzo su larga scala, negli anni seguenti all'unificazione dell'Italia, delle idrovore a vapore per il sollevamento meccanico delle acque. Due dei primi grandi impianti del ferrarese, che da subito incisero in modo radicale sulla morfologia del territorio fiscagliese, furono lo stabilimento idrovoro di Marozzo a Lagosanto, collaudato nel 1874, per la bonifica di Valle Gallare (successivamente collegato alle valli Trebba e Ponti) e lo stabilimento idrovoro di Codigoro, costruito tra il 1873 e il 1875, entrambi basati sulla tecnica di sollevamento per pompaggio e lo scarico nel Po di Volano (acque alte) dei deflussi raccolti da un'ampia rete a giacitura più bassa (acque basse). Agli impianti di sollevamento si aggiunsero gli sforzi normativi. Alla "Legge Lanza" del 20 marzo 1865, che disciplinava l'organizzazione degli enti territoriali, permettendo la delega da parte dello Stato dei compiti e attività di interesse nazionale (sicché l'Assunteria di Massafiscaglia, attraverso il Consorzio di Bonifica, poté avviare i lavori per gli impianti idrovori per le bonifiche), seguirono la Legge n. 2605 del 1875 (con la quale iniziò la Grande Bonifica Ferrarese più a nord nella valle di Ambrogio), la Legge Baccarini (1882), la Legge Melli (1908) e successive.La prima grande bonifica fu quella della valle Volta (1756 ettari), iniziata nel 1874, seguita da valle Gallare (3700 ettari), alle quali si aggiunsero le adiacenti valli Provane, Raino e Dossi. I terreni liberati dalla prima valle però finirono col diventare proprietà dei Pavanelli, agiata famiglia borghese che tanto influenzò l'economia locale, che la rivendette subito all'ing. Luigi Chizzolini di Milano, il quale ottenne la proprietà, congiuntamente con il banchiere viennese Schanzer, anche dei terreni di valle Gallare. Negli anni successivi passarono ad altri grandi proprietari terrieri o grosse società, senza mai interessare la gran massa degli abitanti della zona, la stessa impegnata dalle opere di bonifica, la quale si vide privata anche delle forme di sostentamento valligiane e costretta ad impegnarsi nel lavoro agricolo sotto i nuovi grandi proprietari. Ne conseguirono violente agitazioni sociali che squarciarono la vita comunitaria. Le proteste continuarono negli anni e si espansero nelle zone circostanti. Fino a tutto il XX secolo l'impegno sociale e politico del ferrarese orientale, rivolto spiccatamente verso i partiti di sinistra, è stato uno dei più alti d'Italia. Nonostante le profonde trasformazioni economico-culturali e le tensioni sociali, in seguito alle bonifiche la popolazione complessiva circa triplicò tra il 1861 e il 1951, a dispetto anche delle epidemie di colera del 1886 e di influenza spagnola nel 1919 e delle due guerre mondiali.L'ultima grande bonifica ferrarese interessò la valle del Mezzano tra il 1956 e il 1964. La popolazione raggiunse il suo massimo negli anni cinquanta del novecento, per poi crollare in seguito ai cambiamenti economici e sociali di quegli anni, che ridimensionarono le economie di tipo agricolo e valligiano, incoraggiando una forte emigrazione verso altre aree maggiormente sviluppate. Infatti la parte orientale del ferrarese non fu interessata da insediamenti industriali di rilievo, forse causa la scarsità delle vie di comunicazione. Priva di autostrade (la A13 passa a Ferrara), tuttora le uniche direttrici nord-sud sono la strada provinciale 68 R di Codigoro e l'antica via consolare Romea, ora strada statale. Simboli Tale fu l'importanza delle campane per la vita locale di Massa Fiscaglia che lo stemma del comune includeva anch'esso una campana. Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose Chiesa arcipretale dei Santi Pietro e Giacomo, rieretta tra il 1763 (il coro) e il 1796-1830 (il corpo centrale) con facciata realizzata in cotto in un sobrio stile neoclassico, sui resti di una pieve del XII - XIII secolo, della quale sopravvive il campanile in romanico lombardo e alcuni resti visibili sul lato sinistro. Santuario della Madonna della Corba, già presente nel XIV secolo, ricostruito nel 1901. Ex oratorio di san Antonio Abate (detto Cisulòn), annesso ad un omonimo ospizio dei pellegrini del XVII secolo, riedificato a partire dal 1862, convertito in ufficio postale. Architetture civili Torre di Tieni - Torre difensiva medievale, con funzioni anche doganali, eretta dagli Estensi in difesa dagli attacchi dei Veneziani. Palazzina municipale - Casa patronale ottocentesca riadattata in stile razionalista durante il ventennio fascista si affaccia sulla piazza principale del centro ferrarese, Piazza Ferrari. Palazzo del Vescovo - Ex episcopio, edificio più volte rimaneggiato ed ampliato (l'ultimo importante intervento nel 1878) di cui vi è traccia certa dal 1430, sede dell'allora diocesi di Cervia-Massa di Fiscaglia, nel tempo sede di seminario e casa canonica. Dal 2006 è sede museale con oggetti di arte sacra. Oratorio di Santa Maria della Rovere, oggi del Crocifisso della Rovere - in origine cappella privata di fine 1500, con interventi ottocenteschi e nel 1935. Società Evoluzione demografica Cultura Biblioteche Biblioteca Comunale, Piazza Garibaldi 2, loc. Massa Fiscaglia Infrastrutture e trasporti Tutte le tre località sono situate sulla strada provinciale 68 R e sono servite da stazioni ferroviarie sulla linea ferrovia Ferrara-Codigoro. Fra il 1901 e il 1931 erano servite da un analogo impianto posto sulla tranvia Ferrara-Codigoro. Amministrazione Storia amministrativa il primo statuto comunale fu concesso a Terra Massae Novae Phiscaliae (corrispondente alla attuale Massa Fiscaglia) il 26 maggio 1219. In seguito a supplica di alcuni residenti, il 13 novembre 1577 il duca Alfonso II d'Este istituiva il consiglio di 12 membri della comunità Milliaro et Rotta, indipendente da Massa di Fiscaglia. Col Regio Decreto del 2 gennaio 1881 Migliarino divenne amministrazione municipale autonoma su spinta dei già citati Pavanelli. Il 6 ottobre 2013 si è svolto un referendum consultivo sulla proposta di fondere o meno i tre comuni di Migliaro, Migliarino e Massa Fiscaglia, i cittadini dei tre comuni hanno votato a maggioranza per il sì alla fusione. Con la LR n. 18 del 7 novembre 2013 in seguito a referendum, il 1º gennaio 2014 Massa Fiscaglia, Migliaro e Migliarino, ritornarono sotto un'unica amministrazione comunale. Note Bibliografia Massafiscaglia dalla Resistenza alla riforma agraria, Este Edition, 2012. ISBN 978-88-6704-043-8 Altri progetti Collegamenti esterni Cartografia storica con idrografia del ferrarese Frazioni di Fiscaglia Fusioni di comuni italiani Comuni dell'Emilia-Romagna soppressi
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https://it.wikipedia.org/wiki/Masi%20Torello
Masi Torello
Masi Torello (Màs Turèl in dialetto ferrarese) è un comune italiano di abitanti della provincia di Ferrara in Emilia-Romagna. Storia Masi Torello è divenuto un comune nel 1959; prima di allora era una frazione di Portomaggiore. Non è nota, per l'assenza di testimonianze documentali, la sua esatta origine: il fatto che non fosse citato in alcun documento anteriore al XIII secolo porta a credere che non esistesse questa località prima di quest'epoca. L'origine del nome sarebbe da attribuire a "manso" misura agraria locale o "mansus" fondo coltivato quest'ultima ipotesi associata a "torelus" ove s'intendeva la corda ritorta, può far pensare a un podere specializzato nella lavorazione della corda. Un'altra ipotesi vede l'origine del nome risalire al potere acquistato intorno ai XIII secolo dalla famiglia "Torelli-Salinguerra", anche se nulla è documentato circa possedimenti di proprietà dei Torelli in questa zona. Certo è che dagli inizi del XIV secolo s'instaurarono fitti rapporto con il borgo e Ferrara e quindi Masi Torello ne seguì le vicende, passando dagli estensi allo Stato Pontificio. Annessa nel 1798 alla repubblica cisalpina, fu unita al comune di Trova, con sede municipale a Portomaggiore. Il 25 settembre 1959 riconquistò la propria autonomia, il 28 novembre 1960 s'insediò il primo consiglio comunale con sindaco Giorgio Franceschini. Monumenti e luoghi d'interesse Chiesa di San Leonardo Abate Società Evoluzione demografica Geografia fisica Territorio Classificazione climatica: zona E, 2272 GR/G Infrastrutture e trasporti La località è situata lungo la strada provinciale 1 e dispone di una propria uscita lungo l'Autostrada Ferrara-Porto Garibaldi. La stazione ferroviaria è posta lungo la linea ferrovia Ferrara-Codigoro. Fra il 1901 e il 1931 Masi Torello era servita da un analogo impianto posto sulla tranvia Ferrara-Codigoro. Amministrazione Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune. Note Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/MySQL
MySQL
MySQL o Oracle MySQL (/maɪ ˌɛskjuːˈɛl/ "My S-Q-L") è un relational database management system (RDBMS) composto da un client a riga di comando e un server. Ambo i costituenti sono multipiattaforma e sono disponibili ufficialmente su tutte le distribuzioni conosciute, quali Debian, Ubuntu e CentOS, sebbene lo abbiano sostanzialmente sostituito con MariaDB a partire dal 2012. È software libero pubblicato a doppia licenza, compresa la GNU General Public License, sviluppato per essere il più possibile conforme agli standard ANSI SQL e ODBC SQL. I sistemi e i linguaggi di programmazione che lo supportano sono molto numerosi, fra cui ODBC, Java, Mono, .NET, PHP, Python. Storia Il codice sorgente di MySQL era inizialmente di proprietà della società MySQL AB, veniva però distribuito con la licenza GNU GPL oltre che con una licenza che prevedeva assistenza commerciale. Fino alla versione 4.0, una buona parte del codice del client era licenziato con la GNU LGPL e quindi poteva essere utilizzato anche per applicazioni proprietarie. Dalla versione 4.1 in poi, anche il codice del client è distribuito sotto GNU GPL. Esiste peraltro una clausola estensiva che consente l'utilizzo di MySQL con una vasta gamma di licenze libere. Nel luglio 2007 la società svedese MySQL AB aveva 385 dipendenti in numerosi paesi. I suoi principali introiti provenivano dal supporto agli utilizzatori di MySQL tramite il pacchetto Enterprise, dalla vendita delle licenze commerciali e dall'utilizzo da parte di terzi del marchio MySQL. Il 16 gennaio 2008 Sun Microsystems ha acquistato la società per un miliardo di dollari, stimando il mercato del database in 15 miliardi di dollari. Il 20 aprile 2009 alla stessa Sun Microsystems è stata proposta l'acquisizione da parte di Oracle per 7,4 miliardi di dollari. L'accordo, approvato dall'antitrust USA, è poi passato al vaglio degli organi corrispondenti dell'Unione Europea, preoccupati per il conflitto di interessi costituito dai database commerciali Oracle rispetto a MySQL. Michael Widenius, il padre di MySQL, ha lanciato una petizione online per opporsi alla fusione. Nonostante ciò l'Unione europea ha dato parere favorevole e l'acquisizione è stata completata il 27 gennaio 2010. Il ramo 5.5 è il primo a includere estensioni non Open Source, disponibili solo nella versione Enterprise a pagamento. A partire dal 2012 diverse distribuzioni Linux e alcuni utenti importanti come Wikipedia hanno iniziato a sostituire MySQL con il fork MariaDB. Sviluppo Fino a lo sviluppo del programma era opera soprattutto dei suoi sviluppatori iniziali: David Axmark, Allan Larsson e Michael Widenius. Quest'ultimo era il principale autore del codice, oltre che principale socio della , e tuttora coordina il progetto, tra l'altro vagliando i contributi che pervengono dai volontari. I contributi vengono accettati a condizione che il loro autore condivida i diritti d'autore con la . Caratteristiche L'Internet Assigned Numbers Authority ha formalmente assegnato al server MySQL la porta TCP 3306. Versioni 3.23 La prima versione alfa del ramo 3.23.x è stata pubblicata nel luglio 1999. La prima è del gennaio 2001. Nelle versioni 3.23.x sono stati aggiunti i tipi di tabella MyISAM (che rimpiazza il vecchio Isam), HEAP (ora MEMORY), InnoDB e BDB. Inoltre sono state aggiunte la ricerca fulltext e la replica dei database. 4.0 Nell'ottobre 2001 è stata pubblicata la prima versione alfa del ramo 4.0.x, mentre nel marzo 2003 è entrata in produzione. Le aggiunte più significative sono: una cache per le query le query di tipo UNION DELETE multitabella migliorate le tabelle Merge affinché supportino le INSERT e i campi autoincrementanti limitazione delle risorse utilizzabili da ogni singolo utente variabili d'ambiente reimpostabili con il comando SET una libreria per incorporare le funzioni di MySQL in un altro programma 4.1 La prima versione del ramo 4.1.x risale all'aprile 2003, mentre nell'ottobre del 2004 è entrato in produzione. Le aggiunte più significative sono: le Subquery. Queste sono delle query SQL nidificate. Si ha dunque la possibilità di scrivere: SELECT * FROM tabella1 WHERE colonna1 = (SELECT colonna1 FROM tabella2 LIMIT 1) Dati geografici memorizzati secondo il modello OpenGIS; I Prepared Statements; Le connessioni SSL/TLS; Set di caratteri impostabili a livello di database, tabella e colonna; aggiunto il supporto per Unicode (UTF8 e UCS2); Commenti a livello di colonna. 5.0 Il 22 dicembre 2003 viene pubblicata la prima versione della serie 5.0, che è entrata in produzione il 19 ottobre 2005. Le aggiunte più significative sono: Le viste, tabelle virtuali ricavate da una query SQL, aggiornabili quando possibile; Le stored procedure, un vero e proprio linguaggio di programmazione per interagire con i dati del database. Oltre ai soliti parametri di ricerca e selezione è possibile inserire costrutti [IF... THEN... ELSE], tanto per fare un esempio; I trigger, istruzioni SQL che vengono lanciate automaticamente prima o dopo l'esecuzione di determinate query su determinate tabelle INFORMATION_SCHEMA, un database virtuale che descrive la struttura di tutti gli altri database; inoltre i comandi SHOW, che anch'essi restituiscono informazioni sulla struttura dei database, sono stati potenziati; Il tipo di dati BIT; Gestione appropriata del fuso orario (timezone); I tipi di tabella Archive e Federated; Un'API ben strutturata per sviluppare nuovi tipi di tabelle. 5.1 La prima versione alfa pubblica è uscita il 29 novembre 2005. Le principali nuove caratteristiche sono: Il partizionamento delle tabelle; Un'API per scrivere nuovi parser per le ricerche FULLTEXT; Gli eventi; Replica basata sui dati (anziché sulle query); I log possono essere scritti in un database, oltre che nei file di testo; Supporto per Xpath; Campi AUTOINCREMENT e varie ottimizzazioni per le tabelle ARCHIVE; ClusterDB ora può scrivere i dati su disco, oltre che conservarli nella RAM; supporta inoltre MontaVista; ALTER TABLE, CREATE INDEX e DROP INDEX sono molto più performanti. 5.2 La versione 5.2 è in fase alfa e le principali novità sono il nuovo storage engine Falcon e il backup online. Sul sito di MySQL è scomparso ogni riferimento alla versione 5.2 e le novità che avrebbe dovuto introdurre sono state pianificate per la versione 6.0. 5.4 Si tratta del primo ramo sviluppato sotto l'egida della Sun, ora Oracle. Non è quindi un caso che questa versione abbia avuto come unico scopo l'ottimizzazione del server su sistemi Solaris e su hardware SPARC, nonché l'ottimizzazione di InnoDB, in particolare della sua configurazione di default che prima aveva notevoli difetti. 5.5 Si tratta del primo ramo che è divenuto stabile sotto l'egida di Oracle. La versione 5.5 introduce diverse nuove funzionalità: La replicazione semisincrona fornisce una maggiore garanzia sui dati poiché il commit sulla base dati Master attende che almeno uno Slave abbia ricevuto le modifiche; Viene introdotto il Performance Schema che contiene numerose viste utili per il tuning della base dati; L'Engine InnoDB diventa il default, ne vengono incrementate le prestazioni e viene reso scalabile sui moderni processori multicore. 5.6 È l'ultima versione pubblicata in produzione. Sono molte, di cui alcune molto attese, le nuove funzionalità della versione 5.6: La gestione dei microsecondi e dei millisecondi nei datatype temporali e nei timestamp; La possibilità di controllare i dati della Host Cache e i relativi errori; Nuove viste, utili per il monitoraggio ed il tuning della base dati, nel Performance Schema e nell'Information Schema; La possibilità di escludere alcune directory dalla ricerca come nome di database; L'utilizzo di ricerche testuali (FULLTEXT SEARCH) sull'Engine InnoDB; Un'interfaccia di tipo memcache su tabelle InnoDB; Molte utili estensioni che migliorano la sicurezza della base dati. 5.7 Questo ramo è in sviluppo. Le novità sono principalmente nello storage engine InnoDB. Il ramo 5.7 introduce anche l'ALTER TABLE online e lo stack degli errori. 6.0 Questa versione è stata cancellata e parte del codice sviluppato non sarà incluso nelle prossime versioni. Da questo ramo sono state importate alcune delle funzionalità di MariaDB. Compatibilità MySQL, essendo scritto in linguaggio C e C++, è disponibile su molti differenti sistemi operativi tra cui AIX, AmigaOS, BSDi, Digital Unix, FreeBSD, HP-UX, GNU/Linux, macOS, NetBSD, Novell NetWare, OpenBSD, OS/2 Warp, SGI IRIX, Solaris, SunOS, SCO OpenServer, SCO UnixWare, SGI Irix, Tru64, Windows 95, Windows 98, Windows NT, Windows 2000, Windows XP, Windows 2003, Windows Server 2008, Windows Server 2008 R2, Windows Vista, Windows 7, Windows 8 e Windows 10. Le piattaforme di riferimento sono Linux e Solaris. La documentazione di MySQL offre comunque un aiuto per chi avesse bisogno di provare a compilare il software su qualsiasi sistema operativo discretamente diffuso. MySQL utilizza anche i tool automake, autoconf e libtools per aumentare la compatibilità. Le tabelle di tipo BDB funzioneranno solo sui seguenti sistemi operativi: GNU/Linux 2.x Intel, Solaris (SPARC and x86), FreeBSD 4.x/5.x (x86, sparc64), AIX 4.3.x, SCO OpenServer, SCO UnixWare 7.1.x Sono disponibili dei driver per i linguaggi C, C++, C#, Eiffel, Java, Perl, PHP, Python, Ruby, Tcl e per le piattaforme Mono e. Net. Infine, il linguaggio SQL di MySQL comprende numerose estensioni che sono tipiche di altri DBMS, quali PostgreSQL, Oracle e Sybase. In questo modo le query non standard scritte per altri DBMS in alcuni casi funzioneranno senza problemi. Amministrazione Esistono diversi tipi di MySQL Manager, ovvero di strumenti per l'amministrazione di MySQL. Uno dei programmi più popolari per amministrare i database MySQL è phpMyAdmin che richiede un server web come Apache HTTP Server e il supporto del linguaggio PHP. Si può utilizzare facilmente tramite un qualsiasi browser. Alcune offerte di terze parti sono HeidiSQL, SQLYog o Toad for MySQL. In alternativa la stessa MySQL AB offre programmi quali MySQL Administrator (amministrazione del database, degli utenti, operazioni pianificate, carico del server, ...) e MySQL Query Browser (esecuzione di svariati tipi di query), MySQL Migration Toolkit per importare da altri DBMS. Per la progettazione e la modellazione di database MySQL esiste MySQL Workbench: integra il disegno, la modellazione, la creazione e l'aggiornamento di database in un unico ambiente di lavoro. In passato veniva sviluppato anche MySQLcc (MySQL control center), sostituito da MySQL Query Browser. In alternativa a gestori grafici è possibile utilizzare direttamente la riga di comando, preferita da utenti/amministratori esperti. Tipi tabelle MYSQL (storage engine) In MySQL una tabella può essere di diversi tipi (o storage engine). Ogni tipo di tabella presenta proprietà e caratteristiche differenti (transazionale o meno, migliori prestazioni, diverse strategie di locking, funzioni particolari, ecc). Esiste poi un'API che si può utilizzare per creare in modo relativamente facile un nuovo tipo di tabella, che poi si può installare senza dover ricompilare o riavviare il server. Storage engine ufficiali I tipi di tabella predefiniti sono: MyISAM InnoDB (transazionale, sviluppata da InnoBase Oy, società ora comprata da Oracle) Memory (una volta si chiamava Heap) Merge NDB, o ClusterDB (introdotta nella 5.0) CSV (introdotta nella 5.1) Federated (introdotta nella 5.0) Archive (introdotta nella 5.0) BLACKHOLE (introdotta nella 5.0) Falcon (non è mai stato terminato e il progetto è abbandonato) Aria (è stato sviluppato inizialmente per MySQL, che non l'ha mai adottato; è invece presente in MariaDB) Storage engine prodotti da terze parti Esistono anche storage engine prodotti da terze parti. Eccone alcuni: XtraDB - Fork di InnoDB, sviluppato da Percona OQGRAPH - Simula strutture a grafo SolidDB - Motore transazionale RitmarkFS - Permette di accedere al filesystem in lettura e in scrittura tramite comandi SQL, supporta anche la replica del filesystem Distributed Data Engine - Motore per dati distribuiti, per gestire meglio il carico di lavoro SphinxSE - Interfaccia MySQL con Sphinx CassandraSE - Interfaccia MariaDB con Apache Cassandra mdbtools - Permette di leggere e scrivere un file. mdb (Access) BrightHouse - Appare all'utilizzatore come un normale MyISAM, ma struttura internamente i dati per colonne anziché per righe. Da utilizzare tipicamente in lettura per Data Warehouse: riduce da 10 a 100 volte i tempi di accesso e lo spazio per i dati. Alcuni di questi storage engine sono distribuiti con MariaDB o Percona Server. Storage engine obsoleti ISAM (non più supportato; era il motore di default prima di essere sostituita da MyISAM) BDB (transazionale, sviluppata da SleepyCat, società ora acquisita da Oracle; dalla versione 5.1.12 non è più presente in MySQL) Gemini (non più supportato e non più compatibile con le API di MySQL da molti anni). Una volta era importantissimo in quanto motore transazionale; era prodotto dalla NuSphere, la quale non ha mai rispettato la licenza GPLv2 di MySQL e in tribunale ha tentato di negarne la validità giuridica, salvo poi accordarsi con MySQL per il pagamento dei danni economici e ritirare il prodotto dal mercato. Lo sviluppo e il supporto per Gemini sono cessati. PBXT - Motore transazionale progettato per applicazioni web ad alta concorrenza, distribuito con MariaDB. Amira è un fork di Gemini ed è stato mantenuto per un certo periodo dalla comunità. Fork Alcuni fork sono nati in critica verso la poca apertura di MySQL ai contributi dei volontari esterni e la lentezza della pubblicazione dei fix dei bug segnalati. Drizzle Nato da Brian Aker tra l'aprile e il maggio del 2008, questo fork si propone come un DBMS leggero. Infatti partendo da MySQL 6 alcuni sviluppatori hanno eliminato la maggior parte delle sue funzioni, mantenendo il cuore, ripulendolo e modificando la sua architettura. L'idea è quella di creare un microkernel con numerose interfacce che può utilizzare per caricare funzionalità esterne. Durante il processo di pulizia il codice è arrivato a dimensioni inferiori ai 200 KB. Tra le funzionalità eliminate vi sono: stored procedure, viste, trigger, prepared statement, cache, MyISAM. Secondo gli sviluppatori tutte queste funzionalità potrebbero essere reimplementate sotto forma di plugin, senza appesantire inutilmente gli utenti che non le utilizzano: nonostante queste caratteristiche siano insostituibili in particolari situazioni, ognuna di esse è completamente inutile per la quasi totalità degli utenti di MySQL. MariaDB Questo fork è stato creato da Monty Widenius nel 2009 dopo la sua fuoriuscita dalla Sun Microsystems, uscita dovuta sia a problemi con questa società e sia all'acquisizione della stessa da parte della concorrente Oracle. Quest'ultima motivazione ha portato molti dei principali sviluppatori di MySQL a seguire Widenius nel Monty Program, la nuova società da lui avviata per supportare il fork. Il nome MariaDB è dovuto al fatto che inizialmente questo fork si focalizzava soprattutto sullo sviluppo dello storage engine Aria, il cui vecchio nome era Maria in dedica alla terza figlia di Widenius, una sorta di evoluzione di MyISAM. Sono state incluse patch realizzate da terze parti, in particolare prelevate dai fork di MySQL sviluppati da Google, Facebook e Twitter, nonché storage engine sviluppati da terze parti. Inoltre altre migliorie al server e alcuni storage engine aggiuntivi sono stati sviluppate appositamente, alcune evoluzioni sviluppate per MySQL sono state importate nel fork e alcuni bug presenti nel programma originale sono stati corretti. Percona Server Percona Server with XtraDB, o semplicemente Percona Server, è un fork sviluppato da Percona che contiene, oltre allo storage engine XtraDB (fork di InnoDB) diverse patch sviluppate principalmente dalla stessa società. OurDelta Si trattava di una distribuzione sviluppata dalla società australiana Open Query. Il ramo 5.0 (prima versione del programma) si basava sul codice di MySQL 5.0, mentre i rami 5.1 e 5.2 si basavano su MariaDB 5.1 e 5.2. OurDelta applicava diverse patch sviluppate da terze parti e crea pacchetti per le distribuzioni GNU/Linux Debian, Ubuntu, Red Hat e CentOS. Questo fork non è più mantenuto. Le ultime modifiche al codice, tuttora ospitato su Launchpad, risalgono al febbraio 2010. Proven Scaling Proven Scaling aggiunge all'edizione enterprise di MySQL vari plugin che provengono dalla comunità del software libero. Il fork nacque dalla constatazione che MySQL Community Edition era quasi defunto: secondo i contestatori, gli annunci ufficiali prospettavano solo due release annuali più qualche security fix, e dunque un utente avrebbe dovuto utilizzare MySQL Enterprise Edition, oppure rassegnarsi ad utilizzare prodotti superati. Il repository contiene le versioni, anche datate, per tutti i sistemi operativi supportati da MySQL. Diffusione Le piattaforme LAMP e WAMP incorporano MySQL per l'implementazione di server per gestire siti web dinamici, inoltre molti dei content management system di successo come WordPress, Joomla, Drupal e TikiWiki nascono proprio con il supporto predefinito a MySQL. Il software MediaWiki nato nel 2002, che gestisce i siti del progetto Wikimedia, è basato su database MySQL. Wikimedia Foundation ha adottato MySQL fino al 2015 circa, migrando poi a MariaDB. Note Voci correlate Database management system SQL Storage engine mSQL phpMyAdmin MySQL Manager MySQL Proxy MySQL Workbench MariaDB Cloud database Altri progetti Collegamenti esterni MySQL, dal sito di Oracle Manuale di MySQL Administrator Manuale di MySQL Query Browser Manuale di MySQL Migration Toolkit MySQL Forge Wiki, il wiki ufficiale dedicato a MySQL (archiviato) Breve tutorial per phpMyAdmin, da HTML.it Guida MySQL in Italiano, da MRW.it
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https://it.wikipedia.org/wiki/Meccanica%20classica
Meccanica classica
Con il termine meccanica classica si intende generalmente, in fisica e in matematica, l'insieme delle teorie meccaniche, con i loro relativi formalismi, sviluppate fino alla fine del 1904 e comprese all'interno della fisica classica, escludendo quindi gli sviluppi della meccanica relativistica e della meccanica quantistica. Essa descrive in modo sostanzialmente accurato gran parte dei fenomeni meccanici osservabili direttamente nella nostra vita quotidiana ed è applicabile ai corpi continui, a velocità non prossime alla velocità della luce e per dimensioni superiori a quelle atomiche o molecolari. Dove non sono valide queste ipotesi è necessario applicare teorie meccaniche differenti, che tengano conto delle caratteristiche del sistema in esame. Formulazioni Abitualmente si individuano all'interno della meccanica classica due formulazioni ben distinguibili: la meccanica newtoniana, formalizzata da Newton nel celebre testo pubblicato nel 1687 Philosophiae Naturalis Principia Mathematica, anche noto come Principia. Gli strumenti matematici tipici della meccanica newtoniana sono il calcolo aritmetico e i fondamenti dell'analisi matematica. Talvolta, specie nella letteratura anglofona, con "meccanica classica" non s'intende tutta la branca della fisica, ma soltanto la meccanica newtoniana. la meccanica razionale, o analitica, sviluppata da Lagrange, Hamilton, Maupertuis, Liouville, Jacobi e altri fra la seconda metà del XVIII secolo e la fine del XIX secolo. Gli strumenti matematici tipici della meccanica razionale sono il calcolo delle variazioni ed elementi di analisi matematica superiore. È bene osservare che le due formulazioni sono perfettamente equivalenti, dato che dall'una si può dimostrare l'altra e viceversa; pur partendo da princìpi diversi, i principi di Newton nel primo caso e il principio di minima azione nel secondo, e utilizzando metodi matematici differenti, giungono a risultati identici dal punto di vista sperimentale. Principi Principio di relatività Per qualsiasi formulazione della meccanica classica risulta indispensabile introdurre un principio di relatività. Nonostante esistano teorie più generali, dotate di una validità più estesa, per definire la meccanica classica è più che sufficiente il principio di relatività enunciato nel 1639 da Galileo Galilei nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo: Relatività galileiana: "Le leggi fisiche sono covarianti in tutti i sistemi di riferimento inerziali"; in particolare, "le leggi fisiche sono invarianti per trasformazioni galileiane". Principi di Newton La meccanica newtoniana si basa su tre princìpi fondamentali: primo principio della dinamica (o principio di inerzia): "In un sistema inerziale, un corpo libero, cioè non sottoposto ad alcuna interazione reale, mantiene il suo stato di moto rettilineo uniforme o di quiete finché non interviene una interazione reale esterna a variare tale moto". Il principio di inerzia è una diretta conseguenza del principio di relatività di Galileo, ma non è possibile dimostrare quest'ultimo a partire dal principio di inerzia. secondo principio della dinamica: "Una forza impressa ad un corpo produce una variazione della sua quantità di moto nel verso della forza in maniera direttamente proporzionale alla forza applicata", cioè . Nel caso di masse costanti il secondo principio ha una formulazione ridotta, che è quella più nota: "L'accelerazione di un corpo è direttamente proporzionale alla forza ad esso applicata", cioè , dove la costante di proporzionalità tra la forza e l'accelerazione è proprio la massa inerziale del corpo; terzo principio della dinamica: "In un sistema di riferimento inerziale, la quantità di moto e il momento angolare totale rispetto ad un polo fisso di un sistema materiale libero, cioè non sottoposto a forze esterne, si conservano". Da ciò discende il principio di azione e reazione: "ad ogni azione corrisponde una reazione, uguale e contraria, agente sulla stessa retta di applicazione", dove per "azione" s'intendono le forze e i momenti reali. Questa non è l'unica formulazione possibile dei principi della meccanica newtoniana, ma ne esistono altre perfettamente equivalenti. Principio di minima azione In meccanica razionale, al posto dei tradizionali principi newtoniani, si definisce il principio di minima azione, noto anche come principio di azione stazionaria, che impone una condizione di tipo variazionale. Anche di quest'ultimo principio esistono molteplici definizioni, una di quelle più utilizzate afferma che: "Il moto naturale di un sistema è tale da minimizzare l'azione del sistema", dove l'azione risulta definita come: dove è la funzione Lagrangiana, dipendente dalle coordinate generalizzate , dalle loro derivate temporali e dal tempo. Minimizzando questo funzionale si ottengono le equazioni del moto tramite le equazioni di Eulero-Lagrange. Discipline della meccanica classica Discipline della meccanica newtoniana Le discipline della meccanica newtoniana sono: cinematica, lo studio descrittivo del moto con le sole nozioni di spazio e tempo dinamica, lo studio del moto di un corpo attraverso le nozioni di forza e momento statica, lo studio dell'equilibrio di un corpo attraverso le nozioni di forza e momento Ciascuna disciplina può essere studiata nell'ambito del punto materiale, di un sistema di punti, di un corpo rigido o un corpo continuo. Discipline della meccanica razionale Meccanica lagrangiana Meccanica hamiltoniana Altre discipline della meccanica classica Meccanica del continuo Meccanica dei solidi Meccanica dei materiali Meccanica delle strutture Meccanica applicata alle macchine Meccanica dei fluidi Idrostatica Idrodinamica Fluidodinamica Meccanica del suono Meccanica celeste Note Bibliografia Domenico Chelini Elementi di meccanica razionale G. Legnani, 1860. Ugo Amaldi e Tullio Levi-Civita, Lezioni di meccanica razionale Padova: "La litotipo", editrice universitaria, 1920. Tullio Levi-Civita e Ugo Amaldi, Lezioni di meccanica razionale Bologna: N. Zanichelli, 1923. Giuseppe Armellini, Corso di meccanica razionale, Padova: "La Litotipo", 1921. Cesare Burali-Forti e Tommaso Boggio Meccanica razionale, Torino-Genova: S. Lattes & c., 1921. Pietro Burgatti Lezioni di meccanica razionale Bologna: N. Zanichelli, 1919. Gian Antonio Maggi Dinamica dei sistemi; lezioni sul calcolo del movimento dei corpi naturali. Pisa: E. Spoerri, 1921. Gian Antonio Maggi Dinamica fisica. Lezioni sulle leggi generali del movimento dei corpi naturali Pisa: E. Spoerri, 1921. Giovanni Gallavotti Meccanica elementare, Torino, Boringhieri, 1980, (tradotto in inglese da Springer; una edizione rivista in inglese è disponibile qui) Heinrich Hertz The principles of mechanics: presented in a new form MacMillan, 1899. Percival Frost Newton's Principia, first book, sections I, II, III with notes and illus. and a collection of problems principally intended as example of Newton's methods London: Macmillan, 1900. Alexander Ziwet Elements of theoretical mechanics New York: McMillan, 1904. Arthur Gordon Webster The dynamics of particles and of rigid, elastic, and fluid bodies Leipzig: B.G. Teubner, 1904. James Hopwood Jeans An elementary treatise on theoretical mechanics Ginn & co., 1907. Andrew Gray e James Gordon Gray A treatise on dynamics with examples and exercises MacMillan, 1911. E. T. Whittaker A treatise on the analytical dynamics of particles and rigid bodies Cambridge: University Press, 1917. Horace Lamb Higher Mechanics Cambridge: University Press, 1920. A. E. H. Love Theoretical mechanics; an introductory treatise on the principles of dynamics, with applications and numerous examples Cambridge: University press, 1921. R. Abraham e J. E. Marsden Foundations of Mechanics, Second Edition Addison-Wesley, 1987. ISBN 0-8053-0102-X Vladimir Igorevich Arnold (1982): Mathematical methods of classical mechanics, Springer, ISBN 0-387-96890-3 Voci correlate Fisica classica Teoremi della meccanica classica Personaggi Galileo Galilei Tycho Brahe Niccolò Copernico Giovanni Keplero Isaac Newton Robert Hooke Christiaan Huygens Henry Cavendish Joseph-Louis Lagrange William Rowan Hamilton Pierre Simon Laplace Henri Poincaré Thomas Young Ernst Mach Blaise Pascal Evangelista Torricelli Simone Stevino Daniel Bernoulli Claude-Louis Navier George Stokes Augustin-Louis Cauchy Altri progetti Collegamenti esterni Meccanica classica
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https://it.wikipedia.org/wiki/MegaTokyo
MegaTokyo
MegaTokyo è un fumetto online in stile manga disegnato da Fred Gallagher (detto "Piro"). Disegni, storia e design del sito sono di Fred. Rodney Caston (detto "Largo") ha collaborato a scrivere la storia per il primo anno circa, ma a seguito di alcune incomprensioni sullo sviluppo da dare alla storia Fred ha acquisito l'intero progetto e lo prosegue da allora autonomamente. Le pubblicazioni delle tavole on line sono iniziate nell'estate del 2000. Gallagher è stato licenziato dal suo 'normale' lavoro di architetto a fine 2002 e ne ha approfittato per diventare un mangaka (benché non si ritenga "degno") lavorando su Megatokyo a tempo pieno. MegaTokyo è la storia di due statunitensi, Piro e Largo, che finiscono a Tokyo. Molte delle battute sono incentrate sul mondo dell'animazione giapponese, dei videogiochi, sull'informatica o sulle differenze culturali incontrate dai due personaggi. Tutte le tavole sono disponibili gratuitamente sul sito ufficiale, ma si possono anche acquistare i volumetti inglesi stampati dalla Dark Horse Comics, che ha edito il secondo (ISBN 1-59307-118-3) ed il terzo volume (ISBN 1-59307-305-4) nonché una riedizione del primo (ISBN 1-59307-163-9), dato che l'edizione della IronCat è oramai fuori stampa. Il quarto (ISBN 1-40121-126-7) e il quinto volume (ISBN 1-40121-127-5) sono stati pubblicati dalla CMX Manga. La Free Books sta stampando i volumi italiani, in collaborazione con il team di fan che curano la traduzione del sito italiano. Personaggi Piro – Statunitense fissato di manga (specialmente shōjo) e di ren'ai; sa parlare giapponese. È un bravo disegnatore, benché rifiuti di crederlo. Attualmente lavora come commesso/mascotte nel negozio MegaGamers. Pur tollerando a malapena le follie di Largo, i due hanno passato molti anni a stretto contatto. Piro è l'incarnazione cartacea di Fred Gallagher. Largo – Statunitense, videogiocatore duro e puro e "maestro del l33t" (o almeno, aspirante tale). Normalmente agisce prima (o al posto di) pensare: è ossessionato dalla birra (benza) e dalla lotta tra il bene e il male, lotta in cui si sente chiamato in prima persona. Sa parlare il leet ma non il giapponese. Trova lavoro come insegnante, diventando il 'Grande Insegnante Largo' (riferimento all'anime/manga Great Teacher Onizuka) ed ha anche una piccola parentesi nella Tokyo Police Cataclysm Division, parentesi chiusa per utilizzo esagerato di fondi e per varie distruzioni di quartieri di Tokyo. Largo è la trasposizione a fumetti di Rodney Caston. Tsubasa – Ragazzo giapponese amico di Piro, che ha ospitato la coppia nella sua casa per qualche tempo. Attualmente sta "seguendo il proprio cuore" negli Stati Uniti, su consiglio di Ping. Ed – "Agente corporativo" della Sony, miglior amico ma rivale professionale di Dom. Nonostante la sua apparentemente infinita dotazione di armi, nel corso della trama sta subendo continue e devastanti sconfitte nei suoi scontri con Ping e Miho. I suoi datori di lavoro hanno dovuto ricostruirne il corpo più volte a seguito di esplosioni, cadute da decine di metri d'altezza, colpi di armi a raggi e così via. Dom – Dipendente della Sega, amico e controparte di Ed. Fissato con le armi e dalla competizione. Conosciuto anche come SGD, Shirt (o Stick) Guy Dom. Il suo equivalente 'reale', Dominic Nguyen, è il creatore delle pagine 'omini stilizzati' presenti sul sito quando Piro non è disponibile. Il personaggio di Dom è nato per citare e irridere lo stereotipo dell'americano "armato e pericoloso". Yuki Sonoda – Ragazza giapponese della scuola superiore, figlia di un membro della divisione anti-cataclismi della polizia di Tokyo. Prende lezioni di disegno da Piro. Ha da poco scoperto, con suo grande stupore, di essere una ragazza magica come sua madre prima di lei. Erika Hayasaka – Ragazza giapponese che 'sa il fatto suo', compagna di stanza di Kimiko. Lavora come commessa/mascotte da MegaGamers assieme a Piro. La sua precedente carriera come cantante idol e doppiatrice(terminata dopo la rottura con il suo precedente ragazzo) è legata a minacce catastrofiche per la sicurezza di Tokyo e dell'intero Giappone: o almeno, questa è l'opinione della Tokyo Police Cataclysm Division. Dopo aver inflitto pesanti danni fisici a Largo nel corso di anni di strip, sta finalmente iniziando a rivedere le sue opinioni su di lui... Masamichi Sonoda – Agente della "Divisione catastrofi" della polizia di Tokyo, padre di Sonoda Yuki. Il suo compito è di amministrare e contenere gli attacchi portati contro la città con regolarità impressionante da una schiera di nemici presi dai più classici stereotipi manga. Per farlo, la divisione ha accesso alle armi più moderne, tra cui sono inclusi molti mecha nello stile di Patlabor. La presenza di Piro e Largo sta causando un continuo aumento delle sue incombenze. Kimiko Nanasawa – Ragazza giapponese piuttosto timida, che sembrerebbe non parli Inglese; è compagna di stanza di Erika, cameriera da "Anna Miller's" e attualmente doppiatrice per la Cubesoft, una società produttrice di videogiochi ren'ai. Molto lentamente, sta stringendo un legame con Piro. Ping – Ragazza-androide ceduta da Tsubasa a Piro. Si tratta di una "unità SEVS-44936", il prototipo del nuovissimo "Emotional Doll System" creato dalla Sony come accessorio per la PlayStation 2, caduta in mano di Tsubasa in qualche modo. È progettata per l'uso con simulatori amorosi ("dating sim" in inglese, "ren'ai" in giapponese), giocandoci sviluppa una propria personalità basata sulle scelte nel gioco. I suoi creatori l'hanno fornita di capacità insospettabili e probabilmente impreviste, ma non di un modulo di traduzione per l'inglese. Miho Tohya (Miho-chan) - Il personaggio più misterioso del fumetto. Largo crede che sia a capo di un'armata di zombie grazie al Necrowombicon, un antico e malvagio libro utilizzato per creare Daikatana (il più grande flop commerciale di John Romero). Bisogna segnalare, però, che il giudizio di Largo non è molto affidabile… Si sa inoltre che è stata la causa del collasso dei server di "Endgames", un gioco MMORPG che comprendeva variabili numeriche per mappare i sentimenti dei personaggi. Variabili che usò per tentare far "innamorare" il personaggio di Piro e in seguito a ciò riuscì anche ad eliminare Largo.Il mistero intorno a lei è stato in parte sciolto solo recentemente, dopo anni di speculazioni da parte dei fan e dei personaggi stessi: in un combattimento contro Ed, Miho ha per la prima volta dimostrato inequivocabilmente alcune capacità sovrumane che in molti sospettavano possedesse. L'esatta natura ed estensione dei suoi poteri, nonché la sua storia, restano comunque ignote. Seraphim – Piccola ragazza-angelo alata, agente della "Conscience Enforcement Authority". La sua attuale missione è essere la coscienza di Piro, e stimolarlo a cambiare la sua situazione. È l'incarnazione cartacea e la parodia di Sarah, la moglie di Fred Gallagher. Boo – Criceto con ali posticce, agente interinale della CEA. Gli è assegnato il ruolo di coscienza di Largo, un compito quasi impossibile per il quale era, agli inizi, completamente incompetente. Ciononostante, si è guadagnato la fiducia di Seraphim "salvandola" da Asmodeus. Riferimento al personaggio Boo di Baldur's Gate, il "Criceto Gigante Spaziale in Miniatura" di Minsc. Asmodeus – L'anti-coscienza di Piro, lavora per l'altra agenzia. Cerca di far innamorare Piro di giovani ragazzine, e di danneggiare in ogni modo i piani di Seraphim. Junpei – Ninja per professione, ha eletto Largo a suo maestro spirituale e lo segue per apprendere la "via del l33t". Lo assiste nella protezione di Erika Hayasaka. L33T D00D – Il "Tipo l33t". Una sorta di santo protettore dei gamer che appare a Largo ogni volta che viene coinvolto in una sfida a base di videogiochi, consigliandolo in leet sottotitolato in inglese erudito. Largo gli ha salvato la vita durante il viaggio aereo verso il Giappone e ora il suo ringraziamento è aiutarlo nelle sfide ai videogames. Meimi Sonoda – Moglie dell'Ispettore Sonoda, madre di Yuki e Yuuji Sonoda. È ormai accertato che prima di sposarsi e metter su famiglia è stata una majokko, e che tuttora offre in alcuni casi i suoi servigi come tale. Inoltre, nella strip numero 935 Miho stessa afferma che Yuki abbia ereditato almeno una parte dei suoi poteri. Origine del nome Tokyo, nel futuro ipotizzato dall'animazione giapponese (vedi anime e manga) è spesso chiamata 'MegaTokyo' o 'Neo-Tokyo'. In molti casi la città è stata distrutta da un disastro naturale o nucleare, ma solo per essere ricostruita più grande di prima. Vedi Bubblegum Crisis, AD Police o Akira, solo per citarne alcuni. La città descritta in questo fumetto mantiene il nome di Tokyo, ma contiene un collage parodistico di molti elementi di queste "Tokyo del futuro". Il fumetto ha questo nome solamente perché Rodney Caston aveva il dominio megatokyo.com già registrato e inutilizzato. "Largo" originariamente aveva creato un sito di news sul mondo degli anime utilizzando Slashcode, ma ha fallito e il sito originale è stato rimpazzato dal fumetto. Trama iniziale La storia inizia con Piro e Largo che cercano di entrare all'Electronic Entertainment Expo (E3). L'E3 però è aperto solo ad addetti del settore o della stampa e non li accetta. Questo porta Largo ad ubriacarsi e fare una scenata; si sveglia in aereo: Piro aveva deciso di scappare per un po' dallo stato e di comprare due biglietti sola andata per il Giappone. Dopo essere arrivati a destinazione fanno per prima cosa spese in un negozio di giochi e gadget elettronici. Quando cercano di comprare il biglietto di ritorno scoprono di essere in rosso. Sono quindi bloccati in Giappone… Capitoli "Capitolo zero" settembre 2000 (Relax, we understand j00), tavole da 1 a 129 giugno 2001 (Do You Want to Save Before You Quit?), tavole da 134 a 192 novembre 2001 (Things Change Little By Little...), tavole da 196 a 301 ottobre 2002 (Am I Your Number One Fan?), tavole da 307 a 397 aprile 2003 (Low Ping Rate), tavole da 402 a 514 febbraio 2004 (Color Depth), tavole da 526 a 633 novembre 2004 (Operational Insecurity), tavole da 639 a 729 settembre 2005 (Known Bugs and Security Flaws), tavole da 743 a 872 giugno 2006 (Defect Mapping), tavole da 875 a 968 aprile 2007 (Overlo4d), tavole da 983 a 1126. agosto 2009 (AFK), tavole da 1127 a 1269. maggio 2010 (Remanence), tavole da 1270 (corrente). Linguaggio Megatokyo, oltre alla lingua di traduzione, sfrutta svariati termini giapponesi sfruttati generalmente dagli otaku, quali "nani?" per dire "cosa?", "hai" per "sì", il termine "baka" (sciocco) che spicca su una delle magliette del protagonista, ed i vari termini onorifici sintetizzati nello stesso articolo riguardante gli otaku. Capita altresì che quando il "protagonista" di una tavola è Largo, tutto ciò che viene detto in giapponese rimane tale (in quanto Largo stesso non lo capisce), mentre quando è Piro la figura principale della tavola i discorsi in giapponese vengono tradotti. Traduzioni Esistono svariate traduzioni non ufficiali (ma approvate dall'autore, come si può leggere nel suo rant sotto la tavola #479) create da fan, in genere per il puro gusto di far conoscere MegaTokyo ai propri connazionali che non sanno l'inglese. Le prime traduzioni nate sono quella tedesca e quella messicana, fatte "manualmente" utilizzando programmi di fotoritocco. La creazione di MegaLettering ha dato la spinta necessaria alla nascita di tutte le successive traduzioni, arrivando a coprire anche lingue poco diffuse (ma non per questo meno interessanti) come interlingua. Oggi anche la traduzione tedesca usa questo sistema ed esiste anche una seconda versione in spagnolo che ha da tempo superato il punto dove quella messicana si è fermata. Elenco delle traduzioni (in ordine cronologico): Tedesco Spagnolo (Messicano) (fermo a tavola 85) Italiano Francese Serbo Finlandese Portoghese Interlingua Giapponese (fermo a tavola 20) Spagnolo Olandese Norvegese Polacco Altri progetti Collegamenti esterni MegaTokyo.com, sito ufficiale Traduzione italiana a cura di Mauro Ghibaudo, Marco Farina, Luca Ceriani, Gabriele Dini, Alessio M. Santin, Legione, Stefano Maggiolo, Lapo Luchini, Paolo Bottaro, Enrico Clementèl, Marco Agustoni (sullo stesso sito anche in: finlandese, francese, interlingua, norvegese, olandese, polacco, portoghese, serbo, spagnolo, tedesco) Fumetti online statunitensi
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https://it.wikipedia.org/wiki/Molecola
Molecola
In fisica e chimica, la molecola (dal latino scientifico molecula, derivato a sua volta da moles, che significa "mole", cioè "piccola quantità") è un'entità elettricamente neutra composta da due o più atomi uniti da un legame covalente. Nella definizione del compendium of Chemical Terminology della IUPAC gli atomi formano una buca di potenziale coulombiano sufficientemente profonda da consentire la presenza di almeno uno stato vibrazionale. Può essere composta da più atomi dello stesso elemento o di elementi diversi e identifica una sostanza, di cui costituisce l'unità fondamentale. Molecole costituite dagli stessi atomi con una diversa disposizione nello spazio sono dette isomeri di una sostanza e si differenziano per le proprietà fisiche. In chimica organica e biochimica, il termine molecola identifica talvolta anche ioni poliatomici, mentre nella teoria cinetica dei gas è spesso utilizzato per ogni particella gassosa, indipendentemente dalla sua composizione: con tale definizione anche i singoli atomi nella famiglia dei gas nobili possono essere considerati molecole. Dinamica molecolare La descrizione a livello atomico della materia utilizza il formalismo della meccanica quantistica, che attraverso la caratterizzazione probabilistica di una particella fornita dalla funzione d'onda permette di spiegare la natura elettromagnetica dei legami fisici e chimici che governano il comportamento delle molecole e dei loro costituenti. In tale contesto, lo studio della dinamica molecolare si basa sull'approssimazione di Born-Oppenheimer, anche detta approssimazione adiabatica, che considera il moto dei nuclei indipendente da quello degli elettroni, dal momento che i primi sono estremamente più pesanti e quindi più lenti dei secondi. Questo rende possibile la fattorizzazione della funzione d'onda totale della molecola: dove il pedice e indica la funzione d'onda degli elettroni, il pedice n dei nuclei, ed e sono rispettivamente le posizioni di nuclei ed elettroni. Tale funzione d'onda soddisfa l'equazione agli autovalori: dove è l'energia cinetica degli elettroni, quella dei nuclei, l'interazione coulombiana tra nuclei ed elettroni, l'interazione coulombiana tra gli elettroni e quella tra i nuclei. Nell'approssimazione adiabatica, si richiede che la funzione d'onda elettronica soddisfi l'equazione agli autovalori: La precedente espressione è ottenuta grazie al fatto che l'operatore , contenuto nel termine , non agisce sulle coordinate dei nuclei, così che la funzione d'onda dei nuclei si possa raccogliere a fattor comune. La funzione d'onda dei nuclei, invece, è ricavata a partire dall'equazione totale, che esplicitando l'operatore impulso diventa: Essendo che: Si ottiene: che, trascurando per l'approssimazione adiabatica il termine: diventa, inserendo la soluzione dell'equazione elettronica: che è l'equazione del moto dei nuclei. Il potenziale che guida il moto dei nuclei: è detto potenziale adiabatico o potenziale intermolecolare, e sta alla base della dinamica della molecola. Dall'espressione del potenziale adiabatico si evince che la dinamica dei nuclei è guidata dall'energia fornita dall'equazione elettronica: questo termine è fondamentale, dal momento che rappresenta il "collante" che tiene uniti i nuclei degli atomi che compongono la molecola. Per le molecole biatomiche il potenziale adiabatico è un potenziale armonico, e può essere approssimato dal potenziale di Morse, che a differenza dell'oscillatore armonico quantistico include esplicitamente gli effetti della rottura del legame chimico, come l'esistenza di stati non legati. Molecole biatomiche Le molecole biatomiche sono composte da due atomi, e si distinguono in molecole omonucleari, quando gli atomi sono dello stesso elemento chimico, ed eteronucleari, quando invece gli atomi differiscono. Lo ione molecolare H2+ Le molecole diatomiche omonucleari sono composte da due atomi dello stesso elemento chimico; la più semplice di queste è H2+, per la quale l'equazione elettronica assume la forma: dove , il secondo ed il terzo termine rappresentano l'attrazione Vne dell'elettrone nei confronti dei nuclei ed il quarto la repulsione dei due nuclei. I due protoni formano due buche di potenziale, e la funzione d'onda dell'elettrone è la combinazione lineare di due funzioni d'onda idrogenoidi : La funzione d'onda costituisce l'orbitale molecolare di legame, la funzione costituisce l'orbitale di antilegame. L'orbitale di legame ha energia minore dell'orbitale di antilegame. Le funzioni , sebbene descrivano bene la distribuzione di probabilità dell'elettrone nello stato fondamentale, non sono soluzioni esatte dell'equazione elettronica. La funzione d'onda , nello spazio tra i due nuclei, è maggiore delle singole funzioni d'onda idrogenoidi , ed è questo fatto che genera il legame covalente tra i due nuclei. Si nota infatti che la densità di probabilità associata alla funzione d'onda: contiene un termine di interazione, il doppio prodotto, che rappresenta la sovrapposizione delle due funzioni d'onda: si tratta di una regione di carica negativa che unisce i due nuclei di carica opposta. Per quanto riguarda l'orbitale di antilegame , esso si annulla a metà tra i due nuclei, dove genera una densità di probabilità minore di quella che avrebbe senza il termine di sovrapposizione. La molecola H2 Si consideri ora la molecola H2, la più semplice molecola neutra. Avendo due elettroni, la funzione d'onda elettronica di singoletto è data da: e rappresenta l'orbitale di legame, mentre quella di tripletto da: che rappresenta l'orbitale di antilegame, dove: e sono gli stati di spin, in cui + rappresenta lo spin-up, - lo spin-down. La densità di probabilità spaziale è: Anche in questo caso il termine di interferenza rappresenta la sovrapposizione delle funzioni d'onda idrogenoidi nella regione tra i nuclei, e comporta un aumento di carica nel caso di singoletto (segno +), ed una diminuzione di carica nel tripletto (segno -). Molecole eteronucleari Nelle molecole eteronucleari la simmetria che caratterizzava le molecole omonucleari viene a mancare, e gli orbitali non sono una pura combinazione simmetrica e antisimmetrica degli orbitali atomici. In tali molecole gli orbitali possono essere approssimati con gli autostati di una matrice quadrata di dimensione 2: dove: è l'effettiva hamiltoniana di singolo elettrone mentre gli stati e sono gli orbitali corrispondenti rispettivamente all'atomo sinistro e destro. Gli autovalori associati alla matrice sono: Gli orbitali di legame e antilegame sono dati dagli autostati: con: per si ottiene la molecola omonucleare, ed il termine rappresenta lo splitting tra l'orbitale di legame e di antilegame di una molecola omonucleare, ovvero lo splitting tra le combinazioni simmetriche ed antisimmetriche. Al crescere di gli autostati di legame e di antilegame assomigliano sempre più agli orbitali e dei singoli atomi, e lo stesso avviene per i rispettivi autovalori dell'energia. Quando la differenza è tale da comportare un trasferimento completo di carica tra i due atomi, il legame si dice ionico. Molecole poliatomiche Le molecole poliatomiche possiedono più di due atomi, che nella maggior parte dei casi sono diversi fra loro. La loro struttura è estremamente diversificata poiché le possibili combinazioni tra gli orbitali atomici che formano gli orbitali molecolari sono estremamente numerose. Oltre al legame che caratterizza le molecole biatomiche, nelle molecole poliatomiche gli orbitali atomici s e p si possono combinare fra loro per formare orbitali detti ibridi. Si riportano di seguito due esempi di molecole poliatomiche, l'acqua ed il metano: La molecola H2O Una delle più semplici molecole poliatomiche è quella dell'acqua, in cui l'ossigeno ha un orbitale p caratterizzato da una tripla degenerazione sui tre assi cartesiani, che genera due possibili configurazioni elettroniche: la prima è il caso in cui i 4 elettroni riempiono completamente due lobi dell'orbitale, lasciando il terzo vuoto, mentre la seconda è il caso in cui si abbiano due elettroni su un lobo, ed uno su ognuno dei restanti due. Tale orbitale può essere quindi scritto come 2pxpypz2, in cui si è supposto che il lobo diretto lungo l'asse z contenga due elettroni, e questo rende possibile la formazione di due legami covalenti, in cui ai lobi x e y si legano i due atomi di idrogeno. La molecola CH4 Il metano è una molecola con un orbitale ibrido. Il carbonio ha configurazione elettronica 1s22s22p2, e l'orbitale p e nel suo stato fondamentale può quindi legarsi con solo due atomi di idrogeno. La molecola di metano esiste, tuttavia, dal momento che un elettrone dell'orbitale 2s2 viene promosso all'orbitale p, sicché la configurazione elettronica diventa 1s22s2pxpypz, generando quattro elettroni disaccoppiati che possono legarsi ad altrettanti atomi di idrogeno. I quattro orbitali molecolari ibridi sono quindi una combinazione lineare degli stati , , , della forma: e formano un tetraedro con l'atomo di carbonio al centro. Orbitali e legami molecolari L'orbitale molecolare caratterizza la configurazione elettronica di una molecola, definendo la distribuzione spaziale e l'energia degli elettroni, ed è stato introdotto da Friedrich Hund e Robert S. Mulliken nel 1927 e 1928. Un orbitale molecolare è rappresentato da una funzione d'onda il cui quadrato descrive la distribuzione di probabilità relativa alla posizione dell'elettrone. Tale funzione d'onda si ottiene dall'equazione d'onda che descrive l'intera molecola, che in generale non è di facile soluzione: questa problematica viene risolta mediante un'approssimazione che consiste nello scrivere l'orbitale molecolare come combinazione lineare degli orbitali atomici dei singoli atomi. Tale approssimazione è descritta dalla teoria degli orbitali molecolari. L'ordine di legame è inoltre la semidifferenza tra il numero di elettroni leganti e il numero di elettroni antileganti. L'ordine di legame è un indice della forza del legame stesso e viene utilizzato estensivamente anche nella teoria del legame di valenza. Teoria degli orbitali molecolari La teoria degli orbitali molecolari è una tecnica per determinare la struttura molecolare in cui si pone che gli elettroni non siano assegnati a particolari legami chimici, ma siano trattati come oggetti che si muovono sotto l'influenza dei nuclei all'interno dell'intera molecola. La funzione d'onda totale degli elettroni è scritta come combinazione lineare: dove sono gli orbitali atomici, e i coefficienti della sommatoria, ricavati risolvendo l'equazione di Schrödinger per ed applicando il principio variazionale. Le proprietà principali degli orbitali molecolari così definiti sono: Il numero degli orbitali molecolari è pari al numero di orbitali atomici contenuti nella combinazione lineare dalla quale sono costituiti, poiché gli stati stazionari non si creano né si distruggono. Se la molecola possiede simmetrie, gli orbitali atomici degeneri, caratterizzati dalla stessa energia, sono raggruppati in combinazioni lineari che appartengono alla rappresentazione del gruppo di simmetria. Il numero di orbitali molecolari appartenenti alla rappresentazione di un gruppo è pari al numero di orbitali atomici appartenenti a tale rappresentazione. All'interno di una particolare rappresentazione, gli orbitali atomici si mischiano maggiormente tanto più i loro livelli di energia atomici sono vicini. Rappresentazione degli orbitali molecolari La nomenclatura degli orbitali molecolari ricalca quella degli orbitali atomici: quando un orbitale ha simmetria cilindrica rispetto alla congiungente dei due nuclei, detta direzione di legame, viene indicato con la lettera greca ; quando si trova da parti opposte rispetto alla direzione di legame viene indicato con . Accanto alla lettera si scrive un indice che indica da quale tipologia di legame atomico è formato l'orbitale molecolare. Vi è inoltre una terza tipologia di legame, denotato con , ottenuto dalla sovrapposizione di quattro lobi di due orbitali atomici. Esistono in questo caso due piani nodali siti fra i due nuclei che contraggono tale legame. Il legame δ è riscontrato nel legame quadruplo, legame multiplo importante in chimica inorganica e che caratterizza complessi quale [Re2Cl10]4- o altri tipi di cluster. L'orbitale di antilegame si denota inoltre con un asterisco, ad esempio la molecola H2 possiede un orbitale di legame ed un orbitale di antilegame . Nelle molecole biatomiche omonucleari gli elettroni riempiono gli orbitali con lo stesso schema con cui avviene il riempimento degli orbitali atomici, con l'uinica eccezione che tra gli orbitali derivanti dagli orbitali atomici 2p, gli orbitali , hanno energia minore degli orbitali a causa del fatto che la repulsione coulombiana degli orbitali derivati dagli orbitali atomici 1s e 2s aumenta l'energia degli stati . Questo è dovuto al fatto che gli elettroni dei due legami sono situati nella regione tra i due nuclei, e pertanto si respingono; nelle molecole più pesanti dell'ossigeno gli orbitali hanno energia minore e sono situati in prossimità dei nuclei, pertanto il naturale ordinamento energetico è ristabilito.La combinazione lineare delle funzioni d'onda che forma l'orbitale molecolare è rappresentata a lato, dove sono schematizzate la molecola He2 e la molecola O2, la quale ha configurazione elettronica: . Nel caso di molecole biatomiche eteronucleari, se il numero atomico dei due atomi differisce di poco il procedimento che forma gli orbitali è lo stesso delle molecole omonucleari. Vi è tuttavia una differenza di elettronegatività tra i due atomi, e ciò implica la presenza di un dipolo elettrico tra di essi dovuto al fatto che gli elettroni si distribuiscono nelle vicinanze dell'atomo più elettronegativo: il legame che si viene a formare prende il nome di covalente polare. Tale legame viene rappresentato come in figura a lato, e si può notare che gli elettroni di hanno energia maggiore, e costituiscono un orbitale detto HOMO (Highest Occupied Molecular Orbital), mentre gli elettroni di e costituiscono gli orbitali vuoti a minore energia detti LUMO (Lowest Unoccupied Molecular Orbital). L'orbitale LUMO è il centro in cui la molecola può subire un attacco nucleofilo di una base di Lewis, e si tratta quindi del centro di acidità di Lewis. Viceversa, HOMO è il centro di basicità di Lewis della molecola, e può subire un attacco elettrofilo.Se la differenza di elettronegatività è maggiore di un valore convenzionale fissato a 1,9 vi è un trasferimento completo di carica tra i due atomi, cioè la nuvola elettronica può considerarsi come spostata completamente sull'elemento più elettronegativo. Tale legame prende il nome di legame ionico.Se il numero atomico dei due atomi differisce di molto accade che gli orbitali molecolari si formino tra orbitali atomici con energia simile, invece che dello stesso tipo. All'aumentare del numero di atomi coinvolti diventa complessa la caratterizzazione degli orbitali, a nell'ambito della teoria degli orbitali molecolari sono stati sviluppati diversi metodi di calcolo degli orbitali, tra i quali vi sono il Metodo di Hückel, proposto da Erich Hückel nel 1930, consiste in un semplice metodo LCAO utilizzato per la determinazione delle energie degli orbitali molecolari di sistemi π rappresentati da idrocarburi con legami coniugati, risultando applicabile a molecole quali ad esempio l'etilene, il benzene e il butadiene. La nota regola di Hückel trae origine da queste basi.Il metodo di Hückel esteso, sviluppato da Roald Hoffmann, rappresenta invece la base delle regole di Woodward-Hoffmann ed è un'estensione a tutti gli orbitali di valenza. Negli anni successivi il metodo fu reso applicabile anche agli eterocicli come la piridina, il pirrolo e il furano.Vi è infine il metodo di Pariser–Parr–Pople, che sfrutta metodi semi-empirici della chimica quantistica nell'ambito della chimica organica. Moti interni nelle molecole biatomiche I nuclei sono soggetti al potenziale adiabatico definito in precedenza, che nelle molecole biatomiche è indipendente dalla posizione del centro di massa della molecola e dall'orientazione della retta congiungente i due nuclei. Il potenziale gode quindi di invarianza rispetto alle traslazioni ed alle rotazioni, e il moto dei nuclei può essere studiato come un problema a due corpi, sicché l'equazione di Schrödinger può essere separata in moto radiale, dipendente dalla distanza tra i due nuclei, e moto orbitale, dipendente dal numero quantico orbitale. L'equazione di Schrödinger nel caso di un moto in un campo centrale è: dove indica la posizione del centro di massa e la posizione relativa dei due nuclei, differenza delle rispettive posizioni. Il problema può essere quindi separato in due equazioni, una per il centro di massa ed una per la particella di massa μ che si muove in un campo centrale rispetto al centro di massa. La funzione d'onda si può quindi fattorizzare nel seguente modo: . L'equazione per , che rappresenta il problema della particella libera, fornisce l'energia traslazionale della molecola. L'equazione per si può ulteriormente fattorizzare in parte radiale, dipendente da r, e parte angolare, dipendente dalle coordinate angolari: . La soluzione per sono le armoniche sferiche, ed i rispettivi stati sono autostati del momento angolare orbitale e della sua componente lungo l'asse z. L'equazione per è invece, detta : dove il secondo termine rappresenta il contributo energetico rotazionale , che dipende dal numero quantico orbitale l. Il potenziale adiabatico può essere inoltre sviluppato in serie di Taylor, che troncata al secondo ordine è: dove è il valore di che minimizza , e rappresenta la posizione di equilibrio dei due nuclei. Tale espressione rappresenta un moto armonico attorno a che fornisce un contributo energetico dato dall'energia dell'equazione elettronica contenuta in e dall'energia vibrazionale . Detta la lunghezza caratteristica data dalla relazione e detta , le soluzioni dell'equazione per sono: dove è il polinomio di Hermite di grado . Lo spettro energetico contiene in definitiva tre termini: Tali termini sono i contributi energetici che caratterizzano la dinamica della molecola biatomica, e nello specifico sono: Il contributo elettronico, dato dal termine di , definisce la profondità della buca di potenziale generata dai due nuclei, responsabile del legame chimico. I livelli energetici associati a questo termine sono detti superfici adiabatiche, e corrispondono ai diversi stati energetici degli elettroni. Gli elettroni che vengono promossi da un orbitale ad un altro, ad esempio da un orbitale di legame ad uno di antilegame, effettuano una transizione tra due valori e del potenziale adiabatico. Tali transizioni sono dell'ordine di 10 eV, e a differenti superfici adiabatiche corrispondono anche diversi valori di . Le transizioni elettroniche tra due di tali superfici sono inoltre accompagnate da transizioni tra diversi stati vibrazionali e rotazionali. Il contributo vibrazionale, meno energetico del precedente, nell'approssimazione di moto armonico fornita dall'esclusione dei termini superiori al secondo ordine nel precedente sviluppo di è dato dagli autovalori dell'oscillatore armonico quantistico: dove è la costante di Planck e la frequenza angolare dell'oscillazione intorno a . La frequenza è data da: con e la massa ridotta dell'oscillatore a due corpi, data dal rapporto tra il prodotto e la somma delle masse dei due nuclei. Tale contributo descrive il moto armonico dei due nuclei intorno alla posizione di equilibrio, e transizioni tra due livelli vibrazionali sono dell'ordine del decimo di eV. Il contributo rotazionale, il meno energetico dei tre, è fornito dall'equazione angolare dell'atomo di idrogeno, pari a: dove è il momento angolare orbitale e il momento d'inerzia. Tale contributo è generalmente dell'ordine dei meV, ed è calcolato assumendo . In conclusione, quindi, l'energia interna di una molecola biatomica è: dove i termini sono elencati in ordine di importanza. Moti interni nelle molecole poliatomiche Nelle molecole poliatomiche il calcolo dello spettro energetico può essere molto complesso. Le simmetrie della molecola giocano spesso un ruolo determinante al fine di ottenere gli autovalori dell'energia vibrazionale e rotazionale. Moto vibrazionale Nelle molecole poliatomiche l'energia cinetica data dal moto vibrazionale è espressa come: dove le coordinate cartesiane sono le posizioni del nucleo α-esimo rispetto alla posizione di equilibrio. Utilizzando coordinate mass–weighted: è possibile definire la matrice di elementi: E quindi, come nelle molecole biatomiche, l'energia vibrazionale può essere espressa come: dove è il vettore che ha per componenti Le equazioni del moto sono date dal sistema di equazioni differenziali: Ogni atomo vibra con la stessa frequenza angolare, e tali frequenze sono dette modi normali di vibrazione, che si ottengono dalle radici dell'equazione caratteristica per la matrice : Moto rotazionale Considerando la molecola un corpo rigido, è possibile definire il momento d'inerzia attorno a un asse a come: Gli assi d'inerzia di una molecola sono tre, e i rispettivi momenti d'inerzia sono , , . Se , il corpo rigido è detto asymmetrical top, se è detto symmetrical top, mentre se è detto spherical top. All'interno dei corpi rigidi symmetrical top, se il corpo è detto oblato , si tratta di una molecola piatta, come il benzene, se invece è detto prolato, e si tratta di una molecola allungata, come il pentacloruro di fosforo. L'energia cinetica è data da: dove , ed sono le tre componenti dell'operatore momento angolare totale di rotazione della molecola lungo gli assi di inerzia a, b e c. Nel caso di uno spherical top si ottiene immediatamente che gli autovalori dell'energia rotazionale sono: e la degenerazione degli autovalori è . Nel caso di un symmetrical top si ha: e dal momento che commuta con ogni sua componente e con , l'autofunzione associata all'energia vibrazionale è simultanea a questi tre operatori. L'energia rotazionale è data allora da: con degenerazione se m è diverso da zero, se è invece nullo. Il caso di asymmetrical top è più complesso, ed è necessario diagonalizzare la matrice di nella base delle autofunzioni di L e Lz. Spettro elettromagnetico molecolare Lo spettro elettromagnetico molecolare è generato dalle transizioni tra due autostati dell'energia totale. Nel caso si studi lo spettro di emissione la molecola passa da uno stato eccitato allo stato fondamentale, mentre nel caso si studi lo spettro di assorbimento si osserva la transizione inversa. Tale passaggio comporta l'emissione o l'assorbimento di un fotone, la cui frequenza è data dalla legge di Planck: dove è la differenza di energia tra i due stati di partenza e arrivo: Le transizioni elettroniche dallo stato fondamentale ai primi stati eccitati sono dell'ordine di alcuni eV, e sono osservate nella regione del visibile e dell'ultravioletto dello spettro elettromagnetico, mentre le transizioni roto-vibrazionali sono osservate nella regione dell'infrarosso. Le transizioni tra due autostati dell'energia totale vengono studiate attraverso le transizioni tra autostati del momento di dipolo elettrico, definito come: con e la carica dell'elettrone. Tale operatore è esplicitato dall'espressione: dove è l'operatore di momento dipolare elettronico della molecola: Ognuno dei livelli vibrazionali che caratterizzano una superficie adiabatica è associato a diversi stati rotazionali. Nel diagramma spettroscopico le transizioni rotazionali costituiscono due rami: il primo è detto R Branch, e rappresenta le transizioni rotazionali tra i numeri quantici , mentre il secondo, detto P branch, rappresenta le transizioni . Tra i due rami vi è un vuoto, motivato dal fatto che la transizione è proibita dalle regole di selezione. Quando la transizione viene effettuata da un elettrone, essa genera anche transizioni tra autostati dell'energia roto-vibrazionale dei nuclei: tali transizioni sono dette vibroniche, e sono causate dal fatto che a due differenti superfici adiabatiche corrispondono geometrie diverse della molecola. In particolare, nelle molecole biatomiche, corrispondono a distanze internucleari differenti. Spettro nucleare Spettro nelle molecole biatomiche Nel caso di molecole biatomiche omonucleari il momento di dipolo elettrico è nullo per motivi di simmetria, e questo fatto spiega la trasparenza dell'atmosfera terrestre, composta prevalentemente da O2 e N2. Nelle molecole biatomiche eteronucleari, invece, l'elemento di matrice della componente lungo l'asse z del momento di dipolo è: dove sono gli autostati simultanei dell'energia vibrazionale e rotazionale. Lo stesso accade per le componenti x e y. Dalle proprietà delle armoniche sferiche e dallo sviluppo di attorno alla distanza di equilibrio si ottengono le regole di selezione: che definiscono le transizione permesse tra autostati dell'operatore associato all'osservabile dipolo elettrico. Spettro nelle molecole poliatomiche L'operatore di momento dipolare elettronico di una molecola poliatomica è dato da: in cui sono i versori degli assi d'inerzia. Il momento di dipolo elettrico diventa: Detto il vettore delle coordinate normali, le cui componenti sono: ed espandendo in serie di Taylor attorno alla posizione di equilibrio: si ottengono i due termini che generano le transizioni. Le transizioni dovute al primo termine del secondo membro sono nella regione delle microonde dello spettro, mentre le transizioni dovute al secondo termine nell'infrarosso. Il secondo termine fornisce inoltre le regole di selezione relative all'oscillatore armonico corrispondente: . Per quanto riguarda lo spettro rotazionale, si ha che gli spherical top ed i symmetrical top planari hanno dipolo nullo, e pertanto non generano transizioni di dipolo. Nel caso di symmetrical top non planari, il dipolo è diretto lungo l'asse di simmetria, e le transizioni tra autostati degli operatori , ed sono rispettivamente: e si rilevano nella regione delle microonde dello spettro. Spettro elettronico Una transizione elettronica molecolare consiste in una transizione da parte dell'elettrone tra due superfici adiabatiche. Tali transizioni sono simili a quelle atomiche, e consistono nella promozione di un elettrone da un orbitale molecolare ad un altro orbitale vuoto. Le regole di selezione si ricavano osservando che l'operatore di spin totale: commuta con l'hamiltoniana elettronica e con , l'operatore di dipolo non agisce sullo spin, e pertanto si ha che . Per l'operatore di momento angolare nelle molecole biatomiche: solo la componente lungo l'asse z commuta con , ottenendo che , mentre per le altre due componenti si ricava che . In definitiva si ha: Il principio di Franck Condon Il principio di Franck Condon afferma la probabilità associata ad una transizione vibrazionale, data da: aumenta all'aumentare della sovrapposizione delle funzioni d'onda dei rispettivi stati iniziale e finale. Questo comporta che i livelli vibrazionali associati allo stato finale sono favoriti nel momento in cui la transizione comporta un cambiamento minimo nelle coordinate nucleari. Una conseguenza del principio è che, ad esempio, come mostrato nella figura a sinistra, se le funzioni d'onda tra lo stato fondamentale della superficie adiabatica iniziale e il secondo stato eccitato della superficie adiabatica finale si sovrappongono, tale transizione è più probabile delle altre dal momento che minimizza la variazione delle coordinate dei nuclei. Note Bibliografia Voci correlate Atomo Composto organico Formula chimica Macromolecola Molecola biatomica Interazione debole Isomeria Legame chimico Simmetria molecolare Storia della chimica Orbitale molecolare Altri progetti Collegamenti esterni Entità molecolari Concetti fondamentali di chimica Fisica molecolare
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https://it.wikipedia.org/wiki/Moda%20%28statistica%29
Moda (statistica)
In statistica, la moda (o norma) di una distribuzione di frequenza X è la modalità (o la classe di modalità) caratterizzata dalla massima frequenza e viene spesso rappresentata con la simbologia ν0. In altre parole, è il valore che compare più frequentemente. Una distribuzione è unimodale se ammette un solo valore modale, è bimodale se ne ammette due (ossia: se esistono due valori che compaiono entrambi con la frequenza massima nella data distribuzione), trimodale se ne ha tre, ecc. La presenza di due (o più) mode all'interno di un collettivo potrebbe essere sintomo della non omogeneità del collettivo stesso: potrebbero cioè esistere al suo interno due (o più) sottogruppi omogenei al loro interno, ma distinti l'uno dall'altro per un'ulteriore caratteristica rispetto a quella osservata. Se le classi hanno la stessa ampiezza, per determinare la classe modale si può ricorrere all'istogramma, individuando l'intervallo di altezza massima, ovvero il punto di massimo della curva. La classe con la maggiore densità media (che corrisponde all'altezza dell'istogramma) è quella modale. Nel caso particolare della distribuzione normale, detta anche gaussiana, la moda coincide con la media e la mediana. Indicando con il numero di elementi che cadono nella classe , l'altezza sarà data da: L'utilità della moda risiede nell'essere l'unico degli indici di tendenza centrale in grado di sintetizzare caratteri qualitativi su scala nominale. Note Bibliografia G. Leti (1983): Statistica descrittiva, Bologna, Il Mulino, ISBN 88-15-00278-2. Voci correlate Media (statistica) Mediana (statistica) Statistica Statistica descrittiva Altri progetti Collegamenti esterni Indici di posizione Psicometria
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https://it.wikipedia.org/wiki/Moloch%20%28divinit%C3%A0%29
Moloch (divinità)
Moloch (o Molech o Molekh o Molok o Mal'akh (che significa Re) o Melqart, in ebraico מלך mlk) è il nome sia di un dio, sia di un particolare tipo di sacrificio storicamente associato al fuoco. Moloch è stato storicamente associato con culture di tutto il Vicino Oriente antico, tra cui gli Ebrei, gli Egizi, i Cananei, i Fenici e culture correlate nell'Africa settentrionale e nel Vicino Oriente. Moloch presso i Cananei Ritenuto dai Cananei un dio, la sua sede di culto era la valle della Geenna, alla base del monte Sion su cui sorgeva il primo nucleo di Gerusalemme. Gli venivano tributati sacrifici umani di bambini, che, dopo essere stati sgozzati, erano bruciati in olocausto in un fuoco tenuto costantemente acceso in suo onore. Col tempo Moloch divenne il nome del rituale durante il quale venivano bruciati bambini (forse i figli primogeniti), probabilmente con la convinzione di trasformarli in una specie di divinità protettrice della famiglia cui appartenevano. Moloch presso i Fenici Moloch è stato usato come termine per un analogo rituale fenicio, noto soprattutto tramite gli autori greco-romani e in relazione alla città di Cartagine. I cartaginesi, in particolare, veneravano il dio Ba'al Hammon, che nella interpretatio graeca era identificato con Kronos, il dio divoratore dei suoi figli. Secondo i rabbini, i cartaginesi avrebbero collocato dei bambini nelle mani della statua metallica del dio, posta in santuari chiamati tofet, e avrebbero acceso il fuoco fino a consumarli completamente, mentre il rullo dei tamburi avrebbe impedito di udire le loro grida. Anche in altre numerose località del Mediterraneo occidentale, fra cui la Sicilia (Mozia) e la Sardegna (Tharros, ecc.) sono stati ritrovati resti archeologici di tofet, sulla cui interpretazione non vi è ancora consenso fra gli studiosi. Secondo alcuni si tratterebbe semplicemente di necropoli infantili, secondo altri sarebbero santuari, come dimostrano le epigrafi. Nel 70-80 % dei casi i resti appartengono a neonati di età inferiore ai sei mesi, ma sono stati trovati resti di bambini anche di 5-6 anni. L'azione del fuoco rende ormai impossibile verificare se i neonati fossero morti per cause naturali o per uccisione sacrificale. Moloch nella Bibbia La Bibbia, nell'Antico Testamento (Es: ; ), cita alcune volte un certo dio Moloch venerato dai Cananei al quale venivano offerti dei bambini in sacrificio (la Bibbia dice "passati per il fuoco"). Sempre la Bibbia indica col nome di tofet il luogo dove avvenivano questi sacrifici. In particolare si trovano riferimenti a Moloch nel Levitico dove Dio comanda di mettere a morte coloro che gli offrono i figli in sacrificio (Levitico 18,21; 20,2-5). Altre citazioni sono presenti nel Secondo Libro dei Re. Nel medioevo, nei posti e nei periodi in cui l'antisemitismo era più forte, gli ebrei furono spesso accusati di rapire bambini cristiani per bruciarli vivi in rituali in qualche modo legati alla venerazione di Moloch. Il Moloch nella cultura di massa Il Moloch compare in Cabiria di Giovanni Pastrone del 1914, dove le schiave catanesi Croessa e Cabiria vengono acquistate da Karthalo, pontefice, che decide di immolare la bambina al dio fenicio Moloch. Moloch viene citato nel Paradiso perduto di John Milton, descritto come uno dei più potenti seguaci di Satana. " [...] Per primo Moloch orrido re tutto imbrattato dal sangue del sacrificio umano e da materne lacrime [...] ". Secondo Milton fu proprio lui a convincere con la frode Salomone a costruire " il tempio di fronte al tempio di Dio ". Per questo motivo è spesso citato come il Corruttore. Moloch appare nel gioco Sacred Odyssey: Rise of Ayden, come penultimo boss e braccio destro di Amonban, il signore dell'oscurità. Moloch appare nel film Metropolis, del 1927 diretto da Fritz Lang. Moloch Appare nella serie di giochi pubblicati e prodotti da ATLUS : Megami Tensei II Shin Megami Tensei II Shin Megami Tensei IMAGINE Shin Megami Tensei: Strange Journey Majin Tensei Shin Megami Tensei: Devil Summoner Devil Summoner: Soul Hackers Persona 5 Devil Children White Book Una statua raffigurante il dio Moloch è stata installata all'ingresso del Colosseo di Roma, in occasione di una mostra sulla civiltà cartaginese La statua del dio Moloch troneggia all'entrata del parco di divertimenti Cinecittà World, a Castel Romano, Roma. Moloch è uno dei principali antagonisti nella serie tv Sleepy Hollow. Moloch è l'invocazione che si ripete in Urlo, a Carl Solomon di Allen Ginsberg. Curiosità MOLOCH è anche il nome di un modello meteorologico sviluppato presso l'ISAC-CNR di Bologna. Note Bibliografia Valentina Melchiorri, "Defunti bambini e dinamiche rituali nel mondo fenicio d’Occidente.Il contributo dell’archeologia", in I. Baglioni (ed.), "Sulle rive dell'Acheronte", Costruzione e Percezione della Sfera del Post Mortem nel Mediterraneo Antico, vol. I, Roma 2014, pp.71-88. Altri progetti Collegamenti esterni Divinità semitiche Divinità solari Demoni Divinità fenicie Sacrificio di bambini Divinità del fuoco
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https://it.wikipedia.org/wiki/Monoplacophora
Monoplacophora
I Monoplacofori (Monoplacophora ) sono una classe del phylum dei molluschi. Descrizione Le poche specie viventi note sono caratterizzate da una simmetria bilaterale, dalla metameria, dalla presenza di due cavità celomatiche e una cavità pericardica. Il corpo comprende un piede circolare circondato dal solco del mantello ed è ricoperto dorsalmente da una conchiglia unica, conica e ad apice leggermente incurvato. Il sacco dei visceri non ha subito torsione. Vi sono otto paia di muscoli retrattori pedali e altri retrattori delle branchie (5 paia), 2 paia di cordoni nervosi longitudinali connessi da commensure trasversali in maniera metamerico-simile e anche i nefridi vengono ripetuti a disposizione metamerica. Da queste osservazioni si può ritenere che i Monoplacofori rappresentino un tentativo, non completamente riuscito, di evoluzione della metameria. Sono muniti anteriormente di due tentacoli. L'apertura boccale è situata nel solco del mantello, preceduta da un velo ed è provvista di radula. L'apertura anale è posteriore e l'intestino è lungo e forma delle anse. L'apparato respiratorio è rappresentato da cinque paia di branchie uniseriate situate nel solco del mantello. Il cuore è munito di due atrii a cui affluisce il sangue dalle ultime due paia di branchie. Il sistema nervoso è costituito da un cingolo periesofageo e da due paia di tronchi longitudinali (pedali e viscero-palleali) uniti da dieci paia di commissure latero-pedali. Anche l'apparato escretore ha ordinamento metamerico con sei (o sette) paia di metanefridii connessi con il celoma o con il pericardio. I sessi sono separati con due paia di gonadi in rapporto con le corrispondenti paia di nefridi. Distribuzione e habitat Sono distribuiti in quasi tutti i mari e gli oceani del mondo. Nel Mediterraneo è presente (anche se raro) il genere Veleropilina. I monoplacofori vivono generalmente in acque profonde (oltre i 3000 metri sotto il livello del mare); ne sono state trovati comunque fino a una profondità minima di circa 200 m (genere Vema). Tassonomia La tassonomia di questa classe è in discussione e in rapida evoluzione. MolluscaBase (2020) riconosce tre ordini, due dei quali estinti: Cyrtonellida † Sinuitopsida † Tryblidiida Neopilinidae Tryblidiidae † Le circa 30 specie viventi note appartengono tutte alla famiglia Neopilinidae. Evoluzione Di questa classe di molluschi sono stati ritrovati fossili tra il Cambriano e il Devoniano, per cui essi erano considerati estinti da circa 380 milioni di anni. Nel 1957 fu pubblicata la notizia che una nave oceanografica danese, la Galathea, aveva raccolto nel 1952 vari esemplari di monoplacofori a 3370 metri di profondità al largo delle coste occidentali della Costa Rica. Alla nuova specie fu dato il nome di Neopilina galatheae (in onore della nave che effettuò i dragaggi). Note Altri progetti Collegamenti esterni Molluschi
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https://it.wikipedia.org/wiki/MINIX
MINIX
MINIX è un sistema operativo basato su un'architettura a microkernel. In origine fu una versione non-commerciale minima di Unix per PC IBM e computer IBM PC/AT nei tardi anni ottanta e nei primi anni novanta. Attualmente sono supportate le architetture Intel a partire dalla CPU 8088, fino alla serie Pentium. Le successive versioni - la più recente è la 1.5, contro la 3.0 per architetture Intel - furono software libero e utilizzabili su hardware Motorola 68000 (come Amiga, Atari ST e i primi Apple Macintosh) e su SPARC, come le workstation di Sun Microsystem. In informatica MINIX indica anche il nome del file system predefinito disponibile all'installazione del sistema operativo MINIX, usato anche da altre distribuzioni come formato per i dischi di avvio o in altri ambiti dove è necessario consumare poche risorse. Storia La creazione Andrew S. Tanenbaum creò MINIX alla Vrije Universiteit ad Amsterdam nel 1987, per esemplificare i principi dei sistemi operativi spiegati nel suo libro di testo. Le 26.000 linee di codice sorgente del kernel, del gestore della memoria, e del file system sono incluse nel libro; è scritto principalmente in linguaggio C. MINIX 1.5, nato nel 1991, supporta sistemi MicroChannel IBM PS/2 e fu anche portato su architetture SPARC e Motorola 68000, oltre alle piattaforme Atari ST, Commodore Amiga, Apple Macintosh e Sun SPARCstation. Gli esperimenti di Linus Torvalds Linus Torvalds, dopo aver usato per qualche tempo MINIX decise di creare un nuovo sistema operativo che fosse meno limitato e che potesse essere modificato e migliorato con poche difficoltà. Nel 1991 diede vita ad un nuovo kernel chiamato Linux. A differenza di Tanenbaum, per il suo nuovo sistema operativo scelse un'architettura monolitica. A quei tempi, Torvalds e Tanenbaum furono protagonisti di un dibattito molto acceso nel 1992 sul newsgroup comp.os.minix dal titolo Linux is obsolete. Al momento del suo sviluppo, la licenza d'uso per MINIX era considerata libera, con un prezzo molto basso comparato con altri sistemi operativi. Comunque, non essendo software libero e neanche completamente open source, gli sforzi per lo sviluppo si spostarono verso i kernel Linux e FreeBSD. Nei tardi anni novanta la licenza di MINIX fu convertita in open source, ma allora era presente solo una piccola base di sviluppatori e utenti. Dalla versione MINIX 2.0 del 1997, diventa conforme allo standard POSIX. Gli anni 2000 Intorno al 2005 Tanenbaum e alcuni suoi collaboratori hanno ripreso in mano il progetto e presentato la versione 3.0 del kernel. L'obiettivo del progetto è lo sviluppo di un micro-kernel molto stabile per applicazioni embedded e altre più generali. Il sistema operativo è pubblicato con licenza BSD e attualmente supporta processori x86, anche se sono in sviluppo versioni per processori PowerPC e ARM7. MINIX è parte integrante del firmware dei chipset Intel, l'Intel Management Engine. Versioni Elenco delle versioni di MINIX con data d'uscita: MINIX 1.0 – 1987; MINIX 1.5 – 1991; MINIX 2.0 – 1997; MINIX 3.0 – 24 ottobre 2005; MINIX 3.1.2 – 8 maggio 2006; MINIX 3.1.2a – 29 maggio 2006; MINIX 3.1.3 – 13 aprile 2007; MINIX 3.1.3a – 8 giugno 2007; MINIX 3.1.4 – 2009; MINIX 3.1.5 – 5 novembre 2009; MINIX 3.1.6 – 8 febbraio 2010; MINIX 3.1.7 – 16 giugno 2010; MINIX 3.1.8 – 4 ottobre 2010; MINIX 3.2.0 – 29 febbraio 2012; MINIX 3.2.1 – 21 febbraio 2013. MINIX 3.3.0 – 2 settembre 2014. Bibliografia Voci correlate Sistema operativo Kernel Linux (kernel) Altri progetti Collegamenti esterni Sistemi POSIX Sistemi operativi Amiga
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https://it.wikipedia.org/wiki/Classic%20Mac%20OS
Classic Mac OS
"Classic" Mac OS è stato il sistema operativo di Apple dedicato ai computer Macintosh. Il nome è l'acronimo di Macintosh Operating System. Il gruppo di sviluppo che realizzò sia l'hardware che il software del progetto Macintosh comprendeva Bill Atkinson, Chris Espinosa, Joanna Hoffman, George Crow, Burrell Smith, Jerry Manock, Jef Raskin e Andy Hertzfeld. Descrizione La prima versione di Mac OS risale al 1984 e aveva la caratteristica di essere un sistema operativo completamente grafico. Questa novità favorì molto la popolarità delle GUI, infatti il ruolo che Mac OS ebbe nella loro diffusione è ampiamente riconosciuto. Il nome Mac OS è in realtà riferito a due famiglie di sistemi operativi, anche se, non specificando la famiglia, può riferirsi alla prima: Il "Classic" Mac OS, cioè il sistema operativo montato sul primo modello di Macintosh nel 1984 ed evoluzioni, attraverso numerose versioni, fino al 2001 (attualmente non più sviluppato). Il primo computer ad utilizzare la prima versione di Mac OS Classic fu Macintosh 128K, considerato il primo Mac, anche se altri computer formati solo da hardware (come Apple I, II, Apple Lisa, ecc.) precedentemente erano già stati creati. L'ultima versione invece è uscita il 5 dicembre 2001 con Mac OS 9.2.2. macOS, precedentemente chiamato "OS X" e "Mac OS X" (cioè "dieci" in numeri romani), completamente riscritto e basato su microkernel Mach + BSD, commercializzato a partire dal 2001, cioè dalla versione Mac OS X Cheetah. Dalla versione OS X Mountain Lion cambia il nome direttamente in "OS X". I nomi in codice delle versioni inizialmente erano sempre riferiti a un grande felino, ma dalla versione OS X Mavericks, i nomi riguardano luoghi degli Stati Uniti d'America. Dalla versione 10.12 Sierra, presentato alla WWDC 2016, cambia nuovamente il nome in "macOS". L'ultima versione è macOS Ventura. Il sistema operativo del Macintosh originariamente non aveva un nome particolare, essendo parte integrante del prodotto: la versione 7 fu commercializzata semplicemente come "System 7" e con questo nome era conosciuta dagli utenti. Apple successivamente intraprese per un breve periodo la strategia di concedere il sistema operativo ad altri produttori di computer, perché potessero realizzare cloni del Mac e venne introdotto il nome "Mac OS" per distinguere il sistema operativo dai computer Macintosh prodotti da Apple. La fama del Macintosh è dovuta in gran parte alla sua interfaccia utente grafica (GUI). Quando fu introdotto il Macintosh, nel 1984, esistevano già altri sistemi con GUI, in particolare i computer Alto e Star realizzati nei laboratori PARC della Xerox, che lo stesso team di sviluppo del Mac visitò mentre lavorava al proprio progetto. La stessa Apple aveva già realizzato un computer con interfaccia grafica, il Lisa. Tuttavia, Macintosh fu il primo di questi computer ad avere un grande successo commerciale e diede inizio alla diffusione di massa dell'interfaccia grafica. Apple impiegò grandi risorse nello studio di un'interfaccia grafica semplice e intuitiva da usare e il Mac fu il modello a cui aspirarono numerosi altri progetti di GUI. Altre caratteristiche peculiari del primo Macintosh (per l'epoca) furono l'utilizzo standard di un mouse e di un lettore per dischetti da tre pollici e mezzo. Il primo Mac era dotato di soli 128 KB di RAM e la maggior parte del sistema operativo era contenuta in ROM. Una parte importante del operativo fu sviluppato in Assembly, mentre il restante in Pascal. Le interfacce di programmazione, pubblicate nella collana Inside Macintosh, furono inizialmente specificate in questi due linguaggi. Il team di sviluppo originario del sistema operativo Macintosh comprendeva, fra gli altri sopracitati, Jef Raskin e Bill Atkinson. Il sistema funzionava sui processori CISC Motorola della serie 68000, utilizzati nei Macintosh per molti anni. Nel 1994 vennero lanciati i Power Macintosh basati sui processori RISC PowerPC, sviluppata da un consorzio comprendente Apple, IBM e Motorola; il sistema operativo venne gradualmente convertito in codice PowerPC. Questa operazione richiese molto tempo, per via della grande quantità di assembler 68k usato nel codice originale del Mac OS. Per permettere un rapido passaggio ai processori RISC, venne sviluppato un nanokernel PowerPC su cui girava il Mac OS tradizionale, che sui primi PowerMac era costituito quasi interamente da codice 68k emulato grazie al Mixed Mode Manager, lo stesso meccanismo che permetteva l'esecuzione trasparente di tutti i vecchi programmi per Mac sui Power Macintosh. La quantità di codice nativo PowerPC nel Mac OS aumentò gradualmente nelle versioni successive e con essa anche le prestazioni del sistema stesso. Mentre il Mac OS classico veniva gradualmente ottimizzato per la nuova architettura PowerPC, Apple aveva in mente di sostituirlo con un sistema operativo completamente nuovo; il vecchio Mac OS, infatti, soffriva ancora di molte limitazioni imposte dalle scarse risorse del Macintosh originale, come la mancanza del multitasking preemptivo e della memoria protetta. Dopo una serie di joint-venture (Pink, Taligent), Apple puntò sullo sviluppo di Copland, un nuovo sistema operativo basato sul nuKernel che avrebbe dovuto offrire multitasking preemptivo e memoria protetta pur mantenendo la piena compatibilità con il software preesistente. Copland sarebbe dovuto diventare Mac OS 8, ma la cattiva gestione del progetto (in particolare il requisito della piena retrocompatibilità) portarono a grandi ritardi sulla tabella di marcia e, infine, all'abbandono del nuovo sistema. Mac OS 8 e Mac OS 9 vennero distribuiti, ma continuarono ad essere basati sulla tecnologia del System 7 (Blue). Dopo il fallimento di Copland, Apple si rese conto che l'unico modo per avere un sistema operativo aggiornato in tempi brevi era adottarne un altro già esistente. Furono vagliate diverse possibilità, fra cui il BeOS, ma alla fine la scelta cadde su OpenStep di NeXT. NeXT era stata fondata dallo stesso Steve Jobs, che in precedenza aveva fondato Apple insieme a Steve Wozniak. Con l'acquisizione di NeXT, Jobs tornò alla guida di Apple e venne intrapreso lo sviluppo di un sistema che unisse le fondamenta di OpenStep (composto da una base UNIX, derivava da freeBSD, e dal microkernel Mach) con l'interfaccia grafica e le molte tecnologie ad alto livello del Mac OS. Il risultato di questa unione è stato Mac OS X, che nel giro di pochi anni ha completamente rimpiazzato il Mac OS 9, ribattezzato nel frattempo Classic. Per garantire la compatibilità con le vecchie applicazioni, rimase la possibilità di caricare, all'occorrenza, Classic all'interno di un apposito task di Mac OS X. Versioni Cronologia delle varie versioni, con innovazioni salienti: System Software 1.0 (gennaio 1984) System Software 1.1 (14 aprile 1984) System Software 2.0 (2 marzo 1985) System Software 2.0.1 (marzo 1985) System Software 3.0 (fine 1985) System Software 3.3 (inizio 1987) System Software 4.0 (marzo 1987) System Software 4.3 (novembre 1987) System Software 5.0 (1987) System Software 5.1 (1988) System Software 6.0 (1988) System Software 6.0.1 (19 settembre 1988) System Software 6.0.2 (fine 1988) System Software 6.0.3 (7 marzo 1989) System Software 6.0.4 (20 settembre 1989) System Software 6.0.5 (19 marzo 1990) System Software 6.0.7 (15 ottobre 1990) System Software 6.0.8 (fine 1990) System Software 7.0 (14 maggio 1991) - GUI a colori System Software 7.1 (agosto 1992) System Software 7.1.1 (ottobre 1993) System Software 7.1.2 (marzo 1994) - prima versione con supporto PowerPC System Software 7.5 (1995) System Software 7.5.1 (marzo 1995) System Software 7.5.2 (agosto 1995) System Software 7.5.3 (gennaio 1996) System Software 7.5.5 (27 settembre 1996) Mac OS 7.6 (7 gennaio 1997) Mac OS 7.6.1 (7 aprile 1997) Mac OS 8.0 (22 luglio 1997) - Finder Multithread Mac OS 8.1 (fine 1997) - HFS+, un file system per la gestione di grandi unità di archiviazione dati Mac OS 8.5 (15 ottobre 1998) - Supporto USB Mac OS 8.6 (8 maggio 1999) Mac OS 9.0 (5 novembre 1999) - Supporto Firewire e Airport IEEE 802.11b Mac OS 9.0.4 (4 aprile 2000) Mac OS 9.1 (9 gennaio 2001) Mac OS 9.2 (18 luglio 2001) Mac OS 9.2.1 (20 agosto 2001) Mac OS 9.2.2 (5 dicembre 2001) - Ultima versione distribuita del Mac OS prima del passaggio completo a Mac OS X Note Voci correlate MacOS Server macOS :Categoria:Software per Mac OS Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Microprocessori%20Intel
Microprocessori Intel
I microprocessori Intel hanno una quota di maggioranza significativa nel mercato dei microprocessori, al 2010 si stimava una presenza intorno all'80%. Di seguito vengono elencati tutti i microprocessori progettati e messi in commercio da Intel nel corso degli anni, a incominciare dai primi anni settanta. Tra parentesi sono indicati i nomi in codice delle varie generazioni che si sono susseguite, o che sono già in avanzato stato di sviluppo, ma che mantengono lo stesso nome commerciale. È da tenere presente, inoltre, che alcuni processori hanno lo stesso nome in codice perché poggiano le loro basi su un progetto comune. Primi modelli a 4, 8, 16 bit Processori a 4 bit e a 8 bit 4004 4040 8008 8080 8085 Processori a 16 bit: nasce l'architettura X86 8086 8088 80186 80188 80286 Processori x86 a 32 bit: la piattaforma IA-32 Processori dedicati a tutti i settori del mercato La gamma 386 80386 80386SX 80386DX 80386 80386EX 80386SL La gamma 486 80486 80486SX 80486DX 80486DX2 80486DX4 80486SL Processori dedicati al settore desktop La gamma Pentium Pentium - (P5, P54, P54C) Pentium MMX - (P55C) Pentium II - (Klamath, Deschutes) Pentium III (Katmai, Coppermine, Tualatin) Pentium 4 - (Willamette, Northwood, Prescott, Cedar Mill) Pentium 4 Extreme Edition (alias Pentium 4 EE) - (Gallatin, Prescott) Pentium D - (Smithfield, Presler) Pentium Extreme Edition (alias Pentium X) - (Smithfield, Presler) Versioni dedicate alla fascia economica del settore desktop Celeron - (Covington, Mendocino, Coppermine-128, Tualatin, Willamette, Northwood) Celeron D - (Prescott-V, Cedar Mill) La gamma Core 2 Core 2 Duo - (Conroe, Allendale, Wolfdale, Ridgefield) Core 2 Quad - (Kentsfield, Yorkfield) Core 2 Extreme - (Conroe, Kentsfield, Yorkfield) Versioni dedicate alla fascia economica del settore desktop Pentium Dual Core - (Conroe-L, Wolfdale-L) Celeron (serie xxx) - (Conroe-L, Wolfdale-L) Celeron Dual Core - (Conroe-L, Wolfdale-L) La gamma Core iX A partire dal lancio dell'architettura Nehalem, Intel ha introdotto un numero progressivo per indicare la fascia di prestazioni di ciascuna famiglia delle proprie CPU. I processori vengono ancora commercializzati con il nome "Core" ma i suffissi "Duo" e "Quad" hanno lasciato il posto al più semplice "iX" dove la "X" è un numero crescente in maniera direttamente proporzionale alle prestazioni e funzionalità offerte dalla specifica famiglia di CPU. Tuttavia, alcuni core continuano a essere alla base di processori commercializzati con nomi differenti a seconda delle caratteristiche intrinseche di ciascun modello e quindi della fascia di mercato cui verrà destinato: Core i3 - (Clarkdale, Sandy Bridge, Ivy Bridge, Haswell, Skylake, Kaby Lake, Coffee Lake, Comet Lake, Rocket Lake, Alder Lake) Core i5 - (Lynnfield, Clarkdale, Sandy Bridge, Ivy Bridge, Haswell, Broadwell, Skylake, Kaby Lake, Coffee Lake, Comet Lake, Rocket Lake, Alder Lake) Core i7 - (Bloomfield, Lynnfield, Gulftown, Sandy Bridge, Ivy Bridge, Haswell, Broadwell, Skylake, Kaby Lake, Coffee Lake, Comet Lake, Rocket Lake, Alder Lake) Core i7 Extreme - (Bloomfield, Gulftown, Sandy Bridge-E, Ivy Bridge-E, Haswell-E, Broadwell-E, Skylake-X, Kaby Lake-E) Core i9 - (Coffee Lake Refresh, Comet Lake, Rocket Lake, Alder Lake) Processori dedicati al settore mobile La gamma Pentium Mobile Pentium MMX - (Tillamook) Pentium II-M - (Tonga) Mobile Pentium II PE - (Dixon) Pentium III-M - (Tualatin) Pentium 4-M - (Northwood) Mobile Pentium 4 - (Northwood, Prescott) Pentium M - (Banias, Dothan) La gamma Core Core Solo - (Yonah) Core Duo - (Yonah) Versioni dedicate alla fascia economica del settore mobile Celeron M - (Banias-512, Dothan-1024, Yonah) La gamma Core 2 Core 2 Solo - (Merom, Penryn) Core 2 Duo - (Merom, Penryn) Core 2 Extreme - (Merom, Penryn) La gamma Core iX Al pari di quanto fatto nel settore desktop, anche nel settore mobile a partire dal lancio dell'architettura Nehalem, Intel ha introdotto un numero progressivo per indicare la fascia di prestazioni di ciascuna famiglia delle proprie CPU. I processori vengono commercializzati con il nome "Core" e il suffisso "iX" dove la "X" è un numero crescente in maniera direttamente proporzionale alle prestazioni e funzionalità offerte dalla specifica famiglia di CPU: Core i3 - (Arrandale, Sandy Bridge, Ivy Bridge, Haswell, Skylake, Kabylake) Core i5 - (Arrandale, Sandy Bridge, Ivy Bridge, Haswell, Skylake, Kabylake) Core i7 - (Arrandale, Clarksfield, Sandy Bridge, Ivy Bridge, Haswell, Skylake, Kabylake) Core i7 Extreme - (Clarksfield, Sandy Bridge-E, Ivy Bridge-E, Haswell-E, Skylake, Kabylake, Cannonlake) Core i9 Processori dedicati al settore server e workstation La gamma Pentium Pentium Pro - (P6) Pentium II Overdrive - (P6T) La gamma Xeon Xeon Pentium II Xeon - (Drake) Pentium III Xeon - (Tanner, Cascades) Xeon UP - (Conroe, Kentsfield, Wolfdale, Yorkfield, Bloomfield, Lynnfield) Xeon DP - (Foster, Prestonia, Nocona, Irwindale, Paxville DP, Sossaman, Dempsey, Woodcrest, Clovertown, Wolfdale DP, Harpertown, Gainestown, Gulftown) Xeon MP - (Foster, Gallatin, Potomac, Cranfords, Paxville, Tulsa, Tigerton, Dunnington, Beckton, Westmere-EX) Processori dedicati ai sistemi ultra portatili (UMPC e MID) A1x0 – Stealey* Atom - (Silverthorne, Lincroft, Medfield) * Per la prima generazione di CPU espressamente pensate per il settore degli UMPC e MID Intel non ha creato un nome commerciale vero e proprio (sono stati presentati i modelli A100 e A110), quindi viene riportato solo il nome in codice del processore sviluppato Processori dedicati ai sistemi Netbook e Nettop (notebook e desktop pensati per la navigazione) Atom - (Diamondville, Pineview) Versioni dedicate ai sistemi embedded Per le CPU pensate per il settore dei sistemi embedded Intel non ha creato un nome commerciale; di seguito vengono quindi riportati direttamente i nomi in codice dei processori sviluppati: Shelton Tolapai Versioni dedicate ai dispositivi di elettronica di consumo Per le CPU pensate per il settore dispositivi di elettronica di consumo (televisori, lettori di supporti ottici, ecc.) Intel non ha creato un nome commerciale; di seguito vengono quindi riportati direttamente i nomi in codice dei processori sviluppati: Canmore Sodaville (chiamato anche San Onofre) Processori a 32 bit (non compatibili con x86) Processori dedicati a dispositivi palmari e smartphone iAPX 432 i860 (80860) i960 (80960) XScale - (.., Bulverde*, Monahans*) * Nel corso del 2006 Intel ha ceduto la propria divisione XScale a Marvell Technology Group la quale ha proseguito la commercializzazione del core Bulverde e lo sviluppo di Monahans che è poi arrivato sul mercato seppure senza il marchio Intel. Processori a 64 bit (non compatibili con x86): la piattaforma IA-64 Processori dedicati al settore server e workstation Itanium - (Merced) Itanium 2 (dal 2008 è stato rinominato in Itanium) - (McKinley) Itanium 2 DP - (Madison, Deerfield, Fanwood, Millington, Montvale, Dimona) Itanium 2 MP - (Madison, Montecito, Montvale, Tukwila, Poulson, Kittson) Progetti sospesi o "congelati" Nel corso degli anni è accaduto che alcuni progetti relativi a futuri processori venissero improvvisamente sospesi oppure dopo alcuni annunci preliminari non se ne è più saputo nulla. Nel 1999 Intel annunciò lo sviluppo di una CPU completamente innovativa, integrante 2 controller per la memoria e per la grafica, il progetto Timna, che però fu poi sospeso nel 2000 per ragioni sia commerciali (il costo delle memorie Rambus su cui si basava era sensibilmente più alto di quello di tecnologie concorrenti) sia tecniche (errori nella progettazione dell'architettura). In realtà ma al momento dell'uscita del primo Pentium M si seppe che per questo progetto erano state sfruttate le tecniche di riduzione dei costi e delle richieste energetiche sviluppate per il progetto Timna. Nel 2001 Intel annunciò lo sviluppo del core Nehalem, destinato ad essere uno dei nomi in codice più "abusati" da parte del produttore statunitense. Gli annunci, spesso contrastanti tra loro, su questo processore infatti si sono susseguiti fino al 2004 e poi non se ne è saputo più nulla fino al 2006 quando venne annunciata con questo nome la futura architettura di nona generazione: non più un singolo processore quindi, ma un'architettura completa che ha abbracciato tutti i settori di mercato a partire dalla fine del 2008. Nel 2004 invece, Intel annunciò ufficialmente l'interruzione dello sviluppo dei core Tejas e Jayhawk, per problemi di eccessiva dissipazione termica; essi erano inizialmente destinati a essere le evoluzioni del Pentium 4 Prescott e dello Xeon DP Nocona rispettivamente. Nel 2005 fu la volta del core Whitefield (a causa di motivi non meglio specificati) che era stato pensato per gli Xeon MP e che venne ufficialmente sostituito dal core Tigerton arrivato poi effettivamente sul mercato. In realtà pur essendo stato ufficialmente cancellato, il core Whitefield continuò ad essere presente nelle roadmap Intel per diverso tempo e non è escluso che il suo sviluppo fosse stato solo rimandato e non annullato completamente, sebbene il successivo passaggio di diversi anni senza nuove menzioni al riguardo hanno reso sempre più improbabile tale interpretazione. Sempre nel 2005 erano state pubblicate le prime informazioni riguardo al core Gilo come successore del core Merom, poi non si seppe più nulla fino al 2007 quando sembrava che il suo nome fosse stato "riciclato" per indicare il successore di Penryn che nel frattempo aveva preso il posto proprio di Gilo come successore ufficiale di Merom. Le ultime notizie di fine 2007 riguardo alle future CPU però, nuovamente non menzionavano più Gilo quindi, di fatto, non se ne sa più nulla, malgrado in alcune fonti sporadiche pare che fosse il cuore elaborativo dei core Havendale e Auburndale (a loro volta annullati) e che erano inizialmente attesi per la fine del 2009. Agli inizi del 2006 Intel decise che il nuovo processore chiamato ancora "Pentium" ma basato sull'architettura "Core" e commercializzato poi con il nome di "Pentium Dual Core" non avrebbe avuto un solo core, come originariamente previsto, ma due. Non è stato confermato ufficialmente ma probabilmente il progetto originario era basato sul core Millville il cui sviluppo è stato di conseguenza abbandonato. Più o meno contemporaneamente all'annuncio di Millville, venne nominato anche il progetto Perryville, che avrebbe dovuto essere un'evoluzione di tale core, costruito mediante un processo produttivo più avanzato e dotato di un quantitativo doppio di cache L2. Sebbene mai confermato da Intel, è probabile che l'abbandono del progetto Millville abbia poi di fatto influito, negativamente, anche sulla continuazione del progetto Perryville. A partire dal 2005 Intel ha portato avanti il progetto Terascale che è uno studio avanzato sulle tecnologie di calcolo parallelo pensato solo per scopi di sviluppo e non come futuro prodotto commerciale. Nel corso del 2006 vennero rese pubbliche alcune informazioni relative al processore Keifer, che nel 2010 sarebbe potuto diventare una CPU per il settore server da ben 32 core; successivamente Intel non ha più menzionato tale progetto che potrebbe essere stato abbandonato oppure essere servito solo per motivi di studio. A febbraio 2008 Intel ha annunciato che i core Havendale e Auburndale che dovevano essere i primi processori basati sull'architettura Nehalem ad integrare il comparto grafico non sarebbero stati presentati sul mercato, in favore dei progetti Clarkdale e Arrandale, analoghi nelle funzionalità ma basati sul nuovo processo produttivo a 32 nm e basati quindi sull'evoluzione dell'architettura Nehalem, conosciuta come Westmere. A maggio 2010 Intel ha cessato lo sviluppo del core Larrabee che sarebbe dovuto diventare un nuovo tipo di processore specificamente sviluppato, almeno inizialmente, per il settore del calcolo parallelo e realizzato attraverso l'impiego di un core grafico, ovvero una sorta di GPU, per poi venire proposto anche come scheda video discreta. Le motivazioni alla base della decisione dipendono dal fatto che l'azienda non è riuscita a raggiungere gli obiettivi che si era prefissata in termini di efficienza e di potenza elaborativa. Alcuni termini che si riferiscono ai processori Intel x86 si riferisce alla famiglia di processori compatibili con 8086 286 si riferisce al processore 80286 386 si riferisce al processore 80386 486 si riferisce al processore 80486 Wintel è un termine che si usa per riferirsi ad un computer con processore Intel e sistema operativo Microsoft Windows Mactel da quando Apple è passata ad architettura Intel per i suoi prodotti, è stato coniato questo nuovo termine per riferirsi ad un computer prodotto da Apple, con processore Intel e sistema operativo macOS IA-32 (Architettura Intel – 32 bit) si riferisce ai processori Intel a 32 bit, che vanno dall'80386 al Pentium 4 con core Prescott serie 5x0. x86-64, x64, IA-32e, EM64T sono sinonimi che stanno ad indicare un'architettura a 64bit compatibile con quella a 32bit. IA-64 (Architettura Intel – 64 bit) si riferisce all'architettura progettata da Intel e Hewlett-Packard interamente a 64 bit, implementata solo nei processori Itanium e Itanium 2 per i server e le workstation ad alte prestazioni, e non compatibile (se non attraverso emulazioni) con la IA-32. Note Voci correlate Intel Microprocessore Altri progetti Microprocessori Intel Liste di informatica
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https://it.wikipedia.org/wiki/Meridiano
Meridiano
Un meridiano o linea di longitudine, in geografia, indica un immaginario arco che congiunge il Polo Nord terrestre con il Polo Sud terrestre ovvero una linea che unisce i (due) punti per i quali passa l'asse di rotazione terrestre. Un meridiano, assieme al suo antimeridiano, forma il cerchio massimo ottenuto dall'intersezione di un piano che attraversa la Terra passando per il suo centro. Descrizione Il termine "meridiano" deriva dal latino meridies, che significa "mezzogiorno". Esso unisce tutti i punti della Terra che hanno il mezzogiorno nello stesso istante. Il Sole attraversa un dato meridiano terrestre a metà del periodo di tempo che va dall'aurora al tramonto. Sulla terra, che ruota attorno al proprio asse, si dicono meridiani tutte le curve che risultano dall'intersezione della sua superficie con un qualsiasi semipiano che esce dall'asse di rotazione; nell'uso comune, s'intende per meridiano la circonferenza massima (cerchio meridiano) costituita da due meridiani opposti. L'asse terrestre incontra la superficie della terra ai poli, per essi passano infiniti "meridiani". Per ogni punto della superficie della Terra diverso dai poli invece passa un solo meridiano, identificabile dalla longitudine corrispondente; la longitudine di un punto è convenzionalmente misurata come arco di equatore compreso tra il meridiano fondamentale e il meridiano passante per il punto. Alla longitudine di un punto viene assegnato il cardine Est oppure Ovest a seconda che esso si trovi a destra (oriente) o a sinistra (occidente) del meridiano di Greenwich, per un osservatore con la faccia rivolta verso il polo nord. Tutti i meridiani hanno uguale lunghezza, essendo la metà di un cerchio massimo sulla superficie terrestre. La lunghezza è pari a 20.004,5 km. Per convenzione, il "meridiano 0" detto anche Meridiano di Greenwich ("Prime Meridian" in inglese) passa appunto per Greenwich (Londra), l'altra sua metà (l'antimeridiano 180°) passa per l'Oceano Pacifico identificando in massima parte la cosiddetta linea di cambiamento di data. Storia della misura del meridiano terrestre In antichità le prime stime della lunghezza del meridiano terrestre si basavano sul semplice assunto geometrico che la Terra fosse una sfera perfetta. Conoscendo quindi, con un qualche procedimento, sia la misura di un arco di meridiano terrestre sia il corrispondente angolo al centro, era possibile calcolare la lunghezza del meridiano stesso attraverso una semplice proporzione. Dalle informazioni giunte fino a noi dall'epoca classica, su questo semplice modello si dovevano essere basate le prime stime di studiosi, quali ad esempio Eudosso di Cnido e Dicearco da Messina. La prima misurazione della circonferenza terrestre o meglio, del meridiano terrestre, di cui si hanno notizie meno incerte, la dobbiamo al filosofo e geografo Eratostene di Cirene (III secolo a.C.), che ad Alessandria d'Egitto dirigeva la più grande biblioteca nota a quei tempi. Eratostene assunse che Siene ed Alessandria d'Egitto fossero sullo stesso meridiano. Avendo potuto verificare che a Siene, che si trova appena al di sopra del Tropico del Cancro, durante il solstizio d'estate, i raggi del Sole penetravano fino al fondo dei pozzi e che quindi il Sole in quel momento era allo zenit, egli misurò nello stesso giorno ed istante di un anno diverso ad Alessandria d'Egitto l'angolo che i raggi solari formavano con uno gnomone: un semplice bastone conficcato in verticale nel terreno. In tale circostanza poté verificare che i raggi del sole non erano verticali, poiché il bastone proiettava sul terreno un'ombra, che con la verticale produceva un angolo di 7° e 12'. Per semplice costruzione geometrica si evince che quell'angolo corrisponde alla differenza di latitudine tra le due città. Eratostene moltiplicò quindi la misura angolare (ottenuta con un semplice calcolo), 1/50 dell'angolo giro, per la distanza tra Siene ed Alessandria (5.000 stadi) ottenendo 250.000 stadi (~ 39.357 km) come misura della circonferenza terrestre. Oggi tale valore viene fatto corrispondere a circa 40.000 km, un valore assai vicino alla lunghezza del meridiano medio. L'accuratezza del risultato è probabilmente legata più al caso che al metodo utilizzato da Eratostene, in quanto si sommerebbero diversi errori: quello legato alla difficoltà nella misurazione dell'angolo, al fatto che Siene ed Alessandria non appartengano allo stesso meridiano, alla correzione della circonferenza fatta dallo stesso Eratostene in 252.000 stadi, all'ipotesi che uno stadio corrisponda a 157,5 metri circa. Quest'ultima ipotesi in particolare è stata ottenuta grazie al rapporto tra stadio egizio e cubito reale (del quale è meglio conosciuta dagli storici la corrispondenza in metri) proposto da Plinio. Tuttavia, il fatto stesso che si sia tentata una tale misura, implica la ferma consapevolezza dei greci del fatto che la Terra fosse sferica, 1.800 anni prima del viaggio di Cristoforo Colombo. In epoca moderna, la misurazione del meridiano terrestre è un problema della Geodesia e può essere risolto con diverse tecniche, che utilizzano principalmente misurazioni satellitari. Note Voci correlate Longitudine Latitudine Geografia Coordinate geografiche Cartografia Parallelo Meridiano di Greenwich Meridiano di Parigi Meridiano di Roma Meridiano (astronomia) Equatore 3º meridiano ovest 42º meridiano ovest Altri progetti Collegamenti esterni Cartografia Longitudine
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https://it.wikipedia.org/wiki/Meridiano%20di%20Greenwich
Meridiano di Greenwich
Il meridiano di Greenwich è il circolo massimo meridiano avente per convenzione longitudine pari a zero, passante per l'osservatorio di Greenwich a Londra. Storia Dicearco da Messina, che per primo abbozzò l'idea delle coordinate geografiche, usò come meridiano fondamentale quello dell'isola di Rodi e tale riferimento fu seguito anche da Ipparco di Nicea. Marino di Tiro e Claudio Tolomeo scelsero invece il punto più occidentale delle terre emerse, ovvero le isole Fortunate (attuali Canarie). A partire dal Cinquecento le potenze marittime europee scelsero per la redazione dei diari di bordo e delle carte nautiche un meridiano fondamentale che fosse comodo per loro: l'isola di Terceira nelle Azzorre per il Portogallo, Toledo per la Spagna, i cosmografi fiamminghi e olandesi presero a riferimento l'isola di El Hierro nelle Canarie, allora chiamata "Ferro". Quando la Francia intraprese anch'essa le esplorazioni oceaniche, Luigi XIII riunì nell'aprile 1634 una conferenza di cartografi e astronomi di tutta Europa perché stabilissero un unico riferimento. Essi, sancendo una tradizione che risaliva a Tolomeo, scelsero di adottare il Meridiano dell'Isola del Ferro (Isole Canarie), che venne allora definito per convenzione come il meridiano 20° a ovest di Parigi (17° 39' 46" a ovest di Greenwich). Nel 1718 i Cassini tracciarono il Meridiano di Parigi (2° 20' 14" a est di Greenwich) in base al quale redassero la prima carta topografica della Francia. Nel 1738 la Gran Bretagna adottò il Meridiano di Greenwich, non solo per le carte topografiche, ma anche per quelle nautiche. Con lo sviluppo delle ferrovie iniziato nel 1830 con la linea Liverpool Manchester, sorse il problema che ogni città avesse la sua ora che impediva di stilare un orario dei treni creando difficoltà nella programmazione, nel 1848 le società ferroviarie britanniche stabilirono che in tutto il Regno Unito era valida l'ora di Greenwich: in tutto il paese era mezzogiorno nel momento in cui il sole era allo zenit sulla longitudine di quello che sarebbe divenuto il meridiano zero. Numerose istituzioni seguirono l'esempio, gli uffici delle poste ebbero il compito di comunicare via telegrafo quando avveniva questo evento, in modo che tutte le città potessero regolare i loro orologi pubblici, successivamente fu la radio a trasmettere l'ora esatta. Nel 1880 con una legge si stabilì l'uniformità in tutta la Gran Bretagna del fuso di Greenwich. Quasi tutte le nazioni adottarono un proprio meridiano primo per redigere le carte topografiche nazionali: l'Italia adottò il Meridiano di Monte Mario a Roma e Pisa, il Portogallo Lisbona, la Spagna Madrid, il Belgio Bruxelles, la Svizzera Berna, la Norvegia Cristiania (odierna Oslo), la Danimarca Copenaghen, la Svezia Stoccolma, la Polonia Varsavia, la Romania Oradea, la Russia San Pietroburgo, gli Stati Uniti Filadelfia e Washington, D.C.; il Brasile Rio de Janeiro (43° 10' 19” W); l'Egitto Alessandria (29° 53' E); l'Impero Ottomano Gerusalemme; l'India Ujjain; il Giappone Kyoto. La Germania e l'Impero austro-ungarico continuarono a usare il Meridiano dell'Isola di Ferro fino all'introduzione del Meridiano di Greenwich. Negli atlanti le alternative seguite erano solo tre: il Meridiano dell'Isola di Ferro, il Meridiano di Parigi e il Meridiano di Greenwich. In molti atlanti gli stessi meridiani in alto erano numerati secondo l'Isola del Ferro e in basso secondo Parigi, o viceversa. Il meridiano dell'Isola di Ferro perse credibilità quando ci si rese conto che esso non passava esattamente a 20° ovest rispetto a Parigi, bensì a 20° 29′ 5″. E allora vi fu una competizione fra Parigi e Greenwich, che fu vinta da quest'ultima. Nascita del meridiano Nel corso della seconda metà dell'Ottocento la diffusione delle navi a vapore e l'aumento dei trasporti marittimi, insieme a quella delle linee ferroviarie internazionali, mostrarono che c'era una necessità sempre più globale di trovare un meridiano zero su cui tutti fossero d'accordo. Questo “meridiano fondamentale” sarebbe stato utile non soltanto per unificare le carte nautiche, ma anche per avere un tempo universale di riferimento su cui calcolare tutti gli altri. Stabilendo un “tempo universale” – come lo chiamiamo oggi – sarebbe stato infatti possibile organizzare tutti quelli che oggi chiamiamo “fusi orari” semplicemente aggiungendo un certo numero di ore al tempo universale. Quindi si decise di stabilire quale dovesse essere questo meridiano che era proprio l'obiettivo della Conferenza di Washington, promossa nell'ottobre del 1884 dall'amministrazione degli Stati Uniti. In quest'occasione venne definito da 41 delegati provenienti da 25 paesi, alla presenza del Presidente degli Stati Uniti d'America, il meridiano zero, ossia quello che passa per l'Osservatorio di Greenwich. L'adozione di un unico sistema di meridiani a livello mondiale, in sostituzione dei diversi esistenti. Il meridiano passante attraverso il più importante strumento di controllo del traffico dell'Osservatorio di Greenwich sarebbe stato il primo meridiano. Tutte le longitudini, ad est e ad ovest, sarebbero state calcolate a partire da questo meridiano da 0° a 180°. Tutti i paesi avrebbero adottato la data universale. Il giorno universale sarebbe cominciato alla mezzanotte di Greenwich e misurato su un orologio di 24 ore. I giorni nautici e astronomici sarebbero cominciati ovunque alla mezzanotte convenzionale (di cui sopra). Sarebbero stati supportati tutti gli studi tecnici finalizzati a regolamentare ed estendere l'applicazione del sistema decimale alla divisione del tempo e dello spazio. La seconda risoluzione, che legava i meridiani a Greenwich, è stata approvata con 22 voti a favore e contrario solo Santo Domingo, oggi Repubblica Dominicana; non parteciparono Francia e Brasile. Infatti i francesi non adottarono il meridiano di Greenwich fino al 1911. La linea internazionale del cambio di data (la linea spezzata rossa sul lato destro dell'immagine qui a fianco) si trova sul lato opposto del mondo rispetto al meridiano primo. Località attraversate Dal polo nord al polo sud, il meridiano di Greenwich attraversa i seguenti territori e paesi: Mar Glaciale Artico (passa tra la Groenlandia e le isole Svalbard); Oceano Atlantico settentrionale (prima mare di Norvegia e poi mare del Nord); Regno Unito: vicino a Grimsby, Boston, Cambridge, Londra (Greenwich), tra Brighton e Eastbourne; Il canale della Manica; Francia: Villers-sur-Mer vicino a Le Havre, Caen, Argentan, Le Mans, tra Poitiers e Niort, tra Angoulême e Cognac, tra Bordeaux e Bergerac, tra Mont-de-Marsan e Auch, Tarbes, Lourdes Spagna: tra Saragozza e Lleida, vicino a Castellón de la Plana, al largo di Valencia; Mar Mediterraneo; Algeria: passa a STIDIA vicino a Mostaganem (segnato sulla RN11), Mascara, tra Sidi Bel Abbes e Tiaret; Mali; Burkina Faso; Togo; Ghana: a Tema (nei pressi di Accra) e Yendi; Oceano Atlantico meridionale; Mare antartico; Antartide (Terra della regina Maud). Curiosità La determinazione degli orologi e cronometri di un luogo L rispetto a un luogo di riferimento R è possibile solo se è possibile conoscere l'ora locale del riferimento R quando però ci si trova nel luogo L, e solo quando è mezzogiorno nel luogo L, perché è l'unico momento della giornata in cui è possibile calcolare la posizione assoluta del sole, perché in quel momento esso raggiunge la sua massima altezza sull'orizzonte. Ciò implica che solo quando fu inventato un modo per "trasportare" da un luogo ad un altro l'ora locale registrata in un luogo iniziale, divenne possibile calcolare la longitudine esatta dei vari luoghi sul pianeta. Ciò avvenne solo quando furono inventati orologi e cronometri meccanici, che andarono a sostituire le meridiane solari, le quali potevano fornire solo l'ora locale. Per poter determinare l'altezza di un'imbarcazione ("punto-nave"), cioè la sua distanza angolare rispetto a un luogo, è indispensabile conoscere l'ora locale del luogo di partenza di riferimento, e misurare a che ora del luogo di riferimento il sole raggiunge, sulla nave, l'altezza massima, a mezzogiorno; ma a causa della natura instabile del sistema di riferimento costituito da una nave, soggetta a rollio e beccheggio, divenne possibile determinare la longitudine di una imbarcazione solo dopo che furono inventati orologi e cronometri che non si basassero più su meccanismi a pendolo, il cui periodo era alterato dai movimenti dell'imbarcazione, ma su meccanismi che potessero funzionare anche su sistemi di riferimento in movimento rotatorio, e che potessero quindi conservare durante tutto il viaggio in mare l'ora locale del luogo di riferimento. Note Riferimenti Coordinate geografiche Voci correlate Tempo coordinato universale o UTC Null island Altri progetti Collegamenti esterni Cartografia Longitudine Greenwich
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https://it.wikipedia.org/wiki/Magia
Magia
Con il termine magia si intende una tecnica che si prefigge di influenzare o dominare gli eventi, i fenomeni fisici e l'essere umano con la volontà; a tal fine la magia può servirsi di atti e formule verbali, come di gesti e rituali appropriati. L'etimologia del vocabolo magia (in greco μαγεία) deriva dal nome con cui veniva indicata nell'antica Grecia la dottrina praticata dai «Magi» (Μάγοι), i sacerdoti zoroastriani della Persia. Storia Nella maggior parte delle culture antiche e moderne, fin dagli albori della civiltà, sono esistite credenze e pratiche magiche, con caratteristiche sostanzialmente simili anche se formalmente diverse, tipiche non solo dell'occultismo e della stregoneria, ma che formavano un unicum con la scienza e la religione. Ad alcune scene di pitture del paleolitico superiore trovate nelle caverne francesi sono state attribuite finalità magiche da parte di studiosi come Henri Breuil, al fine ad esempio di ottenere successo nella caccia. Antico Egitto La società dell'Antico Egitto è fortemente intrisa di magia e credenze occulte. Nel pantheon egizio, oltre a Uerethekau e Heka, dea della magia, anche Iside e Thot, da cui derivò l'ermetismo, sono caratterizzati da poteri magici. Sono stati trovati molti papiri magici, scritti in greco, copto e demotico, che contengono formule ritenute capaci di prolungare la vita, fornire aiuto in questioni amorose e combattere i mali. È attestata anche la credenza nella cerimonia magica dell'apertura della bocca per mezzo della quale si riteneva possibile conferire un'anima a statuette, utilizzate come controfigure magiche dei defunti. Il cosiddetto Libro dei morti degli antichi egizi, definito in origine Incantesimi che narrano l'uscita dell'Anima Verso la piena Luce del Giorno, scritto su papiri, muri tombali e sarcofagi, è l'insieme di incantesimi da pronunciarsi per la «...resurrezione dello spirito e il suo ingresso nelle Regioni dell'Al di là». Per gli antichi egizi tutto è animato, per loro il mondo spirituale non impone leggi al mondo fisico, ma, per analogia, così come il volto di una persona è considerato espressione dell'anima, il mondo spirituale si esprime tramite quello fisico. La natura non è inanimata e non sottostà a mere leggi meccaniche, bensì l'espressione della vita passa attraverso varie fasi spirituali che, in questo mondo, vengono rappresentate dalle esperienze fisiche vissute direttamente dall'uomo come una sorta di simboli. Tutto è animato e vivente, ogni fenomeno, per analogia, esprime la manifestazione di un piano spirituale nel piano fisico. L'analogia è applicata alla posizione degli astri, al simbolismo del colore, alle forme geometriche (ad esempio la figura geometrica della piramide), alle caratteristiche degli animali (zoolatria) e così via ad ogni espressione della vita. Questa civiltà, oltre cinquemila anni fa, è stata quindi crogiolo per la nascita e la codifica dell'astrologia, della teurgia e della negromanzia. Antico Medio Oriente In Mesopotamia, nelle culture sumera, accadica e caldea, come anche in Persia, la terra d'origine dei Magi, si trovano numerose attestazioni di rituali di magia cerimoniale. Tutte le fonti antiche riportano esempi di pratiche magiche, come: l'utilizzo di "parole magiche" che hanno il potere di comandare gli spiriti; l'uso di bacchette ed altri oggetti rituali; il ricorso a un cerchio magico per difendere il mago contro gli spiriti invocati; l'utilizzo di simboli misteriosi o sigilli per invocare gli spiriti; l'uso di amuleti che rappresentano l'immagine del demone per esorcizzarlo. Comunque il più grande apporto culturale del Medio Oriente consisté nell'astrologia: l'osservazione degli astri era non solo magicamente inscindibile dal computo del tempo, ma anche strettamente legata ad ogni evento naturale. Mondo greco-romano antico In Grecia fu Erodoto a coniare il termine «mago» per indicare un sacerdote di una tribù della Persia antica. Dal IV secolo a.C. il vocabolo mageia cominciò ad essere utilizzato per indicare un insieme di dottrine nate dalla commistione di tradizioni arcaiche e le pratiche rituali ereditate dai Persiani. Fu comunque nella koinè culturale ellenistica che ebbe luogo quella fusione dei riti magici con elementi astrologici e alchimistici, che sarà alla base di tutta la speculazione magica dei secoli successivi. Nell'Odissea incontriamo il personaggio della dea Circe, in séguito travisato come «maga Circe», dato che nel mondo omerico e fino alla prima metà del V secolo a.C. non esiste per i Greci il concetto di magia, ma solo di prodigio inteso come intervento divino. Nella tarda antichità troviamo numerose testimonianze riguardo a rituali di teurgia la cui provenienza è spesso attribuita, dagli stessi teurghi, all'antico Egitto. Verso il III - IV secolo della nostra era compaiono anche trattazioni filosofiche a favore di tale pratica, in particolare per opera del filosofo neoplatonico Giamblico. Nella letteratura latina si trovano numerose testimonianze relative a tutta una serie di attività occulte. Esperimenti di negromanzia, uccisioni a distanza, animali parlanti, statue che camminano, filtri d'amore, metamorfosi, divinazioni, talismani che curano le malattie, sono solamente alcuni degli oggetti e dei rituali magici adoperati dai maghi che compaiono nelle opere di Orazio, Plinio il Vecchio, Virgilio,<ref>NellEneide (libro VI) Virgilio presenta la figura della Sibilla Cumana che getta una focaccia soporifera (offa) in bocca al guardiano infernale Cerbero.</ref> Porfirio, ed altri. Nel panorama letterario di magia latina un posto di prim'ordine spetta a Le metamorfosi (anche conosciuto come L'asino d'oro) di Apuleio. L'opera, l'unico romanzo della letteratura latina pervenutoci intero, si compone di undici libri, nei quali viene narrata la storia di Lucio, un giovane trasformato per magia in asino, che, dopo varie peripezie, ritorna uomo per intercessione della dea Iside. Da ricordare che lo stesso Apuleio fu processato sotto la falsa accusa di aver costretto con la magia una ricca vedova a sposarlo per impadronirsi della dote, mentre in realtà l'aveva fatto per fare un favore al figlio di lei, amico suo, che morì, spingendo i parenti a credere che il suo fosse un elaborato piano per rubargli l'eredità. Riuscì tuttavia a scagionarsi dall'accusa presentando il testamento della vedova, in cui la donna (dietro consiglio dello stesso Apuleio) lasciava tutto al figlio piccolo. Del resto, nel diritto romano le leggi antiche prevedevano pene severe per quanti utilizzavano mezzi magici per conseguire scopi criminali. Medioevo Nonostante la polemica antimagica di alcuni scrittori cristiani, come Origene, Sant'Agostino e Tommaso d'Aquino, e l'ostilità della Chiesa nei riguardi delle arti occulte, il substrato culturale della magia medievale ebbe una notevole rilevanza. Persino il mondo religioso germanico fu prodigo di divinità intrise di doti magiche, come Thor e Odino; anzi lo scopo della magia era quello di liberare le forze occulte possedute dalle potenze superiori. La produzione letteraria di carattere magico, inizialmente piuttosto scarsa, crebbe progressivamente durante il basso Medioevo, fino a diventare molto ricco soprattutto alle soglie dell'età umanistica, grazie anche alla mediazione di scrittori arabi. Alcune opere astrologiche, come il Tetrabiblos di Claudio Tolomeo, l'''Introductiorum di Albumasar, il Liber Vaccae (o Libro degli esperimenti) ed il famoso Picatrix, ebbero una enorme influenza sulla speculazione magica di quello che sarà il periodo rinascimentale. Alcuni autori tuttavia, come Isidoro da Siviglia e più tardi Ugo da San Vittore, accomunavano la magia all'idolatria, in quanto scienza conferita dai demoni. È nel XIII secolo con Guglielmo d'Alvernia e Alberto Magno, che s'iniziò a porre l'accento sulla categoria della magia naturale, che tanta fortuna ebbe nei secoli immediatamente successivi. Sempre nel XIII secolo tornò in auge anche l'astrologia, con autori allora famosissimi come il forlivese Guido Bonatti, la cui influenza sarà notevole ancora nel XVI secolo. Dante Alighieri condanna maghi ed indovini nella quarta bolgia dell'ottavo girone infernale, nel ventesimo canto dell'Inferno. Dal XV al XVIII secolo Il periodo che va dal XV agl'inizi del XVII secolo segna la grande rinascita della magia, in sostanziale parallelismo, come fa notare anche C. S. Lewis, con il crescere degli interessi scientifici. L'inizio di questa rivoluzione magica può essere considerata l'opera di traduzione che alcuni umanisti, il più importante dei quali fu Marsilio Ficino, fecero delle quattordici opere che formavano il cosiddetto Corpus Hermeticum, degli Oracoli caldaici e degli Inni orfici. Queste opere, attribuite dagli studiosi rinascimentali rispettivamente ad Ermes Trismegisto, Zoroastro ed Orfeo, erano in realtà raccolte di testi nate in età imperiale romana, che combinavano elementi neoplatonici, concetti ricavati dal Cristianesimo, dottrine magico-teurgiche e forme di gnosi mistico-magica. Nel Rinascimento, sul substrato colto di dottrine neoplatoniche, neopitagoriche ed ermetiche si incardinò la riflessione speculativa magico-astrologica-alchemica, arricchita da idee derivanti dalla Cabala ebraica, come testimoniano emblematicamente le figure di Pico della Mirandola e Giordano Bruno. Il compendio forse più interessante per la magia rinascimentale è il De occulta philosophia di Cornelio Agrippa von Nettesheim. In questa opera il medico, astrologo, filosofo e alchimista tedesco definisce la magia «la scienza più perfetta», e la divide in tre tipi: naturale, celeste e cerimoniale, dove i primi due rappresentano la magia bianca, ed il terzo quella nera o necromantica. Queste argomentazioni saranno riprese più tardi nel Magiae naturalis sive de miraculis rerum naturalium del napoletano Giovanni Battista Della Porta, il quale vede nella magia naturale il culmine della filosofia naturale, e nel Del senso delle cose e della magia di Tommaso Campanella. Altra importante figura nel contesto magico-alchemico rinascimentale è quella di Paracelso, la cui iatrochimica risente della simbiosi tra magia naturale e scienza sperimentale, tipica del XVI secolo. Proprio mentre la tradizione magica è al suo culmine, nel XVII secolo s'iniziano a vedere le avvisaglie di una nuova polemica contro la cultura magico-alchimistica, che caratterizzerà maggiormente il Secolo dei Lumi. Il precursore della condanna delle varie dottrine magiche in nome del sapere scientifico è da considerarsi Francesco Bacone. A partire da questo momento la magia inizierà un lento declino, favorito da pensatori come Cartesio e Hobbes e dallo sviluppo delle correnti filosofiche del meccanicismo, del razionalismo e dell'empirismo. Nel XVIII secolo, con l'avvento dell'Illuminismo, la magia, definitivamente sconfitta nell'ambito della cultura dominante, venne relegata in una specie di limbo, nel quale tuttavia riuscì in qualche modo a sopravvivere, nell'ambito di correnti sotterranee rosacrociane e di alcuni settori della nuova massoneria. In letteratura sono presenti varie figure di maghi come, ad esempio: le streghe (witches) nel Macbeth e Prospero ne La tempesta di William Shakespeare; la maga Alcina nellOrlando Furioso di Ludovico Ariosto; la maga Armida nella Gerusalemme liberata di Torquato Tasso. Nel Settecento Johann Wolfgang Goethe rappresenta il protagonista del suo poema Faust come un erudito dottore che ha deciso di dedicarsi alle arti magiche, essendo rimasto deluso e annoiato della vita dopo aver invano cercato di penetrare i misteri dell'universo: XIX secolo Dopo l'epoca del Romanticismo, che recuperò i valori della spiritualità, dell'arte e dell'immaginazione, la seconda metà del XIX secolo è caratterizzata da un rinnovato interesse nei confronti dell'occultismo e dell'esoterismo magico. La figura che meglio incarna il revival delle scienze occulte nell'Ottocento è il mago Eliphas Lévi, nato Alphonse Louis Constant, la cui ricca produzione letteraria influenzò grandemente la speculazione occultista del secolo successivo. L'ultimo scorcio del secolo vide anche il sorgere di numerose organizzazioni e società segrete nelle quali la magia aveva un ruolo significativo, come l' Ordre Kabbalistique de la Rose-Croix fondato in Francia da Stanislas de Guaita, l' Hermetic Order of the Golden Dawn, fondato in Inghilterra da Samuel Liddell MacGregor Mathers, l' Ordo Templi Orientis, fondato in Germania da Franz Hartmann, e soprattutto la Società Teosofica, fondata negli Stati Uniti d'America da Helena Petrovna Blavatsky, in cui si ritrovano alcuni elementi che rimandano a una concezione magica dell'esistenza e dei rapporti con i mondi ultraterreni. Età contemporanea Il panorama della magia dei nostri giorni è molto variegato e di difficile analisi sistematica, soprattutto a causa del coacervo sincretistico che caratterizza la maggior parte delle odierne dottrine magiche, esoteriche e occultistiche. In genere il substrato comune è costituito da alcune dottrine che si riallacciano alle tradizioni neoplatoniche, gnostiche, ermetiche, cabalistiche, astrologiche, alchimistiche e mitologiche antiche, sebbene connotate dall'esigenza di riadattarle all'età moderna come nel caso dell'antroposofia. Su quelle dottrine e sul pensiero dei moderni occultisti, da Madame Blavatsky a Gérard Encausse, da Samuel Liddell MacGregor Mathers ad Aleister Crowley, da G. I. Gurdjieff a Gerald Gardner, a Dion Fortune, a Eusapia Palladino, a Gustavo Rol sono nate tutta una serie di associazioni e gruppi esoterici, più o meno influenzati dalle nuove correnti della New Age, della Wicca, della Stregoneria Tradizionale e del Neopaganesimo. In Italia uno degli ultimi celebri rappresentanti e divulgatori della teoria e della prassi magica fu Giuliano Kremmerz. Tra gli altri Julius Evola, intendendo la magia come attitudine superiore, e non come scienza operativa sui generis, la riteneva una forma di conoscenza iniziatica, che comporta la trasformazione interiore di chi la pratica. La vera magia è in particolare per Evola un modo di tradurre in prassi realizzativa i dettami della filosofia idealistica, per la quale l'Io è chiamato a «porre se stesso» attuando la propria potenza creatrice. Caratteristiche La pratica della magia e la fiducia nelle sue possibilità presuppone una visione spirituale del mondo, tale per cui la realtà sia dominata da forze spirituali che per la loro stessa valenza possano essere ridestate, a partire in primo luogo dalla pronuncia dei loro nomi, compito originario di Adamo secondo la Genesi, così come Dio creò la Terra grazie alla potenza del Verbo. L'intenzione con cui si utilizza il potere insito nelle parole magiche, se disinteressato o egoistico, determina la differenza tra i due tipi di magia, ovvero rispettivamente tra: la magia bianca, destinata alla lunga ad avere la meglio, perché contribuisce al perfezionamento e alla santificazione della creazione, che è di per sé ontologicamente buona; la magia nera, dagli effetti più rapidi e immediati, ma che comporta la progressiva perdita dei poteri stessi del mago, soggetto a diventare vittima delle sue brame demoniache. Esiste inoltre un insieme di nozioni e pratiche facenti capo ad una categoria intermedia denominata magia rossa che non può essere definita né buona né cattiva, ma indirizzata ad ottenere uno scopo personale, il più delle volte a carattere sentimentale. Insieme agli altri due tipi di magia essa formerebbe una triade, una sorta di sintesi tra il bene ed il male, qualora questi due termini siano ritenuti non necessariamente contrapposti ma complementari. I sacerdoti persiani, ad esempio, o gli autori dei grimori, sapevano propiziarsi non solo gli spiriti più elevati a fini benefici, ma anche quelli malefici per rivolgere eventuali calamità contro i propri nemici. All'aspetto positivo di un rituale può corrispondere così un risvolto negativo. Solitamente i riti magici utilizzano una combinazione tra le diverse tecniche. Nei casi in cui il mago, durante una pratica cerimoniale, ricorra all'intervento di un'entità soprannaturale, a seconda della natura di quest'ultima si entra nei campi della necromanzia, dello spiritismo e della demonologia, mentre l'arte di evocare o invocare potenze sovrumane benefiche (angeli, divinità, spiriti elementali ecc.) è più propriamente chiamata teurgia. La stregoneria è generalmente associata alla magia nera, alla magia popolare, oppure al cosiddetto «sentiero della mano sinistra», tradizionalmente identificato col male, sebbene proprio la conoscenza di questo possa alle volte essere considerata una via per approdare al bene; il mago inoltre, per essere tale, dovrebbe dar prova di saper dominare le intelligenze diaboliche, anziché farsene sottomettere. Secondo Papus, «la Magia è l'applicazione della volontà umana dinamizzata alla rapida evoluzione delle forze viventi della Natura». In quanto tale, essa presuppone una preparazione ed un raffinamento della suddetta volontà, attraverso una progressiva rinascita in una nuova dimensione e concezione della vita, cioè un'iniziazione: così intesa la magia costituisce il nucleo di ogni forma di esoterismo. La magia scaturita dall'iniziazione si prefigge lo scopo di partecipare all'attuazione cosmica dei piani divini, sia in maniera personale, sia ricorrendo ad un rito esteriore, sotto la guida di un maestro; si parla in questo caso di cerimonia di «Alta Magia», detta anche magia cerimoniale, la quale ricorre in genere a quattro operazioni fondamentali: la consacrazione di oggetti per conferire loro un potere; l'esorcismo o esecrazione per costringere forze malefiche ad abbandonare persone o cose; l'invocazione ovvero una preghiera o una richiesta rivolta a un genio benefico; l'evocazione di entità superiori affinché si manifestino. Per scegliere il momento più proprizio per la propria operazione, il praticante di magia cerimoniale è tenuto a conoscere non solo l'astrologia oraria, ma anche quella cabbalistica per associare certe ore, giorni o periodi di tempo a quegli angeli, arcangeli e spiriti planetari corrispondenti al risultato che si prefigge. Egli agisce in maniera impeccabile, munito in genere di una spada magica con cui tracciare un pentacolo o un cerchio sacro, avvalendosi inoltre di simboli e oggetti anch'essi corrispondenti alle suddette qualità determinate per via astrologica, e seguendo alle volte le istruzioni di un grimorio. Per il suo sistema di analogie con cui ogni parte risulta collegata al tutto, la magia riproduce così in piccolo il macrocosmo universale; per questo motivo eventuali differenze della magia cerimoniale rispetto a quelle di tipo naturale, contadino, o stregonesco dipendono più che altro dalla competenza, volontà e orientamento di chi la pratica. Tecniche Le tecniche magiche possono essere raggruppate convenzionalmente in diverse categorie: La cosiddetta magia simpatica o d'incanalamento, in cui l'effetto magico è perseguito tramite l'utilizzo d'immagini od oggetti che possono essere usati, ad esempio come rappresentazione simbolica della persona cui si vuole fare del bene o si vuole nuocere, oppure per rappresentare lo scopo che ci si prefigge (ad esempio con l'uso di amuleti e talismani); da questa deriva la magia mimetica e quella omeopatica, basate sul principio di analogia, per cui il simile produce il simile: un esempio può essere rappresentato da alcuni popoli primitivi, i quali, prima di andare a cacciare, imitavano i movimenti, i versi ed i comportamenti in genere dell'animale che desideravano catturare. La magia da contatto, caratterizzata dalla preparazione di pozioni e filtri magici, sacchettini da indossare, talismani o amuleti da portare con sé, creati utilizzando oggetti ed ingredienti più o meno naturali: si tratta di contagio perché l'effetto su una parte si ripercuote sull'intero. Un'altra forma di pratica magica è l'incantesimo, che agisce tramite parole (un esempio tipico è abracadabra) o altre formule magiche. Vi è poi la categoria della divinazione, utilizzata per ricevere informazioni attraverso varie arti mantiche (come l'astrologia, la cartomanzia, la chiromanzia) oppure attraverso dei talenti propri dell'operatore, come ad esempio attraverso i presagi, o nella preveggenza e nella medianicità. Interpretazioni La magia, in quanto fenomeno ubiquitario che ha accompagnato la civiltà umana dagli albori, è stata ed è oggetto di studio da parte delle scienze sociali, prime fra tutte l'antropologia culturale, l'etnologia e la psicologia. Le tematiche affrontate nello studio della magia solitamente riguardano la sua relazione con la scienza e la religione, la sua funzione sociali e la natura del suo pensiero. Evoluzionismo Nel 1871 Edward Tylor nella Cultura dei primitivi arrivò alla conclusione che la magia fosse una «scienza sbagliata» in quanto non in grado di distinguere i rapporti causa-effetto da quelli propriamente temporali. Vicino alla posizione tyloriana fu James George Frazer, il quale, nel Ramo d'oro, pur considerando la magia un primo stadio nello sviluppo della civiltà, ebbe il merito di fornire una prima classificazione della magia. Egli distinse i processi magici in: simpatetici/imitativi, basati sulla credenza che il simile agisca sul simile, quando ad esempio ci si travesta da animale per propiziarsi il successo nella caccia; e contigui/contagiosi, basati sulla credenza che due o più oggetti rimasti a lungo in contatto possono continuare a interagire tra loro anche se distanti: ad esempio ciocche di capelli, oppure oggetti appartenenti alla persona su cui gettare il malocchio. Scuola sociologica francese L'etnologo francese Lucien Lévy-Bruhl giudicò le culture cosiddette primitive come guidate esclusivamente da una visione magico-mistica del mondo, quindi prescientifica, nella quale si ritiene che ogni cosa si possa trasformare in qualsiasi momento in un'altra. Agl'inizi del XX secolo Henri Hubert e Marcel Mauss pubblicarono Teoria generale della magia. In quest'opera i due etnologi francesi assunsero un orientamento più sociologico rispetto al passato, rivolgendo la loro attenzione non tanto alla struttura dei riti magici, quanto al contesto sociale nel quale questi si svolgono. Hubert e Mauss studiarono anche i rapporti della magia con la scienza e la religione, ravvisando tra loro delle analogie in virtù dei terreni comuni di intervento: la natura riguardo a scienza e magia, ed il sacro per religione e magia. Anche Émile Durkheim intervenne nella discussione dei rapporti tra magia e religione. Nel suo Le forme elementari della religione afferma che la magia essendo per sua natura una pratica privata e quasi segreta, non può essere paragonata alla religione, che è un fenomeno sociale e prettamente collettivo. L'attenzione degli studi antropologici sul fenomeno magico si è basata fondamentalmente su due costanti interagenti e soggiacenti il rituale magico ed interagenti: sistema di simboli e comunicazione sociale. Un notevole contributo in questa direzione è venuto da Claude Lévi-Strauss. In Antropologia strutturale lo studioso dedica un saggio dal titolo Lo stregone e la sua magia all'universo simbolico della magia. La funzione semantica del concetto magico è alla base dell'esempio riportato da Levi-Strauss sulla base di un racconto di Franz Boas. I casi di guarigione magica per opera dello sciamano Quesalid dimostrano, secondo l'antropologo francese, che ogni atto magico presuppone l'esistenza di un rituale basato su segni, che abbiano un significato per la collettività che partecipa all'esperimento magico e ne condivide la speranza di riuscita. Scuola inglese All'antropologo inglese Alfred Reginald Radcliffe-Brown si deve la prima disamina seria del concetto di mana, utilizzato per la prima volta dall'etnologo Robert Codrington. Questa forza non individualizzata insita in tutte le cose permea l'atto magico (il rituale), chi lo compie (lo sciamano), quanti vi assistono (la società) e l'ambiente in cui viene svolta l'azione (la natura). L'accento posto dal Brown sul valore rituale e sociale della magia, contrapponendolo al già presupposto legame tra magia e scienza, condizionò la successiva discussione sull'argomento. Un'altra opera che ebbe una considerevole risonanza fu Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande, scritta nel 1937 da Edward Evan Evans-Pritchard. La ricerca da lui effettuata nel Sudan sud-occidentale lo portò a conclusioni vicine a quelle del Radcliffe-Brown. Anche l'Evans-Pritchard teorizzò la centralità del contesto sociale nel quale la magia si esplica e l'assenza di un legame tra scienza e magia, in quanto l'obiettivo finale del rituale magico non consisterebbe nel modificare la natura, ma nel contrastare i poteri di streghe o maghi. Funzionalismo Un contributo fondamentale alla interpretazione della magia dal punto di vista antropologico lo diede Bronisław Malinowski. Nel suo Magia, scienza, religione, lo studioso polacco nega qualsiasi contatto della magia con la pratica empirica, che vede come entità separate. Famoso l'esempio della canoa, durante la costruzione della quale l'artefice non ha bisogno della magia per l'esecuzione tecnica del natante, che reggerebbe il mare comunque, ma il rituale magico interviene durante il lavoro come sussidio rassicurante. L'atto magico sarebbe quindi l'espressione simbolica di un desiderio, completamente slegato dal rapporto causa-effetto, che è comunque tenuto ben presente. Sulla scia di Malinowski, gli antropologi successivi hanno sottolineato che il ricorso alla magia si avrebbe solitamente in presenza di fenomeni inesplicabili, davanti ai quali le pratiche empiriche sono considerate impotenti. La Magia secondo De Martino Una posizione interessante e diversa rispetto a quella del funzionalismo è quella dell'antropologo italiano Ernesto de Martino, il quale sosteneva che l'universo magico facesse da mediatore con la concezione dell'aldilà e con la paura delle persone di perdere la presenza. Nei suoi studi nel Mezzogiorno d'Italia nel 1948 egli rivelò come, davanti ad una grave crisi, come la morte di una persona cara, la magia, assieme ad una buona pianificazione sociale, consentisse di incanalare il dolore per riscattarsi dagli istinti animali. Psicologia La natura della magia è stata studiata anche dal punto di vista psicologico. Basandosi sulle teorie evoluzioniste del Frazer, studiosi come Wilhelm Wundt, Gerardus van der Leeuw e soprattutto Sigmund Freud accostarono il pensiero magico dell'uomo primitivo a quello del bambino, il quale ritiene che la realtà sia influenzabile secondo i suoi pensieri ed i suoi desideri. Più recentemente anche Ernesto De Martino ne Il mondo magico pone l'accento su alcuni fenomeni tipici di pratiche sciamaniche, quali la spersonalizzazione e lo scatenamento di impulsi incontrollabili. Il rapporto con la religione La questione se la magia sia concettualmente diversa dalla religione, o se invece possa essere assimilata a questa, è dibattuta. Nella magia l'uomo cercherebbe di imporre la propria volontà al divino, mentre nella religione sarebbe l'uomo a sottomettersi al volere della divinità, ma i due ambiti tendono spesso a sovrapporsi, con atteggiamenti simili di fronte al mistero della creazione, e riconoscendo entrambe l'esistenza di uno o più esseri spirituali. A seconda dell'uso che se ne fa, la magia bianca si avvicinerebbe ai rituali della religione, quando attraverso l'azione di un medium o di un intermediario si proponga di evocare entità superiori di sommo livello, intervenendo unicamente per recare beneficio ad altri. Chi, al contrario, si serva della magia per imporre il proprio volere in maniera palese oppure occulta, tendendo a distorcere il normale corso degli eventi, è facilmente associato a quella nera di tipo «diabolico» (termine derivante dal greco dia-ballo, «dividere», che avrebbe un significato opposto rispetto a «religione», dal latino re-ligare, «unire»). Circa il rapporto con la religione, un contributo alla definizione di magia è stato fornito dallo studioso italiano di antropologia religiosa e di storia delle religioni Alfonso Maria Di Nola. Secondo costui la magia si distingue dal fenomeno religioso «per la sua efficacia automatica, per la sua destinazione utile immediata e per l'attitudine a dominare o controllare la realtà». Nella magia dunque si realizzerebbe una volontà di dominio o controllo della realtà attraverso una manipolazione del sovrannaturale, e quindi un sostanziale ribaltamento della prospettiva religiosa in cui l'uomo si riconosce dipendente dal sovrannaturale. Monoteismo Ufficialmente, Ebraismo e Cristianesimo considerano la magia un'attività proibita, equiparandola alla stregoneria, ed hanno spesso perseguitato i loro praticanti. Nell'Islamismo è ammessa invece la magia bianca, mentre si condanna quella nera, ritenuta malvagia. Altre tendenze nel pensiero monoteista hanno respinto tutte le forme di magia, sia in quanto opera dei demoni, oppure ritenendole niente più che illusioni ed inganni disonesti. Alcuni paventano che la recente popolarità della «teologia della prosperità», di origine statunitense, costituisca un ritorno al pensiero magico all'interno del Cristianesimo. Già il Cristianesimo gnostico, peraltro, possedeva una forte componente mistica, e pur evitando la pratica della magia, prediligeva i rituali più nobili della teurgia, ossia di elevazione e ricongiungimento al divino. Cristianesimo La Bibbia si esprime più volte in termini perentori contro il ricorso a pratiche magiche: «Non lascerai vivere colui che pratica la magia» Esodo, «Samuele era morto e tutto Israele aveva fatto il lamento su di lui; poi l'avevano seppellito in Rama sua città. Saul aveva bandito dal paese i negromanti e gl'indovini», I Libro di Samuele, «In quel giorno – dice il Signore – distruggerò […] Ti strapperò di mano i sortilegi e non avrai più indovini. Distruggerò […]», Michea, «Molti di quelli che avevano abbracciato la fede venivano a confessare in pubblico le loro pratiche magiche e un numero considerevole di persone che avevano esercitato le arti magiche portavano i propri libri e li bruciavano davanti a tutti. Ne fu calcolato il valore complessivo e trovarono che era di cinquantamila dramme d'argento», Atti degli Apostoli, La magia era quindi inaccettabile per la Chiesa cattolica e fin dagli inizi erano ammesse solo pratiche di devozione, come l'utilizzo di reliquie o acqua benedetta, in opposizione alla "blasfema" negromanzia (nigromantia), che coinvolgono l'invocazione dei demoni (goetia). L'attuale Catechismo della Chiesa cattolica tratta della divinazione e della magia nella parte terza, sezione seconda. Benché sia prevista la possibilità dell'ispirazione della divina profezia, in esso si rifiutano "tutte le forme di divinazione". Nella sezione "pratiche di magia e stregoneria" le pratiche "di dominare i poteri occulti" al fine di "avere un potere soprannaturale sugli altri" sono denunciate come "gravemente contrarie alle virtù della religione". Islam La magia è pienamente riconosciuta nel mondo islamico. Essa può essere considerata una "tecnica", rispondente a sue proprie leggi, agenti per preciso disposto divino, che fa uso dei cosiddetti sihr, ovvero incantesimi o sortilegi, in grado di servirsi dei ginn, spiriti intermedi menzionati esplicitamente nel Corano, qualora siano benevoli. Si condanna tuttavia la magia nera o saḥr shayṭānī, che ricorre ai ginn diabolici. Note Bibliografia Agrippa, Cardano, Fludd, La magia naturale del Rinascimento, introduzione di Paolo Rossi, Strenna Utet, 1989 Francesco Albergamo, Magia e civiltà, Guida, Napoli, 1970. Giordano Berti, Storia della Divinazione, Milano 2007 Maurice Bouisson, La magia, Milano, Sugar, 1962 Richard Cavendish, Storia della magia, Armenia, Milano, 1980; altre ediz.: CDE (Club degli Editori), Milano, 1983; Mondadori, Milano, 1985, 1991 e 1994 Louis Chochod, Storia della magia, Torino, Einaudi, 1970 Ernesto de Martino, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Einaudi, Torino, II ed. 1958, nuova ed., con introduzione di C. Cases, Bollati Boringhieri, Torino, 1973, e poi, anche con postfazione di G. Satta, 2007 Ernesto de Martino (curatore), Magia e civiltà, Milano, Garzanti, 1962 Graziella Federici Vescovini, Medioevo magico. La magia tra religione e scienza nei secoli XIII e XIV, Torino, Utet, 2008 Cecilia Gatto Trocchi, La magia, Roma, Newton Compton, 1994 ISBN 88-7983-655-2 Gruppo di Ur, Introduzione alla magia (1971), volume primo, Roma, Mediterranee, 20044. Gruppo di Ur, Introduzione alla magia (1971), volume secondo, Roma, Mediterranee, 20063. Gruppo di Ur, Introduzione alla magia (1971), volume terzo, Roma, Mediterranee, 20063. Massimo Introvigne, Il cappello del mago. I nuovi movimenti magici dallo spiritismo al satanismo, Sugarco, Milano, 1990 G. Kolpaktchy, D. Piantanida, Il libro dei morti degli antichi egizi, ed. Atanòr, 1984 Giuliano Kremmerz, La scienza dei magi, Roma, Mediterranee, 1991 MIchael Muhammad Knight, Magic in Islam, New York, Tarcher Perigee, 2016. Aa.Vv., Il Libro Infernale. Tesoro Delle Scienze Occulte, Roma, Edizioni Mediterranee, 1984 Jeremy Naydler, Il Tempio del Cosmo, Religione, Magia e Miti nell'Antico Egitto ed. Neri Pozza, 1997 ISBN 88-412-4599-9 Aurelio Rigoli, Magia ed etnostoria, Torino, Boringhieri, 1978 Paolo Rossi, Il tempo dei maghi. Rinascimento e modernità, Cortina Raffaello editore, 2006 Kurt Seligmann, Storia della magia, Bologna, Odoya, 2010 ISBN 978-88-6288-071-8 Anita Seppilli, Poesia e magia, Torino, Einaudi, 1962; poi: Palermo, Sellerio, 2011 ISBN 88-389-2526-7 Lynn Thorndike, The History of Magic and Experimental Science, 8 voll., New York, Columbia University Press, 1923 Roberto Tresoldi, Il mondo Magico dell'Antico Egitto, Religione, Magia e Iniziazione, ed. de Vecchi, 2000 Paola Zambelli, L'ambigua natura della magia'', Milano, Il Saggiatore, 1991 Voci correlate Alchimia Astrologia Chiaroveggenza Cerchio magico Divinazione Elementi magici Esoterismo Magia bianca Magia nera Magia cerimoniale Magia popolare Occultismo Preveggenza Superstizione Stregoneria Sincronicità Temenos Teurgia Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Mercurio
Mercurio
Mercurio – nome proprio di persona italiano maschile Mercurio – divinità della mitologia romana Mercurio – pianeta del sistema solare Mercurio – pianeta dell'astrologia zodiacale Mercurio – elemento chimico Mercurio – figura araldica Mercurio – elemento alchemico Mercurio – personaggio della Marvel Comics Mercurio – personaggio della Amalgam Comics Mercurio – rivista letteraria (1944-1948) fondata da Alba de Céspedes Mercurio – album di Emis Killa Mercurio – unico relitto noto di nave battente il tricolore del Regno italico, affondata durante la battaglia di Grado (1812) Geografia Ghiacciaio Mercurio – ghiacciaio dell'isola Alessandro I, in Antartide Ghiacciaio Mercurio – ghiacciaio della Terra di Oates, in Antartide Persone Angelo Mercurio – mafioso statunitense di origini italiane Antonio Mercurio – antropologo italiano Antonio Mercurio – pittore italiano, figlio di Gaetano Gaetano Mercurio – pittore italiano Giovanni Andrea Mercurio – cardinale cattolico italiano Giuseppe Mercurio – scrittore, linguista e giornalista italiano Jed Mercurio – scrittore inglese Micole Mercurio – attrice statunitense Paul Mercurio – attore, ballerino e conduttore televisivo australiano Scipione Mercurio – medico e religioso italiano Steven Mercurio – direttore d'orchestra e compositore statunitense Vito Mercurio – violinista, arrangiatore e compositore italiano Altri progetti
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Marte
Marte – pianeta del sistema solare Marte – in astrologia, pianeta dell'aggressività, dell'azione, del dinamismo e dell'impulsività Marte – Ghiacciaio dell'isola Alessandro I, in Antartide Marte – dio della guerra nella mitologia romana Marte – dipinto di Diego Velázquez Marte – missile antinave a corto raggio aviolanciabile Marte – forma norvegese del nome proprio di persona italiano femminile Marta, nonché nome maschile italiano Starling Marte – giocatore di baseball dominicano Marte – area a governo locale (local government area) della Nigeria Marte (Mars) – serie televisiva statunitense del 2016 Altri progetti
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Motociclismo
Il motociclismo nella sua accezione più estesa è un insieme di attività che si svolgono con qualsiasi tipo di motocicletta (o più in generale con dei motoveicoli). Queste attività spaziano dal motociclismo sportivo al mototurismo e motoradunismo, fino al quotidiano utilizzo della motocicletta come mezzo di trasporto e di lavoro urbano ed interurbano. Motociclismo sportivo Il motociclismo sportivo è il settore agonistico comprendente le varie discipline che prevedono competizioni tra piloti a bordo di motociclette. Utilizzare i nuovi mezzi di locomozione a fine Ottocento per gareggiare al pari dei cavalli, biciclette e simili, è stato un evento naturale nell'evoluzione della competizione tra uomini con qualsivoglia mezzo. Oggi è uno tra gli sport motoristici più diffusi, seguiti e praticati in Italia e nei paesi più "avanzati", cioè quei paesi che hanno la possibilità di investire economicamente in questo settore. Esistono due tipologie principali: Velocità, competizioni su suoli compatti asfaltati, comprendente diverse categorie e campionati: Motomondiale prototipi di motociclette che competono al campionato mondiale di velocità Superbike Supersport Superstock Endurance Minimoto MiniGP Scooter Velocità Tourist Trophy Fuoristrada, competizioni su suoli non compatti Motocross, i modelli che vengono usati nelle gare di motocross, con soluzioni tecniche che permettono l'uso su percorsi sterrati a velocità sostenute e in presenza di salti o avvallamenti marcati. Enduro (in passato Regolarità), sono sempre moto da competizione, che gareggiano nelle gare da enduro e nella maggior parte sono moto da cross riadattate per questa competizione, che prevede l'uso di un motoveicolo omologato per uso stradale e che deve rispettare le normative stradali. Trial, modelli usati per le competizioni apposite, che non necessitano di velocità elevate ma le cui caratteristiche di leggerezza e agilità consentono di superare quasi ogni tipo di ostacolo. Rally Dakar, moto usate nelle competizioni africane di Rally Dakar, con determinate caratteristiche fisiche e soluzioni specifiche, le quali inizialmente erano derivate da moto per l'enduro Speedway, moto particolarmente leggere e semplici, infatti di solito non hanno l'ammortizzatore posteriore e non presentano un cambio a più rapporti, con il sistema frenante ridotto al minimo o assente Hare scramble, gara motociclistica off-road che varia riguardo alla distanza e al tempo. Misto Supermotard, che si corre in circuiti nati per le gare di kart oppure su piste appositamente create, composte da circa il 30% di sterrato e il 70% asfalto. Questa disciplina viene praticata con moto da cross riviste nelle sospensioni e con gomme stradali Il motociclismo sportivo è uno sport prettamente individuale (a parte le motociclette con sidecar) e trova solo rari esempi di competizioni a squadre: Cross delle nazioni, International Six Days ecc. Il regolamento e organizzazione delle diverse discipline sportive è di competenza della Federazione Internazionale Motociclistica. Motoradunismo Il motoradunismo non è altro che il raduno o aggregamento di molti motociclisti in un determinato luogo. I più famosi raduni motociclistici contano decine di migliaia di presenze, come l'Elefantentreffen che si svolge ogni anno tra gennaio e febbraio nel sud della Germania, la Biker Fest che si svolge a maggio in Friuli. Il Super Rally, raduno riservato solo alle Harley-Davidson e che ogni anno si svolge in una nazione europea diversa, mentre il Triumph Tridays, raduno monomarca Triumph si svolge solitamente a giugno in Austria. Tra gli appassionati Ducati è celebre il World Ducati Weekend che si tiene a Misano Adriatico, dove si svolge anche la Yamaha Fest, incontro dedicato ai proprietari di motociclette Yamaha, mentre le Giornate Mondiali Guzzi di Mandello del Lario attira un gran numero di Guzzisti. Negli Stati Uniti d'America, raduni come la Daytona Beach Bike Week che si svolge a marzo in Florida e lo Sturgis Motorcycle Rally di agosto nel Dakota del Sud possono contare da diversi anni ormai un numero di partecipanti che si attesta attorno al mezzo milione di persone. A Bobbio passando per il Passo del Penice ogni anno si svolge il Motoraduno – San Colombano Day in omaggio a San Colombano patrono e protettore dei motociclisti. Annualmente, durante l'ultima domenica del mese di settembre, si svolge anche il raduno Distinguished Gentleman's Ride che viene organizzato in tutto il mondo contemporaneamente e al quale è legata una raccolta fondi per la ricerca sul cancro e la prevenzione dei suicidi. Mototurismo Letteratura, cinema e televisione Vi è una discreta produzione letteraria sui viaggi in moto: Il veicolo perfetto – La motocicletta di Melissa Holbrook Pierson, Verso la Mongolia e Sulla via della seta di Italo Barazzutti, In Vespa da Milano a Tokyo di Roberto Patrignani e tutte le avventure in Vespa di Giorgio Bettinelli sono tra i libri più conosciuti. Diversi sono i film che hanno come soggetto principale la motocicletta. Tra gli altri Easy Rider con Peter Fonda, Il selvaggio con Marlon Brando e I diari della motocicletta dove viene raccontato il lungo viaggio effettuato in Sud America da Ernesto Guevara e Alberto Granado a cavallo di una Norton 500 M18. L'attore Ewan McGregor ha creato due programmi televisivi chiamate Long Way Round e Long Way Down che raccontano i suoi lunghissimi viaggi in moto. Di questi viaggi McGregor ha scritto anche libri dal titolo omonimo. In Italia Il mototurismo italiano si avvale, principalmente, del campionato turismo, i cui singoli eventi sono denominati "motoraduni d'eccellenza". In esso vige il regolamento indetto dalla Federazione Motociclistica Italiana (F.M.I.). Per partecipare ai trofei i motociclisti devono essere iscritti ad un moto club associato alla F.M.I. ed avere la Licenza Turistica. Le categorie sono: isolato (conduttore/conduttrice, passeggero/a), squadre. Per chi partecipa in solitario (isolato), i km percorsi sono contati dal suo luogo di residenza al luogo dove avviene il motoraduno. Nella classifica a squadre, i km sono contati dal luogo della sede del moto club di appartenenza. Un'ulteriore manifestazione mototuristica è il Motoraid Turistico. La partecipazione consiste in gare di regolarità mototuristica, quindi in una marcia di precisione, in un determinato luogo e territorio, rispettando i tempi di una tabella di marcia prestabilita. Inoltre si tiene conto dei km registrati dai Commissari di Gara nella Licenza Turistica. In Europa e nel mondo Uno dei viaggi più affascinanti per i motociclisti europei è senz'altro il Raid a Capo Nord, mentre per gli statunitensi un itinerario classico è il coast to coast, cioè un viaggio che si compie dalla costa atlantica a quella pacifica degli USA o viceversa. Associazioni motociclistiche Per promuovere e gestire il motociclismo sportivo e il motoradunismo, in Italia è attiva da molti anni la Federazione Motociclistica Italiana, mentre per difendere i diritti dei motociclisti per diversi temi attuali quali la mobilità urbana, la sicurezza delle strade, i blocchi del traffico, sono nate spontaneamente diverse associazioni come Coordinamento Italiano Motociclisti, Motocivismo e lAssociazione Motociclisti Incolumi. Note Bibliografia Breve storia del motociclismo, supplemento n. 1 al Notiziario Ducati, gennaio 1952 Altri progetti Collegamenti esterni FMI (Federazione Motociclistica Italiana) FIM (Federazione Internazionale Motociclistica) Sport individuali
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https://it.wikipedia.org/wiki/Momento%20%28probabilit%C3%A0%29
Momento (probabilità)
In probabilità, il momento semplice o teorico di origine e ordine di una variabile casuale discreta è definito come il valore atteso della -esima potenza dei valori dove denota la funzione di massa di probabilità della variabile casuale. Oppure, nel caso di una distribuzione continua, dove denota la funzione di densità della variabile casuale. Si definisce momento centrale un momento semplice con origine e di ordine come la speranza matematica della -esima potenza dello scarto da ( = ) oppure, nel caso di una variabile casuale continua, dove denota appunto il valore atteso della variabile casuale. Caratteristiche di tali momenti semplici e centrali sono: e sono sempre uguali all'unità è sempre nullo è il valore atteso, indicata tradizionalmente con è la varianza, indicata tradizionalmente con In generale, la relazione tra il momento centrale e i momenti semplici è data da: dove è il coefficiente binomiale. Per cui, oltre a quanto indicato sopra, si ha: è la asimmetria, o skewness è la curtosi Voci correlate Variabile aleatoria Valore atteso Varianza Simmetria (statistica), o skewness Curtosi Statistica Momenti di un'immagine Altri progetti Collegamenti esterni Variabili casuali
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https://it.wikipedia.org/wiki/Macchina%20di%20Turing
Macchina di Turing
In informatica, una macchina di Turing (o più brevemente MdT) è una macchina ideale che manipola i dati contenuti su un nastro di lunghezza potenzialmente infinita, secondo un insieme prefissato di regole ben definite. In altre parole, si tratta di un modello astratto che definisce una macchina in grado di eseguire algoritmi e dotata di un nastro potenzialmente infinito su cui può leggere e/o scrivere dei simboli. Introdotta nel 1936 da Alan Turing come modello di calcolo per dare risposta allEntscheidungsproblem (problema di decisione) proposto da Hilbert nel suo programma di fondazione formalista della matematica, è un potente strumento teorico che viene largamente usato nella teoria della calcolabilità e nello studio della complessità degli algoritmi, in quanto è di notevole aiuto agli studiosi nel comprendere i limiti del calcolo meccanico; la sua importanza è tale che oggi, per definire in modo formalmente preciso la nozione di algoritmo, si tende a ricondurlo alle elaborazioni effettuabili con macchine di Turing. Descrizione Essa ha la particolarità di essere retta da regole di natura molto semplice, ovvero di potersi descrivere come costituita da meccanismi elementari molto semplici; inoltre è possibile presentare a livello sintetico le sue evoluzioni mediante descrizioni meccaniche piuttosto intuitive. D'altra parte, essa ha la computabilità che si presume essere la massima: si dimostra, infatti, che essa è in grado di effettuare tutte le elaborazioni effettuabili dagli altri modelli di calcolo noti all'uomo. Tra questi modelli di calcolo ricordiamo le funzioni ricorsive di Jacques Herbrand e Kurt Gödel, il lambda calcolo di Alonzo Church e Stephen Kleene, la logica combinatoria di Moses Schönfinkel e Haskell Curry, gli algoritmi di Markov, i sistemi di Thue, i sistemi di Post, le macchine di Hao Wang e le macchine a registri elementari o RAM astratte di Marvin Minsky. Di conseguenza si è consolidata la convinzione che per ogni problema calcolabile esista una MdT in grado di risolverlo: questa è la cosiddetta congettura di Church-Turing, la quale postula in sostanza che per ogni funzione calcolabile esista una macchina di Turing equivalente, ossia che l'insieme delle funzioni calcolabili coincida con quello delle funzioni ricorsive. Gli algoritmi che possono essere implementati da una MdT si dicono "algoritmi Turing-computabili". Caratteristiche Nel 1936 venne pubblicato un articolo di Alan Mathison Turing intitolato On computable numbers, with an application to the Entscheidungsproblem, in cui l'autore risolveva negativamente l'Entscheidungsproblem o problema della decidibilità lanciato nel 1900 da David Hilbert e Wilhelm Ackermann. La questione era stata posta da Hilbert nei seguenti termini: «esiste sempre, almeno in linea di principio, un metodo meccanico (cioè una maniera rigorosa) attraverso cui, dato un qualsiasi enunciato matematico, si possa stabilire se esso sia vero o falso?» I vantaggi derivanti dal possedere un tale metodo sono enormi e meritano tutta l'enfasi che Hilbert e molti altri al suo seguito, diedero alla questione: un tale algoritmo sarebbe in grado di risolvere tutti i problemi matematici e, molto di più, sarebbe possibile ridurre ogni ragionamento umano a mero calcolo meccanizzabile. Una prima forte risposta la diede il matematico boemo Gödel in occasione della seconda conferenza sull'epistemologia delle scienze esatte di Königsberg (1930), in cui espresse per la prima volta pubblicamente le idee racchiuse nel suo più celebre lavoro sull'incompletezza dei sistemi formali coerenti (primo teorema di incompletezza); Gödel dimostrò che la semplice coerenza di un sistema formale non può garantire che ciò che in esso viene dimostrato sia vero oppure falso. Il sogno di Hilbert stava già sfumando quando Turing pubblicò il suo articolo, in cui dimostrò l'insolubilità dell'Entscheidungsproblem. La soluzione proposta da Turing consiste nell'utilizzo di un modello matematico capace di simulare il processo di calcolo umano, scomponendolo nei suoi passi ultimi.La macchina è formata da una testina di lettura e scrittura con cui è in grado di leggere e scrivere su un nastro potenzialmente infinito partizionato, in maniera discreta, in caselle. Ad ogni istante di tempo t1, la macchina si trova in uno stato interno s1 ben determinato, risultato dell'elaborazione compiuta sui dati letti. Lo stato interno, o configurazione, di un sistema è la condizione in cui si trovano le componenti della macchina ad un determinato istante di tempo t. Le componenti da considerare sono: il numero della cella osservata il suo contenuto l'istruzione da eseguire Tra tutti i possibili stati, si distinguono: una configurazione iniziale, per t=t0 (prima dell'esecuzione del programma) una configurazione finale, per t=tn (al termine dell'esecuzione del programma) delle configurazioni intermedie, per t=ti (prima dell'esecuzione dell'istruzione oi) Implementare un algoritmo in questo contesto significa effettuare una delle quattro operazioni elementari spostarsi di una casella a destra spostarsi di una casella a sinistra scrivere un simbolo preso da un insieme di simboli a sua disposizione su una casella cancellare un simbolo già scritto sulla casella che sta osservando oppure fermarsi Eseguire un'operazione o1, tra gli istanti di tempo t1 e t2, vuol dire passare dallo stato interno s1 al s2. Più formalmente questo si esprime in simboli come: {s1,a1,o1,s2} da leggersi come: nello stato interno s1 la macchina osserva il simbolo a1, esegue l'operazione o1 e si ritrova nello stato interno s2.Turing poté dimostrare che un tale strumento, dalle caratteristiche così rigidamente definite, è in grado di svolgere un qualsiasi calcolo, ma non si fermò qui; egli capì che la calcolabilità era parente stretta della dimostrabilità e dunque, così come Gödel aveva distrutto i sogni di gloria dei Principia Mathematica di Russell e Whitehead, così le sue macchine potevano definitivamente chiudere la questione dell'''Entscheidungsproblem. Definizione Della MdT vengono considerate molteplici varianti (models) che si dimostrano avere la stessa portata. Qui partiamo da una variante piuttosto semplice che possiamo chiamare macchina di Turing deterministica a un nastro e con istruzioni a cinque campi. Altre varianti sono presentate più avanti. Introduzione informale La macchina può agire sopra un nastro che si presenta come una sequenza di caselle nelle quali possono essere registrati simboli di un ben determinato alfabeto finito; essa è dotata di una testina di lettura e scrittura (I/O) con cui è in grado di effettuare operazioni di lettura e scrittura su una casella del nastro. La macchina si evolve nel tempo e ad ogni istante si può trovare in uno stato interno ben determinato facente parte di un insieme finito di stati. Inizialmente sul nastro viene posta una stringa che rappresenta i dati che caratterizzano il problema che viene sottoposto alla macchina. La macchina è dotata anche di un repertorio finito di istruzioni che determinano la sua evoluzione in conseguenza dei dati iniziali. L'evoluzione si sviluppa per passi successivi che corrispondono a una sequenza discreta di istanti successivi. Le proprietà precedenti sono comuni a molte macchine formali (automa a stati finiti, automa a pila, ...). Caratteristica delle MdT è quella di disporre di un nastro potenzialmente infinito, cioè estendibile quanto si vuole qualora questo si renda necessario. Ogni passo dell'evoluzione viene determinato dallo stato attuale s nel quale la macchina si trova e dal carattere c che la testina di I/O trova sulla casella del nastro su cui è posizionata e si concretizza nell'eventuale modifica del contenuto della casella, nell'eventuale spostamento della testina di una posizione verso destra o verso sinistra e nell'eventuale cambiamento dello stato. Quali azioni vengono effettuate a ogni passo viene determinato dall'istruzione, che supponiamo unica, che ha come prime due componenti s e c; le altre tre componenti dell'istruzione forniscono nell'ordine il nuovo stato, il nuovo carattere e una richiesta di spostamento verso sinistra, nullo o verso destra. Un'evoluzione della macchina consiste in una sequenza di sue possibili "configurazioni", ogni configurazione essendo costituita dallo stato interno attuale, dal contenuto del nastro (una stringa di lunghezza finita) e dalla posizione sul nastro della testina di I/O. Nei casi più semplici l'evoluzione ad un certo punto si arresta in quanto non si trova nessuna istruzione in grado di farla proseguire. Si può avere un arresto in una configurazione "utile" dal punto di vista del problema che si vuole risolvere; in tal caso quello che si trova registrato sul nastro all'atto dell'arresto rappresenta il risultato dell'elaborazione. Si può avere però anche un arresto "inutile" che va considerato come una conclusione erronea dell'elaborazione. Va subito detto che può anche accadere che un'evoluzione non abbia mai fine (Vedi la successiva sezione e Problema della fermata). Impostazione formale Si definisce macchina di Turing deterministica a un nastro e istruzioni a cinque campi, termine che abbreviamo con MdT1n5i, una macchina formale della seguente forma: è un insieme finito detto insieme degli stati della macchina; è un elemento di S detto stato iniziale della T; è un sottoinsieme di S detto insieme degli stati finali della T; è un alfabeto finito detto alfabeto del nastro della T è un carattere dell'alfabeto A detto segno di casella vuota del nastro della T è detta funzione di transizione della macchina. Se , la corrispondente quintupla può considerarsi come l'istruzione che viene eseguita quando la macchina si trova nello stato s e la testina di I/O legge a sulla casella sulla quale è posizionata; essa comporta la transizione allo stato t, la scrittura del carattere b e: quando m = -1 lo spostamento della testina di una posizione a sinistra, quando m = 0 nessuno spostamento della testina, quando m = +1 lo spostamento della testina di una posizione a destra. Ampiezza della portata e congettura di Church-Turing L'importanza della MdT deriva dal fatto che permette di compiere tutte le elaborazioni effettuate mediante le macchine (elettroniche o meccaniche) apparse nella storia dell'umanità, incluse le elaborazioni che oggi si eseguono con le tecnologie più avanzate e gli odierni computer, e perfino le dimostrazioni matematiche che l'umanità ha raccolto nel corso della sua storia. Infatti, tutte le macchine che si conoscono possono essere ricondotte al modello estremamente semplice di Turing. Ad esempio, anche i più complessi computer odierni possono essere ricondotti a questo modello: Innanzitutto, si individuano macchine relativamente semplici che effettuino le operazioni aritmetiche di base, e schemi di composizione di queste macchine che permettono di calcolare tutte le funzioni che hanno in ingresso numeri naturali. Queste funzioni corrispondono alle espressioni ottenute combinando come si vuole le suddette operazioni. Quindi, si individuano versioni della MdT più ricche di risorse, che consentano di descrivere più agevolmente operazioni via via più complesse e che riguardino entità discrete dei generi più vari (numeri razionali, grafi, stringhe, espressioni simboliche di varia natura, ...), ma tutte riconducibili a numeri naturali; le elaborazioni e le entità dei tipi più vari devono essere prese in considerazione per sostenere la congettura di Church-Turing. Proseguendo in questa direzione, si introducono MdT dotate di memorie complesse, come sequenze di nastri e memorie bidimensionali e tridimensionali, assimilabili ai dischi e alle pile di dischi; macchine che sono dotate della capacità di organizzare le istruzioni in un modo assimilabile al richiamo di un sottoprogramma come richiesto dai linguaggi di programmazione in uso. Ulteriori arricchimenti possono includere calcoli simbolici ed elaborazioni parallele. A questo punto si deve anche aggiungere che della MdT risulta opportuno anche considerare varianti non deterministiche, macchine formali che sono in grado di portare avanti contemporaneamente diverse elaborazioni, in numero illimitato. Queste macchine formali, a prima vista lontane da modelli di meccanismi concretamente realizzabili, possono considerarsi idealizzazioni di sistemi di computer che operano in parallelo, sistemi che la odierna tecnologia consente di realizzare abbastanza comunemente (i cosiddetti cluster). Con questo ragionamento si ottengono macchine formali che, in linea di principio, si possono ricondurre alla MdT introdotta inizialmente, ma che possono essere programmate molto più agevolmente, e soprattutto che possono essere realizzate con le tecnologie disponibili oggi. Dimostrare che una di queste macchine può risolvere un certo problema vuol dire dimostrare che anche la MdT può risolverlo. La conclusione è che tutte le computazioni effettuabili dalle macchine a noi note sono effettuabili anche dalla MdT. Una macchina che permetta di risolvere tutti i problemi risolvibili anche dalla MdT si dice "Turing-equivalente". La conclusione è che tutte le computazioni effettuabili dalla MdT sono effettuabili anche da tutte le macchine di cui si è in grado di dimostrare l'equivalenza con la MdT. Quindi, l'importanza della MdT è duplice: non solo è il modello teorico di macchina più "potente" che si conosca, ma può essere usato anche per verificare la potenza di nuovi modelli teorici. È possibile dimostrare l'equivalenza con la MdT anche servendosi di un modello più semplice e che si sa già essere Turing-equivalente. Ciò permette di riutilizzare facilmente, per un certo modello di macchina, i risultati teorici ottenuti per altri modelli di macchina. Inoltre, la MdT e gli altri modelli possono essere usati per dimostrare le capacità computazionali dei linguaggi di programmazione (in quanto vengono dimostrate le capacità delle rispettive macchine astratte). Tutte queste considerazioni rendono ragionevole sostenere la congettura di Church-Turing. Tuttavia, esse riguardano la calcolabilità degli algoritmi, e non la loro trattabilità: macchine equivalenti sono realizzate in modo diverso, e quindi possono eseguire la stessa computazione con un diverso numero di passi o dispendio di risorse (memoria, tempo, e altre). Ad esempio, un calcolo che un odierno computer esegue in pochi secondi richiederebbe un numero enorme di passi se eseguito su un meccanismo dotato di dispositivi operativi estremamente semplici come quelli della MdT. In sintesi, macchine diverse possono risolvere gli stessi problemi con programmi che hanno una diversa complessità computazionale. Il problema dell'arresto e la sua indecidibilità In talune circostanze può essere utile considerare una MdT che presenta un'evoluzione illimitata (infatti si considerano infinite le risorse di spazio e tempo a disposizione della macchina). Ad esempio interessa far procedere "illimitatamente" (cioè "quanto risulta utile") una MdT che genera gli elementi di una successione di oggetti (ad es. i successivi numeri primi, o i successivi numeri di Mersenne, o le successive cifre decimali di un numero irrazionale come pi greco). In altri casi invece un'evoluzione illimitata di una MdT è considerata un insuccesso. Quando si vuole che una MdT ricerchi in un insieme numerabile un elemento con determinate caratteristiche ed essa procede nella ricerca senza fornire alcuna indicazione, ci si trova in una situazione decisamente insoddisfacente: non si sa se interrompere un'elaborazione inutile oppure attendere ancora un risultato che potrebbe essere fornito dopo un ulteriore lavoro in tempi accettabili. È dunque importante poter stabilire se una MdT, o un altro sistema formale equivalente ("lambda-calcolo" di Church, ad es.), quando le si sottopone una stringa (di dati) si arresti o meno. Questo è detto problema della fermata o problema dell'arresto della macchina di Turing. Si trovano casi nei quali si dimostra o si verifica che si ha l'arresto, casi per i quali si dimostra che l'evoluzione non si arresta ma potrebbe procedere all'infinito e casi per i quali non si sa dare risposta. Sembra ragionevole cercare un procedimento generale per decidere uno di questi problemi. Dato che le MdT si rivelano in grado di risolvere tutti i problemi che si sanno risolvere con gli altri procedimenti noti, è sensato chiedersi se esiste una macchina di Turing in grado di decidere per una qualsiasi coppia (M, d) costituita da una MdT M e da una stringa di dati d se, quando si fornisce d a M, questa si evolve fino ad arrestarsi o meno. Questa richiesta è resa ancor più significativa dall'esistenza, dimostrata dallo stesso Turing, di una cosiddetta macchina di Turing universale, macchina in grado di simulare qualsiasi evoluzione di qualsiasi MdT (anche le evoluzioni di se stessa!). Ebbene Turing ha dimostrato che la macchina di Turing universale non è in grado di decidere in ogni caso il problema dell'arresto. Quindi nessuna macchina di Turing può farlo. Questo risultato negativo si esprime dicendo che il problema dell'arresto è Turing-indecidibile. Se si accetta la congettura di Church-Turing sulla portata della macchina di Turing, si conclude che il problema dell'arresto della macchina di Turing è indecidibile. Questo risultato negativo costituisce un limite per tutti i meccanismi computazionali; esso costituisce un risultato limitativo di grande importanza generale e per lo studio degli algoritmi. L'importanza generale dipende dal fatto che ogni procedimento dimostrativo automatico si trova equivalente a una computazione che può effettuarsi con una macchina di Turing. Va posto in rilievo che la Turing-indecidibilità del problema dell'arresto si dimostra equivalente al teorema di incompletezza di Gödel, il primo fondamentale risultato limitativo per la matematica. Si trova inoltre nello studio degli algoritmi e della loro complessità che dalla indecidibilità dell'arresto si deducono abbastanza agevolmente molti altri risultati limitativi. Storia Macchina computazionale La nozione di "macchina computazionale" ha un'origine precedente ai lavori di Turing, Robin Gandy (1919–1995) - studente di Alan Turing (1912–1954) e successivamente amico per tutta la vita - ne tracciò la discendenza a partire da Charles Babbage (1834). Ecco come descrive la "Teoria di Babbage": That the whole of development and operations of analysis are now capable of being executed by machinery. (Così l'intero modo di sviluppare e di fare operazioni di analisi può essere eseguito da una macchina.) L'analisi di Gandy della macchina analitica di Babbage ricava le seguenti operazioni: The arithmetic functions +, −, ×, where − indicates "proper" subtraction: x − y = 0 if y ≥ x. Any sequence of operations is an operation. Iteration of an operation (repeating n times an operation P). Conditional iteration (repeating n times an operation P conditional on the "success" of test T). Conditional transfer (i.e. conditional "goto"). ossia Le funzioni aritmetiche +, −, ×, dove − indica la sottrazione "in senso proprio": x − y = 0 se y ≥ x. Una qualunque sequenza di operazioni è un'operazione. L'iterazione di un'operazione (ripetere un'operazione P un certo numero di volte). L'iterazione condizionata (ripetere più volte un'operazione P condizionata dal "successo" del test T). Il trasferimento condizionato (i.e. "goto" condizionato). Gandy sostiene che "le funzioni che possono essere calcolate da (1), (2) e (4) sono precisamente quelle calcolate da Turing.". Cita inoltre altre "macchine di calcolo universale", incluse quelle di Percy Ludgate (1909), Leonardo Torres y Quevedo (1914), Maurice d'Ocagne (1922), Louis Couffignal (1933), Vannevar Bush (1936), Howard Aiken (1937). Costante fondamentale è programmare un numero fisso di sequenze di operazioni aritmetiche (anche se le importanti caratteristiche di interazione condizionata e trasferimento condizionato per la teoria di calcolo di una macchina non sono universalmente riconosciute). Il problema della decisione (Entscheidungsproblem): la decima questione di Hilbert Nonostante il valore delle questioni poste dal famoso matematico David Hilbert nel 1900 sia innegabile, bisogna considerare che un aspetto del decimo dei problemi che pose andò alla deriva per almeno trent'anni senza essere impostato in maniera precisa. Segue la formulazione originale di Hilbert per il decimo problema:10. Determination of the solvability of a Diophantine equation. Given a Diophantine equation with any number of unknown quantities and with rational integral coefficients: To devise a process according to which it can be determined in a finite number of operations whether the equation is solvable in rational integers. The Entscheidungsproblem [decision problem for first-order logic] is solved when we know a procedure that allows for any given logical expression to decide by finitely many operations its validity or satisfiability... The Entscheidungsproblem must be considered the main problem of mathematical logic. (10. Determinazione della risolvibilità di un'equazione diofantea. Data un'equazione diofantea in qualsiasi numero d'incognite e a coefficienti interi razionali: ideare un procedimento per mezzo del quale si possa stabilire, in un numero finito di operazioni, se l'equazione sia risolubile negli interi razionali. L'Entscheidungsproblem (problema della decisione per la logica del primo ordine) è risolto quando si arriva ad una procedura che permette di decidere attraverso un numero finito di espressioni la validità o soddisfabilità per qualunque espressione logica fornita. (...) L'Entscheidungsproblem dev'essere considerato il problema principale della logica matematica (...)). Già nel 1922 questa nozione di Entscheidungsproblem venne sviluppata da Heinrich Behmann:(...) most general form of the Entscheidungsproblem [is] as follows: A quite definite generally applicable prescription is required which will allow one to decide in a finite number of steps the truth or falsity of a given purely logical assertion... Behmann remarks that... the general problem is equivalent to the problem of deciding which mathematical propositions are true. If one were able to solve the Entscheidungsproblem then one would have a "procedure for solving many (or even all) mathematical problems". ((...) segue la formula più generale dell'Entscheidungsproblem: È richiesta una prescrizione abbastanza definita, generalmente applicabile, tale da consentirci di decidere in un numero finito di passaggi verità o falsità di una data asserzione puramente logica. Behmann osserva: (...) il problema generale coincide con il problema di decidere quali proposizioni matematiche sono vere. (...) Se qualcuno fosse in grado di risolvere l'Entscheidungsproblem, allora avrebbe una "procedura per risolvere la maggior parte (o addirittura tutti) i problemi matematici"). Nel 1928 presso il congresso internazionale dei matematici, Hilbert stesso "formulò la sua questione in modo abbastanza preciso. Primo, se la matematica sia completa, (...) secondo se sia consistente, (...) terzo se sia decidibile" (Hodges). Alle prime due domande rispose Kurt Gödel nel 1930 (nello stesso convegno in cui Hilbert pronunciò il suo discorso di commiato); il terzo - l'Entscheidungsproblem - dovette aspettare fino alla metà degli anni '30. Il problema stava nel fatto che una risposta richiedeva una definizione precisa di "prescrizione definita generalmente applicabile", o, come verrà chiamata dal professor Alonzo Church di Princeton, "calcolabilità effettiva", e nel 1928 non ne esisteva alcuna. Tuttavia negli anni successivi Emil Post sviluppò una definizione per "un lavoratore in grado di spostarsi tra postazioni differenti, scrivendo e cancellando segni secondo una lista di istruzioni" (1936), ed analogamente fecero Church e alcuni suoi allievi (Stephen Kleene e J. B. Rosser) con il lambda calcolo e la teoria di Gödel sulle funzioni ricorsive primitive (1934). La relazione di Church (pubblicata nell'aprile del 1936) risolveva l'Entscheidungsproblem mostrandone l'indecidibilità, battendo sul tempo Turing (la cui teoria venne formulata nel maggio del 1936 ma pubblicata solo nel 1937). (Nel frattempo anche Post lavorò sul tema, collocandosi però nell'autunno del 1936, quindi successivamente a Turing). Il lavoro di Turing tuttavia si discosta nettamente dai lavori di Church e di Post, essendo caratterizzato dalla costruzione diretta di un'argomentazione che partiva dai principi fondativi della questione (Hodges). La macchina di Alan Turing Nella primavera del 1935 Turing, da giovane studente del Master presso il King's College di Cambridge, accettò la sfida. Era stato stimolato dalle lezioni del logico Max Newman che lo introdusse al lavoro di Gödel e all'Entscheidungsproblem (problema della fermata), le ultime frontiere della conoscenza matematica. Newman impostò la questione sul concetto di "processo meccanico" come mezzo per analizzare il problema di Hilbert, una scelta fortemente criticata dalla comunità matematica inglese. Nel necrologio di Turing del 1955 Newman scrive:To the question 'what is a "mechanical" process?' Turing returned the characteristic answer 'Something that can be done by a machine' and he embarked on the highly congenial task of analysing the general notion of a computing machine. —Gandy pag. 74 Alla domanda "che cos'è un processo meccanico?" Turing ha restituito la caratteristica risposta "Qualcosa che può essere fatto da una macchina" e ha intrapreso il compito altamente congeniale di analizzare la nozione generale di macchina informatica.Gandy scrive:I suppose, but do not know, that Turing, right from the start of his work, had as his goal a proof of the undecidability of the Entscheidungsproblem. He told me that the 'main idea' of the paper came to him when he was lying in Grantchester meadows in the summer of 1935. The 'main idea' might have either been his analysis of computation or his realization that there was a universal machine, and so a diagonal argument to prove unsolvability (...) — ibid., p. 76 Suppongo, ma non lo so, che Turing, fin dall'inizio del suo lavoro, avesse come obiettivo quello di provare l'indecidibilità dell'Entscheidungsproblem. Mi disse che l'idea principale del documento gli venne in mente quando giaceva nei prati di Grantchester, nell'estate del 1935. L'idea principale potrebbe essere stata la sua analisi del calcolo, o la sua realizzazione che esisteva una macchina universale e quindi un argomento diagonale per dimostrarne l'insolvibilità (...) L'idea principale di Turing fu che l'Entscheidungsproblem di Hilbert potesse essere risolto attraverso un processo meccanico da una macchina (che successivamente venne teorizzata come la TM) e anche se gli giunse come illuminazione giovanile di una grande mente, in realtà aveva radici più profonde. Turing infatti per tutta la vita aveva dimostrato interesse nelle macchine, a partire dalle riflessioni infantili sulla macchina da scrivere della madre, che cercavano di estrapolarne le caratteristiche, che la determinavano appunto come macchina. La sua tesi di dottorato, intitolata "Systems of Logic Based on Ordinals", contiene la seguente definizione di una "funzione calcolabile":It was stated above that 'a function is effectively calculable if its values can be found by some purely mechanical process'. We may take this statement literally, understanding by a purely mechanical process one which could be carried out by a machine. It is possible to give a mathematical description, in a certain normal form, of the structures of these machines. The development of these ideas leads to the author's definition of a computable function, and to an identification of computability with effective calculability. It is not difficult, though somewhat laborious, to prove that these three definitions [the 3rd is the λ-calculus] are equivalent. — Turing (1939) in The Undecidable È stato affermato in precedenza che "una funzione è effettivamente calcolabile se i suoi valori possono essere determinati mediante un processo puramente meccanico". Possiamo prendere questa affermazione alla lettera, intendendo per "processo puramente meccanico" quello che potrebbe essere eseguito da una macchina. È possibile fornire una descrizione matematica, in una certa forma normale, delle strutture di queste macchine. Lo sviluppo di queste idee porta alla definizione dell'autore di funzione calcolabile e all'identificazione del concetto di calcolabilità con quello di calcolabilità effettiva. Non è difficile, anche se un po' laborioso, dimostrare che queste tre definizioni [la terza è il λ-calcolo] sono equivalenti.Quando Turing tornò in Inghilterra, dopo un periodo di formazione presso il college di Princeton, venne impiegato in ambito bellico dal governo inglese per infrangere i codici segreti tedeschi creati dalla macchina crittografica Enigma. Venne poi coinvolto nella progettazione dell'ACE (Automatic Computing Engine): "la proposta ACE [di Turing] era effettivamente autonoma e le sue radici non risiedevano nell'EDVAC [l'iniziativa degli Stati Uniti], ma nella sua stessa macchina universale" (Hodges). Continuando così a sviluppare gli argomenti sull'origine e la natura di ciò che è stato nominato da Kleene (1952) la "tesi di Turing". Ma ciò che Turing dimostrò con il suo modello di macchina computazionale apparve in forma definitiva solo nel suo articolo "On Computable Numbers, with a Application to the Entscheidungsproblem" (1937). In questo scritto infatti, per la prima volta concettualizza quella che diventerà la macchina di Turing:[that] the Hilbert Entscheidungsproblem can have no solution... I propose therefore to show that there can be no general process for determining whether a given formula U of the functional calculus K is provable, i.e. that there can be no machine which, supplied with any one U of these formulae, will eventually say whether U is provable. — The Undecidable [che] il "problema della fermata" di Hilbert non può avere soluzione... Propongo, quindi, di mostrare che non può esserci un processo generale per determinare se una data formula U del calcolo funzionale K è dimostrabile, cioè che non può esserci nessuna macchina a cui, data in ingresso una qualsiasi U di queste formule, alla fine dirà se U è dimostrabile. 1937–1970: Il "computer digitale", la nascita dell'"informatica" Nel 1937 a Princeton, mentre stava lavorando alla sua tesi di dottorato, Turing costruì dal principio un moltiplicatore elettrico, realizzando i propri trasmettitori elettromeccanici. "Il compito di Alan era quello di incarnare la progettazione logica di una macchina Turing in una rete di trasmettitori azionati a interruttori...". Mentre Turing all'inizio sembrava essere solamente curioso, altri stavano andando nella stessa direzione sia in Germania (Konrad Zuse, 1938), che negli Stati Uniti (Howard Aiken e George Stibitz, 1937); i frutti delle loro fatiche furono usati dai militari dell'Asse e degli Alleati nella seconda guerra mondiale. Nella prima metà degli anni '50 Hao Wang e Marvin Minsky ridussero la macchina Turing a una forma più semplice (un precursore della macchina sviluppata poi da Martin Davis); contemporaneamente anche i ricercatori europei stavano riducendo il nuovo computer elettronico a un oggetto teorico simile a quello che veniva chiamata "macchina di Turing". Alla fine degli anni '50 e all'inizio degli anni '60, gli sviluppi paralleli e coincidenti di Melzak e Lambek (1961), Minsky (1961) e Shepherdson e Sturgis (1961) portarono avanti il lavoro europeo e ridussero la macchina di Turing a un computer più intuitivo, simile ad un modello astratto chiamato "contatore macchina"; Elgot e Robinson (1964), Hartmanis (1971), Cook e Reckhow (1973) svilupparono ancora il progetto con la "macchina a registro" e i modelli di "macchina ad accesso casuale" — ma fondamentalmente tutti sono "macchine di Turing multi-nastro" con aggiunti set di istruzioni aritmetiche. 1970-oggi: la macchina di Turing come modello computazionale Oggi, le macchine per il calcolo, la registrazione e l'accesso casuale e la loro procreatrice macchina di Turing, continuano ad essere i modelli di scelta per i teorici che studiano questioni riguardanti la teoria della computazione. In particolare fa uso della macchina di Turing la teoria della complessità computazionale. In base agli oggetti da manipolare nella computazione (numeri interi non-negativi o stringhe alfa-numeriche), due modelli hanno ottenuto una posizione dominante nella teoria basata sulle macchine complessa: la TM multinastro off-line e la RAM (random access machine) di Cook e Reckhow anche se quest'ultima assume un ruolo principale solamente nelle aree relative all'analisi degli algoritmi. Varianti della macchina di Turing In questo paragrafo le maggiori varianti della MdT definita in precedenza vengono presentate in termini discorsivi, lasciando ad articoli specifici le considerazioni più precise e complete. Macchina di Turing multinastro La MdT con più nastri differisce dalla classica sostanzialmente per il tipo della funzione di transizione; questa nel caso dei 3 nastri ha la forma . Questa funzione si fa dipendere dalla transizione da quanto viene letto sulle caselle su cui si trovano le testine relative ai diversi nastri e stabilisce quali caratteri devono essere modificati sui vari nastri e come si devono eventualmente spostare le testine. È abbastanza evidente come questa macchina sia più semplice da usare della classica. Ad es. con essa si possono agevolmente copiare stringhe da un nastro all'altro e con porzioni di nastro si possono rendere disponibili sequenze di memorie indirizzabili abbastanza agevolmente. Con una macchina a tre nastri si può implementare molto facilmente un'operazione aritmetica come la somma di due numeri espressi mediante cifre decimali. Similmente e con gli opportuni accorgimenti e con l'uso di altri opportuni registri, lo si può intuire, si riescono a implementare altre operazioni aritmetiche o su entità discrete. Per dimostrare che una macchina a più nastri P ha la stessa portata di quelle ad un solo nastro si tratta di individuare una di queste, denotiamola M che consente di simularne le evoluzioni. Questa simulazione viene effettuata simulando su un solo nastro della M i molti nastri della P. Si possono avere configurazioni della M che simulano configurazioni della P utilizzando scritture particolari che separano le aree nelle quali sono riprodotti i diversi nastri della P e segnalano le posizioni sulle quali si trovano le varie testine di I/O. A ciascun passo della P si fa corrispondere una serie di passi della M con i quali si sistemano i vari nastri e le posizioni delle relative testine. Si può capire come con un gran numero di spostamenti e di cambiamenti di stato si possono simulare le mosse della P. Macchina di Turing con memoria bidimensionale Consente di simulare abbastanza facilmente macchine a più nastri e di effettuare elaborazioni grafiche. Ulteriori varianti possono servirsi di memorie tridimensionali e simili. Macchina di Turing non deterministica La macchina di Turing non deterministica si distingue da quella deterministica definita in precedenza per il fatto che, in presenza di un determinato stato e di un determinato carattere letto, essa permette più transizioni. Definizione Una macchina di Turing non deterministica T, con grado di non determinismo n, è così definita: dove le sole differenze rispetto alla definizione iniziale riguardano la presenza dell'intero n e il genere della funzione di transizione: Le sue configurazioni consistono quindi di insiemi finiti di configurazioni deterministiche, la cui cardinalità potrebbe crescere illimitatamente con il procedere di un'evoluzione. Le computazioni che essa è in grado di svolgere sono descrivibili come insiemi di computazioni sviluppati da repliche della MdT deterministica, repliche che potrebbero rendersi necessarie ad ogni passo dell'evoluzione. Si osserva che questa richiesta oggi non dovrebbe affatto stupire, in quanto realizzabile con le tecniche dei computer collegati in rete ed effettivamente realizzata nella prassi delle elaborazioni distribuite. Equivalenza con la MdT classica Dato che ogni macchina deterministica si può considerare una particolare macchina non deterministica, si tratta di dimostrare che con una macchina deterministica M si riesce a simulare il comportamento di una macchina non deterministica N. Più precisamente supponiamo che N sia una macchina ad un nastro e che la M sia una macchina che dispone di una memoria bidimensionale, memoria assimilabile alla disponibilità di più nastri il cui numero sia aumentabile. La macchina M riesce a simulare con ciascuno dei suoi stati gli stati multipli della macchina N e con i suoi molti nastri i singoli nastri replicati della N. Ad ogni passo della N la M fa corrispondere una serie di passi con i quali fa evolvere i diversi nastri che rappresenta nella sua memoria bidimensionale e, in corrispondenza a una transizione non deterministica di molteplicità k, replica il nastro interessato trasformandolo nei k nastri richiesti. In questo modo si vede come la macchina M possa simulare la N. Si osserva che alcuni singoli passi della macchina non deterministica richiedono un gran numero di passi e di appositi stati della deterministica.Equivalenza tra MdT a k nastri e MdT ad un nastro'La capacità computazionale di una MdT non dipende dal numero di nastri che essa utilizza; questo è possibile dimostrarlo attraverso la simulazione. Indichiamo con Tk la macchina di Turing a k nastri e con T quella ad un nastro. Scriviamo l'input della macchina Tk sulla macchina T ovviamente un simbolo per ogni cella, quando la macchina T leggerà il primo simbolo essa per eseguire una quintupla della macchina Tk avrà bisogno di leggere k caratteri ricordando ogni volta il k-esimo carattere letto; verificato che la quintupla può essere eseguita a questo punto riporterà indietro la testina di k celle e può procedere all'esecuzione della quintupla sovrascrivendo i k caratteri; a questo punto la testina si troverà sulla cella contenente l'ultimo carattere scritto. Gli ultimi passaggi da eseguire sono il cambio di stato interno e il movimento della testina. È facile notare come l'insieme degli stati di T ha cardinalità maggiore rispetto all'insieme degli stati di Tk. Macchine di Turing semplificate Le macchine di Turing possono essere ulteriormente semplificate, senza perdita di portata computazionale. Le semplificazioni possibili sono (non attuabili contemporaneamente): nastro illimitato solo in una direzione; alfabeto di soli due caratteri, uno dei quali il simbolo blank; solo due stati. La dimostrazione dell'equivalenza con la macchina definita inizialmente con quelle con le caratteristiche 2 e 3 costituiscono il primo teorema di Shannon. Un ulteriore modello semplificato di MdT è quello di avere tre MdT che compiono operazioni elementari (scrittura del carattere 1, scrittura del simbolo blank, spostamento della testina a destra, spostamento a sinistra, nessuna operazione) e ottenere da queste una nuova MdT tramite composizione per diramazione. Macchina di Turing universale La Macchina di Turing universale è quella che calcola la funzione u, che a sua volta è in grado di simulare il comportamento di qualunque macchina di Turing. La funzione u prende in input una codifica della macchina M che si voglia eseguire (ovvero un numero che una volta decodificato fornisca il codice di M) e una codifica dei parametri iniziali ad M. Confronto con le macchine reali La macchina di Turing, nonostante sia una "macchina astrattamente definita", è un ottimo modello per descrivere le macchine reali. In seguito alcune argomentazioni: Tutto ciò che un computer reale può computare, lo può fare anche una MdT. Per esempio: "Una macchina di Turing può simulare ogni tipo di subroutine trovato nei linguaggi di programmazione, incluse procedure ricorsive e ognuno dei parametri di passaggio del meccanismo conosciuti" (Hopcroft and Ullman). Anche un automa a stati finiti (FSA) sufficientemente capiente può imitare ogni computer reale, trascurando l'IO. Perciò, uno statuto sulle limitazioni della macchina di Turing sarebbe applicato anche ai computer reali. La differenza sta solo nella capacità di una MdT di manipolare una quantità illimitata di dati. Comunque, dato un tempo finito, una MdT (come una macchina reale) può processare una quantità finita di dati. Come una MdT, una macchina reale può allargare il suo spazio di archiviazione secondo necessità, acquisendo dischi aggiuntivi o altri sistemi di archiviazione. Le descrizioni di programmi per macchine reali, usando semplici modelli astratti, sono spesso molto più complesse di descrizioni ottenute usando la macchina di Turing. Per esempio, una MdT può assumere poche centinaia di stadi descrivendo un algoritmo, mentre un automa a stati finiti deterministico (DFA) equivalente ne fornirebbe quadrillioni partendo da una macchina reale data. Questo rende le rappresentazioni del DFA impossibili da analizzare. Le macchine di Turing descrivono algoritmi indipendentemente da quanta memoria utilizzano. Ogni macchina corrente possiede dei limiti di memoria contenuta, ma questi limiti possono essere ampliati nel tempo arbitrariamente. Le macchine di Turing ci permettono di produrre enunciati sugli algoritmi che (teoricamente) avranno valore eterno, indipendentemente da evoluzioni nell'architettura convenzionale della meccanica dei computer. Le MdT semplificano i postulati degli algoritmi. Infatti algoritmi che girano su una macchina Turing-equivalente astratta sono generalmente più astratti delle loro controparti su macchine reali, perché hanno una precisione arbitraria delle tipologie di dati possibili e non devono mai tener conto di condizioni impreviste (inclusi, ma non solo, casi di memoria limitata). Note Bibliografia Libri J. Hopcroft, J. Ullman (1979), Introduction to Automata Theory, Languages and Computation, Addison-Wesley ISBN 0-201-02988-X Versione italiana: J. Hopcroft, R. Motwani, J. Ullman, Automi, linguaggi e calcolabilità, Pearson, 2003, ISBN 978-88-7192-552-3 Douglas Hofstadter (1979), Gödel, Escher, Bach: an Eternal Golden Braid Versione italiana: Godel, Escher, Bach: un'eterna ghirlanda brillante, Adelphi, Milano, 1990, ISBN 88-459-0755-4 Arto Salomaa, Computation and automata, Cambridge University Press, 1985, ISBN 0-521-30245-5 Ivor Grattan-Guiness, The search for Mathematical Roots, 1870-1940, Princeton University Press, 2000, ISBN 0-691-05858-X Articoli Alan Turing (1936): On computable numbers, with an application to the Entscheidungsproblem'', Proc. London Math. Soc., 42 pp. 230–265 Accessibile anche in linea Voci correlate Alacre castoro Filosofia della matematica Informatica quantistica Macchina di Turing probabilistica Macchina RAM Macchina RASP Macchine equivalenti alla MdT Formica di Langton Gioco della vita Altri progetti Collegamenti esterni Turing Machine in MathWorld Turing Machine nella Stanford Encyclopedia of Philosophy Simulatori Scritto in Python qui Scritto in JavaScript: JSTMSimulator (codice su GitHub) Scritto in Java: l'applet e il codice Scritto in Objective C per iPad:
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https://it.wikipedia.org/wiki/Mano%20della%20Gloria
Mano della Gloria
La cosiddetta Mano della Gloria o Mano di Gloria è un oggetto magico costituito dalla mano di un impiccato disseccata e conservata in salamoia. Proprietà occulte Secondo vecchie credenze europee, costruendo una candela con il grasso di un malfattore finito sulla forca o con il dito di un bambino nato morto, accendendo la candela e infilandola nella Mano della Gloria come un candeliere, la Mano avrebbe paralizzato tutti coloro a cui fosse mostrata. Per questo motivo, sin dall'antica Grecia, veniva talvolta usata dai ladri che intendevano derubare una casa. Nel XVII secolo alcune donne incinte venivano uccise dai ladri per sottrarre loro il feto e fabbricare queste candele. Viene spesso confusa con il leggendario Sigillum Emeth, creato dal famoso alchimista John Dee (1527-1608), ma si tratta di un normale sigillo in forma di pendaglio, che non ha nulla a che vedere con la Mano della Gloria. Riferimenti contemporanei La Mano della Gloria e i suoi poteri sono la premessa attorno alla quale ruota l'avventura grafica The Hand of Glory, scritto da Stefano Rossitto e sviluppato da Madit Entertainment. La Mano della Gloria è anche il manufatto mistico intorno a cui ruotano le vicende de Gli Invisibili, fumetto scritto dallo scozzese Grant Morrison e disegnato da vari autori (tra gli altri Phil Jimenez). Con un utilizzo un po' differente, la Mano della Gloria è stata usata anche da J. K. Rowling nei libri Harry Potter e la camera dei segreti e Harry Potter e il principe mezzosangue; quest'oggetto fa luce solamente a chi la regge in mano. La Mano della Gloria viene nominata nella serie giapponese a fumetti Ghost Sweeper Mikami: Tadao Yokoshima, l'aiutante della protagonista, chiama così un potere focalizzato sulla propria mano. La Mano della Gloria è un oggetto magico del gioco di ruolo Dungeons & Dragons che consente di lanciare incantesimi e di usufruire dei poteri magici di un anello magico infilato su un suo dito. La Mano della Gloria è l'oggetto magico protagonista nell'episodio 3x06 della Serie Tv Supernatural, intitolata La nave fantasma. Nell'episodio la Mano della Gloria è l'unico mezzo per impedire la morte di coloro che hanno visto una nave fantasma arrivare al porto della città di Sea Pines, Virginia. Le Mani della Gloria sono citate nel romanzo "Shadowhunters: signora della mezzanotte" facente parte della serie "The Dark Artificies" ideata dalla scrittrice Cassandra Claire, nello specifico caso le Mani della Gloria vengono utilizzate per compiere un rituale magico di negromanzia. "La Mano di Gloria" è il titolo di un album del gruppo neo-folk italiano "Ianva". La Mano della Gloria appare anche nell'episodio 3x13 della serie TV The Originals. Nella serie la Mano della Gloria è una candela la cui fiamma apre un portale per il mondo dei morti. La Mano della Gloria appare anche nell'episodio 1x3 della serie TV Constantine per riportare in vita un vecchio amico del protagonista. Note Voci correlate Zampa di coniglio Altri progetti Magia Talismani
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https://it.wikipedia.org/wiki/Monteroni%20d%27Arbia
Monteroni d'Arbia
Monteroni d'Arbia è un comune italiano di abitanti della provincia di Siena in Toscana. Geografia fisica Territorio Diffusività atmosferica: media, Ibimet CNR 2002 Monteroni d'Arbia sorge a sud di Siena. All'esterno del paese scorre il torrente chiamato Arbia, che dà il nome al paese e alla valle, val d'Arbia. Clima Dati:https://www.sir.toscana.it/ Storia La costituzione del Comune è avvenuta nel 1810, durante il periodo napoleonico, a seguito delle decisioni prese dalla Giunta Straordinaria del governo della Toscana. Fino a quel momento il territorio faceva parte della podesteria di Buonconvento. Il nome deriva da una delle colline che domina il paese, chiamata appunto Monte Roni, e dal fatto che vi scorre il fiume Arbia. Lo studioso di toponomastica storica medievale Gaetano Barbarulo, che ha studiato la forma Tirone/ Monterone, presente in gran parte del territorio italiano, fa derivare Monteroni da un composto di monte, derivato dal latino mons, e tirone, esito del latino tardo toro-onis, vocabolo dal significato di "altura". L'apparente duplicazione si spiegherebbe con una perdita di coscienza, in età medievale, del significato originario del vocabolo tirone, che avrebbe acquisito la valenza di nome proprio e si sarebbe così sentita l'esigenza di anteporgli il nome comune "monte". Il poeta Dante Alighieri nel X canto della Divina Commedia, ricordando la cruenta battaglia di Montaperti, cita "lo strazio e il grande scempio che fece l'Arbia colorata in rosso". Simboli Il gonfalone è un drappo di azzurro. Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose Chiese parrocchiali Pieve dei Santi Giusto e Donato Pieve di San Giovanni Battista a Ville di Corsano Pieve di San Giovanni Battista a Lucignano d'Arbia Chiesa di San Michele Arcangelo a Ponte a Tressa Chiesa della Santa Famiglia a Ponte d'Arbia Chiese minori Chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo a Cuna Chiesa di Sant'Albano a Quinciano Chiesa di San Pietro Apostolo a Radi Chiesa di San Giacomo Apostolo, in località Mugnano Chiesa di Sant'Angelo, in località Ponzano Chiesa di San Fabiano, in località San Fabiano Chiesa di Santo Stefano, in località Sovignano Chiesa di San Bartolomeo alle Stine Chiesa di Sant'Agostino alla Sorra Cappelle Cappella di Santa Caterina alle Ruote a Lucignano d'Arbia Cappella Pieri Nerli a Quinciano Oratorio di Barottoli, in località Barottoli Cappella del Beato Franco, in località Grotti Cappella di Santa Lucia al Colle, presso Villa Il Colle Cappella di Casa al Bosco Cappella di Villa Bichi Ruspoli Forteguerri Cappella della Villa di Corsano Cappella di Santa Margherita alla Selva Altri edifici sacri Canonica di San Giovanni Battista a Lucignano d'Arbia Architetture civili Palazzo Comunale Palazzo Giovannelli Mulino di Monteroni d'Arbia Palazzo del Vicariato a Lucignano d'Arbia Palazzo Landi Bruchi a Lucignano d'Arbia Palazzo Landi Newton a Lucignano d'Arbia Palazzo Landi Riccomanni a Lucignano d'Arbia Fontana Landi a Lucignano d'Arbia Casa Franchi a Grotti Villa di Barottoli Villa Bichi Ruspoli Forteguerri o villa di Radi Villa Il Colle Villa di Corsano Villa di Curiano Villa di Monterosi Villa Sant'Alberto Villa di Suvignano Architetture militari Castello di Cuna Castello di Grotti Castello di Poggio ai Frati Castello di Radi Castello di Saltennano Castello di San Fabiano Castello di Sant'Ansano Mura di Lucignano d'Arbia Castello della Selva a Ville di Corsano Castello delle Stine Torre delle Ville di Corsano Società Evoluzione demografica Etnie e minoranze straniere Secondo i dati ISTAT al 31 dicembre 2009 la popolazione straniera residente era di persone. Le nazionalità maggiormente rappresentate in base alla loro percentuale sul totale della popolazione residente erano: Serbia 252 2,94% Albania 182 2,12% Montenegro 141 1,64% Romania 98 1,14% Geografia antropica Frazioni Fanno parte del comune di Monteroni d'Arbia, ad eccezione del capoluogo, le seguenti frazioni: Cuna (, 99 ab.) Lucignano d'Arbia (, 127 ab.) Ponte a Tressa (, 950 ab.) Ponte d'Arbia (, 469 ab.) Quinciano (, 17 ab.) Radi (, 16 ab.) Ville di Corsano (, 341 ab.) Altre località del territorio Tra le numerose località che compongono il territorio comunale di Monteroni d'Arbia sono da ricordare: Barottoli, Casa al Bosco, Curiano, Grotti, Grotti Alto, More di Cuna, Mugnano, Ponzano, Saltennano, San Fabiano, Suvignano, Stine. Infrastrutture e trasporti Strade La Ss2 Cassia costruita 2200 anni fa dal Console Romano Cassius, attraversa il Centro Storico, ove si trovano il Comune, il Mulino, i negozi ed i ristoranti. La Nuova Cassia in sopraelevata passa fuori dal centro storico dalla rotonda di Lucignano d'Arbia fino a dopo l'Hotel More di Cuna. Da anni è in costruzione il prolungamento della Nuova Cassia fino a Monsindoli per ricollegarla alla Grande viabilità verso Grosseto e verso Firenze. Infine è in progetto la pista ciclabile da Siena, località Due Ponti, fino a Lucignano d'Arbia. Ferrovie Stazione di Monteroni d'Arbia Stazione di Ponte a Tressa Ferrovia Siena-Grosseto Prima della loro chiusura, il comune di Monteroni poteva contare anche sulle stazioni ferroviarie di Ponte d'Arbia, Lucignano, Monteroni sud e Cuna. Amministrazione Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune. Gemellaggi Cultura Nel comune è presente una Biblioteca intitolata a Margherita Moriondo, sovrintendente a Siena ed Arezzo negli anni Sessante a Ottanta e assessore alla cultura del Comune alla fine degli anni Novanta. Sport Calcio Le principali squadre di calcio della città sono il Mazzola Valdarbia e l'U.S. Ponte D'Arbia; la prima milita nel girone C toscano di Promozione. mentre la seconda milita nel girone F di Prima Categoria. Nel territorio comunale, nella tenuta di Bagnaia, sorge un Golf Club con percorso 18 buche. Note Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Mare%20Adriatico
Mare Adriatico
Il mare Adriatico è il braccio del mar Mediterraneo orientale situato tra la penisola italiana e la penisola balcanica; suddiviso in Alto Adriatico, Medio Adriatico e Basso Adriatico. Bagna sei Paesi: Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro e Albania, confinando a sud-est con il Mar Ionio. Storia Etimologia La maggioranza degli storici concorda che il nome Adriatico derivi dalla città di Adria, già veneta ed etrusca, quindi colonia siracusana, che per i greci era considerata l'estremità settentrionale dell'Adriatico, il cui nome verrebbe così a significare "mare che termina ad Adria". Adria era allora terminale di importanti vie carovaniere che scendevano dal Baltico, attraverso il Brennero, e dal Mar Nero attraverso il Danubio e la Drava, mettendo in comunicazione commerciale l'area mediterranea con tali regioni e permettendo gli scambi di ambra, stagno e argento. Un canale artificiale (la Filistina) collegava già allora Adria con la laguna di Venezia e da lì permetteva di risalire tramite protetta navigazione endo-lagunare fino alle risorgive del Timavo (caput Adriae) I Greci diedero quindi il nome di Adrias Kolpos (golfo di Adria) inizialmente alla parte settentrionale del mare (dalla foce del fiume Po al golfo del Quarnaro), poi gradualmente il nome venne esteso per tutta la sua lunghezza, dal caput Adriae fino al canale d'Otranto. Quando i Romani conquistarono il Nord Italia alla fine del III secolo a.C., il nome si era già consolidato. Lo storico longobardo Paolo Diacono riporta tuttavia che il nome del mare Adriatico derivi da quello della città abruzzese di Atri (anticamente Hadria e poi Hatria), che per i Romani era punto di arrivo di uno dei principali itinerari tra Roma e l'Adriatico. Altre fonti testimoniano invece un’origine siculo-illirica e così anche il nome di persona che ne è derivato, Adriano: entrambi i nomi hanno la comune origine dal Dio Adranòs, in lingua sicula Hatranus. Secondo Varrone (116-27 a.C.), la parola Adria deriverebbe dall'etrusco atrium, giorno/luce/est, ad indicare la posizione ad oriente del mare e della città di Adria, abitata dagli Atriates Tusci (etruschi orientali - civiltà post-villanoviana con centro a Felsina), rispetto all'Etruria. Il nome del mare Adriatico conserva la stessa radice etimologica in tutte le lingue dei popoli che vi si affacciano: Jadransko morje in sloveno Jadransko more/Јадранско море in croato, bosniaco e montenegrino (secondo alcuni tale parola farebbe invece riferimento al nome latino della città di Zara, Iadera, ma ciò non è possibile secondo l'evoluzione fonologica) e Deti Adriatik in albanese. I Micenei in Adriatico I primi navigatori a frequentare l'Adriatico furono i Micenei. Questa antica frequentazione è testimoniata dai ritrovamenti di reperti micenei, che in questo mare sono tipici solo di un numero limitato di siti, elencati di seguito. Sulla costa adriatica italiana: nella zona del Delta del Po: a Frattesina, sul Po di Adria, un antico ramo deltizio del Po, a Legnago, lungo il tratto finale del fiume Adige, e a Torcello, nella laguna veneta; nelle Marche: ad Ancona, a Treazzano di Monsanpolo, presso la foce del fiume Tronto, e a Cisterna di Tolentino; in Puglia: nella Grotta di Manacore e a Coppa Nevigata (nei pressi di Siponto), sul Gargano, a Roca Vecchia (si può ricordare anche una località pugliese sullo Ionio: lo Scoglio del Tonno, nei pressi di Taranto); sulla costa dalmata: a Capo San Niccolò e nell'isola di Brazza; nelle isole di Pelagosa. Questi ritrovamenti testimoniano i percorsi delle antiche rotte adriatiche micenee. Esiste una singolare sovrapposizione tra il ritrovamento di frammenti micenei ed il culto adriatico di Diomede; esso è testimoniato infatti: nella Venezia Giulia alle foci del Timavo e a Pola; nella zona del Delta del Po ad Adria e a Spina; nelle Marche ad Ancona; nelle Isole Tremiti e nelle Isole di Pelagosa (i due arcipelaghi erano chiamati nel loro complesso Insulae Diomedeae); in diverse città della Puglia: a Siponto, San Severo, Arpi, Canosa, Andria, Brindisi; nei territori circostanti la Puglia: a Vasto, Venafro, Ariano Irpino, Benevento, Venosa; in Dalmazia a Capo San Niccolò, chiamato in antichità promuntorium Diomedis. Come si può notare effettuando un confronto tra i siti dei ritrovamenti micenei e i luoghi di culto di Diomede, essi a volte coincidono; questa coincidenza non è certo casuale, ma mostra che tale culto è stato diffuso proprio dai navigatori provenienti dalla Grecia, in un'epoca di poco più tarda rispetto alla Guerra di Troia, ossia intorno al XIII secolo a.C., al tempo della diaspora micenea (tardo elladico). Il culto di Diomede potrebbe poi essere stato rivitalizzato in occasione della politica adriatica del tiranno siracusano Dionisio il grande. Nel IV secolo a.C. infatti, egli valorizzò l'antico culto greco dell'eroe argivo per giustificare culturalmente la propria azione colonizzatrice di fronte alle popolazioni autoctone dell'Adriatico. Lo stesso fenomeno si è verificato in tutte le aree adriatiche interessate dalla politica di Dionisio il grande di Siracusa e di suo figlio. Rotte greche in Adriatico I Greci, come tutti i popoli antichi, praticavano la navigazione di cabotaggio ed affrontavano il mare aperto solo quando non era possibile altrimenti, scegliendo in questo caso le rotte più brevi. Le rotte di cabotaggio erano stabilite in base alla necessità di potersi riparare, durante la notte o in caso di burrasca, in porti o insenature naturali localizzate a circa un giorno di navigazione l'una dall'altra. Gli studi meno recenti ipotizzavano che i Greci percorressero un'unica rotta per risalire l'Adriatico: quella orientale, che permetteva di navigare lungo coste ricche di ripari naturali per le proprie navi. Tale rotta seguiva quindi le coste dalmate sino alla moderna città di Zara, per poi proseguire verso nord oppure attraversare il mare puntando verso il promontorio del Cònero e dirigersi infine verso l'Adriatico settentrionale. Gli studi più recenti ipotizzano anche una rotta di risalita dell'Adriatico lungo la costa occidentale, quella italiana, utilizzata principalmente dai navigatori provenienti dalla Magna Grecia diretti verso gli scali padani. Questa rotta occidentale fu probabilmente seguita anche dai navigatori rodii nel IX ed VIII secolo a.C., prima dell'apertura di quella orientale. Data la mancanza di porti naturali, come ripari occasionali erano utilizzate le foci dei fiumi, senza impiantare empori stabili. L'area del promontorio del Cònero, e quindi Ancona, era il punto di congiunzione tra le due rotte. Le rotte più antiche evitavano così ogni attraversamento di mare aperto, ed erano esclusivamente di cabotaggio, lungo le coste italiane o quelle dalmate. In quest'ultimo caso, la rotta partiva da Kòrkyra (l'odierna Corfù) e seguiva tutta l'articolatissima costa dalmata, raggiungendo la costa settentrionale dell'Adriatico per poi riscendere lungo quella occidentale. Entrambe le rotte, quella italiana e quella dalmata, risultavano problematiche, ma per fattori diversi. La costa adriatica occidentale, da Brindisi al Cònero, era considerata dai popoli antichi sfavorevole per la navigazione a causa dell'assenza di porti naturali: Tito Livio parla di importuosa Italiae litora e Strabone definisce i litorali adriatici occidentali alímenoi (), ossia "importuosi". La costa orientale dell'Adriatico, disseminata di ripari per le navi, presentava però un altro problema: le tante insenature naturali erano rifugio di pirati, che attaccavano puntualmente le navi di passaggio. Di pirati nell'Adriatico si hanno notizie già a partire dall'VIII secolo a.C.. Naturalmente, se esisteva la pirateria, ciò comporta che esistesse anche un traffico di navi da depredare; dal V secolo, inoltre, vennero organizzate alcune spedizioni per contrastare i pirati illirici. Tra queste, si ricordano quelle dei rodii, nell'ambito di una vera e propria guerra da corsa. L'attraversamento dell'Adriatico in corrispondenza del Cònero era scelto perché questo promontorio si spinge verso la costa dalmata, rendendo più breve l'attraversamento del mare e assumendo anche la funzione di traguardo visivo per i navigatori provenienti da est. Nella rotta di ritorno, invece, il traguardo visivo era garantito dalla visibilità del monte Drago, sui monti Velèbiti. In questo modo il tratto di mare aperto senza visibilità della costa era ridotto al minimo. Inoltre il porto naturale di Ancona, a ridosso del Cònero, si trova a metà della costa adriatica occidentale, quasi del tutto importuosa, e dunque rappresentava l'unico luogo ove poter riparare le navi dalle onde, dalle bocche del Po sino a Brindisi. I Greci diretti verso i fiorenti mercati della Pianura Padana, dunque, anche dopo l'epoca micenea, hanno sempre risalito l'Adriatico lungo la costa dalmata, per poi attraversare il mare tra Zara e il Cònero, raggiungendo infine gli scali padani. Gli storici hanno provato ad elencare i porti naturali e gli empori utilizzati dai Greci lungo la rotta verso l'Adriatico settentrionale; in alcuni casi, come in quello di Ancona, l'ipotesi è suffragata da ritrovamenti archeologici e dal fatto che in epoca successiva sono stati sedi di colonie greche. Nella costa orientale adriatica essi erano: Orikos, Apollonia, Epidamnos, Vardenis (nei pressi di Scutari), Buthoe, Lissos, Epidayron, Melitta, Kòrkyra Melaina, la foce del Naron, Pharos, Issa, Elaphussa, Idassa, Enona. Seguiva poi l'attraversamento dell'Adriatico. Nella costa italiana gli empori e i ripari erano invece: Numana, Ankón, l'attuale Santa Marina di Focara, la foce della Marecchia, Spina, Adría. La rotta occidentale fu probabilmente seguita anche dai navigatori rodii nel IX ed VIII secolo a.C., prima dell'apertura di quella orientale con attraversamento all'altezza del Cònero. Data la mancanza di porti naturali, come ripari occasionali sarebbero state utilizzate le foci dei fiumi, senza impiantare empori stabili. L'area del promontorio del Cònero, e quindi Ancona, era il punto di congiunzione tra le due rotte. Colonizzazione greca dell'Adriatico Prima del IV sec. a.C. esistevano nell'Adriatico tre colonie greche, tutte nel settore meridionale: la colonia della città del Peloponneso Epidauro Epydayron (Ragusa Vecchia), e le due colonie miste corinzio-corciresi di Epidamnos (Durazzo) ed Apollonia. Intorno alla metà del IV sec. a.C. Dionisio I di Siracusa promosse un'intensa colonizzazione dell'Adriatico. In Italia fondò infatti Ankón (attuale Ancona, colonia popolata con esuli politici), ed Adrìa (attuale Adria); in Dalmazia fondò Issa (attuale Lissa) e in Albania Lissos (attuale Alessio). Dionisio inoltre favorì la fondazione, da parte dei cittadini di Paro, della colonia di Pharos (attuale Cittavecchia), nell'isola di Lesina, ove è ricordata anche l'esistenza di Dimos (l'attuale città di Lesina). La colonia siracusana di Issa a sua volta fondò Tragyrion (attuale Traù), Korkyra Melaina (attuale Curzola) ed Epetion (attuale Stobreč, sobborgo di Spalato) ed utilizzava l'emporio greco di Salona. Con questo programma di colonizzazione Dionisio riuscì ad assicurarsi un controllo totale sulle rotte adriatiche che portavano il grano padano verso la madrepatria greca. Miti e leggende Mito degli Argonauti Le coste del mare Adriatico sono teatro di racconti di storie passate di grande fascino, anche se per alcune di queste non esistono testimonianze documentate e certe. Una delle leggende più conosciute riguardanti l'Adriatico è quella degli Argonauti. Una versione del mito, forse la più antica, narra della storia dei sudditi del re di Colchide Eete. Partiti all'inseguimento di Giasone e Medea che si erano impossessati del Vello d'oro, si sarebbero fermati sulle coste dell'Adriatico per paura di dover comunicare al sovrano il fallimento della loro missione e la morte di suo figlio Apsirto. Questi era stato ucciso e fatto a pezzi dalla sorella Medea e quindi le sue membra trasformate nell'arcipelago da lui detto delle Apsirtidi, oggi Cherso (Cres) e le isolette circostanti. Qui i Colchidi avrebbero preso dimora per poi in seguito fondare Pola. Sempre nel Quarnaro l'isola di Lussino sarebbe stata Eea, la primitiva sede di Circe, quindi visitata anche da Ulisse e dai suoi compagni. Leggenda delle Isole Brioni Sempre dall'altra parte dell'Adriatico, lungo le coste della penisola dell'Istria, si racconta la storia dell'arcipelago delle isole Brioni, dove sono stati ritrovati resti dei dinosauri che hanno abitato queste terre 150 milioni di anni fa. Secondo la . Mito di Diomede Secondo il mito greco, l'eroe Diomede, dopo aver lasciato per sempre la città di cui era re, Argo, navigò con i suoi compagni d'arme in tutto l'Adriatico, fermandosi ove ci fosse un porto e insegnando agli abitanti l'arte della navigazione. Nella Venezia Giulia la sua figura si fuse con quella del Signore degli Animali. Successivamente diventò un fondatore di città (molte in Puglia, ma anche Benevento e Vasto). Per questi motivi il suo culto era diffuso alle foci del Timavo, a Capo Promontore, ad Ancona, a Capo San Niccolò e alle Isole Tremiti. In tutti i luoghi ricordati dalla tradizione come tappe dei viaggi di Diomede, l'archeologia ha ritrovato reperti micenei, consentendo di collegare il mito di Diomede alla navigazione micenea. Mito di Antenore Altro eroe greco che navigò nell'Adriatico fu, secondo il mito, Antenore, ricordato dalla tradizione come fondatore di Padova. Mito di Ulisse Anche i viaggi di Ulisse possono essere ricondotti al mare Adriatico. Fin dall'antichità, infatti, ci sono stati studiosi che hanno ambientato tutte le tappe del viaggio di Ulisse narrato nell'Odissea in luoghi adriatici anziché tirrenici, com'è consuetudine. Il fatto che Omero non abbia mai incluso riferimenti specifici parlando di luoghi, autorizzò fin dall'antichità ad ambientare il mito di Ulisse in vari luoghi del Mediterraneo: ogni popolazione rivierasca che veniva a conoscenza delle avventure di Ulisse le immaginava in luoghi che conosceva. L'ambientazione tirrenica divenne la più diffusa solo a partire dalla romanizzazione d'Italia. I Pelasgi Lungo le coste dell'Adriatico avrebbero poi navigato anche i Pelasgi. Naturalmente non ci sono notizie certe al riguardo, ma ad esempio Silio Italico la risalita di questa popolazione di navigatori lungo la costa e il loro insediamento sul colle dell'Annunziata (conosciuto anche con il nome di colle Pelasgico) ad Ascoli Piceno, nelle Marche. Un po' più a nord, nel ravennate, anche Strabone alcune colonie pelasgiche, accostandole a quelle di Caere (Cerveteri) e di Pyrgi lungo il Tirreno. Storia contemporanea Il Mar Adriatico storicamente ha subito per primo lo sfruttamento turistico rispetto al Tirreno ed allo Ionio in quanto mare in media più sabbioso, nonché protetto dalla catena degli Appennini ad ovest e dai Balcani ad est, dunque meno soggetto a mareggiate e fenomeni di erosione sulle coste. Sulla costa adriatica passano l'Autostrada A14 Adriatica, la Strada statale 309 Romea e la Strada statale 16 Adriatica, lungo la quale sono posti quasi tutti i principali centri abitati, turistici e balneari nonché diversi capoluoghi di provincia e di regione. È in fase di realizzazione il cosiddetto Corridoio Verde Adriatico. Descrizione Lungo circa e largo mediamente ricoprendo una superficie di , la profondità del suo bacino in talune zone raggiunge i nella parte settentrionale (inferiore a quella dei tre grandi laghi prealpini) e raggiunge i più a sud, lungo la direttrice da Bari alle bocche di Cattaro, mentre la salinità media è del 3,8%, con forti differenze tra il nord, meno salino, e il sud. L'ampiezza di marea è abbastanza contenuta (circa 30 cm al sud e non oltre i 90 nelle estremità settentrionali): ciò ha permesso sin dall'antichità la nascita, lungo la bassa costa settentrionale, di centri abitati come Aquileia, Chioggia, Grado, Venezia, famosa in tutto il mondo per il fenomeno dell'acqua alta che periodicamente ne sommerge di qualche decina di centimetri molte aree, e Ravenna. I principali corsi d'acqua che sfociano nel mar Adriatico sono il Po, l'Adige, l'Isonzo, il Tagliamento, il Brenta, il Piave, il Reno, il Savio, il Marecchia, il Foglia, il Metauro, l'Esino, il Tenna, il Tronto, il Chienti, la Narenta, l'Aterno-Pescara, il Sangro e l'Ofanto. In generale, i fiumi del nord, alimentati dai ghiacciai alpini, hanno un regime più regolare nel corso dell'anno, mentre quelli centro-meridionali presentano un carattere torrentizio. Confine con il mar Ionio Il mare Adriatico è collegato al mar Ionio tramite il Canale d'Otranto, ma il confine esatto tra i due mari è stabilito diversamente a seconda delle varie convenzioni. Secondo la convenzione dell'Organizzazione idrografica internazionale, seguita negli Avvisi ai naviganti (portolani, fari e fanali, Navarea III), il limite convenzionale fra costa ionica e costa adriatica è posto a Santa Maria di Leuca (punta Mèliso, lungo il meridiano 18°22' E) (linea C in figura). Il limite meridionale dell'Adriatico corre poi, secondo questa convenzione, lungo la linea immaginaria che va da punta Mèliso a capo Cefalo () sull'isola di Corfù. In questo modo, la costa settentrionale dell'isola di Corfù e le isole Diapontie sarebbero bagnate dal mar Adriatico. Un'altra convenzione pone la linea di demarcazione lungo lo stretto di mare fra Capo d'Otranto, nel Salento, e Capo Linguetta in Albania (linea A in figura). La linea di demarcazione viene spostata più a sud da altre convenzioni nautiche, che per esigenze di semplicità seguono le linee dei paralleli e dei meridiani. In particolare, ai fini meteorologici (Meteomar) e delle Informazioni nautiche degli avvisi ai naviganti, il limite marittimo tra Adriatico meridionale e Ionio settentrionale è dato dal 40º parallelo nord (linea B in figura): sulla costa italiana corrisponde a punta Mucurune nei pressi di Castro. Golfi, lagune, promontori, isole e riviere Costa settentrionale e occidentale Questo settore, compreso tra Pola e il canale d'Otranto, si presenta generalmente basso e sabbioso, eccetto che in corrispondenza della penisola Istriana, della costa triestina, del promontorio del Gargano, del promontorio del Conero e del promontorio del San Bartolo. Tra Grado e il delta del Po è orlato di lagune. Le principali articolazioni nel settore , da nord-est procedendo verso ovest e poi verso sud sono le seguenti. Golfo di Venezia, il maggiore, su cui si affacciano il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia, la Slovenia e l'Istria croata. Comprende al suo interno il Golfo di Trieste. In Vallone di Capodistria Vallone di Pirano In Golfo di Trieste Vallone di Muggia Golfo di Panzano Laguna di Grado Laguna di Marano Laguna di Caorle Laguna di Venezia Delta del Po promontorio del Monte San Bartolo Golfo di Ancona promontorio del Conero Golfo di Vasto promontorio del Gargano Golfo di Manfredonia In territorio italiano, le uniche isole da ricordare sono le Tremiti, al largo del Gargano; in territorio croato si segnalano invece le isole Brioni. Costa orientale La costa orientale, tra Pola e il Canale d'Otranto, è prevalentemente rocciosa ed è articolatissima. I principali canali, golfi, penisole e promontori sono i seguenti. Istria, la penisola maggiore, divisa tra Slovenia, Croazia e, per una minima parte, Italia. In : Capo Promontore Golfo del Quarnaro Quarnerolo Canale della Morlacca Canale di Zara Capo San Niccolò Baia dei Castelli (tra Spalato e Traù) Canale della Brazza Canale di Lesina Canale di Curzola Canale della Narenta Canale di Sabbioncello Penisola di Sabbioncello Canale di Meleda Canale di Lagosta promontorio di Vittaglina (o di Prevlaka) Punta d'Ostro In : Bocche di Cattaro Punta d'Arza In : Baia del Drin Baia di Rodoni Capo Rodoni Baia di Lalzi Capo Bishti i Pallës Baia di Durazzo Capi Lagji Baia di Karavasta Baia di Valona Penisola di Karaburun Capo Linguetta Le più estese tra le isole del settore orientale, tutte nel territorio della , sono: Veglia, Cherso, Brazza, Lesina, Pago, Curzola, Isola Lunga, Meleda, Arbe, Lissa, Lussino, Pasman, Solta, Ugliano, Incoronata, Lagosta, Tra le Riviere più importanti troviamo: Riviera dalmata Riviera istriana Riviera veneto-friulana Riviera romagnola Riviera del Conero Riviera delle Palme Riviera abruzzese/Costa dei Trabocchi Riviera molisana (Costa dei Delfini) Riviera pugliese Porti I porti principali in Italia sono, da nord a sud, Trieste, Venezia, Ravenna, Ancona, Ortona, Bari, Brindisi; in Slovenia il solo porto di Capodistria; in Croazia Pola, Fiume, Zara, Sebenico, Spalato e Ragusa; la Bosnia ed Erzegovina si serve del porto croato di Porto Tolero (in croato: Ploče); in Montenegro Antivari; in Albania Durazzo e Valona. Nel periodo pre-classico, l'Adriatico era considerato un'articolazione dello Ionio; venne considerato un mare a sé stante a partire dal periodo repubblicano romano. Nel Medioevo e nell'Età Moderna, i Veneziani, che comprendevano nel proprio dominio la Dalmazia e alcuni porti pugliesi, chiamavano l'intero Adriatico con il nome di golfo di Venezia. Dal momento che la Serenissima era una delle maggiori potenze d'Europa, tale denominazione si diffuse molto, senza però soppiantare mai completamente il nome originale, al quale rimasero fedeli i pochi porti adriatici che Venezia non riuscì a sottomettere. Nei codici marittimi veneziani era addirittura chiamato il nostro canal, quasi fosse la continuazione del Canal Grande. Sono elencati solo i porti che all'anno hanno più di un milione di tonnellate di traffico merci o che servono più di un milione di viaggiatori. Il transito di meno di viaggiatori non è riportato. Oltre ai porti principali, tutti riportati in tabella, si segnalano anche i seguenti. In Italia: in Puglia: Otranto, Monopoli, Polignano a Mare, Mola di Bari, Giovinazzo, Molfetta, Bisceglie, Trani. in Molise: Termoli. in Abruzzo: Vasto, Giulianova, Roseto degli Abruzzi, Pescara, Ortona nelle Marche: San Benedetto del Tronto, Porto San Giorgio, Civitanova Marche, Senigallia, Fano, Pesaro. in Emilia-Romagna: Porto Garibaldi, Cattolica, Rimini, in Veneto: Jesolo, Caorle. in Friuli-Venezia Giulia: Lignano Sabbiadoro, Grado, Monfalcone, Sistiana, Muggia. In Slovenia: nella Regione carsico-litoranea: Isola d'Istria, Pirano. In Croazia: in Istria: Cittanova d'Istria, Parenzo, Rovigno, Pola; nella Regione litoraneo-montana: Abbazia, Porto Re; nella Regione zaratina: Nona, Zara nella Regione di Sebenico e Tenin: Sebenico nella Regione spalatino-dalmata: Macarsca nella Regione raguseo-narentana: Ragusa. in Bosnia ed Erzegovina (Federazione di Bosnia ed Erzegovina): nell'Erzegovina-Narenta: Neum. in Montenegro: Cattaro, Antivari, Dulcigno. in Albania: nella Prefettura di Valona: Valona, Saranda; nella Prefettura di Alessio: San Giovanni di Medua. Problemi ambientali Negli anni novanta, specie nei mesi estivi, il Mar Adriatico è stato interessato dal fenomeno della mucillagine nelle acque superficiali e costiere che ha comportato in alcuni casi, a scopo precauzionale/preventivo, il divieto di balneazione in diverse sue spiagge e litorali. Sul finire degli anni novanta e per alcuni anni degli anni 2000 fenomeni di erosione di alcuni litorali da parte delle acque marine, specie in occasioni di forti mareggiate hanno intaccato fortemente diversi tratti costieri sabbiosi comportandone una lenta e progressiva riduzione in termini di ampiezza. Relitti subacquei Alto Adriatico: Relitti militari e civili: Peschereccio "Francesco Padre" Cacciatorpediniere "Quintino Sella" Incrociatore "Amalfi" Torpediniera "88S" Torpediniera "5PN" Sommergibile "Medusa" Relitto "Sassi" Mercantile "Vila" Aereo P-47 Thunderbolt Mercantile "VRMAC" Matoponte "NIVIA" Mercantile "EVDOKIA II" Peschereccio "Ferreo" Relitti antichi della laguna di Venezia: Relitto del "Mercure" Relitti di San Marco in Boccalama Relitto dei "Cannoni" Relitto del "Vetro" Brigantino Relitto delle "Alghe" Relitto delle "Ceppe" Brigantino Hellmuth Relitto dei mattoni Relitti lungo la costa di Ravenna e Rimini: Piattaforma "Paguro" "Cargo Anni" Relitto "I Tralicci" Relitto "Thistlegorm dell'Adriatico" piattaforma dell'isola delle rose Note Bibliografia Antonio di Campli, Adriatico. La città dopo la crisi, Barcellona/Trento, List, 2010. Claudio Zaccaria (a cura di), Strutture portuali e rotte marittime nell'Adriatico di età romana, Atti della XXIX Settimana di Studi Aquileiesi, 20-23 maggio 1998, Trieste, Centro di Antichità Altoadriatiche, 2001. Eugenio Turri, Daniela Zumiani (a cura di), Adriatico mare d'Europa. L'economia e la storia, Cinisello Balsamo, Pizzi, 2001. Rosario Pavia, Matteo di Venosa, La pianificazione delle aree portuali: i porti delle città adriatiche, in Urbanistica, LII, 2000, n. 115, pp. 60–74. Giovanni Murialdo, Alto-Adriatico e alto-Tirreno nel mondo mediterraneo: due mari a confronto tra VI e X secolo, in La circolazione delle ceramiche nell'Adriatico tra tarda antichità e altomedioevo, a cura di S. Gelichi e C. Negrello, Mantova 2007, pp. 9–29. Camillo Tonini, Sulla rotta dei pellegrini: carte nautiche, portolani e isolari dalle collezioni del Museo Correr, in La Dalmazia nelle relazioni di viaggiatori e pellegrini da Venezia tra Quattro e Seicento, Atti del convegno, Roma Accademia Nazionale dei Lincei, 22-23 maggio 2007, a cura di S. Graciotti, Roma, Bardi, 2009, pp. 21–44. Luigi Tomaz, In Adriatico nel secondo millennio, Presentazione di Arnaldo Mauri, Think ADV, Conselve, 2010. Voci correlate Alto Adriatico Medio Adriatico Basso Adriatico Corridoio Verde Adriatico Costa dei Trabocchi Isole dell'Adriatico Mar di Sardegna Mar Mediterraneo Mar Ionio Mar Ligure Mar Tirreno Altri progetti Collegamenti esterni Arpa Emilia-Romagna: previsioni dello stato del mare (con particolare riguardo per l'Adriatico) Meteo Mare: previsioni dello stato del mare (Mari d'Italia) Geologia e sedimentologia del mare Adriatico (Mari d'Italia)
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Modello matematico
Un modello matematico è una rappresentazione quantitativa di un fenomeno naturale. Come tutti gli altri modelli usati nella scienza, il suo scopo è quello di rappresentare il più incisivamente possibile un determinato oggetto, un fenomeno reale o un insieme di fenomeni (modello matematico di un sistema fisico, sistema chimico o sistema biologico). Il modello è una rappresentazione di quello che immaginiamo essere la realtà, in grado di prevedere le misure sperimentali. Tutti i settori della scienza, ma non solo, fanno largo uso di modelli matematici per rappresentare nozioni fisiche o misure sperimentali. Gli strumenti matematici usati possono essere i più disparati, dalla combinatoria al calcolo infinitesimale: per molti fenomeni per esempio una descrizione molto sintetica e intuitiva è formulabile immediatamente tramite delle equazioni differenziali. Descrizione Struttura di un modello Un modello matematico è spesso costruito con lo scopo di fornire previsioni sullo 'stato' futuro di un fenomeno o di un sistema. Spesso i termini 'modello' e 'sistema' sono interscambiabili dal punto di vista matematico-formale. Generalmente, il modello descrive la probabile evoluzione di un fenomeno o di un sistema sulla base di dati iniziali (condizioni iniziali) forniti dall'utente (linput) restituendo dei dati finali (output). L'efficacia del modello può essere quindi misurata comparando i dati finali con il risultato effettivo osservato dell'evoluzione del fenomeno o del sistema. Ad esempio, modelli matematici più o meno complessi vengono continuamente proposti e testati in meteorologia, climatologia ed economia. Strutturalmente il modello è una rappresentazione del fenomeno o del sistema in oggetto e si focalizza su una certa prospettiva concettuale dello stesso. Una classe importante di modelli è data dalle equazioni o sistemi di equazioni differenziali, ordinarie o alle derivate parziali ottenibili a partire da 'equazioni di bilancio' per sistemi fisici (meccanici, elettrici, termodinamici, ecc.). Ad esempio, un insieme di equazioni differenziali può descrivere la struttura di un ponte e le forze che su di esso sono esercitate e sulla base di esse il progettista può anticipatamente prevedere gli sforzi o sollecitazioni a cui sarà sottoposta la struttura interna del ponte. Oltre alla statica e dinamica delle strutture in ingegneria civile, altri campi importanti di applicazione delle equazioni differenziali sono la teoria dei circuiti e i sistemi dinamici in generale. La soluzione delle equazioni del modello passa attraverso i metodi di risoluzione classici delle equazioni differenziali oppure equivalentemente dai metodi di analisi derivati dalla Teoria dei Sistemi. Si suole distinguere inoltre tra modelli dinamici, che esprimono la variabilità o evoluzione nel tempo del comportamento di un sistema fisico, e modelli statici quali ad esempio la semplice Legge di Hooke in un certo istante temporale. Le stesse formule matematiche, ad esempio tutte le equazioni della cinematica, possono essere considerate in sé e per sé un modello matematico del fenomeno fisico in oggetto (il moto): in particolare queste discendono dalla risoluzione particolare delle equazioni differenziali che risolvono il più generale problema della dinamica. Ad esempio un modello matematico classico è quello dell'oscillatore armonico ovvero quello che si ottiene dalla risoluzione del problema della dinamica applicato alla forza elastica di una molla libera di muoversi secondo la Legge di Hooke. Si distinguono modelli (sistemi) deterministici (l'uscita è univocamente determinata dall'ingresso) e modelli (sistemi) stocastici, modelli lineari e modelli non-lineari. Spesso in macrosistemi a molti gradi di libertà come quello economico e quello climatico il ricorso ai modelli matematici (e a potenti elaboratori), nella forma di sistemi di equazioni multivariabili, è una necessità stringente vista l'impossibilità di studiare il sistema riproducendolo in laboratorio: in questo senso il rigore dell'approccio scientifico 'galileiano' di stampo induttivo-sperimentale è "simulato" da 'laboratori virtuali' ovvero dai supercalcolatori su cui viene fatto girare il modello matematico, eventualmente validato sulla scorta dei dati passati, e dal cui output emergono le proprietà cercate del sistema studiato [3]. In senso esteso altri tipi di modelli matematici, diversi dalle equazioni differenziali, compaiono in altri settori della matematica pura e applicata come per esempio in: "Topologia e previsione delle proprietà chimiche" in cui si usa la teoria dei grafi. "Teoria delle code", in cui si usa la teoria delle probabilità; "Scelte collettive razionali", per cui si adopera la teoria dei giochi; "Programmazione lineare e allocazione delle risorse". "Teoria dei nodi e meccanica statistica" [2]. Dipendenza dai dati iniziali Un aspetto cruciale, che incide notevolmente sulla capacità di previsione di un modello matematico di un sistema (nella forma di equazione differenziale) è la dipendenza sensibile dai dati iniziali. Se una piccola variazione dell'input produce una forte variazione dell'output, la creazione di un modello efficiente sul fronte della previsione risulta essere enormemente più complessa, e le previsioni a lungo termine possono risultare intrinsecamente impossibili. Si parla in questo caso di sistema o modello non-lineare e un fenomeno con forte dipendenza dai dati iniziali, riassunto nel concetto di effetto farfalla, è detto caotico sebbene possa essere per sua natura intrinsecamente deterministico. In un sistema di questo tipo, l'errore sulla previsione cresce esponenzialmente nel tempo. La disciplina che studia questi fenomeni è la dinamica non-lineare che rientra nella teoria del caos. In realtà anche semplici sistemi lineari possono manifestare questa sensibilità alle condizioni iniziali pur non essendo per loro natura caotici. Ad esempio, i fenomeni meteorologici sono generalmente caotici: per questo motivo, una previsione a lungo termine (ad esempio, l'esatta temperatura in una data città fra un anno) è del tutto impossibile. I pianeti del sistema solare si muovono invece in modo non caotico (almeno in prima approssimazione): per questo motivo è possibile prevedere eclissi con secoli d'anticipo. Note Bibliografia 1. Giorgio Israel, Modelli matematici, Editori Riuniti, 1986. Nuova edizione: Modelli Matematici. Introduzione alla matematica applicata, Gruppo Editoriale Muzzio, 2009. ISBN 978-88-96159-15-6. 2. Giorgio Israel, Modelli Matematici – Le Scienze – Quaderni, n. 81. 3. Antonello Pasini, I Cambiamenti Climatici. Meteorologia e Clima Simulato, Editore Mondadori Bruno, Milano 2003. Voci correlate Teoria dei sistemi Modello fisico Modelli matematici in fisica Sistema dinamico Identificazione di sistemi dinamici Modello black box Analytic Hierarchy Process Modellazione geometrica Altri progetti Collegamenti esterni Introduzione alla modellizzazione mediante equazioni differenziali, con commenti critici Modelli matematici - elementi introduttivi Filosofia della scienza Matematica applicata
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Massa Lombarda
Massa Lombarda (La Màsa in romagnolo) è un comune italiano di abitanti della provincia di Ravenna in Emilia-Romagna. Storia Fondazione Nell'anno Mille il territorio dove sorse Massa Lombarda era coperto prevalentemente da boschi. Pochi chilometri a nord cominciavano le paludi della Valle Padusa. La zona non era abitata: infatti nei documenti altomedievali figurava come massa, era cioè un insieme di fondi con una chiesa parrocchiale, intitolata a san Paolo. Dal 767 la massa Sancti Pauli apparteneva al monastero di rito bizantino di Santa Maria in Cosmedin di Ravenna. Per quasi due secoli, dal 584 al 751, Ravenna era stata la capitale dei territori bizantini in Italia. Il monastero era stato fondato da una comunità proveniente dalla Grecia di probabile osservanza basiliana. I monaci basiliani realizzarono un reticolo fondiario (sul modello centuriale) composto da 15 appezzamenti con dimensione di 320 x 440 metri circa. In uno dei fondi meridionali sorgeva la chiesa parrocchiale. Nel XII secolo i limes (confini) della massa S. Pauli erano: a sud il limes di Guercinoro (che corrisponde al confine attuale con Mordano); ad ovest il limes Mundus, oltre il quale vi era la “possessione del Bolognano”; a Nord la linea di prosecuzione ideale della via San Vitale sull'asse di S. Agata sul Santerno, oltre la quale vi era la Silva Bagnarola; ad Est il limes di S. Anastasio, oltre la quale vi erano i fondi Melétolo, Roncadello e il fiume Santerno. Nel 1164 l'imperatore Federico Barbarossa tolse ai monaci ravennati la massa e la diede ai conti di Cunio, suoi vassalli. Essi costruirono una fortificazione a difesa dei confini del territorio dove oggi è l'abitato della Zeppa (il castrum fu distrutto nel 1358). Dopo la scomparsa dell'erede al trono Enrico VI (1197) il papa, Innocenzo III, fece rioccupare la Romagna e restituì la massa ai monaci. Il 12 novembre 1235 S. Maria in Cosmedin concesse in enfiteusi al comune d'Imola l'intero territorio della massa S. Pauli con contratto a durata centennale rinnovabile. «Con Istrumento di Pier Margarito da Manfredo, abbate del Monastero di Santa Maria in Cosmedin di Ravenna», così riportò lo storico massese Luigi Quadri, «fu conceduta l'investitura della Massa di San Paolo al Comune d'Imola che l'ebbe» L'evento cruciale per la storia di Massa Lombarda avvenne alla metà del XIII secolo. Nella primavera del 1251, appena sei mesi dopo la morte dell'imperatore Federico II il tiranno della Marca trevigiana Ezzelino da Romano (che era stato suo vicario) invase il distretto di Mantova desiderando di estendere il suo dominio. Allora 150 famiglie, provenienti in massima parte da Marmirolo (e, in misura minore, dalla stessa Mantova e da Cremona), per sfuggire al pericolo, oltrepassarono il Po e si rifugiarono a Bologna chiedendo ospitalità. Bologna poté accoglierne solo 63. Rimasero da sistemare 87 famiglie. La questione fu risolta grazie all'intervento del Comune d'Imola, che offrì ai coloni la massa Sancti Pauli: la zona era ancora pressoché disabitata, ma fertile. Il centro abitato fu fondato a circa 1,5 km a nord della chiesa di San Paolo. Le terre coltivabili vennero divise in quadrati di 580 x 380 metri di lato, una suddivisione che è visibile ancora oggi sulle mappe geografiche. Fu firmato un contratto che sancì il possesso delle terre da parte dei marmirolesi, che in cambio s'impegnarono a bonificarle e a coltivarle con mezzi propri. L'atto per l'insediamento venne siglato l'11 maggio del 1251: è l'atto di nascita del centro abitato. Nel documento si legge che i marmirolesi si sarebbero insediati: Il Comune di Imola si impegnava a edificare una chiesa in muratura e a realizzare una strada di collegamento tra l'abitato e la via Selice. La vecchia chiesa fu progressivamente abbandonata. Il villaggio era un quadrato di soli 220 metri di lato, con due porte d'accesso e due chiesuole. La piazza centrale del paese era l'attuale piazza Umberto Ricci. Attorno alla piazza maggiore vi erano: nel lato Est la chiesa, nei lati sud ed ovest, il torrione e la rocca. Portò il nome di piazza Francesco d'Este fino agli anni venti del XX secolo. Si stabilì inoltre che il giorno di mercato sarebbe stato il martedì e che il mercato del bestiame si sarebbe tenuto due volte all'anno. Negli anni 1255 e 1265 furono integrati due nuovi fondi; il territorio di Massa Lombarda si ingrandì ad ovest fino a raggiungere la Strada Selice (fondo “Tiglio”) e a nord fino a confinare con S. Patrizio (fondo Silva Bagnarola). Nel XIV secolo fu aggregata la “possessione del Bolognano”; il territorio di Massa arrivò così a confinare con quello di Bubano. Nel 1264 Massa S. Pauli passò alle dipendenze di Bologna (città guelfa). Nel 1273 il centro abitato assunse il nome di Massæ Lombardorum. Nel 1277 Massa fu presa dai Conti di Cunio, la famiglia più potente della zona. Ripresa dai bolognesi pochi anni dopo, nel 1297-98 fu attaccata più volte dalle milizie della Lega amicorum, costituita dai capi ghibellini di Romagna capitanati da Maghinardo Pagani. Gli assalti furono respinti. Nel corso del XIV secolo Massa Lombarda venne conquistata e riconquistata più volte dai signori locali. Si susseguirono i nomi di famosi capitani di ventura, come Corrado Lando (1358), Luchino Dal Verme (1366), Giovanni Acuto (1376) e Alberico da Barbiano (1399). Formalmente il signore governava in nome del Papa (il pontefice era il proprietario di tutta la Romandiola): di fatto sottraeva i territori conquistati al dominio pontificio. Nella Descriptio provinciæ Romandiolæ, redatta nel 1371, Massæ Lombardorum fu classificata come castrum. Nel 1384 Massa Lombarda si ritrovò di nuovo sotto le dipendenze di Bologna, ceduta in vicariato dal pontefice. Nel 1392 furono effettuati lavori di ristrutturazione della rocca e fu costruito un ponte fisso in muratura. Il direttore dei lavori fu il famoso ingegnere Giovanni da Siena. Nel 1424 il paese passò a Filippo Maria Visconti, uscito vincitore dalla Battaglia di Zagonara. Dieci anni dopo Visconti cedette per diplomazia tutti i territori posseduti tra Forlì e Imola al nuovo papa Eugenio IV, il quale li affidò provvisoriamente ad una famiglia guelfa, i Manfredi di Faenza. A sua volta, nel 1440 Eugenio IV cedette in feudo tutte le terre del monastero di Santa Maria in Cosmedin, tra cui Massa, al marchese di Ferrara, Nicolò III d'Este per 11.000 ducati d'oro. Il passaggio di proprietà venne formalizzato nel 1445. Massa nel Ducato di Ferrara Fu l'inizio di un periodo di pace che si protrasse per più di un secolo. Gli estensi costruirono nuove strade, nuove case e raddoppiarono le dimensioni del nucleo abitato: il primo quadrato (castel vecchio) fu raddoppiato da un'area di uguale estensione costruita ad est (castel nuovo). Ora il paese misurava oltre 400 metri di lato, con al centro l'attuale piazza Matteotti. Leonello, successore di Nicolò (1441-1450), fece erigere vicino alla Torre preesistente una poderosa rocca, che divenne la sede del podestà e dell'ufficiale di giustizia (l'edificio ospitava anche le prigioni e i granai pubblici). Borso d'Este (1450-1471) ampliò la cerchia delle mura. Questo impianto giunse inalterato fino alle soglie del XX secolo. Il corso centrale si chiamava via Tiglio, mentre le due porte erano dette, ad ovest, del Molino e, ad est, Celletta. Presso ciascuna porta venne costruita una chiesa. Quella del Molino era a protezione dalle pestilenze, mentre la chiesa costruita presso Porta Celletta aveva lo scopo di preservare la comunità dalle inondazioni del fiume Santerno (il fiume scorre a soli quattro chilometri ad est del paese). Nel 1480 Ercole I concesse lo Statuto agli abitanti della città. Gli successe Alfonso I, figlio di Ercole, che governò ininterrottamente dal 1505 al 1534. Sotto il marchesato di Francesco (1516-1578), terzogenito del Duca Alfonso, nel 1553 venne istituita la prima scuola pubblica (diventeranno due nell'anno 1800); fu fondata addirittura la zecca, un lusso per quei tempi. Le prime monete battute furono lo Scudo d'oro, il Bianco d'argento, il Giulio e mezzo Giulio d'argento, il Grosseto d'argento, il Sesino e il Quattrino di misura. L'ospedale esisteva già, almeno dal 1556, e rimase in funzione fino al 1848, quando fu aperto il nuovo nosocomio. Fece dichiarare Massa Lombarda marchesato dall'imperatore Ferdinando I d'Asburgo. Per sua espressa volontà, Francesco volle essere sepolto a Massa. In questo periodo Massa Lombarda fu divisa in quattro settori: San Paolo (N-E), Melétolo (S-E), Bolognano (S-W) e San Giovanni (N-W): gli stessi quartieri nei quali il centro della città è suddiviso ancora oggi. Nella seconda metà del XVI secolo le autorità cittadine gestirono il completo rifacimento della chiesa principale di Massa, intitolata alla conversione di san Paolo. In cambio ottennero dal vescovo Scribonio Cerboni il giuspatronato per la nomina dell'arciprete. Da allora il consiglio comunale esercitò il diritto di designazione degli arcipreti massesi, scegliendoli prevalentemente tra i sacerdoti nati nel paese. Nel 1572 fu fondato il Monte di Pietà. Massa nello Stato Pontificio Esauritasi la dinastia estense nel 1598, Massa dei Lombardi ritornò sotto lo Stato Pontificio (Papa Clemente VIII), inserita nella Legazione di Ferrara. La proprietà di gran parte della terra e del territorio era rimasta, anche durante il dominio estense, alla Diocesi di Imola, che ne traeva i diritti enfiteutici, affitti annuali e decime. Il numero di chiese e di conventi prese ad aumentare, basti dire che nel XVII secolo, su una popolazione di 2-3 000 abitanti, a Massa esistevano 22 chiese, 9 oratori e due conventi, uno dei Carmelitani e uno dei Minori Osservanti. I sacerdoti erano 30, tutti nativi del paese. Nel corso della dominazione pontificia si registrò il cambio del nome nella forma attuale, Massa Lombarda. Nel periodo dalla metà del XVI secolo alla metà del XVII secolo la peste si manifestò almeno quattro volte in forma grave, negli anni 1574, 1630 (la nota «peste manzoniana», che risparmiò Massa facendo solo 28 morti), 1720 e 1743. Un altro flagello, che si manifestò con maggiore frequenza, anche se non interessò direttamente l'uomo, erano le epidemie di afta epizootica, grave morbo che colpiva il bestiame. Quelle più importanti furono nel 1656, 1735, 1747 e 1786. Non sono numerosi i fatti degni di nota da registrare fino al 1796 in un paese che contava 3.820 abitanti: L'11 aprile 1688 il forte terremoto che distrusse Cotignola e Russi arrecò danni a cose e fabbricati. Nella seconda metà del XVIII secolo l'architetto Cosimo Morelli firmò alcune opere architettoniche in paese: la Torre dell'Orologio, il Municipio, la chiesa di San Salvatore, il convento delle suore Dorotee annesso alla chiesa del Rosario e il palazzo di fronte alla canonica (oggi sede della banca Unicredit). Nel 1777 venne deciso di spostare il giorno di mercato al venerdì (tradizione in vigore tutt'oggi), poiché i massesi si trovavano stretti fra il mercato di Conselice (il lunedì) e quello di Lugo (il mercoledì). Cambiò anche il luogo: furono scelti gli spazi adiacenti alla Rocca e al Torrione (rimarranno la sede del mercato massese fino al 1945). Nel 1781 fu avvertita un'altra scossa sismica, che peraltro non arrecò danni. Molto più gravi le conseguenze del terremoto del 24 ottobre 1796, che causò danni alle case e provocò lunghe fenditure ai muri del Torrione e della chiesa arcipretale. Risale al dicembre 1793 l'origine di un culto mariano molto popolare in paese. Quel mese fu ritrovata nel fondo Sbarra, vicino all'abitato, un'immagine in ceramica della Madonna. Il sentimento popolare attribuì all'immagine poteri taumaturgici. In poco tempo divenne oggetto di devozione. Presso il luogo del rinvenimento fu eretto un santuario, che prese il nome di Santuario della Beata Vergine della Consolazione. Nella seconda metà del XVIII secolo vivevano in paese poco più di abitanti. Il 1796 fu un anno cruciale, che inaugurò un periodo di 19 lunghi anni di invasioni militari e conquiste straniere. In quell'anno Massa Lombarda fu occupata dalle milizie francesi (che dichiararono decaduti tutti i titoli nobiliari e il potere papale), quindi entrò a far parte della Repubblica Cispadana e poi della Repubblica Cisalpina, diventando capoluogo di distretto. Passò più volte dai francesi agli austriaci e viceversa, per poi tornare sotto le insegne dello Stato Pontificio dopo la Restaurazione (1815). Nel 1828 nasce a Massa Lombarda Paolo Orfei. La sua famiglia è presente nello Stato delle anime almeno dal 1785. In età adulta, dopo essersi innamorato di una donna che viveva come girovaga, Pasqua Massari (originaria di Argenta), decide di fare la vita del girovago saltimbanco. Suo figlio Ferdinando diventerà il capostipite della famiglia circense più famosa d'Italia. Dal 1812 al 1836 ebbe una residenza nell'attuale piazza U. Ricci il barone svizzero Vittorio Beniamino Crud (1772-1845). Proprietario a Massa Lombarda di oltre 400 ettari di terreno, bonificò vaste zone e quindi sperimentò con successo nuove colture tra cui la barbabietola da zucchero nella sua tenuta Cybo (già degli Estensi) e poi Eynard. Raccolse le sue conoscenze nell'opera Economia teorica e pratica dell'agricoltura (1842-45). Alcuni eventi segnarono il periodo detto del "Papa re". Il 2 gennaio 1848 avvenne l'inaugurazione, nell'attuale via Rustici, di un ospedale in un edificio più ampio di quello già esistente (nell'attuale via Gian Battista Bassi vi era l'orfanotrofio, gestito dalle suore Dorotee). Il 6 agosto 1849, proveniente da Ravenna, transitò da Massa Lombarda, in catene e su di un biroccio, il padre barnabita Ugo Bassi, cappellano garibaldino e patriota, insieme al capitano Giovanni Livraghi e all'avvocato lughese Giuseppe Masi, fatti prigionieri dagli austriaci a Comacchio e condotti a Bologna per essere processati. Nel 1855 il paese fu colpito da un'epidemia di colera che fece 166 vittime. Nel 1857 avvenne l'apertura della prima Cassa di Risparmio cittadina. Nello stesso anno papa Pio IX intraprese una visita nei territori dello Stato. Il 26 luglio giunse a Massa Lombarda. Maria Vergine fu proclamata patrona municipii; sulla facciata del municipio fu posta una sua statua, visibile ancora oggi. Per solennizzare la visita papale, infine, il consiglio comunale approvò la costruzione di un arco onorario in muratura 50 metri più avanti l'ex Porta Celletta, demolita nel 1845. Le sue dimensioni complessive erano: 12 metri di larghezza x 3 di profondità, con altezza di 11,90 metri. L'arco, progettato dall'architetto imolese Luigi Ricciardelli, fu inaugurato nel 1859 e ben presto fu denominato «Porta Lughese». Oramai decaduto il governo pontificio, il 23 settembre del 1859, nel suo viaggio da Ravenna a Bologna, Giuseppe Garibaldi transitò da Massa Lombarda con i figli Teresita e Menotti e arringò i massesi dal balcone municipale. Nel giro di pochi anni la storia nazionale si rimise in moto e Massa Lombarda nel 1860 si ritrovò, dopo i plebisciti dell'11-12 marzo, a far parte del Regno di Sardegna, che l'anno seguente divenne Regno d'Italia. Galleria d'immagini Dall'Unità d'Italia alla Liberazione Nel 1861 la popolazione di Massa Lombarda contava 4.995 abitanti. Il paese era sede di un mandamento comprendente i comuni vicini di Conselice e Sant'Agata. Cessò di essere sede mandamentale nel 1891. Negli ultimi anni del XIX secolo vennero avviate importanti opere di bonifica delle paludi (che giungevano ancora fino a pochi chilometri a nord del centro abitato) e si avviarono i primi esperimenti per la coltura della barbabietola da zucchero. L'esigenza di facilitare le comunicazioni era pressante, ormai la Porta del Molino (ad ovest del paese) non serviva più e nel 1884 venne demolita. Nello stesso anno, grazie alle nuove tecnologie di perforazione, venne scavato nella piazza del Castello (l'attuale piazza U. Ricci) il primo pozzo artesiano (la costruzione degli acquedotti era ancora di là da venire). L'acqua, che proveniva da una profondità di 104 metri, si rivelò di ottima qualità. Uno dei primi benefici dell'unificazione fu il collegamento di Massa Lombarda alla rete ferroviaria nazionale. Grazie all'onorevole massese Eugenio Bonvicini (già governatore pontificio nel 1859-60 e sindaco negli anni 1863-69), vennero aperte ben due tratte: una in direzione ovest, verso Budrio e Bologna (inaugurata il 1º dicembre 1887) e l'altra in direzione nord-sud (Lavezzola - Massa Lombarda - Lugo) aperta il 12 aprile 1888. Quest'ultima permetteva il collegamento con Ferrara a nord e con Faenza a sud. La stazione ferroviaria fu costruita a nord dell'abitato, in un'area prospiciente al Foro boario. Sfruttando la rete di relazioni della classe politica locale, Massa Lombarda venne coinvolta nel primo tentativo di colonizzazione dell'Eritrea. Il territorio era stato dichiarato ufficialmente colonia italiana nel 1890. Un anno dopo diverse famiglie di contadini massesi si imbarcarono per l'Africa in una spedizione comandata dal cavaliere Pompeo Torchi (anch'egli massese), nominato direttore dell'azienda agricola sperimentale dell'Asmara. Il 17 settembre 1889 Massa Lombarda fu insignita del titolo di città per gli atti di eroismo compiuti dai cittadini che portarono alla cattura di una banda di malviventi che infestava tutta la provincia di Ravenna (i fatti avvennero il 31 maggio-1º giugno del 1887). Nel 1893 avvenne l'apertura delle nuove scuole comunali, situate all'inizio di via Garibaldi. Il 1º ottobre 1907 venne inaugurato il nuovo ospedale cittadino, detto «degli Infermi», che sostituì quello in funzione dal 1848. Nel 1911 entrò in funzione la prima fontana pubblica del paese, collocata nella piazza del Castello. Negli anni venti venne ornata con quattro colonnette laterali bianche, lunghe due metri e alte circa 70 cm. Tra la fine del 1913 e il marzo del 1914 fu completato l'allacciamento del paese alla rete elettrica. Agli inizi del Novecento sorsero le prime unioni professionali promosse da laici cattolici, come la Fratellanza del lavoro (poco dopo il 1907). Il 6 novembre 1910, ad opera di un gruppo di benefattori cittadini, fra cui Giuseppe Sangiorgi, fu aperto il primo Asilo infantile (3-5 anni), il Pueris Sacrum ("i bambini sono sacri" in latino), in un nuovo edificio costruito appena fuori Porta Lughese. Nel 1912 i lavoratori socialisti fondarono la Casa del popolo. L'edificio fu edificato sull'altro lato della strada rispetto al Pueris Sacrum e ad un centinaio di metri di distanza. Si sviluppava su tre piani. Al primo piano vi era la sala più importante, il salone-teatro, che misurava 16 x 32 metri, utilizzato anche come sala da ballo. I vasti sotterranei fungevano da magazzino per la cooperativa agricola, che vi deponeva le sue trebbiatrici. L'investimento, cui parteciparono tutte le cooperative socialiste massesi, costò 200.000 lire, una somma ingente per l'epoca. La Casa del popolo fu inaugurata il 24 novembre 1912. Tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento avvenne il decollo dell'economia massese. Il primo motore dello sviluppo fu lo zuccherificio, cui seguì lo sviluppo della frutticoltura. Lo zuccherificio fu inaugurato il 29 agosto 1901; la capacità produttiva era di 4.400 quintali di bietole al giorno ed era provvisto di raffineria. Nello stesso periodo cominciarono a lavorare i magazzini della frutta e anche quelli di conserve di pomodoro come, ad esempio, l'"Esperia" (1907), capace di produrre 3000 quintali all'anno già nel 1908. Grazie alla felice iniziativa di alcuni pionieri, a Massa nacque la prima industria ortofrutticola italiana. Tutta l'economia della zona si modificò radicalmente. Massa Lombarda divenne in due decenni paese leader e il suo nome si diffuse in tutta la nazione. Giunsero delegazioni da tutta Italia e dall'estero per visitare i poderi di peschi, peri, meli e susini. Persino re Vittorio Emanuele III in persona venne in visita il 25 aprile 1918. In quell'anno terminò la prima guerra mondiale. Il bilancio dei caduti massesi fu di 119 vittime. Dopo la fine della guerra Massa Lombarda si avviò rapidamente verso lo sviluppo industriale. Il foro boario apparteneva al passato e nei primi anni venti fu sostituito dai nuovi giardini pubblici. I giardini, posti di fronte alla stazione, divennero la porta d'ingresso del paese per i viaggiatori che giungevano in treno. Nel 1926 il Canale dei molini, che attraversava da secoli il paese, causando non pochi problemi di umidità alle abitazioni, fu deviato fuori dal centro abitato. Nel 1928 venne costruito un nuovo campo da gioco per il calcio (in sostituzione di quello improvvisato all'interno dell'ex foro boario), con la pista di atletica leggera. Massa Lombarda invece non ebbe mai una piscina comunale. Nel 1934 l'Enciclopedia Treccani dedicò una voce a Massa Lombarda. Nello stesso periodo Isolina Visani (classe 1905) si laureava in farmacia, prima donna di Massa Lombarda a conseguire una laurea. Nel 1941 fu istituita la terza classe delle scuole Medie (fino ad allora, gli alunni che volevano prendere la licenza media dovevano andare a Lugo). La seconda guerra mondiale causò numerose ferite alla città, situata a meno di 10 chilometri dal fronte, posto sul fiume Senio. Il primo bombardamento avvenne il 26 luglio 1944, nella zona della stazione ferroviaria: si ebbero 7 morti civili. Il 23 dicembre 1944 saltò in aria lo stabilimento della Cooperativa Frutticoltori; per lo spostamento d'aria crollarono i tetti di decine di abitazioni nella zona circostante. Il 9 aprile 1945 cominciarono le operazioni su larga scala. Per favorire l'avanzata delle truppe di terra furono effettuati due bombardamenti devastanti, il 9 e il 10 aprile. Oltre alle abitazioni e alle fabbriche, vennero distrutte le scuole elementari (ore 18 del 9 aprile) ed il tronco ferroviario Massa - Imola. Massa Lombarda fu liberata dalle truppe neozelandesi, che entrarono in paese alle ore 4 di venerdì 13 aprile. Il tributo pagato per la libertà fu elevato. Tra i combattenti, centinaia di massesi furono internati in Germania, i partigiani caduti furono 51; 46 i militari deceduti o dispersi; furono conferite una medaglia d'oro e due d'argento al valor militare. Tra i civili: due morti in campo di concentramento o in conseguenza della detenzione e 77 deceduti per bombardamenti, rappresaglie o agguati. Tra essi si segnala l'efferata strage Baffè e Foletti: la notte del 16 ottobre 1944 23 persone appartenenti alle due famiglie furono catturate e assassinate dai nazifascisti. Anche un religioso massese fu vittima della guerra: il 10 settembre 1944 si consumò il martirio di padre Gabriele Maria Costa, monaco della Certosa di Farneta, originario di Massa. Costa fu trucidato dai tedeschi assieme a due confratelli. Dal dopoguerra ad oggi Nel 1945 cambia la sede del mercato cittadino. Fino ad allora il mercato si era tenuto lungo il corso centrale fino a piazza Roma. La nuova collocazione è ricavata nell'area della scuola, seriamente danneggiata dai bombardamenti. L'edificio viene abbattuto; l'area è destinata a diventare la nuova piazza del mercato ed assume il nome di piazza Mazzini. Piazza Roma Imperiale viene ribattezzata "Umberto Ricci" (il partigiano Napoleone 1923-1944) e abbellita con il Monumento ai Caduti, inaugurato nel 1950. Nel maggio dello stesso anno furono celebrati i 700 anni della fondazione del paese: 350 massesi si recarono a Marmirolo per celebrare l'evento di sette secoli prima. Durante gli anni cinquanta la popolazione aumenta di 1.374 unità, grazie alle nuove opportunità di lavoro. Si verifica di conseguenza una forte espansione urbanistica: tra il 1951 e il 1961 vengono costruiti ben 678 nuovi alloggi. Nello stesso periodo avviene la ristrutturazione del cinema-teatro Eden, costruito nel 1942 e danneggiato dalla guerra, che viene ampliato fino a raggiungere 1.500 posti, una capienza superiore a qualsiasi sala coperta nel raggio di 30 km. Negli anni cinquanta vi vengono rappresentate numerose riviste del teatro nazionale. Massa Lombarda dispone anche di un'altra sala cinematografica, il Cinema Teatro Dalle Vacche (successivamente denominato «Piccadilly»). Nel 1956 viene inaugurata la prima biblioteca pubblica cittadina. Nel 1957 vengono costruiti l'acquedotto e la rete del gas metano. Da registrare anche un evento negativo: l'alluvione del 5 dicembre 1959, che però sarà anche l'ultima. L'acqua arriva fino al centro storico, colpendo 220 abitazioni e numerosi impianti produttivi. Vengono sommersi circa 800 ettari di terreno coltivato. Gli anni sessanta sono per l'Italia quelli del boom economico. Massa Lombarda, che il boom lo aveva già vissuto anni prima, comincia ora a dare segni di una certa mancanza di vitalità. Il settore edilizio vive un calo (vengono costruiti un terzo degli alloggi rispetto agli anni cinquanta); molti complessi industriali importanti (zuccherificio in testa) riducono il loro organico; alcune aziende ortofrutticole vanno in crisi. Il tronco ferroviario Massa Lombarda-Imola, distrutto dai bombardamenti, non era stato più ricostruito. Nel 1964 le FF.SS. chiudono anche la linea ferroviaria Massa-Budrio (direzione Bologna), una scelta piovuta dall'alto contro cui il Comune non riuscirà ad opporsi (di ben altra levatura sarà la protesta cittadina negli anni ottanta contro il taglio della linea Lavezzola – Massa – Lugo, che non viene sospeso, anche se il servizio viene molto ridimensionato). I più grandi cantanti sulla cresta dell'onda vengono ad esibirsi a Massa: in estate Mina, Lola Falana, Patty Pravo, Gianni Morandi, Johnny Dorelli, Michele, Milva, Perez Prado, Peppino Di Capri, i Pooh sono ospiti del dancing Serenella di Guerrino Dosi (aperto nel 1953) dà il benvenuto all'attrice Rosanna Schiaffino, ospite d'onore nel suo locale. Anno 1957; nella stagione invernale sono applauditi al Teatro Eden Rita Pavone e Edoardo Vianello. Il 25 ottobre 1969 viene inaugurato il nuovo stadio cittadino con un incontro di calcio fra il Bologna "A" ed il Bologna "B". Nel 1971 la discoteca "Da Tino" è una delle tre sole esistenti in Emilia-Romagna. Nel 1973 il teatro Eden presenta una stagione di prosa con compagnie di livello nazionale. Dal 1963 al 1975 il Ristorante Tino fu presente nelle guide Michelin, unico ristorante massese ad essere ricompreso nell'elenco dei migliori del Paese. Nel 1981 il centro viene chiuso alle automobili: si inaugura la zona a traffico limitato (ZTL), tuttora in vigore. Il Teatro Eden vive le sue ultime stagioni di notorietà. Calcano il suo palcoscenico artisti di fama nazionale come Giorgio Gaber, Glauco Mauri, Corrado Pani e Ottavia Piccolo. Nel 1983 la struttura viene chiusa perché non ottemperante alle nuove disposizioni in materia di sicurezza. La legge sulla sicurezza degli impianti, inoltre, alzando di molto i costi della ristrutturazione, renderà anti-economico un eventuale intervento condannando alla morte il teatro. Pochi anni dopo (1989) chiude anche il cinema Piccadilly. Nel 1982 la piazza centrale del paese è dichiarata zona pedonale (19 ottobre). Entro due anni il Canale Emiliano Romagnolo attraversa il territorio massese. Le sue acque sono importanti soprattutto per gli agricoltori, che le impiegano per le irrigazioni estive. A causa di una ristrutturazione del servizio sanitario regionale, nella seconda metà degli anni 1980 i servizi ospedalieri vengono progressivamente ridotti. Il 30 giugno 1993 l'ospedale massese viene definitivamente chiuso. Vita politica Dall'Unità alla Liberazione Al tempo dei vari Crispi, Sella e Minghetti, il corpo elettorale era di dimensioni così ristrette (essendo basato sul censo) che anche il conoscere la parte politica dei deputati eletti non aiuta a capire quali fossero le idee prevalenti dei massesi. Il sindaco, inoltre, era nominato dal Re. Forse è più interessante sapere che la popolazione era in massima parte composta da gente povera e che, fino al 1885, sul territorio massese non esisteva ancora l'industria. Lo storico locale Luigi Quadri segnala la presenza di "molti giovani massesi sotto il comando del generale Giuseppe Garibaldi" nelle battaglie del Volturno e nella presa di Gaeta (1866). Nel 1866 nella Terza Guerra d'Indipendenza tra i massesi arruolati nel Corpo Volontari Italiani, quattro presero parte alla vittoriosa Battaglia di Bezzecca. Nel 1867, sempre secondo il Quadri, 17 furono i volontari massesi che combatterono nella Battaglia di Mentana, mentre 3 furono coloro che nel 1870 parteciparono alla presa di Roma. Il mazzinianesimo è una delle prime idee politiche a diffondersi nel ravennate, e quindi a Massa Lombarda. Nel 1872 era già attiva in paese la Consociazione repubblicana. Anche il movimento socialista non tarda a radicarsi in provincia, soprattutto per l'impulso del fondatore e leader Andrea Costa, imolese: nel 1893 il Partito Socialista Italiano apre la sua prima sezione massese. A cavallo del 1900 i candidati al parlamento che si battono per conquistare l'elettorato massese provengono da tre partiti: il repubblicano, il liberale ed il socialista. Eugenio Bonvicini era stato eletto (nel 1875) tra i liberali. Alle elezioni parlamentari del maggio 1895 vince nel collegio di Lugo (di cui fa parte anche Massa Lombarda) il candidato repubblicano Taroni, con 487 voti. Si riconferma nel marzo 1897, al ballottaggio col generale Tullo Masi. Nel giugno 1900 Taroni vince per la terza volta, battendo di nuovo Masi. Viene invece sconfitto dal socialista Brunelli alle elezioni politiche del novembre 1902. Nel 1905 ha termine la prerogativa del Re di nominare i sindaci delle città. Le elezioni amministrative assegnano la vittoria alla lista socialista. Il consiglio comunale elegge il repubblicano Emilio Roli. Con Roli il Comune rinuncia al diritto di designazione dell'arciprete, che risaliva alla seconda metà del XVI secolo (giuspatronato). Le cause sono economiche, poiché sul Municipio grava l'onere della manutenzione della chiesa in caso di difficoltà della parrocchia a provvedere, ma anche ideologiche, poiché la nuova Giunta persegue una politica di netta contrapposizione con la Chiesa. Nel 1907, alla sua morte, gli succede Giovanni Manaresi, direttore della Cooperativa braccianti (fondata nel febbraio 1890). Nel dopoguerra Massa si ritrova più povera. I consensi per i socialisti aumentano. Il partito socialista è l'unico partito presente in forma organizzata a Massa Lombarda. Tra le altre forze politiche, i repubblicani hanno perso molta della loro influenza e neanche i cattolici godono di molto favore. Alle elezioni politiche del novembre 1919 la lista socialista ottiene uno schiacciante 91,7% dei voti. Nessun paese della provincia di Ravenna è a così forte presenza socialista. Alle elezioni amministrative del 1920 l'unica lista che si presenta in città è quella socialista. Il Partito socialista prevale a Massa e in 43 dei 58 comuni romagnoli, insieme alle province di Ravenna e Forlì (che comprende anche il comprensorio di Rimini). Il voto delle elezioni politiche del 15 maggio 1921 vede uno spostamento verso destra delle preferenze degli italiani. A Massa Lombarda, in controtendenza, il 64,4% dei voti vanno al PSI. Ma nel 1922 l'amministrazione comunale democraticamente eletta viene cacciata dal nuovo regime fascista. Alle elezioni politiche del 1924 il voto massese riflette bene quali sono i nuovi rapporti di forza in campo: ben il 63,2% dei voti va al Listone. Diventa sindaco Gustavo De Luca, classe 1896, fondatore del fascio cittadino. Nel 1928, appena un anno dopo essere stato nominato podestà (secondo la nuova legge), viene promosso-rimosso a Foligno per un regolamento di conti interno. Il Comune, dopo aver ricevuto tre ispezioni dalla Prefettura, viene commissariato e viene affidato prima a Luciano Rambelli, poi ad Arrigo Minzoni. Durante la sua reggenza, nel 1929 si tiene il plebiscito per il regime che sostituisce le elezioni politiche. I risultati appaiono scontati: il 98% degli italiani vota sì. In provincia di Ravenna la percentuale, se possibile, è ancora superiore: 99%. A Massa Lombarda si contano 1.880 sì e 2 no. Nell'aprile del 1930 anche Minzoni lascia; si avvia una rotazione di commissari: tre in un anno. Prima Mauro Zingarelli, poi Dino Guidotti poi l'ing. Tosaroni. Tra il 1929 e il 1930 il Comune subisce nuove ispezioni ordinate dalla Prefettura. Finalmente nel giugno 1932 ritorna alla più alta carica cittadina un massese. Viene scelto infatti Giovanni Foschini (classe 1890), fondatore dell'Ondulatum. La nomina si rivelerà una scelta positiva, tanto che Foschini rimarrà alla guida del Municipio per oltre un decennio, fino al crollo del fascismo. Nel 1934 il regime indice un nuovo plebiscito. Il risultato nazionale parla del 99,84% di voti favorevoli. In provincia di Ravenna i sì sono il 99,98%. Nel 1938 gli iscritti al fascio di Massa Lombarda sono 1.454. Se a questi aggiungiamo anche gli iscritti alla GIL (età minima 6 anni), otteniamo un totale di 2.896 persone. In sostanza, un massese su due tra i 6 ed i 60 anni possiede una tessera del fascio o delle organizzazioni da esso controllate. Dal dopoguerra ad oggi Dopo la caduta del fascismo ed il ritorno alla democrazia, Massa Lombarda ritorna un paese a prevalenza socialista. Al referendum del 2 giugno 1946 il 95,10% dei massesi sceglie la Repubblica. In breve il PCI diventa il primo partito, sopravanzando gli stessi socialisti ed ottenendo più volte il 70% dei voti. Conserverà tale primato anche dopo i cambi di denominazione (PDS, DS) e dopo la confluenza dei DS nel Partito Democratico. Le prime donne elette in Consiglio comunale furono, nel 1946, Gentile Bassi e Maria Montoschi. Nel 1959 venne nominata la prima donna assessore, Magda Bergamini. Simboli Lo stemma della città di Massa Lombarda fu realizzato negli anni tra il 1863 e il 1869 dal pittore Luigi Folli (1830-1891) su invito del sindaco dell'epoca, Eugenio Bonvicini. Fu riconosciuto con regie lettere patenti del 9 maggio 1890. Il gonfalone è un drappo di azzurro. Onorificenze Massa Lombarda è tra le città decorate al valor militare per la guerra di liberazione, insignita della croce di guerra al valor militare per i sacrifici delle sue popolazioni e per l'attività nella lotta partigiana durante la seconda guerra mondiale: Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose In città Chiesa di San Paolo Alla metà del Duecento le famiglie lombarde che fondarono Massa Lombarda, unitamente a quelle del luogo, edificarono una chiesa con annesso campanile che ereditò l'intitolazione alla Conversione di San Paolo dalla primitiva chiesa dell'VIII secolo, sita nel fundus Sancti Pauli.. La chiesa si affacciava verso piazza U. Ricci, all'epoca il cuore della comunità. Nel XVI secolo gli Este vollero la costruzione di una chiesa più grande. Dopo l'abbattimento della chiesa primitiva, la nuova fu costruita tra il 1528 e l'aprile del 1537. L'edificio fu progettato - secondo lo storico massese Luigi Quadri - dall'architetto milanese Bartolomeo Suardi, detto il Bramantino (Milano 1465-1530). Fu orientata a nord, nella collocazione attuale; il campanile invece non fu spostato (di conseguenza la torre, che prima era a ridosso della chiesa, si trovò sul suo fianco destro). La chiesa, esempio di architettura romanica in severo stile basilicale, è a tre navate. Già nel 1576 divenne chiesa arcipretale. Fu consacrata il 10 novembre 1577. Francesco d'Este fornì un contributo all'abbellimento della nuova chiesa donando due dipinti della sua collezione: la Caduta di San Paolo di Sebastiano Filippi, detto il Bastianino (Ferrara 1532-1602) e La Risurrezione di Cristo di Benvenuto Tisi, detto il Garofalo (Ferrara, 1481-1559). Lo stesso duca volle essere sepolto in questa chiesa. Nel 1580 venne eretto sopra l'ingresso un portico a quattro colonne. Tra il 1835 e il 1842 si effettuarono i primi lavori di restauro: il campanile fu ricostruito a pianta quadrata e fu portato dagli originali 26,30 metri agli attuali 37,39 metri. L'ultimo tronco fu costituito da una nuova cella campanaria in cui si aprono quattro bifore. Vi furono collocate quattro campane, consacrate nel 1841. Il campanile risultò quindi composto da sei piani (oltre al tamburo), tutti accessibili dall'interno. Diresse i lavori l'ingegner Bonoli. La ristrutturazione della chiesa terminò nel 1842. Il 12 novembre dello stesso anno (un sabato) fu consacrata dal vescovo d'Imola Giovanni Maria Mastai Ferretti (nel 1846 divenne Papa col nome di Pio IX). In seguito ad un nuovo intervento di restauro, nel 1932 venne abbattuto il porticato che sovrastava l'ingresso principale e la facciata assunse la forma attuale su disegno dell'ingegner Poggiali. Durante la II guerra mondiale la chiesa fu quasi completamente distrutta; entro il 1948 venne ricostruita. All'interno si possono osservare pregevoli opere d'arte. Nel 2007 (la notte tra il 12 e il 13 giugno) la chiesa subì un grave furto. Furono rubati molti oggetti d'arte: 14 tele (tutte quelle della Via crucis), due porte decorative del Seicento e del Settecento, una croce, il grande altare, due angioletti intarsiati e due colonne di legno con decorazioni dorate. Chiesa di San Salvatore La Chiesa di San Salvatore fu edificata nella prima metà del XVII secolo fuori dall'antica Porta Celletta. Venne quasi interamente distrutta dalla rotta del fiume Santerno avvenuta l'11 ottobre 1745. Fu poi ricostruita nel 1763 da Cosimo Morelli. L'interno è opera dell'architetto imolese, l'esterno del massese Zaccaria Facchini. La chiesa è stata restaurata alla fine del XX secolo. Nel forese Santuario della Beata Vergine della Consolazione Secondo la tradizione cattolica, il Santuario della Beata Vergine della Consolazione fu costruito a seguito del ritrovamento fortuito di un'immagine della Madonna, l'11 dicembre 1793, dal colono Giacomo Pasotti mentre vangava nel suo podere. I lavori di costruzione, su progetto dell'architetto massese Zaccaria Facchini, dovevano iniziare nel 1797, ma quell'anno cominciò l'occupazione napoleonica della Romagna. Il santuario fu ultimato solamente nell'agosto del 1813. Il 19 settembre dello stesso anno l'immagine della Vergine fu collocata nella chiesa, dove si trova tuttora. L'edificio è di forma circolare; l'interno è caratterizzato dai sei grandi archi, sostenuti da colonne corinzie, che fanno da cornice alle cappelle. Nella seconda metà dell'Ottocento accanto al santuario fu costruito il cimitero cittadino. Nel XX secolo è stato eretto un piccolo campanile su disegno dell'architetto massese Ettore Panighi. Santuario del Trebeghino Il Santuario del Trebeghino è situato in zona rurale in località Fruges (circa un km a sud dalla strada provinciale San Vitale). Il luogo di culto è citato sin dal 1629. La popolazione locale l'ha soprannominato "Cîsa dl'Öpi", che è il nome in romagnolo dell'acero campestre, albero che si usava come sostegno per le viti. Ricalcando la pronuncia dialettale, ne è derivato il curioso nome di "Chiesa dell'Oppio", che si porta dietro ancora oggi. Il suo nome ufficiale è «Oratorio della Beata Vergine del Buon Consiglio». La struttura dell'edificio è semplice: una navata unica con volta nel presbiterio e capriate a vista nella parte restante. La facciata presenta due loculi frontali; il campaniletto a vela è ben conservato. La chiesa è stata oggetto di un importante intervento di restauro, coordinato da un comitato parrocchiale e cittadino, che si è protratto dal 1995 al 2004. Dopo il restauro il santuario ha ripreso la piena attività. Ex chiese Chiesa di Santa Maria del Carmine I Carmelitani, presenti nel territorio di Massa Lombarda sin dal XIV secolo, si trasferirono dentro le mura nel XVII secolo, in un'area vicino a Porta Celletta. Qui fecero costruire la nuova chiesa con annesso convento (1669-1674). Internamente l'edificio conserva architetture barocche; all'interno vi era conservato un dipinto di Carlo Cignani. L'esterno invece ha un aspetto Cinquecentesco. La chiesa divenne ben presto uno dei centri primari dell'ordine Carmelitano per tutta la regione romagnola. Infatti fu diverse volte la sede del capitolo provinciale (l'ultima nel 1662). Con la soppressione napoleonica (inizio XIX secolo), chiesa e convento rimasero privi dei religiosi e il culto fu affidato al clero locale. La chiesa è rimasta aperta al culto fino alla seconda guerra mondiale. Nei giorni dell'offensiva finale Alleata (aprile 1945) un colpo sparato da un carrarmato neozelandese centrò il campanile, che crollò sul tetto della chiesa sfondando parte della facciata. Sconsacrata, i quadri che l'ornavano sono stati trasportati nella chiesa arcipretale di San Paolo. Negli ultimi decenni del XX secolo l'edificio è stato riqualificato come sala polivalente. Dal 1995 è utilizzato come sede di mostre, concerti e spettacoli teatrali. Nel 2014 è stata ricollocata all'interno dell'edificio una pala d'altare di Michele Desubleo (1602-1676), ritenuta perduta dopo i bombardamenti dell'ultimo conflitto mondiale. Chiesa del Rosario Costruita nell'attuale piazza Marmirolo tra fine XVI e inizio XVII secolo, andò a unirsi nel Settecento al convento edificato da Cosimo Morelli nell'attuale via G. B. Bassi. Scampò ai bombardamenti della seconda guerra mondiale; nonostante ciò nel 1949 fu sventrata per allargare la piazza. Rimangono: il muro perimetrale sinistro e il campanile, che versa in condizioni di grave degrado statico. Chiesa del vecchio ospedale L'edificio, dedicato a S. Maria Assunta, fu costruito nell'attuale via Rustici tra il 1577 e il 1584. Fu rimaneggiato nel XVIII secolo con rilievi a stucco e ornato di quattro statue in cotto attribuite ad Alfonso Lombardi (una di esse purtroppo oggi è tagliata a metà). Incamerata nei beni del demanio, dal 1956 al 2004 fu sede della biblioteca comunale. Architetture civili Gli edifici storici civili del centro storico massese sono: il Palazzo Comunale, la Torre dell'Orologio della piazza, il palazzo dei Morelli in via G.B. Bassi e Palazzo Bonvicini. La piazza centrale di Massa Lombarda è piazza Matteotti. Racchiusa tra palazzi storici, è dominata dalla Torre dell'orologio. Palazzo Comunale La facciata del Palazzo comunale fu opera di Cosimo Morelli (1732-1812). I lavori furono completati dall'architetto massese Zaccaria Facchini (1751-1826). Conserva al suo interno gli Archivi storici, quello comunale e quello notarile. L'ampio porticato a cinque archi contiene i busti di cittadini massesi benemeriti: Luigi Maccaferri, Emilio Roli, Giuseppe Sangiorgi, Eugenio Bonvicini ed Adolfo Bonvicini. Torre dell'Orologio La torre dell'Orologio è più antica del Palazzo Comunale di due anni. Fu terminata nel 1756 su progetto di Cosimo Morelli, di cui è anche considerata la prima opera certa che ne porta la firma. Posta a un angolo della piazza centrale, sostituiva una torre più antica che fungeva anche da prigione. Nel 1758 fu avviata, sempre su disegno del Morelli, la ristrutturazione del Municipio, l'ex Casa della Comunità, esistente sin dal Cinquecento. Il prospetto del palazzo, sito sul lato nord della piazza, è costituito da un portico a cinque arcate. Sulla facciata compaiono quattro finestre, sovrastate al centro da una nicchia che ospita una statua della Madonna incoronata. Fin dai tempi degli Estensi il Consiglio comunale si radunava nella rocca (a Lugo è ancora così). Dal 1748 si riunisce nel Palazzo comunale. Palazzo dei Morelli Palazzo settecentesco. Conserva la facciata originale progettata da Cosimo Morelli. Palazzo Bonvicini È la residenza signorile storica meglio conservata della città. L'edificio risale al XV secolo; è stato restaurato alla fine del XX secolo ed è tuttora di proprietà privata. Edificato dai Visconti, dopo l'abbandono della Romagna da parte del casato milanese, nel XVI secolo divenne sede di un monastero di frati Carmelitani. I frati persero tutto con l'invasione napoleonica. Nel 1840 fu acquistato da Gaetano Bonvicini, padre di Eugenio, che gli diede il nome che porta tuttora. Nella seconda metà del XX secolo fu la sede locale del PCI. Piante secolari Nel territorio di Massa Lombarda vivono sei piante secolari poste sotto la tutela della Regione Emilia-Romagna. Tre pioppi monumentali vegetano non lontano dal torrente Sillaro lungo via del Signore: si tratta di un pioppo nero e di due pioppi bianchi che hanno superato il secolo e mezzo di vita. Vi sono poi un gelso nero (conosciuto come "gelso di San Giovanni") e due farnie. Monumenti e luoghi d'interesse scomparsi Il più antico complesso architettonico di Massa Lombarda era costituito dalla rocca costruita dal marchese Lionello d'Este a metà del XV secolo con annesso torrione risalente al XII secolo. Adattata a carcere, divenne anche residenza di Pretura con l'unità d'Italia. A fine Ottocento fu chiusa; il fabbricato venne demolito nel 1910, seguito poi dal torrione nel 1921; Porta Lughese, eretta nel 1857, fu abbattuta il 3 dicembre 1949 per decisione del consiglio comunale, non senza subire una salata multa dal governo di Roma, che fu inizialmente fissata in 5 milioni di lire (circa 330 000 euro del 2002), poi ridotte a un milione; Palazzo Armandi, prestigioso edificio signorile. Edificato dalla famiglia Avogli nel XV secolo, occupava praticamente un intero isolato. Il fronte dava sulla piazza principale, fiancheggiato dalla chiesa dedicata a San Francesco (anch'essa di proprietà della famiglia). Le scuderie e il giardino invece si affacciavano sulla via retrostante (attuale via G.B. Bassi). Gli ultimi proprietari furono i conti Armandi. L'edificio, danneggiato dai bombardamenti, fu demolito in tempo di pace, verso il 1960; Numerose sono anche le chiese scomparse del territorio massese. Società Evoluzione demografica Etnie e minoranze straniere Al 31 dicembre 2009 la popolazione straniera residente era di persone. Le nazionalità maggiormente rappresentate in base alla loro percentuale sul totale della popolazione residente erano: Marocco, 370 - 3,52% Romania, 356 - 3,39% Albania, 330 - 3,14% Lingue e dialetti Accanto alla lingua italiana, è parlata anche la locale variante della lingua romagnola, che presenta influssi bolognesi, quali la perdita delle vocali nasali e l'esito in /a/ dei precedenti fonemi /ɛ,ɔ/ (es. páss, rátt "pesce, rotto", vs. romagnolo occidentale comune pèss, ròtt). L'antico afflusso di coloni mantovani non sembra aver lasciato alcuna traccia linguistica riconoscibile. Religione Nel comune di Massa Lombarda sono presenti tre parrocchie, facenti parte della Diocesi di Imola: Massa Lombarda (principale); Villa Serraglio e Fruges (istituita nel 1965). Nel 1853 fu consacrato nella chiesa arcipretale monsignor Emidio Foschini, che fu nominato vescovo di Città della Pieve. Nel 1962 il rito si ripeté per l'arciprete Giovanni Proni, nominato vescovo di Termoli. Nel territorio di Massa Lombarda vi sono due santuari di devozione mariana: Santuario della Beata Vergine della Consolazione: l'immagine, una ceramica policroma, fu rinvenuta per caso l'11 dicembre 1793 da un contadino mentre vangava nel suo podere. Sul luogo fu poi costruito il santuario. È invocata per guarigione da malattie e protezione da calamità naturali. La sua ricorrenza cade nel mese di maggio; Santuario della Madonna del Trebeghino: vi è venerata l'immagine della Vergine del Buon Consiglio. La sua ricorrenza cade il giorno di Pentecoste. Istituti di vita consacrata Vengono dalla vicina Lugo le Figlie di San Francesco di Sales. Dal 13 gennaio 1922 gestiscono una scuola dell'infanzia intitolata a San Francesco di Sales. L'asilo fu fondato in un edificio di proprietà del conte Armandi, che da anni si era trasferito a Bologna, sito nella piazza principale. Nel 1935 le suore si trasferirono nella struttura tuttora in funzione con l'entrata in via G.B. Bassi. Nel 1949 le Salesiane fondarono l'Istituto assistenziale «Maria Immacolata» per le orfane dei lavoratori, sito in una villa Liberty in viale Zaganelli ereditata dal letterato Giacinto Ricci Signorini. Anche questo istituto è tuttora esistente. Dal 1940 fino agli anni settanta le suore massesi effettuarono il loro volontariato anche nell'ospedale cittadino. Associazionismo laico Nel 1922 sorse a Massa Lombarda il movimento Scout. Soppresso in tutt'Italia dal regime fascista nel 1928, rinacque nel dopoguerra. A Massa Lombarda fu rifondato nel 1973. Tradizioni e folclore Festa della Ripresa e Palio del Timone Nata nel 1976, la manifestazione si tiene all'inizio di settembre e dura un'intera settimana. L'ultimo giorno, domenica, si tiene il Palio del timone, una competizione a squadre. L'idea nacque in seno alla commissione ricreativa del consiglio pastorale cittadino. Si pensava ad una gara dove si potessero utilizzare attrezzi agricoli, caratteristici del mondo rurale massese. La scelta cade sui timoni dei rimorchi agricoli, robuste aste in legno lunghe circa quattro metri. Le aste vengono montate attorno a un timone, ad un'altezza di circa un metro da terra. Sono imperniate al centro, in modo da consentire alla giostra di girare sia in senso orario, sia antiorario. Lungo le due aste orizzontali si schiera una squadra, mentre l'altra si dispone lungo le due aste verticali. Ogni squadra è composta da sei uomini, tre per ogni asta. Il loro peso complessivo non deve superare i 540 chili. La partecipazione al Palio è riservata ai quattro quartieri di Massa Lombarda. I tiratori, invece, possono provenire anche dai paesi vicini. Cultura Biblioteche e musei Complesso culturale comunale Comprende la biblioteca civica, la "collezione Venturini" e la pinacoteca civica. La dotazione originaria della biblioteca è rappresentata dal fondo privato del commendatore Carlo Venturini (opere antiche e rare) e da ciò che rimane delle più antiche raccolte librarie dei frati Carmelitani e dei Minori Osservanti, incamerate dallo Stato ai tempi di Napoleone. La parte più preziosa è il fondo antico costituito da circa 8.000 esemplari. L'atto di nascita della biblioteca fu, nel 1956, la sistemazione del fondo in un edificio pubblico (in via Garibaldi, nei locali della chiesa dell'antico ospedale). Nel tempo la dotazione si è arricchita di ulteriori contribuzioni. La collezione personale del commendator Venturini si compone di vari pezzi: sculture, monete, minerali, ecc.; la raccolta di dipinti comprende vari autori: opere d'arte del Garofalo e del Bastianino (XVI secolo) e del pittore massese Giambattista Bassi (XIX secolo). Dal 2004 biblioteca, "collezione Venturini" e pinacoteca civica sono riuniti in un'unica sede, il pregevole edificio in stile liberty che ospitò dal 1910 l'asilo infantile Pueris Sacrum. Il complesso culturale è suddiviso in quattordici stanze: due per la biblioteca tradizionale, tre per quella dedicata ai bambini. Due aule sono dedicate alla pinacoteca, altrettante per il museo civico, una stanza è adibita ad emeroteca ed altre due sono attrezzate a laboratorio multimediale. Museo della Frutticoltura "Adolfo Bonvicini" Inaugurato nel 1983, raccoglie le testimonianze della civiltà agricola della Bassa Romagna tra Ottocento e Novecento. La prima sezione illustra il lavoro contadino, la seconda ripercorre la storia delle tecniche di coltivazione della frutta. Sede del museo è un'autentica casa colonica, ristrutturata appositamente per accogliere il materiale da esporre, frutto delle donazioni di agricoltori e cittadini. Geografia antropica Frazioni e località FrugesUn nome originale per un centro abitato. L'agglomerato urbano si sviluppò nel secondo dopoguerra. Fino agli anni trenta, infatti non vi era che uno stabilimento per il lavoro della frutta e della conserva ("Società Anonima Fruges"), sorto nel 1925 su un terreno di proprietà di Camillo Borgnino, uno dei maggiori produttori ortofrutticoli locali. Negli anni quaranta la fabbrica cambia proprietario ma continua ad essere chiamata da tutti "La Fruges".Lo stabilimento sorgeva due chilometri ad ovest di Massa, sulla destra della provinciale San Vitale (Ravenna-Bologna). A partire dalla metà degli anni cinquanta l'area a sinistra della San Vitale fu oggetto di una lottizzazione. Si insediarono soprattutto i lavoratori provenienti dal circondario, dalle colline e dal meridione. "La Fruges" passò così ad indicare anche il nuovo insediamento urbano.Nel 1965 vennero aperte le scuole elementari statali. La nuova parrocchia (intitolata a San Giacomo) provvide a realizzare l'asilo per i bambini fino ai 5 anni. Tra il 1970 e il 1972 venne costruita, accanto all'insediamento urbano, anche un'area artigianale dalle dimensioni complessive di circa 18 ettari. Oggi "La Fruges", come tante attività produttive nate a Massa nell'anteguerra, non esiste più. Nel senso dello stabilimento: il centro abitato invece è cresciuto fino a contare circa 2.500 abitanti. Economia Massa Lombarda seppe mostrare nella prima metà del XX secolo una notevole capacità innovativa nel settore agroalimentare: la frutticoltura industriale, l'industria dei succhi di frutta e lo zuccherificio furono il frutto dell'abilità e della genialità degli imprenditori locali. Le imprese cooperative Il movimento cooperativo si sviluppò a Massa Lombarda a partire dagli anni ottanta del XIX secolo. Nacquero la Cooperativa Agricola Braccianti, poi la Cooperativa Muratori e la Cooperativa Frutticoltori (1922). Nel XX secolo furono fondate la cooperativa dei barbieri, dei falegnami, dei mezzadri e la cooperativa facchini. In paese vi erano ben quattro spacci cooperativi. Secondo i dati del censimento del 1921, il 70% della popolazione della provincia di Ravenna era rurale. A Massa Lombarda erano oltre 4.000 le persone legate all'agricoltura, a cui bisognava aggiungere circa 700 braccianti. Fino agli anni settanta del XX secolo, oltre 800 persone lavoravano nella cooperazione. Poi iniziò una parabola discendente. Nel 2012 il settore era ridotto a 80 addetti. Infrastrutture e trasporti Strade Massa Lombarda è attraversata, in direzione Est-Ovest, dalla strada provinciale 253, ex strada statale. Altre strade provinciali sono: la n. 12 (verso Mordano), la n. 50 (verso San Patrizio e la n. 117 (parallela alla 253); da essa si diparte la n. 94 che giunge a Bubano, frazione di Mordano. Ferrovie La località è servita dalla stazione di Massalombarda posta sulla linea Faenza-Lavezzola, servita dalle corse svolte da Trenitalia nell'ambito del contratto di servizio stipulato con la Regione Emilia-Romagna. Dal 1887 al 1964 la cittadina era inoltre raggiunta dalla ferrovia Budrio-Massalombarda, gestita dalla Società Veneta; tra il 1934 e il 1944 fu servita anche dalla ferrovia Massalombarda-Imola-Fontanelice della Santerno Anonima Ferroviaria. Mobilità urbana Il servizio di trasporto pubblico a Massa Lombarda è garantito con autocorse suburbane svolte dalle società TPER e START. La prima pista ciclabile del paese è stata quella che fiancheggia viale Zaganelli (800 metri). Alla fine degli anni 1970 fu costruita le pista ciclabile di viale Amendola. Nel 1981-82 venne quella di via Castelletto, che permise il collegamento con Fruges, più un tratto di via Argine San Paolo. Nel 1983-84 fu aperta la pista che fiancheggia via Bagnarolo. Tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 fu realizzato il tratto lungo via Martiri della Libertà. Seguì il prolungamento della pista di via Argine San Paolo. A metà degli anni 1990 si poteva finalmente andare da Massa Lombarda al centro di Fruges in bicicletta evitando la pericolosa Strada provinciale San Vitale. Manca ancora una pista ciclabile di collegamento con la vicina Sant'Agata sul Santerno, che permetterebbe il collegamento diretto con Lugo, importante luogo di commerci con il mercato del mercoledì. Amministrazione Il Comune di Massa Lombarda, insieme con Alfonsine, Bagnacavallo, Bagnara di Romagna, Conselice, Cotignola, Fusignano, Lugo e Sant'Agata sul Santerno forma l'Unione dei comuni della Bassa Romagna. Sindaci Priori dal 1841 al 1859 Sindaci dal 1860 al 1922 Sindaci dal 1860 al 1889 Nomina del sindaco da parte del re. Sindaci dal 1889 al 1922 Elezione del sindaco da parte del consiglio comunale (legge 30/12/1888, n. 5865). Podestà Podestà nominato dal re. Sindaci dal 1946 ad oggi Dal 1946 al 1995 Elezione del sindaco da parte del consiglio comunale. Dal 1995 ad oggi Elezione del sindaco a suffragio diretto (legge 25/3/1993, n. 81) Gemellaggi Sport Ciclismo Il più importante sodalizio cittadino è la «Società Ciclistica Massese» (oggi «S. C. Massese-Minipan»). Fondata nel 1962 da un gruppo di appassionati, la società allestì una squadra giovanile e una squadra dilettanti vincendo fin dai primi anni diverse competizioni a livello locale. Dopo il 2000 sono arrivati i primi titoli nazionali: Gabriele Tassinari nel 2003 (Inseguimento a squadre); Eleonora Morelli nel 2005 (Giovanissimi G4); Alice Bartolini nel 2007 (Ciclocross Giovanissimi G4). Nel 2006 la Società Ciclistica Massese ha organizzato i Campionati italiani per le categorie Esordienti ed Allievi (maschili e femminili). Il massese Filippo Baroncini, campione del mondo Under 23 nel 2021, è cresciuto nella S. C. Massese-Minipan. Le principali competizioni ciclistiche che si svolgono a Massa Lombarda sono: La Gran fondo "Ercole Baldini" è la manifestazione ciclistica più importante che si svolge a Massa Lombarda. Creata nel 2006 dal Gruppo sportivo ciclistica massese (che la organizza), nei primi anni si è svolta nella seconda domenica di giugno. Il record di partecipanti è stato battuto nel 2011 con la partecipazione di 3.000 ciclisti di 250 società. La Gran Fondo è stata inserita nel "Circuito Romagnolo". La premiazione avviene alla presenza di Ercole Baldini. Il Memorial "Vladimiro Fusari", nato nel 1993, è una gara ciclistica competitiva riservata alla categoria Allievi. Si disputa a fine aprile. La gara richiama squadre da Veneto, Trentino-Alto Adige, Piemonte, Abruzzo ed Emilia-Romagna ed è, nei fatti, un appuntamento fisso del calendario nazionale di categoria. Pallacanestro Nel 1947 una squadra di pallacanestro cittadina si iscrisse ai campionati federali. Con la sponsorizzazione del PSI, assunse il nome ASSI (Associazione Sportiva Socialisti Italiani). La squadra (colore sociale: rosso) militò per i primi due anni nel campionato regionale di Prima Divisione, poi ottenne la promozione al Campionato nazionale di Serie C, in cui rimase per cinque anni consecutivi. Dopo il 1954 il gruppo dei pionieri della pallacanestro massese si sciolse. La pallacanestro massese rinacque nel 1961. In quell'anno fu fondata la Polisportiva, comprendente anche la sezione pallacanestro. La squadra cittadina (maglia bianca con bordi e numeri neri) disputò i campionati regionali. I migliori cestisti massesi in assoluto possono essere considerati: Pasquale Preti, che ha giocato 16 anni in Serie A dal 1952 al 1968 (con le maglie di Moto Morini Bologna, Reggio Emilia e Libertas Pistoia), e Nicoletta Gherardi, presente in Serie A col Club Atletico Faenza dal 1974 al 1983. Nel recente passato, il livello più alto raggiunto dal sodalizio massese è stato il campionato di C1, disputato nel 2007/2008. Tennis Fondato nel 1967 (il primo presidente fu Otello Ronchi), il Circolo Tennis Massa Lombarda ha disputato ininterrottamente dal 2004 al 2015 il campionato nazionale di Serie A2. Nel campionato 2006 vestì i colori della maglia massese Renzo Furlan (ex n. 19 del mondo). Nel 2012 il CT ha disputato la sua prima finale-promozione. Nel giugno del 2015 la squadra romagnola ha vinto la sua seconda finale promozione approdando così in A1 per la prima volta nella sua storia. Ha disputato sei stagioni consecutive nella massima serie, fino al 2021. Un'altra squadra gareggia nel campionato dilettanti di Serie C. Il Circolo Tennis è anche il club dove mosse i primi passi Sara Errani, tennista di livello mondiale (nº 5 in singolare nel 2013 e nº 1 nel doppio nel 2012). Dal 1994 il C.T. organizza a fine agosto un torneo di livello nazionale, il «Trofeo Oremplast». Impianti sportivi Stadio "Dini e Salvalai": è lo stadio di Massa Lombarda. Attivo dalla stagione 1969-70, vi gioca la «A. C. Massa Lombarda». Attorno al campo vi è la pista di atletica leggera; Campi da tennis (due campi in terra battuta e uno con fondo sintetico) presso il Circolo Tennis cittadino. Nel 2018 sono stati realizzati due nuovi campi al coperto (e un terzo senza corridoi per gli allenamenti). La superficie è in Pvc Flex (flessibile) ITF2. Palazzetto dello Sport: vi giocano le squadre cittadine di pallavolo e pallacanestro. La costruzione risale agli anni settanta del XX secolo; entrò in funzione nell'autunno del 1979; Centro sportivo "Fruges": realizzato nella località situata a 3 km da Massa, vi gioca la locale squadra di calcio. Comprende due campi da calcio e un anello per il ciclismo. È in esercizio dal 22 novembre 2008. Società sportive La principale società calcistica è il «Massa Lombarda Calcio» (colori sociali: bianco-nero). Fondata nel 1924, disputa il campionato di Promozione regionale. In passato, un'altra società molto attiva in paese è stata la Polisportiva. Fu fondata nel 1961 con tre discipline: atletica leggera, tennis e pallacanestro. Per lunghi anni presidente del sodalizio sportivo fu Franco Trombetti. Sotto la sua dirigenza lo sport massese conobbe un intenso sviluppo, raggiungendo un elevato numero di aderenti, sia nel settore maschile che nel settore femminile. Negli anni ottanta del XX secolo, con lo scioglimento della Polisportiva, ogni gruppo sportivo ha continuato la propria attività in autonomia. Manifestazioni sportive Nel 2013 Massa Lombarda ha ospitato i Campionati italiani di maratona di Pattinaggio su strada. Note Bibliografia Luigi Quadri, Vita massese attraverso i secoli, Tipografia Massa Lombarda, 1909; (anonimo) Marmirolo e Massalombarda, Mantova, Tip. Alce, 1965; Luigi Quadri, Memorie per la storia di Massa Lombarda, Imola, Tip. Galeati, 1970; Mario Tabanelli, Questa è la Massa, Faenza, Lega, 1972. Mario Montanari (a cura di), Massa Antica, supplemento al Nuovo Giornale di Massa, Anno V, nº 11, dicembre 1981; Mauro Remondini, 1945-1980. Cronache di vita massese nei 35 anni del Comune, Aramini, 1984; don Orfeo Giacomelli, Un passato che rimane presente. Tutte le chiese di Massa Lombarda, opuscolo, 1985; Mario Montanari (a cura di), Passeggiavano col nastrino rosso, supplemento al Nuovo Giornale di Massa, Anno X, nº 12, dicembre 1986. Mario Montanari, Il filo delle stagioni, Edizioni Nuovo Giornale di Massa, 1999 Mario Montanari, 1915-1918. Diario massese della Grande Guerra, Edizioni Nuovo Giornale di Massa, 2002. Mario Montanari, Schizzi di Novecento (2006), Sprazzi di Novecento (2008), Squarci di Novecento (2011); Luigi Quadri, Memorie paesane. Gli uomini più illustri di Massa Lombarda, a cura di Domenica Martini, Comune di M. L., 1989; Lucio Donati, "Vicende architettoniche del complesso carmelitano di Massa Lombarda" in Studi Romagnoli, vol. XLVIII (1997), Cesena; Mauro Remondini, Il paese della frutta. Massa Lombarda 1919-1945., Imola, Grafiche Galeati, 1999; Luigi Mazzolani, Massa Lombarda nell'estimo Friggeri del 1665 e lo sviluppo della proprietà nel tempo, Faenza, Edit Faenza, 2000. Vincenzo Galvani, Massa Lombarda, la culla della frutticoltura e le sue geniali innovazioni, 2000 Voci correlate Città decorate al Valor Militare per la Guerra di Liberazione Francesco d'Este Rete Città Sane Romagna d'Este Ferrovia Budrio-Massalombarda Ferrovia Lavezzola-Lugo ex Strada statale 253 San Vitale Altri progetti Collegamenti esterni
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Mulhouse
Mulhouse (IPA ; in alsaziano Milhüsa; ) è una città della Francia del dipartimento dell'Alto Reno nella regione Grande Est. Storia Nella piana compresa tra il fiume Ill, che l'attraversa, e i vicini Vosgi si svolse una famosa battaglia nel 58 a.C. tra il condottiero romano, Gaio Giulio Cesare e il germano Ariovisto, durante la conquista della Gallia. Il nome di Mulhouse compare per la prima volta nell'803 nella forma Mulinhuson ("case dei mulini"). La città si sviluppò a partire da due nuclei, uno appartenente ai vescovi di Strasburgo, l'altro agli Hohenstaufen. Nel 1223 i cittadini distrussero il castello del vescovo. Sotto l'imperatore Rodolfo I d'Asburgo Mulhouse divenne città libera dell'Impero (freie Reichsstadt), anche nota come 'Repubblica di Mulhouse'. Nel 1515 la città, minacciata dagli Asburgo, si associò alla Confederazione Svizzera. In seguito all'introduzione della Riforma nel 1523 Mulhouse si scontrò coi cantoni cattolici. Nel 1586 si proclamò repubblica neutrale. Nel 1798, sulla scia della Rivoluzione Francese, insieme ad altre città votò con un plebiscito a favore dell'unione con la Francia. Dopo la Guerra Franco-Prussiana (1871) fu incorporata dal neonato Reich Tedesco insieme con tutta l'Alsazia. Tornò alla Francia con l'Alsazia dopo la sconfitta della Germania nella prima guerra mondiale. Monumenti e luoghi d'interesse Le principali attrattive di Mulhouse sono: Il municipio (hôtel de ville). Edificio in stile rinascimentale ricostruito nel 1551 dopo un incendio. Il tempio di Santo Stefano (Temple Saint-Étienne). Tempio riformato neogotico. La "Città dell'automobile – Museo nazionale" (Cité de l'automobile). La "Città del treno" (La cité du train). Il Museo di belle arti (Musée des beaux-arts). Il Museo Electropolis - L'avventura dell'elettricità La Casa della ceramica Economia Le principali risorse di Mulhouse sono: cotone, lana, industria meccanica e chimica. È presente uno stabilimento produttivo della Peugeot - Citroën. Vicino alla città si trovano importanti giacimenti di potassa, sfruttati in passato. Cantoni Prima della riforma del 2014 la città di Mulhouse era divisa nei seguenti cantoni, oggi soppressi: Cantone di Mulhouse-Est Cantone di Mulhouse-Nord Cantone di Mulhouse-Ovest Cantone di Mulhouse-Sud A seguito della riforma approvata con decreto del 21 febbraio 2014, che ha avuto attuazione dopo le elezioni dipartimentali del 2015, il territorio comunale della città di Mulhouse è stato diviso in tre cantoni: cantone di Mulhouse-1, comprendente parte della città di Muhouse cantone di Mulhouse-2, comprendente parte della città di Muhouse cantone di Mulhouse-3, comprendente parte della città di Muhouse e il comune di Illzach Società Evoluzione demografica Mulhouse risulta una delle città più cosmopolite d'Europa. Infatti oltre a moltissimi pendolari dalla Svizzera, Mulhouse ha una popolazione per il 35% non europea. La città ha anche la più grande comunità armena e romena di tutta la Francia. Amministrazione Gemellaggi Mulhouse è gemellata con: (Coopération décentralisée) (Coopération décentralisée) (Coopération décentralisée) Note Voci correlate Aeroporto di Basilea-Mulhouse-Friburgo Stazione di Mulhouse-Ville Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Monarchia
Monarchia
La monarchia, dall'etimologia del lemma (dal latino tardo monarcha(m), che è ), è una forma di governo in cui la carica di capo di Stato è ricoperta da un Re o da una Regina oppure un qualsiasi altro sovrano Nobiliare. Esistono tre tipi di monarchia: la monarchia assoluta, in cui il re detiene poteri assoluti ed è solitamente considerato un dittatore, la monarchia costituzionale, dove i poteri del re sono determinati e limitati da una costituzione e infine la monarchia parlamentare, dove il sovrano mantiene esclusivamente un ruolo cerimoniale e di conseguenza non governa (mantenendo poteri solo in via formale), lasciando al parlamento (o congresso) il potere legislativo mentre al governo quello esecutivo. Durante il medioevo, le monarchie si sono rapidamente diffuse in tutta Europa e nella stragrande maggioranza degli stati al mondo, monarchie solitamente assolute in cui il re (o nel caso di un Impero, un imperatore) era onnipotente e intoccabile. Nel corso del XX secolo, gran parte delle monarchie sono state abolite per diverse cause come guerre, colpi di Stato o referendum. Attualmente, le monarchie sono solitamente costituzionali e il sovrano ha un ruolo quasi sempre rappresentativo (o è comunque sottomesso a un parlamento), sebbene in Arabia Saudita e Città del Vaticano il sovrano abbia ancora poteri assoluti. Storia Età antica L'istituto della monarchia nacque in Egitto, a coronamento dell'unificazione del Paese, e fu fondato sull'idea della divinità del monarca. In Mesopotamia, si realizzò invece un processo di divinizzazione del monarca, passando attraverso stadi intermedi: prima re-sacerdote, poi ministro di dio, infine emanazione di dio o dio stesso (a partire dagli Accadi). Presso gli Ebrei l'avvento della monarchia coincise con l'unificazione del territorio; il monoteismo di questo popolo sbarrò la strada alla divinizzazione del monarca, che si dispiegò invece in Persia. In Grecia la forma monarchica già presente a Micene venne soppiantata per lungo tempo dalla struttura oligarchica o democratica delle poleis, per tornare vitale con l'impero macedone di Filippo e Alessandro Magno. Secondo il principio aristotelico, la monarchia è una delle tre forme sane di governo, assieme ad aristocrazia e politeia, mentre la sua forma degenerata è la tirannide. A Roma la monarchia fu la prima forma di governo (VII-VI a.C.), ma ebbe come contrappeso il Senato e i comizi curiati: questa situazione preparò il passaggio alla repubblica e continuò anche nella prima fase dell'impero, almeno fino a Vespasiano (70-79 d.C.) che formalizzò la successione ereditaria, dove l'Imperatore veniva formalmente investito del potere dal Senato dal popolo. Il principato e l'impero a Roma ebbero la forma di monarchia sia ereditaria sia elettiva, in quanto l'imperatore era o un erede del princeps defunto oppure era scelto per acclamazione da parte gli eserciti nelle province oppure per elezione da senato o ordine pretoriano tra gli eredi o infine tra chi ritenevano più opportuno: non solo chi fosse il migliore a ricoprire quel ruolo, ma soprattutto chi meglio potesse soddisfare gli interessi della parte elettrice. Medioevo Per i popoli barbarici il Re era essenzialmente il capo militare e solo successivamente si trasformò in capo politico. La sua scelta avveniva per elezione e il potere restò quindi a lungo limitato dalle assemblee dei "liberi" prima e dei "grandi" poi. La forma monarchica assoluta e divinizzata lasciata in eredità dal mondo romano faticava a conciliarsi con la forte tendenza germanica all'autonomia individuale. Definitiva stabilità fu raggiunta solo con l'incoronazione di Carlo Magno il 25 dicembre 800. Infatti il potere della dinastia carolingia veniva da Dio, tramite il pontefice, e non più dal popolo ed era assai più estesa che in precedenza. Poiché la base di consenso non doveva più essere ricercata nei legami tribali, divenne predominante il vincolo feudale che poneva al vertice del sistema il Re, ma attribuiva anche grandissimo potere alla nobiltà terriera. Eta moderna e contemporanea Quando, a partire dalla fine dell'XI secolo, l'omogenea struttura feudale cominciò a trasformarsi in un complesso più articolato, la monarchia venne a porsi come indispensabile strumento di mediazione tra le varie forze in campo (nobiltà e borghesia, centri cittadini e campagna feudale). Dove le forze centrifughe non prevalsero si diffuse una monarchia dalle nuove caratteristiche (Spagna, Francia, Regno Unito, ecc.), centro di un'estesa burocrazia, motore di una capillare rete finanziaria, organizzatrice di un forte esercito stanziale. Tale forma di governo centralizzata fu detta "monarchia assoluta", e in essa il Re rivestì non più il ruolo di arbitro, posto in posizione di superiorità rispetto ai diversi gruppi sociali, ma quello di fonte del diritto. A oggi la forma monarchica più diffusa in occidente è attualmente la monarchia parlamentare, mentre in Asia alcune monarchie, come l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, sono assolute. Descrizione A capo di tale forma di stato vi è il monarca che è considerato un membro a parte rispetto al resto delle persone dello Stato che sono suoi sudditi. Forme di monarchia Le forme di monarchia possono fondamentalmente essere ricondotte a tre: monarchia assoluta in cui il sovrano esercita tutti i poteri, esecutivo, legislativo e giudiziario, coadiuvato da ministri o altri funzionari da lui nominati senza condizionamento alcuno; monarchia costituzionale, in cui il sovrano è limitato nei suoi poteri da uno statuto costituzionale: pur nella diversità dei casi, vi è comunque un parlamento che approva leggi, che entrano però in vigore solo se il sovrano le approva; il sovrano è titolare del potere esecutivo, pur esistendo un governo e spesso anche un primo ministro scelto dal sovrano; il potere giudiziario è amministrato da giudici nel nome del sovrano; monarchia parlamentare: in cui il sovrano è fortemente limitato nei suoi poteri da una costituzione, da un parlamento e da un governo, scelto normalmente dal parlamento o dal popolo e non dal sovrano. Quest'ultimo ha un potere perlopiù rappresentativo, ma in alcuni casi è a capo delle forze armate, può sciogliere il parlamento e porre un diritto di veto a leggi contrarie alla costituzione. Successione al trono Quando il monarca cessa le sue funzioni, per morte, rinuncia o dimissioni (dette abdicazione) o destituzione, viene sostituito da uno nuovo: si parla dunque di successione al trono. La successione può essere ereditaria o elettiva. Nella successione ereditaria il trono passa al figlio o in mancanza al parente più prossimo, nel contesto di una stessa famiglia, detta dinastia. Si hanno fondamentalmente tre varianti a seconda della possibilità delle persone di sesso femminile di ereditare il trono: la legge salica, che esclude totalmente il sesso femminile nella successione (es. Liechtenstein, Marocco e Giordania); la legge semisalica, che privilegia il sesso maschile al femminile, pur non escludendo quest'ultimo: la figlia femmina di maggiore età eredita il trono in mancanza di figli maschi (es. Spagna e Principato di Monaco); la legge di primogenitura, dove ambo i sessi hanno la medesima priorità. La legge di primogenitura era assente fino alla fine del secolo scorso nelle attuali monarchie europee. È stata progressivamente adottata dalle monarchie che hanno abbandonato la legge salica e la legge semisalica: Svezia (1980) e Norvegia (1990) hanno abbandonato la legge salica adottando quella di primogenitura; Paesi Bassi (1983), Belgio (1991), Danimarca (2009), Lussemburgo e Regno Unito (2011) sono passati dalla legge semisalica alla legge di primogenitura. Nel caso di monarchia elettiva, i sovrani sono eletti o nominati da un collegio elettorale a vita o per un periodo definito. Esempi storici di monarchia elettiva sono gli imperatori del Sacro Romano Impero o i monarchi della Confederazione polacco-lituana o del Regno di Haiti. Attualmente questa forma di monarchia esiste in Malaysia. Anche il papa della Chiesa cattolica, sovrano della città del Vaticano, è eletto da un collegio di cardinali. Vi sono infine monarchie, come il Liechtenstein, in cui la Costituzione assegna al popolo la facoltà di chiedere l'abdicazione del regnante e farne nominare un altro da un collegio. Analisi critica Secondo Jean Bodin il sovrano assoluto si riveste di una sovranità che appartiene originariamente al popolo, ma di cui questo può spogliarsi in modo irrevocabile, conferendola a un principe. Ciò può avvenire per favorire l'opera di revisione e modernizzazione del diritto che il sovrano feudale, sostanzialmente custode delle tradizioni, non poteva svolgere appieno. In questo senso il sovrano assoluto, invece, è legibus solutus, cioè libero dal vincolo costituito dalla legislazione precedente. Il coinvolgimento a Corte della grande nobiltà favorirà questo processo di accentramento del potere, impedendo all'aristocrazia di ostacolare la burocratizzazione del territorio. Il quadro della tutela dei diritti umani offerto dalle monarchie è stato talvolta criticato, eppure la medesima ricerca accademica politologica ha notato che: Per converso, alcuni degli argomenti contrari alla sopravvivenza delle monarchie vanno maneggiati con cautela: secondo Karl Loewenstein, ad esempio, va abbandonato il tradizionale argumentum ad hominem contro le monarchie, secondo cui l'ereditarietà delle malattie per l'endogamia delle famiglie reali ne avrebbe indebolito la fibra necessaria per governare; tale argomento risuona di pregiudizi eugenetici utilizzati dal nazismo. Nel mondo Monarchie attuali Attualmente ci sono 43 monarchie nel mondo. In particolare, 15 di questi regni hanno per capo di Stato il re del Regno Unito in quanto membri del Commonwealth. Andorra è l'unica tra tutte le monarchie esistenti a essere una diarchia: infatti il ruolo di sovrano è condiviso dal presidente della Francia e dal vescovo di Urgell. Andorra Antigua e Barbuda Arabia Saudita Australia Bahamas Bahrein Belgio Belize Bhutan Brunei Cambogia Canada Città del Vaticano Danimarca Emirati Arabi Uniti Giamaica Giappone Giordania Grenada Isole Salomone Kuwait Lesotho Liechtenstein Lussemburgo Malaysia Marocco Monaco Norvegia Nuova Zelanda Oman Paesi Bassi Papua Nuova Guinea Qatar Regno Unito Saint Kitts e Nevis Saint Vincent e Grenadine Saint Lucia Samoa Spagna Svezia eSwatini Tonga Tuvalu Monarchie abolite Ancor più numerose sono le monarchie abolite. Vi sono stati paesi tuttavia che non sono mai stati monarchie, ad esempio la Svizzera e San Marino. Note Voci correlate Monarca Monarchia assoluta Monarchia costituzionale Monarchie abolite Monarchia parlamentare Altri progetti Collegamenti esterni Paesi europei con la monarchia attualmente, PolarStar.Online Forme di sovranità
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Marketing
Il marketing (termine inglese, in italiano anche commercializzazione o mercatistica o mercatologia) è un ramo dell'economia che si dedica all'analisi e comprensione di un determinato mercato di riferimento. In particolare, il marketing si focalizza sull'indagine dell'interazione del mercato e degli utenti di un'impresa al fine di ottimizzare le strategie commerciali e promozionali per raggiungere gli obiettivi aziendali. Il termine deriva da market cui viene aggiunta la desinenza del gerundio per indicare la partecipazione attiva, cioè l'azione sul mercato stesso da parte delle imprese. Diverse sono le definizioni possibili del marketing, a seconda del ruolo che nell'impresa viene chiamata a ricoprire in rapporto al ruolo strategico, al posizionamento dell'impresa nel suo ambito competitivo di mercato. Storia Le origini del "concetto di marketing" si possono far risalire all'economista italiano Giancarlo Pallavicini, che nel 1959 sviluppò approfondimenti sulle ricerche di mercato, costituenti, di fatto, i primi strumenti di quello che divenne poi il marketing moderno, ripresi e sviluppati in un secondo tempo da Philip Kotler. La definizione principale viene da Philip Kotler, riconosciuto all'unanimità quale padre dei più recenti sviluppi della materia per i lavori apparsi dal 1967 al 2009, con l'ultimo lavoro nato dall'analisi della grande recessione del 2007: Chaotics. Negli anni il marketing ha subito una rapida e forte evoluzione che ha segnato la concezione stessa del marketing come ambito di ricerca. Tale tendenza è rintracciabile nell'evoluzione delle definizioni che l'American Marketing Association, l'organismo più autorevole nella ricerca di marketing al mondo, ha coniato a partire dagli anni 1980. Tipologia Vengono riconosciuti tre tipi di marketing: marketing analitico: studio del mercato, della clientela, dei concorrenti e della propria realtà aziendale; marketing strategico: è un'attività di pianificazione, tradotta in pratica da un'impresa, per ottenere, pur privilegiando il cliente, la sua fidelizzazione e la collaborazione da parte di tutti gli attori del mercato. marketing operativo: attiene invece a tutte quelle scelte che l'azienda pone in essere per raggiungere un obiettivo all'interno di una strategia. Il dibattito sulla definizione Nel 1985, l'AMA Board, dava questa definizione: Questa visione è molto simile a quella finora descritta nelle precedenti definizioni. Negli ultimi anni, il marketing ha iniziato invece ad abbandonare la prospettiva transazionale, per concentrarsi maggiormente nell'ottica marketing relazionale. L'AMA ha ridefinito ulteriormente il concetto di marketing nel luglio 2013, poiché questa disciplina si sta spostando verso nuovi orizzonti. Così viene descritta: Giancarlo Pallavicini introduce, infatti, le seguenti definizioni: Il marketing viene definito come quel processo sociale e manageriale diretto a soddisfare bisogni ed esigenze attraverso processi di creazione e scambio di prodotto e valori. È l'arte d'individuare, creare e fornire valore per soddisfare le esigenze di un mercato di riferimento, realizzando un profitto: delivery of satisfaction at a price. Il marketing management consiste invece nell'analizzare, programmare, realizzare e controllare progetti volti all'attuazione di scambi con mercati-obiettivo per realizzare obiettivi aziendali. Esso mira soprattutto ad adeguare l'offerta di prodotti o servizi ai bisogni e alle esigenze dei mercati-obiettivo ed all'uso efficace delle tecniche di determinazione del prezzo, della comunicazione e della distribuzione per informare, motivare e servire il mercato. Tuttavia sono state proposte anche altre definizioni. Citiamo in primo luogo quella di Russell Winer: William Pride e O.C. Ferrel ne danno una definizione più globale: Il ruolo e la funzione Esso comprende tutte le azioni aziendali riferibili al mercato destinate alla vendita di prodotti o servizi, considerando come finalità il maggiore profitto e come causalità la possibilità di avere prodotti capaci di realizzare tale operazione finanziaria. Philip Kotler distingue, nella storia economica recente, quattro strategie di approccio al mercato da parte dell'impresa: Orientamento alla produzione: in questo periodo, dalla Rivoluzione industriale fino alla metà del Novecento, il mercato è caratterizzato da una predominanza della domanda sull'offerta dovuta al fatto che il cliente ha bisogno praticamente di tutto. Unica preoccupazione dell'imprenditore è ridurre i costi di produzione, azione giustificata soprattutto nei mercati dove prevalgono beni commodity, e dove quindi si può vincere con la concorrenza di prodotto. Orientamento al prodotto: intorno agli anni trenta del Novecento l'impresa si concentra sulla tecnologia del prodotto, piuttosto che sul consumatore. Il rischio di questa strategia è la cosiddetta miopia di marketing (in inglese marketing myopia), cioè non accorgersi che il fattore chiave di successo per un'azienda non è dal lato dell'offerta ma della domanda, cioè del bisogno o funzione che il cliente deve soddisfare (rendendo quindi vani gli sforzi per sostenere un prodotto se esistono tecnologie alternative più comode/economiche/efficaci). Orientamento alle vendite: a partire dagli anni cinquanta e sessanta del Novecento si cerca di vendere ciò che si produce. È una prospettiva di tipo inside-out, praticata soprattutto nel breve termine, e con prodotti/servizi a bassa visibilità (unsought goods), oppure in casi di sovrapproduzione, o ancora quando un mercato è saturo (e quindi va conquistato con la forza vendita). Anche in questo caso il rischio è di capire poco cosa desidera il consumatore finale. Orientamento al marketing: consiste nella comprensione dei bisogni del cliente, per produrre i beni e quindi soddisfarli. È una prospettiva di tipo outside-in, o anche pull (capire il mercato) anziché push (spingere sul mercato). Nasce alla fine degli anni novanta ed è in continuo sviluppo ancora oggi. Lo sviluppo della funzione del marketing nelle imprese è parte di una strategia di mercato che viene definita "proattiva", dove l'impresa ha un ruolo propositivo nei confronti dei bisogni del mercato. Tuttavia, si può considerare come categoria a sé stante il progress marketing, basato sui nuovi media. I destinatari Il marketing può rivolgersi ai consumatori, e in questo caso si parla di marketing B2C, (business to consumer, "dall'impresa al consumatore"), spesso definito semplicemente marketing; oppure, può rivolgersi al mercato delle imprese, e in questo caso prende il nome di marketing industriale o marketing B2B, (business to business, "da impresa a impresa"). Sono da citare anche il marketing dei servizi (compagnie aeree, catene alberghiere, ecc.) e il marketing istituzionale (fatto cioè da istituzioni). Di significato meno economico è il marketing politico, così come quello che le aziende riservano ai propri dipendenti e che viene comunemente definito, sebbene impropriamente, marketing B2E (business to employee, "da impresa a dipendente"). Questa attività pertanto può fungere da "interfaccia" tra l'impresa e il contesto esterno (insieme al settore vendite, import/export, pubbliche relazioni e altri), osservandone il comportamento e presidiando, almeno in parte, i flussi informativi uscenti dall'impresa (voluti o non voluti), e incrementando le conoscenze provenienti dall'esterno; tra queste sono compresi i deboli segnali che consentono di comprendere, possibilmente in tempo utile, le modifiche al mercato che si realizzeranno in un prossimo futuro. L'analisi della posizione competitiva dovrebbe essere diffusa nella direzione delle varie funzioni, ma spesso è lasciata al marketing, che utilizza modelli come le "5 forze di Porter" (teorizzate dal docente universitario statunitense Michael Porter), modelli analitici come la matrice del Boston Consulting Group o le 7S della McKinsey, le ricerche ed indagini di mercato e le segmentazioni del mercato. Il marketing è inoltre volto alla creazione del valore per il cliente, e uno dei suoi scopi è creare un posizionamento della marca (brand) nella mente del consumatore attraverso tecniche di brand management. Le ultime tendenze sono volte allo studio del marketing esperienziale, che abbraccia la visione del consumo come esperienza, in cui il processo di acquisto si fonde con gli stimoli percettivi, sensoriali ed emozionali. In ambito sanitario in senso lato, con l'espressione disease-mongering si indica l'utilizzo di particolari strategie di marketing, finalizzate all'introduzione di un protocollo terapeutico o nuove procedure diagnostico/terapeutiche o di un farmaco già pronto o prossimo all'immissione in commercio. Ciò attraverso una opportuna campagna di sensibilizzazione finalizzata all'introduzione di quadri clinici non strettamente patologici, per indurre il consumatore e/o paziente alla ricerca di una soluzione alle sue "presunte" malattie, che lo rendono comunque sofferente, allo scopo di generare nuovi mercati di potenziali pazienti. I soggetti che normalmente beneficiano dall'utilizzo di queste strategie sono le aziende farmaceutiche, i medici e le loro organizzazioni professionali e quelle dei consumatori, gli oggetti di queste strategie sono i consumatori, gruppi particolari di pazienti o intere classi sociali. Struttura di un piano di marketing Il piano di marketing è la pianificazione della strategia a livello corporate/aziendale, ed è diviso nelle seguenti fasi: Introduzione al piano Executive Summary Mission e obiettivi di fondo Analisi della situazione di marketing Audit esterno Audit interno Analisi SWOT Pianificazione Obiettivi del marketing Programma d'azione Controlli di marketing. Introduzione al piano L'introduzione al piano include una sintesi manageriale, chiamata Executive Summary, e i suoi macro-obiettivi. Executive Summary LExecutive Summary è il riassunto manageriale del piano di marketing; apre il documento per mettere in risalto i principali obiettivi di marketing e le linee guida d'azione pianificate e un breve estratto delle previsioni economiche finanziarie. Mission e obiettivi di fondo Nella mission sono messi in evidenza gli obiettivi di fondo che l'impresa vuole raggiungere nel breve e/o medio lungo periodo e che ispireranno la successiva analisi e pianificazione. La loro declinazione è preceduta da alcuni riferimenti alla mission aziendale e ai valori dell'impresa, fonte d'ispirazione delle politiche di marketing strategico. Analisi della situazione di marketing L'analisi della situazione di marketing serve per fare il punto della situazione su quanto accade all'esterno e all'interno dell'impresa, è fondamentale perché racchiude in sé tutte le informazioni fondamentali per supportare le pianificazioni. È necessario effettuare un audit di marketing volto da un lato a mettere a fuoco gli obiettivi in cui già opera e le forze operanti nell'ambiente di marketing; dall'altro a valutare il pregresso dell'impresa in termini di performance. Audit esterno Scopo dell'audit esterno è quello di stabilire quali sono i confini di massima dell'azione di marketing dell'azienda; un altro aspetto da considerare è il fattore di stagionalità dei mercati serviti. Per fare ciò è necessario avere un'approfondita analisi della domanda in modo tale da sapere i bisogni e il comportamento d'acquisto e d'uso dei clienti e consumatori; a ciò si collegano le forze di marketing che sono forze economiche, forze socio-demografiche, forze tecnologiche e politiche e forze competitive. Audit interno Obiettivo dell'audit interno è capire quali sono le risorse, le azioni e i risultati su cui l'azienda può contare per il futuro. Per i piani di marketing che si riferiscono ai prodotti esistenti, il focus è sulle caratteristiche dell'offerta, del brand, sulle politiche di prezzo adottate, sulle scelte di comunicazione, distribuzione e vendita adottate. Nel caso di nuovi prodotti, le valutazioni si limitano a eventuali ricerche di mercato condotte a livello di concept test, alle risorse esistenti che potrebbero essere impiegate a supporto del lancio e del successivo sviluppo. Analisi SWOT Lo scopo dell'analisi SWOT (acronimo di strengths, weaknesses, opportunities e threats) è sia quello di analizzare la situazione interna all'azienda, sia quello di far fronte a fenomeni esterni che non dipendono direttamente dall'impresa, ma che essa potrebbe sfruttare o arginare traendone un vantaggio competitivo. Bisogna, quindi, pianificare il futuro tenendo conto delle possibili opportunità o minacce da cui difendersi che l'ambiente di marketing riserva all'azienda. L'identificazione delle opportunità e delle minacce ambientali costituisce la prima parte dell'analisi SWOT. La parte alta della matrice SWOT fa riferimento all'ambiente di marketing che circonda l'impresa; quella inferiore contiene le valutazioni riferite all'audit interno. In questo secondo caso l'utilità è di isolare i principali punti di forza e di debolezza competitiva che dovrebbero consentire all'azienda di far fronte alle minacce, e di sfruttare le opportunità di mercato. Inoltre la SWOT se ben utilizzata può aiutare a far comprendere le priorità aziendali e stabilire gli obiettivi di marketing. Pianificazione Durante la fase di pianificazione il management è chiamato a definire concretamente i traguardi, definire il programma d'azione e pianificare il sistema di controllo delle performance di marketing. Obiettivi del marketing Gli obiettivi del marketing possono essere obiettivi economici, obiettivi competitivi e obiettivi relazionali. Nella formulazione degli obiettivi vi sono alcune regole di fondo da adottare. Gli obiettivi dovranno essere mirati, rilevanti, misurabili, tempificati e realistici e economici. Programma d'azione Scopo del programma d'azione è pianificare un set d'azioni mirate, efficaci ed efficienti; evidenziare in modo chiaro il legame esistente tra le evidenze delle analisi, della SWOT, quindi degli obiettivi e delle azioni mirate per ciascun target di riferimento. In questa fase si affrontano il prodotto e la marca, le politiche di prezzo, i canali distributivi e forza vendita, promozione e comunicazioni, il piano d'azione e le scelte di struttura. Controlli di marketing All'interno del piano di marketing è presente una sezione importante riservata alle previsioni economiche e all'individuazione di indicatori chiave di successo del piano (KPI, Key Performance Indicator). Le previsioni economiche sono rappresentate dal budget del piano, che fornisce un'indicazione dei ricavi attesi, delle spese di marketing associate e dal ritorno sull'investimento di marketing (ROI, Return on Investment). Questa fase della pianificazione consente al management di valutare la sostenibilità economica delle azioni di marketing previste e degli obiettivi programmati. L'ideazione del nome Per comunicare efficacemente un prodotto o un servizio, il suo nome è spesso un fattore determinante del suo potenziale successo. La scelta del nome è un'operazione detta naming (in inglese "dare un nome"). Il naming ha la funzione di tracciare cognitivamente l'identità di marca verso i desideri, le esigenze e le richieste del consumatore. La scelta del nome è un'azione primaria nelle operazioni di gestione del marchio, risultato di un processo dove la strategia si traduce in creatività nella forma del nome. È infatti una delle attività chiave nella comunicazione pubblicitaria e si determina tramite riunioni di coordinamento col committente (i cosiddetti briefing). La psicologia del marketing ed il neuromarketing La psicologia del marketing si occupa di analizzare diversi ambiti, tra questi in particolare, vengono evidenziate dal Consiglio Nazionale dell'Ordine degli Psicologi: il ruolo delle immagini mentali, gli effetti degli elementi visivi e verbali della pubblicità sulle credenze, gli atteggiamenti e le risposte comportamentali, le funzioni e le caratteristiche della pubblicità emotiva, la valutazione psicofisiologica delle risposte alla pubblicità, la struttura latente dei messaggi pubblicitari e delle reazioni individuali e collettive, la psicologia del consumatore e i comportamenti di consumo. La psicologia del marketing rappresenta un territorio di ricerca interdisciplinare, dove confluiscono i contributi delle scienze cognitive, delle neuroscienze, e della psicologia sociale e della psicologia dinamica, con una forte attenzione all'analisi degli atteggiamenti e della loro costruzione. Il neuromarketing è una branca della neuroeconomia che applica la neuropsicologia e le neuroscienze nel campo di ricerca del marketing, studiando la risposta sensomotoria, cognitiva e affettiva dei consumatori agli stimoli relativi a prodotti, marche o pubblicità, con l'obiettivo di determinare le strategie che spingono all'acquisto. Il neuromarketing raccoglie informazioni in grado di illustrare la logica che sta alla base delle decisioni di acquisto del consumatore e le loro reazioni agli stimoli della commercializzazione. I potenziali vantaggi per i professionisti che si occupano di marketing includono: strategie commerciali più efficienti ed efficaci, miglior qualità dei prodotti e delle campagne pubblicitarie e, in ultima analisi, comprendere quali siano i bisogni e desideri in grado di soddisfare le esigenze del consumatore. Note Bibliografia Philip Kotler, Foundations of Marketing. Philip Kotler, Marketing management, 2005. Malcom McDonald, Mike Meltrum, Il linguaggio del markeeting, Tecniche Nuove, 2013. Giancarlo Pallavicini, Banche e ricerche di mercato, in "Il Risparmio", A.C.R.I, Roma, 1959. J. Paul Peter, James H. Donnelly Jr., Carlo Alberto Pratesi, Marketing, McGraw-Hill, 2006. William Pride, O.C. Ferrel, Marketing, McGraw-Hill, 2005. William J. Stanton e Riccardo Varaldo, Marketing, Edizione Il Mulino. Keith Williams, Anna Trani, Psicologia per il marketing, Il mulino, 2001. Voci correlate Captologia Closed Loop Marketing Diversity marketing Economia aziendale Effetto esca Effetto vicinato Fattore assillo Lead user Marketing audit Marketing fieristico Marketing legale Marketing mix Marketing relazionale Marketing verde Naming Neuromarketing Passaparola Posizionamento Planner (marketing) Psicologia del marketing Pubblicità Place branding Quota trattanti Rebranding Segmentazione (marketing) Servizio Service design Shopper-marketing Video marketing You meet the nicest people on a Honda Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/MSQL
MSQL
mSQL o miniSQL è un piccolo DBMS che supporta le connessioni TCP/IP ed un piccolo sottoinsieme dell'SQL. È molto semplice e veloce e dalla versione 3 può funzionare come mono-processo (per risparmiare memoria) o multiprocesso (per maggiori prestazioni). Originariamente sviluppato nel 1994, mSQL ha riempito il vuoto che esisteva tra i database embedded o da desktop come Microsoft Access e i database commerciali di alto livello, come Oracle e DB2. Tra il 1994 e il 1997, è cresciuto in popolarità ed è divenuto la prima scelta dei programmatori Open Source. Sebbene fosse il database Open Source più usato, mSQL di per sé non era una tecnologia aperta. Dal 1996, lo sviluppo di mSQL ha iniziato a ristagnare e MySQL ha preso il suo posto. Dal 1999, MySQL è andato ben oltre mSQL in termini di popolarità, cosicché oggi la maggior parte dei programmatori nemmeno conoscono mSQL. Nonostante ciò, il suo sviluppo continua ancor oggi. La licenza è shareware e l'uso è gratuito per le organizzazioni non-profit. Collegamenti esterni Software proprietari per basi di dati
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https://it.wikipedia.org/wiki/Matera
Matera
Matera (AFI: , ; Matàrë in dialetto materano, pron. ) è un comune italiano di abitanti, capoluogo dell'omonima provincia della Basilicata. È conosciuta nel mondo per gli storici rioni Sassi, che ne fanno una delle città ancora abitate più antiche al mondo. I Sassi sono stati riconosciuti il 9 dicembre 1993, nell'assemblea di Cartagena de Indias (Colombia), patrimonio dell'umanità dall'UNESCO, primo sito dell'Italia meridionale a ricevere tale riconoscimento. Nel 1663 fu separata dalla provincia di Terra d'Otranto, di cui aveva fatto parte per secoli, per divenire, fino al 1806, capoluogo dell'allora provincia di Basilicata nel Regno di Napoli. Durante questo periodo la città conobbe un'importante crescita economica, commerciale e culturale. Matera è stata la prima città del meridione a insorgere in armi contro il nazifascismo ed è per questo tra le città decorate al valor militare per la guerra di liberazione essendo stata insignita nel 1966 della medaglia d'argento al valor militare e tra le città decorate al valor civile essendo stata insignita nel 2016 della medaglia d'oro al valor civile. Il 17 ottobre 2014 è stata designata, insieme alla bulgara Plovdiv, capitale europea della cultura per il 2019. Nel 2021 fu sede del G20 dei Ministri degli Affari esteri e Ministri dello Sviluppo. Geografia fisica Territorio La città si trova nella parte orientale della regione Basilicata a , al confine con la parte sud-occidentale della città metropolitana di Bari (con i comuni di Altamura, Gravina in Puglia e Santeramo in Colle) e l'estrema parte nord-occidentale della provincia di Taranto (con i comuni di Ginosa e Laterza). Sorge sulla continuazione dell'altopiano delle Murge ad est e la fossa Bradanica ad ovest, solcata dal fiume Bradano. Il corso di questo fiume è sbarrato da una diga, costruita alla fine degli anni cinquanta per scopi irrigui, e il lago artificiale creato dallo sbarramento, chiamato lago di San Giuliano, fa parte di una riserva naturale regionale denominata riserva naturale di San Giuliano. La gravina di Matera, un torrente affluente di sinistra del Bradano, scorre nella profonda fossa naturale che delimita i due antichi rioni della città: Sasso Barisano e Sasso Caveoso. Sull'altra sponda c'è la Murgia, rientrante in parte nel Parco Regionale Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri, noto anche come parco della Murgia Materana. I "Sassi", assieme alle cisterne ed i sistemi di raccolta delle acque, sono la caratteristica peculiare di Matera. Si tratta di antichi aggregati di case scavate nella calcarenite, a ridosso di un profondo burrone, la "Gravina". Alla fine del 1993 l'UNESCO ha dichiarato i rioni Sassi patrimonio mondiale dell'umanità. Nelle campagne presso Timmari vi è inoltre un vulcano di fango di nuova formazione. Confina con i comuni di Montescaglioso, Altamura, Miglionico, Laterza, Santeramo in Colle, Ginosa, Gravina in Puglia e Grottole. Inoltre, con di estensione territoriale, Matera è il comune più esteso della Basilicata. Classificazione sismica: zona 3 (sismicità bassa), Ordinanza PCM n. 3274 del 20/03/2003 Clima Secondo i dati medi del trentennio 1961-1990, la temperatura media del mese più freddo, gennaio, si attesta a , mentre quella del mese più caldo, agosto, è di . Classificazione climatica di Matera: Zona climatica D; Gradi giorno 1776. Origini del nome Secondo alcune ipotesi (per esempio quella di Cely Colajanni), Matera anticamente veniva chiamata Mataia ole dai Greci, che deriva da Mataio olos, il cui significato è tutto vacuo, con riferimento alla Gravina, fossa attraversata da torrenti; ulteriore ipotesi è che il nome derivi da Mata (cumulo di rocce), radice utilizzata per diversi nomi geografici. Un'altra teoria fa derivare Matera dal greco Meteoron ovvero cielo stellato, dato che alcuni cronisti del passato, osservando i Sassi illuminati di notte, li hanno descritti come un riflesso del cielo stellato soprastante. E non manca chi ricollega il toponimo a Mater ovvero "madre terra", a Materia (matheria) o Materies, termini che indicavano la legna da taglio o da costruzione, in riferimento alle zone boschive in cui la città sorgeva; in realtà fu derivato a torto dal latino materia, in quanto si tratta alle origini di basi che designano "la terra della gravina"; -eria è una voce con significato di "fossato, gravina": accad. ḫāru, ḫarru, ḫarû (scavare in profondità). Incrocio di mātu con la base di accad. matāḫu (elevarsi). Il Gattini, invece, riferisce il toponimo ai termini ebraici Matterah (carcere) o Me terah (acqua pura). Altri sostengono che il nome derivi dalle iniziali di Metaponto ed Heraclea, avendo accolto profughi delle due città dopo la loro distruzione; infine Mateola, nome antico della città, potrebbe derivare dal consolato romano di Quinto Cecilio Metello Numidico, che la riedificò e la fece cingere di mura e di alte torri, oppure da "terra alta": matu, aramaico mata (terra) elû (alta). Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia (Liber III, 105) chiamò Mateolani gli abitanti della città e li elencò tra gli Apuli, anche se la desinenza dell'aggettivo in -anus evidenzia chiaramente l'influenza osca dei Lucani, in quanto la città era situata proprio sul confine apulo-lucano nella regione anticamente chiamata Peucezia. Storia Le origini di Matera sono molto remote e ne è testimonianza il ritrovamento nel territorio circostante di alcuni insediamenti senza soluzione di continuità sin dall'età paleolitica. Infatti nelle grotte sparse lungo le Gravine materane sono stati ritrovati diversi oggetti risalenti a quell'epoca, testimonianti la presenza di gruppi di cacciatori. Nel periodo Neolitico gli insediamenti diventarono più stabili, tanto che sono presenti tracce evidenti di diversi villaggi trincerati che risalgono a quel periodo, in particolare sulla Murgia Timone. Con l'Età dei metalli nacque il primo nucleo urbano, quello dell'attuale Civita, sulla sponda destra della Gravina. Sorta su un preistorico villaggio trincerato, la città ha probabili origini greche, come afferma il Volpe nelle sue Memorie storiche profane e religiose sulla città di Matera, citando anche l'Ughelli, il Pacichelli ed il Padre Bonaventura da Lama che erano giunti a tale conclusione. Ciò sarebbe confermato dall'emblema della città, il bue con le spighe di grano, che secondo il Volpe stesso è un simbolo tipico della Magna Grecia; inoltre il Gattini cita l'ipotesi di alcuni storici secondo i quali riprodurrebbe l'emblema della città di Metaponto, che era appunto un bue, mentre le spighe di grano erano figure ricorrenti nelle monete greche. Gattini a conferma di ciò cita anche alcuni versi del poeta Tommaso Stigliani: «Il marinaro di Metaponto antica, la quale a nostra età dett'è Matera», e fa riferimento all'accoglienza data da Matera ai profughi metapontini dopo la distruzione della loro città da parte di Annibale. Nel periodo della Magna Grecia Matera ebbe stretti rapporti con le colonie situate sulla costa meridionale e, successivamente, in età romana fu solo centro di passaggio ed approvvigionamento. Nel 664 d.C. Matera passò sotto il dominio longobardo e venne annessa al Ducato di Benevento. I secoli IX e X furono caratterizzati da aspre lotte fra gli stessi Longobardi, i Saraceni ed i Bizantini, che tentarono più volte di impadronirsi del territorio; la città fu distrutta nell'867 dalle truppe di Ludovico II, imperatore dei Franchi, proprio nel tentativo di cacciare i Saraceni che nel 847 avevano costituito l'emirato di Bari. Nel frattempo, a partire dall'VIII secolo, diversi monaci si stabilirono lungo le grotte della Gravina trasformandole in chiese rupestri. Dopo l'insediamento dei Normanni avvenuto nel 1043 la città conobbe un periodo di pace. Nei secoli seguenti, fra carestie e terremoti, Matera fu a lungo città Regia, in quanto si liberava dal dominio feudale riscattandosi più volte, ma sotto gli Aragonesi la città fu ceduta al conte Giovan Carlo Tramontano, che nel 1514 venne ucciso dalla popolazione oppressa dalle tasse. Nel 1663, in epoca spagnola, Matera uscì dalla provincia di Terra d'Otranto, di cui fino ad allora era parte integrante, diventando capoluogo della Basilicata e sede di Regia Udienza. Tale titolo le rimase fino al 1806, quando Giuseppe Bonaparte trasferì le competenze a Potenza. Nel periodo risorgimentale, il comitato prodittatoriale lucano non mantenne le promesse sulla redistribuzione delle terre demaniali, cominciò a diffondersi un malessere, anche fomentato dai legittimisti, che a Matera esplose l'otto agosto 1860 con l'eccidio Gattini, primo sintomo di ribellione che precedette il brigantaggio postunitario. Nel 1927 la città divenne capoluogo di provincia. Matera fu la prima città del Mezzogiorno ad insorgere contro i nazisti; infatti il 21 settembre 1943, giorno dell'insurrezione e della strage di Matera, il popolo materano insorse contro l'oppressione esercitata dall'occupazione nazista. Undici persone trovarono la morte a seguito dei mitragliamenti tedeschi in ritirata. La giornata raggiunse il suo culmine con la feroce rappresaglia nazista che costò la vita ad altre 15 persone, sia civili che militari, fatte saltare in aria nel "palazzo della milizia". Nel 1945 vi furono tra le prime nel meridione, sommosse popolari per l'assegnazione delle terre incolte che si risolsero con l'emanazione fra il 1946 e il 1947 dei decreti Ponte (da Aurelio Ponte, prefetto di Matera); furono anticipatarie della riforma agraria. Nel 1948 nacque la questione dei Sassi di Matera, sollevata da Palmiro Togliatti prima, e da Alcide De Gasperi dopo. Nel 1952 una legge nazionale stabilì lo sgombero dei Sassi e la costruzione di nuovi quartieri residenziali che svilupparono la città nuova nella quale confluirono i 15.000 abitanti dei Sassi. Nel 1980 fu parzialmente danneggiata dal terremoto dell'Irpinia e dalle scosse che seguirono. Nel 1986 una nuova legge nazionale finanziò il recupero degli antichi rioni materani, ormai degradati da oltre trent'anni di abbandono. Nel 1993, in una conferenza a Cartagena de Indias, la città venne proclamata "Patrimonio dell'umanità" e nel 2014 "capitale europea della cultura 2019". Simboli Lo stemma della città è stato riconosciuto con decreto del capo del governo del 2 ottobre 1939. Il motto latino Bos lassus firmius figit pedem si può tradurre con: "il bue stanco affonda la zampa più fermamente"; tale motto, che indica come un popolo pacifico ma stanco dei soprusi può ribellarsi al giogo, rappresenta la morale dell'episodio che vide il popolo materano ribellarsi ed assassinare il conte Giovan Carlo Tramontano. Secondo il Racioppi, lo stemma di Matera è un'arma parlante, in quanto la lettera "M" in alto sarebbe l'iniziale del nome della città, mentre le spighe in bocca al bue aggiungerebbero il resto del nome; infatti spiga in greco si dice "Ather-Eros", quindi dall'insieme delle parole si ottiene Mather-Eros, da cui Matera. La corona che il bue ha sulla testa indicherebbe che la città era libera, cioè non dipendente da alcun feudatario ma direttamente dalla corona reale. Secondo altre interpretazioni, lo scudo porta sull'alto del campo, in argento, la lettera M in oro; e nel basso del campo è un bue che agli araldisti usa dire "passante", con in bocca tre spighe. Alla testa del bue sormonta una corona principesca. Intorno all'orlo dello scudo corre una lista su cui è scritto il motto di "Bos lassus firmius figit pedem". Il detto è forse stato coniato dopo l'uccisione del conte Gian Carlo Tramontano, esprimendo la stanchezza per le oppressioni e le gabelle che la cittadinanza materana doveva pagare al conte. Quanto allo scudo, la lettera M in oro si presume possa indicare l'iniziale lettera del nome della città. Ma secondo altri indicherebbe anche la parola municipio essendo stata Matera Regio Demanio, e quindi dipendente direttamente dal re. Questo spiega anche il perché della corona principesca presente sopra il capo del bue. Resta, dunque, proprio la figura del bue la più difficile da decifrare. C'è chi ritiene che il bue indichi la famiglia Del Balzo, che viene dal francese baux, la cui fonetica somiglia molto alla parola bue. Altri ritengono fermamente che il bue e le spighe simboleggino il possesso di terre fertili dedite alla pastorizia e all'agricoltura. Le spighe invece hanno una certa somiglianza con quelle della monetazione metapontina, il che dà maggiori certezze sul nome di Matera, che potrebbe derivare dai fondatori della città, i cittadini di Metaponto ed Heraclea, scampati ai Romani. Quindi Met-Hera. Il gonfalone è un drappo di azzurro. Onorificenze Matera è tra le città decorate al valor militare per la guerra di liberazione per la quale le è stato insignito il premio della Medaglia d'argento al valor militare per i sacrifici delle sue popolazioni durante la seconda guerra mondiale. Tale onorificenza venne conferita il 1º settembre 1966 e consegnata tre anni dopo dal Ministro della Difesa, il quale decorò della medaglia il gonfalone della città e scoprì una lapide con la seguente iscrizione: Il 19 agosto 2016 è stata conferita alla città la Medaglia d'oro al valor civile, consegnata dal Presidente della Repubblica durante una cerimonia svoltasi al Quirinale il 17 novembre 2016: Premio Giorgio La Pira dalla Città metropolitana di Firenze. “Per la sua capacità di proiettarsi nella comunità internazionale, per la sua determinazione e apertura al cambiamento. Per la tenacia nel capovolgere stereotipi culturali che le ha valso la designazione a patrimonio culturale UNESCO e a capitale europea della cultura del 2019. In particolare per l'impegno congiunto di cittadini, associazioni e istituzioni a favore di iniziative e progetti inclusivi che ne fanno una delle città simbolo di un sistema culturale integrato”. - 7 novembre 2018 Monumenti e luoghi d'interesse I Sassi di Matera Matera è nota anche come città dei Sassi, proprio per la peculiarità e l'unicità del suo centro storico. Scavati e costruiti a ridosso della Gravina di Matera, una profonda gola che divide il territorio in due, i Sassi di Matera, rioni che costituiscono la parte antica della città, si distendono in due vallette, che guardano ad est, leggermente sottoposte rispetto ai territori circostanti, separate tra loro dallo sperone roccioso della Civita. Il Sasso Barisano, girato a nord-ovest sull'orlo della rupe, se si prende come riferimento la Civita, fulcro della città vecchia, è il più ricco di portali scolpiti e fregi che ne nascondono il cuore sotterraneo. Il Sasso Caveoso, che guarda invece a sud, ubicato in una lama più ampia e corta, assume vagamente la forma di una cavea teatrale. Al centro la Civita, sperone roccioso che separa i due Sassi, sulla cui sommità si trovano la Cattedrale ed i palazzi nobiliari. Insieme formano l'antico nucleo urbano di Matera, dichiarato dall'UNESCO paesaggio culturale. I Sassi di Matera sono un insediamento urbano derivante dalle varie forme di civilizzazione ed antropizzazione succedutesi nel tempo. Da quelle preistoriche dei villaggi trincerati del periodo neolitico, all'habitat della civiltà rupestre (IX-XI secolo), che costituisce il sostrato urbanistico dei Sassi, con i suoi vicinati, camminamenti, canalizzazioni, cisterne; dalla civitas di matrice normanno-sveva (XI-XIII secolo), con le sue fortificazioni, alle successive espansioni rinascimentali (XV-XVI secolo) e sistemazioni urbane barocche (XVII-XVIII secolo); ed infine dal degrado igienico-sociale del XIX e della prima metà del XX secolo allo sfollamento disposto con legge nazionale negli anni cinquanta, fino all'attuale recupero iniziato a partire dalla legge del 1986. Nel 2017 la Zecca di Stato conia una moneta in argento da 10 euro, celebrativa dei Sassi di Matera in tiratura limitata. Le cisterne e i sistemi di raccolta delle acque La scelta di questo sito, sebbene abbia garantito un'estrema sicurezza all'abitato, ha comportato ai suoi abitanti enormi difficoltà nell'approvvigionamento delle acque. Di fatto i Sassi si trovano su un enorme banco calcarenitico a circa 150 metri dal livello del torrente, mentre le colline d'argilla che li circondano ad ovest risultano essere troppo lontane per assicurare l'approvvigionamento idrico in caso di assedi. Perpetuando un uso documentabile sin dalle fasi neolitiche, gli abitanti hanno sfruttato a proprio vantaggio la friabilità della roccia e le pendenze per realizzare un complesso sistema di canalizzazione delle acque, condotte in una diffusa rete di cisterne e "palombari". Vista in quest'ottica Matera risulta essere uno dei più antichi e meglio conservati esempi di bio-architettura al mondo. Una breve analisi dei sistemi insediativi costruiti intorno all'acqua, mostra come di fatto le civiltà e le tradizioni costruttive più antiche del mondo, abbiano numerosi punti in comune, sebbene secoli e chilometri le vedano come elementi distinti. Strutture apparentemente semplici e rudimentali si rivelano come dei prodigi di efficienza tecnica. Le umili tecniche arcaiche, dimenticate dagli stessi abitanti, acquistano un fascino ed un valore un tempo inimmaginabile. Architetture religiose Cattedrale, in stile romanico pugliese, fu costruita nel XIII secolo sullo sperone più alto della Civita che divide i due Sassi, sull'area dell'antico monastero benedettino di Sant'Eustachio, uno dei due santi protettori della città. All'esterno sono da notare il rosone a sedici raggi ed il campanile alto 52 metri; all'interno, degni di nota un affresco bizantino della Madonna della Bruna, un presepe cinquecentesco dello scultore Altobello Persio ed un affresco raffigurante il Giudizio finale. Chiesa di San Giovanni Battista, costruita nel 1233, anch'essa in stile romanico. All'interno, a tre navate, vi è una grande volta a vele rifatta nel 1793, anno in cui furono effettuate diverse modifiche per preservare la staticità della chiesa, bei capitelli di tipo pugliese che ornano le colonne con figure antropomorfe, zoomorfe e vegetali, ed un'imponente abside. Accanto alla chiesa vi è l'Ex ospedale di San Rocco con la chiesetta del Cristo Flagellato al suo interno. Chiesa di San Pietro Caveoso, costruita nel 1218, è uno dei punti più caratteristici della città. Nel XVII secolo l'intera struttura subì numerose modifiche e ci fu l'aggiunta del campanile, tutto in stile barocco. All'interno sono presenti numerose tele settecentesche e affreschi di santi. Le numerose cappelle sono stuccate e presentano affreschi e polittici di legno. Chiesa di San Francesco d'Assisi, ricostruita quasi completamente nel 1670 in stile barocco. Rilevanti sono la facciata esterna in stile tardo barocco, mentre al suo interno vi è l'antica cripta dei Santi Pietro e Paolo, che conserva un affresco raffigurante la visita a Matera del papa Urbano II nel 1093. Rimarchevoli, inoltre, sono i pannelli di un polittico smembrato di scuola veneta variamente attribuito a Bartolomeo Vivarini o a Lazzaro Bastiani. Chiesa di Santa Chiara, fu costruita alla fine del XVII secolo insieme agli attigui locali che ospitarono dapprima l'ospedale, poi il convento delle clarisse ed infine i locali del museo archeologico nazionale "Domenico Ridola". La facciata, ricca di decori, presenta un lunettone nella parte superiore ed in basso il portale con ai lati due semicolonne e due nicchie con statue di santi. L'interno è a una navata. Chiesa del Purgatorio, costruita nel 1747 in stile tardo barocco, presenta una facciata con decorazioni sul tema della morte e della redenzione delle anime. Notevole il portale in legno diviso in 36 riquadri che riporta in alto i teschi di prelati e regnanti ed in basso quelli di comuni cittadini. All'interno, a croce greca, vi è una cupola ottagonale. Chiesa di San Domenico, fu costruita insieme al convento a partire dal 1230 in stile romanico pugliese. Molto bello il rosone con intorno quattro figure a rilievo raffiguranti un telamone, due figurine ai lati, ed in alto l'Arcangelo Michele. Al centro del rosone un cane con la fiaccola in bocca, simbolo dei domenicani. L'interno, a tre navate con altari laterali e con una cupola emisferica a cassettoni, è stato rimodernato nel 1774; fra le opere conservate all'interno c'è la Crocifissione con san Domenico, realizzata dal Pietrafesa nel 1653. Chiesa di Santa Lucia e Agata alla Fontana, la sua costruzione fu ultimata nel 1797, quando vi furono trasferite la chiesa ed il monastero delle benedettine, fino ad allora ospitate nel monastero di Santa Lucia alla Civita nei Sassi. Situata insieme all'attiguo monastero delle benedettine accanto alla fontana ferdinandea nella centrale piazza Vittorio Veneto, è composta da una navata. Convento di Sant'Agostino, monumento nazionale italiano, situato nel Sasso Barisano e sorto nel 1593, insieme all'omonima chiesa, sull'antica cripta rupestre di San Giuliano risalente al XII secolo (sinora descritta come cripta di San Guglielmo a causa di un errore storico). Santuario della Madonna di Picciano, situato sulla sommità dell'omonimo colle a dalla città, è meta di pellegrinaggi. La leggenda narra che la Madonna apparve sui rami di una quercia ad alcuni pastori abruzzesi che percorrevano quei luoghi per la transumanza. A partire dal XIII secolo si insediò una comunità monastica benedettina, e nei secoli successivi Picciano appartenne ai templari prima ed ai cavalieri di Malta poi, che ampliarono la chiesa ed i locali annessi. All'interno della chiesa, sopra l'altare maggiore, vi è l'immagine della Madonna, databile al XV secolo, e nella cappella alle spalle dell'altare la statua della Madonna che viene portata in processione. Oggi il Santuario ed il monastero sono custoditi dai monaci benedettini olivetani. Santuario della Madonna della Palomba, situato sulla Murgia quasi a strapiombo sulla Gravina di Matera, si trova nei pressi di una grotta dove era venerato un affresco con l'immagine bizantina della Vergine col bambino. A partire dal 1580 fu costruito un nuovo edificio di culto. La facciata mostra un rosone ed un campanile a vela, mentre l'interno a una navata conserva l'antico affresco databile intorno al XIII secolo. Chiese rupestri, nella città e lungo le Gravine del Parco della Murgia Materana si contano circa 150 chiesette scavate nella roccia. Tra le più importanti chiese rupestri nei Sassi vi sono Santa Lucia alle Malve, complesso rupestre che anticamente ospitava una comunità monastica, il Convicinio di Sant'Antonio un comprensorio costituito da 4 cripte rupestri, Santa Maria di Idris sulla sommità dell'omonima rupe, Santa Barbara ricca di affreschi, la Madonna delle Virtù che insieme alla sovrastante chiesa di San Nicola dei Greci oggi ospita importanti mostre di scultura, e San Pietro Barisano con facciata e campanile in muratura e interno quasi completamente scavato nella roccia. All'esterno del perimetro urbano vi sono, tra le altre, la Cripta del Peccato Originale, recentemente restaurata, esempio di pittura longobarda con uno straordinario ciclo pittorico di affreschi che coprono le pareti di sinistra e di fondo, e la chiesa di Santa Maria della Valle, comunemente detta La Vaglia, la più grande chiesa rupestre della città, con facciata in muratura e interni ipogei. Architetture civili Palazzo Lanfranchi, monumento seicentesco fatto costruire da Frate Francesco da Copertino per ordine del Vescovo Vincenzo Lanfranchi tra il 1668 e il 1672, che originariamente ha ospitato il Seminario diocesano. Ospita i locali del Museo nazionale d'arte medievale e moderna della Basilicata e gli uffici della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici della Basilicata. Palazzo dell'Annunziata, palazzo settecentesco sito in Piazza Vittorio Veneto, ha dapprima ospitato il convento delle Domenicane, per poi diventare tribunale nel 1865 e in seguito scuola media. Oggi l'edificio che domina la piazza centrale di Matera è sede della Mediateca e della Biblioteca provinciale Tommaso Stigliani oltre a ospitare il Cinema Comunale intitolato a Gerardo Guerrieri. Palazzo del Sedile, situato nella centrale Piazza Sedile, è stato costruito nel 1540, ristrutturato nel 1759, è la sede della I° sezione del Conservatorio di Musica intitolato a Egidio Romualdo Duni, e dell'Auditorium Gervasio. La facciata presenta due torri campanarie ed è ornata da sei statue. Affacciato alla medesima piazza si trova inoltre il Palazzo del Governatore, risalente al XVII secolo, prima sede della Regia Udienza di Basilicata. I suoi sotterranei furono adibiti a carcere della città. Palazzo Bernardini che domina il sasso Caveoso. Palazzo Gattini, situato in piazza Duomo. Palazzo Malvinni-Malvezzi, situato in piazza Duomo, è appartenuto alla famiglia dei Duchi di Santa Candida. Al suo interno, nel piano nobile sono collocate 14 tele di pregevole fattura ed arredi in stile Luigi XVI. Palazzo Bronzini, risalente al XVIII secolo, situato all'angolo tra piazza del Sedile e Via Duomo. Palazzo Ridola, in Via Duomo. Palazzo di Castro Vetere, l'antico palazzo, nonostante i diversi passaggi di proprietà avvenuti nel corso degli anni (se ne contano all'incirca 25) conserva ancora tutta la sua antica struttura di vico campanile dove è situato assieme alla vecchia chiesa di San Nicola in Castiglione. Importante è notare lo stemma vicino alle scale probabilmente appartenente alla famiglia Palmieri che ha tenuto il vescovado di Matera dal 1483 al 1530. Palazzo Venusio, palazzo nobiliare di Matera, edificato in via S. Potito nel XVI secolo. Ipogei di piazza Vittorio Veneto, situati sotto la piazza principale della città e tornati alla luce da pochi anni, contengono oltre a numerosi ambienti ipogei anche un'antica cisterna, detta il Palombaro lungo, e una torre facente parte delle mura che anticamente dovevano essere a ridosso del Castello Tramontano. Fontana ferdinandea, restaurata dal re Ferdinando II di Borbone nel 1832, era originariamente posta ai piedi della collina del castello e raccoglieva le acque provenienti da quella collina. Dopo la seconda guerra mondiale, esaurita la sua funzione di approvvigionamento, fu trasferita all'interno della villa comunale. Nel mese di aprile 2009, dopo lavori di restauro, è stata riposta nel suo luogo originario in piazza Vittorio Veneto. Villa Longo, dimora del XIX secolo della nobile famiglia materana di antiche origini napoletane. Architetture militari Castello Tramontano, in stile aragonese, con un maschio centrale e due torri laterali rotonde, rimase incompiuto per l'uccisione del conte Giovan Carlo Tramontano da parte della popolazione nel 1514. Torre Metellana, ubicata nel Sasso Barisano, facente parte della cinta muraria a difesa della "Civita". Siti archeologici Un'area archeologica è quella situata sul colle di Timmari, dove sono stati ritrovati numerosi reperti sia di epoca preistorica sia di tipo apulo risalenti al IV secolo a.C. (tra cui una tomba ricchissima di arredi funerari), molti dei quali sono custoditi nel museo archeologico "Domenico Ridola". Villaggio neolitico di Trasano; il sito ha dato alla luce resti di insediamenti umani continui dal Neolitico antico fino all'Età del bronzo, ed è oggetto di studi soprattutto in riferimento al suo sistema di difesa muraria, tra i più antichi ritrovati in Europa. Diversi resti di villaggi trincerati del Neolitico e necropoli dell'Età del bronzo sono presenti su tutto il territorio della Murgia materana. Aree naturali Parco della Murgia Materana, parco regionale istituito nel 1990, comprende il territorio della Gravina di Matera, le chiese rupestri disseminate lungo i pendii delle gravine e l'altopiano della Murgia materana. Importanti le numerose masserie, molte delle quali fortificate. Simbolo del parco è il falco grillaio, piccolo rapace presente nel territorio di Matera con numerosissimi esemplari. Riserva regionale San Giuliano, area protetta istituita nel 2000, comprende il lago di San Giuliano, invaso artificiale creato dallo sbarramento del fiume Bradano, ed i tratti fluviali a monte ed a valle del fiume. Molto rilevante è la presenza dell'avifauna. Colle di Timmari, polmone verde situato a circa dalla città, domina la valle del Bradano ed il lago di San Giuliano. È un'amena località residenziale, e sulla cima del colle si trova il piccolo Santuario di San Salvatore, risalente al 1310, ed un'importante area archeologica. Parchi urbani Parco del Castello - via Castello Parco Giovanni Paolo II - via Lucana angolo via Gramsci Villa dell'Unità d'Italia - via XX Settembre angolo via Tommaso Stigliani Parco Centrale Parco Giovanni Falcone - via IV Novembre Parco bosco Serra Venerdì Parco dei Quattro Evangelisti - zona PAIP Parco del rione Lanera Società Evoluzione demografica La città di Matera fin dagli inizi del Novecento ha sempre visto una crescita della popolazione leggera ma costante, eccezion fatta per un aumento sensibile avvenuto nel secondo dopoguerra, dovuto in parte ad un saldo naturale sempre positivo ed in parte allo spopolamento dei piccoli centri limitrofi. Etnie e minoranze straniere Gli stranieri regolari sono pari al 4,9% della popolazione materana. Matera è il comune della Basilicata con più residenti stranieri. Le principali comunità rappresentate sono le seguenti: Cina, 658 Romania, 588 Nigeria, 151 Albania, 142 Marocco, 116 Bulgaria, 114 Lingue e dialetti Il dialetto materano (u matarràsë) rientra nel gruppo dei dialetti meridionali medi; presenta forti affinità con il gruppo dei dialetti pugliesi, specie rispetto al barese ed in misura minore al tarantino. Conserva tuttavia delle peculiarità, come la quasi totale assenza di suoni vocalici in alcuni vocaboli ed effetti di inversione vocalica rispetto all'italiano. Tipici proverbi: «Ci sckëjtë 'ngjlë 'mboccë së chegghjë» («Chi sputa in cielo si coglie in faccia») «Ci s' avondë silë silë na mmelë monghë në fasilë» («Chi si vanta solo solo non vale nemmeno un fagiolo») «Attocchë 'u ciuddë addò vaelë 'u patrëinë» («Attacca l'asino dove vuole il padrone») Esclamazioni tipiche: «Mo mèrië!» - letteralmente «Ora muoio!», esclamazione di fatica o dolore, richiesta di aiuto. «Egghia!» - abbreviativo di mannegghia, nella forma abbreviata è un'esclamazione di stupore. Da ricordare che "mannegghia" altro non è che la forma dialettizzata dell'espressione "mannaggia" a sua volta derivante da "mal n'aggia", cioè di "mal ne aggia" proveniente da "mal ne abbia". «Gistëjzzë!» - letteralmente «Giustizia!», accidenti! Abbreviativo di «Gistjëzzë të vò bbënìë!», imprecazione che significa «Che ti venga un accidente!». «Mogghià'Ddëjë!» - letteralmente «Non voglia Dio!», non sia mai! Religione Matera è sede vescovile sin dal X secolo. Per anni sotto l'influsso bizantino, fu elevata ad arcidiocesi nel 1203 quando fu unita con bolla pontificia all'arcidiocesi di Acerenza. L'arcidiocesi conta 52 parrocchie in 13 comuni. La città nel tempo è stata visitata da due papi; Papa Urbano II e san Giovanni Paolo II, che la definì città della Visitazione e del Magnificat. Un suo arcivescovo metropolita invece divenne Papa; Urbano VI. Papa Urbano VI, sulla scorta della festa in onore di Maria SS. della Bruna celebrata a Matera già da tempo, istituì la festa della Visitazione per il 2 luglio, oggi ancora celebrata oltre che a Matera anche a Siena ed a Enna in quella data anche se la festa ufficiale è stata spostata il 31 maggio. Protettori della città sono la Madonna della Bruna e Sant'Eustachio, del quale la leggenda narra che durante un assedio subito dalla città ad opera dei Saraceni intorno all'anno 1000, salvò Matera dall'invasione facendo apparire ai nemici centinaia di cavalieri guidati dal Santo stesso e mettendoli in fuga. Il 21 novembre 1954 è stata proclamata, con delibera comunale, Civitas Mariae. Nell'agro materano tra i vari, sono ancora attivi due santuari; il Santuario di Santa Maria di Picciano e il Santuario di Santa Maria della Palomba. Lo storico G. Gattini narra di un'incisione che era presente sulla facciata gotica della chiesa di San Francesco d'Assisi in Matera, prima del suo rifacimento tardo barocco, la quale indicava che la stessa fosse stata voluta da Santo in persona (mancano fonti autorevoli; visto che lo storico era vissuto nel XIX secolo). Racconta che nella città fosse giunto San Francesco, nel suo viaggio verso oriente si sarebbe fermato a Matera, dove fuori le mura cittadine avrebbe chiesto un sito su cui erigere una sua chiesa, cosa che gli fu negata per altro sito, che il santo rifiutò. Giunto in un paese del circondario ebbe modo di compire un miracolo (il miracolo di Pomarico) che suscitò cotanto scalpore da convincere il clero materano ad istituire, nel luogo da lui chiesto, la chiesa che è tutt'oggi presente. Minoranze religiose sono costituite in particolar modo dagli ortodossi e dai musulmani. Tradizioni e folclore La festa patronale della Madonna della Bruna si celebra il 2 luglio di ogni anno sin dal lontano 1389, quando il Papa Urbano VI, già arcivescovo di Matera, istituì la festa della Visitazione, e va ricordata per la tradizione della distruzione di un carro trionfale di cartapesta che ogni anno viene ricostruito. La tradizione del Presepe vivente nei Sassi di Matera, iniziata negli anni settanta grazie al Gruppo Teatro Matera e successivamente interrotta per molti anni, è ripresa nel dicembre 2010 con l'evento promosso dall'Unione Nazionale delle Pro loco d'Italia e dalla Regione Basilicata. Con la partecipazione di diverse centinaia di figuranti su un percorso di 700 metri, è considerato il più grande presepe vivente al mondo. Sempre nei Sassi ha luogo una Via Crucis. Per i festeggiamenti carnascialeschi sono di tradizione le matinate, canti popolari di questua in cui si portava musica e allegria in casa di parenti e conoscenti. La danza tipica di Matera è la pizzica, erede del passato pugliese della città e rappresentante ancora oggi del forte legame tra Matera e la Puglia. Essa è molto amata dai materani ed è rappresentata da molti gruppi folcloristici locali. Istituzioni, enti e associazioni Presente in città sin dal 1865, l'ospedale Madonna delle Grazie è stato trasferito nel 2001 in una nuova struttura comprendente 430 posti letto. Cultura Matera, con i suoi luoghi di interesse, le sue tradizioni popolari e diverse manifestazioni che si svolgono nel corso dell'anno, dispone di un'offerta culturale piuttosto ampia e variegata. La città aderisce inoltre all'Associazione città d'arte e cultura ed è stata la prima città al mondo ad essere riconosciuta paesaggio culturale. Capitale europea della cultura 2019 Candidata nel 2008, Matera è stata designata il 17 ottobre 2014 capitale europea della cultura per il 2019, insieme alla città bulgara di Plovdiv. È la quarta città italiana (dopo Bologna, Firenze e Genova), la prima del Mezzogiorno, a ricevere questo riconoscimento, ottenuto dopo essere entrata in una lista ristretta che comprendeva le candidature di altre cinque città italiane: Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna e Siena. Il verdetto è stato comunicato da Steve Green, presidente della Giuria internazionale di selezione composta da 13 membri (sei italiani e sette stranieri), al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo (Mibact) Dario Franceschini; lo slogan scelto da Matera per la sua candidatura è stato "Open Future". Istruzione Riguardo all'ambito scolastico, Matera è sede di numerosi istituti di istruzione secondaria, molti dei quali frequentati anche da alunni provenienti da comuni limitrofi. Il principale e storico istituto è l'Istituto d'Istruzione Superiore E.Duni-C.Levi, inaugurato nel 1864 e chiamato poi Regio Liceo ginnasio Emanuele Duni di Matera dal 1882. Negli anni 1882-83 vi insegnò latino e greco Giovanni Pascoli. Università degli Studi della Basilicata Nella città si trova una delle due sedi dell'Università degli Studi della Basilicata con il Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo (DICEM) e la Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici. Nel 2021, attraverso un accordo istituzionale tra il DICEM ed il comune di Matera, è stato realizzato un archivio multimediale dei beni culturali della città. Istituto Centrale per il Restauro - Scuola di Alta Formazione e Studio A Matera ha sede la Scuola di Alta Formazione e Studio dell'ICR presso il convento di Santa Lucia Nova, dedicata a Michele D'Elia direttore dell'ICR dal 1987 al 1991; operativa dall'anno accademico 2015/2016 ed inaugurata dal Ministro per i beni e le attività culturali ed il turismo Dario Franceschini nel 2017. Ricerca A Matera opera sin dal 1983, per volontà congiunta del CNR, della Regione Basilicata e della NASA il Centro di geodesia spaziale Giuseppe Colombo dell'ASI, che si occupa di osservazione della Terra per mezzo di tecnologie spaziali avanzate. Oggi è una struttura di oltre dove lavorano 100 persone con un bilancio di circa 10 milioni di euro l'anno, ed è una delle principali strutture di ricerca e trasferimento tecnologico nel Mezzogiorno. Dedicato principalmente alla geodesia spaziale e al telerilevamento, il CGS (Centro di geodesia spaziale) sta ultimamente rivolgendosi anche ad altri campi, primi fra tutti la robotica spaziale e le missioni interplanetarie; tutte le attività sono svolte in un contesto di collaborazione internazionale. Telespazio è, fin dal 1983, responsabile della gestione operativa. Recentemente è stato raggiunto un accordo tra l'Agenzia Spaziale Italiana e la Regione Basilicata per il potenziamento delle attività del centro, con la costituzione di una cittadella dello spazio. Musei Museo archeologico nazionale Domenico Ridola: contiene materiale proveniente prevalentemente dal territorio materano e riveste particolare interesse per lo studio della preistoria nell'Italia meridionale e per la conoscenza delle culture e delle popolazioni indigene (Enotrie e Lucane) venute in contatto con le colonie greche della costa ionica. Vi si trova la sezione preistorica, la più tipica del museo, e poi le sale della valle del Bradano, della valle del Basento, di Matera e dintorni, e infine la sala Ridola, in cui vi sono documenti testimonianti l'attività di Domenico Ridola, medico e archeologo materano e fondatore del museo. Museo Nazionale d'Arte Medievale e Moderna: è ospitato nei locali del seicentesco Palazzo Lanfranchi. È suddiviso in quattro sezioni: Arte Sacra, Collezionismo, Arte Contemporanea e Sezione etnoantropologica, e vi sono esposti dipinti di alcuni importanti artisti come Luca Giordano, Carlo Levi, ed opere di Abraham Brueghel, Giovan Battista Ruoppolo e Mattia Preti appartenenti alla collezione di Camillo D'Errico. MUSMA Museo della scultura contemporanea di Matera: posto all'interno di Palazzo Pomarici, un vasto edificio risalente al XVII secolo situato nei Sassi, raccoglie una collezione di opere che raccontano la storia della scultura dalla fine del XIX secolo ad oggi. Museo-laboratorio della civiltà contadina: raccolta di oggetti ed attrezzi degli antichi mestieri dei Sassi. Museo Diocesano: inaugurato nel 2011, ha sede negli ambienti dell'ex Seminario, e si sviluppa in tre sale in cui sono esposte opere datate tra l'XI e il XIX secolo, tra cui una croce pettorale bizantina risalente alla metà dell'XI secolo, il reliquiario a braccio di Sant'Eustachio e il reliquiario di San Giovanni da Matera, risalenti entrambi al XV secolo. Museo storico "Generale Ignazio Pisciotta": il museo narra della Grande Guerra, della seconda guerra mondiale e dei vari periodi bellici coloniali italiani; sulla scorta del coinvolgimento di Matera e dei materani, inoltre narra del Risorgimento e della Resistenza nella città di Matera. Museo della raccolta delle acque: ha sede nelle chiese sconsacrate di San Giovanni da Matera e del Purgatorio Vecchio con il sottostante Palombaro, riserva di acqua pubblica del Sasso Caveoso. Casagrotta di Vico Solitario: antica abitazione scavata nella roccia tipicamente arredata situata nel Sasso Caveoso. La Casa di Ortega: situata in un fortilizio longobardo nel Sasso Barisano, ospita venti bassorilievi policromi realizzati dal pittore spagnolo José Ortega negli anni settanta durante il suo soggiorno nella città dei Sassi, oltre a ceramiche e produzioni artigianali locali. Parco scultura la Palomba: situato in una cava di tufo a cielo aperto dismessa, in località La Palomba all’interno del Parco Archeologico Storico Naturale delle Chiese Rupestri del Materano, è stato creato dallo scultore Antonio Paradiso. Media Alla fine degli anni settanta nasce l'emittente radio-televisiva TRM, che ha dato vita negli anni a diversi appuntamenti di costume che hanno rivitalizzato la città. A cavallo tra gli anni ottanta e anni novanta va ricordata anche l'emittente Tele Basilicata Matera, abbreviato TBM, successivamente trasferitasi nella città di Taranto. Sul versante dell'emittenza radiofonica è presente a Matera Radio Radiosa che trasmette in città sulla frequenza di 98.500 MHz e che, oltre a mandare in onda musica si interessa di notiziari locali e nazionali. Cinema Per il suo suggestivo carattere paesaggistico, Matera è stata scelta spesso come ambientazione di molti film, e negli ultimi anni anche di diverse fiction e serie televisive. Finora, le pellicole registrate in tutto o in parte nel comune materano sono: 1949: Nel Mezzogiorno qualcosa è cambiato, documentario diretto da Carlo Lizzani. 1950: Le due sorelle, diretto da Mario Volpe. 1953: La lupa, diretto da Alberto Lattuada. 1961: Italia '61, documentario diretto da Jan Lenica. 1962: Gli anni ruggenti, diretto da Luigi Zampa con Nino Manfredi, Gino Cervi, Gastone Moschin, Salvo Randone 1963: Il demonio, diretto da Brunello Rondi. 1964: Il Vangelo secondo Matteo, diretto da Pier Paolo Pasolini. 1965: Made in Italy, film ad episodi, diretto da Nanni Loy. 1967: C'era una volta..., diretto da Francesco Rosi, con Omar Sharif e Sophia Loren. 1972: Il decamerone nero, diretto da Piero Vivarelli. 1974: Allonsanfàn, diretto da Paolo e Vittorio Taviani, con Marcello Mastroianni e Lea Massari. 1974: Il tempo dell'inizio, diretto da Luigi Di Gianni. 1975: L'albero di Guernica, diretto da Fernando Arrabal, con Mariangela Melato. 1975: Qui comincia l'avventura, diretto da Carlo Di Palma, con Monica Vitti, Claudia Cardinale. 1978: Volontari per destinazione ignota, diretto da Alberto Negrin, con Michele Placido. 1979: Cristo si è fermato a Eboli, diretto da Francesco Rosi, con Gian Maria Volonté. 1981: Tre fratelli, diretto da Francesco Rosi. 1985: King David, con Richard Gere. 1990: Il sole anche di notte, diretto da Paolo e Vittorio Taviani. 1995: L'uomo delle stelle, diretto da Giuseppe Tornatore. 1998: Del perduto amore, diretto e interpretato da Michele Placido. 1999: Terra bruciata, diretto da Fabio Segatori, con Giancarlo Giannini e Raul Bova. 2004: La Passione di Cristo, diretto da Mel Gibson, con Jim Caviezel e Monica Bellucci. 2005: Mary, diretto da Abel Ferrara, con Juliette Binoche e Forest Whitaker. 2006: Il rabdomante, regia di Fabrizio Cattani, con Andrea Osvárt, Riccardo Zinna, Lucianna De Falco, Massimo Sarchielli, Pascal Zullino, Nando Irene. 2006: Omen - Il presagio, diretto da John Moore. 2006: Il lato grottesco della vita, diretto da Federica Di Giacomo, premio Cipputi al Torino Film Festival. 2006: Nativity, diretto da Catherine Hardwicke. 2006: Artemisia Sanchez, fiction diretta da Ambrogio Lo Giudice con Fabio Fulco e Lucio Dalla. 2008: Paolo VI - Il Papa nella tempesta, regia di Fabrizio Costa con Fabrizio Gifuni. 2010: Crimini (seconda stagione) - Episodio "Bestie", diretto da Andrea Manni con Pietro Taricone, Christiane Filangieri, Tomas Arana. 2011: Passannante, regia di Sergio Colabona con Fabio Troiano, Ulderico Pesce, Andrea Satta, Alberto Gimignani e Luca Lionello. 2012: Il ragioniere della mafia, regia di Federico Rizzo con Lorenzo Flaherty, Tony Sperandeo, Ernesto Mahieux e Nando Irene. 2015: Let's get married, regia di Liu Jiang con Gao Yuanyuan e Jiang Wu. 2016: Ben-Hur, regia di Timur Bekmambetov con Jack Huston e Morgan Freeman 2016: The Young Messiah, regia di Cyrus Nowrasteh con Sean Bean e David Bradley 2016: Veloce come il vento, regia di Matteo Rovere con Stefano Accorsi e Matilda De Angelis 2017: Sorelle, regia di Cinzia TH Torrini con Anna Valle e Loretta Goggi 2017: Wonder Woman, regia di Patty Jenkins con Gal Gadot e Chris Pine 2018: Maria Maddalena, regia di Garth Davis con Rooney Mara e Joaquin Phoenix 2018: Moschettieri del re - La penultima missione, regia di Giovanni Veronesi con Pierfrancesco Favino e Rocco Papaleo 2019: Imma Tataranni - Sostituto procuratore, regia di Francesco Amato con Vanessa Scalera e Massimiliano Gallo 2021: No Time to Die, regia di Cary Fukunaga, con Daniel Craig, Rami Malek e Léa Seydoux Matera appare nei videoclip dei brani: 2014: Sun Goes Down, di Robin Schulz 2016: Spit Out the Bone, dei Metallica 2017: La felicità, di Fabrizio Moro Le puntate 3, 4 e 5 dell'anime D.Gray-man, dal titolo Il fantasma di Matera, Aria del vecchio della terra e della notte del cielo e Fammi sentire una ninna-nanna sono ambientate nella Matera dell'Ottocento. Teatro Si trova a Matera il Cineteatro Duni. Nel comune operano diverse compagnie teatrali e scuole di teatro, tra le più rilevanti l'associazione Teatro dei Sassi. Musica Polifonica materana "Pierluigi da Palestrina": sorta nel 1944 e tuttora in attività. Organizza annualmente la rassegna polifonica Petra Matrix ambientata nelle chiese storiche e rupestri del centro storico e dei Sassi. Era originario di Matera il gruppo rock Le Mani, sciolto nel 2013. Conservatorio Egidio Romualdo Duni (Istituzione di alta cultura). L.A.M.S. - Laboratorio Arte Musica e Spettacolo, Onlus, svolge la sua attività dal 1989 in tre ambiti: Attività concertistica con l'Orchestra da Camera di Matera corsi musicali ordinari, pre-accademici e di perfezionamento; Promozione dei giovani talenti con l'organizzazione del Concorso Lams e il Concorso Internazionale di Composizione Musicale. Onyx Jazz Club Matera - Associazione culturale nata nel 1985 a Matera, organizza il Gezziamoci Festival. MusicArte Associazione di Promozione Sociale nata nel 2009 organizza stagioni artistiche ed il Concorso di Esecuzione Musicale "Città di Matera" premio Rosa Ponselle e cura il percorso artistico della Polifonica Rosa Ponselle Eventi Grandi Mostre nei Sassi, mostre antologiche di scultura contemporanea realizzate ogni anno nei mesi estivi all'interno del complesso rupestre di San Nicola dei Greci e Madonna delle Virtù nel Sasso Barisano, organizzate dal 1978 e poi stabilmente dal 1987 dal Circolo Culturale La Scaletta. Festival Duni, festival di musica barocca, dedicata al compositore materano Egidio Romualdo Duni, che si tiene nei mesi di settembre, ottobre e novembre; Women's Fiction Festival, evento dedicato alla narrativa femminile che si svolge nel mese di settembre; Gezziamoci Festival , rassegna di musica Jazz, organizzata dall'Onyx Jazz Club Matera, che si svolge tutto l'anno; Materadio, la festa di Rai Radio 3. Cucina La cucina materana è strettamente collegata alla tradizione agricola e pastorale del suo territorio. Le ricette tipiche della cucina locale comprendono: Crapiata - zuppa contadina che consiste in un misto di legumi e cereali con vari ingredienti come piselli, fave, ceci, grano, farro, lenticchie, fagioli, cicerchie, patate novelle, pomodorini, sedano, cipolla e carota. Orecchiette alla Materana - cotte al forno con pomodoro, tritato di agnello, mozzarella e pecorino. Fave bianche e cicorie - piatto tipico contadino con crema di fave e cicorie. Pasta con i peperoni cruschi - generalmente strascinati con peperoni cruschi, mollica di pane fritta e/o cime di rapa. Cialledda - ricetta a base di pane raffermo. Può essere "calda" (con uovo, cime di rapa, aglio, cipolla, olive) o "fredda" (con cipolla, pomodoro, olive). Strazzate - dolcetti friabili con uova e mandorle come ingredienti base. Le varianti prevedono l'aggiunta di cannella, cioccolato o caffè. Panaredda - tipico dolce pasquale con farina, uovo, burro e ammoniaca per dolci. Cartellate - dolci tipici natalizi fritti con miele. Pettole - piccole porzioni di impasto lievitato cotte in olio bollente, legati alle festività natalizie. Pignata - carne di pecora che insieme a patate, cipolle, pomodori e soppressata viene cucinata per diverse ore in un recipiente di terracotta detto pignata che dà il nome al piatto stesso. Gnimmeredd - involtini di frattaglie miste di agnello o capretto da latte strette all’interno del loro stesso budello, insieme a foglie di prezzemolo, sale e spezie. Urbanistica La città, che fino ai primi anni cinquanta era equamente divisa tra i Sassi ed il piano, cioè la dorsale corrispondente all'attuale centro cittadino che corre lungo tutto il ciglio dei Sassi, a partire dal 1952, anno in cui fu approvata la legge di sfollamento dei Sassi, cominciò ad espandersi nei nuovi quartieri. Anni cinquanta I primi quartieri della nuova città avevano come principali caratteristiche ampi spazi verdi comuni ed edifici di pochi piani, per cercare di riprodurre il più possibile i modelli di vita sociale dei Sassi; in quegli anni, grazie anche all'intervento di Adriano Olivetti - allora Presidente dell'Istituto di Urbanistica e Vicepresidente dell'UNRRA Casas (ente preposto all'assistenza economica e civile delle popolazioni delle Nazioni Unite danneggiate dalla guerra) - i più grandi nomi dell'architettura italiana si concentrarono sulla città di Matera, trasformandola in un vero e proprio laboratorio a cielo aperto. Nacquero il borgo rurale di La Martella, opera di grande rilevanza architettonica della corrente Neorealista del Razionalismo italiano, inaugurato il 17 maggio 1953 da Alcide De Gasperi, progettato dall'architetto Ludovico Quaroni; Serra Venerdì, primo complesso urbano inaugurato nel 1956, sorto dopo la legge speciale e progettato dall'architetto Luigi Piccinato, autore tra l'altro del primo Piano Regolatore della città; il rione Lanera (1957), in posizione elevata su una delle colline più alte della città, progettato dall'ing. Marcello Fabbri e dall'architetto Coppa; il rione Spine Bianche (1957), interamente in cotto, con la parrocchia ed i servizi al centro del quartiere, progettato dall'architetto Carlo Aymonino; più in là il rione Villalongo, sorto per iniziativa dell'INA-Casa, il rione Agna, nato inizialmente come borgo rurale poi congiuntosi al resto della città, con case ad un piano circondate da terreni coltivabili, progettato dal Genio civile, il rione Platani, San Giacomo, Serra Rifusa, Rione Pini e quelli più recenti. Anni novanta Alla precedente linea evolutiva regolare dell'urbanistica della città, a partire dagli anni novanta è seguita invece una dinamica più disordinata dando vita a nuove zone edificate caratterizzate da edifici sproporzionati in altezza. A questa situazione si è aggiunta: una riduzione degli spazi verdi, una riduzione della dimensione delle carreggiate stradali, una frequente assenza di completamento delle opere di urbanizzazione. Così, mentre la città continuava ad espandersi ai due estremi opposti con le nuove zone di Matera 2000, Aquarium ed Agna Le Piane, nascevano anche i due principali esempi di tale urbanizzazione proiettata verso l'alto, il Centro direzionale, alle spalle del palazzo comunale, e la Zona 33 di Via La Martella. Al centro di quest'ultima vi è il cosiddetto grattacielo di Via La Martella, un palazzo di 14 piani (più due parzialmente sotterranei). Il palazzo si trova a ed è un simbolo della fagocitazione della città nuova a discapito degli agri rurali che giungevano fin dentro la città stessa. Economia Agricoltura e prodotti tipici Da sempre centro agricolo, Matera è famosa per la coltivazione dei cereali, in particolare il grano duro, e la produzione della pasta, del pane (il pane di Matera IGP), dell'olio e del vino (i vini Matera DOC). La città fa parte dell'Associazione nazionale città del pane, a testimonianza dell'antichissima tradizione nella lavorazione del pane, uno degli alimenti principali del territorio materano, e dal 2012 fa parte anche dell'Associazione nazionale città dell'olio. Industria Al tradizionale settore primario, si è affiancato negli ultimi decenni anche quello industriale, che ha visto Matera costituire insieme alle città pugliesi di Altamura e Santeramo in Colle un polo industriale nel quale si è sviluppata sia l'industria ferroviaria con la Ferrosud che il cosiddetto polo del salotto. Questa definizione si deve a una forte crescita industriale avvenuta durante gli anni ottanta – novanta che ha permesso lo sviluppo di molte aziende di produzione di arredi da soggiorno, prevalentemente divani. Tra le più famose aziende del settore spiccano i nomi di Natuzzi (Divani & Divani), Nicoletti e Calia. La tendenza positiva della produzione degli ultimi anni novanta, è rallentata considerevolmente con la crescita dei mercati asiatici, oggi principali concorrenti e luoghi in cui gli stessi imprenditori materani del salotto stanno spostando le loro attività attraverso un'operazione di delocalizzazione. La parabola negativa dell'economia materana è aumentata con la chiusura definitiva del pastificio Barilla nel 2006. Questo processo è stato accelerato soprattutto dalla mancanza di arterie autostradali e dall'assenza della ferrovia di stato, ostacolando così le attività produttive e di distribuzione non solo della Barilla, ma delle altre piccole medie imprese del materano e del circondario. Artigianato Grande importanza nella tradizione materana ha la produzione di oggetti di artigianato tipico, con particolare diffusione della lavorazione della cartapesta (che ha il suo massimo emblema nella costruzione del carro trionfale della Madonna della Bruna ad opera di artigiani locali), della terracotta (con il tipico fischietto a forma di gallo detto cucù, simbolo di prosperità), della calcarenite e del ferro battuto. Turismo Il settore turistico è in forte sviluppo, grazie alle numerose attrattive e peculiarità della città, all'inserimento dei Sassi di Matera nella lista dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO e alla nomina a capitale europea della cultura nel 2019. Negli ultimi anni si è quindi registrato un notevole aumento nelle presenze di turisti sia italiani che stranieri. Infrastrutture e trasporti Strade Matera è interessata dalla SS99 che la collega ad Altamura, e che consente di raggiungere Bari, attraverso il raccordo con la SS96. Il comune per un lungo tratto è attraversato dalla SS7, in funzione di tangenziale cittadina. La SS655 Bradanica, collega Matera a Foggia e quindi alle autostrada A14 e A16 dal casello di Candela. Infine la strada provinciale 175 collega la città a Metaponto e alla Statale Jonica 106, via SS380 (Matera-Montescaglioso). Ferrovie Il comune è interessato dalla ferrovia Bari-Matera-Montalbano Jonico, gestita dalle Ferrovie Appulo Lucane, una linea ferroviaria a scartamento ridotto, di cui dal 1972 è stata dismessa la parte di percorso meridionale tra la Stazione di Matera Centrale e Montalbano; è rimasta in esercizio la sezione tra Bari e la Stazione di Matera Sud. Matera, unitamente a Nuoro e Andria, è un capoluogo di provincia italiano non servito dalla rete ferroviaria statale. Mobilità urbana La mobilità urbana è garantita dagli autoservizi offerti dalla società Miccolis S.p.a. I trasporti interurbani vengono gestiti da Sita Sud e Fal. La città è dotata di una rete di piste ciclabili. Amministrazione Gemellaggi Esiste un patto d'azione con Montescaglioso (MT) . Sport Calcio Il Matera Calcio, che fino a metà della stagione 2018-2019 ha militato nel campionato nazionale di serie C, è stato dapprima radiato dalla FIGC nel febbraio 2019, e successivamente dichiarato fallito nel marzo 2019 a causa di inadempienze di natura economica. Dopo la scomparsa di questa società professionistica, la prima squadra della città è l'FC Matera (frutto della fusione tra Matera e Grumentum avvenuta nel 2021 e successiva trasformazione in FC Matera nel 2022) che ha acquisito il logo e la denominazione della storica società calcistica cittadina, e milita nel campionato di Serie D; la seconda squadra cittadina è il Città dei Sassi, che milita nel campionato regionale di Eccellenza. Per quanto riguarda il calcio a 5, la società Comprensorio Medio Basento, trasferitasi a Matera nel 2020 dopo la fusione con il Futura Matera, ha militato in Serie A fino al 2022; in passato il Real Team Matera Calcio a 5, fondato nel 1985, ha disputato la Serie A2 e ha vinto una Coppa Italia di Serie B. Pallacanestro La squadra maschile più importante della città è stata l'Olimpia Basket Matera, fondata nel 1960 e che ha militato anche in Serie A2. Le altre società attive sono la Virtus Matera, che milita nel campionato di Serie C Silver, e la Pielle che opera a livello giovanile. Fino ai primi anni Novanta anche lo Sporting Club, la più antica società di basket della Città dei Sassi, prendeva parte a campionati giovanili e senior prima del suo scioglimento. Pallavolo In questa disciplina, sono presenti: la società Pallavolo Femminile Matera, fondata nel 1976, che ha vinto nella sua storia, 4 Scudetti, 3 Coppe Italia, e numerosi titoli internazionali essendo stata per due volte campione d'Europa. Ha concluso la sua attività nel 2000, e dal 2012 le attività pallavolistiche vengono svolte dalla A.S.D. PVF Matera che milita nel campionato di Serie C. In campo maschile il Volley Club Matera come massimo campionato ha disputato due volte la Serie A2. Altra società cittadina è stata la Pallavolo Matera Bulls, che ha militato nel campionato di Serie A2 dal 2012 al 2015. Nel 2003 ha avuto luogo, in compartecipazione con le città di Andria e Gioia del Colle, l'undicesima edizione del World Grand Prix di pallavolo femminile. Ciclismo Matera è stata più volte arrivo di tappa del Giro d'Italia: 1976: 6ª tappa (26 maggio), vinta da Johan De Muynck. 1985: 8ª tappa (25 maggio), vinta da Acácio Da Silva. 1998: 7ª tappa (23 maggio), vinta da Mario Cipollini. 2000: 4ª tappa (17 maggio), vinta da Mario Cipollini. 2003: 2ª tappa (11 maggio), vinta da Fabio Baldato. 2013: 5ª tappa (8 maggio), vinta da John Degenkolb. 2020: 6ª tappa (8 ottobre), vinta da Arnaud Démare. In altri casi è stata città di partenza di tappa: 1985: 9ª tappa (26 maggio). 1998: 8ª tappa (24 maggio). 2000: 5ª tappa (18 maggio). 2020: 7ª tappa (9 ottobre). Hockey su pista Ha sede in città l'Hockey Pattinaggio Matera, in passato Pattinomania Matera (fondata nel 1997), che milita in Serie A2 dopo aver militato in serie A1. Ha vinto 3 Scudetti femminili nel 2015, nel 2018 e nel 2021. Nel 2015, la città di Matera ha ospitato il tredicesimo Campionato Europeo femminile di Hockey su pista. Altri sport Per l'atletica leggera è presente la Polisportiva Rocco Scotellaro Matera, fondata nel 1963. La squadra di pallanuoto è l'AICS Matera Nuoto, quella di rugby è la Murgia Rugby, nata dall'unione dell'A.S. Rugby Matera con altre tre associazioni rugbistiche dei centri vicini. Il Circolo Schermistico Matera è un'associazione sportiva dilettantistica che svolge attività dal 1956. Nel comune è presente un Circolo Tennis fondato nel 1962 che organizza il Torneo nazionale Open Città di Matera, si svolge inoltre attività di tennistavolo, di cui l'unica società rappresentativa nei campionati a squadre nazionali è l'ASD Tennistavolo Pegasus in serie C/1 maschile. Impianti sportivi Campo scuola-pista d'atletica Raffaele Duni; vi gioca la Polisportiva Rocco Scotellaro Matera. Ha ospitato la Finale Argento dei Campionati Italiani Assoluti di Società 2015. Campi tennis; Circolo Tennis. Palasassi Salvatore Bagnale; posti vi gioca l'Olimpia Basket Matera. Stadio XXI Settembre Franco Salerno; posti. Tensostruttura; vi giocano l'Associazione Sportiva Dilettantistica Pattinomania Matera e la Real Team Matera Calcio a 5. Ha ospitato i Campionati europei femminili di hockey su pista 2015. Eventi sportivi La città ospita nel mese di giugno due eventi sportivi giovanili: la coppa Gaetano Scirea, torneo internazionale di calcio e per i giovanissimi; il Minibasket in piazza, manifestazione cestistica internazionale riconosciuta dalla FIBA Europe che si svolge dal 1993. Viene inoltre organizzato il Giro dei due Sassi, gara podistica internazionale. Note Bibliografia Cosimo Damiano Fonseca,Rosalba Demetrio, Grazia Guadagno, Matera, Bari, Laterza, 1999, ISBN 88-420-5670-7. Federico Bilò, Ettore Vadini, Matera e Adriano Olivetti. Conversazioni con Albino e Leonardo Sacco, Fondazione Adriano Olivetti, Collana Intangibili, 2013 Federico Bilò, Ettore Vadini, Matera e Adriano Olivetti, Francesca Limana (a cura di), Edizioni di Comunità, 2016 Statuto A., Gambetta G., Matera e l'acqua, Matera, Collana ParcoMurgia, 2016. Voci correlate Associazione nazionale città del pane Consorzio di Bonifica di Bradano e Metaponto Conti di Matera Ferrovia Ferrandina-Matera Primi 100 comuni italiani per superficie Altri progetti Collegamenti esterni Città medaglie d'oro al valor civile
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https://it.wikipedia.org/wiki/Macrosporofillo
Macrosporofillo
Il termine macrosporofillo (o megasporofillo) fa riferimento ad una parte della struttura riproduttiva delle piante ed in particolare degli organi femminili. Si tratta delle speciali foglie modificate che portano gli ovuli dette anche per questo motivo "foglie fertili" . Nelle Gimnosperme i macrosporofilli possono essere isolati o riuniti in strobili come nel caso delle squame delle pigne. In questo gruppo di piante gli ovuli sono esposti all’aria nella fase di recettività per il polline e quindi il macrosporofillo non racchiude l'ovulo ma piuttosto lo porta. Nelle Angiosperme i macrosporofilli sono rappresentati dai carpelli, ovvero le foglie modificate che formano l'ovario e che si trasformeranno in frutto. Note Voci correlate Gymnospermae Microsporofillo Gimnosperme
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https://it.wikipedia.org/wiki/Microsporofillo
Microsporofillo
Il microsporofillo è una foglia squamiforme che si identifica con l'organo di riproduzione sessuale maschile delle Gymnospermae. È localizzato nello strobilo (o cono) maschile, insieme a numerosi altri microsporofilli, i quali si inseriscono, più o meno appressati, sull'asse longitudinale dello strobilo con una fillotassi elicoidale o verticillata. Nel ciclo sessuale delle Gymnospermae, il microsporofillo è dunque presente sullo sporofito, ovvero la pianta. All'ascella di ogni microsporofillo, in corrispondenza del lato inferiore, è ubicata la sacca pollinica o microsporangio, al cui interno sono presenti le cellule madri del polline, a corredo cromosomico diploide. A seguito della meiosi, le cellule madre originano i granuli pollinici, a corredo cromosomico aploide. I microsporofilli sono emessi in primavera. Gli strobili sono visibili alla base dei nuovi getti (Pinaceae) oppure all'apice dei giovani rametti (Cupressaceae). Voci correlate Gymnospermae Macrosporofillo Strobilo Fiore
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https://it.wikipedia.org/wiki/Mammalia
Mammalia
I mammiferi (Mammalia , 1758) sono una classe di vertebrati a diffusione cosmopolita caratterizzata dall'allattamento della prole. La classe dei mammiferi conta specie attualmente viventi, variabili in forma e dimensioni: dai pochi centimetri e due grammi di peso del mustiolo agli oltre 30 metri e 150 tonnellate della balenottera azzurra, il più grande mammifero finora apparso sulla Terra. I mammiferi colonizzano praticamente ogni ambiente, dalle calotte glaciali ai caldi deserti: alcuni gruppi (sirenii, pinnipedi, cetacei) sono riusciti a colonizzare con successo anche l'ambiente acquatico, mentre altri hanno sviluppato delle ali membranacee e sono perciò in grado di volare (chirotteri). Nonostante tali differenze di dimensioni e abitudini di vita, tutti i mammiferi sono accomunati dall'essere omeotermi ovvero endotermi, dal presentare viviparità (con l'eccezione dei monotremi, che sono ovipari) e dall'avere cure parentali che prevedono anche l'allattamento della prole: tutti fattori che sono stati determinanti per consentire a questa classe di espandere notevolmente il proprio areale nelle nicchie rimaste vuote dopo la scomparsa dei dinosauri. Origini ed evoluzione I mammiferi sono un gruppo monofiletico, ossia tutte le specie attualmente viventi discendono da un antenato comune: anche i tre gruppi in cui vengono tradizionalmente suddivisi i mammiferi (vale a dire monotremi, marsupiali e placentati) sono monofiletici, con gli ultimi due classificati insieme dalla maggior parte degli studiosi per differenziarli dal primo. I Sinapsidi I mammiferi si svilupparono a partire da un gruppo di Amnioti. I primi amnioti apparvero intorno al tardo Carbonifero, da rettiliomorfi ancestrali. In pochi milioni di anni, da essi si distinsero due importanti linee evolutive: i Sauropsidi, dai quali discesero i rettili e gli uccelli, e i Sinapsidi, considerati i progenitori dei Mammiferi. La tecnica dell'orologio molecolare ha consentito di datare la separazione tra i due raggruppamenti a circa 310 milioni di anni. I Sinapsidi, vissuti durante il Permiano, sono animali caratterizzati dalla presenza di una singola finestra temporale su ciascun lato del capo, posta nei pressi dell'attaccatura dei muscoli della mascella, (a differenza dei diapsidi, che possiedono due finestre temporali per ogni lato del capo, e degli anapsidi, del tutto sprovvisti di finestre temporali). La finestra temporale, con il tempo, si è rimpicciolita fino quasi a chiudersi: la sua esistenza è testimoniata attualmente dalla presenza nel cranio dei mammiferi dello zigomo. Proprio da alcuni sinapsidi primitivi (come Archaeothyris) si sviluppò un ramo, quello degli Sfenacodonti, che condusse fino ai probabili precursori dei mammiferi, i Terapsidi, più specificatamente gli Eucinodonti, vissuti circa 220 milioni di anni fa, nel Triassico. Con l'evoluzione la finestra temporale dei sinapsidi aumentò di dimensioni. Nei Cinodonti era già molto più estesa rispetto, ad esempio, ai Pelicosauri. La postura eretta fu adottata verso la metà del Permiano dai terapsidi, assieme al secondo palato (ad esempio i Terocefali avevano entrambe queste caratteristiche) e il pelo, che a differenza delle penne degli uccelli non si è evoluto a partire dalle squame rettiliane, ma che probabilmente ne è stato un annesso. Gli organi uditivi iniziarono a evolversi nella forma attuale probabilmente all'inizio del Triassico, in seguito alla trasformazione della mascella in un osso unico (animali come sinapsidi e terapsidi avevano tre ossa nella mascella, così come i rettili attuali). Infatti, le due ossa residue della mascella iniziarono a rimpicciolirsi e, pur restando nella loro sede originaria, iniziarono a essere utilizzate per captare suoni (un esempio è il Probainognathus), per poi (sicuramente nellHadrocodium, probabilmente già in Morganucodon) unirsi all'unico osso dell'orecchio per formare gli attuali martello, incudine e staffa. I primi mammiferi Il titolo di mammifero più antico è conteso da vari animali, in quanto la sua attribuzione varia a seconda della parte anatomica presa in considerazione: alcuni studiosi valutano la struttura del canale auricolare per definire la fine della transizione da rettile a mammifero, mentre altri ritengono più attendibile la costituzione e l'articolazione della mandibola o la struttura dei denti. Fra le specie annoverabili fra i primi mammiferi, vengono generalmente incluse le seguenti: Megazostrodon e in generale i Morganucodonta di cui esso faceva parte, vissuti fra la fine del Triassico e il medio Giurassico, dalle abitudini quasi sicuramente notturne; in base ai resti fossili, si può dedurre che questi animali avessero sangue caldo, e che forse possedevano anche una pelliccia e le ghiandole mammarie. Anche i molari presentavano tre cuspidi, come gli attuali mammiferi. In ogni caso, l'articolazione mandibolare era doppia invece che singola, ma la principale differenza sta nel fatto che il Megazostrodon deponeva uova simili a quelle dei rettili, con guscio di consistenza simile a quella del cuoio. Adelobasileus cromptoni, anch'esso del tardo Triassico, vissuto in quello che è l'attuale Texas; la morfologia dell'orecchio interno fa chiaramente capire che questo animale rappresenta almeno uno stadio di transizione fra i Cynodontia e i mammiferi veri e propri. Sinoconodon, di cui vari resti fossili ben conservati sono stati ritrovati in Cina; vissuto nel Giurassico, esso mostra conformazione della mandibola assai simile a quella dei mammiferi attuali, anche se altre caratteristiche (come la crescita continua delle ossa craniche durante la vita dell'animale, e il rimpiazzo continuo dei denti caduti) avvicinano maggiormente questa specie ai rettili. Haldanodon e Docodon, facenti parte dei Docodonta, animali vissuti fra il medio Giurassico e l'inizio del Cretaceo, mentre rimane in dubbio la loro presenza in periodi più tardi (Reigitherium): essi erano dotati di molari allargati e dentizione simile a quella dei mammiferi, ma anche di articolazione mandibolare rettiliana. Hadrocodium wui, i cui resti sono stati ritrovati in Cina in giacimenti datati al tardo Giurassico, è un animale probabilmente imparentato alla lontana con i mammiferi, ma provvisto di caratteristiche chiave come una mandibola evoluta e un cervello di grosse dimensioni. La maggior parte dei primi mammiferi (come Megazostrodon, ma anche altre specie come Morganucodon, Adelobasileus, Eozostrodon, Sinoconodon, Hadrocodium e Fruitafossor) avevano dimensioni e comportamento simili a quelli dei toporagni (Hadrocodium probabilmente non superava i di peso da vivo): significative eccezioni sono rappresentate da Steropodon, Kollikodon, Repenomamus e Castorocauda, che presentavano dimensioni superiori al mezzo metro di lunghezza. Per le caratteristiche intermedie fra mammiferi e rettili, alcuni studiosi classificano tutte queste forme di transizione nel clado dei Mammaliaformes. Nel corso del Mesozoico i mammiferi si svilupparono in una quantità di forme e adattamenti per ambienti diversi, ma mantennero comunque un piano corporeo basilare e di solito le loro dimensioni erano ridotte, di rado superando quelle di un attuale ratto. Già nel Giurassico esistevano molti gruppi primitivi, come i sopracitati docodonti, i simmetrodonti (Symmetrodonta), i triconodonti (Triconodonta) e i driolestidi (Dryolestidae), tutti riconoscibili in base al tipo di dentatura e alla forma dei denti; tutti i gruppi sopracitati si estinsero però nell'arco di alcuni milioni di anni. Tra i gruppi attuali, i primi a differenziarsi dovettero essere con molta probabilità i monotremi, mammiferi eccezionalmente primitivi: i resti fossili più antichi riconducibili a questi animali, tuttavia, risalgono solo a circa 120 milioni di anni fa (Cretaceo superiore). Alla stessa epoca sembrano risalire anche i marsupiali e i placentati, il che vuol dire che i monotremi si sono staccati precocemente dalla linea evolutiva principale dei mammiferi, seguendo un proprio percorso indipendente, piuttosto che essersi evoluti in seguito negli attuali marsupiali e placentati come spesso si è portati a credere. Un altro gruppo primitivo, quello dei multitubercolati, comprendeva animali simili a scoiattoli e topi: la loro comparsa è riconducibile perlomeno al Giurassico medio (circa 160 milioni di anni fa), mentre la loro sparizione avvenne durante l'Oligocene (30 milioni di anni fa); rappresentano quindi il più longevo gruppo di mammiferi. Alcuni studiosi sostengono che i multitubercolati (come l'intero o sottoclasse, a seconda della degli Allotheria) non siano in realtà dei mammiferi veri e propri, ma un ramo collaterale di cinodonti che, per evoluzione convergente, ha sviluppato forme simili a essi. Dopo i dinosauri Paleocene Dopo l'estinzione di massa del Cretaceo, avvenuta 65,7 milioni di anni fa, i mammiferi diedero luogo, per un fenomeno di radiazione adattativa, a una rapidissima diversificazione di forme e dimensioni, per andare a riempire le nicchie rimaste vuote: per tutto il Paleocene, tuttavia, i piccoli mammiferi continuarono a dominare la scena. È il caso, ad esempio, di Palaeoryctes (simile agli attuali soricomorfi) e Carpolestes (un primate primitivo). Le eccezioni, in ogni caso, non mancavano: i pantodonti, ad esempio, erano un gruppo che comprendeva anche forme lunghe due metri, come Barylambda. Si ritiene che le piccole dimensioni non siano state una forzatura imposta dalla presenza dei dinosauri (o che almeno questa non ne sia l'unica causa), quanto piuttosto una necessità dovuta alla mancanza di sistemi di termoregolazione e metabolismo ancora non del tutto evoluti e pertanto inefficienti. Eocene Nel corso dell'Eocene si sviluppò un gran numero di mammiferi primitivi, che non hanno però lasciato discendenti nella fauna attuale: tra questi gruppi, da citare i teniodonti e i tillodonti, che potevano raggiungere le dimensioni di un orso ma con musi che li facevano assomigliare a giganteschi roditori, i creodonti e gli acreodi (carnivori dall'enorme cranio), i dinocerati (simili a rinoceronti mostruosi, come Uintatherium) e i pantolesti, strani animali simili a lontre comprendenti anche forme velenose. Tutti questi "esperimenti", tuttavia, si estinsero presto, mentre iniziarono a svilupparsi i primi rappresentanti degli ordini che hanno resistito fino ai giorni nostri, tra cui i chirotteri (Icaronycteris) e i cetacei (Indohyus, Basilosaurus). Intanto, in Sudamerica e Australia, gigantesche isole separate dal resto dei continenti, cominciarono a svilupparsi faune endemiche; in Australia i marsupiali e i monotremi, in Sudamerica i marsupiali e alcuni placentati primitivi, come xenartri e meridiungulati. Oligocene L'inizio dell'Oligocene vede il progressivo diradarsi delle foreste su tutto il pianeta, e la comparsa di forme di mammiferi gigantesche: a questo periodo risale il Paraceratherium, il più grande mammifero terrestre mai esistito, lontano parente degli attuali rinoceronti. Alcuni gruppi attuali iniziarono a prosperare, dando vita a forme bizzarre: è il caso degli artiodattili (come Archaeotherium simile a un gigantesco maiale corridore) e dei perissodattili (con i brontoteri, dal corno a Y, e gli ancilopodi, dotati di artigli e di un muso da cavallo), ma anche dei carnivori (con le famiglie dei nimravidi e degli anficionidi). Miocene Il culmine della diversificazione dei mammiferi si ebbe durante il Miocene, il periodo in cui le faune iniziarono a essere molto simili a quelle attuali; l'avvento delle praterie, inoltre, portò alla progressiva scomparsa di animali dall'habitat forestale ma favorì l'enorme sviluppo degli artiodattili e degli equidi. Nel corso di questo periodo ebbero un grande successo anche le scimmie antropomorfe (Proconsul), da alcune delle quali si svilupparono i primi ominidi. Alla fine del periodo, nei continenti settentrionali si estinsero gli ultimi ordini aberranti (Desmostylia), mentre in Sudamerica i mammiferi endemici continuarono a prosperare, dando vita a forme specializzate (Astrapotheria, Litopterna, Notoungulata). L'Australia, invece, fu teatro di una grande radiazione di marsupiali. Pliocene L'inizio del Pliocene (circa 5 milioni di anni fa) portò un considerevole abbassamento delle temperature e la conseguente estinzione di molte specie di mammiferi adattati al clima caldo, in un preludio alle successive glaciazioni. In Africa si svilupparono gli australopitechi, vicini all'origine dell'uomo. Pleistocene Il Pleistocene vide la comparsa e il veloce sviluppo del genere umano, ma anche una drastica riduzione della megafauna sviluppatasi nel corso del periodo. Tra i più tipici esempi di questa fauna di mammiferi giganti, da ricordare i mammut, il rinoceronte lanoso, il cervo gigante Megaloceros, il leone delle caverne, l'orso delle caverne, il vombato gigante Diprotodon e il canguro gigante Procoptodon. Alla fine del Pleistocene (fra i e i anni fa, anche se in Australia il processo avvenne fra i e i anni fa e in Sud America fra gli e gli anni fa), si calcola che praticamente tutti i mammiferi di peso superiore alla tonnellata si estinsero, così come sparì l'80% delle specie di peso superiore al quintale: questa estinzione di massa toccò però solo superficialmente il continente africano e il Sud-est Asiatico. Questo avvenne perché i cambiamenti climatici, che culminarono nelle ere glaciali, ebbero come conseguenza nell'immediato la formazione di habitat del tutto nuovi, che la maggior parte dei mammiferi non riuscì a colonizzare in tempo, andando incontro all'estinzione: altri mammiferi, più veloci a riprodursi e adattarsi ai cambiamenti, ampliarono invece enormemente la propria diffusione, complice la sparizione di molti accaniti concorrenti. Un altro fattore che probabilmente portò numerose specie all'estinzione fu la presenza umana: l'estinzione di numerose specie, infatti, sembrerebbe coincidere con l'arrivo di esseri umani nella zona, i quali cacciando indiscriminatamente questi animali a ritmi superiori al tasso riproduttivo ne provocarono un rapido crollo. A favore dell'ipotesi che vede le estinzioni di massa collegate all'arrivo dell'uomo, vi sono gli esempi delle isole colonizzate solo in tempi recenti, come il Madagascar, nel quale l'arrivo dell'uomo è coinciso con l'estinzione di tutti i grandi lemuri. Questa ipotesi, tuttavia, può essere ritenuta valida nel caso di ambienti circoscritti e non eccessivamente estesi, come appunto l'isola malgascia, mentre risulta piuttosto arduo credere che la presenza di pochi uomini muniti di armi rudimentali abbia potuto da sola determinare un'estinzione di massa, tanto più che in Africa, culla dell'umanità (e pertanto, secondo l'ipotesi dell'estinzione per mano umana, la terra che più di altre avrebbe dovuto subire i danni apportati dall'uomo primitivo), tale estinzione non vi è addirittura stata. Con tutta probabilità, l'uomo diede solo il colpo di grazia a specie già sull'orlo dell'estinzione a causa dei mutamenti climatici: l'estinzione di alcune specie alterò ulteriormente l'ecosistema, provocando effetti domino con esiti disastrosi. Tassonomia La monofilia della classe Mammalia diviene meno scontata man mano che si cerca di risalire lungo la scala evolutiva, per individuare i primi rappresentanti di questi animali: gli unici resti che pervengono agli studiosi sono infatti principalmente frammenti della mandibola e denti, in base alla morfologia dei quali è stata impostata la sistematica dei mammiferi ancestrali. Ciò vuol dire che anche altri animali che hanno evoluto dentizione simile a quella dei mammiferi potrebbero essere stati classificati come tali, pertanto gli studiosi sono molto cauti sull'attribuzione di ogni singola specie a determinati taxa assimilabili ai mammiferi. Generalmente, è dato per scontato che i mammiferi siano divisi in tre sottoclassi (Monotremi, Marsupiali e Placentati), oppure due sottoclassi (Prototeri, ossia i monotremi, e Teri, ossia marsupiali e placentati), per un totale di ordini che oscilla, a seconda della classificazione utilizzata, fra i 25 e i 30. Il tentativo di Simpson Il primo tentativo di fare una classificazione completa dei mammiferi fu fatto da George Gaylord Simpson nel 1945 prendendo spunto dalle presupposte affinità fra le famiglie animali diffuse all'epoca. Su questa classificazione sono infuriate molte polemiche non ancora sopite, soprattutto dopo l'avvento della nuova concezione della cladistica. Nonostante l'opera di Simpson sia uscita progressivamente di scena con l'avvento delle nuove teorie, ha ancora un grande valore per la classificazione dei mammiferi. Classificazione standard Nei libri di mammologia viene adottato un sistema standardizzato di classificazione dei mammiferi: Classe Mammalia Sottoclasse Prototheria (mammiferi che depongono uova: monotremi) Sottoclasse Theria (mammiferi che partoriscono piccoli vivi) Infraclasse Metatheria (marsupiali) Infraclasse Eutheria (placentati) Nonostante i nomi Prototheria, Metatheria ed Eutheria siano stati privati di validità (presuppongono il concetto che i placentati derivino dai marsupiali, che a loro volta discenderebbero dai monotremi), questa sistematizzazione è utilizzata dalla maggior parte dei testi scolastici e universitari, oltre che in paleontologia (specialmente nell'ambito degli animali del Mesozoico). McKenna & Bell Nel 1997 due studiosi, Malcolm McKenna e Susan Bell, utilizzarono le sistematiche precedenti e le relazioni fra i vari gruppi di mammiferi (viventi ed estinti) per realizzare una nuova classificazione della classe, basata su una gerarchia fra i vari taxon. La nuova classificazione (detta McKenna/Bell) fu accettata da larga parte dei paleontologi, poiché rifletteva fedelmente il percorso storico dei mammiferi. Tale classificazione comprende sia generi estinti che ancora viventi; inoltre vengono introdotti i nuovi ranghi di legione e sublegione, posizionati fra classe e ordine. I gruppi estinti sono contrassegnati da una croce (†). Classe Mammalia Sottoclasse Prototheria: monotremi: echidne e ornitorinco Sottoclasse Theriiformes: mammiferi che partoriscono piccoli, e loro parenti estinti Infraclasse †Allotheria: multitubercolati Infraclasse †Triconodonta: triconodonti Infraclasse Holotheria: mammiferi moderni che partoriscono piccoli, e loro parenti estinti Supercoorte Theria: mammiferi che partoriscono piccoli Coorte Marsupialia: marsupiali Magnordine Australidelphia: marsupiali australiani e Dromiciops Magnordine Ameridelphia: marsupiali del Nuovo Mondo Coorte Placentalia: placentali Magnordine Xenarthra: armadilli, bradipi, formichieri Magnordine Epitheria: epiteri Grandordine Anagalida: lagomorfi, roditori e toporagni elefante Grandordine Ferae: carnivori, pangolini, †creodonti, e parenti estinti Grandordine Lipotyphla: insettivori Grandordine Archonta: pipistrelli, primati, colughi e tupaie Grandordine Ungulata: ungulati Ordine Tubulidentata incertae sedis: oritteropo Ordine †Bibymalagasia incertae sedis Mirordine Eparctocyona: †condilartri, cetacei e artiodattili (ungulati con dita pari) Mirordine †Meridiungulata: ungulati sudamericani Mirordine Altungulata: perissodattili (ungulati con dita dispari), elefanti, sirenii e iraci Classificazione molecolare dei Placentati Recenti studi basati sull'analisi del DNA, specialmente tramite l'analisi dei retrotrasposoni, hanno rivelato nuove parentele inaspettate fra le varie famiglie animali. Tali parentele non hanno ancora trovato dimostrazione a livello fossile, quindi non ci sono ancora prove tangibili che corroborino queste nuove ipotesi. Secondo i risultati delle analisi, il primo gruppo a divergere dai placentati del Cretaceo fu quello degli Afrotheria, 110-100 milioni di anni fa. Gli Afrotheria continuarono a evolversi nell'isolamento del continente Afro-arabico; nel frattempo (100-95 milioni di anni fa) gli Xenarthra sudamericani si staccarono dai Boreoeutheria. Secondo un'osservazione recente, gli Afrotheria e gli Xenarthra sono strettamente collegati fra loro, tanto da formare un gruppo (Atlantogenata) parallelo a Boreoeutheria. Questi ultimi si divisero in Laurasiatheria ed Euarchontoglires 95-85 milioni di anni fa; entrambi questi gruppi vivevano nel supercontinente della Laurasia. Dopo la collisione dell'Africa-Arabia con l'Eurasia, vi fu un rimescolamento di Afrotheria e Boreoeutheria: con la comparsa dell'Istmo di Panama, inoltre, facilitò il grande scambio americano. Questa nuova classificazione manca di prove morfologiche e quindi non è accettata da alcuni scienziati, tuttavia l'analisi della presenza dei retrotrasponsoni suggerisce che l'ipotesi degli Epitheria (che propone gli Xenarthra come primo gruppo a differenziarsi) potrebbe essere vera. Supergruppo Atlantogenata Gruppo I: Afrotheria Afroinsectiphilia Ordine Macroscelidea Ordine Afrosoricida Ordine Tubulidentata Paenungulata Ordine Hyracoidea Ordine Proboscidea Ordine Sirenia Gruppo II: Xenarthra Ordine Xenarthra Supergruppo Boreoeutheria Gruppo III: Euarchontoglires (o Supraprimates) Superordine Euarchonta Ordine Scandentia Ordine Dermoptera Ordine Primates Superordine Glires Ordine Lagomorpha Ordine Rodentia Gruppo IV: Laurasiatheria Superordine Pholidota Ordine Carnivora Ordine Insectivora Ordine Chiroptera Ordine Cetartiodactyla Ordine Perissodactyla Classificazione comune Per le voci di Wikipedia è stata adottata la seguente classificazione: Caratteristiche I Mammiferi sono dotati di varie caratteristiche comuni che consentono di separarli dalle altre classi di vertebrati: Pelliccia La presenza di pelo è una delle caratteristiche più importanti dei mammiferi: la maggioranza dei mammiferi, infatti, ha il corpo ricoperto per percentuali più o meno elevate di pelo, e anche coloro i quali ne sono apparentemente sprovvisti (come i cetacei) presentano allo stadio embrionale degli accenni di crescita di pelo, che regrediscono poi con il procedere della gravidanza. I peli dei mammiferi hanno composizione prevalentemente proteica: in particolare essi sono costituiti per la quasi totalità da cheratina. Il pelo nei mammiferi ha numerose funzioni: prima di tutto serve a regolare la temperatura corporea, modificando la perdita di calore e proteggendo perciò l'animale dal freddo come dal caldo eccessivo; molti mammiferi, inoltre, possiedono manti di colori mimetici, allo scopo di confondersi con l'ambiente circostante, sia per meglio avvicinarsi alle prede senza esser visti (come ad esempio la tigre), che per non esser scorti da eventuali predatori (come molti cervidi). Alcuni mammiferi (come la lepre variabile o la volpe artica), per meglio mimetizzarsi nei vari periodi dell'anno, mutano il pelo lasciando il posto a un manto di colore diverso, che meglio si adatta al colore del terreno in quella stagione; per altri mammiferi, la colorazione del pelo ha invece lo scopo di intimorire o avvisare eventuali aggressori della pericolosità dell'animale, come avviene ad esempio nelle moffette. Fra i mammiferi esistono praticamente tutte le sfumature di colore, ma non è mai esistito un mammifero dal pelo verde o blu: fanno eccezione i bradipi didattili (nei quali il verde della pelliccia è dato dalla presenza di un'alga simbionte) e alcune specie di antilopi e primati, nei quali il colore blu si rivela in realtà una sfumatura di grigio; in molte specie di mammiferi, la lunghezza o la colorazione del pelo è diversa nei due sessi (dimorfismo sessuale), allo scopo di attrarre i rappresentanti dell'altro sesso: è il caso, ad esempio, dei maschi del leone o dell'uomo i peli, opportunamente collegati a muscoli erettili, rappresentano dei forti messaggeri visivi: ad esempio, un gatto dai peli rizzati segnala chiaramente nervosismo e aggressività, mentre un'antilocapra che rizza i peli bianchi del posteriore invita esplicitamente i propri simili alla fuga; in molti mammiferi, i peli (sotto forma di vibrisse), collegati a meccanorecettori e fibre nervose, fungono anche da organi tattili; in qualche specie (come nel riccio o nell'istrice) i peli sono modificati a formare delle spine, che proteggono efficacemente l'animale da potenziali predatori; i peli presenti nel naso e nelle orecchie, così come le ciglia, proteggono invece gli organi di senso e quelli respiratori dall'intrusione di corpi estranei. A fianco al pelo, i mammiferi hanno evoluto delle ghiandole sebacee, le quali sono preposte alla secrezione del sebo, una sostanza grassa che serve a lubrificare il pelame. Allattamento I mammiferi sono gli unici animali ad allattare la propria prole almeno fino a quando questa non è in grado di nutrirsi di cibo solido in modo autonomo. Il latte è prodotto in apposite ghiandole dette ghiandole mammarie, organizzate negli euteri in mammelle, dalle quali prende il nome l'intera classe. Le mammelle consistono in complessi ghiandolari con sbocco esterno (capezzolo) al quale il piccolo può aggrapparsi durante la suzione: fanno eccezione i monotremi, in cui le ghiandole mammarie sfociano all'esterno tramite un poro e perciò il latte è un essudato che viene leccato dai piccoli. Ciascuna specie ha un numero diverso di capezzoli, in funzione del numero medio di cuccioli partoriti per nidiata: nei primati e negli equidi, per esempio, vi sono solo due capezzoli, mentre i tenrec ne possiedono fino a due dozzine. L'allattamento rappresenta un grande vantaggio, in quanto i piccoli possono ricevere una sostanza molto nutriente e senza grandi sforzi, che garantisce una crescita veloce e una maggiore probabilità di sopravvivenza: d'altro canto, la femmina spende grandi energie per allattare i cuccioli ed è perciò costretta a nutrirsi più del necessario per integrare le energie profuse in questo sforzo. Le femmine generalmente allattano unicamente i propri cuccioli, scacciando anche violentemente altri piccoli in cerca di cibo: fanno eccezione poche specie in cui si possono osservare delle balie, come i leoni e l'uomo. Dentizione (o dentatura) A differenza dei loro progenitori rettili che avevano una dentatura laterale semplice, i mammiferi sono solitamente provvisti di dentatura eteromorfa, con presenza di quattro tipi di denti: incisivi, atti a strappare; canini, atti a infilzare; premolari, con caratteristiche intermedie fra canini e molari; molari, atti a schiacciare e macinare. Ciascuno di questi quattro tipi di dente è presente in numero variabile a seconda delle abitudini alimentari della specie. Presso la maggioranza delle specie di mammiferi, si ha un unico cambiamento della dentizione (difiodontia), quando la dentatura decidua (i cosiddetti "denti da latte") viene sostituita dalla dentatura permanente. Alcuni gruppi di mammiferi possiedono denti privi di radici e a crescita costante: è il caso delle zanne di elefanti, suidi, trichechi e narvali, o degli incisivi dei roditori. I monotremi, invece, non possiedono affatto denti nella fase adulta, mentre i cuccioli possiedono il cosiddetto "dente di diamante", che analogamente agli uccelli consente loro di bucare il guscio dell'uovo in cui si trovano. I mammiferi marsupiali presentano dentizione differente rispetto ai placentati: i marsupiali primitivi avevano una formula dentaria pari a 5/4-1/1-3/3-4/4, pari cioè a cinquanta denti, mentre le forme attuali hanno un numero di denti variabile, ma compreso fra i 40 e i 50, ossia in numero maggiore rispetto alla maggior parte dei placentati. I primi placentati avevano formula dentaria pari a 3/3-1/1-4/4-3/3, per un totale di 44 denti: tale formula si ritrova attualmente solo in alcuni animali (come il cinghiale), mentre nella maggior parte degli altri mammiferi si è avuta una specializzazione alimentare che ha portato alla riduzione del numero dei denti, fino addirittura alla totale sparizione di questi ultimi (è il caso degli sdentati). Solo in pochi casi il numero dei denti è aumentato rispetto alla formula originaria: è il caso dell'armadillo gigante, provvisto di un centinaio di denti, o dei cetacei odontoceti, nei quali si è avuto un ritorno all'omomorfia (denti tutti uguali, come nei rettili) e si possono contare fino a 270 denti. Muso La presenza di meccanismi complessi di interazione fra i vari individui hanno portato a una modifica importante della muscolatura facciale dei mammiferi: in tutte le specie, infatti, presentano, o hanno presentato durante il corso del proprio percorso evolutivo, delle labbra e delle guance, che vanno a formare una fascia muscolare che circonda l'apertura della bocca. Le labbra, le guance e lo spazio che le separa dalla chiostra dentaria (il cosiddetto vestibulum oris) sono legate essenzialmente alla ricerca del cibo: già a partire della nascita, l'animale contraendo in maniera sincrona i muscoli labiali e guanciali provoca la diminuzione della pressione nel proprio vestibulum oris, la quale permette la suzione del latte materno. In età adulta, la faccia diventa un essenziale mezzo di comunicazione fra i vari individui della stessa specie, e spesso, tramite messaggi universali, anche fra animali di specie diverse. Struttura auricolare I mammiferi, oltre a essere gli unici animali dotati di un orecchio esterno con funzione di incanalare i suoni, sono anche gli unici animali a possedere la famosa "triade" martello/incudine/staffa, situati nell'orecchio medio e con funzione di ricevere le vibrazioni del timpano e inoltrarle alla finestra ovale dell'orecchio interno. Tali ossa derivano da una modifica dell'arco branchiale a livello embrionale: la staffa proviene dall'osso iomandibolare, mentre l'incudine e il martello provengono dall'osso quadrato in combinazione con la cartilagine di Meckel. Negli altri vertebrati, tali strutture vanno a formare l'articolazione mandibolare, che nei mammiferi è invece composta dagli ossi dentale e squamoso, mentre la mandibola va ad articolarsi direttamente al cranio. Circolazione sanguigna I mammiferi, così come anche gli uccelli, hanno una circolazione sanguigna doppia completa: ciò significa che il cuore è suddiviso in quattro scomparti ben distinti (a eccezione del feto, dove ha una separazione incompleta con presenza di un forame ovale), due atri e due ventricoli, e che il sangue passa due volte al suo interno, una volta nella parte destre sotto forma di sangue venoso da pompare verso i polmoni per essere ossigenato, e una seconda volta nella parte sinistra sotto forma di sangue arterioso da pompare verso le zone periferiche del corpo. I globuli rossi dei mammiferi, tuttavia, a differenza di quelli degli altri vertebrati sono sprovvisti di nucleo e di organelli, pertanto vengono continuamente prodotti dagli organi ematopoietici. Locomozione Gli arti dei mammiferi sono attaccati al di sotto del corpo, e non lateralmente rispetto a esso (come accade ad esempio nei rettili): pertanto, durante il movimento dell'animale gli arti si trovano disposti perpendicolarmente alla colonna vertebrale, che viene piegata verticalmente piuttosto che lateralmente. Questa caratteristica permette ai mammiferi movimenti veloci anche prolungati nel tempo, che consentono ai mammiferi azioni come la corsa (utile sia per cacciare le prede che per sfuggire ai predatori) o dei movimenti migratori. Respirazione La cavità toracica, grazie alla diversa attaccatura degli arti, perde la sua funzione motoria, potendo così dedicarsi a pieno alla funzione respiratoria: nei mammiferi si ha la comparsa del diaframma, una lamina muscolare che divide il torace dall'addome e contribuisce alla respirazione, in quanto contraendosi crea uno scompenso pressorio che spinge i polmoni a espandersi (inspirazione). I mammiferi possiedono polmoni a struttura alveolare, la quale ben si adatta a cambiamenti continui di volume. Altre caratteristiche Tutti i mammiferi sono omeotermi, ovvero mantengono costante la propria temperatura corporea; caratteristica in comune con gli uccelli ma evolutasi in modo indipendente nei due gruppi; la maggior parte dei mammiferi possiede un palato secondario, che permette loro di respirare e contemporaneamente masticare il cibo: questo è possibile grazie all'epiglottide, che va a chiudere la laringe per evitare l'entrata di bolo alimentare nella trachea; il cervello dei mammiferi è formato da neocorteccia; i mammiferi possiedono ghiandole sudoripare finalizzate alla termoregolazione. Distribuzione Grazie alle loro caratteristiche di omeotermia ed endotermia, i mammiferi sono riusciti a colonizzare praticamente in qualsiasi habitat presente al mondo: mentre i monotremi sono limitati ad alcune aree di Australia e Nuova Guinea e i marsupiali si trovano unicamente in Oceania e nel continente americano, attualmente i mammiferi placentati sono diffusi in tutti i continenti e a tutti i climi, così come anche negli oceani, nei cieli, nel sottosuolo e nella maggior parte delle isole oceaniche. Spesso l'espansione dei mammiferi placentati è avvenuta al seguito dell'uomo, tramite introduzione deliberata in nuove terre oppure grazie a introduzioni casuali, com'è avvenuto per esempio nel caso dei ratti. Le uniche aree in cui non vi è una presenza stabile di mammiferi sono le aree più interne dell'Antartide, abitate solo in alcuni periodi da un basso numero di studiosi. Percezione sensoriale I mammiferi possiedono tutti e cinque i sensi, ma raramente essi funzionano tutti in modo egregio: ad esempio, la talpa ha un udito finissimo (al punto di poter sentire i lombrichi quando spuntano dalle pareti della sua tana), mentre la sua vista è proverbialmente povera, non andando al di là della distinzione fra presenza e assenza di luce. La vista ha un ruolo secondario nella maggior parte dei mammiferi: in particolare, essa passa in secondo piano nelle specie dalle abitudini ipogee, dove gli occhi sono rimpiccioliti e in alcuni casi (come nelle talpe dorate) addirittura ricoperti di pelle. Generalmente, gli animali dalle abitudini notturne hannoocchi più grandi e spesso dotati di un tapetum lucidum, per ricevere quanta più luce possibile. I predatori hanno inoltre occhi puntati in avanti, per poter meglio calcolare le distanze, mentre gli animali erbivori tendono ad avere occhi posti lateralmente sul cranio, in modo tale da consentire un campo visivo quanto più ampio possibile. L'olfatto è ben sviluppato nella maggior parte dei mammiferi: oltre a localizzare eventuali prede in base al loro odore, infatti, molti animali utilizzano segnali olfattivi per mandare segnali territoriali (ad esempio urinando o rilasciando secreti ghiandolari nelle zone di confine per delimitare il territorio) o sessuali (ad esempio segnalando la propria ricettività con feromoni). L'udito è anch'esso un senso assai importante: molti mammiferi presentano padiglione auricolare mobile per captare suoni provenienti da ogni direzione. Una forma particolare di udito è rappresentata dall'ecolocazione, presente in un buon numero di specie di mammiferi ma particolarmente importante fra i chirotteri e gli odontoceti, che utilizzano onde sonore ad alta frequenza come un Sonar, captando le onde soniche riflesse (Eco) e orientandosi così anche in condizioni di oscurità totale. Il tatto è altrettanto utile per farsi un'idea dell'ambiente circostante: i meccanorecettori, sparsi un po' su tutto il corpo, sono particolarmente abbondanti in alcune zone, come i polpastrelli dei primati od il naso di molti mammiferi quadrupedi. Molti animali possiedono inoltre le già citate vibrisse, anch'esse considerate organi tattili, mentre unici dei monotremi sono dei recettori elettrici siti nel becco, che percepiscono i movimenti muscolari delle prede nelle acque torbide. Alimentazione La necessità di mantenere la temperatura corporea stabile costringe i mammiferi a doversi nutrire regolarmente: a seconda delle dimensioni dell'organismo, il metabolismo può essere più o meno veloce consentendo all'animale di sopportare periodi più o meno lunghi di digiuno (ad esempio un toporagno muore dopo alcune ore di digiuno, mentre un uomo può sopravvivere anche alcune settimane senza cibo). Tra i mammiferi vi è un'enorme varietà nella dieta: si trovano specie erbivore, carnivore e onnivore. La dieta di ciascuna specie può essere determinata in base alla lunghezza del tubo digerente e al numero e alla disposizione dei denti: mentre i carnivori hanno canini molto sviluppati e intestino piuttosto corto (per un veloce transito del cibo, ai fini di evitare l'insorgenza di intossicazioni dovute ai fenomeni putrefattivi della carne), gli animali erbivori possiedono una serie di adattamenti (intestino assai allungato, stomaco compartimentato come in ruminanti e canguri, cecotrofia -ossia assunzione dei propri escrementi per ridigerirli- come nei lagomorfi e in alcuni roditori) volti a estrarre la maggior quantità possibile di energia dal cibo. Comunicazione Tutti i mammiferi comunicano fra loro: la comunicazione può avvenire tramite segnali chimici, vocali (richiami), tattili (grooming) o visivi (posture e gesti). Le specie più solitarie tendono ad avere un repertorio vocale e gestuale assai limitato: generalmente, è sempre presente un richiamo e una postura preposti a segnalare la disponibilità all'accoppiamento, così come un richiamo e una postura indicatori di minaccia nei confronti di intrusi. Nelle specie più sociali sono presenti modelli di comportamento anche molto complessi, volti a stabilire e mantenere una gerarchia all'interno del gruppo e a segnalare ad altri animali sia degli eventi (presenza di cibo o di pericoli) che lo stato d'animo dell'animale che emette il suono (rabbia, paura, eccitazione, gioia). Stile di vita Visto il grande numero di specie di mammiferi esistenti e considerando la grande variabilità di forme e dimensioni presenti all'interno della classe, si può comprendere l'estrema eterogeneità delle abitudini di vita dei mammiferi: alcune specie sono solitarie, altre vivono in gruppi che contano anche un migliaio di individui. Alcuni mammiferi sono estremamente territoriali, mentre altri tollerano senza problemi la presenza di altri individui nelle vicinanze. Molte specie hanno abitudini notturne, mentre altre preferiscono essere attive durante il giorno: altre ancora presentano catemeria, ossia tendenza ad alternare periodi di veglia e di sonno durante le ventiquattro ore. Le varie specie di mammifero hanno aspettative di vita anche assai differenti: generalmente, l'aspettativa di vita è direttamente proporzionale alle dimensioni dell'animale in valori assoluti. Mentre i topi marsupiali maschi vivono al massimo un anno, i grandi mammiferi possono vivere fino a un secolo: l'età massima mai riscontrata in un mammifero spetta a una donna, Jeanne Calment, vissuta 122 anni, ma è assai probabile che i grandi cetacei misticeti possano vivere anche più a lungo (l'età stimata di una balena della Groenlandia è di 211 anni). Riproduzione La maggioranza dei mammiferi praticano la poliginia o la promiscuità, ossia rispettivamente la costruzione di un harem da parte di un maschio oppure l'accoppiamento di ciascun esemplare con il maggior numero possibile di animali del sesso opposto: questo perché la femmina, una volta fecondata, necessita di un certo periodo per la gestazione e l'allattamento dei cuccioli, periodo durante il quale il maschio tenta invece di lasciare quanta più progenie possibile. Conseguenza della poliginia sono le lotte fra maschi per il diritto all'accoppiamento, che nel tempo hanno dato origine a una serie di cerimoniali legati alla competizione e alla comparsa di caratteristiche anatomiche legate all'evento riproduttivo. In queste specie, è solitamente presente un dimorfismo sessuale spesso molto accentuato, con i maschi più grandi e forti delle femmine e spesso dotati di strutture accessorie a carattere sessuale, come la criniera del leone o le corna di molti artiodattili. Solo il 3% di tutte le specie di mammifero presenta abitudini Monogame: in questi casi, il maschio e la femmina (che non di rado rimangono insieme anche al di fuori del periodo riproduttivo) sono soliti partecipare assieme alla cura dei cuccioli. Alcune specie alternano i due comportamenti a seconda delle risorse a disposizione: quando il cibo è scarso viene praticata la monogamia, in modo tale da assicurare la sopravvivenza alla prole, seppure poca in termini numerici, mentre nei periodi di abbondanza viene praticata la promiscuità o la poliginia, sì da mettere al mondo quanta più prole possibile. Rarissima è invece la poliandria, riscontrabile solo in alcune specie di callitricidi: in questi casi, è il maschio a occuparsi della prole. Altri mammiferi nei quali è il maschio a occuparsi dei cuccioli, delegando alla femmina solo l'allattamento, sono le scimmie platirrine dell'America centro-meridionale. Un caso particolare è rappresentato dall'eterocefalo glabro, un roditore africano che presenta abitudini sociali simili a quelle di api e formiche: questi animali vivono infatti in grandi colonie sotterranee, costituite da una femmina "regina" attorniata da alcuni maschi "fuchi", i quali sono gli unici a potersi accoppiare con la regina, mentre i rimanenti animali sono sterili e preposti allo svolgimento delle attività necessarie al mantenimento della colonia. Modalità riproduttive Nei monotremi è presente una cloaca nella quale convergono le due vie dell'apparato escretore (renale e intestinale), oltre che il canale riproduttivo. Il pene del maschio è unicamente proposto all'emissione dello sperma e presenta una biforcazione verso la punta. Questi animali sono gli unici mammiferi a non presentare viviparità ma oviparità: la femmina emette infatti da uno a tre uova di circa un centimetro e mezzo di diametro, simili a quelle dei rettili, dotate di grande tuorlo. Le uova vengono covate dalla femmina per una decina di giorni, finché non si schiudono e ne fuoriescono i piccoli, che sono paragonabili ai marsupiali neonati in termini di sottosviluppo. Nei marsupiali le femmine presentano sistema riproduttivo raddoppiato con due vagine e due uteri, mentre i maschi hanno un pene biforcato nella sua parte distale. La gestazione di questi animali dura al massimo un mese anche nelle specie di maggiori dimensioni, mentre in altre specie anche di meno: il record spetta alla specie Sminthopsis macroura, con soli 10-11 giorni di gestazione. La placenta è quasi sempre assente, fatta eccezione per alcune specie (come il koala e i bandicoot) dove si riscontra una sorta di placenta primitiva. I nuovi nati sono assai piccoli e sottosviluppati, pesando circa l'1% rispetto alla madre: solo le zampe anteriori sono ben sviluppate, in quanto il piccolo le utilizza per farsi strada lungo il ventre della madre, fino a raggiungerne il marsupio e attaccarsi a uno dei capezzoli che ivi si trovano. Il marsupio può essere permanente, ma in alcune specie esso si forma solo durante il periodo dell'allevamento dei piccoli: altre specie, infine, non presentano affatto marsupio, quanto piuttosto delle pliche cutanee. Una volta raggiunto il capezzolo, il piccolo vi si aggrappa saldamente per le prime settimane di vita: lo svezzamento dei marsupiali è più tardivo rispetto a quello dei placentati. I placentati presentano trofoblasto, che funge da barriera immunologica e consente una lunga permanenza dell'embrione nell'utero materno, la qual cosa risulta impossibile nei marsupiali, i quali sono costretti a partorire prima che le proprie difese immunitarie divengano pienamente efficienti contro l'embrione. La gestazione varia a seconda della specie, ad esempio roditori e carnivori hanno gravidanze veloci e cucciolate abbastanza numerose, mentre animali come i cetartiodattili hanno gravidanze assai lunghe e danno alla luce uno o due cuccioli alla volta. I record di durata spettano ad alcune specie di criceto, la cui femmina ha gestazione di soli 15 giorni, e all'elefante africano, che ha una gestazione lunga due anni. Il maggiore numero di cuccioli (fino a trentadue) spetta al tenrec. I mammiferi e l'uomo I mammiferi sono stati fondamentali per la storia dell'uomo, mammifero anch'esso: gli uomini primitivi si nutrivano della carne di altri mammiferi e ne utilizzavano le pellicce per difendersi dal freddo, inoltre utilizzavano le loro ossa per farne utensili. In seguito, molti mammiferi vennero addomesticati per utilizzarli come animali da soma o come fonte di carne e latte: altri invece venivano cacciati per ricavarne carne, ossa o zanne, da utilizzare come trofeo o per farne manufatti, o ancora per le presunte proprietà mediche (come il corno del rinoceronte) o per i significati religiosi o scaramantici che alcune parti del corpo potevano avere. Al giorno d'oggi, l'uso di animali da soma è stato quasi ovunque soppiantato dall'utilizzo di macchine, mentre permane l'allevamento di animali a scopo alimentare o come animali da compagnia o da laboratorio. Allo stesso modo, anche l'uomo ha molto influenzato l'andamento delle popolazioni di mammiferi: in seguito all'espansione umana molte specie opportunistiche hanno esteso il loro areale muovendosi assieme alle navi o venendo introdotte più o meno di proposito in nuove terre, mentre altre sono state decimate dalla caccia o dalla distruzione dellhabitat o sono addirittura andate incontro all'estinzione. Tutta una serie di mammiferi, infine, è stata modificata dall'uomo perché meglio rispondesse alle sue esigenze, fossero esse di carne, latte, lana o lavoro. I mammiferi nella cultura In tempi antichi gli animali più forti, grandi o pericolosi sono stati venerati come spiriti totemici e in seguito come stemmi di alcune città o simboli di clan, mentre altri vennero bollati come esseri demoniaci a causa delle loro abitudini notturne o del cattivo aspetto: è il caso del gatto e dei pipistrelli. In fiabe e leggende di tutto il mondo abbondano le immagini stereotipate degli animali, come la volpe furba, il mulo testardo o il maiale ingordo. Mammiferi domestici Uno dei motivi principali della domesticazione di molte specie di mammiferi è stata la necessità di avere sempre sottomano una riserva di carne fresca, ricca di proteine e grassi, anche quando la selvaggina scarseggiava. I principali animali allevati per la carne sono bovini e suini, in misura assai minore anche conigli, ovini, caprini ed equini. Anche la pelle e il pelo dei mammiferi tornavano utili all'uomo, che li utilizzava per coprirsi e difendersi dal freddo: animali allevati per la propria lana sono la pecora e l'alpaca, mentre i bovini vengono allevati anche per ricavarne cuoio dalla conciatura della pelle. Altri animali allevati per l'industria conciaria sono cincillà, visoni, zibellini e nutrie. Dei mammiferi si può utilizzare anche il latte, che nelle altre specie è più ricco di nutrimento rispetto a quello umano, del quale può rappresentare un valido sostituto: i principali animali da latte sono i bovini, con oltre l'85% del totale mondiale, ma viene utilizzato anche il latte di pecora e capra, d'asina o di renna. Alcuni mammiferi, tuttavia, non sono stati addomesticati per la loro carne, ma per la loro forza od agilità, che consentivano all'uomo di utilizzarli sia come cavalcatura per compiere lunghe distanze, che come animali da soma per compiere lavori troppo faticosi in poco tempo: è il caso di cavalli, asini, cammelli, dromedari, bufali indiani, elefanti asiatici e lama. Attualmente, l'utilizzo di animali da soma è limitato alle regioni più impervie o sottosviluppate, mentre nei Paesi industrializzati essi sono stati largamente sostituiti dalle macchine e sussistono in allevamenti amatoriali od in impieghi puramente rappresentativi (ad esempio le guardie a cavallo). Per gli stessi motivi, alcuni di questi animali sono stati utilizzati anche come animali da guerra: fino al tardo XIX secolo, l'utilizzo di cavalli nelle operazioni veloci di attacco spesso risultava decisivo nell'esito della battaglia, mentre nell'antichità alcuni popoli (come i persiani e i Cartaginesi) erano soliti schierare fra le proprie file alcuni elefanti da guerra. In tempi recenti, cavalli ed elefanti vennero anch'essi soppiantati dalle macchine da guerra, ma l'utilizzo di animali continuò (ad esempio i muli degli Alpini durante le due Guerre Mondiali, dei cani anticarro sovietici durante la Seconda guerra mondiale, o ancora dei delfini addestrati come cacciamine dall'esercito statunitense) Altri mammiferi, non forti né apprezzabili dal punto di vista alimentare, vennero invece scelti per le loro potenzialità come aiutanti nella caccia o nella disinfestazione degli accampamenti: è il caso del cane e del gatto, che tuttavia attualmente vengono tenuti perlopiù come animali da compagnia, anche se alcune razze di cane (come i segugi) continuano a venire selezionate appositamente per la caccia. I cani sono anche stati utilizzati, assieme ai maiali, come animali da tartufo, grazie al loro finissimo olfatto, od anche come aiutanti per i non vedenti. L'uomo ha inoltre tenuto in cattività i mammiferi anche per altri motivi: Per divertimento personale, ad esempio utilizzandoli in circhi, corse o competizioni come il rodeo. Poiché spesso gli animali vengono tenuti in condizioni non adatte a loro e l'addestramento è spesso collegato a maltrattamenti e sevizie sull'animale stesso, tali pratiche sono attualmente piuttosto malviste dall'opinione pubblica. Nei laboratori di ricerca, la presenza di mammiferi sui quali testare i prodotti o fare esperimenti è costante: i principali animali utilizzati per la ricerca sono le cavie (da cui il termine "cavia da laboratorio"), ratti e conigli, ma per la loro affinità con l'uomo spesso vengono utilizzati anche primati, in particolare il reso e il saimiri. Specie dannose e pericolose L'espansione smisurata dell'attività umana ha fatto sì che si venissero a creare delle zone agricole e dei depositi di cibo, che possono di tanto in tanto essere presi di mira da animali selvatici o comunque che vivono a stretto contatto con l'uomo. Fra le specie più dannose sotto questo punto di vista sono i ratti, sia quello nero che soprattutto quello bruno, mentre nelle aree in cui sono presenti mandrie di bestiame i grossi mammiferi carnivori presenti vengono sempre visti come dannosi e perciò eliminati, con esche avvelenate o con una caccia spietata. In alcuni casi, gli animali divengono direttamente pericolosi per l'uomo: mentre in tempi remoti non era raro che qualche uomo primitivo venisse divorato dai grandi predatori, attualmente è assai arduo che un carnivoro aggredisca un uomo allo scopo di cibarsene. I mammiferi più temuti per i loro presunti gusti antropofagi sono i grandi felini, come le tigri, i leoni e i leopardi, ai quali tuttavia spettano solo meno di una decina di uccisioni l'anno, assai meno delle migliaia di morti a causa di incidenti con altri animali domestici, come muli, tori ecc. Altri grandi predatori molto temuti sono stati (e sono tuttora) gli orsi (in particolare l'orso bruno) e i lupi, sebbene questi ultimi evitano la vicinanza dell'uomo e mietano pochissime vittime umane all'anno. Molto più pericolosi sono i mammiferi portatori di malattie: ogni anno più di uomini muoiono a causa della rabbia (trasmessa da cani, gatti, pipistrelli e altri animali infetti), mentre nel XIV secolo l'epidemia di peste nera trasmessa dai ratti falciò milioni di persone. Note Bibliografia Voci correlate Classificazione dei mammiferi Anatomia dei mammiferi Lista dei Mammiferi presenti in Italia Lista dei Mammiferi a rischio di estinzione Mammiferi velenosi Mammiferi scoperti nel XXI secolo Altri progetti Collegamenti esterni Taxa classificati da Linneo
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Masone
Masone (Mason in ligure) è un comune italiano di abitanti della città metropolitana di Genova in Liguria. Geografia fisica Territorio Tra i più importanti centri della valle Stura, ubicato a nord-ovest di Genova, Masone fa parte del Parco naturale regionale del Beigua. Si trova sul versante settentrionale dello spartiacque appenninico, che in questa zona passa molto vicino alla costa ligure. La località Cappelletta di Masone si trova quasi all'altezza del crinale divisorio, verso il Bric del Dente (1107 m e sede dell'omonima oasi). Attraverso il valico del passo del Turchino (588 m s.l.m.), lungo la strada statale 456 del Turchino, è possibile il collegamento con Mele e quindi con il quartiere genovese di Voltri. Tra le vette del territorio il Bric del Dentino (976 m), il Bric degli Angeli (971 m), il monte Giallo (970 m), il Bric La Masca (902 m), la Rocca Gianni (901 m), il Bric della Sorba (859 m), il monte Basè (784 m), il monte Tacco (782 m), il Bric del Terma (760 m), il monte Croce (695 m), il Bric Caban (647 m), il Bric Vardiola (645 m), il Bric dell'Asino (574 m), il Bric Solardo (530 m). Il centro urbano è diviso in due nuclei, quello storico - denominato "Paese vecchio" - sorge a 432 m sulle pendici meridionali di un modesto colle, posto sul versante sinistro della vallata e sul quale, fino al 1747, era collocato il castello. A partire dai primi decenni del XIX secolo si è venuto a costituire un secondo nucleo urbano, ubicato nella piana alluvionale (391 m s.l.m.) sulla destra orografica del torrente Stura, a valle della confluenza di questo con il torrente Vezzulla; l'agglomerato urbano di fondovalle è detto localmente "Paese nuovo" o "Piana" data la sua natura alluvionale, in quanto è attraversata dal torrente Stura. Clima Masone presenta un clima semicontinentale, gli inverni sono freddi, con temperature medie che oscillano tra gli 0 °C e i +2 °C, con frequenti inversioni termiche (non inusuali minime tra i -5° e i -7 °C in nottate caratterizzate da cielo sereno e calma di vento), ma spesso mitigati da deboli flussi umidi meridionali. Abbondanti e abbastanza frequenti le nevicate, nel periodo che va da dicembre a marzo, con accumuli finali che possono arrivare a 30–50 cm per episodio, la media delle precipitazioni nevose si aggira intorno ai 140–160 cm per inverno. Le estati sono generalmente fresche grazie all'influsso del mare, le cui brezze stemperano gli assolati pomeriggi estivi, medie tra i +20 °C e i +22 °C, massime raramente sopra i +30 °C e ampie escursioni termiche giornaliere, con frequenti minime tra i +10° e i +15 °C, che rendono le nottate masonesi gradevoli rispetto alla vicina città di Genova. Caratteristica che rende Masone relativamente famoso è la sua proverbiale elevata piovosità, a causa della sua ubicazione immediatamente al di là dello spartiacque appenninico e della particolare morfologia del territorio circostante: in particolare, quando prevalgono correnti umide provenienti da S-SW queste incontrano un ostacolo naturale nei contrafforti meridionali del Gruppo del Beigua e, non essendo in grado di superarli, scivolano letteralmente su di essi scorrendo poi, favorite dalla morfologia ad imbuto della valle del rio Turchino, verso N-NE in direzione dell'alta Valle Stura, dove poi le precipitazioni subiscono un'amplificazione dovuta all'effetto stau; frequenti anche i temporali autorigeneranti. Le precipitazioni medie annue si aggirano intorno ai 1660 mm, ma con punte tra i 1800 e i 2000 mm nelle vallate poste a SE del centro abitato (immediatamente a ridosso del versante N dello spartiacque), rendendo Masone uno dei centri più piovosi del ponente ligure, ma ampiamente superato da altre vallate più ad est. Occasionalmente, soprattutto all'inizio della primavera e in autunno, deboli flussi meridionali possono apportare nubi basse marittime che si arrestano sul versante meridionale del rilievo appenninico, (lato sud del Turchino), lasciando invece Masone, ed i versanti padani in genere, sotto sole e cieli tersi; più spesso, in realtà, le nuvole riescono a svalicare il crinale del passo del Turchino determinando su Masone il fenomeno della "macaia". Storia Questo territorio fu del tutto privo di insediamenti umani sino all’anno Mille. Nel corso dell'XI secolo divenne sede del monastero benedettino di Santa Maria di Vesolla, quale luogo di sosta dei pellegrini diretti al porto di Genova con meta Roma o la Terra santa. Il territorio masonese entrò a far parte del marchesato degli Aleramici (marchesi Del Bosco) a metà del XII secolo. I marchesi fecero costruire in questo luogo una mansio, analoga alle stazioni di posta dell’età imperiale. In essa vennero fatti alloggiare uomini armati incaricati di presidiare il luogo, assistere i viandanti e riscuotere il pedaggio. Nel 1183 i marchesi Del Bosco investirono alcuni loro vassalli ovadesi del feudo Castro Mansioni del quale erano ben definiti i confini, uno dei quali rappresentato dalla estesa proprietà ecclesiastica del monastero benedettino. Venuti in contrasto con Genova, i marchesi Del Bosco risultarono perdenti e, alla fine del Duecento, vennero definitivamente allontanati con le armi da Masone che, da quel momento, divenne feudo della Repubblica di Genova. Genova assecondò il desiderio di nobili famiglie della città di possederlo per sfruttare a fini forestali e siderurgici gli estesi boschi e i molti corsi d’acqua di questo territorio. A fine Duecento, Masone venne acquistato dalla famiglia Della Volta che fu investita del feudo dalla Repubblica, detentrice dell’alto Dominio. Nei secoli successivi i passaggi di proprietà si susseguirono numerosi. Nel 1343 Genova lo concesse in feudo ad Angelo Lomellino, commerciante della vena di ferro proveniente dall’Isola d’Elba. Angelo Lomellino fece costruire due ferriere per la cottura della vena con il metodo a “basso fuoco” alla Catalana per la produzione di semilavorati di ferro necessari alla città di Genova. Il feudatario fece giungere in feudo persone provenienti dalla Lombardia, esperte nella lavorazione del ferro: questi primi abitanti prenderanno il cognome di Macciò, continuando la loro presenza a Masone sino ai giorni nostri. Nel 1376 il feudo venne acquistato da Raffaele Spinola, che ne intensificò lo sfruttamento a fini siderurgici con la costruzione di una nuova e più grande ferriera, in aggiunta alle due già esistenti. Nel corso del Quattrocento, con la fine dell’epopea cavalleresca, il feudo di Masone entrò in una profonda crisi. Il vicino monastero, che si era prima riconvertito in canonica regolare di Mortara e poi in monastero cistercense femminile, terminò la propria esistenza a fine Quattrocento, rimanendo abbandonato e soggetto a rovina. Il feudo venne rilanciato dal marchese Antonio Spinola negli anni Venti del Cinquecento. Egli fece costruire un nuovo e moderno castello per presidiare la nuova strada dei Giovi che dall’Ovadese raggiungeva Voltri, via Cannelona. Vicino al castello una piccola chiesa: Santa Maria sotto il castello. Ulteriore impulso venne dato dal banchiere genovese Adamo Centurione che acquistò il feudo di Masone nel 1546 e contemporaneamente anche l’annessa proprietà dell’ex monastero cistercense abbandonato da tempo. Nei giorni 2 e 3 gennaio del 1547, venne a rifugiarsi al sicuro in questo castello il principe Andrea Doria, in fuga dalla capitale genovese, dove era in atto la congiura della famiglia Fieschi.La svolta maggiore si ebbe con Lazzaro Grimaldi Cebà, futuro doge di Genova, che comperò il luogo di Masone nel 1573 e promosse la costruzione di un borgo compatto attorno al castello dove far alloggiare i nuovi lavoranti richiamati in feudo per rilanciarne l’economia principale: quella siderurgica e della produzione di carbone vegetale. Per l’aumentata popolazione del borgo, nel 1580 Lazzaro Grimaldi Cebà fece costruire una chiesa più grande con annesso convento nel quale insediò i monaci agostiniani. Il nuovo monastero di Sant'Agostino si occupò della cura delle anime al posto del sacerdote secolare. A fine Cinquecento il feudatario masonese dovette affrontare numerose controversie con i vicini per questioni di confine. La più cruenta fu quella innescata con il confinante feudo imperiale di Campo, per la quale vi fu una temporanea pace nel 1595, suggellata dall’apparizione della Vergine sul monte Bonicca, che era all’origine della lite. La prima metà del Seicento si connotò per un acceso contrasto tra i Masonesi con il feudatario Paolo Agostino Spinola prima e con il figlio Lazzaro Spinola: si confrontavano due visioni del tutto opposte sui destini futuri del feudo. La lite venne portata innanzi alla magistratura genovese che, alla fine, sentenziò a favore dei Masonesi, intimando al feudatario di cessare tutte le angherie e i soprusi nei confronti dei suoi sudditi. Nella seconda metà del Seicento entrarono in crisi le ferriere locali, il cui sistema di fusione, col basso fuoco alla catalana, era superato da sistemi più moderni di fusione. La contrazione della siderurgia locale venne compensata con l’aumento delle cascine nel territorio e la conversione di molti sudditi al settore agricolo. Lo sviluppo delle cascine proseguì ininterrotto nei due secoli successivi, contestualmente con lo sviluppo delle fucine che si caratterizzarono in particolare per la produzione di chiodi fatti a mano. Nel primo Settecento il feudo passò nelle mani della famiglia Centurione. In occasione della guerra di successione austriaca il castello si trovò al centro di operazioni belliche. All’inizio di maggio del 1747 il castello, difeso da armati genovesi, venne attaccato dagli Austriaci e costretto ad arrendersi dopo 14 giorni di assedio, facendolo poi esplodere con molti sacchi di polvere pirica. Nel 1782 il feudo passò nella proprietà di Gian Carlo Pallavicini che, nel 1790, provvide a far spianare le rovine del castello e a realizzare al suo posto una grande piazza.Nel 1797 cessò l’esistenza ufficiale del feudo di Masone e si costituiva la municipalità ispirata dal rinnovamento proveniente dalla Francia. Il comune diventava un cantone della giurisdizione della Cerusa, con capoluogo a Voltri. Nel 1814 Masone entrava a far parte del Regno di Sardegna e nel 1861 diventava comune del Regno d’Italia. Alla fine dell’Ottocento il Genio militare dell’esercito costruì sulle alture del paese il forte Geremia, terminato nel 1890, per il quale Masone divenne piazzaforte militare. Nel primo Novecento Masone fu importante centro di villeggiatura estiva per la borghesia del Ponente genovese che vi costruì numerose ville, tra le quali spiccano la villa Bagnara su disegno dell'architetto Gino Coppedè e la villa Piaggio su disegno dell'architetto Riccardo Haupt. Durante la seconda guerra mondiale Masone venne occupato dai tedeschi e fu al centro della rappresaglia nazi-fascista della settimana Santa del 1944, nota come strage della Benedicta. Il giorno di sabato 8 aprile 1944, vigilia della Pasqua, vennero fucilati in paese tredici giovani partigiani e seppelliti nella fossa comune di Piano Enrile. IL 19 maggio 1944, sulle alture del paese, nei pressi della Cappelletta vennero dai tedeschi fucilati i 59 partigiani del Turchino, anch’essi sotterrati in quel luogo in una fossa comune. Al termine della guerra, per iniziativa del sindaco della Liberazione, Carlo Pastorino, vennero riesumate le salme dei partigiani trucidati per tributare loro degne cerimonie funebri. Sui luoghi degli eccidi furono innalzati dei monumenti commemorativi. Lo stesso sindaco promosse la riedificazione della chiesa del Romitorio, sui resti dell’antica chiesa cistercense del XII secolo, che divenne il sacrario delle spoglie di alcune decine di partigiani trucidati in questi luoghi. Il Romitorio di Masone rappresenta un importante monumento dedicato ai partigiani. Simboli Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica del 10 luglio 2000. Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose Chiesa parrocchiale di Cristo Re e Nostra Signora Assunta nel capoluogo, consacrata nel 1927. L'edificio, a tre navate e in stile barocco, è la terza chiesa più grande della diocesi di Acqui, preceduta dalla cattedrale di Acqui e la parrocchia di Ovada; da evidenziare nella parrocchiale il grande concerto campanario (primo della diocesi e quarto in Liguria), composto da 11 campane in Si2 maggiore, di cui 10 fuse nel 1959 e la più piccola chiamata affettuosamente "dindin" dai masonesi è del 1660 circa. Altrettanto importante è l'organo posto sulla balaustra sopra la porta: composto da più di 2000 canne suonato ogni domenica e nelle solennità con grande maestria da organisti masonesi e non. Ex chiesa parrocchiale di Nostra Signora Assunta - Oratorio della Natività di Maria Santissima nel centro storico di Masone. L'edificio fu costruito tra il 1580 e il 1584 per volere del signore feudale - il doge della Repubblica di Genova, Lazzaro Grimaldi Cebà - riportando gravi danni strutturali durante la distruzione del castello locale. L'oratorio è sede dell'Arciconfraternita Natività della Beata Vergine Maria e San Carlo Borromeo. Al suo interno i grandiosi crocifissi portati dai confratelli nelle processioni religiose del paese. La cripta, aperta al pubblico nel 1975 e ricavata sotto la chiesa, è una grande testimonianza delle modalità e delle tradizioni di sepoltura (diverse per nobili, clero e popolo) prima dell'editto di Saint Cloud di Napoleone, quando per motivi igienici fu vietata la sepoltura all'interno delle mura, e questa zona cimiteriale, che l'unico modo per accedervi erano delle botole nel pavimento, fu chiusa. Oggi nella cripta sono presenti anche parecchi reperti ritrovati nell'antico borgo masonese. Ex convento degli agostiniani, ora museo civico "Andrea Tubino" nel centro storico di Masone. Vecchio oratorio della Natività di Maria Santissima, ora sconsacrato, nel centro storico di Masone. Questa chiesa è stata sconsacrata viste le sue condizioni dopo il sequestro eseguito dalle truppe naziste; qui si accamparono e distrussero i caratteristici sedili dei confratelli, tutte scolpite nel legno e messe rasenti le pareti laterali dell'oratorio. Esempi di questi capolavori sono ancora presenti in buona parte degli oratori liguri. L'edificio dopo la sconsacrazione è stato usato come cinema, fabbrica di borse e pellami e attualmente come sala per mostre e concerti. Chiesa di Nostra Signora del Carmine. Costruita ad inizio Novecento, si trova nei pressi di via Europa e si presenta come una piccola chiesetta bianca a tre navate con piccolo campanile frontale. Chiesa di San Pietro e Madonna delle Grazie nella frazione di San Pietro. Chiesa di Santa Maria in Vezzulla nella località del Romitorio. Nota come la chiesa del romitorio (costruita sul luogo di un romitorio, poi trasformato in monastero, in seguito abbandonato), l'edificio attuale è stato adibito come sacrario dei partigiani - "sacrario dei Martiri del Turchino e della Resistenza" - caduti in battaglia per la liberazione del paese. Anche in questa chiesa si può trovare una cripta con le lapidi dei caduti della guerra. Questa chiesa è stata ricostruita quasi interamente nel 1946 dopo anni di abbandono e devastazione. Santuario di Nostra Signora della Cappelletta nella località della Cappelletta. Questo santuario è stato eretto in onore della Madonna perché si dice che abbia salvato la popolazione di Masone dalla peste di Genova del 1600, fermando una donna che portava del pane infetto su dal capoluogo ligure. Proprio per questa grazia la popolazione masonese ogni anno, il 2 luglio, sale al santuario con il priore dell'Arciconfraternita e il parroco di Masone che detiene il titolo di rettore del santuario per celebrare la santa messa del voto. Altre feste al santuario sono alla prima domenica di luglio e la seconda domenica di settembre. La Madonna della Cappelletta è la protettrice del comune di Masone; i masonesi inoltre ritengono che la Vergine abbia sempre protetto le loro vite durante le pesanti alluvioni avvenute nei secoli. Architetture civili Villa Bagnara, sede del comitato locale della Croce Rossa Italiana e del centro visite del parco del Beigua. Opera "Mons. Macciò", sede dell'oratorio parrocchiale e dell'associazione "Teatro-CineMasone". Architetture militari Forte Geremia, lungo il crinale dell'appennino ligure occidentale a 806 metri sul livello del mare, edificato dal Genio militare del Regno d'Italia sul finire del XIX secolo. Aree naturali Cascate del Serpente, una serie di salti d'acqua creati dal rio Masone in una vallata laterale della valle Stura. Società Evoluzione demografica Etnie e minoranze straniere Secondo i dati Istat al 31 dicembre 2019, i cittadini stranieri residenti a Masone sono , così suddivisi per nazionalità, elencando per le presenze più significative: Romania, Ecuador, Cultura Istruzione Musei Museo civico "Andrea Tubino" Negli anni settanta del Novecento, il museo nacque per opera del masonese Andrea Tubino, appassionato di antichità e storia locale, eclettico collezionista di utensili d'uso quotidiano, oggetti vecchi e antichi, strani e preziosi, manufatti dismessi, nel corso del tempo, perché superati dal progredire delle tecnologie. La collezione di Tubino (oltre 5.000 pezzi) è divenuta, nel tempo, il museo degli usi e costumi della gente della valle Stura. Nel 1993, a un anno dalla morte di Andrea Tubino, il museo fu definitivamente intitolato al suo fondatore. Da oltre venticinque anni, il museo, che è ospitato nell'ex convento agostiniano del XVI secolo di piazza Castello, viene curato e gestito dall’associazione Amici museo di Masone onlus. Al piano di ingresso (secondo piano dell’edificio) si trovano gli oggetti ed i reperti storici e archeologici che raccontano la storia della Valle Stura ed Orba (attività secolare della produzione e della lavorazione del ferro e del vetro. Archeologia, Etnografia). Al piano terra si possono ammirare la ricostruzione della fucina, un antico maglietto a testa d’asino, vecchie macchine per la lavorazione del ferro e i vecchi forni per il pane del XVI secolo. Al primo piano si trovano le sale dedicate ai presepi con statuine di moltissime provenienze e datate XVII – XX secolo, molte delle quali firmate dagli autori. Un grande presepe di scuola genovese opera dell’artista Loly Persano Marsano ed uno in terracotta realizzato da Severa Fioretta Micca Pastorino costituiscono il valore artistico del Museo. Nel periodo natalizio, viene aperto un grandissimo presepe meccanizzato con oltre 150 movimenti che rappresenta Masone in miniatura intorno agli anni 1930. Sempre al primo piano, due grandi sale sono dedicate a mostre temporanee di ogni tipo, compresa, da ormai 23 anni una rassegna internazionale di fotografia. Gianni Barengo Gardin, Fulvio Roiter, Franco Fontana, Mario Cresci, Mario de Biasi, Giuliana Traverso, Mario Vidor e molti altri della stessa levatura artistica, hanno reso un riferimento regionale per la fotografia, il museo di Masone. Il terzo piano è dedicato alle collezioni, frutto di donazioni diverse. Lumi (dalla lucerna all’energia elettrica), donazione Tubino, donazione Adorno Sacerdote, minerali e fossili, biblioteca tematica e cappella privata dei monaci. Al quarto piano (sottotetto) è stata realizzata una sala conferenze e proiezione dotata delle più moderne attrezzature per concerti e proiezioni. Questa è anche dotata di sistema di controllo della temperatura e quindi utilizzabile in tutto l’arco dell’anno. Due grandi giardini curati dall’Associazione, garantiscono la possibilità di manifestazioni di ogni tipo all’aperto. Media Il comune di Masone ha avuto, sino alla primavera del 2022, attive due emittenti locali televisive denominate TeleMasone e Teleturchino, che hanno operato sul territorio per quasi 40 anni. Geografia antropica Il territorio comunale comprende, oltre al capoluogo, la frazione di San Pietro e le località di Cappelletta, Val Masone e Val Vezzulla per un totale di 29,44 km². Confina a nord con il comune di Campo Ligure, a sud con Genova e Mele, ad ovest con Tiglieto e ad est con Bosio (AL). Economia Masone è stata storicamente famosa per la produzione e lavorazione del ferro, grazie alla notevole presenza in loco di fornaci e fucine. La presenza di fucine, molto numerose anche se di piccola dimensione (gestione basata su gruppi di famiglie) era fondata sulla produzione di carbone di legna dai cospicui boschi, presenti in regione, e sulla relativa vicinanza della città di Genova di cui era fornitrice di lavorati in ferro, soprattutto chiodi, per la cantieristica in legno, oltre che per usi comuni. Un'importante produzione fu quella tessile basata sulla forza motrice data dalla ricchezza di acqua dei torrenti. In zona sono attualmente presenti imprese di piccole e medie dimensioni, che operano nel campo dell'edilizia, o della carpenteria metallica. L'attività agricola è ad oggi un'attività minore dell'economia masonese, che vede i terreni coltivati, o gerbidi sempre più ridotti, a fronte della massiccia estensione della superficie a bosco, è sempre comunque presente un modesto allevamento di bestiame bovino, non intensivo, da latte, di buona qualità. Con il miglioramento della viabilità, (presenza di un casello autostradale), vi è un forte pendolarismo lavorativo degli abitanti verso Genova o, seppur in entità minore, verso il Basso Piemonte e la zona di Ovada. Infrastrutture e trasporti Strade Il centro di Masone è attraversato principalmente dalla strada statale 456 del Turchino che gli permette il collegamento stradale con Mele, a sud, e con Campo Ligure a nord. È raggiungibile anche grazie al proprio casello autostradale sull'autostrada A26. Ferrovie Masone è dotato dal 1894 di una stazione ferroviaria, denominata Campo Ligure-Masone, perché situata a Campo Ligure, sulla linea ferroviaria Acqui Terme-Genova. Mobilità urbana Dal comune di Genova un servizio di trasporto pubblico locale gestito dall'AMT garantisce quotidiani collegamenti bus con Masone e per le altre località del territorio comunale. Amministrazione Altre informazioni amministrative Masone fa parte dell'Unione dei comuni delle Valli Stura, Orba e Leira. Sport La principale squadra di calcio del comune è l'U.S.D. Masone che milita nel campionato di Prima Categoria. A Masone sono presenti anche il pattinaggio artistico su rotelle e le arti marziali judo e thai boxe. Note Voci correlate Liguria Città metropolitana di Genova Valle Stura Parco naturale regionale del Beigua Unione dei comuni delle Valli Stura, Orba e Leira Altri progetti Collegamenti esterni
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Morciano di Leuca
Morciano di Leuca è un comune italiano di abitanti della provincia di Lecce in Puglia. Situato nell'estremo lembo meridionale della penisola salentina, comprende anche la frazione di Barbarano del Capo e Torre Vado, quest'ultima situata sulla costa. Fa parte dell'Unione dei comuni Terra di Leuca. Dal 2016 fa parte dell'associazione Borghi Autentici d'Italia. Geografia fisica Territorio Il comune di Morciano di Leuca è situato nella parte meridionale del Capo di Leuca. L'abitato si sviluppa a 130 metri sul livello del mare sulle ultime propaggini delle serre salentine che nel comune raggiungono l'altezza massima di 165 m s.l.m. e prendono il nome di Serra Falitte. La natura carsica del territorio favorisce la creazione di inghiottitoi generati da infiltrazioni nel sottosuolo di acque superficiali. È il caso delle due vore di Barbarano, Vora Grande e Vora Piccola, la cui profondità massima è rispettivamente di 34 e 25 metri.Il litorale si presenta basso con insenature sabbiose intervallate da piatti scogli. Il territorio comunale, che si estende su una superficie di 13,39 km², confina a nord con il comune di Alessano, a est con i comuni di Castrignano del Capo e Patù, a sud con il mare Ionio, a ovest con il comune di Salve. Classificazione sismica: zona 4 (sismicità molto bassa), Ordinanza PCM n. 3274 del 20/03/2003 Clima Dal punto di vista meteorologico Morciano di Leuca rientra nel territorio del basso Salento che presenta un clima prettamente mediterraneo, con inverni miti ed estati caldo umide. In base alle medie di riferimento, la temperatura media del mese più freddo, gennaio, si attesta attorno ai +16,8 °C, mentre quella del mese più caldo, agosto, si aggira sui +28,5 °C. Le precipitazioni medie annue, che si aggirano intorno ai 321 mm, presentano un minimo in primavera-estate ed un picco in autunno-inverno.Facendo riferimento alla ventosità, i comuni del basso Salento risentono debolmente delle correnti occidentali grazie alla protezione determinata dalle serre salentine che creano un sistema a scudo. Al contrario le correnti autunnali e invernali da Sud-Est, favoriscono in parte l'incremento delle precipitazioni, in questo periodo, rispetto al resto della penisola. Classificazione climatica di Morciano di Leuca: Zona climatica: C Gradi giorno: 1105 Origini del nome Il nome potrebbe derivare con molta probabilità dal termine latino murex con riferimento al tipo di terreno di natura rocciosa e collinare sul quale sorge l'abitato. Altre ipotesi suggeriscono una derivazione dal nome latino di persona Murcius o al fatto che in passato fosse un luogo per il deposito della merce. Storia Morciano di Leuca, come tutta l'area della provincia, ha origini legate alla preistoria, perché l'intera Puglia presenta insediamenti umani sin dal periodo paleolitico. La nascita del primo insediamento abitativo di Morciano di Leuca risale al IX secolo ad opera dei profughi della vicina città di Vereto distrutta dai Saraceni. Con l'avvento dei Normanni, il feudo venne donato nel 1190 da Tancredi d'Altavilla a Sinibaldo Sambiasi, i cui discendenti ne detennero il possesso fino al XIII secolo. In epoca angioina il casale passò a Riccardus Murchano al quale subentrò nel 1316 Guiscardo Sangiorgio che lo cedette nel 1335 a Gualtieri VI di Brienne. Nel 1486 Giacomo Antoglietta (Natoli), barone di Fragagnano, Ruffano, Altavilla, Casalecchio, Santa Digna, Casavecchia, Francavilla e Monteiasi, marito di Margherita Ruffo, figlia del Conte di Sinopoli, cedette il feudo di Morciano a Ruggero Sambiasi in cambio di Vaste. Ai Simbiasi succedettero i Capece, i D'Enghien e i Castromediano (1642). Nonostante l'abolizione della feudalità fosse stata decretata nel 1806, il casale venne acquistato nel 1848 da Giuseppe Valentini. Aggregato in un primo momento al comune di Patù, ottenne l'autonomia amministrativa il 1º agosto 1838. Nel 1894 guadagna la frazione di Barbarano del Capo amministrata fino a quel momento dal comune di Salve. Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose Chiesa madre di San Giovanni Elemosiniere La Chiesa madre, dedicata a San Giovanni Elemosiniere, risale al XVI secolo e fu edificata su una preesistente struttura del tardo Medioevo. L'esterno presenta uno stile romanico con aggiunte barocche riscontrabili principalmente nel portale d'ingresso, ultimato nel 1576, e nel campanile del 1775, successivamente arricchito da un orologio. L'interno è a tre navate divise da pilastri; gli ultimi due sorreggono l'arco trionfale che separa l'area presbiterale dalla navata centrale. Le navate laterali ospitano pregevoli altari barocchi in pietra leccese sormontati da tele seicentesche e da statue. Interessante, dal punto di vista artistico, è il catino absidale nel quale i recenti restauri hanno riportato alla luce le originarie decorazioni cinquecentesche e gli affreschi raffiguranti la Vergine col Bambino e San Michele Arcangelo.Nell'area prospiciente l'edificio sacro sono state individuate numerose tombe, risalenti ai secoli XIII-XIV, appartenenti molto probabilmente ad un'unica necropoli. Chiesa del Carmine La Chiesa del Carmine, conosciuta anche come chiesa del Rosario per essere la sede dell'omonima Confraternita, fu edificata intorno al 1486 come riscontrabile nell'epigrafe posta sul lato nord dell'edificio. Voluta dal feudatario Ruggero Sambiasi, nel 1507 venne affiancata dal convento dei Carmelitani ingenuamente abbattuto nel 1967. La chiesa subì un radicale intervento di restauro nel 1597.Presenta un prospetto barocco diviso in due ordini da una cornice e terminante con un frontone curvilineo. Il primo ordine, scandito da lesene con capitelli corinzi, accoglie il portale d'accesso elegantemente sormontato da un fregio raffigurante l'Annunciazione. Nel secondo ordine si apre, in asse col portale, un ampio finestrone. L'interno è a navata unica scandita da arcate ospitanti altari barocchi con relative tele seicentesche. La chiesa conserva un antico organo e statue in legno e in cartapesta di varie epoche. Cappella della Madonna di Costantinopoli La Cappella della Madonna di Costantinopoli risale alla seconda metà del XVI secolo e appartiene alla serie di edifici edificati in seguito alla Battaglia di Lepanto la cui vittoria fu attribuita alla Vergine. Presenta un semplice prospetto rettangolare, con portale e finestra centrali, sormontato da un campanile a vela. L'interno è costituito da un piccolo vano e custodisce un monolite rinvenuto a seguito di un intervento conservativo effettuato negli ultimi anni del Novecento. Sul monolite è raffigurata una cinquecentesca Madonna col Bambino a sua volta realizzata su un affresco databile al X secolo. Altre strutture religiose Cappella di Santa Lucia – XIX secolo Cappella della Natività – XVII secolo situata nell'area cimiteriale Architetture civili Frantoi ipogei Numerosi sono i frantoi ipogei sparsi su tutto il territorio di Morciano di Leuca. Nel solo centro storico se ne contano diciotto e testimoniano la rilevante economia olearia di cui il paese viveva in passato. Alcuni di essi possono essere datati al IX secolo e molti furono ricavati mediante la semplice rottura dei granai di epoca messapica. Gran parte dei granai sono stati così distrutti ma alcuni sono ancora intatti e conservano la lastra originaria di chiusura. Architetture militari Castello Castromediano – Valentini Il castello, uno tra quelli della provincia di Lecce, fu voluto da Gualtieri VI di Brienne nella prima metà del XIV secolo per scongiurare le mire espansionistiche di Francesco della Ratta, Conte di Caserta, che per matrimonio si era imparentato ai Conti Aunay di Alessano.Presenta una pianta quadrangolare ai cui spigoli erano disposti quattro torrioni dei quali ne resta visibile solo uno in quanto due sono inglobati nelle murature esterne realizzate nel Cinquecento e il terzo fu abbattuto per far posto alla costruzione del Convento dei Carmelitani. La torre è di forma cilindrica suddivisa in tre piani: piano terra e primo piano sono divisi da un cordolo, mentre Beccatelli dividono il primo dal secondo, quest'ultimo caratterizzato dalla presenza di feritoie essenziali alla difesa con armi, olio bollente e bombarde. Il tutto termina con un altro cordone cilindrico e un tamburo rientrante.Elementi caratterizzanti del castello sono i merli della cortina di coronamento la cui forma è quella del giglio di Francia. Il portale d'ingresso, difeso da una piombatoia, è sovrastato da cinque stemmi gentilizi che fungono da ornamento. Attraverso il portone si accede ad un ampio cortile interno intorno al quale sono distribuiti grandi stanzoni adibiti a fienili, scuderie, legnaia, cucine, officine, botteghe artigianali, forno e deposito d'armi. Sul lato destro è addossato uno scalone che conduce ai piani superiori occupati dagli alloggi degli ospiti e dalle stanze del feudatario. L'attuale denominazione si deve alle ultime famiglie che lo hanno abitato. Torri costiere di avvistamento Torre Vado è una delle numerose torri di avvistamento costiere fatte costruire nel XVI secolo da Carlo V d'Asburgo per difendere il territorio salentino dalle invasioni dei pirati saraceni. La torre di guardia si trova sulla costa a pochi metri dal mare ed è circondata da edifici costruiti in epoche più recenti. Per la sua vicinanza con il centro abitato di Salve era stata adibita a torre cavallara, cioè era dotata di un messaggero a cavallo che in caso di pericolo partiva per avvertire i paesi dell'entroterra. La torre, a base circolare, si sviluppa su due piani e presenta finestre e feritoie nella parte superiore. È servita da una scala di accesso interna. Con il disarmo delle torri costiere, avvenuto intorno al 1846 su disposizione di Ferdinando II sovrano delle Due Sicilie, la torre è stata adibita a stazione di controllo doganale. Nel 1930 venne acquistata da privati e poi restaurata nel 1935. Società Evoluzione demografica Etnie e minoranze straniere Al 31 dicembre 2017 a Morciano di Leuca risultano residenti 80 cittadini stranieri. La nazionalità principale è: Romania - 49 Lingua e dialetti Il dialetto parlato a Morciano di Leuca è il dialetto salentino nella sua variante meridionale. Il dialetto salentino, appartenente alla famiglia delle lingue romanze e classificato nel gruppo meridionale estremo, si presenta carico di influenze riconducibili alle dominazioni e ai popoli stabilitisi in questi territori nei secoli: messapi, greci, romani, bizantini, longobardi, normanni, albanesi, francesi, spagnoli. Cultura Istruzione Biblioteche Biblioteca Comunale del Centro interesse giovanile CIG. Scuole Nel comune vi sono due scuole dell'infanzia, una scuola primaria e una scuola secondaria di primo grado. Eventi Festa di San Giovanni Elemosiniere Periodo: 23 gennaio e ultima decade di luglio Carnevale Periodo: febbraio o marzo Sagra de li Diavulicchi Periodo: prima decade di agosto Fiera di Santa Lucia Periodo: 13 dicembre Economia L'economia di Morciano è storicamente legata all'agricoltura e, anche se non è più la fonte principale di reddito, il settore dell'ulivo finalizzato alla produzione di olio d'oliva rimane importante. In ambito regionale si converte gradualmente verso attività legate a piccole imprese, iniziative commerciali e turismo; quest'ultimo è localizzato nella sottile fascia costiera ed è limitato solitamente al periodo estivo. Infrastrutture e trasporti Strade I collegamenti stradali principali sono rappresentati da: Strada statale 101 (Gallipoli – Lecce) Strada statale 274 (Santa Maria di Leuca – Gallipoli) Il centro è anche raggiungibile dalle strade provinciali interne: SP190 Torre Vado-Morciano di Leuca-Barbarano del Capo-Montesardo, SP326 Morciano di Leuca-Litoranea SP214, SP351 Salve-Morciano di Leuca-Patù. Ferrovie Il comune è servito da una stazione ferroviaria, situata nella frazione di Barbarano del Capo, posta sulla linea Novoli-Gagliano del Capo delle Ferrovie del Sud Est. Amministrazione Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune. Note Bibliografia L. A. Montefusco, Le successioni feudali in Terra d'Otranto, Istituto Araldico salentino, Lecce, 1994 D'Aquino Cesare, Morciano di Leuca, Capone L., 1988 Ciurlia Antonio, Morciano di Leuca. Alle radici della storia, Capone L., 1993 Voci correlate Salento Serre salentine Terra d'Otranto Torre Vado Barbarano del Capo Vore carsiche di Barbarano Diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca San Giovanni l'Elemosiniere Capo di Leuca Altri progetti Collegamenti esterni Morciano di Leuca Notizie storico culturali, foto e video del Comune di Morciano di Leuca, frazioni e marine. Comuni della provincia di Lecce
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https://it.wikipedia.org/wiki/Mitra
Mitra
Mitra (lat. Mithra) – divinità principale del Mitraismo, dello Zoroastrismo (o mazdeismo), ma presente anche nel periodo vedico e nella religione romana (anche identificato con Sol Invictus) Mitra – copricapo cerimoniale utilizzato nella liturgia di alcune chiese cristiane e di altre religioni Mitra – arma automatica portatile in grado di sparare a raffica Mitra – figura araldica Mitra – in micologia, il cappello dei funghi Mitra – mollusco gasteropode della famiglia dei Mitridi Mitra – album di Mitra Kaislaranta del 2015 Mitra – parte apicale di alcuni camini di ventilazione Persone Koena Mitra – attrice indiana Ramon Mitra Jr. – politico filippino Rhona Mitra – attrice britannica Altri progetti
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https://it.wikipedia.org/wiki/Metameria
Metameria
La metamerìa è una tendenza evolutiva tipica delle principali linee filetiche degli eucelomati, caratterizzata dalla suddivisione seriale del corpo o delle sue parti secondo la sua lunghezza in una serie di elementi serializzati, ognuno dei quali può essere denominato, a seconda del contesto e della parte del segmento, metamero, mesomero o somite. Lo sviluppo viene regolato da particolari sequenze di DNA che dirigono i geni coinvolti nella regolazione delle procedure di sviluppo o morfogenesi nei viventi. Essa è particolarmente evidente durante le fasi di sviluppo embrionale, quando i metameri si formano l'uno dopo l'altro. Allontanandosi dal capo, i segmenti risultano essere di formazione più recente. Gli animali non metamerici presentano un accrescimento localizzato in regioni limitate del corpo, nelle quali avviene una produzione di cellule che permettono al corpo di allungarsi. Ad esempio, nei platelminti, non metamerici, l'estremità posteriore è la parte del corpo meno recente, mentre la zona postcefalica è quella originatasi per ultima. Genetica ed ontogenesi Le strutture mesodermiche come gli organi escretori, le cavità celomatiche, si ripetono a differenza di quelle endo ed ectodermiche grazie a particolari geni omeotici, che hanno la caratteristica di far ripetere lo stesso programma genetico più volte. In molti casi si assiste anche alla replica metamerica di gangli e complessi del sistema nervoso, questo di origine ectodermica. In molti Anellidi ed Artropodi la metameria è evidente poiché i metameri sono demarcati da solchi esterni che circondano il corpo. Internamente parti dei principali sistemi ed apparati organici si ripetono in ogni metamero. Nei Molluschi, separatisi precocemente dai due phyla citati, residui di metameria si rinvengono in classi piuttosto primitive, come i Poliplacofori ed i Monoplacofori, mentre nei tipi più evoluti non permangono residui visibili. Nei cordati, la metameria si manifesta internamente, soprattutto come modalità di accrescimento embrionale. Ne danno conferma caratteristiche anatomiche seriali come le vertebre, i miomeri dei pesci, i tubuli renali eccetera. Questi sono esempi cospicui di organismi che hanno metameri intimamente raggruppati in tagmata. Nei cordati, i metameri di ciascun tagma sono fusi a tal punto che poche caratteristiche ripetitive sono direttamente visibili esteriormente. Queste strutture si ripetono numericamente negli animali e si definiscono omologie seriali. Pur essendo di chiara origine metamerica, solo in alcuni casi si mantengono piuttosto uniformi. Indagini accurate discernono la metameria nei tagmata di tali organismi. Esempi evidenti di vestigiali strutture metameriche includono archi branchiali e nervi. La muscolatura retta dell'addome, la colonna vertebrale umana, e altro ancora evidenziano una derivazione metamerica. Clock e modello wavefront sono modelli utilizzati per descrivere la temporizzazione in un modello a fronte d'onda; vengono usati per descrivere il processo di somitogenesi nei vertebrati, il processo mediante il quale si formano i somiti, blocchi di mesoderma che danno luogo a una varietà di tessuti connettivi. Il modello descrive la scissione dei somiti del mesoderma parassiale come risultato dell'espressione oscillante di particolari proteine e i loro gradienti. Filogenesi La metameria si è evoluta indipendentemente almeno due volte: nei Protostomi e nei Deuterostomi. Poiché la metameria relativamente uniforme degli Anellidi è probabilmente simile alla condizione metamerica ancestrale (metameria omonoma), le ipotesi riguardanti l'origine della metameria concentrano spesso l'attenzione sull'organizzazione del corpo di tale phylum. Inoltre, poiché la maggior parte degli Anellidi ha un celoma segmentato ben sviluppato, le ipotesi riguardanti l'origine della metameria e quelle riguardanti l'origine del celoma sono spesso intrecciate. Nell'ambito di quegli animali a metameria evidente, si usa distinguere dalla metameria omonoma la metameria eteronoma, tipica degli Artropodi che hanno metameri strutturalmente differenziati. Inoltre, nella metameria omonoma si usano distinguere gli organismi olometameri che hanno i loro somiti pressoché uguali con l'esclusione dei due terminali, mentre tra gli eteronomi si evidenziano gli eterometameri che hanno i loro segmenti riuniti in tagmi differenti l'uno dall'altro. Una pseudo-metameria originatasi per convergenza evolutiva la ritroviamo in alcuni animali non celomati: ghiandole vitellarie in alcuni Turbellari e nella cuticola dei Chinorinchi, segmentata solo superficialmente. Animali
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Motonautica
La motonautica è uno sport motoristico in cui si utilizzano vari tipi di natanti. È governato dalla Union Internationale Motonautique e nel 1908 fece parte dei Giochi olimpici. Tipi di imbarcazioni Idroplani: si tratta di imbarcazioni con una forma a sezione di ala che permette loro, raggiunta una certa velocità, di volare a pelo d'acqua lasciando immerse solo l'elica e le eventuali appendici idrodinamiche, dette derive o skidfin. Catamarani: analogamente agli scafi a vela della stessa categoria, i catamarani a motore sono costituiti da due scafi paralleli uniti da una zona centrale ove è seduto il pilota. Carena a V: molto simili agli scafi "turistici", gli scafi con carena a V (anche in variante Redan), poggiano con tutta la chiglia sull'acqua durante la navigazione Campionati Le competizioni vengono effettuate, quasi sempre, in mare o nei laghi. Il tracciato è riconoscibile grazie all'apposizione di visibilissime boe, generalmente di color arancio, che contraddistinguono i punti in cui gli scafi devono virare. Recentemente, a seguito di vibrate proteste di ambientalisti, nelle più importanti formule e manifestazioni viene utilizzato uno speciale carburante che non lascia molti residui nell'acqua. Inshore Si svolge su laghi o fiumi con catamarani che rappresentano la Formula 1 H2O. Il campionato del mondo di F1 è stato creato nel 1981 dalla Union Internationale Motonautique. In Italia gare, anche del mondiale di Formula 1, vengono ospitate dal Lago di Como. Oltre che per ospitare le gare l'Italia in questo sport è apprezzato anche per aver dato i natali a piloti come Eugenio Molinari, l’uomo più titolato al mondo in motonautica inboard, detentore di 72 record mondiali come pilota e di ben 136 come costruttore. Per prepararsi alla F1H2O esistono altre imbarcazioni di tipo catamarano con capsula la F2H2O e la F4H2O, tra questa categorie cambia la lunghezza, peso e cilindrata dei motori. Offshore La categoria offshore forma l'élite di questa disciplina attraverso il Campionato del mondo offshore. Il campionato 2006 ha avuto sei Grand Prix: Malta, Italia, Germania, Mediterraneo (Italia), Gran Bretagna e Portogallo. La gara Venezia-Montecarlo con un percorso di oltre 1.400 miglia marine, alternate tra prove di velocità, prove di regolarità e trasferimenti è la gara di motonautica d’altura più lunga e impegnativa del mondo. Endurance Tra le prove endurance, si ricorda la 24 ore motonautica di Rouen. Rallye Tra le prove di questa categoria, si ricorda la Route des Gabares, che si svolge con battelli pneumatici. Drag boat racing Le corse si svolgono sul quarto di miglio, ossia 402 metri, con velocità di 400 km/h. Queste prove sono organizzate soprattutto dalla International Hot Boat Association americana. Note Voci correlate Motonautica ai Giochi olimpici Union Internationale Motonautique Gara Motonautica Pavia-Venezia Venezia Montecarlo Collegamenti esterni Federazione Italiana Motonautica Motonautica, rivista di riferimento di motonautica.
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Marte (astronomia)
Marte è il quarto pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole; è visibile a occhio nudo ed è l'ultimo dei pianeti di tipo terrestre dopo Mercurio, Venere e la Terra. Chiamato pianeta rosso per via del suo colore caratteristico causato dalla grande quantità di ossido di ferro che lo ricopre, Marte prende il nome dall'omonima divinità della mitologia romana e il suo simbolo astronomico è la rappresentazione stilizzata dello scudo e della lancia del dio (; Unicode: ♂). Pur presentando temperature medie superficiali piuttosto basse (tra ) e un'atmosfera molto rarefatta, è il pianeta più simile alla Terra tra quelli del sistema solare. Le sue dimensioni sono intermedie tra quelle del nostro pianeta e quelle della Luna, e ha l'inclinazione dell'asse di rotazione e la durata del giorno simili a quelle terrestri. La sua superficie presenta formazioni vulcaniche, valli, calotte polari e deserti sabbiosi, e formazioni geologiche che vi suggeriscono la presenza di un'idrosfera in un lontano passato. La superficie del pianeta appare fortemente craterizzata, a causa della quasi totale assenza di agenti erosivi (principalmente, l’attività geologica, atmosferica e idrosferica) e dalla totale assenza di attività tettonica delle placche capace di formare e poi modellare le strutture tettoniche. La bassissima densità dell'atmosfera non è poi in grado di consumare buona parte delle meteore, che pertanto raggiungono il suolo con maggior frequenza che non sulla Terra. Tra le formazioni geologiche più notevoli di Marte si segnalano: l'Olympus Mons, o monte Olimpo, il vulcano più grande del sistema solare (alto ); le Valles Marineris, un lungo canyon notevolmente più esteso di quelli terrestri; e un enorme cratere sull'emisfero boreale, ampio circa il 40% dell'intera superficie marziana. All'osservazione diretta, Marte presenta variazioni di colore, imputate storicamente alla presenza di vegetazione stagionale, che si modificano al variare dei periodi dell'anno; ma successive osservazioni spettroscopiche dell'atmosfera hanno da tempo fatto abbandonare l'ipotesi che vi potessero essere mari, canali e fiumi oppure un'atmosfera sufficientemente densa. La smentita finale arrivò dalla missione Mariner 4, che nel 1965 mostrò un pianeta desertico e arido, animato da tempeste di sabbia periodiche e particolarmente violente. Le missioni più recenti hanno evidenziato la presenza di acqua ghiacciata. Intorno al pianeta orbitano due satelliti naturali, Fobos e Deimos, di piccole dimensioni e dalla forma irregolare. Osservazione A occhio nudo Marte solitamente appare di un marcato colore giallo, arancione o rossastro e per luminosità è il più variabile nel corso della sua orbita tra tutti i pianeti esterni: la sua magnitudine apparente infatti passa da un minimo +1,8 fino a un massimo di −2,91 all'opposizione perielica (anche chiamata grande opposizione). A causa dell'eccentricità orbitale la sua distanza relativa varia a ogni opposizione determinando piccole e grandi opposizioni, con un diametro apparente da 3,5 a 25,1 secondi d'arco. Il 27 agosto 2003 alle 9:51:13 UT Marte si è trovato vicino alla Terra come mai in quasi : . Ciò è stato possibile perché Marte si trovava a un giorno dall'opposizione e circa a tre giorni dal suo perielio, cosa che lo rese particolarmente visibile dalla Terra. Tuttavia questo avvicinamento è solo di poco inferiore ad altri. Ad esempio il 22 agosto 1924 la distanza minima fu di e si prevede che il 24 agosto 2208 sarà di . Il massimo avvicinamento di questo millennio avverrà invece l'8 settembre 2729, quando Marte si troverà a dalla Terra. Con l'osservazione al telescopio sono visibili alcuni dettagli caratteristici della superficie, che permisero agli astronomi dal sedicesimo al ventesimo secolo di speculare sull'esistenza di una civiltà organizzata sul pianeta. Basta un piccolo obiettivo da 70-80 mm per risolvere macchie chiare e scure sulla superficie e le calotte polari; già con un 100 millimetri si può riconoscere il Syrtis Major Planum. L'aiuto di filtri colorati permette inoltre di delineare meglio i bordi tra regioni di diversa natura geologica. Con un obiettivo da 250 mm e condizioni di visibilità ottimali sono visibili i caratteri principali della superficie, i rilievi e i canali. La visione di questi dettagli può essere parzialmente oscurata da tempeste di sabbia su Marte che possono estendersi fino a coprire tutto il pianeta. L'avvicinarsi di Marte all'opposizione comporta l'inizio di un periodo di moto retrogrado apparente, durante il quale, se ci si riferisce alla volta celeste, il pianeta appare in moto nel verso opposto all'ordinario (quindi da est verso ovest anziché da ovest verso est) con la sua orbita che sembra formare un 'cappio' (in inglese "loop"); il moto retrogrado di Marte dura mediamente 72 giorni. Storia delle osservazioni Dopo Venere e Giove, Marte è il pianeta più facilmente individuabile dalla Terra per via della grande luminosità relativa e del caratteristico colore rosso. Nonostante non si consideri la notte dei tempi, i primi a osservare dettagliatamente Marte furono gli Egizi. Informazioni dettagliate su Marte ci arrivano dai Babilonesi. Indiani e Cinesi fecero altrettanti dettagliati studi. Le popolazioni di cultura etrusco-greco-romana lo associavano all'immagine di Maris/Ares/Marte, dio della guerra. Tra i primi a descrivere delle osservazioni di Marte si ricorda Aristotele, il quale ne notò anche il passaggio dietro alla Luna ottenendo così una prova empirica della concezione di un universo geocentrico con la terra al centro del sistema al posto del sole. Il 13 ottobre 1590 Michael Maestlin osservò l'unica occultazione documentata di Marte da Venere presso la città tedesca di Heidelberg. Nel 1609 Galileo fu il primo uomo a puntare un telescopio verso Marte. Fu solo sul finire del XIX secolo che attente osservazioni e il miglioramento della tecnologia permisero di ottenere una visione sufficientemente nitida da distinguere le caratteristiche del suolo marziano. Il 5 settembre 1877 si verificò un'opposizione perielica e in quell'anno l'astronomo italiano Giovanni Schiaparelli, in quel momento a Milano, utilizzò un telescopio di per disegnare la prima mappa dettagliata di Marte la cui nomenclatura è ancora quella ufficiale. Ne risultarono strutture che l'astronomo definì "Canali" (successivamente fu dimostrato che si trattava di illusioni ottiche) in quanto la superficie del pianeta presentava diverse lunghe linee alle quali egli attribuì nomi di celebri fiumi terrestri. L'errata traduzione in inglese del termine "canali" usato nei lavori di Schiaparelli (venne usato il termine canal, ovvero "canale artificiale", piuttosto che il generico channel) portò il mondo scientifico a credere che su Marte vi fossero canali irrigui artificiali, mentre effettivamente lo scienziato aveva solo parlato di grandi solchi sulla superficie. Influenzato da queste traduzioni l'astronomo statunitense Percival Lowell fondò un osservatorio, l'osservatorio Lowell, dotato di un telescopio di che venne usato nella particolarmente favorevole opposizione del 1894 e nelle successive. Pubblicò diversi libri su Marte e le sue teorie sull'esistenza di vita sul pianeta, basate anche sull'origine artificiale dei canali, ebbero una notevole influenza sull'opinione pubblica. Tra gli astronomi che osservarono gli ormai caratteristici canali marziani si ricordano inoltre Henri Joseph Perrotin e Louis Thollon di Nizza. Nacque in quel periodo l'immagine di un mondo vecchio (contrapposto a una Terra di mezza età e a Venere primitiva), dove la siccità aveva costretto la matura civiltà marziana a immense opere di canalizzazione: un topos che avrà notevole successo in fantascienza. Per lungo tempo si ritenne che Marte fosse un pianeta coperto di vegetazione e alcuni mari: i cambiamenti stagionali di Marte infatti causavano una riduzione delle calotte polari d'estate e creavano ampie macchie scure sulla sua superficie. Tuttavia le osservazioni al telescopio non erano in grado di confermare tali speculazioni: al progredire della qualità dei telescopi si assisteva infatti a una riduzione dei canali, finché nel 1909 Camille Flammarion, con un telescopio di , osservò disegni irregolari ma nessun canale. La stagionalità marziana fu d'ispirazione, nonostante l'inesistenza di prove, per teorie sulla possibile struttura dell'ecosistema di Marte addirittura fino agli anni sessanta del XX secolo. In rinforzo a tali tesi vennero presentati anche scenari dettagliati riguardanti il metabolismo e i cicli chimici dello stesso. I progressi nell'osservazione spaziale consentirono inoltre la scoperta dei due satelliti naturali, Fobos e Deimos, probabilmente asteroidi catturati dalla gravità del pianeta. L'esistenza di tali satelliti era già stata postulata da tempo, tanto che oltre un secolo e mezzo prima Jonathan Swift ne citava alcuni dati orbitali approssimativi ne I viaggi di Gulliver. Le aspettative del grande pubblico vennero disattese quando, nel 1965, la sonda Mariner 4 raggiunse per la prima volta il pianeta non rilevando segni di costruzioni. Il primo atterraggio di sonde automatiche avvenne undici anni dopo con le missioni Viking I e II; vennero effettivamente rilevate tracce di vita ma non vennero poi rilevati composti organici al carbonio in superficie, e quindi i test sulla vita vennero scartati come errati (dalla successiva scoperta della presenza di composti organici si sono poi aperte discussioni e dubbi). Dal finire dello scorso secolo Marte è stato nuovamente meta di numerose sonde, statunitensi ed europee, che hanno portato a un significativo miglioramento delle conoscenze sul pianeta; grazie alla missione Mars Global Surveyor, terminata verso la fine del 2006, si sono ottenute infatti mappe molto dettagliate dell'intera superficie di Marte. Nel 2005 l'amministrazione statunitense ha infine commissionato alla NASA gli studi per una possibile missione umana fino a Marte. Esplorazione di Marte Numerose sono state le missioni verso Marte intraprese da Unione Sovietica, Stati Uniti, Europa, Giappone e Cina per studiarne la geologia, l'atmosfera e la superficie. Circa metà delle missioni tuttavia sono risultate degli insuccessi costituiti da perdite e da vari inconvenienti tecnici. Anche per questo motivo il pianeta conserva il suo fascino, il suo mistero e, più in generale, un'ulteriore motivazione per proseguire le ricerche. Le probabilità di trovare tracce di vita su questo pianeta, così come esso ci appare, sono estremamente ridotte; tuttavia, se fosse confermata la presenza di acqua in tempi remoti, aumenterebbero le probabilità di trovare tracce di vita passata. Le missioni spaziali sono vincolate a finestre di lancio di 2-3 mesi ogni 780 giorni, corrispondente al periodo sinodico. Missioni passate Il primo successo si ebbe nel 1964 con il passaggio in prossimità di Marte del Mariner 4 della NASA. La prima osservazione ravvicinata di Marte fu molto controversa: sebbene da un lato l'entusiasmo del successo avrebbe dovuto spingere economicamente e politicamente verso altre missioni, dall'altro i risultati completamente diversi dalle aspettative di un pianeta prolifico, con vita e vegetazione, portarono a una riduzione significativa delle risorse allocate all'esplorazione del pianeta, annullando e rinviando alcune missioni già pianificate. Il primo atterraggio invece avvenne nel 1971 grazie ai sovietici Mars 2 e 3 che però persero i contatti con la Terra pochi minuti dopo. In seguito fu lanciato dalla NASA il programma Viking del 1975, consistente in due satelliti orbitanti con un modulo di atterraggio che raggiunsero il suolo nel 1976. Il Viking 1 rimase operativo per sei anni mentre il Viking 2 per tre. Grazie alla loro attività si ebbero le prime foto a colori della superficie marziana e mappature di qualità tale da essere ancora usate. Riguardo ai test biologici i risultati furono sorprendenti ma reputati ambigui e inconcludenti. Nel 1988 i moduli sovietici del Programma Phobos (Phobos 1 e Phobos 2) furono inviati per lo studio di Marte e delle sue due lune; il segnale di Phobos 1 fu perduto mentre era in viaggio e Phobos 2 riuscì a inviare foto del pianeta e di Fobos ma si guastò prima di liberare due sonde sulla luna. Dopo il fallimento nel 1992 del Mars Observer, la NASA inviò nel 1996 il Mars Global Surveyor; la missione di mappatura fu un completo successo e si concluse nel 2001. I contatti si interruppero nel novembre del 2006 dopo 10 anni nell'orbita marziana. Un mese dopo il lancio del Surveyor, la NASA lanciò il Mars Pathfinder con a bordo il robot da esplorazione Sojourner, che atterrò nell'Ares Vallis; anche questa missione fu un successo e divenne famosa per le immagini che inviò sulla Terra. Nel 2001 la NASA inviò il satellite Mars Odyssey che, dotato di uno spettrometro a raggi gamma, identificò grandi quantità di idrogeno nella regolite marziana. Si ritiene che l'idrogeno fosse contenuto in ampi depositi di ghiaccio. La missione scientifica della sonda terminò nel settembre 2010 e da allora è utilizzato come satellite di collegamento nelle comunicazioni tra le missioni sulla superficie del pianeta e i centri di controllo a terra. I due rover gemelli Spirit (MER-A) e Opportunity (MER-B), lanciati dalla NASA, raggiunsero il suolo marziano con successo nel gennaio 2004. Tra le scoperte principali si ha la prova definitiva dell'esistenza di acqua allo stato liquido nel passato, grazie al ritrovamento delle sue tracce in entrambi i punti di atterraggio. I diavoli di sabbia e le forti correnti inoltre hanno allungato la vita dei rover grazie alla continua pulizia dei loro pannelli solari. Il 22 marzo 2010 si persero i contatti con Spirit, mentre il 10 giugno 2018 quelli con Opportunity. Il 12 agosto 2005 fu la volta del Mars Reconnaissance Orbiter della NASA, che arrivò a destinazione il 10 marzo 2006 per una missione di due anni. Tra gli obiettivi vi era la mappatura del terreno marziano e delle condizioni atmosferiche per trovare un luogo di atterraggio adatto alle successive missioni. Il Mars Reconnaissance Orbiter scattò le prime immagini di valanghe presso il polo nord del pianeta il 3 marzo 2008. Il Phoenix Mars Lander, lanciato il 4 agosto 2007, raggiunse il polo nord marziano il 25 maggio 2008. Il modulo era dotato di un braccio meccanico con un raggio d'azione di 2,5 metri in grado di scavare per 1 metro nel suolo, e disponeva inoltre di una telecamera in miniatura che il 15 giugno 2008 scoprì una sostanza che il 20 dello stesso mese si rivelò essere acqua. La missione si concluse il 10 novembre con la perdita definitiva di ogni contatto, al sopraggiungere della stagione invernale marziana. Non ebbe esito positivo invece la missione Fobos-Grunt, diretta verso la luna Fobos, lanciata nel novembre del 2011 e precipitata a terra nel gennaio successivo, dopo che problemi tecnici occorsi subito dopo l'immissione in orbita terrestre bassa impedirono la prosecuzione del viaggio verso il suo obiettivo. Tra il 2007 e il 2011, l'ESA e la Russia condussero una simulazione del viaggio umano verso Marte e ritorno, nell'ambito del progetto Mars-500. Missioni in corso Nel 2003 l'ESA lanciò il Mars Express Orbiter assieme al modulo di atterraggio Beagle 2, che fu dichiarato perso agli inizi del febbraio 2004. La squadra del Planetary Fourier Spectrometer, alloggiato nel satellite, scoprì la presenza di metano su Marte. Nel giugno 2006 l'ESA inoltre annunciò l'avvistamento di aurore sul pianeta. Visti gli importanti risultati scientifici ottenuti, la missione è stata prolungata fino al 2020. Il 6 agosto 2012 atterrò su Marte il rover Curiosity, il maggiore per dimensioni e complessità tecnologica sviluppato dalla NASA, con l'obiettivo di investigare sulla passata e presente capacità del pianeta di sostenere la vita. La sonda ha trovato acqua, zolfo e sostanze clorurate nei primi campioni di suolo marziano, a testimonianza di una chimica complessa. La NASA ha precisato che il risultato è solo la conferma che gli strumenti della sonda hanno funzionato alla perfezione, e che sono stati trovati indizi di composti organici, ma che non è possibile escludere che questi possano essere stati trasportati su Marte dalla stessa Curiosity. La Mars Orbiter Mission, nota anche con la denominazione informale di Mangalyaan, fu la prima missione per l'esplorazione di Marte dell'Indian Space Research Organisation (ISRO), il cui vettore fu lanciato il 5 novembre 2013 per raggiungere l'orbita marziana il 24 settembre 2014. La missione fu ideata per sviluppare le tecnologie necessarie per la progettazione, programmazione, gestione e controllo di una missione interplanetaria. L'agenzia spaziale indiana fu dunque la quarta a raggiungere Marte, dopo la russa RKA, la statunitense NASA e l'europea ESA. La sonda MAVEN fu lanciata con successo il 18 novembre 2013 con un razzo vettore Atlas V dalla Cape Canaveral Air Force Station, per inserirsi in un'orbita ellittica attorno a Marte il 22 settembre del 2014, a un'altezza compresa tra 90 miglia (145 km) e miglia () dalla superficie. Il 14 marzo 2016 l'ESA ha lanciato il Trace Gas Orbiter (TGO) e il Lander Schiaparelli, parte della missione ExoMars. Il Lander Schiaparelli ha tentato, senza successo, di atterrare il 16 ottobre dello stesso anno. Nel 2018 è stata lanciata la missione statunitense InSight con un lander e due CubeSat in sorvolo, per condurre uno studio approfondito della struttura interna del pianeta. La NASA ha inviato nel 2020 la missione Mars 2020, rover gemello di Curiosity ma con strumentazione scientifica differente, per studiare l'abitabilità di Marte, definire il clima e preparare le future missioni umane, testando anche la produzione di ossigeno in situ. Nel febbraio 2021 la NASA ha diffuso un video dell’arrivo del rover Perseverance su Marte. L'agenzia spaziale cinese con la missione Tianwen-1 ha inviato una sonda ben più complessa, comprensiva di orbiter, lander e del rover Zhurong, con in dotazione un radar di profondità per mappare la crosta marziana fino a una profondità di 400 metri. Lanciata nel 2020 la sonda è atterrata su Marte nel 2021. Emirates Mars Mission è la prima missione verso Marte degli Emirati Arabi Uniti; la sonda, denominata Hope, lanciata nel 2020 e arrivata in orbita marziana nel febbraio 2021, ha l'obiettivo di studiare l'atmosfera marziana e il suo clima. Missioni future Nell'ambito di ExoMars, doveva essere inviato sulla superficie di Marte il rover Rosalind Franklin in grado di perforare il suolo fino a 2 metri di profondità per stabilire l'eventuale esistenza di vita passata sul pianeta. A tale scopo i campioni forniti dalla perforatrice verrebbero analizzati da Urey, il rilevatore di materia organica e ossidanti finanziato dalla NASA, in grado di rilevare anche tracce di molecole organiche e stabilire se siano state originate da forme di vita o meno e, nel caso, quali condizioni ne hanno provocato la scomparsa. A causa dell'invasione russa dell'Ucraina del 2022 la cooperazione tra ESA e Roscosmos è terminata e la missione è stata ritardata a tempo indeterminato. EscaPADE (Escape and Plasma Acceleration and Dynamics Explorers) è una missione pianificata della NASA che prevede due orbiter per studiare la struttura, la composizione, la variabilità e la dinamica della magnetosfera di Marte e dei processi di fuga atmosferica. Gli orbiter EscaPADE dovevano originariamente essere lanciati nel 2022 su un Falcon Heavy insieme alle missioni Psyche tuttavia a causa di cambio del vettore utilizzato è stato annunciato che verrà lanciato su un volo diverso, ancora da determinare. Il NICT di Tokyo (National Institute of Information and Communications Technology) in collaborazione con l'Università di Tokyo ha progettato il Tera-hertz Explorer, un microsatellite dedicato allo studio degli isotopi di ossigeno presenti nell'atmosfera marziana, che verrà lanciato come payload secondario in una missione ancora da specificare. L'Indian Space Research Organisation, dopo il successo di Mars Orbiter Mission prevede una seconda missione, Mars Orbiter Mission 2, composta di orbiter, lander e rover, per progredire nell'indagine scientifica dell'atmosfera e del suolo marziano. Il lancio, inizialmente programmato per il 2022, è slittato al 2025 ma la missione sarà composta dal solo orbiter. L'esplorazione con equipaggi di Marte è stata considerata come un obiettivo a lungo termine dagli Stati Uniti attraverso il Vision for Space Exploration annunciato nel 2004 dal presidente George W. Bush e sostenuto successivamente da Barack Obama e Donald Trump. Una cooperazione tra NASA e Lockheed Martin a questo proposito ha portato all'avvio del progetto Orion, la cui missione di prova era programmata per il 2020 verso la Luna per poi intraprendere il viaggio verso Marte. nel 2007, l'amministratore della NASA Michael D. Griffin dichiarà che la NASA mirava a inviare una spedizione umana su Marte entro il 2037. Formazione Marte si formò 4,6 miliardi di anni fa, con una storia simile agli altri tre pianeti terrestri e cioè a seguito della condensazione della nebulosa solare, per lo più dei silicati. A causa della distanza superiore dal Sole rispetto alla Terra, durante la fase iniziale della formazione nell'orbita di Marte si trovava una concentrazione maggiore di elementi con basso punto di ebollizione, come cloro, fosforo e zolfo, probabilmente spinti via dalle orbite interne dal forte vento solare del giovane Sole. La storia del pianeta può essere suddivisa in quattro ere geologiche che caratterizzano la sua formazione e evoluzione. Noachiano Durante la prima era, compresa tra circa 4,1 e 3,7 miliardi di anni fa, il pianeta fu soggetto all'intenso bombardamento tardivo, di cui fu vittima anche la Terra. Circa il 60% della superficie ha dei marcatori risalenti a quell'era, in particolare crateri da impatto. Il più grande di questi si trova nell'emisfero settentrionale e ha un diametro di circa , quasi metà della circonferenza del pianeta. L'ipotesi più accreditata sulla formazione di questo cratere è l'impatto con un planetoide delle dimensioni di Plutone, che lasciò una profonda traccia sul pianeta, il bacino boreale, che occupa circa il 40% del pianeta, conferendo una dicotomia unica nel sistema solare. Un'altra formazione tipica di questo periodo è la regione di Tharsis, soggetta a un vulcanismo molto attivo e inondata, verso la fine dell'era, da una grande quantità d'acqua, molto abbondante a quei tempi. Questo concatenarsi di eventi potrebbe aver permesso condizioni adatte alla vita microbiologica. Esperiano Lentamente, in poco più di un miliardo e mezzo di anni, Marte passò da una fase calda e umida caratteristica del Noachiano a quella di pianeta freddo e arido osservabile attualmente; questa fase di transizione avvenne durante l'Esperiano, un periodo caratterizzato da un'intensa attività vulcanica e alluvioni catastrofiche che scavarono immensi canali lungo la superficie. Sono tipiche di questo periodo le grandi pianure basaltiche e l'Olympus Mons, il vulcano più alto di tutto il sistema solare. Le continue eruzioni portarono in superficie grosse quantità di anidride solforosa e acido solfidrico, mutando le grandi distese di acqua liquida in piccoli bacini di acqua ad alta acidità per via dell'acido solforico che si andò a formare. Sebbene la scomparsa dei fiumi e dei laghi sia generalmente considerata ascrivibile verso la fine di questa era, un recente modello realizzato da un team di scienziati statunitensi guidati da Edwin Kite sembra aprire la possibilità che l'esistenza dei corsi d'acqua sulla superficie sia stata possibile sino a meno di un miliardo di anni fa. Amazzoniano L'Amazzoniano, da circa 3 miliardi di anni fa a oggi, è caratterizzato da un periodo povero di bombardamenti meteoritici e da condizioni climatiche fredde e aride simili a quelle attuali. Una formazione tipica di questa era è l'Amazonis Planitia, una vasta pianura poco caratterizzata da crateri. Grazie all'attività geologica relativamente stabile e alla diminuzione degli effetti caotici del sistema solare, lo studio di queste formazioni relativamente recenti è possibile applicando molti principi elementari come la legge della sovrapposizione o il conteggio di crateri in un'area determinata per stimare età e sviluppo geologico della zona interessata. Parametri orbitali Marte orbita attorno al Sole a una distanza media di circa e il suo periodo di rivoluzione è di circa 687 giorni (1 anno, 320 giorni e 18,2 ore terrestri). Il giorno solare di Marte (il Sol) è poco più lungo del nostro: 24 ore, 37 minuti e 23 secondi. L'inclinazione assiale marziana è di 25,19° che risulta simile a quella della Terra. Per questo motivo le stagioni si assomigliano eccezion fatta per la durata doppia su Marte. Inoltre il piano dell'orbita si discosta di circa 1,85° da quello dell'eclittica. A causa della discreta eccentricità della sua orbita, pari a 0,093, la sua distanza dalla Terra all'opposizione può oscillare fra circa 100 e circa 56 milioni di chilometri; solo Mercurio ha un'eccentricità superiore nel Sistema Solare. Tuttavia in passato Marte seguiva un'orbita molto più circolare: circa 1,35 milioni di anni fa la sua eccentricità era equivalente a 0,002, che è molto inferiore a quella terrestre attuale. Marte ha un ciclo di eccentricità di 96 000 anni terrestri paragonati ai 100 000 della Terra; negli ultimi 35 000 anni l'orbita marziana è diventata sempre più eccentrica a causa delle influenze gravitazionali degli altri pianeti e il punto di maggior vicinanza tra Terra e Marte continuerà a diminuire nei prossimi 25 000 anni. Caratteristiche fisiche Struttura interna La crosta, il mantello e il nucleo di Marte si formarono entro circa 50 milioni di anni dalla nascita del Sistema solare e rimasero attivi per il primo miliardo. Il mantello fu la regione rocciosa interna che trasferiva il calore generato durante l'accrescimento e formazione del nucleo. Si ritiene che la crosta sia stata creata dalla fusione della parte superiore del mantello mutando nel corso del tempo a causa di impatti con oggetti estranei, vulcanismo, movimenti successivi del mantello stesso ed erosione. Grazie alle osservazioni della sua orbita attraverso lo spettrometro TES del Mars Global Surveyor e l'analisi dei meteoriti, è possibile sapere che Marte ha una superficie ricca di basalto. Alcune zone però mostrano quantità predominanti di silicio che potrebbe essere simile all'andesite sulla Terra. Gran parte della superficie è coperta da ossido ferrico che gli conferisce il suo peculiare colore rosso intenso. La crosta ha uno spessore medio di 50 km con un picco di 125 km. Per fare un confronto con quella terrestre, che ha uno spessore di circa 40 km, si potrebbe dire che la crosta marziana è tre volte più spessa, considerando le dimensioni doppie del nostro pianeta. Il mantello, più denso di quello terrestre (di circa 2,35 volte), è composto soprattutto da silicati e, benché sia inattivo, è all'origine di tutte le testimonianze di fenomeni tettonici e vulcanici sul pianeta. È stato possibile identificare la composizione del mantello fino a una pressione di 23,5 GPa e il modello di Dreibus e Wänke indica che la sua composizione include olivina, clinopirosseno, ortopirosseno e granato. Il nucleo è composto principalmente da ferro e nichel, con una percentuale intorno al 16% di zolfo e si estende per un raggio di circa . Molto probabilmente il nucleo è solido, ma allo stato viscoso; di conseguenza Marte non presenta un campo magnetico apprezzabile, massimo né attività geologica di rilievo. Questo comporta la mancanza di protezione del suolo del pianeta dall'attività di particelle cosmiche ad alta energia; tuttavia la maggiore distanza dal Sole rende meno violente le conseguenze della sua attività. Anche se Marte non dispone di un campo magnetico intrinseco, lo studio del paleomagnetismo ha provato che si sia avuta una polarità alternata attorno ai suoi due poli grazie al ritrovamento di rocce magnetizzate: le rocce formatesi prima della scomparsa della magnetosfera sono magnetizzate, a differenza di quelle formatesi dopo. Idrologia La presenza di acqua allo stato liquido in superficie è possibile su Marte in quanto per l'equazione di Clapeyron (con la quale si calcola il rapporto di sublimazione di una sostanza tra pressione e temperatura) alla pressione atmosferica marziana media nominale, l'acqua è liquida all'incirca sotto i -40 C (dipendentemente dall'esatta pressione locale) per un piccolo intervallo, al di sotto del quale ghiaccia e al di sopra del quale evapora. Alcuni ritengono che la pressione atmosferica sia comunque eccessivamente bassa (salvo in zone di elevata depressione e per brevi periodi di tempo). Il ghiaccio d'acqua però è abbondante: i poli marziani infatti ne sono ricoperti e lo strato di permafrost si estende fino a latitudini di circa 60º. La NASA nel marzo del 2007 annunciò che se si ipotizzasse lo scioglimento totale delle calotte polari, l'intero pianeta verrebbe sommerso da uno strato d'acqua profondo 11 metri. Si ritiene che grandi quantità di acqua siano intrappolate sotto la spessa criosfera marziana. La formazione della Valles Marineris e dei suoi canali di fuoriuscita dimostrano che durante le fasi iniziali della storia di Marte fosse presente una grande quantità di acqua allo stato liquido. Una testimonianza la si può ritrovare nella Cerberus Fossae, una frattura della crosta risalente a 5 milioni di anni fa, dalla quale proviene il mare ghiacciato visibile sulla Elysium Planitia con al centro la Cerberus Palus. Tuttavia è ragionevole ritenere che la morfologia di questi territori possa essere dovuta alla stagnazione di correnti laviche anziché all'acqua. La struttura del terreno e sua inerzia termica paragonabile a quella delle pianure di Gusev, assieme alla presenza di formazioni coniche simili a vulcani, avvalorano la seconda tesi. In più la stechiometria molare frazionaria dell'acqua in quelle aree è solamente del 4% circa, fatto attribuibile più a minerali idrati che alla presenza di ghiaccio superficiale. Grazie alle fotografie ad alta risoluzione del Mars Global Surveyor, è stata riscontrata la presenza di complesse reti naturali di drenaggio, apparentemente dotate di affluenti e corsi principali. Sono inoltre piuttosto frequenti elementi morfologici interpretabili come conoidi di deiezione e delta fluviali, che implicano un agente allo stato liquido con caratteristiche reologiche simili a quelle dell'acqua e non presentano differenze significative rispetto agli analoghi terrestri. La missione del rover Mars Science Laboratory (noto come Curiosity) ha consentito per la prima volta la ripresa di immagini ravvicinate di sedimenti marziani interpretabili senza ambiguità come depositi alluvionali e deltizi originati da corsi d'acqua, con caratteri sedimentologici del tutto assimilabili a quelli terrestri. Il Mars Global Surveyor tuttavia ha anche fotografato alcune centinaia di esempi simili a canali di trasudamento presso crateri e canyon. Questi burroni (gully) sono maggiormente presenti su altipiani dell'emisfero australe e tutti hanno un orientamento di 30º rispetto al polo meridionale. Non sono state riscontrate erosioni o crateri lasciando supporre una loro formazione piuttosto recente. Altre prove dell'esistenza passata di acqua allo stato liquido su Marte provengono dalla scoperta di specifici minerali come ematite e goethite che in certi casi si formano in presenza di acqua. A ogni modo, contemporaneamente alla scoperta di nuove prove dell'esistenza di acqua, vengono confutate precedenti ipotesi errate grazie agli studi di immagini ad alta risoluzione (circa 30 cm) inviate dal Mars Reconnaissance Orbiter (MRO). Ad agosto del 2008 venne trovato del ghiaccio d'acqua sotto il suolo marziano, grazie alla sonda Phoenix che con i suoi strumenti ha rimosso il terreno che lo ricopriva; nei sol successivi il sottile strato di ghiaccio scoperto è sublimato lentamente. La sonda a ottobre dello stesso anno fu in grado di rilevare una leggera formazione di neve che si è sciolta prima di arrivare al suolo. Acqua allo stato liquido Nell'esplorazione moderna la NASA si è concentrata nella ricerca di acqua sul pianeta quale elemento base per lo sviluppo della vita. In passato erano stati osservati i segni della passata presenza di acqua: sono stati osservati canali simili ai letti dei fiumi sulla terra. È tuttora oggetto di molti dibattiti l'origine dell'acqua liquida che un tempo scorreva sul pianeta; l'acqua, sotto forma di ghiaccio, costituisce una piccola parte delle calotte polari (il resto è formato da anidride carbonica solida). Altra acqua si trova sotto il suolo del pianeta, ma in quantità ancora sconosciuta. La presenza di acqua nel sottosuolo del polo sud di Marte è stata confermata dalla sonda europea Mars Express nel gennaio del 2004; nel 2005 il radar MARSIS ha individuato un deposito di ghiaccio dello spessore maggiore di un chilometro tra gli 1,5 e i 2,5 km di profondità, nei pressi della regione di Chryse Planitia. Nel luglio 2008 annunciò le prove della presenza dell'acqua su Marte. Nel settembre 2015, su un articolo su Nature Geoscience, è stata annunciata, sulla base delle ricognizioni del MRO, la scoperta di acqua liquida sul pianeta, confermando le teorie di molti studiosi e astronomi; si tratta di piccoli rigagnoli di acqua salata, che si generano periodicamente. Il 28 settembre 2015, la NASA ha annunciato di avere delle prove concrete che sulla superficie di Marte scorra acqua salata allo stato liquido sotto forma di piccoli ruscelli ma si tratta comunque di speculazione e non di osservazione diretta. Invece le analisi radar condotte dal 2012 al 2015 dalla sonda Mars Express hanno permesso di rilevare senza alcun dubbio una distesa di acqua salata allo stato liquido sotto la calotta polare australe. Superficie La topografia di Marte presenta una dicotomia netta tra i due emisferi: a nord dell'equatore si trovano enormi pianure coperte da colate laviche mentre a sud la superficie è caratterizzata da grandi altipiani segnati da migliaia di crateri. Una teoria proposta nel 1980, e avvalorata da prove scientifiche nel 2008, giustifica questa situazione attribuendone l'origine a una collisione del pianeta con un oggetto con dimensioni pari a quelle di Plutone, avvenuta circa 4 miliardi di anni fa. Se tale teoria venisse confermata, l'emisfero boreale marziano, che ricopre circa il 40% del pianeta, diventerebbe il sito d'impatto più vasto del Sistema Solare con 10 600 km di lunghezza e 8500 km di larghezza strappando il primato al Bacino Polo Sud-Aitken. La superficie di Marte non pare movimentata dall'energia che caratterizza quella terrestre. In sostanza, Marte non ha una crosta suddivisa in placche, e quindi la tettonica a zolle del modello terrestre risulta inapplicabile a tale pianeta. L'attività vulcanica è stata molto intensa, come testimonia la presenza di imponenti vulcani. Il maggiore di essi è l'Olympus Mons, che, con una base di e un'elevazione pari a circa rispetto alle pianure circostanti, è il maggior vulcano del sistema solare. Esso è molto simile ai vulcani a scudo delle isole Hawaii, originatisi dall'emissione per lunghissimi tempi di lava molto fluida. Uno dei motivi per i quali tali giganteschi edifici vulcanici sono presenti è che, per l'appunto, la crosta marziana è priva della mobilità delle placche tettoniche. Questo significa che i punti caldi da cui sale in superficie il magma battono sempre le stesse zone del pianeta, senza spostamenti nel corso di milioni di anni di attività. La ridotta forza di gravità ha certamente agevolato la lava, che su Marte ha un peso di poco superiore a quello dell'acqua sulla Terra. Questo rende possibile una più facile risalita dal sottosuolo e una più ampia e massiva diffusione sulla superficie. Un gigantesco canyon, lungo , largo e profondo attraversa il pianeta all'altezza dell'equatore e prende il nome di Valles Marineris, ed è l'unica struttura vagamente simile a quelle osservate nel XIX secolo e considerate poi uno dei più grandi sbagli della moderna astronomia. La sua presenza costituisce un vero e proprio sfregio sulla superficie marziana, e data la sua enorme struttura, non è chiaro cosa possa averla prodotta: certamente non l'erosione data da agenti atmosferici o acqua. La struttura di questo canyon è tale da far sembrare minuscolo il Grand Canyon americano. L'equivalente terrestre sarebbe un canyon che partendo da Londra arriva a Città del Capo, con profondità dell'ordine dei 10 km. Questo consente di capire come tale canyon abbia una considerevole importanza per la struttura di Marte, e come esso non sia classificabile con casi noti sulla Terra. Un altro importante canyon è la Ma'adim Vallis (dal termine ebraico che indica appunto Marte). La sua lunghezza è di 700 km, la larghezza 20 km e raggiunge in alcuni punti una profondità di 2 km. Durante l'epoca Noachiana la Ma'adim Vallis appariva come un enorme bacino di drenaggio di circa 3 milioni di chilometri quadrati. Marte presenta inoltre approssimativamente 43 000 crateri d'impatto con un diametro superiore a 5 km; il maggiore tra questi risulta essere il Bacino Hellas, una struttura con albedo chiara visibile anche dalla Terra. Marte, per le sue dimensioni, ha una probabilità inferiore della Terra di entrare in collisione con un oggetto esterno, tuttavia il pianeta si trova più prossimo alla cintura degli asteroidi ed esiste la possibilità che entri addirittura in contatto con oggetti intrappolati nell'orbita gioviana. A ogni modo l'atmosfera marziana fornisce una protezione dai corpi più piccoli: paragonata a quella lunare, la superficie di Marte è meno craterizzata. Il Thermal Emission Imaging System (THEMIS) montato sul Mars Odyssey ha rilevato sette possibili ingressi di caverne sui fianchi del vulcano Arsia Mons. Ogni caverna porta il nome delle persone amate degli scopritori. Le dimensioni di questi ingressi vanno da in larghezza e si ritiene che la loro profondità possa essere compresa tra . A parte la caverna "Dena", tutte le caverne non lasciano penetrare la luce rendendo impossibile stabilirne le esatte dimensioni interne. Il 19 febbraio 2008 il Mars Reconnaissance Orbiter ha immortalato un importante fenomeno geologico: le immagini hanno ripreso una frana spettacolare che si ritiene composta da ghiaccio frantumato, polvere e grandi blocchi di roccia che si sono distaccati da una scogliera alta circa 700 metri. Prove di tale valanga si sono riscontrate anche attraverso le nubi di polvere appunto sopra le stesse scogliere. Nomenclatura La nomenclatura marziana segue le mappe create dai primi osservatori del pianeta. Johann Heinrich Mädler e Wilhelm Beer furono i primi a stabilire che la maggior parte delle caratteristiche della superficie di Marte fossero permanenti e calcolarono inoltre anche la durata del periodo di rotazione. Nel 1840 Mädler tracciò la prima mappa del pianeta sulla base di dieci anni di osservazioni. I due scienziati anziché attribuire un nome alle singole caratteristiche, assegnarono a ognuna di esse una lettera. Tra le prime mappe in cui furono definiti i nomi della superficie del pianeta si ricordi quella del 1877 a opera di Giovanni Schiaparelli, il quale determinò e descrisse le principali conformazioni ricavando i nomi da termini indicanti antichi popoli (Ausonia), dei, luoghi geografici (Syrtis Major, Benacus Lacus), esseri mitologici (Cerberus, Gorgonium Sinus), ecc. Sono poi seguite altre mappe come quelle di Lowell (1894), Antoniadi (1909), De Mottoni (1957). Generalmente la superficie di Marte è classificata in base alle differenze di albedo. Le piane più chiare, coperte di polveri e sabbie ricche di ossido di ferro, portano nomi di vaste aree geografiche come ad esempio l'Arabia Terra o l'Amazonis Planitia. Le strutture più scure invece, che un tempo vennero considerate dei mari, portano nomi come Mare Erythraeum, Mare Sirenum e Aurorae Sinus. La struttura più scura visibile dalla Terra è Syrtis Major. Successivamente l'IAU ha introdotto la cartografia di Marte per identificare i luoghi marziani, suddividendo la superficie del pianeta secondo un reticolato, adatto a una rappresentazione in scala 1:5.000.000, che definisce 30 maglie. La gravità su Marte Marte ha una massa pari ad appena l'11% di quella terrestre, mentre il suo raggio equatoriale misura . Sulla superficie di Marte l'accelerazione di gravità è mediamente pari a 0,376 volte quella terrestre. A titolo d'esempio, un uomo con una massa di che misurasse il proprio peso su Marte facendo uso di una bilancia tarata sull'accelerazione di gravità terrestre registrerebbe un valore pari a circa . Atmosfera La magnetosfera di Marte è assente a livello globale e, in seguito alle rilevazioni del magnetometro MAG/ER del Mars Global Surveyor e considerando che è stata constatata l'assenza di magnetismo sopra i crateri Argyre e Hellas Planitia, si presume sia scomparsa da circa 4 miliardi di anni; i venti solari colpiscono quindi direttamente la ionosfera. Questo mantiene l'atmosfera del pianeta piuttosto sottile per via della continua asportazione di atomi dalla parte più esterna della stessa. A riprova di questo fatto sia il Mars Global Surveyor sia il Mars Express hanno individuato queste particelle atmosferiche ionizzate allontanarsi dietro il pianeta. La pressione atmosferica media è di ma varia da un minimo di sull'Olympus Mons a oltre nella depressione di Hellas Planitia. Per un paragone Marte ha una pressione atmosferica che è meno dell'1% rispetto a quella della Terra. L'atmosfera marziana si compone principalmente di anidride carbonica (95%), azoto (2,7%), argon (1,6%), vapore acqueo, ossigeno e monossido di carbonio. È stato definitivamente provato che è presente anche metano nell'atmosfera marziana e in certe zone anche in grandi quantità; la concentrazione media si aggirerebbe comunque sulle 10 ppb per unità di volume. Dato che il metano è un gas instabile che viene scomposto dalla radiazione ultravioletta solitamente in un periodo di 340 anni nelle condizioni atmosferiche marziane, la sua presenza indica l'esistenza di una fonte relativamente recente del gas. Tra le possibili cause vi possono essere l'attività vulcanica, l'impatto di una cometa e la presenza di forme di vita microbiche generanti metano. Un'altra possibile causa potrebbe essere un processo non biologico dovuto alle proprietà della serpentinite di interagire con acqua, anidride carbonica e l'olivina, un minerale comune sul suolo di Marte. Durante l'inverno l'abbassamento della temperatura provoca la condensa del 25-30% dell'atmosfera che forma spessi strati di ghiaccio d'acqua o di anidride carbonica solida (ghiaccio secco). Con l'estate il ghiaccio sublima causando grandi sbalzi di pressione e conseguenti tempeste con venti che raggiungono i . Questi fenomeni stagionali trasportano grandi quantità di polveri e vapore d'acqua che generano grandi cirri. Queste nuvole vennero fotografate dal rover Opportunity nel 2004. Clima Tra tutti i pianeti del sistema solare Marte è quello con il clima più simile a quello terrestre per via dell'inclinazione del suo asse di rotazione. Le stagioni tuttavia durano circa il doppio dato che la distanza dal Sole lo porta ad avere una rivoluzione di poco meno di 2 anni. Le temperature variano dai degli inverni polari a dell'estate. La forte escursione termica è dovuta anche al fatto che Marte ha un'atmosfera sottile (e quindi una bassa pressione atmosferica) e una bassa capacità di trattenere il calore del suolo. Una differenza interessante rispetto al clima terrestre è dovuta alla sua orbita molto eccentrica. Infatti Marte è prossimo al periastro quando è estate nell'emisfero meridionale (e l'inverno in quello settentrionale) e vicino all'afastro nella situazione opposta. La conseguenza è un clima con una maggiore escursione termica nell'emisfero sud rispetto a quello nord che è costantemente più freddo. Infatti le temperature estive dell'emisfero meridionale possono essere fino a più calde di quelle di un'equivalente estate in quello nord. Rilevanti sono anche le tempeste di sabbia che possono estendersi su una piccola zona così come sull'intero pianeta. Solitamente si verificano quando Marte si trova prossimo al Sole ed è stato dimostrato che aumentano la temperatura atmosferica del pianeta, per una sorta di effetto serra. In particolare la tempesta di sabbia del 2018 è stata una delle più studiate con due rover sul suolo marziano a effettuare misurazioni a terra (Opportunity e Curiosity) e cinque sonde attive in orbita (2001 Mars Odyssey, Mars Express, Mars Reconnaissance Orbiter, Mars Orbiter Mission e MAVEN). Entrambe le calotte polari sono composte principalmente da ghiaccio ricoperto da uno strato di circa un metro di anidride carbonica solida (ghiaccio secco) al polo nord, mentre lo stesso strato raggiunge gli otto metri in quello sud, la sovrapposizione del ghiaccio secco sopra a quello d'acqua è dovuto al fatto che il primo condensa a temperature molto più basse e quindi successivamente a quello d'acqua in epoca di raffreddamento. Entrambi i poli presentano dei disegni a spirale causati dall'interazione tra il calore solare disomogeneo e la sublimazione e condensazione del ghiaccio. Le loro dimensioni variano inoltre a seconda della stagione. Satelliti naturali Marte possiede due satelliti naturali: Fobos e Deimos. Entrambi i satelliti vennero scoperti da Asaph Hall nel 1877. I loro nomi, Paura e Terrore, richiamano la mitologia greca secondo la quale Phobos e Deimos accompagnavano il padre Ares, Marte per i Romani, in battaglia. Non è ancora chiaro come e se Marte abbia catturato le sue lune. Entrambe hanno un'orbita circolare, prossima all'equatore, cosa piuttosto rara per dei corpi catturati. Tuttavia la loro composizione suggerisce proprio che entrambe siano oggetti simili ad asteroidi. Fobos è la maggiore delle due lune misurando nel suo punto più largo. Si presenta come un oggetto roccioso dalla forma irregolare, segnata da numerosi crateri tra cui spicca per dimensioni quello di Stickney che copre quasi metà della larghezza complessiva di Fobos. La superficie del satellite è ricoperta da regolite che riflette solo il 6 % della luce solare che lo investe. La sua densità media molto bassa inoltre ricorda la struttura dei meteoriti di condrite carbonacea e suggerisce che la luna sia stata catturata dal campo gravitazionale di Marte. La sua orbita attorno al Pianeta rosso dura 7 ore e 39 minuti, è circolare e si discosta di 1º dal piano equatoriale; tuttavia, essendo piuttosto instabile, può far pensare che comunque la cattura sia stata relativamente recente. Fobos ha un periodo orbitale più breve del periodo di rotazione di Marte sorgendo così da ovest e tramontando a est in sole 11 ore. L'asse più lungo del satellite inoltre punta sempre verso il pianeta madre mostrandogli così, come la Luna terrestre, solo una faccia. Poiché si trova sotto l'altitudine sincrona, Fobos è destinato, in un periodo di tempo stimato in 50 milioni di anni, ad avvicinarsi sempre più al pianeta fino a oltrepassare il limite di Roche e disintegrarsi per effetto delle intense forze mareali. Deimos invece è la luna più esterna e piccola, essendo di nella sua sezione più lunga. Essa presenta una forma approssimativamente ellittica e, a dispetto della sua modesta forza di gravità, trattiene un significativo strato di regolite sulla sua superficie, che ne ricopre parzialmente i crateri facendola apparire più regolare rispetto a Fobos. Analogamente a quest'ultimo inoltre, presenta la stessa composizione della maggior parte degli asteroidi. Deimos si trova appena al di fuori dell'orbita sincrona e sorge a est impiegando però circa 2,7 giorni per tramontare a ovest, nonostante la sua orbita sia di 30 ore e 18 minuti. La sua distanza media da Marte è di . Come Fobos, mostra sempre la medesima faccia al cielo di Marte essendo il suo asse più lungo sempre rivolto verso di esso. Sui punti Lagrangiani dell'orbita di Marte gravitano degli asteroidi troiani. Il primo, 5261 Eureka, fu individuato nel 1990. Seguirono (101429) o 1998 VF31, (121514) o 1999 UJ7 e 2007 NS2. a eccezione di UJ7 che si trova nel punto troiano L4, tutti gli asteroidi si posizionano in L5. Le loro magnitudini apparenti vanno da 16,1 a 17,8 mentre il loro semiasse maggiore è di . Un'osservazione approfondita della sfera di Hill marziana, a eccezione della zona interna all'orbita di Deimos che è resa invisibile dalla luce riflessa da Marte, può escludere la presenza di altri satelliti che superino una magnitudine apparente di 23,5 che corrisponde a un raggio di per un'albedo di 0,07. Astronomia su Marte Grazie alla presenza di diversi satelliti, sonde e rover, è possibile studiare l'astronomia da Marte. Confrontata con le dimensioni dell'universo, la distanza tra la Terra e Marte è veramente esigua, tuttavia si possono notare delle differenze nell'osservazione astronomica del nostro sistema solare come, per esempio, un nuovo punto di vista del nostro pianeta e della Luna, dei satelliti Fobos e Deimos oltre ai fenomeni analoghi a quelli terrestri come le aurore e le meteore. L'8 maggio 2003 alle 13:00 UTC il Mars Global Surveyor fotografò la Terra e la Luna in quel momento molto vicine all'elongazione angolare massima dal Sole e a una distanza di da Marte. Le magnitudini apparenti ricavate risultarono essere −2,5 e +0,9. Tali magnitudini tuttavia sono soggette a notevoli variazioni dovute alla distanza e alla posizione di Terra e Luna. Da Marte inoltre è possibile vedere il transito della Terra davanti al Sole. Il più recente si è verificato l'11 maggio 1984 mentre il prossimo è previsto per il 10 novembre 2084. Fobos appare da Marte con un diametro angolare ampio circa un terzo rispetto a quello della Luna vista dalla Terra mentre Deimos, per le sue dimensioni, appare come una stella. Un osservatore potrebbe vedere il transito dei due satelliti davanti al Sole anche se per Fobos si dovrebbe parlare di un'eclissi parziale della stella, mentre Deimos risulterebbe come un punto sul disco solare. Venere e Giove sarebbero un po' più luminosi della Terra visti da Marte; Venere, nonostante una distanza maggiore e un conseguente minor diametro angolare rispetto al nostro pianeta, ha un'albedo notevolmente più alta causata dalla sua perenne e densa coltre nuvolosa. Seppur privo di dettagli, così come visto dalla Terra, brillerebbe nel cielo marziano con una magnitudine all'incirca di −3,2. Giove sarebbe leggermente più luminoso che visto dalla Terra, quando si trova in opposizione, per la minor distanza che lo divide da Marte, e brillerebbe di magnitudine −2,8. Vita su Marte Sin dalla missione dei landers Viking, arrivati su Marte nel 1976, si condussero esperimenti biologici per la ricerca di tracce attribuibili a forme di vita, che in effetti riportarono risultati sorprendenti ma vennero ritenuti ambigui e inconclusivi. Il 16 agosto 1996 la rivista Science annunciò la scoperta di prove concrete che suggeriscono l'esistenza della vita e dell'acqua su Marte nel meteorite ALH 84001. La ricerca venne intrapresa dagli scienziati del Johnson Space Center (JSC) Dr. David McKay, Dr. Everett Gibson e Kathie Thomas-Keprta assieme a un team di ricerca della Stanford University diretto dal Professor Richard Zare. Il meteorite fu rinvenuto presso le Allan Hills in Antartide e risulta uno dei 12 meteoriti rinvenuti sulla Terra che presentano le caratteristiche chimiche peculiari del suolo marziano. Dopo un'analisi che includeva microbiologia, mineralogia, geochimica e chimica organica si ritenne ragionevole affermare che in un periodo tra i 4 e i 3,6 miliardi di anni fa (periodo in cui il pianeta si presentava più caldo e umido) su Marte erano presenti forme di vita molto simili ai nanobatteri presenti sulla Terra. I risultati di tale ricerca vennero comunque presentati alla comunità scientifica che trova pareri discordanti sulla veridicità di questa tesi. Il 17 dicembre 2014, il rover marziano Curiosity ha confermato la presenza di metano nell'atmosfera di Marte (addirittura con picchi superiori di 10 volte ai valori standard) e rilevato traccia di molecole organiche (quali composti dell'idrogeno, ossigeno e carbonio). Sebbene sia una scoperta importante, non è detto che la fonte di questi elementi sia biologica. Infatti, il metano, la cui presenza è stata confermata ad aprile 2019 da studi congiunti INAF-Asi effettuati sui dati forniti dalla sonda Mars Express, potrebbe essere originato da processi geologici. Questa scoperta ha comunque aperto le porte agli scienziati, fornendo una pur remota speranza di trovare qualche forma di vita sul pianeta rosso. Dibattiti popolari sulla vita su Marte Spesso, formazioni naturali sulla superficie marziana sono state interpretate da alcuni come manufatti artificiali, che avrebbero provato l'esistenza di una non meglio definita civiltà marziana. Il Volto su Marte ne è l'esempio più famoso. Marte nella cultura Connessioni storiche Marte prende il suo nome dal dio romano della guerra, Mars. Gli astronomi babilonesi lo nominavano Nergal, la loro divinità del fuoco, della distruzione e della guerra, molto probabilmente proprio per la sua colorazione rossastra. Quando i Greci identificarono Nergal con il loro dio della guerra Ares, lo chiamarono Ἄρεως ἀστἡρ (Areos aster) o "Stella di Ares". A seguito della successiva identificazione presso gli antichi romani di Ares con Mars, la denominazione venne tradotta in stella Martis o semplicemente Mars. I greci lo chiamavano anche Πυρόεις (Pyroeis) o "infuocato". Nella mitologia Indù Marte era conosciuto come Mangala (मंगल). In sanscrito era noto come Angaraka dal nome del dio celibe della guerra che possedeva i segni dell'Ariete e dello Scorpione e insegnava le scienze occulte. Per gli antichi egiziani era Ḥr Dšr o "Horus il Rosso". Gli Ebrei lo chiamavano Ma'adim (מאדים) o "colui che arrossisce"; da qui inoltre deriva il nome di uno dei maggiori canyon di Marte: la Ma'adim Vallis. Gli Arabi lo conoscono come al-Mirrikh, i Turchi come Merih e in Urdu e in Persiano è noto come Merikh (مریخ): sono evidenti le somiglianze della radice del termine ma l'etimologia della parola è sconosciuta. Gli Antichi Persiani lo chiamavano Bahram(بهرام) in onore del dio della fede Zoroastriano. I Cinesi, Giapponesi, Coreani e Vietnamiti si riferiscono al pianeta come "Stella infuocata" (火星), nome che deriva dalla mitologia cinese del ciclo dei Cinque Elementi. Il simbolo del pianeta, derivante dal simbolo astrologico di Marte, è un cerchio con una freccia che punta in avanti. Simboleggia lo scudo e la lancia che il dio romano usava in battaglia. Lo stesso simbolo è usato in biologia per identificare il genere maschile e in alchimia per simboleggiare l'elemento ferro a causa del colore rossastro del suo ossido che corrisponde al colore del pianeta. Il suddetto simbolo inoltre occupa la posizione Unicode U+2642. "Marziani" intelligenti La credenza, un tempo universalmente accettata, in base alla quale Marte fosse popolato da Marziani intelligenti, ha origine alla fine del XIX secolo a causa delle osservazioni telescopiche di Giovanni Schiaparelli di strutture reticolari e di ombre estese sulla superficie marziana, che egli definì "canali" e "mari" similmente per quanto avverrebbe riferendosi all'orografia terrestre. Schiaparelli non volle prendere posizione sulla questione se i canali fossero naturali o artificiali, ma un'errata traduzione del termine "canali" in inglese e francese lasciò suggerire la seconda, più intrigante ipotesi. Tale terminologia fu proseguita nei libri di Percival Lowell. Le loro opere infatti descrivevano Marte ipotizzandolo come un pianeta morente la cui civiltà cercava, appunto con detti canali, di impedirne l'inaridimento. In realtà le conformazioni orografiche osservate erano dovute ai limiti ottici dei telescopi usati dalla Terra, inadatti a osservare i precisi e reali dettagli della superficie. Le supposizioni, che tuttavia erano elaborate in buona fede, continuarono a essere alimentate da numerose altre osservazioni e dichiarazioni di personaggi eminenti, corroborando la cosiddetta "Febbre marziana". Nel 1899 Nikola Tesla, mentre si trovava impegnato nell'investigazione del rumore radio atmosferico nel suo laboratorio di Colorado Springs, captò segnali ripetitivi che in seguito affermò essere probabilmente comunicazioni radio provenienti da Marte. In un'intervista del 1901 Tesla affermò: La tesi di Tesla venne avvalorata da Lord Kelvin che, mentre era in visita negli Stati Uniti nel 1902, venne sentito affermare che Tesla aveva captato segnali marziani diretti agli stessi Stati Uniti. Tuttavia, Kelvin in seguito smentì quella dichiarazione poco prima di lasciare il paese. In un articolo del New York Times del 1901, Edward Charles Pickering, direttore del Harvard College Observatory, dichiarò di aver ricevuto un telegramma dall'osservatorio Lowell in Arizona che confermava i tentativi di Marte di entrare in contatto con la Terra. Pickering in conseguenza di queste convinzioni propose di installare in Texas un sistema di specchi con l'intento di comunicare con i marziani. Negli ultimi decenni, i progressi nell'esplorazione di Marte (culminati con il Mars Global Surveyor) non hanno rilevato alcun tipo di testimonianza di civiltà presenti o passate. Nonostante le mappature fotografiche, persistono alcune speculazioni pseudoscientifiche riguardo ai "canali" di Schiaparelli o al Volto su Marte. Bandiera di Marte Nei primi anni 2000, una proposta di bandiera marziana sventolò a bordo dello Space Shuttle Discovery. Disegnata dagli ingegneri NASA e dal task force leader della Flashline Mars Arctic Research Station, Pascal Lee, e portata a bordo dall'astronauta John Mace Grunsfeld, la bandiera consisteva in tre fasce verticali (rosso, verde, e blu), che simboleggiavano la trasformazione di Marte da un pianeta arido (rosso) a uno che possa sostenere la vita (verde), e finalmente a un pianeta completamente terraformato con specchi d'acqua ad aria aperta sotto un cielo azzurro (blu). Questo design fu suggerito dalla fantascientifica trilogia di Marte (Red Mars, Green Mars, Blue Mars) di Kim Stanley Robinson. Furono realizzate anche altre proposte, ma il tricolore repubblicano fu adottato dalla Mars Society come sua bandiera ufficiale. In un commento diffuso dopo il lancio della missione, la Society disse che la bandiera "non è mai stata onorata da un vascello della principale nazione coinvolta nei viaggi spaziali della Terra", e aggiunse che "è esemplare che sia successo quando è successo: all'inizio di un nuovo millennio". Marte nella fantascienza La nascita di una produzione di narrativa fantascientifica riguardante Marte fu stimolata principalmente dal caratteristico colore rossastro e dalle prime ipotesi scientifiche che consideravano il pianeta non solo adatto alla vita, ma addirittura a specie intelligenti. A capo della vasta produzione spicca il romanzo La guerra dei mondi di H. G. Wells, pubblicato nel 1898, nel quale i Marziani abbandonano il loro pianeta morente per invadere la Terra. Negli Stati Uniti il 30 ottobre 1938 venne trasmesso in diretta un adattamento del romanzo in forma di una finta radiocronaca, in cui la voce di Orson Welles annunciava alla popolazione che i Marziani erano sbarcati sulla Terra; molte persone, credendo a queste parole, furono prese dal panico. L'autore Jonathan Swift aveva fatto menzione delle lune marziane 150 anni prima della loro effettiva scoperta da parte di Asaph Hall, dando addirittura una descrizione piuttosto dettagliata delle loro orbite, nel romanzo I viaggi di Gulliver. Influenti sul tema della civiltà marziana furono anche il Ciclo di Barsoom di Edgar Rice Burroughs, le poetiche Cronache marziane del 1950 di Ray Bradbury, nelle quali esploratori dalla Terra distruggono accidentalmente una civiltà marziana, e le diverse storie scritte da Robert Heinlein negli anni sessanta del Novecento. Da ricordare inoltre la figura comica di Marvin il Marziano che apparve per la prima volta in televisione nel 1948 come uno dei personaggi dei Looney Tunes della Warner Bros. Un altro riferimento lo si trova nella Trilogia Spaziale di Clive Staples Lewis, in particolare nel primo libro intitolato Lontano dal pianeta silenzioso. Dopo l'arrivo delle fotografie dei Mariner e Viking si svelò il vero aspetto del Pianeta Rosso: un mondo senza vita e senza i famosi canali e mari. Le storie di fantascienza si concentrarono così nella futura terraformazione di Marte, come nella Trilogia di Marte di Kim Stanley Robinson, che descriveva in maniera realistica delle colonie terrestri su Marte. Un altro tema ricorrente, specialmente nella letteratura americana, è la lotta per l'indipendenza della colonia marziana dalla Terra. Questo infatti è l'elemento caratterizzante della trama di alcuni romanzi di Greg Bear e Kim Stanley Robinson, del film Atto di forza basato su una storia di Philip K. Dick e della serie televisiva Babylon 5, come pure di diversi videogiochi. Note Bibliografia Testi scientifici Testi di fantascienza Voci correlate Su Marte Osservazione di Marte Opposizione di Marte Parametri orbitali di Marte Satelliti naturali di Marte Formazione di Marte Atmosfera di Marte Crateri di Marte Cartografia di Marte Oggetti artificiali su Marte Terraformazione di Marte Marte nella fantascienza Sull'esplorazione Esplorazione di Marte Mars-500 Programma Mariner Programma Mars Spirit e Opportunity Viking 1 Altri progetti Collegamenti esterni Pianeti terrestri Pianeti terrestri nella zona abitabile
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Medaglia Fields
La International Medal for Outstanding Discoveries in Mathematics, o più semplicemente medaglia Fields, è un premio riconosciuto a matematici di età inferiore a 40 anni in occasione del Congresso internazionale dei matematici della International Mathematical Union (IMU), che si tiene ogni quattro anni. È spesso considerata come il più alto riconoscimento che un matematico possa ricevere: assieme al premio Abel è da molti definita il "Premio Nobel per la matematica", sebbene l'accostamento sia improprio per varie ragioni, tra cui il limite di età insito nel conferimento della medaglia Fields, non presente nel Premio Nobel. Il nome comunemente usato per identificare il premio è in onore del matematico canadese John Charles Fields, il quale è stato indispensabile nell'ideazione del premio, del disegno della medaglia vera e propria e nel raccogliere i fondi che permettessero la nascita del premio stesso. La medaglia fu assegnata per la prima volta nel 1936 al finlandese Lars Ahlfors e allo statunitense Jesse Douglas, ed è stata assegnata ogni quattro anni a partire dal 1950. Il riconoscimento viene accompagnato da un premio in denaro di 15 000 dollari canadesi. Descrizione La medaglia Fields è assegnata ogni quattro anni in occasione del Congresso internazionale dei matematici come riconoscimento di straordinari contributi in campo matematico e come incentivo al raggiungimento di ulteriori contributi di pari livello. Nella stessa occasione vengono consegnati anche i seguenti premi: premio Nevanlinna, premio Carl Friedrich Gauss, medaglia Chern e Leelavati Award. La commissione incaricata di assegnare la medaglia Fields è nominata dal comitato esecutivo dell'IMU e normalmente è presieduta dal presidente della stessa. È richiesto che vengano scelti almeno due, o ancora meglio quattro, vincitori della medaglia, avendo l'accortezza di rappresentare diversi campi della matematica. È richiesto inoltre che il candidato non abbia compiuto i quarant'anni di età nell'anno di assegnazione del premio. La medaglia Fields è spesso definita come il "premio Nobel della matematica" perché è considerata tra i più prestigiosi riconoscimenti internazionali in ambito matematico. Tuttavia l'accostamento è improprio per una serie di motivi: innanzitutto perché la medaglia Fields viene assegnata ogni quattro anni e non, come l'attuale premio Nobel, a cadenza annuale; in secondo luogo per via del limite di età, vengono premiati infatti solo i matematici di età inferiore ai quarant'anni; e infine per il criterio di assegnazione, la medaglia è destinata agli autori di un insieme di lavori omogenei, piuttosto che agli artefici di risultati particolari come ad esempio la dimostrazione di un teorema. Anche il premio monetario è differente, la medaglia Fields è accompagnata da un assegno di 15 000 dollari canadesi mentre l'accademia svedese accompagna l'assegnazione del Nobel a 8 milioni di corone svedesi (un premio indicativamente 100 volte maggiore). Prima dell'istituzione del premio Wolf per la matematica non vi era alcun premio di alto profilo per matematici di età superiore ai quarant'anni. Vincitori Storia In occasione del Congresso internazionale dei matematici di Toronto nel 1924, fu stabilito che a ogni Congresso successivo sarebbero state assegnate due medaglie d'oro per lo straordinario contributo alla matematica. Il professore J.C. Fields, un matematico canadese segretario di quel Congresso del 1924, più tardi donerà i fondi per l'istituzione del premio e in virtù di questa donazione il premio viene assegnato in suo onore. Nel 1966 si stabilì che, alla luce della grande espansione dei campi di ricerca in matematica, le medaglie assegnate a ogni Congresso sarebbero state quattro e non più due. Nel 1954 Jean-Pierre Serre, a 27 anni, divenne il più giovane vincitore della medaglia Fields. Nel 1966, Alexander Grothendieck boicottò l'ICM di Mosca, per protestare contro l'azione militare sovietica nei paesi dell'Europa Orientale. Léon Motchane, fondatore e direttore dell'Institut des Hautes Études Scientifiques partecipò alla cerimonia e ritirò il premio al posto di Grothendieck. Nel 1970 Sergej Novikov, a causa delle restrizioni impostegli dal governo sovietico, non poté recarsi a Nizza per ricevere il premio. Nel 1978 Grigory Margulis, a causa delle restrizioni impostegli dal governo sovietico, non poté recarsi a Helsinki per ricevere il premio. Il premio fu ritirato al suo posto da Jacques Tits Nel 1982 si sarebbe dovuto tenere a Varsavia ma fu rinviato all'anno seguente a causa della legge marziale introdotta in Polonia il 13 dicembre 1981. I premi furono annunciati alla nona Assemblea generale dell'IMU e consegnati al congresso di Varsavia nel 1983. Nel 1990 Edward Witten divenne il primo, e finora unico, fisico a ricevere la medaglia Fields. Nel 1994 venne assegnato a Andrew Wiles un premio speciale per aver dimostrato l'ultimo teorema di Fermat. Non gli venne assegnata la medaglia vera e propria perché al momento della dimostrazione aveva già compiuto 40 anni. Wiles fornì una prima dimostrazione a 39 anni (e quindi passibile di premiazione), rivelatasi poi errata. Nel 1998, all'ICM, Andrew Wiles fu premiato dal presidente del comitato di selezione, Yuri I. Manin, con la prima targa d'argento dell'IMU come riconoscimento per aver dimostrato l'ultimo teorema di Fermat. Questo premio è stato assegnato perché a quell'epoca Wiles era al di sopra del limite d'età per ricevere la medaglia Fields. Nel 2006 Grigori Perelman, che dimostrò la congettura di Poincaré, rifiutò la medaglia Fields e non prese parte al congresso. Nel 2014 la medaglia è stata assegnata per la prima volta a una donna, l'iraniana Maryam Mirzakhani. Numero di medagliati per Stato Numero di medagliati per istituto di appartenenza Al momento della cerimonia i medagliati lavoravano nelle seguenti istituzioni: Nel cinema e nella televisione Nel film Racconto di Natale (2008), il personaggio interpretato da Hippolyte Girardot ha ricevuto la medaglia Fields. L'incarico di scrivere le formule sul tavolo alla quale lavora il personaggio di Girardot è stato conferito a Cédric Villani, successivamente (2010) insignito della medaglia Fields. Nel film Will Hunting - Genio ribelle, il personaggio fittizio di Gerald Lambeau avrebbe vinto la medaglia Fields per i suoi studi sul calcolo combinatorio. Nel film A Beautiful Mind, John Forbes Nash si rammarica di non aver mai vinto la medaglia Fields. Nella serie televisiva Eureka, Nathan Stark sostiene di aver ricevuto la medaglia Fields. Nel terzo episodio della seconda stagione della serie televisiva Numb3rs, Charlie Eppes e Larry Fleinhardt spiegano a Megan Reeves l'inesistenza del premio Nobel per la matematica riportando la diffusa tesi secondo la quale il premio per la matematica non sarebbe stato istituito in quanto Alfred Nobel avrebbe scoperto che una sua amante lo aveva tradito con un famoso matematico. Altri premi di ambito matematico Premio Abel Premio Bartolozzi Bôcher Memorial Prize Premio Caccioppoli Premio Clay Premio Cole Medaglia De Morgan Premio Fermat Premio Carl Friedrich Gauss Premio Gödel Premio Loève Premio Nevanlinna Premio Schock Premio Steele Premio Turing Premio Wolf per la matematica Note Altri progetti Collegamenti esterni Medaglie Fields Premi matematici
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Meccanica quantistica
La meccanica quantistica è la teoria fisica che descrive il comportamento della materia, della radiazione e le reciproche interazioni, con particolare riguardo ai fenomeni caratteristici della scala di lunghezza o di energia atomica e subatomica, dove le precedenti teorie classiche risultano inadeguate. Come caratteristica fondamentale, la meccanica quantistica descrive la radiazione e la materia sia come fenomeni ondulatori che come entità particellari, al contrario della meccanica classica, che descrive la luce solamente come un'onda e, ad esempio, l'elettrone solo come una particella. Questa inaspettata e controintuitiva proprietà della realtà fisica, chiamata dualismo onda-particella, è la principale ragione del fallimento delle teorie sviluppate fino al XIX secolo nella descrizione degli atomi e delle molecole. La relazione tra natura ondulatoria e corpuscolare è enunciata nel principio di complementarità e formalizzata nel principio di indeterminazione di Heisenberg. Esistono numerosi formalismi matematici equivalenti della teoria, come la meccanica ondulatoria e la meccanica delle matrici; al contrario, ne esistono numerose e discordanti interpretazioni riguardo all'essenza ultima del cosmo e della natura, che hanno dato vita a un dibattito tuttora aperto nell'ambito della filosofia della scienza. La meccanica quantistica rappresenta, assieme alla teoria della relatività, uno spartiacque rispetto alla fisica classica portando alla nascita della fisica moderna, e attraverso la teoria quantistica dei campi, generalizzazione della formulazione originale che include il principio di relatività ristretta, è a fondamento di molte altre branche della fisica, come la fisica atomica, la fisica della materia condensata, la fisica nucleare, la fisica delle particelle, la chimica quantistica. Storia Alla fine del XIX secolo la meccanica appariva incapace di descrivere il comportamento della materia e della radiazione elettromagnetica alla scala di lunghezza dell'ordine dell'atomo o alla scala di energia delle interazioni interatomiche; in particolare risultava inspiegabile la realtà sperimentale della luce e dell'elettrone. Tale limite delle leggi classiche fu la motivazione principale che portò nella prima metà del XX secolo allo sviluppo di una nuova fisica del tutto differente rispetto a quella sviluppata fino ad allora, attraverso una teoria ottenuta unendo ed elaborando un insieme di teorie formulate a cavallo del XIX e del XX secolo, di carattere spesso empirico, basate sul fatto che alcune grandezze a livello microscopico, come l'energia o il momento angolare, possono variare soltanto di valori discreti detti "quanti" (da cui il nome "teoria dei quanti" introdotto da Max Planck agli inizi del Novecento). Crisi della fisica classica e ricerca di una nuova teoria Gli atomi furono riconosciuti da John Dalton nel 1803 come i costituenti fondamentali delle molecole e di tutta la materia. Nel 1869 la tavola periodica degli elementi permise di raggruppare gli atomi secondo le loro proprietà chimiche e questo consentì di scoprire leggi di carattere periodico, come la regola dell'ottetto, la cui origine era ignota. Gli studi di Avogadro, Dumas e Gauden dimostrarono che gli atomi si compongono fra loro a formare le molecole, strutturandosi e combinandosi secondo leggi di carattere geometrico. Tutte queste nuove scoperte non chiarivano i motivi per cui gli elementi e le molecole si formassero secondo queste leggi regolari e periodiche. La base della struttura interna dell'atomo fu invece posta con le scoperte dell'elettrone nel 1874 da parte di George Stoney, e del nucleo da parte di Rutherford. In base al modello di Rutherford, in un atomo un nucleo centrale a carica positiva agisce sugli elettroni negativi in modo analogo a quello con cui il Sole agisce sui pianeti del sistema solare. Tuttavia le emissioni elettromagnetiche previste dalla teoria di Maxwell per cariche elettriche in moto accelerato, avrebbero dovuto avere una grande intensità portando l'atomo a collassare in pochi istanti, contrariamente alla stabilità di tutta la materia osservata. La radiazione elettromagnetica era stata prevista teoricamente da James Clerk Maxwell nel 1850 e rilevata sperimentalmente da Heinrich Hertz nel 1886. Tuttavia Wien scoprì che, secondo la teoria classica dell'epoca, un corpo nero in grado di assorbire tutta la radiazione incidente, dovrebbe emettere onde elettromagnetiche con intensità infinita a corta lunghezza d'onda. Questo devastante paradosso, anche se non fu ritenuto immediatamente di grande importanza, fu chiamato nel 1911 "catastrofe ultravioletta". Nel 1887 Heinrich Hertz scoprì che le scariche elettriche fra due corpi conduttori carichi erano molto più intense se i corpi venivano esposti a radiazione ultravioletta. Il fenomeno, dovuto all'interazione fra la radiazione elettromagnetica e la materia, fu chiamato effetto fotoelettrico, e si scoprì che inspiegabilmente scompariva del tutto per frequenze della radiazione incidente più basse di un valore di soglia, indipendentemente dall'intensità totale di questa. Inoltre, se si verificava l'effetto fotoelettrico, l'energia degli elettroni emessi dalle piastre conduttrici risultava direttamente proporzionale alla frequenza della radiazione elettromagnetica. Tali evidenze sperimentali non si potevano spiegare con la classica teoria ondulatoria di Maxwell. Per la spiegazione teorica di queste proprietà controintuitive della luce, ad Einstein fu assegnato il premio Nobel per la fisica nel 1921. La meccanica quantistica, sviluppandosi con i contributi di numerosi fisici nell'arco di oltre mezzo secolo, fu in grado di fornire una spiegazione soddisfacente a tutte queste regole empiriche e contraddizioni. Nascita della teoria dei quanti Nel 1913 il fisico danese Niels Bohr propose un modello empirico per tentare di riunire le evidenze attorno alla stabilità dell'atomo di idrogeno e al suo spettro di emissione, come l'equazione di Rydberg. Max Planck, Albert Einstein, Peter Debye e Arnold Sommerfeld contribuirono allo sviluppo e alla generalizzazione dell'insieme delle regole formali proposte da Bohr, indicato con l'espressione vecchia teoria dei quanti (in inglese old quantum theory). In questo modello il moto dell'elettrone nell'atomo di idrogeno è consentito solo lungo un insieme discreto di orbite chiuse stazionarie stabili di tipo circolare o ellittico. La radiazione elettromagnetica è assorbita o emessa solo quando un elettrone passa rispettivamente da un'orbita più piccola a una più grande o viceversa. In questo modo Bohr fu in grado di calcolare i livelli energetici dell'atomo di idrogeno, dimostrando che in questo sistema un elettrone non può assumere qualsiasi valore di energia, ma solo alcuni precisi e discreti valori determinati dal numero intero secondo la relazione: , in buono accordo con gli esperimenti e con una energia minima diversa da zero: eV quando . Restava tuttavia da chiarire come mai l'elettrone potesse percorrere solo alcune specifiche traiettorie chiuse. Nel 1924 il fisico francese Louis de Broglie ipotizzò che l'elettrone, oltre a quello corpuscolare, ha anche un comportamento ondulatorio, che si manifesta ad esempio in fenomeni di interferenza. La lunghezza d'onda dell'elettrone vale: dove è la costante di Planck e la quantità di moto. In questo modo la legge di quantizzazione imposta da Bohr poteva essere interpretata semplicemente come la condizione di onde stazionarie, equivalenti alle onde che si sviluppano sulla corda vibrante di un violino. Sviluppo della meccanica quantistica Sulla base di questi risultati, nel 1925-1926 Werner Heisenberg e Erwin Schrödinger svilupparono rispettivamente la meccanica delle matrici e la meccanica ondulatoria, due formulazioni differenti della meccanica quantistica che portano agli stessi risultati. L'equazione di Schrödinger in particolare è simile a quella delle onde e le sue soluzioni stazionarie rappresentano i possibili stati delle particelle e quindi anche degli elettroni nell'atomo di idrogeno. La natura di queste onde fu immediato oggetto di grande dibattito, che si protrae in una certa misura fino ai giorni nostri. Nella seconda metà degli anni venti la teoria fu formalizzata, con l'adozione di postulati fondamentali, da Paul Dirac, John von Neumann e Hermann Weyl. Una rappresentazione ancora differente, ma che porta agli stessi risultati delle precedenti, denominata integrale sui cammini, fu sviluppata nel 1948 da Richard Feynman: una particella quantistica percorre tutte le possibili traiettorie durante il suo moto e i vari contributi forniti da tutti i cammini interferiscono fra loro a generare il comportamento più probabile osservato. Concetti base Quantizzazione dell'energia Con la formulazione della meccanica quantistica la quantizzazione della radiazione elettromagnetica secondo l'ipotesi del fotone di Einstein si estende a tutti i fenomeni energetici, con la conseguente estensione del concetto iniziale di "quanto di luce" a quello di quanto d'azione e abbandono della "continuità" tipica della meccanica classica, in particolare alle scale di lunghezza ed energia del mondo atomico e subatomico. Dualismo onda-particella La fisica classica fino al XIX secolo era divisa in due corpi di leggi: quelle di Newton, che descrivono i moti e la dinamica dei corpi meccanici, e quelle di Maxwell, che descrivono l'andamento e i vincoli a cui sono soggetti i campi elettromagnetici come la luce e le onde radio. A lungo si era dibattuto sulla natura della luce e alcune evidenze sperimentali, come l'esperimento di Young, portavano a concludere che la luce dovesse essere considerata come un'onda. Agli inizi del XX secolo alcune incongruenze teorico-sperimentali misero in crisi la concezione puramente ondulatoria della radiazione elettromagnetica, portando alla teoria, avanzata da Einstein sulla base dei primi lavori di Max Planck, nella quale fu reintrodotta in una certa misura la natura corpuscolare della luce, considerata come composta da fotoni che trasportano quantità discrete dell'energia totale dell'onda elettromagnetica. Successivamente Louis de Broglie avanzò l'ipotesi che la natura della materia e della radiazione non doveva essere pensata solo in termini esclusivi o di un'onda o di una particella, ma che le due entità sono al tempo stesso sia un corpuscolo sia un'onda. A ogni corpo materiale viene associata una nuova lunghezza d'onda, che, se di valore piccolissimo e difficilmente apprezzabile per i valori di massa del mondo macroscopico, assume importanza fondamentale per l'interpretazione dei fenomeni alla scala atomica e subatomica. La teoria di De Broglie fu confermata dalla scoperta della diffrazione dell'elettrone osservata nell'esperimento di Davisson e Germer del 1926. Principio di complementarità Nel 1928 Niels Bohr approfondì e generalizzò il concetto di dualismo in meccanica quantistica enunciando il principio di complementarità, il quale afferma che il duplice aspetto di alcune rappresentazioni fisiche dei fenomeni a livello atomico e subatomico non può essere osservato contemporaneamente durante lo stesso esperimento, rendendo così questo controintuitivo aspetto della teoria, in particolare il dualismo fra natura corpuscolare e ondulatoria, in qualche modo meno stridente con la concezione della fisica classica e anche della logica. Concetto di misura Uno degli elementi di differenziazione dalla fisica classica fu la revisione del concetto di misura. La novità riguarda l'impossibilità di conoscere lo stato di una particella senza perturbarlo in maniera irreversibile. Al contrario della meccanica classica dove è sempre possibile concepire uno spettatore passivo in grado di conoscere ogni dettaglio di un dato sistema, secondo la meccanica quantistica è privo di senso assegnare un valore a una qualsiasi proprietà di un dato sistema senza che questa sia stata attivamente misurata da un osservatore. Le leggi quantistiche stabiliscono che il processo di misura non è descrivibile come la semplice evoluzione temporale del sistema, ma riguarda l'osservatore e gli apparati sperimentali considerati assieme. Questo ha come conseguenza che in generale una volta misurata una grandezza di un sistema non si può in alcun modo determinare quale fosse il suo valore prima della misurazione. Per esempio secondo la meccanica classica la conoscenza della posizione e della velocità di una particella in un dato istante permette di determinare con certezza la sua traiettoria passata e futura. In meccanica quantistica viceversa, la conoscenza della velocità di una particella ad un dato istante non è in generale sufficiente a stabilire quale fosse il suo valore nel passato. Inoltre acquisire la stessa conoscenza della velocità della particella distrugge ogni altra informazione sulla posizione, rendendo anche impossibile il calcolo della traiettoria futura. Principio di indeterminazione di Heisenberg Heisenberg nel 1927 elaborò una formalizzazione teorica del principio suddetto, permettendo di quantificare l'indeterminazione insita nel nuovo concetto di misura. Egli enunciò che in meccanica quantistica alcune coppie di quantità fisiche, come velocità e posizione, non possono essere misurate nello stesso momento entrambe con precisione arbitraria. Tanto migliore è la precisione della misura di una delle due grandezze, tanto peggiore è la precisione nella misura dell'altra. In altri termini, misurare la posizione di una particella provoca una perturbazione impossibile da prevedere della sua velocità e viceversa. In formule: dove è l'incertezza sulla misura della posizione e è quella sulla quantità di moto . Il limite inferiore del prodotto delle incertezze è quindi proporzionale alla costante di Planck . Heisenberg osservò che per conoscere la posizione di un elettrone, questo dovrà essere illuminato da un fotone. Più corta sarà la lunghezza d'onda del fotone, maggiore sarà la precisione con cui la posizione dell'elettrone è misurata. Le comuni onde marine non sono disturbate, nella loro propagazione, dalla presenza di piccoli oggetti; al contrario, oggetti grandi almeno quanto la lunghezza d'onda disturbano e spezzano i fronti dell'onda e tali disturbi permettono di individuare la presenza dell'ostacolo che li ha generati. In ambito quantistico, tuttavia, a basse lunghezze d'onda il fotone trasporterà un'energia sempre maggiore, che assorbita dall'elettrone ne perturberà sempre di più la velocità, rendendo impossibile stabilirne il valore contemporaneamente alla posizione. Al contrario, un fotone ad alta lunghezza d'onda perturberà poco la velocità dell'elettrone, ma non sarà in grado di determinare con precisione la sua posizione. Limite classico della meccanica quantistica Le leggi di Newton della meccanica classica e le leggi di Maxwell per i campi elettromagnetici sono in grado di descrivere in buona approssimazione i fenomeni che occorrono per oggetti macroscopici che si muovono a velocità non troppo elevate. Solamente quando si considerano i fenomeni che avvengono alle scale atomiche si scopre una incompatibilità irresolubile, per questo motivo è interessante chiedersi se esista un opportuno limite in cui le leggi quantistiche si riducono a quelle classiche. La relatività ristretta mostra discrepanze rispetto alla fisica classica quando le velocità dei corpi macroscopici si avvicinano a quelle della luce. Per basse velocità tuttavia, le equazioni si riducono alle leggi del moto di Newton. Ragionando diversamente, è possibile affrontare una espansione in serie delle equazioni di Einstein rispetto alla velocità della luce , considerata come parametro variabile. Quando la velocità della luce è infinita le equazioni di Einstein sono formalmente ed esattamente uguali a quelle classiche. Nella meccanica quantistica il ruolo di è preso dalla costante di Planck ridotta . Considerando quest'ultima come variabile, nel limite in cui tende a zero , fra tutti i possibili cammini che contribuiscono al propagatore di Feynman solamente le soluzioni classiche del moto sopravvivono, mentre i contributi delle altre traiettorie si elidono vicendevolmente diventando sempre meno rilevanti. Dal punto di vista matematico questo approccio si basa su di uno sviluppo asintotico rispetto alla variabile , metodo che tuttavia non permette di identificare formalmente le soluzioni quantistiche con quelle delle equazioni differenziali classiche. Dal punto di vista sostanziale restano tuttavia profonde differenze fra la meccanica classica e quella quantistica, anche considerando la realtà quotidiana. Lo stato di un oggetto macroscopico secondo l'interpretazione di Copenaghen resta comunque non determinato finché non viene osservato, indipendentemente dalle sue dimensioni. Questo fatto pone al centro l'osservatore e domande che quasi rientrano in un dibattito filosofico. Per queste ragioni, nel tentativo di risolvere alcuni punti ritenuti paradossali, sono nate altre interpretazioni della meccanica quantistica, nessuna delle quali tuttavia permette una completa riunione fra mondo classico e quantistico. Principio di esclusione di Pauli Formulato per gli elettroni da Wolfgang Pauli nel 1925, il principio di esclusione afferma che due fermioni identici non possono occupare simultaneamente lo stesso stato quantico. La funzione d'onda dei fermioni è quindi antisimmetrica rispetto allo scambio di due particelle, mentre i bosoni formano stati quantici simmetrici. I fermioni includono protoni, neutroni ed elettroni, le tre particelle che compongono la materia ordinaria, e il principio è alla base della comprensione di molte delle caratteristiche distintive della materia, come i livelli energetici degli atomi e dei nuclei. La sua formulazione diede l'avvio a una revisione della classica Statistica di Maxwell-Boltzmann secondo i nuovi dettami della teoria dei quanti, sfociando nella Statistica di Fermi-Dirac per i fermioni e quella di Bose-Einstein per i bosoni. Formulazioni della meccanica quantistica La meccanica quantistica ammette numerose formulazioni che utilizzano basi matematiche talvolta molto diverse. Sebbene siano differenti, tutte le descrizioni non cambiano le loro previsioni in merito al risultato degli esperimenti. Si può preferire una formulazione rispetto ad un'altra se in questa il problema da descrivere risulta più semplice. Ogni differente formulazione ha permesso inoltre una maggiore conoscenza in merito alle fondazioni stesse della meccanica quantistica. Le formulazioni che sono più frequentemente utilizzate sono quella lagrangiana e quella hamiltoniana. Meccanica delle matrici La meccanica delle matrici è la formulazione della meccanica quantistica elaborata da Werner Heisenberg, Max Born e Pascual Jordan nel 1925. Fu la prima versione completa e coerente della meccanica quantistica, che, pur senza considerare i principi della relatività ristretta, estese il modello atomico di Bohr giustificando dal punto di vista teorico l'esistenza dei salti quantici. Tale risultato fu raggiunto descrivendo le osservabili fisiche e la loro evoluzione temporale attraverso l'uso di matrici. È la base della notazione bra-ket di Paul Dirac per la funzione d'onda. Meccanica ondulatoria Meccanica ondulatoria è la definizione data da Erwin Schrödinger alla teoria basata sulla propria equazione, considerata la formulazione standard della meccanica quantistica, la più nota e quella maggiormente insegnata in ambito accademico. Storicamente costituisce la seconda formulazione, pubblicata nel 1926 a circa sei mesi dalla meccanica delle matrici. Schrödinger scrisse nel 1926 una serie di quattro articoli intitolati "Quantizzazione come problema agli autovalori" in cui mostrò come una meccanica ondulatoria possa spiegare l'emergere di numeri interi e dei quanti, e gli insiemi di valori discreti anziché continui permessi per alcune quantità fisiche di certi sistemi (come l'energia degli elettroni nell'atomo di idrogeno). In particolare, basandosi sui lavori di De Broglie, osservò che le onde stazionarie soddisfano vincoli simili a quelli imposti dalle condizioni di quantizzazione di Bohr: Il numero di nodi in una normale stringa vibrante stazionaria è intero, se questi sono associati alle quantità fisiche come l'energia e il momento angolare allora ne consegue che anche queste devono essere multipli interi di una grandezza fondamentale. Affinché questa equivalenza sia possibile, lo stato fisico deve essere associato ad un'onda che vibra e si evolve secondo le condizioni di stazionarietà. Come Schrödinger stesso osservò, condizioni di tipo ondulatorio sono presenti ed erano già state scoperte anche per la meccanica classica di tipo newtoniano. Nell'ottica geometrica, il limite delle leggi dell'ottica in cui la lunghezza d'onda della luce tende a zero, i raggi di luce si propagano seguendo percorsi che minimizzano il cammino ottico, come stabilito dal principio di Fermat. Allo stesso modo, secondo il principio di Hamilton, le traiettorie classiche sono soluzioni stazionarie o di minimo dell'azione, che per una particella libera è semplicemente legata all'energia cinetica lungo la curva. Tuttavia l'ottica geometrica non considera gli effetti che si hanno quando la lunghezza d'onda della luce non è trascurabile, come l'interferenza e la diffrazione. Equazione di Schrödinger e Funzione d'onda Guidato dalla analogia ottico-meccanica suddetta, Schrödinger suppose che le leggi della meccanica classica di Newton siano solamente una approssimazione delle leggi seguite dalle particelle. Una approssimazione valida per grandi energie e grandi scale, come per le leggi dell'ottica geometrica, ma non in grado di catturare tutta la realtà fisica, in particolare a piccole lunghezze, dove, come per la luce, fenomeni come l'interferenza e la diffrazione diventano dominanti. Egli postulò quindi una equazione di stazionarietà per un'onda del tipo: dove è il potenziale classico ed è un parametro reale corrispondente all'energia. Per alcuni sistemi fisici, questa equazione non ammette soluzioni per arbitrario, ma solo per alcuni suoi valori discreti. In questo modo Schrödinger riuscì a spiegare la natura delle condizioni di quantizzazione di Bohr. Se si considera anche la dinamica delle soluzioni d'onda, cioè si considera la dipendenza temporale della funzione d'onda: si può ottenere l'equazione di Schrödinger dipendente dal tempo: supponendo che l'energia sia proporzionale alla derivata temporale della funzione d'onda: Questa equivalenza fra la derivata temporale e energia della funzione d'onda fu il primo esempio di come nella meccanica quantistica alle osservabili classiche possano corrispondere operatori differenziali. Mentre in meccanica classica lo stato di una particella viene definito attraverso il valore delle grandezze vettoriali posizione e velocità (o impulso, nelle variabili canoniche), nella formulazione di Schrödinger lo stato di una particella viene quindi descritto dalla funzione d'onda, che assume in generale valori complessi. Nell'interpretazione di Copenaghen la funzione d'onda non ha un proprio significato fisico, mentre lo ha il suo modulo al quadrato, che fornisce la distribuzione di probabilità dell'osservabile posizione. Per ogni volume dello spazio, l'integrale del modulo quadro della funzione d'onda assegna la probabilità di trovare la particella dentro quel volume, quando si misura la sua posizione. Il significato di questa probabilità può essere interpretato come segue: avendo a disposizione infiniti sistemi identici, effettuando la stessa misura su tutti i sistemi contemporaneamente, la distribuzione dei valori ottenuti è proprio il modulo quadro della funzione d'onda. Similmente, il modulo quadro della trasformata di Fourier della funzione d'onda fornisce la distribuzione di probabilità dell'impulso della particella stessa. Nell'interpretazione di Copenaghen, la teoria quantistica è in grado di fornire informazioni solo sulle probabilità di ottenere un dato valore quando si misura una grandezza osservabile. Tanto più la distribuzione di probabilità della posizione di una particella è concentrata attorno a un punto e quindi la particella quantistica è "ben localizzata", tanto più la distribuzione degli impulsi si allarga aumentandone l'incertezza, e viceversa. Si tratta del principio di indeterminazione di Heisenberg, che emerge naturalmente nella meccanica ondulatoria dalle proprietà della trasformata di Fourier: è impossibile costruire una funzione d'onda arbitrariamente ben localizzata sia in posizione che in impulso. La funzione d'onda che descrive lo stato del sistema può cambiare al passare del tempo. Ad esempio, una particella che si muove in uno spazio vuoto è descritta da una funzione d'onda costituita da un pacchetto d'onda centrato in una posizione media. Al passare del tempo il centro del pacchetto d'onda cambia, in modo che la particella può successivamente essere localizzata in una posizione differente con maggiore probabilità. L'evoluzione temporale della funzione d'onda è dettata dall'equazione di Schrödinger. Alcune funzioni d'onda descrivono distribuzioni di probabilità che sono costanti nel tempo. Molti sistemi trattati in meccanica classica possono essere descritti da queste onde stazionarie. Ad esempio, un elettrone in un atomo è descritto classicamente come una particella che ruota attorno al nucleo atomico, mentre in meccanica quantistica esso può essere descritto da un'onda stazionaria che presenta una determinata funzione di distribuzione dotata di simmetria sferica rispetto al nucleo. Questa intuizione è alla base del modello atomico di Bohr. Benché ogni singola misura ottenga un valore definito, e non, per esempio, un valore medio, la meccanica quantistica non permette di prevedere a priori il risultato di una misurazione. Questo problema, spesso chiamato "problema della misura", ha dato vita ad uno dei più profondi e complessi dibattiti intellettuali della storia della scienza. Secondo l'interpretazione di Copenaghen, quando viene effettuata una misura di un'osservabile l'evoluzione del sistema secondo l'equazione di Schrödinger viene interrotta e si determina il cosiddetto collasso della funzione d'onda, che porta il vettore di stato ad una autofunzione (autostato) dell'osservabile misurata, fornendo un valore che aveva una certa probabilità di essere effettivamente osservato. Il collasso della funzione d'onda all'atto della misura non è descritto dall'equazione di Schrödinger, che stabilisce solo l'evoluzione temporale del sistema ed è strettamente deterministica, in quanto è possibile prevedere la forma della funzione d'onda a un qualsiasi istante successivo. La natura probabilistica della meccanica quantistica si manifesta invece all'atto della misura. Orbitale atomico Con il principio di indeterminazione e quello di complementarità, con la funzione d'onda e relativo collasso, il modello atomico di Bohr si ridefinisce ancora: oltre alla quantizzazione dei livelli energetici, l'elettrone che ruota intorno al nucleo è sostituito dall'orbitale atomico. L'elettrone non è più visto solo come una particella puntiforme localizzata nello spazio, ma anche in generale come pacchetto d'onda intorno al nucleo, il cui valore assoluto al quadrato rappresenta la probabilità che esso si "materializzi" in un punto se sottoposto ad osservazione fisica diretta. Formulazione hamiltoniana La formulazione hamiltoniana della meccanica quantistica si basa principalmente sui lavori di Paul Dirac, Hermann Weyl e John von Neumann. In questa formulazione l'evoluzione temporale degli stati viene espressa in funzione dell'Hamiltoniana del sistema, descritta con le variabili canoniche coniugate di posizione e impulso. Questa formulazione, nel quadro dell'interpretazione di Copenaghen, si basa su quattro postulati, detti anche principi, la cui validità deve essere verificata direttamente in base al confronto delle previsioni con gli esperimenti: Lo stato fisico di un sistema è rappresentato da un raggio vettore unitario di uno spazio di Hilbert . Nella notazione di Dirac un vettore è indicato con un ket, ad esempio come , mentre il prodotto scalare fra due vettori e è indicato con . In questo modo, uno stato è definito a meno di una fase complessa inosservabile in modo che: Per ogni osservabile fisica riferita al sistema esiste un operatore hermitiano lineare che agisce sui vettori che rappresentano . Gli autovalori associati all'autovettore dell'operatore , che soddisfano quindi: , corrispondono ai possibili risultati della misura dell'osservabile fisica . La probabilità che la misura di sul sistema nello stato dia come risultato un qualsiasi autovalore vale: Questa legge sulla probabilità è nota come regola di Born. I vettori sono scelti in modo tale da formare una base ortonormale dello spazio di Hilbert, cioè soddisfano: Se non è effettuata alcuna misura sul sistema rappresentato da ad un dato istante , allora evolve ad un altro istante in maniera deterministica in base all'equazione lineare di Schrödinger: dove è l'operatore hamiltoniano che corrisponde all'osservabile energia. Se invece è effettuata una misura di una osservabile sul sistema , allora questo collassa in modo casuale nell'autovettore corrispondente all'autovalore osservato. La probabilità che a seguito di una misura lo stato collassi in è data sempre dalla regola di Born. L'interpretazione di Copenaghen descrive il processo di misura in termini probabilistici. Questo significa che il risultato di una misura in generale non può essere previsto con certezza nemmeno se si dispone di una completa conoscenza dello stato che viene misurato. L'evoluzione degli stati nella meccanica quantistica obbedisce a leggi di tipo deterministico finché non sono effettuate misure. Al contrario in generale la misura di una qualsiasi proprietà di un sistema è descritta da un processo casuale. Il collasso della funzione d'onda non permette di stabilire in modo univoco lo stato del sistema antecedente alla misura. Questa differenza profonda di comportamenti dei sistemi, quando sono sotto osservazione rispetto a quando non lo sono, è stata spesso oggetto di ampi dibattiti anche di carattere filosofico ed è chiamata come "Problema della Misura". Il problema della quantizzazione I postulati della meccanica quantistica stabiliscono che ogni stato è rappresentato da un vettore dello spazio di Hilbert ma, fra tutti i possibili spazi di Hilbert, i postulati non indicano quale scegliere. Inoltre non viene stabilita una precisa mappa che ad ogni osservabile associ un rispettivo operatore che agisca sullo spazio Hilbert degli stati; i postulati si limitano semplicemente ad affermare che questa mappa esiste. Fissare lo spazio di Hilbert degli stati e stabilire la corrispondenza osservabile-operatore determina il "problema della quantizzazione", che ammette diverse soluzioni. Alcune di queste sono equivalenti dal punto di vista fisico e sono legate fra loro solo attraverso trasformazioni dello spazio di Hilbert. Per scegliere una quantizzazione, oltre a considerare il sistema fisico da descrivere, si possono imporre condizioni di compatibilità aggiuntive fra le strutture algebriche della meccanica classica e quelle quantistiche. Nella quantizzazione canonica ad esempio tutti gli stati sono funzioni a quadrato sommabile delle coordinate: All'osservabile momento lineare (quantità di moto) può essere associato l'operatore: che a meno di costanti dimensionali deriva la funzione d'onda, mentre all'osservabile posizione: che moltiplica la funzione d'onda per la coordinata . Ogni altra osservabile delle coordinate e degli impulsi sarà ottenuta mediante sostituzione e simmetrizzazione. Formulazione lagrangiana La formulazione lagrangiana della meccanica quantistica è dovuta principalmente ai lavori di Feynman, che la introdusse negli anni quaranta e che ne dimostrò l'equivalenza con la formulazione Hamiltoniana. Le variabili posizione e velocità sono usate in questa formulazione per la descrizione dello stato, mentre l'evoluzione temporale è legata invece alla lagrangiana del sistema. Feynman ebbe l'idea di interpretare la natura probabilistica della meccanica quantistica come la somma pesata dei contributi di tutte le evoluzioni possibili per un sistema, indipendentemente da quelle indicate dalla meccanica classica. In questo modo una particella quantistica puntiforme si propaga fra due punti e dello spazio seguendo tutti i cammini possibili. Ad ogni singolo cammino è associato un peso, proporzionale all'esponenziale immaginario dell'azione classica. La probabilità di raggiungere è proporzionale quindi al modulo quadro della somma dei contributi dei singoli cammini. L'intera formulazione è basata su tre postulati: Esiste un funzione complessa , chiamata propagatore, il cui modulo quadro è proporzionale alla probabilità che una particella localizzata al punto x all'istante si trovi localizzata al punto y all'istante : In questo modo, lo stato descritto dalla funzione d'onda all'istante si evolverà all'istante fino allo stato definito da: Il propagatore può essere scritto come una somma di contributi definiti lungo tutti i percorsi continui , detti cammini, che congiungono il punto con il punto : Il contributo di un singolo cammino vale: dove la costante è definita in modo che la somma su tutti i cammini del propagatore converga nel limite . indica invece l'azione classica associata alla curva . Le curve che contribuiscono al propagatore sono determinate unicamente dagli estremi e e dalla sola condizione di continuità; una possibile curva potrebbe anche essere non differenziabile. Questo tipo di formulazione rende particolarmente agevole uno sviluppo semiclassico della meccanica quantistica, uno sviluppo asintotico in serie rispetto alla variabile . Con la formulazione lagrangiana introdotta da Feynman è stato possibile evidenziare un'equivalenza fra il moto browniano e la particella quantistica. Effetti quantistici Esistono numerosi esperimenti che hanno confermato o che hanno permesso di intuire la natura della materia e dalla radiazione a scale microscopiche descritta dalla meccanica quantistica. Molti di questi esperimenti hanno portato alla scoperta di effetti quantistici, spesso controintuitivi rispetto alla meccanica classica. Dal punto di vista storico, l'effetto fotoelettrico e lo studio dello spettro del corpo nero sono stati fra i primi esperimenti a mostrare la natura quantistica del campo elettromagnetico, che ha portato alla scoperta e alla formulazione teorica del fotone e alla verifica della legge di Planck, secondo la quale l'energia dei fotoni è proporzionale alla loro frequenza. Lo spettro dell'atomo di idrogeno ha invece portato prima allo sviluppo del modello atomico di Bohr-Sommerfeld, poi ha permesso di formulare e verificare l'equazione di Schrödinger. L'effetto tunnel consiste nella possibilità, negata dalla meccanica classica, di un elettrone di superare una barriera di potenziale anche se non ha l'energia per farlo. Gli esperimenti sull'entanglement quantistico sono stati fondamentali nel rigettare il paradosso EPR. In tempi più recenti, la superconduttività e la superfluidità hanno attirato sempre maggiore attenzione per i possibili sviluppi tecnologici, fenomeni che sono studiati dalla fisica della materia condensata. L'effetto Casimir è stato invece fondamentale per comprendere le fluttuazioni quantiche dei campi nel vuoto, ed è legato alla scoperta dell'energia del vuoto. Cronologia essenziale 1900: Max Planck introduce l'idea che l'emissione di energia elettromagnetica sia quantizzata, riuscendo così a giustificare teoricamente la legge empirica che descrive la dipendenza dell'energia della radiazione emessa da un corpo nero dalla frequenza. 1905: Albert Einstein spiega l'effetto fotoelettrico sulla base dell'ipotesi che l'energia del campo elettromagnetico sia trasportata da quanti di luce (che nel 1926 saranno chiamati fotoni). 1913: Niels Bohr interpreta le linee spettrali dell'atomo di idrogeno ricorrendo alla quantizzazione dei livelli energetici dell'elettrone. 1915: Arnold Sommerfeld generalizza i precedenti metodi di quantizzazione, introducendo le cosiddette regole di Bohr-Sommerfeld. I succitati risultati costituiscono la vecchia teoria dei quanti. 1924: Louis de Broglie elabora una teoria delle onde materiali, secondo la quale ai corpuscoli materiali possono essere associate proprietà ondulatorie. 1925: Werner Karl Heisenberg, Max Born e Pascual Jordan formulano la meccanica delle matrici. 1926: Erwin Schrödinger elabora la meccanica ondulatoria, che dimostra equivalente, dal punto di vista matematico, alla meccanica delle matrici. Max Born formula l'interpretazione probabilistica della funzione d'onda. 1927: Heisenberg formula il principio di indeterminazione; pochi mesi più tardi prende forma la cosiddetta interpretazione di Copenaghen. 1927: Paul Dirac include nella meccanica quantistica la relatività ristretta; fa un uso diffuso della teoria degli operatori nella quale introduce la notazione bra-ket. 1932: John von Neumann assicura rigorose basi matematiche alla formulazione della teoria degli operatori. 1940: Feynman, Dyson, Schwinger e Tomonaga formulano l'elettrodinamica quantistica (QED), che servirà come modello per le successive teorie di campo. 1956: Everett propone l'interpretazione a molti mondi. 1960: inizia l'elaborazione della cromodinamica quantistica (QCD). 1964: John Stewart Bell formula l'omonimo teorema. 1975: David Politzer, David Gross e Frank Wilczek formulano la QCD nella forma attualmente accettata. 1982: un gruppo di ricercatori dell'Istituto Ottico di Orsay, diretto da Alain Aspect, conclude con successo una lunga serie di esperimenti che mostrano una violazione delle disuguaglianze di Bell, confermando le previsioni teoriche della meccanica quantistica. Interpretazioni della meccanica quantistica Esistono diverse "interpretazioni" della meccanica quantistica che cercano, in modi diversi, di costruire un ponte fra il formalismo della teoria che sembra descrivere bene il mondo fisico microscopico e il comportamento "classico" che la materia esibisce a livello macroscopico. Una interpretazione della meccanica quantistica è l'insieme degli enunciati volti a stabilire un ponte fra il formalismo matematico su cui è stata basata la teoria e la realtà fisica che questa astrazione matematica dovrebbe rappresentare. Inoltre, come caratteristica peculiare della meccanica quantistica, una interpretazione è focalizzata anche a determinare il comportamento di tutto ciò che non è osservato in un esperimento. L'importanza di stabilire in che modo si comporta un dato sistema fisico anche quando non è osservato, dipende dal fatto che il processo di misura interagisce in maniera irreversibile con il sistema stesso, in modo tale che non è possibile ricostruirne completamente lo stato originario. Secondo alcuni fisici questo rappresenta una limitazione insuperabile della nostra conoscenza del mondo fisico, che sancisce una divisione fra quello che è possibile stabilire in merito al risultato di un esperimento e la realtà oggetto dell'osservazione. Come disse Bohr: Sulla base di questa posizione, Niels Bohr stesso in collaborazione con altri fisici, come Heisenberg, Max Born, Pascual Jordan e Wolfgang Pauli, formulò l'interpretazione di Copenaghen, una delle più conosciute e famose interpretazioni della meccanica quantistica, i cui enunciati sono inclusi anche in alcune versioni dei postulati della meccanica quantistica. Il nome deriva dal fatto che molti dei fisici che vi hanno contribuito sono collegati, per diversi motivi, alla città di Copenaghen. L'interpretazione di Copenaghen non è stata mai enunciata, nella forma odierna, da nessuno di questi fisici, anche se le loro speculazioni hanno diversi tratti in comune con essa. In particolare, la visione di Bohr è molto più elaborata dell'interpretazione di Copenaghen, e potrebbe anche essere considerata separatamente come interpretazione della complementarità in meccanica quantistica. Esistono tuttavia molte altre interpretazioni della meccanica quantistica. L'interpretazione a "molti mondi" è una tra le più note interpretazioni. alternative a quella di Copenaghen e sostiene che ad ogni misurazione la storia del nostro universo si separi in un insieme di universi paralleli, uno per ogni possibile risultato del processo di misurazione. Questa interpretazione nasce da un articolo del 1957 scritto da Hugh Everett III, tuttavia le sue caratteristiche fondamentali non sono mai state delineate in maniera unitaria. La più nota versione di questa interpretazione si deve ai lavori di De Witt e Graham negli anni settanta. Ciascuna interpretazione si differenzia in particolare per il significato dato alla funzione d'onda. Secondo alcune possibilità questa rappresenterebbe una entità reale che esiste sempre e indipendentemente dall'osservatore. Secondo altre interpretazioni, come quella di Bohr, la funzione d'onda rappresenta invece semplicemente una informazione soggettiva del sistema fisico rispetto e strettamente relativa ad un osservatore. Fra queste due alternative visioni è ancora presente un dibattito nella comunità fisica. Dibattito fisico e filosofico Sin dai primi sviluppi della meccanica quantistica, le leggi formulate in base alle evidenze sperimentali sul mondo atomico hanno dato vita a complessi dibattiti di carattere fisico e filosofico. Una delle maggiori difficoltà riscontrate dal mondo scientifico di allora, riguardava l'abbandono della descrizione dello stato fisico di un sistema in termini di tutte le sue variabili contemporaneamente note con precisione arbitraria. Secondo l'interpretazione di Copenaghen, la limitata conoscenza dello stato fisico di un sistema è una proprietà intrinseca della natura e non limite degli strumenti di analisi sperimentali utilizzati o in ultimo dei nostri stessi sensi. Questa posizione non fu accolta positivamente da tutto il mondo scientifico e ancora oggi è oggetto di dibattito. Già Einstein mosse le sue critiche a questi sviluppi della meccanica quantistica, sostenendo: Le resistenze di Einstein nei confronti dell'interpretazione di Copenaghen e dei suoi paradossi, furono superate grazie al grande potere predittivo che le formulazioni della meccanica quantistica hanno dimostrato negli esperimenti condotti nel XX secolo. Queste conferme sperimentali spinsero ad accettare i principi e i postulati della meccanica quantistica, sebbene la questione di quale sia la realtà al di fuori degli esperimenti resti ancora aperta. In ultima analisi, la risposta alla domanda su quale possa essere la realtà dovrebbe essere fornita e rimandata ad una teoria del tutto, ovvero ad una teoria che sia capace di descrivere coerentemente tutti i fenomeni osservati in natura, che includa anche la forza di gravità e non solo le interazioni nucleari e subnucleari. L'impossibilità di conoscere simultaneamente ed esattamente il valore di due osservabili fisiche corrispondenti ad operatori che non commutano, ha rappresentato storicamente una difficoltà nell'interpretare le leggi della meccanica quantistica. Un altro punto particolarmente oggetto di aspre critiche riguarda il ruolo della funzione d'onda e l'interpretazione secondo cui un sistema fisico può trovarsi contemporaneamente in una sovrapposizione di stati differenti. Che quanto sopra enunciato sia, effettivamente, un problema concettuale e formale, venne messo in luce già nel 1935 quando Erwin Schrödinger ideò l'omonimo paradosso del gatto. Molto si è discusso, inoltre, su una peculiarità molto affascinante della teoria: il collasso della funzione d'onda sembrerebbe violare il principio di località. Questa caratteristica è stata messa in luce a partire da un altro famoso "paradosso", quello ideato da Einstein, Podolsky e Rosen nel 1935, chiamato paradosso EPR e che avrebbe dovuto dimostrare come la descrizione fisica della realtà fornita dalla meccanica quantistica sia incompleta. Albert Einstein, pur avendo contribuito alla nascita della meccanica quantistica, criticò la teoria dal punto di vista concettuale. Per Einstein era inconcepibile che una teoria fisica potesse essere valida e completa, pur descrivendo una realtà in cui esistono delle mere probabilità di osservare alcuni eventi e in cui queste probabilità non sono statistiche ma ontologiche. Le critiche di Einstein si riferiscono alla meccanica quantistica nella "interpretazione" di Bohr e della scuola di Copenaghen (all'epoca non c'erano altre interpretazioni altrettanto apprezzate), ed è in questo contesto che va "letto" il "paradosso EPR". Einstein non accettava inoltre l'assunto della teoria in base al quale qualcosa esiste solo se viene osservato. Einstein sosteneva che la realtà (fatta di materia, radiazione, ecc.) sia un elemento oggettivo, che esiste indipendentemente dalla presenza o meno di un osservatore e indipendentemente dalle interazioni che può avere con altra materia o radiazione. Bohr, al contrario, sosteneva che la realtà (dal punto di vista del fisico, chiaramente) esiste o si manifesta solo nel momento in cui viene osservata, anche perché, faceva notare, non esiste neanche in linea di principio un metodo atto a stabilire se qualcosa esiste mentre non viene osservato. È rimasta famosa, tra i lunghi e accesi dibattiti che videro protagonisti proprio Einstein e Bohr, la domanda di Einstein rivolta proprio a Bohr: "Allora lei sostiene che la Luna non esiste quando nessuno la osserva?". Bohr rispose che la domanda non poteva essere posta perché concettualmente priva di risposta. "Realtà" della funzione d'onda Un grande dibattito filosofico si è concentrato attorno a quale "realtà" abbia la funzione d'onda, e quindi l'intero formalismo della meccanica quantistica, rispetto alla natura che si vuole descrivere e all'osservatore che effettua la misurazione. Un possibile punto di vista prevede che la funzione d'onda sia una realtà oggettiva, che esiste indipendentemente dall'osservatore, e che rappresenti o sia equivalente all'intero sistema fisico descritto. All'opposto, la funzione d'onda potrebbe rappresentare, secondo un altro punto di vista, solo la massima conoscenza che un preciso osservatore è in grado di avere di un dato sistema fisico. Bohr durante questo tipo di dibattiti sembrò propendere per questa seconda possibilità. La risposta a questo tipo di interrogativi non è semplice per il fatto che una teoria dell'intero universo come la meccanica quantistica dovrebbe anche descrivere il comportamento degli osservatori che vi sono dentro, spostando quindi il problema della realtà della funzione d'onda al problema della realtà degli osservatori stessi. In termini generali, si può osservare che esiste una differenza fra le previsioni della meccanica quantistica fornite dalla funzione d'onda e le previsioni probabilistiche che è possibile avere ad esempio per il meteo. Nel secondo caso, due previsioni del tempo indipendenti potrebbero dare risultati differenti, in base al fatto che potrebbero avere una diversa accuratezza nella conoscenza dello stato attuale della temperatura e della pressione dell'atmosfera. Nel caso della meccanica quantistica tuttavia, il carattere probabilistico è intrinseco ed è indipendente dal tipo di misurazioni che vengono effettuate. In questo senso, la funzione d'onda assume un significato oggettivo di realtà e non semplicemente uno soggettivo di ciò che è probabile che la natura manifesti. Estensioni della meccanica quantistica Nonostante i suoi numerosi successi, la meccanica quantistica sviluppata agli inizi del XX secolo non può essere considerata una teoria definitiva capace di descrivere tutti i fenomeni fisici. Un primo limite fondamentale della teoria, già ben presente agli stessi scienziati che la formularono, è la sua incompatibilità con i postulati della relatività ristretta e generale. Inoltre la formulazione originaria è inadatta a rappresentare sistemi dove il numero di particelle presenti vari nel tempo. L'equazione di Schrödinger è simmetrica rispetto al gruppo di trasformazioni di Galileo e ha come corrispettivo classico le leggi della meccanica di Newton. L'evoluzione temporale degli stati fisici non è quindi compatibile con la relatività ristretta. Tuttavia i principi della meccanica quantistica possono essere generalizzati in modo da essere in accordo con il quadro della relatività ristretta, ottenendo la teoria quantistica dei campi. Gli effetti associati all'invarianza per trasformazioni di Lorentz richiesta dalla relatività ristretta hanno come conseguenza la non conservazione del numero di particelle. Infatti, in base alla relazione fra massa ed energia, un quanto energetico può essere assorbito o emesso da una particella. La descrizione completa dell'interazione elettromagnetica fra i fotoni e le particelle cariche è fornita dall'elettrodinamica quantistica, teoria quantistica di campo capace di spiegare l'interazione tra radiazione e materia e, in linea di principio, anche le interazioni chimiche interatomiche. Nella seconda metà del XX secolo la teoria di campo quantistica è stata estesa alla descrizione delle interazioni forti che avvengono all'interno del nucleo fra i quark e gluoni, con la cromodinamica quantistica. Ulteriori sviluppi hanno permesso di unificare la forza elettrica con la forza debole, responsabile dei decadimenti nucleari. Anche la formulazione quantistica delle teorie di campo resta in disaccordo con i principi della teoria della relatività generale, questo rende perciò estremamente complesso formulare una teoria in cui la gravità obbedisce anche ai principi della meccanica quantistica. La cosiddetta teoria quantistica della gravitazione è uno degli obiettivi più importanti per la fisica del XXI secolo. Ovviamente, viste le numerose conferme sperimentali delle due teorie, la teoria unificata dovrà includere le altre due come approssimazioni, quando le condizioni ricadono nell'uno o nell'altro caso. Numerose proposte sono state avanzate in questa direzione, come ad esempio la gravitazione quantistica a loop, in inglese Loop Quantum Gravity (LQG), o la teoria delle stringhe. La teoria delle stringhe per esempio estende la formulazione della meccanica quantistica considerando, al posto di particelle puntiformi, oggetti monodimensionali (le stringhe) come gradi di libertà fondamentali dei costituenti materia. Applicazioni Una buona parte delle tecnologie moderne sono basate, per il loro funzionamento, sulla meccanica quantistica. Ad esempio il laser, il microscopio elettronico e la risonanza magnetica nucleare. Inoltre, molti calcoli di chimica computazionale si basano su questa teoria. Elettronica Molti dei fenomeni studiati in fisica dello stato solido sono di natura quanto-meccanica. Lo studio dei livelli energetici degli elettroni nelle molecole ha permesso lo sviluppo di numerose tecnologie di centrale importanza nel XX secolo. I semiconduttori, come il silicio, presentano alternanza di bande di energia permessa e proibita, cioè insiemi continui di valori energetici permessi o proibiti agli elettroni. L'ultima banda di un semiconduttore, detta banda di conduzione, è parzialmente occupata da elettroni. Per questo motivo, se ad un semiconduttore si aggiungono impurità costituite da atomi in grado di cedere o accettare elettroni, si potranno avere cariche negative o positive libere in grado di ricombinarsi. Componendo fra loro strati di semiconduttori con queste opposte impurità si può ottenere un dispositivo in grado di far passare la corrente solo in una direzione, come il diodo, oppure un amplificatore di un segnale, come il transistor. Entrambi sono elementi indispensabili per l'elettronica moderna; grazie a questo tipo di tecnologie possono essere realizzati in dimensioni estremamente compatte: una moderna CPU può contenere miliardi di transistor in pochi millimetri. L'uso di questi tipi di semiconduttori è alla base del funzionamento anche dei pannelli fotovoltaici. Informatica Le ricerche più innovative sono, attualmente, quelle che studiano metodi per manipolare direttamente gli stati quantistici. Molti sforzi sono stati fatti per sviluppare una crittografia quantistica, che garantirebbe una trasmissione sicurissima dell'informazione in quanto l'informazione non potrebbe essere intercettata senza essere modificata. Un'altra meta che si cerca di raggiungere, anche se con più difficoltà, è lo sviluppo di computer quantistici, basati sul calcolo quantistico che li porterebbe ad eseguire operazioni computazionali con molta più efficienza dei computer classici. Inoltre, nel 2001 è stato realizzato un nottolino quantistico funzionante, versione quantistica del nottolino browniano. Note Bibliografia Voci correlate Interpretazione della meccanica quantistica Cromodinamica quantistica Elettrodinamica quantistica Idrodinamica quantistica Termodinamica quantistica Paradosso del gatto di Schrödinger Decoerenza quantistica Notazione bra-ket Stato quantico Salto quantico Funzione d'onda Buca di potenziale Barriera di potenziale Oscillatore armonico quantistico Altri progetti Collegamenti esterni
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Metabolismo
In biochimica il metabolismo (dal greco μεταβολή ossia "cambiamento") è l'insieme delle trasformazioni chimiche che si dedicano al mantenimento vitale all'interno delle cellule degli organismi viventi. Queste reazioni catalizzate da enzimi consentono agli organismi di crescere e riprodursi, mantenere le proprie strutture e rispondere alle sollecitazioni dell'ambiente circostante. La parola "metabolismo" può anche riferirsi a tutte quelle reazioni chimiche che avvengono negli organismi viventi, incluse la digestione e il trasporto di sostanze all'interno delle cellule e tra cellule differenti, nel qual caso la serie di reazioni che avvengono all'interno delle cellule prende il nome di metabolismo intermedio. Generalità Il metabolismo è generalmente diviso in due categorie: catabolismo, che disgrega la materia organica e produce l'energia attraverso la respirazione cellulare e l'anabolismo che utilizza l'energia per costruire i vari componenti delle cellule, come le proteine e gli acidi nucleici. Le reazioni chimiche del metabolismo sono organizzate in vie metaboliche, in cui una sostanza chimica subisce un processo di trasformazione attraverso una serie di passi in un'altra sostanza, grazie a una serie di enzimi. Gli enzimi sono fondamentali per il metabolismo poiché permettono agli organismi di compiere le reazioni chimiche volute, che necessitano di tempi di reazione che non permetterebbero la loro esecuzione spontanea. Gli enzimi agiscono come catalizzatori consentendo alle reazioni di procedere più rapidamente. Essi permettono anche la regolazione delle vie metaboliche in risposta ai cambiamenti nel contesto della cellula o ai segnali provenienti da altre cellule. Il sistema metabolico di un particolare organismo determina quali sostanze rappresenteranno per lui un nutrimento e quali un veleno. Ad esempio, alcuni procarioti utilizzano solfuro di idrogeno come nutriente che, tuttavia, è tossico per altri animali. Una caratteristica particolare del metabolismo è la somiglianza dei componenti e delle vie metaboliche di base tra le specie viventi, anche molto diversi tra di loro. Per esempio, l'insieme di acidi carbossilici che sono conosciuti come gli intermedi del ciclo dell'acido citrico sono presenti in tutti gli organismi noti, essendo stati riscontrati in specie diverse come il batterio unicellulare Escherichia coli e nei grandi organismi multicellulari come gli elefanti. Queste somiglianze suggeriscono che le vie metaboliche siano probabilmente apparse agli inizi della storia evolutiva e si sono conservati per via della loro efficacia. Principali composti chimici La maggior parte delle strutture che compongono gli animali, le piante e i microbi sono realizzate grazie a tre classi molecolari di base: amminoacidi, carboidrati e lipidi (chiamati"grassi"). Poiché queste molecole sono essenziali per la vita, la maggior parte delle reazioni metaboliche si concentra sulla sintesi di queste molecole che serviranno per la costruzione delle cellule e dei tessuti. Queste molecole biochimiche possono essere unite per formare polimeri, quali DNA e proteine, macromolecole essenziali della vita. Amminoacidi e proteine Le proteine sono composte da amminoacidi disposti in una catena lineare unita da legami peptidici. Molte proteine sono enzimi che catalizzano le reazioni chimiche proprie del metabolismo. Altre proteine hanno funzioni strutturali o meccaniche, come quelle che formano il citoscheletro, un sistema strutturale che mantiene la forma della cellula. Le proteine rivestono un ruolo importante anche nella segnalazione cellulare, nella risposta immunitaria, nell'adesione cellulare, nel trasporto attivo attraverso le membrane e nel ciclo cellulare. Gli amminoacidi contribuiscono al metabolismo energetico cellulare fornendo una fonte di carbonio in ingresso nel ciclo dell'acido citrico (ciclo degli acidi tricarbossilici), specialmente quando una fonte primaria di energia, come il glucosio, risulta scarsa o quando la cellula subisce uno stress metabolico. Lipidi I lipidi sono il gruppo più eterogeneo di sostanze biochimiche. La loro principale funzione è quello di elementi strutturali che formano parte delle membrane biologiche, sia interne sia esterne, come la membrana cellulare, oppure possono essere utilizzati come fonte di energia. I lipidi sono generalmente definiti come molecole biologiche idrofobe o anfipatiche ma si dissolvono in solventi organici quali benzene o cloroformio. I grassi sono un grande gruppo di composti che contengono acidi grassi e glicerolo; una molecola di glicerolo collegato a tre esteri di acidi grassi è chiamato trigliceride. Esistono diverse varianti di questa struttura di base, tra cui dorsali alternative come la sfingosina negli sfingolipidi e gruppi idrofili come il fosfato nei fosfolipidi. Steroidi, come il colesterolo, rappresentano un'altra grande classe di lipidi. Carboidrati I carboidrati sono aldeidi o chetoni, con molti gruppi idrossile collegati, che possono esistere come catene lineari o ad anello; quelli a catena lineare sono molto più reattivi nel senso della glicazione (tuttavia almeno per quanto riguarda glucosio e fruttosio l'isomero lineare rappresenta meno dell'1% del composto totale). I carboidrati sono le molecole biologiche più importanti e assecondano a numerosi ruoli, ad esempio la conservazione e il trasporto dell'energia (amido, glicogeno) e la sintesi di componenti strutturali (cellulosa nelle piante, chitina negli animali). Le unità di base dei carboidrati sono chiamati monosaccaridi e includono il galattosio, il fruttosio e soprattutto il glucosio. I monosaccaridi possono essere collegati insieme per formare i polisaccaridi in modi diversi quasi illimitati. Nucleotidi I due acidi nucleici, il DNA e l'RNA, sono polimeri di nucleotidi. Ogni nucleotide è composto da un fosfato collegato a un gruppo zuccherino di ribosio o desossiribosio che è a sua volta collegato a una base azotata. Gli acidi nucleici sono fondamentali per la conservazione e per l'uso della informazione genetica e per la sua interpretazione grazie ai processi di trascrizione e biosintesi delle proteine. Queste informazioni sono protette da meccanismi di riparazione del DNA e trasmesse attraverso la replicazione del DNA. Molti virus possiedono un genoma di RNA, come l'HIV, che utilizza la trascrizione inversa per creare uno stampo di DNA dal proprio genoma virale a RNA. L'RNA contenuto nei ribozimi, come spliceosomi e ribosomi, è simile agli enzimi e come loro è in grado di catalizzare reazioni chimiche. I nucleosidi individuali sono realizzati collegando una base azotata a uno zucchero ribosio. Queste basi sono anelli eterociclici contenenti azoto e classificati come purine o pirimidine. I nucleotidi agiscono anche come coenzimi nelle reazioni metaboliche di trasferimento. Coenzimi Il metabolismo coinvolge una vasta gamma di reazioni chimiche, ma la maggior parte di esse rientrano in alcuni tipi fondamentali che comportano il trasferimento di gruppi funzionali di atomi e dei loro legami all'interno di molecole. Questa chimica comune permette alle cellule di utilizzare un piccolo insieme di metaboliti intermedi per trasportare composti chimici tra diverse reazioni. Questi intermedi di trasferimento sono chiamati coenzimi. Ogni reazione che coinvolge gli intermedi di trasferimento è effettuata da un particolare coenzima, che funge da substrato per alcuni enzimi prodotti e per alcuni enzimi consumati. Pertanto, questi coenzimi vengono continuamente sintetizzati, consumati e riciclati. La loro quantità esistente è modulata dall'effetto feedback, ovvero dal rapporto tra substrato e prodotto. Un coenzima molto importante è l'adenosina trifosfato (ATP), definito come "la moneta energetica" universale delle cellule. Questo nucleotide viene utilizzato per trasferire energia chimica tra diverse reazioni. Nelle cellule è presente soltanto una piccola quantità di ATP, ma esso viene continuamente rigenerato. L'ATP funge da ponte tra il catabolismo e l'anabolismo. Il catabolismo rompe le molecole, mentre l'anabolismo le mette insieme. Le reazioni cataboliche generano ATP e le reazioni anabolizzanti lo consumano. L'ATP serve anche come portatore di gruppi fosfati nelle reazioni di fosforilazione. La vitamina A è un composto organico, necessario in piccole quantità, che non può essere sintetizzato dalle cellule. Nella nutrizione umana, la maggior parte delle vitamine assolve il compito di coenzima dopo essere state modificate; per esempio, tutte le vitamine idrosolubili sono fosforilate o sono accoppiate ai nucleotidi quando vengono utilizzate nelle cellule. La nicotinammide adenina dinucleotide (NAD+), un derivato della vitamina B3 (niacina), è un coenzima importante che funge da accettore di idrogeno. Centinaia di tipi distinti di deidrogenasi rimuovono gli elettroni dai loro substrati e riducono il NAD+ in NADH. Questa forma ridotta del coenzima è quindi un substrato per qualsiasi riduttasi per le cellule che necessitano di ridurre i loro substrati. Nella cellula, il NAD+ esiste in due forme correlate, NADH e NADPH. La forma NAD+/NADH è più importante nelle reazioni cataboliche, mentre quella NADP+/NADPH viene utilizzata nelle reazioni anabolizzanti. Minerali e cofattori Anche gli elementi inorganici giocano un ruolo fondamentale nel metabolismo; alcuni sono abbondanti (ad esempio sodio e potassio), mentre altri assolvono alla loro funzione a concentrazioni minime. Circa il 99% della massa di un mammifero è costituita da carbonio, azoto, calcio, sodio, cloro, potassio, idrogeno, fosforo, ossigeno e zolfo. Composti organici (proteine, lipidi e carboidrati) contengono la maggior parte del carbonio e dell'azoto; la maggior parte dell'ossigeno e dell'idrogeno è presente sotto forma di acqua. Si consideri che buona parte degli ormoni (in particolare gli steroidei e i peptidici) inducono (tramite i recettori che sono vere e proprie pompe ioniche) una variazione delle quantità di sali disciolti nel citoplasma, tale variazione determina effetti sull'attività della cellula; altri ormoni, quali l'adrenalina, agiscono senza influenzare la pressione osmotica, mediante messaggeri intracellulari ("secondi messaggeri"). Gli abbondanti elementi inorganici agiscono come elettroliti ionici. Gli ioni più importanti sono il sodio, potassio, calcio, magnesio, cloruro, fosfato e idrogenocarbonato. Il mantenimento di precisi gradienti ionici attraverso le membrane cellulari permette di mantenere la corretta pressione osmotica e giusti valori di pH. Gli ioni sono anche fondamentali per i nervi e per la funzione muscolare: infatti il meccanismo dei potenziali d'azione, in questi tessuti, viene realizzato grazie allo scambio di elettroliti tra il liquido extracellulare e il citosol, il fluido interno alla cellula. Gli elettroliti possono entrare e uscire dalle cellule grazie a proteine chiamate canali ionici della membrana cellulare. Ad esempio, la contrazione muscolare dipende dal movimento del calcio, del sodio e del potassio attraverso i canali ionici della membrana cellulare e dei tuboli trasversi. I metalli di transizione sono solitamente presenti negli organismo come oligoelementi, con lo zinco e il ferro che sono quelli più abbondanti. Questi metalli sono utilizzati in alcune proteine come cofattori e sono essenziali per l'attività di alcuni enzimi quali i catalasi e le proteine per il trasporto dell'ossigeno, come l'emoglobina. I cofattori metallici sono legati strettamente a siti specifici nelle proteine; sebbene i cofattori enzimatici possono essere modificati durante la catalisi, essi tornano sempre allo stato originale alla fine della reazione catalizzata. I micronutrienti metallici sono oggetto di trasportatori specifici e si legano alle proteine di riserva, come la ferritina o metallotioneina, quando non vengono utilizzati. Catabolismo Il catabolismo è l'insieme dei processi metabolici in grado di abbattere le grandi molecole. Questi includono la scomposizione e l'ossidazione delle molecole assunte con l'alimentazione. Lo scopo delle reazioni cataboliche è quello di fornire l'energia e i componenti necessari per le reazioni anabolizzanti. L'esatta natura di queste reazioni cataboliche differisce da organismo a organismo e gli stessi organismi possono essere classificati in base alle loro fonti di energia, come mostrato nella tabella sottostante. Le molecole organiche sono utilizzate come fonte di energia dagli organotrofi, mentre i litotrofi utilizzano substrati inorganici e fototrofi per catturare la luce solare come energia chimica. Tuttavia tutte queste diverse forme di metabolismo dipendono da reazioni di ossidoriduzione che comportano il trasferimento di elettroni da molecole donatrici, quali molecole organiche, acqua, ammoniaca, solfuro di idrogeno, a molecole accettori come ossigeno, nitrato o solfato. Negli animali queste reazioni coinvolgono molecole organiche complesse che vengono metabolizzate a molecole più semplici, come l'anidride carbonica e l'acqua. Negli organismi fotosintetici, come piante e cianobatteri, queste reazioni di trasferimento degli elettroni non rilasciano energia, ma vengono utilizzate come un modo per immagazzinare quella assorbita dalla luce solare. Il gruppo più comune di reazioni cataboliche negli animali può essere suddiviso in tre fasi principali. Nella prima, grandi molecole organiche come proteine, polisaccaridi o lipidi sono digeriti nei loro componenti più piccoli all'esterno delle cellule. Successivamente queste molecole più piccole sono prese dalle cellule e convertite in molecole ancora più piccole, di solito in coenzima A, rilasciando una certa energia. Infine il gruppo acetile del CoA viene ossidato in acqua e biossido di carbonio nel ciclo dell'acido citrico e nella catena di trasporto degli elettroni, rilasciando l'energia immagazzinata riducendo il coenzima nicotinammide adenina dinucleotide (NAD+) in NADH. Digestione Le macromolecole come l'amido, la cellulosa o le proteine, non possono essere rapidamente assorbite dalle cellule e devono essere scomposte in composti più piccoli prima di poter essere utilizzate nel metabolismo cellulare. Diversi enzimi si occupano di svolgere questo compito e comprendono le proteasi che digeriscono le proteine in amminoacidi, così come le glicoside idrolasi che digeriscono i polisaccaridi in zuccheri semplici, noti come monosaccaridi. I microbi semplicemente secernono enzimi digestivi nell'ambiente circostante, mentre gli animali li secernono esclusivamente da cellule specializzate presenti nei loro visceri. Gli aminoacidi o gli zuccheri creati da questi enzimi extracellulari vengono poi inseriti nelle cellule grazie a proteine di trasporto attivo. Energia da composti organici Il catabolismo dei carboidrati consiste nella loro ripartizione in unità più piccole. I carboidrati vengono generalmente assunti nelle cellule una volta che sono stati digeriti in monosaccaridi. Una volta all'interno, la principale via di ripartizione è la glicolisi, dove gli zuccheri, come il glucosio e il fruttosio, vengono convertiti in piruvato e viene generato ATP. Il piruvato è un intermedio in diverse vie metaboliche, ma la maggior parte viene convertito in acetil-CoA che alimenta il ciclo dell'acido citrico. Sebbene un certo numero di ATP vengano sintetizzati nel ciclo dell'acido citrico, il prodotto più importante è il NADH, che è costituito da NAD+ dall'ossidazione dell'acetil-CoA. Questa reazione rilascia anidride carbonica come prodotto di scarto. In condizioni anaerobiche, la glicolisi produce lattato, attraverso l'enzima l-lattato deidrogenasi re-ossida il NADH in NAD+ per il suo riutilizzo nella glicolisi. Un percorso alternativo per la degradazione del glucosio è la via dei pentoso fosfati, che riduce il coenzima NADPH e produce pentosi come il ribosio, il componente di zucchero degli acidi nucleici. I grassi sono catalizzati per idrolisi di acidi grassi liberi e glicerolo. Il glicerolo entra nella glicolisi e gli acidi grassi sono scomposti per beta ossidazione per rilasciare acetil-CoA, che poi viene immessa nel ciclo dell'acido citrico. Gli acidi grassi rilasciano più energia durante l'ossidazione rispetto ai carboidrati perché quest'ultimi contengono più ossigeno nelle loro strutture. Gli steroidi vengono anche scomposti da alcuni batteri in un processo simile alla beta ossidazione comportando il rilascio di notevoli quantità di acetil-CoA, propionil-CoA e piruvato, che possono essere utilizzati dalla cellula per produrre energia. Mycobacterium tuberculosis può anche vivere grazie al lipide colesterolo come unica fonte di carbonio e i geni coinvolti nella via di utilizzo del colesterolo sono importanti durante le varie fasi del ciclo di infezione di questo batterio responsabile della tubercolosi. Gli aminoacidi sono utilizzati per sintetizzare le proteine e altre biomolecole o ossidati di urea e anidride carbonica come fonte di energia. Il percorso di ossidazione inizia con la rimozione del gruppo amminico grazie a una transaminasi. Il gruppo amminico viene alimentato nel ciclo dell'urea, lasciando uno scheletro di carbonio deaminato sotto forma di un chetoacido. Molti di questi chetoacidi sono intermedi del ciclo dell'acido citrico, per esempio l'acido 2-chetoglutarico permette la deaminazione di forme di acido glutammico. Gli aminoacidi glicogenici possono anche essere convertiti in glucosio, attraverso la gluconeogenesi. Trasformazioni energetiche Fosforilazione ossidativa Grazie alla fosforilazione ossidativa, gli elettroni rimossi dalle molecole organiche vengono trasferiti all'ossigeno e l'energia rilasciata è utilizzata per sintetizzare ATP. Questo processo viene svolto negli eucarioti da una serie di proteine nelle membrane mitocondriali che formano la catena di trasporto degli elettroni. Nei procarioti, queste proteine si trovano nella membrana interna della cellula. Tali proteine utilizzano l'energia rilasciata dal passaggio degli elettroni dalle molecole ridotte, come NADH, per pompare protoni attraverso la membrana. Il pompaggio dei protoni (ovvero dello ione idrogeno+) fuori dei mitocondri crea una differenza, attraverso la membrana, della concentrazione dei protoni stessi, andando quindi a instaurare un gradiente elettrochimico. Il gradiente agisce come una forza che spinge i protoni nuovamente all'interno dei mitocondri, grazie all'enzima ATP sintasi. Il flusso di protoni fa ruotare la subunità, facendo sì che il sito attivo del dominio sintasi cambi di forma e fosforilizzi l'adenosina difosfato, trasformandola in ATP. Energia da composti inorganici Il chemiolitotrofismo è un tipo di metabolismo utilizzato dai procarioti grazie al quale essi si procurano l'energia dalla ossidazione dei composti inorganici. Questi organismi possono utilizzare l'idrogeno, i composti solforati ridotti (come il solfuro, l'acido solfidrico e tiosolfato), l'ossido ferroso o l'ammoniaca come fonti di potere riducente e ottenere energia dall'ossidazione di questi composti con accettori di elettroni come l'ossigeno o il nitrito. Questi processi microbici sono importanti nei cicli biogeochimici globali come l'acetogenesi, la nitrificazione e la denitrificazione e sono fondamentali per la fertilità del suolo. Energia dalla luce L'energia proveniente dalla luce del sole viene catturata dalle piante, dai cianobatteri, dai batteri viola, dai chlorobi e da alcuni protisti. Questo processo viene spesso accoppiato alla conversione dell'anidride carbonica in composti organici, come parte della fotosintesi. I processi di cattura dell'energia e di successivo fissaggio al carbonio possono tuttavia operare separatamente nei procarioti, così come i batteri viola e verdi possono utilizzare la luce solare come fonte di energia, mentre smistano la fissazione del carbonio e la fermentazione dei composti organici. In molti organismi la captazione dell'energia solare è simile, in linea di principio, alla fosforilazione ossidativa, in quanto comporta l'immagazzinamento dell'energia come gradiente di concentrazione di protoni e, quindi, questa forza motrice protonica spinge la sintesi di ATP. Gli elettroni necessari per condurre questa catena di trasporto provengono dal centro di reazione fotosintetico o dalle rodopsine. I centri di reazione sono classificati in due tipi a seconda della tipologia di pigmento fotosintetico presente; mentre la maggior parte dei batteri fotosintetici ne possiede uno soltanto, le piante e i cianobatteri ne hanno due. Nelle piante, alghe e cianobatteri, il fotosistema II utilizza l'energia luminosa per rimuovere gli elettroni dall'acqua, liberando ossigeno come prodotto di scarto. Gli elettroni quindi fluiscono al plastochinolo-plastocianina reduttasi, che utilizza la loro energia per pompare protoni attraverso la membrana tilacoide nel cloroplasto. Questi protoni si muovono indietro attraverso la membrana come guidati dall'ATP sintasi. Gli elettroni quindi fluiscono attraverso il fotosistema I e possono essere o utilizzati per ridurre il coenzima NADP+ per l'uso nel ciclo di Calvin o riciclati per un'ulteriore produzione di ATP. Anabolismo Fissazione del carbonio La fotosintesi è la sintesi dei carboidrati per mezzo della luce solare e dell'anidride carbonica (CO2). Nelle piante, nei cianobatteri e nelle alghe, la fotosintesi ossigenica divide le molecole d'acqua, producendo ossigeno come prodotto di scarto. Questo processo utilizza ATP e NADPH prodotto dai centri di reazione fotosintetici, come sopra descritto, per convertire la CO2 in 3-fosfoglicerato, che può poi essere convertito in glucosio. Questa reazione di fissazione del carbonio è permessa grazie all'enzima ribulosio-bisfosfato carbossilasi, parte del ciclo di Calvin-Benson. Tre tipi diversi di fotosintesi si possono verificare: fotosintesi C3, C4 e CAM. Queste tre differiscono per la via che porta l'anidride carbonica al ciclo di Calvin, nella C3 la CO2 si fissa direttamente, mentre nel C4 e CAM la CO2 viene incorporata prima in altri composti, come adattamenti per affrontare la luce solare intensa e condizioni di asciutto. Nei procarioti fotosintetici i meccanismi di fissazione del carbonio sono più diversificati. Qui, l'anidride carbonica può essere fissata dal ciclo di Calvin-Benson, un ciclo invertito dell'acido citrico o dalla carbossilazione di acetil-CoA. I procarioti chemioautotrofi fissano anch'essi la CO2 grazie al ciclo di Calvin-Benson, ma utilizzano l'energia da composti inorganici per innescare la reazione. Carboidrati e glicani Nell'anabolismo dei carboidrati, gli acidi organici semplici possono essere convertiti in monosaccaridi, come il glucosio, e quindi utilizzati per assemblare polisaccaridi come l'amido. La generazione di glucosio da composti come il piruvato, il lattato, il glicerolo, il glicerato 3-fosfato e gli aminoacidi è chiamato gluconeogenesi. La gluconeogenesi converte il piruvato in glucosio-6-fosfato con una serie di prodotti intermedi, molti dei quali sono condivisi con la glicolisi. Tuttavia, questa via non è semplicemente l'inverso della glicolisi, infatti molte reazioni sono catalizzate da enzimi non glicolitici, la cui presenza è modulata dall'effetto feedback. Questo è importante in quanto consente la formazione e la regolamentazione del glucosio a parte, impedendo che entrambi i percorsi vengano eseguiti contemporaneamente in un ciclo futile. Anche se i lipidi sono un modo comune di immagazzinare energia, nei vertebrati come gli esseri umani, gli acidi grassi non possono essere convertiti in glucosio attraverso la gluconeogenesi, come questi organismi non possono convertire acetil-CoA in piruvato; le piante sono in grado di farlo, ma gli animali non dispongono del meccanismo enzimatico necessario. Come risultato, dopo un lungo periodo di affamamento i vertebrati devono produrre corpi chetonici dagli acidi grassi per sostituire il glucosio nei tessuti poiché il cervello non può metabolizzarli. Altri organismi come piante e batteri risolvono il problema utilizzando il ciclo metabolico gliossilato, che bypassa la decarbossilazione nel ciclo dell'acido citrico e permette la trasformazione di acetil-CoA in ossalacetato, dove può essere utilizzato per la produzione di glucosio. I polisaccaridi e i glicani sono fatti da sequenze aggiunte di monosaccaridi da glicosiltrasferasi grazie a un donatore di glucosio, come l'uridina difosfoglucosio (UDP-glucosio) a un gruppo accettore ossidrile su un polisaccaride. Come uno dei gruppi idrossilici sull'anello del substrato può essere un accettore, i polisaccaridi prodotti possono avere strutture lineari o ramificate. I polisaccaridi prodotti possono avere loro stessi funzioni strutturali o metaboliche, o essere trasferiti ai lipidi e proteine grazie a enzimi chiamati oligosaccariltrasferasi. Acidi grassi, isoprenoidi e steroidi Gli acidi grassi vengono prodotti grazie alla sintesi degli acidi grassi che polimerizzano e quindi riducono le unità acetil-CoA. Le catene acide negli acidi grassi sono estese da un ciclo di reazioni che aggiungono il gruppo acile, ridurlo a un alcool, disidratarlo a un gruppo di alcheni e poi ridurlo nuovamente a un gruppo alcano. Gli enzimi della biosintesi degli acidi grassi sono suddivisi in due gruppi: negli animali e nei funghi tutte le reazioni di sintesi di acido grasso sono svolte da una singola proteina multifunzionale di tipo I, nei plastidi vegetali e nei batteri un enzima separato di tipo II compie ogni fase del percorso. I terpeni e gli isoprenoidi sono una grande classe di lipidi che includono i carotenoidi e formano la più grande classe dei vegetali prodotti naturali. Questi composti sono sintetizzati dall'assemblamento e dalla modifica delle unità di isoprene donate dai precursori reattivi isopentenil pirofosfato e dimetilallil pirofosfato. Questi precursori possono essere realizzati in modi diversi. Negli animali e negli archeobatteri, la via metabolica dell'acido mevalonico produce questi composti dall'acetil-CoA, mentre nelle piante e nei batteri la via metabolica del metileritritolo fosfato utilizza piruvato e gliceraldeide-3-fosfato come substrati. Una reazione importante che utilizza questi donatori è la biosintesi degli steroidi. Qui, le unità di isoprene sono unite insieme per fare squalene per poi essere ripiegate a formare una serie di anelli per creare il lanosterolo. Il lanosterolo poi può essere convertito in altri steroidi, come il colesterolo e l'ergosterolo. Proteine Organismi variano nella loro capacità di sintetizzare i 20 aminoacidi comuni. La maggior parte dei batteri e le piante possono sintetizzarli tutti venti, ma i mammiferi possono solo sintetizzare gli undici aminoacidi non essenziali, così i nove amminoacidi essenziali devono essere ottenuti dall'alimentazione. Alcuni parassiti semplici, come il batterio Mycoplasma pneumoniae, sono totalmente privi della sintesi degli aminoacidi e devono assimilarli direttamente dai loro ospiti. Tutti gli amminoacidi sono sintetizzati da prodotti intermedi della glicolisi, dal ciclo dell'acido citrico o dalla via dei pentoso fosfati. L'azoto viene fornito dal glutammato e glutammina. La sintesi degli aminoacidi dipende dalla formazione dell'alfa-cheto acido appropriato, che viene poi transaminato per formare un amminoacido. Gli aminoacidi uniti in una catena di legami peptidici formano le proteine. Ogni proteina possiede una sequenza unica di residui aminoacidici che rappresenta la sua struttura primaria. Così come le lettere dell'alfabeto possono essere combinate per formare una varietà quasi infinita di parole, gli aminoacidi possono essere collegati in varie sequenze per formare una grande varietà di proteine. Le proteine sono costituite da aminoacidi che sono stati attivati dal fissaggio a una molecola di RNA transfer tramite un legame estere. Questo precursore-tRNA viene prodotto in una reazione ATP-dipendente effettuata da un amminoacil-tRNA sintetasi. Questo tRNA è quindi un substrato per il ribosoma, che unisce l'amminoacido alla catena proteica, utilizzando la sequenza delle informazioni contenute nell'RNA messaggero. Sintesi dei nucleotidi e recupero I nucleotidi vengono sintetizzati grazie agli amminoacidi, all'anidride carbonica e all'acido formico in percorsi che richiedono grandi quantità di energia metabolica. Di conseguenza, la maggior parte degli organismi dispongono di sistemi efficaci per mantenere i nucleotidi preformati. Le purine sono sintetizzate come nucleosidi (basi allegata al ribosio). Sia l'adenina sia la guanina sono sintetizzate dal precursore nucleoside inosina monofosfato, che viene, a sua volta, sintetizzato utilizzando atomi degli amminoacidi. Le pirimidine, d'altra parte, sono sintetizzate dall'acido orotico, che è formato da glutammina e aspartato. Xenobiotici e metabolismo ossidoriduttivo Tutti gli organismi sono costantemente esposti a composti che non possono utilizzare come alimenti e che risulterebbero dannosi se si accumulassero nelle cellule, in quanto non possiedono alcuna funzione metabolica. Questi composti potenzialmente dannosi sono detti xenobiotici. Gli xenobiotici, quali le droghe sintetiche, i farmaci, i veleni naturali e gli antibiotici, vengono metabolizzati da una serie di enzimi specifici. Negli esseri umani, essi includono il citocromo P450, il glucuronosiltransferasi, e glutatione S-transferasi. Questo sistema consiste in tre azioni eseguite dagli enzimi, la prima consiste nell'ossidazione dei xenobiotici (fase I) con la successiva coniugazione di gruppi idrosolubili in una molecola (fase II). Gli xenobiotici idrosolubili modificati possono quindi essere espulsi dalle cellule e, negli organismi multicellulari, possono essere ulteriormente metabolizzati prima di essere escreti (fase III). Nell'ecologia queste reazioni sono particolarmente importanti per la biodegradazione microbica degli inquinanti e per il biorisanamento di terreni contaminati. Molte di queste reazioni microbiche vengono condivise con gli organismi multicellulari, ma a causa della incredibile diversità di tipi di microbi questi organismi sono in grado di affrontare una gamma molto più ampia di xenobiotici rispetto agli organismi pluricellulari e sono anche in grado di degradare gli inquinanti organici persistenti come i composti organoclorurati. Un problema correlato per gli organismi aerobici è lo stress ossidativo. Infatti i processi della fosforilazione ossidativa e la formazione di legami disolfuro durante il ripiegamento proteico producono specie reattive dell'ossigeno come il perossido di idrogeno. Questi ossidanti dannosi vengono rimossi dai metaboliti antiossidanti, come il glutatione e gli enzimi quali catalasi e perossidasi. Termodinamica di organismi viventi Gli organismi viventi devono obbedire alle leggi della termodinamica che descrivono il trasferimento di calore e lavoro. Il secondo principio della termodinamica afferma che in ogni sistema chiuso, la quantità di entropia (disordine) non può diminuire. Anche se gli organismi viventi più complessi sembrano contraddire questa legge, la vita è possibile in quanto tutti gli organismi sono sistemi aperti che scambiano materia ed energia con l'ambiente circostante. In questo modo le specie viventi non si trovano in equilibrio termodinamico, ma sono invece sistemi dissipativi che mantengono il loro stato di elevata complessità comportando un maggiore incremento dell'entropia dei loro ambienti. Il metabolismo di una cellula ottiene questo accoppiando i processi spontanei del catabolismo e i processi non spontanei dell'anabolismo. Nei termini della termodinamica del non equilibrio, il metabolismo mantiene l'ordine, creando disordine. Regolazione e controllo Poiché gli ambienti dove vive la maggior parte degli organismi sono in costante evoluzione, le reazioni metaboliche devono essere finemente regolate per mantenere una serie costante di condizioni all'interno delle cellule, chiamata omeostasi. La regolazione metabolica consente anche agli organismi di rispondere ai segnali e a interagire attivamente con i loro ambienti. Due concetti strettamente legati sono importanti per capire come le vie metaboliche vengono controllate. In primo luogo, un enzima regola una via aumentando o diminuendo la sua attività in risposta a segnali. In secondo luogo, il controllo esercitato da questo enzima è dato dagli effetti che questi cambiamenti hanno sulla via su cui interagisce. Per esempio un enzima può mostrare grandi variazioni di attività, ma se questi cambiamenti hanno uno scarso effetto sul flusso di una via metabolica, allora questo enzima non è coinvolto nel controllo del percorso. Vi sono più livelli di regolazione del metabolismo. Nel regolamento intrinseco la via metabolica si auto-regola per rispondere ai cambiamenti dei livelli dei substrati o dei prodotti; per esempio, una diminuzione della quantità di un prodotto può aumentare la via metabolica per compensarlo. Questo tipo di regolazione comporta spesso una regolazione allosterica delle attività di più enzimi della via. Il controllo estrinseco comporta che una cellula di un organismo multicellulare cambi il suo metabolismo in risposta a segnali provenienti da altre cellule. Generalmente questi segnali sono in forma di messaggeri solubili, come ormoni e fattori di crescita, e vengono rilevati da specifici recettori presenti sulla superficie delle cellule. Questi segnali vengono quindi trasmessi all'interno della cellula da un secondo messaggero che spesso coinvolge la fosforilazione delle proteine. Un esempio molto ben studiato di un controllo estrinseco è la regolazione del metabolismo del glucosio da parte dell'ormone insulina. L'insulina viene prodotta in risposta agli aumenti dei livelli di glucosio nel sangue. Il legame dell'ormone ai recettori dedicati sulle cellule comporta una cascata di protein-chinasi che porta le cellule ad assumere glucosio e convertirlo in molecole di immagazzinamento come acidi grassi e glicogeno. Il metabolismo del glicogeno è controllato dall'attività di fosforilasi, l'enzima che scompone il glicogeno e la glicogeno(amido) sintasi, l'enzima che rende possibile ciò. Questi enzimi sono regolati in maniera reciproca, con la fosforilazione che inibisce la glicogeno sintasi, ma attiva la fosforilasi. L'insulina provoca la sintesi di glicogeno attivando la proteina fosfatasi e producendo una diminuzione della fosforilazione di questi enzimi. Evoluzione Le principali vie del metabolismo sopra descritte, quali la glicolisi e il ciclo dell'acido citrico, sono presenti in tutti e tre i dominii viventi (batteri, archea ed eucarioti) ed erano presenti nell'ultimo antenato comune universale. Questa cellula ancestrale universale fu un procariote e probabilmente un metanogeno con un gran numero di aminoacidi, nucleotidi, carboidrati e con capacità di metabolismo dei lipidi. La conservazione di queste antiche vie metaboliche durante l'evoluzione successiva potrebbe essere il risultato di queste reazioni, essendo stata una soluzione ottimale per i loro particolari problemi metabolici; infatti percorsi come la glicolisi e il ciclo dell'acido citrico sono in grado di produrre prodotti finali altamente efficienti e con un numero minimo di passaggi. Mutazioni che interessano segmenti non codificanti di DNA comportano solo il cambiamento dell'efficienza metabolica dell'individuo per il quale si verifica tale mutazione. Le prime vie metaboliche a base di enzimi, possono aver fatto parte del metabolismo delle purine, mentre precedenti percorsi metabolici potrebbero aver fatto parte dell'ipotesi del mondo a RNA. Molti modelli sono stati proposti per descrivere i meccanismi attraverso i quali le nuove vie metaboliche si siano evolute. Questi includono l'aggiunta sequenziale di nuovi enzimi in una via breve ancestrale, la duplicazione e divergenza di intere vie nonché l'assunzione di enzimi preesistenti e il loro assemblaggio in un percorso di reazione. L'importanza relativa di questi meccanismi non è chiara, ma studi di genomica hanno dimostrato che gli enzimi in una via sono suscettibili di avere un antenato comune, il che suggerisce che molte vie si sono evolute in modo passo-passo con nuove funzioni create da fasi preesistenti della via metabolica. Un modello alternativo viene dagli studi che ripercorrono l'evoluzione delle strutture proteiche in reti metaboliche, questo suggerisce che gli enzimi siano pervasivamente reclutati, prendendo a prestito gli enzimi per svolgere le funzioni simili in diverse vie metaboliche (evidenti nel database MANET). Questo processo di assunzioni si traducono in un mosaico enzimatico evolutivo. Una terza possibilità è che alcune parti del metabolismo potrebbero esistere come "moduli" che possono essere riutilizzati in diversi percorsi e svolgono funzioni analoghe su molecole diverse. Così come l'evoluzione può creare nuove vie metaboliche, l'evoluzione può anche causare la perdita di alcuni funzioni metaboliche. Per esempio, in alcuni parassiti i processi metabolici che non sono essenziali per la sopravvivenza si perdono e gli aminoacidi, i nucleotidi e i carboidrati possono invece essere eliminati dall'ospite. Simili capacità di riduzione metabolica sono visti anche negli organismi endosimbiontici. Storia Il termine "metabolismo" deriva dalla parola greca Μεταβολισμός - "Metabolismos" che significa "cambiare" o "rovesciare". I primi riferimenti al metabolismo documentati sono stati fatti, nel 1260 d.C., da Ibn al-Nafīs nel suo lavoro intitolato Al-Risalah al-Kamiliyyah fil Siera al-Nabawiyyah (Il Trattato di Kamil sulla biografia del Profeta), che includeva la seguente frase "Sia il corpo sia le sue parti sono in un continuo stato di dissoluzione e nutrimento, quindi subiscono inevitabilmente un cambiamento permanente". La storia dello studio scientifico del metabolismo abbraccia diversi secoli ed è iniziata con l'esame di interi animali nei primi studi, fino ad arrivare alle singole reazioni metaboliche nella biochimica moderna. I primi esperimenti controllati sul metabolismo umano sono stati pubblicati da Santorio Santorio nel 1614 nel suo libro Ars de statica medicina. Egli descrisse osservazioni sul suo stesso peso corporeo prima e dopo i pasti, dopo aver dormito, lavorato o avuto rapporti sessuali, dopo il digiuno o dopo aver bevuto o escreto. Egli scoprì che la maggior parte del cibo veniva perso attraverso quello che lui chiamava "traspirazione insensibile". In questi primi studi i meccanismi di questi processi metabolici non erano stati identificati e si riteneva che vi fosse una forza vitale che animasse i tessuti viventi. Nel XIX secolo, mentre studiava la fermentazione dello zucchero in alcool da lievito, Louis Pasteur concluse che la fermentazione fosse catalizzata da sostanze all'interno delle cellule di lievito, che definì "fermenti". Egli scrisse che "la fermentazione alcolica è un atto correlato con la vita e l'organizzazione delle cellule di lievito, non con la morte o la putrefazione delle cellule". Questa scoperta, insieme alla pubblicazione di Friedrich Wöhler nel 1828 di un documento sulla sintesi chimica dell'urea, si distingue per essere il primo composto organico preparato da precursori del tutto inorganici. Ciò dimostrò che i composti organici e le reazioni chimiche presenti nelle cellule non erano diverse in linea di principio di qualsiasi altra branca della chimica. La scoperta degli enzimi, avvenuta all'inizio del XX secolo per opera di Eduard Buchner, separò lo studio delle reazioni chimiche del metabolismo dallo studio biologico delle cellule e segnò l'inizio della disciplina della biochimica. La mole di conoscenze biochimiche crebbe rapidamente per tutto il secolo. Uno dei biochimici più prolifici di questi tempi fu Hans Adolf Krebs che fornì enormi contributi allo studio del metabolismo. Egli scoprì e descrisse il ciclo dell'urea e, in seguito lavorando con Hans Kornberg, il ciclo dell'acido citrico e il ciclo del gliossilato. La ricerca biochimica moderna ha beneficiato notevolmente dello sviluppo di nuove tecniche, come la cromatografia, la cristallografia a raggi X, la spettroscopia di risonanza magnetica nucleare, la marcatura radioisotopica, la microscopia elettronica e le simulazioni di dinamica molecolare. Queste tecniche hanno permesso la scoperta e l'analisi dettagliata delle numerose molecole e vie metaboliche delle cellule. Prospettive terapeutiche Al momento la terapia delle alterazioni metaboliche è affidata al recupero della patologia di base e solo di recente si sono avviate delle procedure, ancora sotto studio, che tengano sotto controllo una delle cause più frequenti delle alterazioni metaboliche, non secondarie a patologie primarie già accertate. Effetti della musicoterapia sul metabolismo Lo studio delle effettive capacità terapeutiche della musica (musicoterapia) è solo agli inizi. Studi recenti hanno dimostrato un ruolo della musica nel recupero metabolico dallo stress, nella motilità gastrica e intestinale, nella modulazione dei sintomi gastrointestinali legati al cancro, e nell'aumento del metabolismo lipidico e della clearance dell'acido lattico durante l'esercizio e il recupero dopo lo sforzo. Diversi studi hanno dimostrato il ruolo della musica nella diminuzione del livello di cortisolo in relazione alle operazioni chirurgiche. In relazione all'atto chirurgico si assiste fisiologicamente a una risposta ipermetabolica caratterizzata dal rilascio di catecolamine, cortisolo, citochine e altri ormoni neuroendocrini modulati dall'asse ipotalamo-ipofisario e dal sistema nervoso autonomo. Questo intenso processo catabolico è facilitato in parte dall'ipercortisolemia attraverso la promozione di glicogenolisi, lipolisi e proteolisi. La musica abbassa il livello del cortisolo, attraverso questa azione è verosimile che intervenga nell'abbassare il metabolismo energetico il cui aumento è particolarmente dannoso, per esempio, nei bambini ustionati. Il primo passo per comprendere come la musica medi il rilassamento dallo stress è che essa aumenta i livelli di GH, attraverso il quale interviene direttamente sull'asse ipotalamo-ipofisario. L'ormone dell'accrescimento (GH) è un ormone anabolico che stimola lo smantellamento dei triacilgliceroli, sopprime l'assorbimento cellulare dei lipidi circolanti, media effetti stimolanti la crescita in un'ampia gamma di tessuti stimolando la secrezione del fattore di crescita insulino-simile-1. Nelle fasi iniziali di una lesione, come parte della risposta acuta allo stress, si manifesta una resistenza al GH. Diversi studi suggeriscono che la musica potrebbe moderare questo effetto. Ciò è stato osservato in pazienti in condizioni critiche nei quali è stato rilevato un aumento significativo della concentrazione di GH dopo l'esposizione a musica rilassante. Essi mostrarono anche una concomitante diminuzione di interleuchina-6 (citochina proinfiammatoria) e dell'adrenalina in conseguenza all'aumento dei livelli di GH. La risposta del sistema nervoso autonomo verosimilmente gioca un ruolo importante nel mediare gli effetti della musica sull'attività immunitaria e neuro-ormonale. La musica, infatti, ha la capacità di indurre un'attività mentale ed emozionale in grado di modulare il funzionamento del sistema nervoso autonomo. Gli studi che si sono occupati dell'impatto della musica sulle variabili cardiovascolari hanno trovato un aumento dei livelli di ormone rilasciante la corticotropina e di ormone adrenocorticotropo in pazienti con insufficienza cardiaca cronica, suggerendo la presenza di un feedback disfunzionale e un aumento dell'attività dell'asse ipotalamo-ipofisario nell'insufficienza cardiaca cronica. La variabilità della frequenza cardiaca (HRV), insieme al livello sierico dell'adrenalina e della noradrenalina, è generalmente considerato il metodo standard per valutare quantitativamente l'attività cardiaca autonoma. Nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica un alto HRV è correlato con una migliore prognosi, viceversa, una diminuzione dell'HRV è associata a una prognosi peggiore. In due diversi studi è emerso che la musicoterapia porta a un significativo aumento dei parametri dell'HRV suggerendo un'attivazione musica-indotta del parasimpatico. Parallelamente il tono simpatico si è dimostrato essere attenuato in pazienti sottoposti a musicoterapia in quanto i pazienti mostravano livelli significativamente inferiori di adrenalina e noradrenalina rispetto ai gruppi di controllo. Durante l'esercizio la musica viene comunemente utilizzata per bilanciare la fatica fisica ed emotiva e migliorare la performance. Recenti ricerche hanno portato evidenze fisiologiche sul ruolo della musica nel migliorare la performance, migliorando il profilo lipidico e facilitando il recupero post-esercizio. Uno dei primi lavori fatto su atleti della corsa ha dimostrato che l'ascolto di musica veloce aumentava i livelli di cortisolo ematico. Avendo il cortisolo un ruolo nel promuovere il catabolismo dei substrati energetici nei tessuti muscolare, adiposo e connettivo, ciò suggerisce un potenziale vantaggio metabolico nell'impiego della musica ad alto ritmo durante l'esercizio. La musica potrebbe anche avere un ruolo di rinforzo degli effetti dell'esercizio nel migliorare il profilo lipidico. In uno studio sulla resistenza al training in donne obese, i soggetti che ascoltavano la musica durante in training hanno mostrato un significativo aumento di lipoproteine ad alta densità e una significativa diminuzione del colesterolo totale, delle LDL e della percentuale totale di grasso corporeo, risultati non osservati nel gruppo di controllo. La musica può facilitare il recupero dopo esercizio intenso. In uno studio condotto sul maschi allenati in età da college, l'ascolto di musica dopo sessioni di corsa intensa ha portato a una significativa diminuzione della concentrazione del lattato ematico, rispetto al controllo. Note Bibliografia Voci correlate Biochimica Catena metabolica Ciclo metabolico Fotosintesi Chemiosintesi batterica Controllo del metabolismo batterico Metabolismo dei lipidi Fabbisogno sostanziale umano Fabbisogno energetico umano Alimentazione Digestione Energia libera Malattie metaboliche Ciclo di Krebs Pompa sodio-potassio Altri progetti Collegamenti esterni
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Miguel Indurain
Soprannominato Miguelón, fu professionista dal 1984 al 1996. Aveva caratteristiche di passista-scalatore, era abile discesista e fortissimo cronoman, e per lo strapotere nelle prove contro il tempo e la capacità di amministrare ottimamente la corsa sulle montagne venne spesso accostato al campione francese Jacques Anquetil. Nel suo palmarès figurano cinque Tour de France vinti consecutivamente dal 1991 al 1995 –l'unico a riuscirvi, dal momento che i sette titoli consecutivi di Lance Armstrong sono stati revocati –e due Giri d'Italia in accoppiata al Tour, nel 1992 e 1993, oltre al titolo di campione del mondo a cronometro ottenuto nel 1995 e alla medaglia d'oro olimpica, nella medesima specialità, ai Giochi di Atlanta nel 1996. Anche il fratello minore Prudencio Indurain, classe 1968, fu professionista dal 1991 al 1999, aiutandolo come gregario per sei anni, dal 1991 al 1996. Carriera Gli esordi Nato in una famiglia di agricoltori della Navarra, cominciò con l'atletica leggera (praticava mezzofondo) per poi passare, all'età di undici anni, alla bicicletta. Nel settembre 1975 cominciò a gareggiare con il Club Ciclista Villavés, e già nel 1976 ottenne quindici vittorie. Dopo la trafila delle categorie giovanili sempre con la formazione di Villava, nella primavera del 1983 debuttò tra i dilettanti con la Reynolds, storica squadra di Irurtzun affiliata alla Reynolds professionistica. In due stagioni da dilettante vinse un Campeonato de Navarra, un titolo nazionale di categoria (entrambi nel 1983) e nel 1984 una tappa del prestigioso Tour de l'Avenir in Francia; partecipò anche ai Giochi olimpici di , ritirandosi dalla prova in linea. 1984-1990: i primi anni da professionista Indurain divenne ciclista professionista all'età di vent'anni, il 4 settembre 1984, proprio con la Reynolds, squadra navarra diretta da José Miguel Echavarri. Già nel 1985 prese parte ai suoi primi Grandi Giri, la Vuelta a España e il Tour de France, nemmeno ventunenne: nella corsa spagnola, che concluse all'ottantaquattresimo posto, si mise in mostra vestendo per quattro giorni la maglia oro di leader della generale, mentre alla Grande Boucle si ritirò durante la quarta tappa. Inizialmente all'ombra del capitano Pedro Delgado, riuscì a far intravedere il suo potenziale al Tour de la Communauté Européenne (già Tour de l'Avenir), prova in cui nel 1985 vinse due tappe, e che si aggiudicò nel 1986 dopo altri due successi parziali. La sua crescita avvenne in modo graduale nella seconda parte degli anni ottanta: dopo essersi aggiudicato numerose competizioni di secondo piano in territorio spagnolo tra 1986 e 1987 e aver contribuito alla vittoria di Delgado al Tour de France 1988, nel settembre 1988 si aggiudicò la Volta Ciclista a Catalunya grazie al successo nella cronometro dell'ultimo giorno. A spingerlo anche un eccezionale ritmo cardiaco che, a riposo, pulsava a soli 28/29 battiti al minuto, e una capacità polmonare di ben 8 litri. Nel 1989 si impose nella classifica finale della Parigi-Nizza, interrompendo il dominio di Sean Kelly che durava da sette anni, e nella nona tappa del Tour de France, sui Pirenei a Cauterets. L'anno successivo, con la maglia della nuova Banesto, riuscì a ripetere i risultati in entrambe le competizioni: vinse infatti ancora la Parigi-Nizza e poi una tappa, sul traguardo pirenaico di Luz-Ardiden, al Tour de France, corsa in cui chiuse per la prima volta in Top 10, decimo. In stagione si piazzò inoltre settimo alla Vuelta a España, e aggiunse al proprio palmarès la Clásica San Sebastián, sua unica vittoria in una classica, grazie a uno scatto sullo Jaizkibel a 35 chilometri dall'arrivo. 1991-1993: tre vittorie al Tour de France e due al Giro d'Italia Forte del ruolo di capitano della sua squadra, nel maggio 1991 Indurain chiuse al secondo posto la Vuelta a España – miglior piazzamento in carriera nella gara iberica –battuto dal solo Melchor Mauri. Al Tour de France subito seguente si presentò con un ruolo di outsider, e nella tappa a cronometro da Argentan a Alençon batté tutti, vincendo davanti a Greg LeMond. Nella seconda parte della Grande Boucle arrivò la sua consacrazione: nella tredicesima tappa (da Jaca a Val-Louron), dopo aver risposto all'attacco di Claudio Chiappucci (poi vincitore di giornata) sul Col d'Aspin ed essersi lasciato alle spalle i favoriti LeMond, Fignon e il proprio capitano Delgado, decretando così definitivamente il ricambio generazionale, conquistò la sua prima maglia gialla. Nelle tappe seguenti riuscì a difendere il primato dagli attacchi di Gianni Bugno, arrivando in giallo fino a Parigi, quarto spagnolo a riuscirvi dopo Federico Bahamontes, Luis Ocaña e Pedro Delgado. Nel finale di stagione Bugno si prese la rivincita ai campionati del mondo su strada di Stoccarda, lasciando a Indurain la medaglia di bronzo; Indurain concluse l'anno con il successo alla Volta Ciclista a Catalunya. A inizio 1992 concluse terzo alla Parigi-Nizza e secondo al Giro di Romandia. Questi risultati, uniti a quelli dell'anno prima, lo portarono a presentarsi ai nastri di partenza del Giro d'Italia con i favori del pronostico: in quella corsa vestì la maglia rosa già al terzo giorno, vinse la cronometro di Sansepolcro, controllò i rivali Chiappucci e Chioccioli nelle tappe di montagna e infine inflisse loro pesanti distacchi nella cronometro finale di 66 chilometri da Vigevano a Milano, conquistando il suo primo Giro. Favorito anche al seguente Tour de France, si dimostrò nuovamente imbattibile a cronometro: dopo aver vinto il prologo a San Sebastián, si impose prima nella cronometro di Lussemburgo, in cui staccò tutti di più di tre minuti completando i 65 chilometri alla media di 49,046 km/h, e poi nella tappa da Tours a Blois, in cui coprì i 64 chilometri di percorso a 52,352 km/h di media (record per le cronometro di oltre 50 chilometri). In quel Tour evidenziò comunque ancora una notevole capacità di gestire avversari più adatti alle salite, primo fra tutti Chiappucci, vincitore di due tappe alpine e della classifica scalatori, riuscendo così ad aggiudicarsi la sua seconda Grande Boucle. La stagione si concluse senza l'acuto nel campionato del mondo, disputato in Spagna a Benidorm, in cui, pur correndo con il ruolo di favorito, si piazzò solo sesto dovendo ancora una volta arrendersi a Bugno. Pochi giorni dopo il mondiale si aggiudicò comunque la sua seconda Volta Ciclista a Catalunya, e con 2 023 punti divenne, in chiusura di annata, il numero uno del ranking mondiale della Federazione dei ciclisti professionisti. Nel 1993 realizzò un'altra accoppiata Giro-Tour. Nella gara italiana vinse due delle tre cronometro in programma, si limitò perlopiù a controllare e a resistere agli attacchi del lettone Pëtr Ugrjumov, battuto alla fine per meno di un minuto. Nella Grande Boucle, ove fu maglia gialla per quattordici tappe, nessun avversario mise invece realmente in discussione il suo primato: Indurain si aggiudicò il prologo e la cronometro di Lac de Madine (59 km), e in classifica finale precedette Tony Rominger di quasi cinque minuti e Zenon Jaskuła di quasi sei. A fine anno, dopo la medaglia d'argento in linea ai campionati del mondo di Oslo (vinti da Lance Armstrong), poté festeggiare di nuovo il primato nella classifica mondiale professionisti, stilata a partire da quella stagione dall'Unione Ciclistica Internazionale. 1994-1995: gli ultimi due Tour de France, il record dell'ora e il mondiale Il 1994 di Indurain iniziò con alcuni successi in gare minori tra Spagna e Francia. Tra maggio e giugno al Giro d'Italia, complice una condizione non ottimale, il campione navarro non andò invece oltre il terzo posto finale, senza successi parziali: a precederlo in classifica furono i giovani Evgenij Berzin, che fece sua la corsa imponendosi anche nelle due cronometro in programma, e Marco Pantani, secondo ma vincitore in due tappe sulle Alpi. Nel mese di luglio Indurain si presentò quindi alla partenza del Tour de France con il ruolo di favorito, senza però quell'alone di invincibilità che lo aveva accompagnato fino ad allora. Tuttavia nella corsa francese non ci fu nessuno in grado di contrapporsi al suo strapotere; nella cronometro di 64 km da Périgueux a Bergerac distanziò il futuro primatista dell'ora Tony Rominger di 2 minuti ed il terzo, Armand de Las Cuevas – medaglia di bronzo mondiale dell'inseguimento su pista nel 1990 –di 4 minuti e 20 secondi. De Las Cuevas, partito 4 minuti prima, fu superato dallo spagnolo a dieci chilometri dal traguardo. Sconfitto da Ugrjumov e Pantani nella cronoscalata di Avoriaz, Indurain giunse comunque a Parigi da vincitore. Qualche settimana più tardi un controllo –effettuato il 15 maggio precedente al Tour de l'Oise – riscontrò però una sua positività all'antidoping: il navarro, veniva evidenziato, aveva assunto salbutamolo, sostanza proibita dalla legislazione francese, ma non dall'Unione Ciclistica Internazionale. Indurain venne comunque presto scagionato per aver dimostrato che l'utilizzo del farmaco era dovuto a scopi terapeutici, per la cura dell'asma. Il 2 settembre 1994, rinunciando anche ai mondiali su strada di Agrigento, riuscì a battere il record dell'ora: nell'occasione, sulla pista del velodromo di Bordeaux, percorse ben 53,040 chilometri con un rapporto 59×14 da 8,86 metri a pedalata, superando di 327 metri il precedente primato detenuto da Graeme Obree. Solo 49 giorni dopo, va detto, questo nuovo record venne superato, sulla stessa pista francese, da Rominger. Il record, come tutti quelli ottenuti dal 1984 in poi su biciclette speciali, verrà poi annullato dall'UCI nel settembre 2000, e riclassificato come "miglior prestazione umana sull'ora". Nel 1995 Indurain vinse il suo quinto Tour de France consecutivo, entrando nella leggenda della corsa francese ed eguagliando Jacques Anquetil, Eddy Merckx e Bernard Hinault a quota cinque successi nella corsa. In quest'annata i suoi principali avversari furono Alex Zülle e Bjarne Riis, che tuttavia non riuscirono mai a lottare realmente per il primato; lo spagnolo dimostrò anzi il proprio strapotere con l'attacco nella frazione pianeggiante verso Liegi (quel giorno lo seguì a ruota il solo Johan Bruyneel, che poi lo batté all'arrivo). La stagione su strada del navarro terminò con i campionati del mondo in Colombia, durante i quali conquistò un oro nella gara a cronometro ed un argento nella prova in linea, dietro al connazionale Abraham Olano; pochi giorni dopo, il 15 ottobre, sulla pista in altura di Bogotà tentò di riprendere il record dell'ora a Rominger (che lo aveva intanto portato a 55,291 km), ma dovette abbandonare, dopo aver percorso 25 chilometri, anche a causa del vento. 1996-1997: l'oro olimpico e il ritiro Nella primavera 1996 si aggiudicò diverse gare nella Penisola Iberica (Volta ao Alentejo, Vuelta a Asturias e Euskal Bizikleta) e per la seconda volta il Critérium du Dauphiné Libéré. Si presentò quindi nuovamente alla Grande Boucle, puntando a battere il record di cinque vittorie nella corsa francese condiviso con Anquetil, Merckx e Hinault. La corsa (che pure, in omaggio a Indurain, passava per Pamplona) diede però indicazioni differenti: lo spagnolo accusò una pesante crisi ipoglicemica nella tappa di Chambéry-Les Arcs, non riuscì a riprendersi nemmeno nelle frazioni successive e concluse la corsa all'undicesimo posto, staccato di 14'14" dal vincitore Bjarne Riis. La stagione comunque venne resa meno amara dalla conquista della medaglia d'oro nella gara a cronometro alle Olimpiadi di Atlanta. In settembre prese il via alla Vuelta a España, cinque anni dopo l'ultima presenza, dovendo però ritirarsi, a causa di problemi respiratori durante la tappa di Lagos de Covadonga. Non venne quindi selezionato per i mondiali di Lugano. Fu la Vuelta 1996 l'ultima gara di rilievo cui partecipò: dopo alcuni mesi in cui si era vociferato un suo passaggio alla ONCE legato a un deterioramento dei rapporti con la Banesto, il 2 gennaio del 1997 annunciò il suo ritiro dal ciclismo. Nei tredici anni di carriera da professionista vinse 111 gare e vestì per 4 giorni la maglia amarillo alla Vuelta a España, per 29 giorni la maglia rosa al Giro d'Italia e per 60 giorni la maglia gialla al Tour de France. Palmarès 1984 (dilettanti) Classifica generale Vuelta a la Comunidad Aragonesa Trofeo Iberduero 10ª tappa Tour de l'Avenir (cronometro) 1985 6ª tappa Tour de l'Avenir 11ª tappa Tour de l'Avenir (cronometro) 1986 Prologo Vuelta a Murcia (cronometro) Classifica generale Vuelta a Murcia Prologo Tour de la Communauté Européenne (cronometro) 9ª tappa Tour de la Communauté Européenne (cronometro) Classifica generale Tour de la Communauté Européenne 1987 Prologo Vuelta a Murcia (cronometro) 4ª tappa, 2ª semitappa Settimana Catalana (cronometro) 5ª tappa Settimana Catalana 2ª tappa Vuelta a los Valles Mineros 3ª tappa Vuelta a los Valles Mineros 4ª tappa, 1ª semitappa Vuelta a los Valles Mineros Classifica generale Vuelta a los Valles Mineros Gran Premio Navarra 1ª tappa Vuelta a Galicia Prologo Salita Txitxarro (cronometro) Classifica generale Salita Txitxarro Memorial Santi Andia 1988 4ª tappa, 1ª semitappa Vuelta a Cantabria 2ª tappa Vuelta a Galicia 6ª tappa, 1ª semitappa Volta Ciclista a Catalunya (cronometro) Classifica generale Volta Ciclista a Catalunya 1989 2ª tappa, 2ª semitappa Critérium International (cronometro) Classifica generale Critérium International Classifica generale Parigi-Nizza 9ª tappa Tour de France (Pau > Cauterets) 1990 5ª tappa Volta a la Comunitat Valenciana 6ª tappa Parigi-Nizza Classifica generale Parigi-Nizza 5ª tappa, 1ª semitappa Vuelta al País Vasco 16ª tappa Tour de France (Blagnac > Luz Ardiden) Classica di San Sebastián 6ª tappa Vuelta a Burgos 1991 1ª tappa, 2ª semitappa Tour du Vaucluse Classifica generale Tour du Vaucluse 2ª tappa Euskal Bizikleta 5ª tappa Euskal Bizikleta 8ª tappa Tour de France (Argentan > Alençon) 21ª tappa Tour de France (Lugny > Mâcon) Classifica generale Tour de France 5ª tappa Volta Ciclista a Catalunya Classifica generale Volta Ciclista a Catalunya 1992 4ª tappa, 2ª semitappa Tour de Romandie (cronometro) 4ª tappa Giro d'Italia (Arezzo > Sansepolcro) 22ª tappa Giro d'Italia (Vigevano > Milano) Classifica generale Giro d'Italia Campionato spagnolo, Prova in linea Prologo Tour de France (San Sebastián, cronometro) 9ª tappa Tour de France (Lussemburgo, cronometro) 19ª tappa Tour de France (Tours > Blois, cronometro) Classifica generale Tour de France 1ª tappa, 1ª semitappa Trofeo Castilla y Leon (cronometro) Classifica generale Volta Ciclista a Catalunya 1993 6ª tappa Vuelta a Murcia 10ª tappa Giro d'Italia (Senigallia, cronometro) 19ª tappa Giro d'Italia (Pinerolo > Sestriere, cronometro) Classifica generale Giro d'Italia 2ª tappa Vuelta a los Valles Mineros 4ª tappa Vuelta a los Valles Mineros Prologo Tour de France (Puy du Fou, cronometro) 9ª tappa Tour de France (Lac de Madine, cronometro) Classifica generale Tour de France 1ª tappa Vuelta a Castilla y León Classifica generale Vuelta a Castilla y León Clásica a los Puertos de Guadarrama 1994 6ª tappa Volta a la Comunitat Valenciana 3ª tappa, 2ª semitappa Tour de l'Oise (cronometro) Classifica generale Tour de l'Oise 9ª tappa Tour de France (Périgueux > Bergerac, cronometro) Classifica generale Tour de France 3ª tappa Vuelta a Castilla y León 1995 4ª tappa, 2ª semitappa Vuelta a Aragón (cronometro) 4ª tappa Vuelta a los Valles Mineros 1ª tappa, 1ª semitappa Vuelta a La Rioja 1ª tappa Vuelta a Asturias 5ª tappa Vuelta a Asturias Classifica generale Grand Prix du Midi Libre 3ª tappa Critérium du Dauphiné Libéré (cronometro) Classifica generale Critérium du Dauphiné Libéré 8ª tappa Tour de France (Huy > Seraing) 19ª tappa Tour de France (Lac de Vassivière, cronometro) Classifica generale Tour de France 1ª tappa Vuelta a Galicia Classifica generale Vuelta a Galicia Campionati del mondo, Prova a cronometro 1996 1ª tappa Volta ao Alentejo 5ª tappa Volta ao Alentejo Classifica generale Volta ao Alentejo 1ª tappa Vuelta a Asturias (cronometro) Classifica generale Vuelta a Asturias 5ª tappa Euskal Bizikleta Classifica generale Euskal Bizikleta 5ª tappa Critérium du Dauphiné Libéré (cronometro) 6ª tappa Critérium du Dauphiné Libéré Classifica generale Critérium du Dauphiné Libéré Giochi olimpici, Prova a cronometro Altri successi 1984 3ª tappa Tour de l'Avenir (cronometro a squadre) 1985 Classifica dei traguardi volanti Vuelta a Burgos 1986 Classifica dei traguardi volanti Vuelta a Burgos Criterium di Leiza Classifica a punti Tour de l'Avenir 1988 Criterium di Alcobendas Classifica a punti Vuelta a Galicia 1989 Criterium di Manlleu Criterium di Pamplona Criterium di Alquerias 1990 Classifica a punti Vuelta a Burgos 1991 Gran Premio de Navarra Classifica della montagna Trofeo Luis Puig Criterium di Castillon-la-Bataille Criterium di Tolosa Criterium di Alqueiras Criterium di Fuenlabrada Criterium di Alcobendas 1992 Criterium di Monein Circuit de l'Aulne (criterium) Classifica intergiro Giro d'Italia Trofeo Bonacossa Giro d'Italia Criterium di Oviedo Criterium di Fuenlabrada Criterium di Rafelbunyo Criterium di Hernani Classifica mondiale FICP 1993 Criterium di Valladolid Criterium di Oviedo Criterium di Salamanca Criterium di Alquerias Criterium di Rafelbunyol Criterium di Alcobendas Classifica mondiale UCI 1994 Criterium di Castillon-la-Bataille Criterium di Valladolid Criterium di Salamanca Criterium di Fuenlabrada Criterium di Durango Criterium di Gran Canaria Record dell'ora (su pista) 1995 Grand Prix of Moscow (criterium) 1996 Criterium di Colmar Criterium Ciutat de L'Hospitalet Criterium di Pamplona Criterium di Fuenlabrada Criterium di Xàtiva Piazzamenti Grandi Giri Giro d'Italia 1992: vincitore 1993: vincitore 1994: 3º Tour de France 1985: ritirato (4ª tappa) 1986: ritirato (12ª tappa) 1987: 97º 1988: 47º 1989: 17º 1990: 10º 1991: vincitore 1992: vincitore 1993: vincitore 1994: vincitore 1995: vincitore 1996: 11º Vuelta a España 1985: 84º 1986: 92º 1987: ritirato (12ª tappa) 1988: ritirato (21ª tappa) 1989: ritirato (18ª tappa) 1990: 7º 1991: 2º 1996: ritirato (13ª tappa) Classiche monumento Milano-Sanremo 1989: 43º 1991: 124º 1992: 167º 1993: 123º 1994: 31º 1995: 132º 1996: 115º Liegi-Bastogne-Liegi 1989: 10º 1990: 12º 1991: 4º 1993: 51º Competizioni mondiali Campionati del mondo Villach 1987 - In linea: 64º Ronse 1988 - In linea: ritirato Chambéry 1989 - In linea: ritirato Utsunomiya 1990 - In linea: 12º Stoccarda 1991 - In linea: 3º Benidorm 1992 - In linea: 6º Oslo 1993 - In linea: 2º Duitama 1995 - Cronometro: vincitore Duitama 1995 - In linea: 2º Giochi olimpici Los Angeles 1984 - In linea: ritirato Atlanta 1996 - Cronometro: vincitore Atlanta 1996 - In linea: 26º Onorificenze Riconoscimenti Velo d'Or della rivista Vélo Magazine nel 1992 e 1993 Mendrisio d'Oro del Velo Club Mendrisio nel 1992 Premio Principe delle Asturie per lo sport nel 1992 Sportivo mondiale dell'anno della Gazzetta dello Sport nel 1992 e 1993 Atleta dell'anno della United Press International nel 1993 Gran Premio Serge Kampf dell'Accademia dello Sport nel 1995 Marca Leyenda nel 1997 Premio Español Universal nel 2002 Premio Vincenzo Torriani nel 2007 Medaglia d'oro al merito sportivo della Navarra nel 2010 Atleta spagnolo del XX secolo del Mundo Deportivo Inserito nella Giro d'Italia Hall of Fame nel 2018 Membro della Laureus World Sports Academy Note Bibliografia Voci correlate Gran Premio Miguel Indurain Altri progetti Collegamenti esterni Vincitori del Giro d'Italia Vincitori del Tour de France Vincitori di medaglia d'oro olimpica per la Spagna Vincitori della Volta Ciclista a Catalunya
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https://it.wikipedia.org/wiki/Magnesio
Magnesio
Il magnesio è l'elemento chimico della tavola periodica degli elementi che ha come simbolo Mg e come numero atomico 12. È il secondo elemento del gruppo 2 (metalli alcalino terrosi) del sistema periodico, collocato tra il berillio e il calcio; si trova nel terzo periodo e fa parte del blocco s. È un metallo leggero e molto reattivo; nei suoi composti mostra quasi esclusivamente stato di ossidazione +2. Il magnesio è l'ottavo elemento più abbondante e costituisce circa il 2% della crosta terrestre; inoltre è il terzo per abbondanza tra gli elementi disciolti nell'acqua di mare. In natura, per la sua elevata reattività, non esiste allo stato libero, ma si trova combinato con altri elementi. Questo metallo alcalino terroso è principalmente usato come agente legante nella produzione di leghe alluminio-magnesio. Caratteristiche Il magnesio è un metallo leggero, di colore bianco argenteo e abbastanza duro, che assume un aspetto opaco, per ossidazione superficiale, se esposto all'aria. Applicazioni I composti di magnesio, soprattutto l'ossido di magnesio, sono usati principalmente come materiale refrattario nei rivestimenti delle fornaci per la produzione di ferro e acciaio, metalli non ferrosi, vetro e cemento. L'ossido di magnesio e altri composti sono usati anche in agricoltura (il magnesio è componente essenziale della clorofilla), e nell'industria chimica e delle costruzioni. L'utilizzo principale di questo elemento è come additivo nelle leghe con l'alluminio dato che ne migliora le proprietà meccaniche, tecnologiche (lavorabilità), e di saldatura. Le leghe alluminio-magnesio sono utilizzate soprattutto nelle lattine per le bevande, ma anche nei cerchi degli pneumatici automobilistici. I costi industriali in metallurgia sono prossimi a quelli dell'alluminio, ma a causa dell'infiammabilità le attrezzature devono essere dotate di apparati in atmosfera controllata, evitando il contatto con l'ossigeno atmosferico; questo incrementa anche se di poco il costo della produzione. Altri utilizzi: Combinato in lega, specialmente con l'alluminio, è essenziale per componenti strutturali nell'industria missilistica, aeronautica, automobilistica e dei macchinari. Come additivo nei propellenti convenzionali e per la produzione di grafite nodulare nella produzione di ghisa. Come desolforante: per aiutare la rimozione dello zolfo dal ferro e dall'acciaio. Come agente riduttivo per la produzione di uranio puro e di altri metalli, partendo dai loro sali. L'idrossido di magnesio viene usato nel latte di magnesia, il cloruro di magnesio e il solfato di magnesio nei Sali di Epsom, e il magnesio citrato viene impiegato in medicina. La magnesite ossidata è utilizzata come rivestimento refrattario nelle fornaci. Sotto forma di polvere o di frammenti molto piccoli si incendia facilmente e la combustione avviene alla temperatura di e con forte produzione luminosa, per questo motivo viene impiegato nei razzi di segnalazione, nei flash fotografici di vecchia concezione (ora sostituiti dai flash elettronici), nei fuochi pirotecnici e nelle bombe incendiarie. Il carbonato di magnesio (MgCO3) in polvere viene usato dagli atleti, o sportivi, come i ginnasti o i sollevatori di pesi, per migliorare la presa sugli attrezzi. Una barra di magnesio metallico viene usata come anodo sacrificale per la Protezione catodica negli impianti di riscaldamento domestico. Un tondino di magnesio può essere utilizzato come acciarino per l'accensione di un fuoco: questo si ottiene sfregando il tondino con un oggetto di acciaio avente uno spigolo acuto (come il dorso di un coltello), per ottenere filamenti e polvere che si incendiano cadendo su un'esca infiammabile (come carta, pagliuzze). Principali agenti leganti Alluminio: unito a zinco e silicio aumenta la resistenza della lega, senza influenzare considerevolmente il comportamento allo scorrimento viscoso ad alta temperatura, creando l'elektron. Rame: aumenta la fluidità allo stato fuso sostituendo a questo scopo il berillio (bandito per la sua tossicità). Manganese: aggiunto in piccole dosi, serve a segregare le impurità di ferro, responsabili di una forte corrosione anodica a contatto con l'acqua salata. Terre rare: i metalli del gruppo dei lantanidi (cerio in particolare) e l'ittrio aumentano fortemente la resistenza delle leghe di magnesio alle alte temperature attraverso la formazione di precipitati duri e altofondenti. Torio: aggiunto alle leghe magnesio-zinco, aumenta la resistenza alle alte temperature, ma è altresì usato raramente per la sua radioattività. Zirconio: usato come affinatore di grano. Argento: aggiunto alle leghe magnesio-terre rare ne aumenta considerevolmente la resistenza a tutte le temperature. Scandio: migliora la resistenza allo scorrimento viscoso quando forma precipitati; se entra solo in soluzione, aumenta il punto di fusione complessivo della lega stessa. Litio: permette di raggiungere una densità notevolmente bassa, di 1,3 chilogrammi al decimetro cubo, ma conferisce al magnesio caratteristiche meccaniche inferiori. Calcio: anche il calcio diminuisce la densità. Storia Il nome prende origine dalla parola greca (Μαγνησία, Maghnesía) che indica una prefettura della Tessaglia nell'antica Grecia chiamata Magnesia, dalla quale prende il nome, per alterazione, anche il manganese. Il termine magnesia veniva in passato attribuito dagli alchimisti a numerose sostanze, chimicamente diverse ma simili per consistenza e colore, estratte nel territorio della città. Joseph Black, in Inghilterra, riconobbe il magnesio come elemento nel 1755, Sir Humphrey Davy lo isolò elettroliticamente nel 1808 da una miscela di magnesia e ossido di mercurio, mentre Antoine Bussy lo preparò in forma coerente nel 1831.Si trova in grossi giacimenti di magnesite, dolomite e altri minerali. Disponibilità Il magnesio viene ottenuto principalmente dall'elettrolisi di cloruro di magnesio fuso, presente in salamoie e acqua di mare. Anche se il magnesio si trova in oltre 60 minerali, solo dolomite, magnesite, brucite, carnallite e olivina sono di importanza commerciale. Isotopi Dell'elemento magnesio si conoscono almeno 22 isotopi, con numeri di massa che vanno da A = 19 ad A = 40. Tra questi, gli isotopi naturali dell'elemento sono i tre che seguono, con le loro abbondanze relative in parentesi: 24Mg (78,99%, il più abbondante), 25Mg (10%) e 26Mg (11,01%). Questi sono i soli isotopi stabili del magnesio, i restanti sono tutti radioattivi. Il 25Mg è l'unico isotopo stabile di Mg ad avere spin (5/2) e pertanto può essere usato per la risonanza magnetica nucleare dei composti di magnesio. Il magnesio-26 è un isotopo stabile ed ha trovato applicazione in geologia isotopica, similmente all'alluminio. Il 26Mg è il prodotto di decadimento β- del 26Al (con un'emivita di anni). All'interno di alcune meteoriti sono stati riscontrati arricchimenti di 26Mg; tale abbondanza anomala è stata attribuita alla presenza di alluminio-26, che lo produce per decadimento. Se ne deduce che le meteoriti devono essersi formate nella nebulosa solare prima che il 26Al si esaurisse. Isotopi radioattivi Il 22Mg (spin 0) decade β+ a sodio-22 (Q = 3,763 MeV, T1/2 = 3,876 secondi), il quale poi decade β+ a neon-22, stabile. Il 23Mg (spin 3/2) decade β+ a sodio-23 (Q = 3,034 MeV, T1/2 = 11,32 secondi), stabile. Il 27Mg (spin 1/2) decade β- a alluminio-27 (Q = 2,610 MeV, T1/2 = 9,458 minuti), stabile. Il 28Mg (spin 0) decade β- a alluminio-28 (Q = 1,832 MeV, T1/2 = 20,915 ore, il più longevo), il quale poi decade β- a silicio-28, stabile. Precauzioni Il magnesio in forma pura è altamente infiammabile, specialmente se in polvere. Brucia con una fiamma bianca dalla luce accecante. Il magnesio sotto forma di polvere reagisce rapidamente e in maniera esotermica a contatto con l'aria o l'acqua e deve essere maneggiato con cura. Non si deve mai usare acqua per estinguere un fuoco di magnesio. Il magnesio acceso a contatto con il vapore acqueo, reagisce: Mg + H2O -> MgO + H2 La reazione produce idrogeno (H2) che può infiammarsi ed esplodere a causa del calore sviluppato dalla reazione stessa. Composti organici Oltre che nelle rocce e nell'acqua marina, il magnesio è presente sia nel mondo vegetale sia in quello animale, di cui costituisce uno dei componenti essenziali. Dalla cessione dei due elettroni che si trovano nello strato più esterno dell'atomo di magnesio si forma lo ione magnesio (Mg2+), che costituisce la forma reattiva dell'elemento, in grado di legarsi a macromolecole e di servire da cofattore enzimatico. Come il carbonio si è selezionato fra gli altri elementi dall'evoluzione biologica per la formazione delle molecole organiche, così il magnesio è risultato il più adatto, per le sue proprietà stereochimiche, a legarsi in maniera reversibile a strutture macromolecolari come alcuni enzimi del metabolismo energetico. Il magnesio ha una fondamentale importanza per le piante; la clorofilla, fondamentale per la cattura energetica dalla luce nella fotosintesi, è una porfirina che ha in posizione centrale un atomo di magnesio. Negli animali e nell'uomo, il magnesio è coinvolto nella sintesi e nell'utilizzo dell'ATP, importantissimo mediatore energetico, nei processi di glicolisi e di gluconeogenesi, nella sintesi e nella duplicazione degli acidi nucleici. Il magnesio nell'alimentazione L'apporto quotidiano raccomandato di magnesio per un adulto è di per gli uomini e 300 mg per le donne (Lichton, 1989), dose aumentabile fino a 450 mg nel periodo di gravidanza e allattamento. Il magnesio è responsabile di molti processi metabolici essenziali come la formazione dell'urea, la trasmissione degli impulsi muscolari, la trasmissione nervosa e la stabilità elettrica cellulare. La mancanza di magnesio nell'organismo può portare a nausea e vomito, diarrea, ipertensione, spasmi muscolari, insufficienza cardiaca, confusione, tremiti, debolezza, cambiamenti di personalità, apprensione e perdita della coordinazione. Il magnesio è contenuto in molti prodotti alimentari, come i cereali (soprattutto integrali), le noci (160 mg per 100 grammi di prodotto), le mandorle (200 mg), le arachidi (120 mg), il miglio e il grano saraceno (120÷140 mg), il cacao (400 mg), il germe di grano, le lenticchie, le verdure verdi (soprattutto spinaci) e anche nelle carni, nei farinacei e nei prodotti lattiero-caseari. Esistono acque minerali ricche in sali di magnesio (acque magnesiache). Salute Diversi studi hanno evidenziato l'importanza di avere il giusto livello di magnesio nel corpo per ridurre i sintomi della COVID-19. Saggio di riconoscimento Il catione Mg2+ ha un suo saggio specifico di riconoscimento. Lo si scioglie in acido cloridrico diluito, per poi portarlo a pH fortemente basico (maggiore di 10) con ausilio di una soluzione di idrossido di sodio. Si ha la formazione di idrossido di magnesio. Questo composto in presenza di tiazolo (noto anche come giallo tiazolo) precipita colorando la soluzione di rosso. Note Bibliografia Voci correlate Diboruro di magnesio (superconduttore) Perossido di magnesio Perclorato di magnesio idrato Solfato di magnesio Altri progetti Collegamenti esterni Elementi chimici Metalli
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https://it.wikipedia.org/wiki/Manganese
Manganese
Il manganese è un metallo, è l'elemento chimico nella tavola periodica che ha simbolo Mn e numero atomico 25. È il primo elemento del gruppo 7 del sistema periodico facente parte del blocco d. È un metallo di transizione lucente, di color grigio-argenteo, simile a quello del ferro, ma è molto duro e fragile, somigliando in questo al cromo. Caratteristiche principali Il manganese è un metallo grigio-bianco, di aspetto simile al ferro; è duro e molto fragile, si può fondere solo con difficoltà e si ossida molto facilmente. Il manganese metallico diventa ferromagnetico solo dopo un trattamento specifico. Gli stati di ossidazione più comuni del manganese sono +2, +3, +4, +6 e +7, sebbene sia stato osservato in tutti gli stati di ossidazione da +1 a +7. Lo ione Mn2+ compete spesso con quello Mg2+ nei sistemi biologici, e i composti del manganese in cui il manganese ha stato di ossidazione +7 sono dei potenti ossidanti. Applicazioni Il manganese è essenziale per la produzione di ferro e acciaio in virtù delle sue proprietà desolforanti, deossigenanti e leganti. La produzione dell'acciaio e altri materiali ferrosi assorbe attualmente dall'85% al 90% della produzione mondiale di manganese: fra le altre cose, il manganese è un componente chiave per gli acciai inossidabili a basso costo e per alcune leghe di alluminio di largo impiego. Il diossido di manganese è usato come catalizzatore e nei primi tipi di pile e batterie a secco. L'ossido di manganese invece è un pigmento marrone che si usa per vernici e si trova nelle terre naturali (ad esempio nella terra di Siena e nella terra di Siena bruciata). Il permanganato di potassio è un potente ossidante molto usato in chimica, e in medicina come disinfettante. Il manganese si usa anche per decolorare il vetro, per togliere la tinta verdastra conferitagli dalle impurità di ferro: in concentrazioni molto alte dona al vetro un colore violetto. Il manganese non ha sostituti adatti per le sue applicazioni principali. In chimica organica è anche utilizzato come catalizzatore in reazioni come l'epossidazione di Jacobsen. Piatti e lastre in manganese vengono utilizzati durante la costruzione o riparazione di un tipo di impianti di sabbiatura detto granigliatrice, che sono dotate di motori elettrici collegati a speciali turbine che sparano graniglia metallica ad alta velocità, sabbiando un pezzo. Il manganese è più resistente del ferro durante il processo di sabbiatura. Risulta essenziale per la longevità dell'impianto, in quanto si usano degli "scudi" sul raggio d'azione delle turbine per proteggere Il corpo macchina in ferro. Storia Il manganese è stato usato fin dalla preistoria: pigmenti a base di diossido di manganese sono stati ritrovati in pitture rupestri di anni fa. Gli Egizi e i Romani usavano composti di manganese nella fabbricazione del vetro, per renderlo incolore o per colorarlo di viola; il minerale di ferro che usavano gli Spartani per fabbricare le loro armi conteneva una certa quantità di manganese, che si concentrava durante la fusione creando una lega ferro-manganese che conferiva alle armi spartane la loro leggendaria durezza. Nel XVII secolo il chimico tedesco Johann Rudolph Glauber produsse per primo il permanganato, un utile reagente chimico, sebbene alcuni pensino che sia in realtà stato scoperto da Ignatius Kaim nel 1770. Entro la metà del XVIII secolo il diossido di manganese era già usato per la fabbricazione del cloro; il chimico svedese Scheele capì per primo che il manganese era un elemento chimico, che venne isolato in forma pura dal suo collega Johan Gottlieb Gahn nel 1774 riducendo il diossido con carbonio. Agli inizi del XIX secolo iniziarono ad essere riconosciuti i brevetti in chimica, e gli scienziati cominciarono a sperimentare l'effetto del manganese nella composizione dell'acciaio. Nel 1816 venne rilevato che l'aggiunta di manganese al ferro rendeva quest'ultimo più duro senza diminuirne la resilienza. Ruolo biologico Il manganese è un oligonutriente per tutte le forme di vita. Molte classi di enzimi contengono uno o più atomi di manganese come cofattori: le ossidoriduttasi, le transferasi, le idrolasi, le liasi, le isomerasi, le ligasi, le lectine e le integrine. I polipeptidi più famosi che contengono manganese sono l'arginasi, la superossido dismutasi e la tossina della difterite. Abbondanza Giacimenti di manganese sono frequenti sulla crosta terrestre, ma distribuiti irregolarmente; quelli negli Stati Uniti sono piuttosto poveri e l'estrazione è molto costosa. L'Ucraina e il Sudafrica insieme possiedono più dell'80% di tutti i giacimenti di manganese sulla terra: altri produttori di manganese sono la Cina, il Burkina Faso, il Ghana, il Messico e l'Australia. Grandi quantità di manganese sono presenti sul fondale degli oceani sotto forma di noduli di manganese; negli anni '60 e '70 sono stati studiati alcuni modi per raccogliere manganese dal fondale oceanico, ma senza successo. Le ricerche in materia sono state abbandonate alla fine degli anni '70. Produzione mondiale Composti importanti Il permanganato di potassio è un reagente usato comunemente in laboratorio come ossidante e in medicina e veterinaria per uso esterno, per esempio nel trattamento di alcune malattie dei pesci. Il diossido di manganese è usato nei tipi più vecchi di pile a secco, per decolorare il vetro contaminato da tracce di ferro o per colorarlo di viola; lo stesso composto è responsabile del colore viola dell'ametista. Lo stesso composto è usato nella fabbricazione industriale di cloro e ossigeno e per vernici. Isotopi In natura il manganese è composto di un solo isotopo stabile, 55Mn. Sono stati sintetizzati 18 diversi radioisotopi di manganese: i più stabili sono il 53Mn con emivita di 3,7 milioni di anni, il 54Mn con 312,3 giorni e il 52Mn con 5,591 giorni. Tutti gli altri sono molto radioattivi con emivite di meno di tre ore, e spesso di meno di un minuto. Il manganese ha anche tre stati metastabili. Il manganese fa parte del gruppo del ferro, che si pensa venga sintetizzato nelle stelle giganti poco prima delle esplosioni di supernova. Il manganese-53 decade in 53Cr; vista la sua relativamente breve emivita, il radionuclide naturale 53Mn è estinto sulla terra. Gli isotopi di manganese sono normalmente mescolati con isotopi di cromo e hanno applicazioni in geologia: il rapporto isotopico Mn-Cr conferma le prove fornite dal rapporto 26Al e 107Pd per quanto riguarda la primissima storia del sistema solare. Le variazioni nei rapporti 53Cr/52Cr e Mn/Cr in molti meteoriti suggeriscono che il sistema isotopico Mn-Cr derivi dal decadimento in-situ del 53Mn nei corpi planetari differenziati. Quindi il 53Mn fornisce prove ulteriori sui processi nucleosintetici immediatamente successivi alla condensazione del sistema solare. Gli isotopi di manganese variano in numero di massa da 46 (46Mn) a 65 (65Mn). Il modo di decadimento principale prima dell'isotopo stabile (55Mn), è la cattura elettronica e il modo principale dopo di esso è il decadimento beta. Precauzioni Il manganese puro è tossico. Esposizione a polveri/fumi di manganese non dovrebbero oltrepassare rispettivamente il valore massimo di 5 mg/m³/1 mg/m³ OSHA PEL (Permissible Exposure Limit) 8-Hr TWA (Time-Weighted Average), a causa della loro tossicità. Soluzioni acide di permanganato ossidano qualunque materiale organico con cui vengono a contatto: questa reazione genera calore sufficiente a incendiare alcune sostanze organiche. Tossicità Un'intossicazione cronica sull'arco di più anni da mangano (manganismo) è caratterizzata dai sintomi tipici del parkinsonismo, ovvero aumento del tono muscolare, tremore, instabilità posturale, ipoamimia. Si tratta a tutti gli effetti di una forma della sindrome di Parkinson secondaria. Per questo il manganese è elencato nella lista delle sostanze pericolose stilata dall'OSHA. Note Bibliografia Voci correlate Permanganato di potassio Magnete Elemento chimico Tavola periodica Eptossido di dimanganese Nitrato manganoso Solfato manganoso Miniera di Gambatesa Altri progetti Collegamenti esterni Elementi chimici Metalli
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https://it.wikipedia.org/wiki/Molibdeno
Molibdeno
Il molibdeno è l'elemento chimico di numero atomico 42 (gruppo 6 della tavola periodica) e il suo simbolo è Mo. È il secondo elemento del gruppo 6 del sistema periodico (collocato tra il cromo e il tungsteno); fa quindi parte del blocco d, ed è un elemento di transizione della seconda serie (5° periodo). Il nome molibdeno deriva dal latino moderno molybdaenum, a sua volta coniato sul termine greco μόλυβδος (mólybdos), piombo, dato che i suoi minerali vennero inizialmente confusi con quelli del piombo. Caratteristiche Il molibdeno è un metallo di colore grigio argenteo, molto duro (5,5 su scala Mohs) e alto fondente (2623 °C), il più alto tra gli elementi del 5° periodo, e ha uno tra i più bassi coefficienti di dilatazione termica. In piccola quantità ha un effetto indurente sull'acciaio. Come elemento è anche piuttosto elettronegativo (2,16 sulla scala Pauling). Il molibdeno è importante come oligoelemento in quanto presente in alcuni enzimi di piante, batteri e animali, tra cui la xantina ossidasi e alcune nitrogenasi. Applicazioni Oltre due terzi del molibdeno prodotto sono impiegati nelle leghe metalliche. L'uso del molibdeno è cresciuto notevolmente durante la seconda guerra mondiale, quando fu necessario trovare alternative al tungsteno per produrre acciaio di elevata durezza. Ancora oggi il molibdeno è usato per produrre leghe ad alta durezza e acciai resistenti alle alte temperature. Leghe speciali contenenti molibdeno, come per esempio le Hastelloy sono notoriamente molto resistenti al calore e alla corrosione. Il molibdeno è usato nella produzioni di parti di aerei e missili, nonché nei filamenti e nelle protesi dentarie. Il solfuro di molibdeno è un buon lubrificante, specialmente alle alte temperature. È usato come semiconduttore anche in applicazioni elettroniche (thin-film transistor, TFT). Il solfuro e ossido di molibdeno trova uso anche come catalizzatore nell'industria petrolchimica, specialmente in catalizzatori usati per rimuovere lo zolfo dal petrolio e dai suoi derivati. I catalizzatori di ossido a base di molibdeno sono utilizzati per reazioni di ossidazione selettiva; le applicazioni tipiche sono l'ossidazione del propano, del propilene o dell'acroleina all'acido acrilico. Inoltre viene utilizzato come lubrificante nelle scioline. È utilizzato anche per i rivestimenti, specchi speciali e celle solari. L'isotopo 99Mo è impiegato nell'industria e nella medicina nucleare. Infatti è un precursore del tecnezio, elemento alla base di molti radiofarmaci. I pigmenti a base di molibdeno hanno colori che variano tra il giallo intenso e l'arancione vivo e vengono usati nelle vernici, negli inchiostri e nei manufatti di plastica e di gomma. Storia Il molibdeno (dal greco μόλυβδος mólybdos, "simile al piombo") non si trova puro in natura e i composti reperibili venivano confusi, fino al XVIII secolo, con composti di carbonio o piombo. Nel 1778 Carl Wilhelm Scheele capì che il molibdeno era un elemento diverso dalla grafite e dal piombo e riuscì a isolare l'ossido del metallo dalla molibdenite, un minerale. Nel 1782 Hjelm isolò un estratto impuro di molibdeno riducendo l'ossido con carbonio.Dapprima il molibdeno fu poco usato e rimase confinato nei laboratori fino al tardo XIX secolo. Poi la Schneider and Co, una compagnia francese, provò a usare il molibdeno come agente legante per l'acciaio delle piastre di corazzatura e scoprì le sue utili proprietà. Dal molibdeno deriva inoltre la lista del molibdeno, elenco di richieste di materie prime e di materiali bellici che Benito Mussolini inviò alla Germania di Adolf Hitler come condizione per l'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale; la lista venne presa come esagerazione dato che la richiesta italiana di molibdeno superava la produzione mondiale annua. Disponibilità Il molibdeno si trova in minerali come la wulfenite (PbMoO4) o la powellite (CaMoO4), ma la principale sorgente commerciale di molibdeno è la molibdenite (MoS2). Il molibdeno è estratto come minerale primario, cioè esistono miniere di molibdeno, ed è anche recuperato come sottoprodotto dell'estrazione del rame. Il molibdeno è presente nel minerale in concentrazioni che vanno dallo 0,01% allo 0,5%. Circa la metà di tutto il molibdeno estratto nel mondo proviene dagli Stati Uniti, in cui la Phelps Dodge Corporation è il principale fornitore. La missione russa Luna 24 scoprì un singolo granulo () di molibdeno puro in un frammento di pirosseno prelevato dal Mare Crisium sulla Luna. Ruolo biologico Tracce di molibdeno, in ragione di poche parti per milione, sono reperibili nelle piante e negli animali: il molibdeno è un oligonutriente necessario a molte forme di vita. Suoli poveri di molibdeno possono essere del tutto sterili e non permettere la crescita delle piante, in cui il molibdeno è coinvolto nei processi di azotofissazione e di riduzione dei nitrati. Infatti è presente nell'enzima batterico nitrogenasi, che da azoto atmosferico ed equivalenti riducenti genera molecole di ammoniaca. Negli animali e nell'uomo sono stati identificati tre enzimi che hanno assoluto bisogno di molibdeno per il loro corretto funzionamento: la xantinaossidasi, che degrada l'ipoxantina in xantina e successivamente questa in acido urico; l'aldeideossidasi, enzima che ossida le aldeidi prodotte dal normale metabolismo intermedio e che serve anche a disintossicare il fegato dall'aldeide acetica prodotta durante il metabolismo dell'etanolo (assunzione di alcolici); e infine la sulfito ossidasi, anch'essa a principale localizzazione epatica e che ossida gli ioni solfito a ioni solfato (meno tossici). Gli alimenti più ricchi in molibdeno sono le crucifere, i legumi e certi cereali. In certi animali, integrare la dieta con piccole quantità di molibdeno aiuta la crescita. Isotopi Il molibdeno ha sei isotopi stabili e circa due dozzine di radioisotopi, di cui la gran parte ha emivita dell'ordine dei secondi. Il 99Mo è usato per creare 99Tc per l'industria degli isotopi nucleari. Il mercato per i prodotti del 99Mo ha un valore complessivo stimato dell'ordine di 100 milioni di dollari l'anno. Precauzioni La polvere e i composti di molibdeno, come il triossido di molibdeno e i molibdati solubili in acqua possono essere leggermente tossici se respirati o ingeriti. I manuali di laboratorio riportano che il molibdeno, comparato con gli altri metalli pesanti, ha tossicità relativamente bassa. Difficilmente si osservano casi di tossicità acuta da molibdeno negli esseri umani, perché la dose necessaria è eccezionalmente elevata. È più probabile un'intossicazione cronica da molibdeno per esposizione in miniere, negli impianti di raffinazione o negli impianti chimici, ma a oggi non sono mai stati riportati casi simili. Mentre i composti solubili del molibdeno sono considerati leggermente tossici, quelli insolubili come il disolfuro di molibdeno usato per lubrificare sono considerati non tossici. In ogni caso, catene di eventi ambientali legati al molibdeno possono provocare gravi conseguenze sulla salute. Nel 1996 in Svezia un aumento delle piogge acide vicino a Uppsala provocò una moria delle piante di cui si cibavano le renne della campagna circostante; questo spinse le renne affamate ad avventurarsi nei campi coltivati ad avena per sfamarsi. Purtroppo gli agricoltori, per riparare il terreno dalle piogge acide, avevano sparso molto calcare sui campi, alterandone il contenuto di alcuni elementi in traccia, fra cui il cadmio. Così l'avena, cresciuta su campi ricchi di oligoelementi, aveva concentrato nei suoi semi grandi quantità di molibdeno: quando le renne se ne cibarono il rapporto rame/molibdeno del loro fegato venne gravemente alterato, causando negli animali magrezza, decolorazione del pelo, ulcere, diarrea, convulsioni, cecità, osteoporosi e malattie cardiache. Negli Stati Uniti il regolamento OSHA specifica che la massima esposizione al molibdeno in una giornata lavorativa di 8 ore durante una settimana di 40 ore non deve essere maggiore di 15 milligrammi per metro cubo. Il NIOSH invece consiglia un limite di esposizione di 5 000 mg per metro cubo. Composti del molibdeno Acido fosfomolibdico Acido molibdico Fase di Chevrel Molibdenite Molibdeno esacarbonile Wulfenite Ilsemannite Jordisite Note Bibliografia Altri progetti Collegamenti esterni Elementi chimici Metalli
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https://it.wikipedia.org/wiki/Mignon%20%C3%A8%20partita
Mignon è partita
Mignon è partita è un film italiano del 1988 diretto da Francesca Archibugi ed interpretato, fra gli altri, da Stefania Sandrelli e Massimo Dapporto. Trama Mignon, quindicenne parigina sofisticata, snob e altezzosa, giunge a Roma ospite di un ramo 'popolano' della sua famiglia, i Forbicioni, mandatavi dalla madre dopo che il papà, fratello del capo famiglia romano, si è trovato sotto inchiesta della Giustizia francese a causa del crollo di un palazzo costruito con materiali difettosi dalla sua impresa edile a Il Cairo, che ha causato la morte di due persone. La ragazza è un corpo estraneo tra uno zio troppo assente, la svagata zia Laura e i cinque cugini e, riservata e superba, anche dichiaratamente scontrosa, nulla fa per integrarsi con questi: non con la coetanea, e "trucida", Chiara, con cui litiga spesso, non col più grande Tommaso, grossolano diciassettenne, né con la piccola e imbranata Antonella, né col piccolo Giacomino di un anno e mezzo. Si trova invece a legare piuttosto con il tredicenne Giorgio, che ha forse i suoi stessi gusti in tema di libri, che ama lo studio e la letteratura; Giorgio finisce per innamorarsi di lei ma, timido e riservato, non lo rivela a nessuno. Cacio, becero bulletto di quartiere e grande amico di Tommaso – che induce persino a rubacchiare in casa per pagarsi le uscite insieme –, la corteggia sguaiatamente e la straniera, annoiata e inquieta, tormentata dal rifiuto della madre che continua a lasciarla in Italia, finisce con l'abbandonarsi a lui nella libreria dello zio, in cui ha iniziato a lavorare – e che, simbolicamente, tutto è diventata, in particolare un luogo di incontri sessuali clandestini, piuttosto che un centro di vita intellettuale, dacché anche il titolare la usa come background e alibi della sua endemica infedeltà alla moglie. Giorgio, scoprendo la ragazza avvinghiata a Cacio, ne è sconvolto, perde interesse a tutto. Un giorno in cui egli anticipa il ritorno a casa, dopo una discussione con la docente di latino del Mamiani, Laura teme che il ragazzo possa aver scoperto la sua tresca con lo zio Aldo: Giorgio, comunque sconcertato dallo stato della madre e sempre più stravolto, finisce all'ospedale per un tentativo di suicidio dopo aver ingerito palline di naftalina, ma viene salvato da una tempestiva lavanda gastrica. Laura festeggia, presenti i figli e il marito, il quarantesimo compleanno e la ritrovata unione familiare e proprio allora Mignon comunica alla famiglia di essere incinta: tra lo sgomento generale Giorgio, il più vicino alla cugina, comprende che, come il suo tentato suicidio, anche la gravidanza simulata è un "gesto teatrale", pur dettato da sofferenza e disperazione, per richiamare l'attenzione, poiché Mignon proprio avendo forzato la situazione avrà finalmente la possibilità di tornare a casa. Giorgio, ancora innamorato della cugina, tenta invano di inseguire il taxi che la conduce all'aeroporto, ma è ostacolato dalle sbarre del cancello, attraverso cui, ormai cresciuto, non riesce più a passare. Si rende quindi conto che il suo destino sarebbe potuto evolversi in maniera diversa se solo, una volta che si erano trovati al molo, non avesse mancato un'altra occasione e avesse dato il desiderato bacio a Mignon. Accoglienza Critica (...) colpisce la nettezza con cui sceglie le inquadrature senza compiacimenti, l'eleganza con cui subordina la sua cultura cinematografica all'esigenza di cogliere dei momenti di verità negli sguardi dei suoi personaggi, la sua sicurezza nel raccontare le difficoltà nel rapporto tra generazioni diverse, il male di crescere e di vivere in pieno i sentimenti (G. Brunetta) Il Dizionario Morandini assegna al film tre stelle su cinque e lo definisce una brillante opera prima. Il Dizionario Farinotti gli assegna tre stelle su cinque Riconoscimenti 1989 - David di Donatello Miglior regista esordiente a Francesca Archibugi Migliore sceneggiatura a Francesca Archibugi, Gloria Malatesta e Claudia Sbarigia Migliore attrice protagonista a Stefania Sandrelli Miglior attore non protagonista a Massimo Dapporto Miglior fonico di presa diretta a Candido Raini 1989 - Nastro d'argento Miglior regista esordiente a Francesca Archibugi Migliore attrice non protagonista a Stefania Sandrelli 1989 - Ciak d'oro Migliore attrice non protagonista a Stefania Sandrelli Migliore opera prima a Francesca Archibugi Migliore sceneggiatura a Francesca Archibugi, Gloria Malatesta e Claudia Sbarigia Miglior manifesto 1988 - Festival di San Sebastián Miglior regista esordiente a Francesca Archibugi Note Collegamenti esterni Film commedia Film drammatici Film ambientati a Roma Film girati a Roma Film diretti da Francesca Archibugi
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https://it.wikipedia.org/wiki/Multipurpose%20Internet%20Mail%20Extensions
Multipurpose Internet Mail Extensions
Il Multipurpose Internet Mail Extensions (MIME; letteralmente "estensioni multifunzione alla posta di Internet") è uno standard di Internet che estende la definizione del formato dei messaggi di posta elettronica, originariamente definito dall'SMTP, il protocollo di trasmissione delle email. MIME aggiunge il supporto per: l'impiego di codifiche di caratteri diversi dall'ASCII, l'aggregazione di diversi messaggi tra loro, la codifica di messaggi (o loro parti) non testuali. Queste novità rispetto ad SMTP consentono caratteristiche oggi comuni nell'uso della posta elettronica, come il concetto di allegato, l'invio di file non testuali, la lunghezza arbitraria delle linee di testo e del messaggio stesso, o ancora la firma digitale e la cifratura dei messaggi. Per garantire compatibilità con il protocollo SMTP, i messaggi email in formato MIME vengono codificati in uno o più messaggi nel formato SMTP spediti ordinatamente. Quasi tutte le email scritte da persone e molte delle email generate automaticamente sono trasmesse usando queste due tecnologie. Sebbene il formato sia nato per la posta elettronica, oggi è impiegato in ambiti anche molto diversi, specialmente in contesti di comunicazione o memorizzazione il cui oggetto abbia una codifica non fissata e che debba pertanto essere esplicitata da metadati. L'esempio più evidente è il protocollo HTTP alla base del World Wide Web, nel quale i messaggi tra browser e server web sono codificati usando MIME. La descrizione e la specifica ufficiale di MIME sono contenute in sei documenti RFC dell'IETF: RFC 2045, RFC 2046, RFC 2047, RFC 4288, RFC 4289, RFC 2049. Caratteristiche Il protocollo base di Internet per la trasmissione di email, l'SMTP, supporta solo caratteri ASCII a 7 bit. Questo di fatto limita le email a messaggi che, quando trasmessi, includono solo i caratteri sufficienti per scrivere in un numero limitato di lingue, come per esempio l'inglese, e rende leggibile (ma non corretta) la rappresentazione in qualche altra lingua che fa uso dell'alfabeto latino. Il MIME definisce meccanismi atti a spedire altri tipi di informazione con l'email, potendo includere testo scritto in lingue diverse dall'inglese usando codifiche diverse dall'ASCII, e contenuti binari come immagini, suoni e filmati, oppure programmi. Il MIME è anche un componente fondamentale dei protocolli di comunicazione come l'HTTP, il quale richiede che i dati siano trasmessi come messaggi simil-email, sebbene i messaggi non siano effettivamente email. La traduzione dei messaggi da e in formato MIME è generalmente fatta in automatico dai client e dai server quando si spediscono o si ricevono email SMTP/MIME. Il formato base delle email su Internet è definito nell'RFC 2822, che è un aggiornamento del RFC 822. Questi standard specificano i formati conosciuti per rappresentare le intestazioni e il corpo delle email, come anche le regole attinenti all'utilizzo delle intestazioni quali "A:", "Oggetto", "Da" e "Data:". MIME definisce un insieme di intestazioni per inserire attributi aggiuntivi in un messaggio, come per esempio il tipo del contenuto, e definisce un insieme di codifiche di trasferimento che possono essere usate per rappresentare dati binari a 8 bit utilizzando il charset ASCII a 7 bit. Lo standard MIME specifica anche regole per codificare caratteri non ASCII nelle intestazioni del messaggio email, come "Oggetto:", permettendo a queste intestazioni di contenere caratteri diversi dall'inglese. Lo standard MIME è espandibile. Le sue definizioni includono metodi per definire nuovi tipi di contenuto e altri attributi MIME. Uno degli obiettivi espliciti dello standard era di non esigere cambiamenti sui server preesistenti, e permettere alle email plain-text di funzionare in entrambe le direzioni con i client preesistenti. Questo obiettivo è stato raggiunto definendo gli attributi dei messaggi in formato MIME opzionali, impostandoli di default come non-MIME, in modo che i messaggi plain-text vengano correttamente letti dai client MIME. Inoltre, un semplice messaggio MIME viene interpretato correttamente anche da un client che non supporta il MIME, sebbene abbia le intestazioni che il client non-MIME non sa come interpretare. Estensibilità Può sembrare sorprendente che la versione MIME sia formalmente rimasta 1.0 dal 1992 a oggi. In realtà, MIME esordisce mettendo a punto un meccanismo per specificare e descrivere il formato dei messaggi di posta elettronica (RFC 1521). Lo standard definisce un processo di registrazione e un formato, fornendo in pratica delle linee guida per la messa a punto di nuove estensioni. In particolare viene caldeggiata l'introduzione di nuovi tipi di contenuto e di nuovi metodi di accesso. Viene anche suggerito l'uso del prefisso X- per i nomi non registrati. I tipi di contenuto predefiniti sono sette. Cinque sono tipi elementari: testo, audio, immagine, video e applicazione, dove l'ultimo rappresenta il tipo di dati generato o utilizzato da un particolare software applicativo. Ogni tipo ha dei sottotipi, per cui abbiamo, per esempio, image/gif e application/zip. Due sono tipi composti: messaggio e multipart. Anche questi hanno i loro sottotipi, per esempio message/rfc822 è usato per rinviare messaggi come allegati, mentre con multipart/alternative si può inviare un testo sia in versione normale sia in HTML. I metodi di accesso sono introdotti allo scopo di inviare un riferimento al messaggio in luogo del messaggio stesso. Questo non è semplicemente un link in mezzo al testo, come spesso si usa. Lo standard prevede un tipo message/external-body corredato del tipo di accesso. I metodi d'accesso previsti vanno dalle varie forme di FTP, ai file locali o remoti, ai messaggi email su un server di posta (presumibilmente in cartelle IMAP condivise). Tra i parametri che corredano l'accesso ci sono le autorizzazioni e la data di scadenza. Ovviamente non è pensabile che un normale client di posta, compatibile con la versione 1.0 di MIME, possa trattare tutte queste estensioni in modo appropriato. L'apparato di MIME è tale da permettere e regolare lo sviluppo di estensioni che saranno sviluppate via via. L'interfacciamento di segreterie telefoniche e fax potrebbe essere un esempio. Voci correlate Internet Posta elettronica Simple Mail Transfer Protocol Hypertext Transfer Protocol MHTML Collegamenti esterni RFC 1426 SMTP Service Extension for 8bit-MIMEtransport. RFC 1847 Security Multiparts for MIME: Multipart/Signed and Multipart/Encrypted RFC 3156 MIME Security with OpenPGP RFC 2045 MIME Part One: Format of Internet Message Bodies. RFC 2046 MIME Part Two: Media Types. RFC 2047 MIME Part Three: Message Header Extensions for Non-ASCII Text. RFC 4288 MIME Part Four: Media Type Specifications and Registration Procedures. RFC 4289 MIME Part Four: Registration Procedures. RFC 2049 MIME Part Five: Conformance Criteria and Examples. RFC 2183 Communicating Presentation Information in Internet Messages: The Content-Disposition Header. RFC 2231 MIME Parameter Value and Encoded Word Extensions: Character Sets, Languages, and Continuations. RFC 2387 The MIME Multipart/Related Content-type. RFC 1521 Mechanisms for Specifying and Describing the Format of Internet Message Bodies A more detailed overview of MIME (1993) Standard Internet
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https://it.wikipedia.org/wiki/Mitocondrio
Mitocondrio
Il mitocondrio (dal greco μίτος [mítos], "filo", e χόνδρος [chóndros], "granello", "chicco") è un organello cellulare solitamente di forma allungata (reniforme o a forma di fagiolo), presente in tutti gli eucarioti. Esso è dotato di un DNA proprio, il DNA mitocondriale. Esistono organismi eucarioti che apparentemente non possiedono mitocondri, come ad esempio i parassiti Giardia lamblia, Entamoeba histolytica e Trachipleistophora hominis, ma ricerche in merito dimostrano come questi organismi abbiano subito un'involuzione dei rispettivi mitocondri, trasformatisi in organelli vestigiali mancanti della loro funzione biochimica originaria. I mitocondri sono organuli presenti nel citoplasma di tutte le cellule animali (matrice) a metabolismo aerobico e nelle cellule eucariote vegetali. Mancano solo nelle cellule procariotiche, cioè i batteri, dove le funzioni respiratorie vengono espletate da proteine enzimatiche contenute nella membrana cellulare e nelle sue invaginazioni, dette mesosomi. I mitocondri sono gli organelli addetti alla respirazione cellulare, costituiti da sacchette contenenti enzimi respiratori. Sono costituiti da due membrane: la membrana interna e la membrana esterna; lo spazio fra queste due membrane è detto spazio intermembrana. Lo spazio delimitato dalla membrana interna è detto matrice mitocondriale; la membrana interna si estende nella matrice formando delle pieghe dette creste mitocondriali che contengono molecole cruciali per la produzione di ATP a partire da altre molecole. Struttura Il mitocondrio, isolato dalla struttura cellulare che lo circonda, assume una forma che ricorda quella di un salsicciotto ed è lungo e la sua sezione ha un diametro di circa 1,5 µm. Nella cellula assume una forma più complessa; ad esempio nelle piante (Arabidopsis thaliana) e nel lievito (Saccharomyces cerevisiae) è più opportuno parlare di una rete mitocondriale in cui i mitocondri vanno incontro a fissione e fusione. È delimitato da una doppia membrana: quella esterna permette il passaggio di piccole molecole, quella interna è selettivamente permeabile e si presenta sotto forma di numerosi avvolgimenti, rientranze e sporgenze, queste sono dette creste mitocondriali. La funzione di queste strutture è quella di aumentare la superficie di membrana che permette di disporre un numero maggiore di complessi di ATP sintetasi e pertanto di fornire maggiore energia. Le due membrane identificano due differenti regioni: lo spazio intermembrana cioè quello interposto tra la membrana esterna e quella interna, e la matrice, spazio circoscritto dalla membrana interna. Le membrane del mitocondrio Le due membrane mitocondriali presentano differenti proprietà a causa della loro diversa composizione. La membrana esterna è composta per il 50% da lipidi e per il resto da svariati enzimi dalle molteplici attività tra cui: l'ossidazione dell'adrenalina, l'allungamento degli acidi grassi e la degradazione del triptofano. Inoltre contiene porine: canali proteici transmembrana formati per lo più da foglietti β, non selettivato. Ciò fa sì che la membrana esterna sia assai permeabile e permetta il passaggio di molecole di massa fino a . Quest'elevata permeabilità era già nota all'inizio del XX secolo in quanto venne notato il rigonfiamento cui i mitocondri vanno soggetti a seguito della loro immersione in una soluzione ipotonica. La membrana interna ha un rapporto in peso proteine/lipidi che si aggira intorno a 3:1, ciò significa che per ogni proteina vi sono circa 15 fosfolipidi, e contiene più di 100 molecole polipeptidiche. L'elevato contenuto proteico è rappresentato da tutti i complessi deputati alla fosforilazione ossidativa e, in ultimo, alla produzione di ATP attraverso il complesso dell'ATP sintetasi, che genera ATP sfruttando il gradiente protonico a cavallo della membrana. Un'altra caratteristica particolare, poiché propria delle membrane batteriche, è la presenza di molecole di cardiolipina (difosfatidil-glicerolo) e l'assenza di colesterolo. La membrana interna, contrariamente a quella esterna, è selettivamente permeabile, priva di porine, ma con trasportatori transmembrana altamente selettivi per ogni molecola o ione. Quindi le due facce della membrana interna vengono chiamate, rispettivamente, versante della matrice e versante citosolico, poiché viene facilmente raggiunto dalle piccole molecole del citosol cellulare, oppure versante N e versante P in ragione del diverso potenziale di membrana (neutro per la matrice interna, positivo per lo spazio intermembrana esterno). La matrice mitocondriale La matrice mitocondriale ha consistenza gelatinosa a causa della concentrazione elevata di proteine idrosolubili (circa 500 mg/ml). Infatti contiene numerosi enzimi, ribosomi (70S, più piccoli di quelli presenti nel resto della cellula) e molecole di DNA circolare a doppio filamento. È fondamentale alla respirazione cellulare. Il genoma mitocondriale Il genoma mitocondriale umano contiene 16569 coppie di basi e possiede 37 geni codificanti per due RNA ribosomiali (rRNA), 22 RNA di trasporto (tRNA) e 13 proteine che fanno parte dei complessi enzimatici deputati alla fosforilazione ossidativa. Il numero di geni presenti sul DNA mitocondriale è variabile a seconda delle specie. In ogni mitocondrio si trovano da due a dieci copie del genoma. Il resto delle proteine presenti nel mitocondrio deriva da geni nucleari i cui prodotti vengono appositamente trasportati. Le proteine destinate al mitocondrio generalmente vengono riconosciute grazie ad una sequenza leader presente sulla loro parte N-terminale. Questa sequenza contiene da 20 a 90 amminoacidi, di cui nessuno carico negativamente, con all'interno alcuni motivi ricorrenti. Inoltre sembra avere un'elevata possibilità di dare origine ad una α-elica anfipatica. Circa 28 dei geni mitocondriali (2 rRNA, 14 tRNA e 12 proteine) sono codificati su uno dei due filamenti di DNA (detto H, da heavy strand) mentre i rimanenti geni (8 tRNA e 1 proteina) sono codificati sul filamento complementare (detto L, da light strand). La presenza della catena di trasporto degli elettroni con la sua capacità di produrre radicali liberi, la mancanza di istoni e i limitati sistemi di riparo, rendono il DNA mitocondriale facilmente danneggiabile e in effetti il suo tasso di mutazione è circa dieci volte maggiore di quello nucleare. Ciò fa sì che si possano avere sequenza mitocondriali differenti anche all'interno di uno stesso individuo. La presenza di ribosomi permette al mitocondrio di svolgere una propria sintesi proteica. Una particolarità del codice genetico mitocondriale sta nel fatto che esso è leggermente diverso da quello comunemente noto. Il codone UGA, normalmente codone di stop, codifica per il triptofano. Inoltre i vertebrati usano la sequenza AUA, e l'uomo anche AUU, per codificare la metionina (e non l'isoleucina) mentre AGA ed AGG funzionano come codoni di stop. Si è visto che tra specie diverse vi possono essere differenze nel codice mitocondriale che quindi non è uguale per tutti. Il DNA mitocondriale umano viene ereditato per via matrilineare (eredità non mendeliana) poiché durante il processo di fecondazione i mitocondri dello spermatozoo sono marcati con ubiquitina, una proteina che si lega ad altre proteine che devono essere degradate. Quindi il genoma mitocondriale della prole sarà quasi uguale a quello materno, fatte salve eventuali mutazioni, e se la madre è affetta da una malattia a trasmissione mitocondriale la erediteranno tutti i figli, mentre se ne è affetto il padre, non la erediterà nessuno. In letteratura sono riportati rarissimi casi in cui il DNA mitocondriale sembra derivare dal padre o da entrambi i genitori. Le funzioni del mitocondrio Il mitocondrio è in grado di svolgere molteplici funzioni. La più importante tra esse consiste nell'estrarre energia dai substrati organici che gli arrivano per produrre un gradiente ionico che viene sfruttato per produrre adenosintrifosfato (ATP). Gli altri processi in cui il mitocondrio interviene sono: l'apoptosi e la morte neuronale da tossicità da acido glutammico regolazione del ciclo cellulare regolazione dello stato redox della cellula sintesi dell'eme sintesi del colesterolo produzione di calore La β-ossidazione degli acidi grassi Il mitocondrio ha anche una funzione di deposito di ioni Ca2+ nella matrice mitocondriale. La produzione di energia È la funzione principale del mitocondrio e viene svolta trasformando due sostanze prodotte nel citosol: il piruvato, decarbossilato e trasformato in acetil-CoA, e gli acidi grassi, attivati in acil-CoA, che con la β-ossidazione producono anch'essi acetil-CoA. L'acetil-CoA entra nel ciclo di Krebs che genera coenzimi ridotti, 3 molecole di NADH ed una di FADH2, che vanno a consentire, ossidandosi, la fosforilazione ossidativa. Il ciclo di Krebs Le molecole di piruvato prodotte dalla glicolisi vengono trasportate all'interno della matrice mitocondriale dove vengono decarbossilate per formare gruppi acetili che vengono coniugati con il Coenzima A (CoA) per formare acetil-CoA. Il tutto viene catalizzato dalla piruvato deidrogenasi: un grosso complesso multienzimatico. Successivamente l'acetilCoA viene immesso nel ciclo di Krebs o ciclo degli acidi tricarbossilici o ciclo dell'acido citrico che permette di generare 3 molecole di NADH ed una di FADH2 secondo la seguente reazione generale: Acido ossalacetico + acetilCoA + 2 H2O + ADP + Pi + FAD + 3 NAD+ → Acido ossalacetico + 2 CO2 + CoA + ATP + 3 NADH + 3 H+ + FADH2 Tutti gli enzimi del ciclo di Krebs si trovano liberi nella matrice, fatta esclusione per il complesso della succinato deidrogenasi che è legata alla membrana mitocondriale interna nel versante N. Fosforilazione ossidativa: la catena di trasporto degli elettroni Vengono utilizzati sia il NADH che il FADH2 prodotti dalla β-ossidazione degli acidi grassi e dal ciclo di Krebs. Attraverso un complesso multienzimatico avente le funzioni di catena di trasporto gli elettroni vengono prelevati da NADH e FADH2 e, dopo una serie di passaggi intermedi, vengono ceduti all'ossigeno molecolare (O2) che viene ridotto ad acqua. Durante il trasferimento elettronico le varie proteine trasportatrici subiscono dei cambiamenti di conformazione che consentono di trasferire dei protoni dalla matrice allo spazio intermembrana contro un gradiente di concentrazione. Nel mitocondrio si possono isolare ben quattro complessi poliproteici responsabili del trasporto degli elettroni: Complesso I (NADH deidrogenasi) che contiene almeno 30 diversi polipeptidi, una flavoproteina e 9 centri ferro-zolfo e per ogni coppia di elettroni fatta passare vengono trasferiti tre o quattro protoni, Complesso II (Succinato deidrogenasi) che, oltre a catalizzare una reazione del ciclo di Krebs, consente il trasferimento di elettroni al FAD e all'ubichinone ma non permette il passaggio di protoni, Complesso III (Citocromo c riduttasi) che contiene circa 10 polipeptidi e gruppi eme e un centro ferro-zolfo, permette il passaggio di elettroni dall'ubichinone ridotto al citocromo c e per ogni coppia di elettroni trasferisce quattro protoni, Complesso IV (Citocromo c ossidasi) che contiene almeno 13 polipeptidi e permette il trasferimento di elettroni dal citocromo c all'ossigeno e anche lo spostamento dei protoni anche se non ne è ben chiaro il numero (forse quattro per ossigeno ridotto). Successivamente i protoni vengono rifatti passare attraverso la membrana interna, in un processo di diffusione facilitata, tramite l'enzima ATP sintetasi che ottiene così l'energia sufficiente per produrre molecole di ATP, trasferendo un gruppo fosfato a dell'ADP. Si è visto che una coppia di elettroni, prelevati da NADH, è in grado di rilasciare un quantitativo d'energia sufficiente a produrre tre molecole di ATP mentre con una coppia elettronica ottenuta dal FADH2 se ne ottengono due. Sia la glicolisi sia la fosforilazione ossidativa permettono di ottenere ben trentotto molecole di ATP per ogni molecola di glucosio utilizzata, anche se questo valore può anche variare a seconda del rapporto [ATP]/[ADP] intracellulare. L'importanza del trasferimento dei protoni attraverso la membrana mitocondriale interna nella sitesi di ATP, meccanismo definito chemioosmotico, venne individuata nel 1961 da Peter Mitchell che per questo ottenne il Premio Nobel per la chimica nel 1978. Nel 1997 a Paul Boyer e John Walker venne consegnato lo stesso premio per aver chiarito il meccanismo d'azione della ATP sintetasi. Il mitocondrio e l'apoptosi Il mitocondrio funziona da centrale d'integrazione degli stimoli apoptotici che possono essere di molteplice natura (caspasi, ceramide, vari tipi di chinasi, ganglioside GD3, ecc.) e sono in grado di determinare l'apertura di un complesso poliproteico chiamato poro di transizione mitocondriale (Permeability Transition Pore Complex, PTPC) localizzato in alcuni punti di contatto tra le due membrane mitocondriali. Quest'evento fa cadere la differenza di potenziale, per uscita dei protoni, e permette l'ingresso di molecole prima interdette all'ingresso. Come risultato finale, il mitocondrio si riempie di liquido e la membrana esterna scoppia liberando nel citoplasma fattori stimolanti l'apoptosi come AIF, (Apoptosis Inducing Factor) che è in grado di raggiungere il nucleo e di attivare una via indipendente dalle caspasi in grado di degradare il DNA, e il citocromo c che si lega alle proteine Apaf-1 (apoptotic protease activating factor) e caspasi 9 ed una molecola di ATP formando un complesso definito apoptosoma. La caspasi 9 presente diviene in grado di attivare altre caspasi che danno il via ad una cascata molecolare che si conclude con la degradazione del DNA a opera di fattori nucleari. Ai processi di alterazione della permeabilità del mitocondrio prendono parte anche i membri della famiglia di bcl-2, composta da almeno 16 proteine, che sono in grado di interagire con le membrane nucleari, mitocondriale esterna e del reticolo endoplasmatico grazie al loro dominio C-terminale. Questa famiglia contiene elementi sia antiapoptotici, come Bcl-2 e Bcl-xL, sia proapoptotici, come Bax, Bid, Bad, Bik, Bim, Bcl-XS, DIva. Questi membri possono unirsi formando omodimeri o eterodimeri che hanno attività sia proapoptotica (es: Bax/Bax) sia antiapoptotica (es: Bcl-2/Bcl-2, Bcl-xL/Bcl-2). L'evento chiave consiste nell'abbondanza dei fattori proapoptotici rispetto a quelli protettivi. Se questo evento avviene allora si formeranno dimeri in grado di alterare la permeabilità del mitocondrio. Il mitocondrio e la tossicità da glutammato L'eccessiva stimolazione del recettore per l'N-metil-D-aspartato (recettore NMDA), da parte del glutammato, è in grado di produrre un ingresso massivo di calcio che può causare la morte del neurone tramite diverse vie apoptotiche o per necrosi a seconda dell'intensità dello stimolo. Una di queste vie interessa anche il mitocondrio. In effetti il calcio in eccesso che affluisce va a sovraccaricare il mitocondrio determinando così perdita del suo potenziale di membrana e diminuzione della produzione di ATP per disaccoppiamento della fosforilazione ossidativa con la sintesi di ATP. Ciò fa sì che le pompe di membrana ATP dipendenti responsabili del mantenimento della depolarizzazione smettano di funzionare e ciò, in un circolo vizioso, aumenta l'ingresso di calcio. Inoltre viene stimolata la produzione d'ossido nitrico che sembra possedere un'azione inibitoria sulla catena di trasporto mitocondriale. Il mitocondrio e lo stato ossidoriduttivo della cellula Durante la fosforilazione ossidativa può accadere che un solo elettrone vada a ridurre una molecola di O2 determinando la produzione d'un anione superossido (O2•), un radicale assai reattivo. Generalmente questo fenomeno viene evitato, tuttavia non è possibile evitarlo completamente. O2• può essere protonato a formare il radicale idroperossido (HO2•) che può reagire, a sua volta, con un altro anione superossido per produrre perossido di idrogeno (H2O2) secondo la seguente reazione: 2 HO2• → O2 + H2O2 La sintesi di radicali liberi è anche un processo che, se opportunamente controllato, può essere una valida arma contro determinati microorganismi. Infatti durante l'infiammazione i leucociti polimorfonucleati sono soggetti aduna produzione massiva di questi radicali per attivazione dell'enzima NADPH ossidasi. Per far fronte alla presenza di radicali liberi, che potrebbero comportare dei gravi danni, la cellula deve utilizzare degli specifici sistemi atti alla loro eliminazione: la catalasi che è un enzima che catalizza la reazione di eliminazione del perossido di idrogeno (2 H2O2 → O2 + 2 H2O), il glutatione (GSH) che determina l'eliminazione dei radicali liberi sfruttando il gruppo sulfidrile nella sua forma ridotta (H2O2 + 2 GSH → GSSG (omodimero di glutatione) + 2 H2O, 2 OH• + 2 GSH → GSSG + 2 H2O), vari antiossidanti quali l'acido ascorbico e le vitamine A ed E, il gruppo delle superossido dismutasi. La sintesi dell'eme La sintesi delle porfirine è un processo enzimatico altamente conservato che nell'uomo determina la sintesi del gruppo eme mentre in altri organismi serve anche a produrre composti strutturalmente simili, come la cobalamina, le clorine e le batterioclorine. All'interno del mitocondrio avviene una parte delle reazioni che portano alla sintesi dell'eme che poi viene portato fuori nel citoplasma dove viene coniugato con le catene polipeptidiche. La prima tappa di questo processo consiste nella condensazione, catalizzata dalla acido d-aminolevulinico sintetasi, della glicina con il succinil-CoA che porta alla formazione di acido 5-aminolevulinico che poi esce dal mitocondrio. Successivamente due molecole di acido d-aminolevulinico si condensano, per azione della acido d-aminolevulinico deidratasi, a formare il porfobilinogeno. Poi quattro molecole di profobilinogeno si condensano per formare un tetrapirrolo lineare, per opera della porfobilinogeno deaminasi. Il tetrapirrolo ciclizza formando uroporfirinogeno III che dopo viene trasformato in coproporfirinogeno III, dalla uroporfirinogeno III decarbossilasi, che rientra nel mitocondrio. Successivamente, ad opera della coproporfirinogeno III ossidasi, viene sintetizzato il protoporfirinogeno IX che, dalla protoporfirinogeno IX ossidasi viene trasformato in protoporfirina IX cui, dalla ferrochelatasi viene aggiunto Fe2+ per formare il gruppo eme. La sintesi del colesterolo La sintesi del colesterolo avviene a livello del citoplasma cellulare e che parte con l'acetilCoA il quale viene prodotto a livello mitocondriale durante il ciclo di Krebs. La produzione di calore Alcuni composti come il 2,4-dinitrofenolo od il carbonilcianuro-p-fluorometossifenildrazone sono in grado di creare un disaccoppiamento tra il gradiente protonico e la sintesi di ATP. Ciò avviene in quanto hanno la capacità di trasportare essi stessi i protoni attraverso la membrana mitocondriale interna. Il disaccoppiamento creatosi aumenta il consumo di ossigeno e la velocità con cui il NADH si ossida. Questi composti hanno permesso di indagare meglio sulla fosforilazione ossidativa e hanno anche permesso di capire che il fenomeno del disaccoppiamento ha la funzione di produrre calore, in diverse condizioni, al fine di mantenere costante la temperatura corporea: in animali in letargo, cuccioli appena nati, tra cui anche l'uomo, e in mammiferi che si sono adattati ai climi freddi. Il disaccoppiamento avviene in un tessuto specializzato: il tessuto adiposo bruno che è ricco di una proteina disaccoppiante chiamata termogenina, formata da due subunità con massa complessiva di 33 Kd, che ha la capacità di formare una via in cui i protoni possono transitare per entrare nella matrice mitocondriale producendo di calore. Questo fenomeno è attivato dalla presenza di acidi grassi che vengono liberati, in risposta a segnali ormonali, dai trigliceridi cui si trovano attaccati. Analisi del DNA mitocondriale Vista la matrilinearità dell'ereditarietà del genoma mitocondriale, i genetisti e gli antropologi hanno utilizzato il DNA del mitocondrio in studi di genetica delle popolazioni e d'evoluzionistica. Esso viene anche impiegato nel campo delle scienze forensi, specialmente in casi in cui il materiale biologico sia molto degradato. L'analisi del DNA del mitocondrio permette di far luce sui gradi di parentela, sulle migrazioni e discendenze delle popolazioni e può essere usato anche per dirimere casi di determinazione del sesso. Le principali metodiche utilizzate nello studio del DNA mitocondriale sono: il southern blot dopo un taglio effettuato tramite enzimi di restrizione, la marcatura terminale, che rispetto al Southern Blot consente di visualizzare frammenti di DNA molto corti che altrimenti sfuggirebbero, la reazione a catena della polimerasi (PCR, Polymerase Chain Reaction), che consente di amplificare anche pochissime sequenze di DNA. L'origine del mitocondrio: la teoria endosimbiontica Come si è visto precedentemente, il mitocondrio presenta alcune caratteristiche tipiche dei batteri: presenza di molecole di cardiolipina e assenza di colesterolo nella membrana interna, la presenza di un DNA circolare a doppia elica e la presenza di ribosomi propri e di una doppia membrana. Come i batteri, i mitocondri non hanno istoni e i loro ribosomi sono sensibili ad alcuni antibiotici come il cloramfenicolo. In più i mitocondri sono organelli semiautonomi in quanto hanno la capacità di dividersi per scissione binaria, così tutti i mitocondri di una singola cellula eucariotica sono prodotti per divisione di mitocondri preesistenti; tuttavia la duplicazione dei mitocondri, e parzialmente l'espressione dei loro geni, sono controllate e regolate dal genoma nucleare. Stante queste similitudini, la teoria endosimbiotica afferma che i mitocondri deriverebbero da ancestrali batteri, dotati di metabolismo ossidativo, che sarebbero stati inglobati dalle cellule proto-eucariote probabilmente ancora anaerobie e capaci di effettuare fagocitosi. Il procariota inglobato avrebbe fornito alla cellula ospite dei vantaggi grazie alle proprie capacità metaboliche, guadagnando in cambio protezione. Successivamente i batteri avrebbero trasferito gran parte del loro materiale genetico a quello cellulare, divenendo così mitocondri. Nel 2010 una ricerca sulle origini delle cellule eucariotiche comparsa su Nature ha chiarito ulteriormente perché i mitocondri sono stati fondamentali per l'evoluzione della vita complessa. La chiave sarebbe racchiusa nel fatto che le cellule eucariotiche devono sintetizzare molte più proteine delle cellule procariote (i batteri), e possono farlo solo grazie ai mitocondri, cellule simbiontiche ottimizzate per produrre molta energia e consumarne pochissima. È stato calcolato che questo dà un vantaggio energetico alle cellule eucariote da 3 a 4 ordini di grandezza in più. Un recente studio dell'Università delle Hawaii a Manoma e di quella dell'Oregon ha permesso di individuare il batterio marino moderno che ha un antenato in comune con il batterio da cui discendono i mitocondri, ovvero il clade SAR11. I mitocondri avrebbero originato altri organelli come i mitosomi. Note Voci correlate Alterazione dell'omeostasi del calcio Miopatia mitocondriale Importazione delle proteine nel mitocondrio Altri progetti Collegamenti esterni Organelli
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Mariano Comense
Mariano Comense (semplicemente Mariano fino al 1862; Mariàn in dialetto brianzolo, AFI: ) è un comune italiano di abitanti della provincia di Como in Lombardia. Importante centro industriale brianzolo, ha una superficie territoriale con un'altimetria che varia dai 252 m s.l.m. ai 331 m s.l.m. Geografia fisica Mariano si trova in una posizione strategica, al limite tra l'alta pianura e la collina Comasca, tra il torrente Seveso e il fiume Lambro, a metà strada tra Como e Monza e nella parte settentrionale della Brianza. La città è attraversata da numerosi torrenti (il principale dei quali è il Torrente Terrò), che tuttavia, a causa della siccità e dello sfruttamento sempre più intensivo delle falde acquifere da parte degli acquedotti della zona, sono andati con il tempo in secca per un lungo tratto. Nel territorio comunale sono presenti tre laghi tutti creati artificialmente: i primi due si trovano su uno dei colli di Mariano e risalgono alla fine del 1800, creati per contenere le acque utilizzate per l'irrigazione dei campi dalle cascine Belvedere e Mordina, e da quest'ultima prendono il nome. Questi due laghi fanno parte del Parco della Brughiera Briantea: il più piccolo, ricchissimo di flora e fauna, è una delle riserve più ricche del territorio Comasco-Brianzolo; il più grande è percorso da una passeggiata sulle sue sponde ed è ammessa la pesca. Il terzo lago si trova nel parco dei Vivai. Nel territorio boschivo tra Lentate, Novedrate, Meda, Seveso, Figino e Mariano sono presenti molte altre pozze d'acqua: la Zoca dei Pirütit, il Lago Azzurro e il Laghetto dell'Imperatore. La geologia del sottosuolo è di tipo fluvioglaciale recente con pietre e detriti alluvionali; verso nord invece presenta un terrazzamento argilloso-ferritico che in passato e nell'epoca romana ha fornito argilla per vasellame e laterizi. La vegetazione tipica della zona è la brughiera in concomitanza al bosco di latifoglie, che però è praticamente scomparsa in quanto rimpiazzata, a partire dalla fine dell'Ottocento, da piante non endemiche come l'acacia. Origini del nome Sulle origini del nome "Mariano" sono state formulate diverse teorie: una prima è che derivi dal console romano Manlio Teodoro, che ha vissuto nella città; un'altra è che sia una latinizzazione dei toponimi liguri Marra o Marna, con il significato di terra ricca d’acqua o terra di confine. Altra ipotesi ancora è che discenda dalla radice "MAR", che in celtico significa palude. È ormai accertato che, prima di essere abitata, l’area di Mariano era una palude. Nel Medioevo, comunque, il comune era già chiamato Mariano. "Comense" è stato aggiunto nel 1863, dopo l'Unità, per differenziarla dagli omonimi nel resto d'Italia. Storia Dalle origini all'Impero Romano I primi abitanti di Mariano molto probabilmente, anche se le prove sono esigue, furono uomini del paleolitico, fatto testimoniato dai rari ritrovamenti effettuati da un ricercatore locale, Renato Bellotti, che ha rinvenuto a nord della città frammenti di selce, alcune accette, punte di freccia e un lisciatoio in pietra levigata riconducibili all'VIII millennio a.C. Successivamente si hanno tracce sporadiche di ritrovamenti risalenti all'età del rame e a quella del ferro che, correlati con quelli delle località vicine, permettono di ipotizzare una costante presenza umana nella zona. La città incominciò a suscitare interesse quando diversi gruppi di coloni si installarono nella zona, molto probabilmente perché fertile e riparata. I primi interventi effettuati dai coloni sono stati quelli di centuriazione e sono in parte visibili ancora oggi; in seguito venne edificato un villaggio le cui tracce sono state trovate, sotto forma di mura perimetrali, in località Fontanone nel 1990, grazie alla costante attenzione di Bellotti che informò prontamente la sovraintendenza di Como. Lo scavo, condotto dall'associazione Unarlo di M. Marcias con la collaborazione di Paul Blockley della dottoressa Silvana Mauri, portò alla luce diversi muri di fondazione di edifici e numerosi ciottoli e vasi risalenti alla prima metà del I secolo a.C. Sempre a quel periodo si fa risalire la necropoli di via Tommaso Grossi, una delle più grandi della Lombardia e forse uno dei più importanti ritrovamenti archeologici della zona, scoperta nel maggio del 1977 dai signori Alessandro e Mario Secchi in seguito a uno scavo stradale sotto la loro abitazione; essi, alla comparsa di una cassetta quadrangolare di terracotta, fermarono il manovratore della scavatrice e rinvennero nella stessa uno specchio d'argento e vari vasetti in vetro assieme alle ceneri del defunto. Resisi conto dell'importanza del ritrovamento informarono immediatamente la sovraintendenza archeologica della Regione Lombardia che, con due campagne di scavo, una nel 1977 e una nel 1978, rinvenne un numero complessivo di 130 tombe. Il sito rimase sotto osservazione e nel 1996, in seguito ad alcuni sondaggi, vennero rinvenute altre cinque sepolture. Successivamente, nel 1997, in seguito alla demolizione del capannone della ditta Giussani, vennero rinvenute 34 sepolture e, infine, nell'ultima campagna effettuata nel 1998, si concluse il lavoro di scavo con il rinvenimento di altre 54 sepolture e, a circa due metri di profondità, di un tratto intatto di strada lastricata con dei sassi bianchi rotondeggianti. Il numero complessivo delle sepolture ammonta a 220 e la grandissima quantità di oggetti rinvenuti ci restituisce un'immagine molto fiorente della Mariano del tempo, popolata da gente della fascia borghese e nobile e centro di importanti commerci e scambi. In questa cittadina, inoltre, visse per molti anni Manlio Teodoro, importante consigliere dell'imperatore Teodosio I ma soprattutto console nell'anno 399, a cui oggi è dedicata la piazza centrale, dove trova ubicazione il municipio. I Romani, infatti, si insediarono a Mariano Comense nel secondo secolo dell'era cristiana, in una comunità di origine ligure-celtica dedita ad artigianato, agricoltura e allevamento. A prova di ciò, sono state rinvenute tracce di una necropoli romana nei pressi di Via Grandi e ben centoundici tombe risalenti al I secolo a.C., in ottimo stato di conservazione, lungo il corso della Roggia Borromea. L'alto Medioevo La diffusione del cristianesimo, invece, avvenne solamente nel V secolo. Infatti, nel 386, Agostino d'Ippona, in un suo scritto, non accennò alla presenza di cristiani nei dintorni di Cassago Brianza, dove egli si trovava in quel momento. Tuttavia, nell'alto Medioevo, la diocesi di Milano venne suddivisa in 14 plebanie, tra le quali troviamo anche quella di Mariano, comprendente anche Cabiate, Carugo, Brenna, Arosio, Olgelasca, Inverigo, Gattedo, Paina e Bigoncio. Alla fine dell'età romana, dopo le invasioni barbariche, la storia del borgo si sviluppa attraverso l'età longobarda e franco-carolingia (VI secolo – X secolo), evolvendo la sua importanza fino ad arrivare a essere, nell'XI secolo, una delle più ricche pievi di tutta la Lombardia. Al VII secolo risale una pergamena in cui la zona viene identificata con la dicitura fundus Marlianus. Il basso Medioevo Nel basso Medioevo, la città era molto importante sia dal punto di vista religioso (contava ben ventiquattro chiese in tutta la pieve), sia da quello politico e civile. Non per altro il borgo di Mariano, circondato da un profondo fossato, possedeva anche un castello, oggi distrutto, ed era a capo di una pieve dello Stato milanese. Inoltre, in epoca comunale, le città di Mariano e di Cantù furono alleate di Milano dapprima nella guerra contro Como (1118-1127) - durante la quale la città venne saccheggiata dai comaschi ma anche attaccata dai milanesi, a causa di un cambio di parte - e poi nella guerra contro l'imperatore Federico Barbarossa condotta dalla Lega Lombarda. In questo periodo, grazie alla nascita di un importante mercato, il borgo conosce anche un periodo di fioritura economica. Nel 1460 Francesco Sforza concesse ai marianesi la facoltà di tenere un mercato ogni mercoledì. A partire dai secoli XIV e XV il borgo seguì le vicende del Ducato di Milano. Dopo essere stato un possedimento visconteo fino al 1447, nel 1450 Mariano e la sua pieve furono affidati alla famiglia Marliani, fino a quando, nel 1476, il Duca di Milano Galeazzo Maria Sforza infeudò il territorio marianese alla favorita Lucia Marliani, che in seguito lo fece ereditare ai suoi figli. Nel XVI secolo ci fu dapprima una breve parentesi in cui la giurisdizione della pieve di Mariano passò nelle mani dei Giussani (1538), mentre il borgo finì in quelle dei Tolentino e dei Taverna. Si deve proprio a un Taverna (Francesco) la concessione, da parte di Carlo V d'Asburgo, di riprendere il mercato del mercoledì a partire dal 1543, dopo che lo stesso era stato sospeso a seguito a un periodo di stallo economico. Verso la fine dello stesso secolo, prima la pieve (1590) e poi anche il paese (1596) tornarono a costituire un feudo dei Marliani, che vi esercitarono i loro benefici feudali sul territorio marianese fin'oltre la fine del XVIII secolo. Durante il periodo della dominazione spagnola sul Ducato milanese, uno dei membri della famiglia Marliani, Giovanni, diventò ambasciatore del Re Filippo II di Spagna; tuttavia, in questo periodo la vita fu resa molto difficile dal malgoverno e da due epidemie di peste che uccisero moltissime persone, alla cui memoria sono stati eretti un lazzaretto ancora esistente e una croce in Piazza Roma. Inoltre, secondo il cronista trecentesco Galvano Fiamma, i Visconti, sovrani di Milano per un lungo periodo, trassero origine proprio da Mariano. Dalla Lombardia austriaca al Regno Lombardo-Veneto Durante la dominazione austriaca, Mariano conobbe un periodo decisamente migliore, grazie a una serie di riforme che si rivelarono utili al paese, che divenne uno dei borghi principali del milanese, superiore anche a Cantù. Da un punto di vista amministrativo, nel 1751 il comune di Mariano includeva anche i cassinaggi di Contina, Malpensata, Mordina, Mascellina, "Rogorina Sormani", Colombara, "Rogorina Ronzoni", Belvedere, "Castel Marino", Moriggiotto, Mosciellina, "De Pedroli", Pallazzetta, "Comun Borromeo" con Porada, "Comun Marliani con Sant’Alessandro e Catabrega, "Comun Casati e Consorti" con Sant’Alessandro, "Del Moiolo", "Della Vignazza" e del Cantalupo. Il "Comun Borromeo", il "Comun Marliani" e il "Comun Casati e Consorti" costituivano tre "comunetti" dotati di proprio console e di proprio cancelliere. Tra il 1755 e il 1757 il comune di Mariano vide allargarsi ulteriormente i suoi confini per via dell'annessione della Cassina del Perticato. Nel 1774 divenne sede di pretura e nel 1775 di cancellierato per volere dell'imperatore Giuseppe II. La giurisdizione della pretura si estendeva non solo alla pieve di Mariano ma anche alla Squadra di Nibionno e alle pievi di Agliate, Galliano, Incino e Seveso. L'amministrazione della giustizia, però, venne irrigidita tanto che Mariano divenne tristemente nota, insieme a Seregno, Meda e Paina, per il banditismo. In questo periodo, vennero edificate numerose ville signorili, tuttora esistenti. Con l'instaurarsi della Repubblica Cisalpina, Mariano fu confermata centro di pretoria con giurisdizione su una cinquantina di comuni nonché capoluogo del Circondario II del Dipartimento del Lavoro. Un decreto di riorganizzazione amministrativa del Regno d'Italia napoleonico datato 1807 sancì l'annessione, da parte di Mariano, del comune di Cabiate. La decisione fu tuttavia cancellata dalla Restaurazione del 1815, in seguito alla quale Mariano fu inserita nel Regno Lombardo-Veneto. In questo periodo Mariano cessò di essere centro pretorile, ma non perse d'importanza poiché venne edificata, in Piazza Roma, una caserma, sede di una guarnigione militare austriaca. Fino al 1829 fu anche sede dell'Imperiale Regio Commissario del Distretto XXVI, che venne in seguito trasferito a Cantù. Nel 1835, il comune era formato da case coloniali e civili divise in cinque contrade. Il Risorgimento La partecipazione dei marianesi ai moti risorgimentali fu molto notevole: nel 1848 a Mariano si costituì una Guardia Nazionale Repubblicana, nel 1859 Giuseppe Garibaldi, di ritorno dalla vittoriosa battaglia di S. Fermo contro gli austriaci, sostò nel comune e tenne un discorso dal balcone della ex caserma in Piazza Roma, tra l'entusiasmo dei marianesi. Dopo l'Unità d'Italia, la città seguì le vicende nazionali. Le due guerre mondiali Nella prima guerra mondiale, i caduti marianesi sul Carso furono 127, ricordati in Viale Rimembranze da altrettanti alberi. Mariano è stata amministrata per anni da Filippo Meda, fervente antifascista che divenne Parlamentare e Ministro per il Partito Popolare Italiano. Durante la Seconda guerra mondiale, Mariano fu duramente colpita dai bombardamenti alleati all'inizio del conflitto, che distrussero parecchie fabbriche, la linea C80 del tram Seregno-Cantù, qualche decina di case e uccisero diversi cittadini. Il 24 aprile 1945, invece, un gruppo di partigiani marianesi appartenenti al movimento Giustizia e Libertà partecipò a uno scontro a fuoco contro le SS in ritirata a seguito del crollo del fronte, provenienti da Meda e dal cortile della scuola elementare cittadina, conclusosi con la resa dei tedeschi, mentre il giorno successivo i soldati inglesi entravano in città accolti festosamente dai cittadini nell'ospedale locale. Va d'altra parte ricordata l'uccisione di alcuni cittadini, accusati di essere fascisti, da parte del succitato movimento partigiano Giustizia e Libertà. Il 2 settembre 1945 si svolse, nei boschi tra Mariano Comense e Lentate sul Seveso, la prima Festa de l'Unità d'Italia, che vide la partecipazione di 500.000 persone e dei più importanti esponenti del partito, fra cui Giorgio Amendola, Emilio Sereni, Cino Moscatelli, Giancarlo Pajetta e Luigi Longo. Titolazione a città A Mariano Comense fu concesso il titolo di città il 29 febbraio 1996 e adottò come stemma comunale quello antico dei Marliani. Simboli Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica del 10 luglio 1962. Lo stemma deriva dall'emblema degli Sforza della signoria di Cislago: d'azzurro, al leone d'oro, tenente fra le zampe anteriori un ramo di cotogno dello stesso. Il gonfalone, concesso con D.P.R. del 29 febbraio 1996 in occasione del conferimento del titolo di Città, è un drappo partito di giallo e di azzurro. In precedenza il Comune aveva in uso un gonfalone di azzurro, concesso nel 1962. Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose Chiesa prepositurale plebana di Santo Stefano Protomartire Eretta prima dell'anno Mille, la pianta principale vedeva presenti una sola navata, il coro e una sola porta d'accesso. Nel 1570, Carlo Borromeo invita i cittadini ad ampliarla; si arriva così, nel 1583, data di conclusione dei lavori, ad avere tre navate divise da dieci colonne. Lavori successivi portano la chiesa all'aspetto attuale. Il campanile, il cui basamento conserva le uniche tracce dell'originaria chiesa romanica,è la torre del castello dei Marliani; la porta in mattoni è stata aggiunta su consiglio di Federico Borromeo. Nel 1936, in occasione dell'anniversario del trentesimo anno dall'ingresso di monsignor Gerolamo Colombo, parroco dal 1943, viene innalzata la cuspide. Il portale è sormontato da un arco, al cui interno è posto un mosaico raffigurante il martirio di Santo Stefano, restaurato il 23 giugno 1984. Nel XIII secolo, svolse il ruolo di plebana di ventiquattro chiese, ma già dal 1068 poteva fregiarsi del titolo di collegiata, dotata di un capitolo di otto canonici. Dal 1998 al 1º novembre 2009 è stata retta dal prevosto e decano monsignor Giovanni Montorfano, succeduto al prevosto don Giuseppe Tagliabue, che resse la parrocchia per 31 anni. Dal 2009, il prevosto è don Luigi Redaelli. Dal 1º novembre 2009 le tre Parrocchie di Mariano Comense sono guidate da un unico Pastore, il Prevosto don Luigi Redaelli. Il nuovo Prevosto ha il compito di riunire in una grande Comunità Pastorale di circa 24.000 abitanti la Parrocchia Prepositurale di S. Stefano Protomartire, Sacro Cuore e Sant'Alessandro Martire, pur mantenendo l'identità delle singole istituzioni, secondo le nuove normative dell'Arcidiocesi di Milano. Battistero di San Giovanni Battista A lato della chiesa di Santo Stefano si trova il Battistero dedicato a San Giovanni Battista, costruzione che richiama alcuni elementi stilistici dell'omonima architettura presente nel complesso monumentale di Galliano. Monumento Nazionale dal 1912, il Battistero di San Giovanni Battista di Mariano Comense è una costruzione quadrangolare in stile romanico con cupola ottagonale, risalente al periodo intorno all'anno Mille, più precisamente verso la fine del XI secolo. Il battistero venne ricostruito in seguito a una pressoché totale distruzione degli edifici preesistenti, tagliando alcune tombe presenti sull'area. La porta, originariamente a ovest, viene fatta spostare a est da Federico Borromeo, riparata da un portichetto che reca la seguente incisione: Entrando, ai lati della porta, sono presenti due colonne sormontate da due capitelli. Quello di sinistra è in marmo paglierino e presenta rilievi pronunciati raffiguranti grappoli sugli spigoli e un volto ovale al centro; quello di destra è in calcare bianco, istoriato sulla parte anteriore con motivi che richiamano l'arte romanica. La cupola ottagonale non nasce con la struttura del pavimento, ma da speciali strutture che trasformano un sottostante quadrato in ottagono. Nel corso del Novecento, alcuni lavori dell'altare riportano alla luce una capsella databile al V secolo, piccolo oggetto in legno ricoperto da alcune piastre in argento sulle quali sono riportate alcune figure. La capsella si trovava all'interno di un piccolo reliquiario in pietra. Il 23 novembre 1999 si decide di restaurare il Battistero. Gli scavi archeologici portano alla luce una vasca battesimale a immersione, mentre l'inizio dei lavori di restauro rivelano una porta laterale di tramontana che collegava il Battistero con il cimitero a lato della chiesa, e che fu poi chiusa con l'ampliamento della parrocchiale. Il 23 dicembre 2000 il cardinale arcivescovo Carlo Maria Martini inaugura l'opera restaurata. Santuario di San Rocco La data di fondazione del Santuario di San Rocco è sconosciuta, ma esisteva già nel 1570. Utilizzato come lazzaretto durante le epidemie di peste e colera, nel 1788 la Regia Intendenza Politica di Milano lo trasforma in una scuola maschile, mentre quella femminile viene allestita nell'attiguo oratorio. In seguito alla Rivoluzione francese, viene venduto a Francesco e Luigi Villa, che lo destinano all'uso abitativo. Riscattato, il 16 luglio 1825 il prevosto Carlo Romanò lo ripristina al culto. La facciata e il campanile vengono ristrutturati nel 1928 dall'ingegner Francesco Arcelli. Sul lato del santuario che dà su via San Rocco c'è l'ossario di due condannati a morte il 24 settembre 1778. Chiesa parrocchiale del Sacro Cuore Progettata dall'architetto Mezzanotte, viene edificata negli anni cinquanta e sessanta durante l'espansione urbana ed è ubicata nella zona a sud della Ferrovia, su un terreno donato alla Parrocchia Santo Stefano dall'allora prevosto Giuseppe Bianchi. Il 3 agosto 1959, la prima pietra viene benedetta dall'arcivescovo di Milano Montini, poi Papa Paolo VI. Il 30 settembre 1982 viene elevata a parrocchia: il primo parroco, Franco Monti, entra il successivo 8 dicembre. A settembre 1988 viene posata la prima pietra per ampliare la chiesa, che viene terminata nel 1991. A dicembre 2000 cominciano i lavori per la costruzione del campanile, terminati il 18 marzo 2002 con l'installazione delle campane nella cella campanaria. Chiesa Parrocchiale di Sant'Alessandro La chiesa di Sant'Alessandro fu costruita nel 1900 nella frazione di Perticato. Nel 1925 il commerciante milanese di legname Carlo Spezia donò il terreno del Cimitero. L'anno seguente, venne elevata a parrocchia; il primo curato fece il suo ingresso il 26 ottobre 1926. Chiesa di San Francesco Fondata nel 1228 da Sant'Antonio da Padova come convento francescano, la struttura originale, d'impronta romanica, aveva tre navate, con abside circolare e senza campanile. Il primo campanile è stato costruito nel Seicento, ma è stato subito demolito perché minacciava la stabilità della chiesa stessa. In seguito, sul muro di facciata ne è stato eretto uno a vela con due campane ed è rimasta solo la navata principale, mentre quelle laterali sono state trasformate in otto cappelle. Nel 1600 viene rifatto il chiostro con colonne in pietra di Molera. Il 30 luglio 1795 il convento viene assoggettato a un'imposta per coprire le spese di guerra sostenute dall'esercito francese per liberare la Lombardia dal dominio austriaco. Non avendo i fondi sufficienti per pagare il contributo, Napoleone ordina la soppressione del convento nel 1799: la comunità di frati viene trasferita a Casale Maggiore e tutti gli arredi vengono acquistati dal conte Ignazio Besana, che distrugge un terzo del chiostro, più di metà della chiesa e nasconde il colonnato di ponente. Nel 2000 il campanile a vela è stato abbattuto durante i lavori di restauro, ma è stato riedificato in seguito a una denuncia ai Carabinieri. Alla fine del 2011, la chiesa è stata ristrutturata e riaperta al culto. Chiesetta di San Martino Costruita a Gattedo tra Mariano Comense e Carugo in mezzo agli edifici della cascina di San Martino, la chiesa risale al X-XI secolo ed è decorata da affreschi dell'XI-XII secolo sulla vita del santo. Pur trovandosi nel territorio di Mariano, dipende dalla parrocchia di Carugo. Architetture civili Nella facciata di un edificio in piazza Roma è possibile osservare alcuni elementi architettonici appartenuti al vecchio Broletto del XIII secolo. Sul territorio comunale sono state edificate molte ville signorili, alcune ristrutturate e riutilizzate dal comune e altre distrutte. Le principali sono: villa Sormani, già antica residenza dei Marliani, costruita nel 1712 e rimaneggiata nel 1844, recentemente ristrutturata; villa Porta Spinola, il cui giardino è stato trasformato in Parco pubblico e l'edificio in Casa di Riposo; villa Besana, già convento di San Francesco, la costruzione del quale risale al 1459; villa Passalacqua Trotti, risalente al 1857 e oggetto di ulteriori interventi nel 1892, dal 1895 sede degli uffici comunali. Società Evoluzione demografica Demografia pre-unitaria abitanti nel 1751 abitanti nel 1771 dopo l'annessione di Perticato abitanti nel 1790 abitanti nel 1799 abitanti nel 1805 abitanti nel 1809 dopo l'annessione di Cabiate abitanti nel 1853 abitanti nel 1859 Demografia post-unitaria Etnie e minoranze straniere Secondo i dati ISTAT al 31 dicembre 2010 la popolazione straniera residente era di persone, l'8,5% dei residenti totali. Le nazionalità rappresentate erano, in maggioranza: Istituzioni, enti e associazioni L'ospedale di Mariano Comense è il Felice Villa, che prende il nome da un benestante milanese che, alla sua morte nel 1898, destinò 200.000 lire del suo patrimonio alla città natale per la costruzione dell'ospedale. Nel 1901 nasce l'Ente Morale Felice Villa e viene nominato il primo consiglio d'amministrazione dell'ospedale: il presidente è Enrico Porta Spinola, i consiglieri Giovanna Besana, Francesco Brenna, Francesco Arcelli e Giacomo Albasini, mentre il segretario è Eraldo Tosetti. Dopo la prima guerra mondiale e con il Fascismo, l'ospedale viene consorziato con quello di Giussano e diventa infermeria. Dopo la liberazione, nell'aprile 1948 il consorzio viene sciolto grazie al Prefetto di Como, che accoglie la richiesta dei cittadini. Nel frattempo, viene indetta una raccolta fondi per ristrutturare e ampliare l'ospedale, che riapre rinnovato il 1º settembre 1952. Dalla fine degli anni novanta del 1900 non è più presente il reparto maternità e il pronto soccorso. Nel 2015, è un presidio polispecialistico dell'Ospedale Sant'Anna di Como, utilizzato come struttura per esami Asl, esami del sangue, visite specialistiche e centro diabetologia. Nelle vicinanze si trovano la croce bianca sezione di Mariano Comense, una base per atterraggio elicotteri e un centro per la salute mentale. Tra ottobre e novembre 2015 sono stati effettuati lavori di restauro che hanno comportato la chiusura dei reparti e il trasferimento di essi nel vicino ospedale di Cantù. Cultura Istruzione Biblioteche Mariano Comense ha una biblioteca comunale, sita in via Garibaldi, che fa parte del Sistema Bibliotecario della Brianza Comasca. I servizi offerti dalla biblioteca sono il prestito, la consultazione in sede, l'interprestito su area sistemica e provinciale, la sala ragazzi, l'emeroteca e la sezione di storia locale. Scuole La scuola più vecchia della città è situata in via Passalacqua Trotti. Edificata su un terreno della nobile casa D'Adda, Trotti e Passalacqua, è stata inaugurata il 10 maggio 1912; viene in seguito dedicata alla ricorrenza del 4 novembre e ospita le scuole elementari e medie come istituto comprensivo. Tra gli anni sessanta e settanta vengono progettati e realizzati i plessi per la scuola elementare e materna di via Sant'Ambrogio e via Parini; in seguito, viene edificata la scuola media Dante Alighieri. I due plessi di via Parini, da scuola materna ed elementare, sono stati poi convertiti, rispettivamente, in asilo nido e scuola materna, mentre la scuola media Dante Alighieri ospita anche parte della scuola elementare dell'istituto comprensivo IV Novembre. Nel territorio comunale sono presenti anche l'istituto tecnico commerciale Jean Monnet e l'istituto tecnico industriale statale Magistri Cumacini. Musica In città è presente "L'antico e premiato corpo musicale di Mariano Comense", fondato nel 1851 da alcuni militari austriaci e tuttora esistente. Questa scuola musicale, vincitrice di molti premi nazionali e internazionali, è riconosciuta come una delle migliori di tutta la Brianza. Geografia antropica Contrade di Mariano Comense In Mariano sono presenti cinque grandi contrade o rioni, che ogni anno si danno battaglia nel Palio delle contrade. I rioni che vi partecipano sono: Sant'Alessandro, Santo Stefano, San Rocco, San Maurizio e Sant'Ambrogio. Nell'Albo d'oro, la contrada di San Maurizio è in testa. L'ultima edizione, la XVI, svoltasi nel mese di settembre 2008, ha visto per la prima volta vincitrice la contrada di San Rocco. Economia Il comune è celebre specialmente per la lavorazione del legno, in cui sono impiegate oltre 1000 unità locali, con coesistenza di grandi complessi noti in tutta Italia e all'estero e di modeste fabbriche, anche a carattere artigianale. Accanto a queste aziende ne fioriscono numerose altre complementari, come tappezzerie, vetrerie, laboratori per la doratura e per l'intaglio del legno, e altre ancora nei settori tessile e dell'abbigliamento. Decine di persone sono impiegate anche nell'industria locale di imbottigliamento e bibite, che lavora per marchi nazionali quali Altromercato. Mariano cominciò a essere un vero centro industriale solo nel secondo dopoguerra, a seguito del cosiddetto boom economico. Prima degli anni sessanta l'economia cittadina si basava per lo più sulle coltivazioni di grano e mais. Infrastrutture e trasporti Dalla città passa la strada provinciale SP 32, che fugge da collegamento tra la ex strada statale 35 dei Giovi e la strada statale 36 del Lago di Como e dello Spluga. La stazione di Mariano Comense, posta lungo la ferrovia Milano-Asso, è servita da corse regionali e dalla linea suburbana S2 (Mariano Comense-Milano Rogoredo) operate da Trenord nell'ambito del contratto di servizio stipulato con la Regione Lombardia. Dal 1912 al 1952 il comune era inoltre servito dalla tranvia Monza–Meda–Cantù. Mariano è toccata dalle linee autobus C80 (ricopre in massima parte il percorso della tranvia sulla direttrice Cantù - Meda - Seregno - Monza), C81 Perticato-Mariano-Cantù e C82 Mariano-Novedrate-Cantù di ASF Autolinee; da due corse della linea C84 Lomazzo-Cantù (prolungamento Mariano scuole) di Ferrovie Nord Milano Autoservizi e dalla z221 Mariano - Carate B. - Macherio - Monza - Sesto S. Giovanni di Autoguidovie. Amministrazione Sport Calcio L'USD Mariano Calcio è la principale società calcistica di Mariano Comense. Pallacanestro Nella città di Mariano Comense è presente la società di pallacanestro Sant'Ambrogio Mariano, che conta una vasta serie di squadre e le categorie minori del minibasket. Impianti sportivi Sono presenti diversi impianti sportivi e palestre comunali. In particolare, si segnalano il Centro sportivo Città di Mariano in via Santa Caterina, dove è presente un campo da Calcio a 11 in erba e una pista di atletica, il Centro sportivo di via per Cabiate, dove è presente un campo da Calcio a 11 in erba sintetica, un campo in calcestre per gli allenamenti e una palestra per pallacanestro e pallavolo, il Pala San Rocco di via Kennedy, utilizzato prevalentemente per le partite casalinghe della Pallacanestro Mariano 2008 e il Palazzetto di Perticato (frazione di Mariano Comense), dove sono presenti sia la palestra per pallacanestro e pallavolo, sia una palestra per ulteriori attività ginniche. Sono poi presenti e dediti alle attività sportive gli impianti presso gli edifici scolastici. Note Bibliografia Altri progetti Collegamenti esterni
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Michel Piccoli
Biografia Nato in una famiglia di musicisti, con lontane origini ticinesi, da Marcelle Expert-Bezançon (1892-1990), pianista, e Henri Piccoli (1889-1975), violinista, esordì nel film Silenziosa minaccia (1945). Il film che lo fece conoscere al grande pubblico internazionale fu Il disprezzo (1963) di Jean-Luc Godard, cui seguirono, tra i titoli più noti, Il diario di una cameriera (1964), La calda preda (1966), Dillinger è morto (1969), La grande abbuffata (1973), Life Size (Grandezza naturale) (1974), Tre simpatiche carogne (1976), Salto nel vuoto (1979), La signora è di passaggio (1981), Passion (1982), L'armata ritorna (1983), Viva la vita (1984), La bella scontrosa (1991), Compagna di viaggio (1995), Genealogia di un crimine (1997), Libero Burro (1998), La Petite Lili (2003), Specchio magico (2005), Belle toujours e Giardini in autunno (2006), La duchessa di Langeais (2007), Habemus Papam (2011), per il quale l'anno successivo vinse David di Donatello e il Premio Vittorio Gassman per il miglior attore protagonista al Bif&st di Bari. Particolarmente importante il sodalizio con Marco Ferreri, che lo diresse in alcuni tra i suoi ruoli più celebri, come il protagonista di Dillinger è morto (1969), padre Amerin in L'udienza (1971) e uno dei quattro amici annoiati che si lasciano andare ai bagordi ne La grande abbuffata (1973). In coppia con Romy Schneider fornì una serie di eccellenti interpretazioni in numerosi film di successo nel corso degli anni '70: L'amante (1970), Il commissario Pelissier (1971) e Mado (1976) diretti da Claude Sautet, Trio infernale (1974) di Francis Girod e La signora è di passaggio (1982) di Jacques Rouffio. Nel 1997 debuttò nella regia con Alors voilà, cui seguirono nel 2001 La plage noire e nel 2005 C'est pas tout à fait la vie dont j'avais rêvé. Nel 2012 partecipò al film Holy Motors. Michel Piccoli è morto il 12 maggio 2020 a causa di un ictus cerebrale nella sua residenza di Saint-Philbert-sur-Risle a 94 anni, ma la famiglia ne ha comunicato il decesso solo alcuni giorni dopo. Vita privata Fu sposato in seconde nozze per undici anni con la cantante e attrice Juliette Gréco. Politicamente impegnato, espresse più volte il suo sostegno al Partito Socialista Francese, scagliandosi spesso contro il partito di estrema destra Front National. Nel marzo 2007 firmò insieme a 150 intellettuali un appello a votare per Ségolène Royal alle elezioni presidenziali. Filmografia Attore Silenziosa minaccia (Sortilèges), regia di Christian-Jaque (1945) Le point du jour, regia di Louis Daquin (1949) Il vendicatore folle (Le parfum de la dame en noir), regia di Louis Daquin (1949) Terreur en Oklahoma, regia di André Heinrich – mediometraggio (1951) Torticola contre Frankensberg, regia di Paul Paviot – mediometraggio (1952) Chicago Digest, regia di Paul Paviot – mediometraggio (1952) La santa guerriera Giovanna D'Arco, episodio di Destini di donne (Destinées), regia di Jean Delannoy (1954) French Cancan, regia di Jean Renoir (1954) Aggressione armata (Interdit de séjour), regia di Maurice de Canonge (1955) Tout chante autour de moi, regia di Pierre Gout (1955) Ernst Thälmann - Führer seiner Klasse, regia di Kurt Maetzig (1955) Les mauvaises rencontres, regia di Alexandre Astruc (1955) Maria Antonietta, regina di Francia (Marie-Antoinette reine de France), regia di Jean Delannoy (1956) La selva dei dannati (La mort en ce jardin), regia di Luis Buñuel (1956) Le vergini di Salem (Les sorcières de Salem), regia di Raymond Rouleau (1957) Nathalie, regia di Christian-Jaque (1957) Raffiche sulla città (Rafles sur la ville), regia di Pierre Chenal (1958) Les Copains du dimanche, regia di Henri Aisner (1958) Tabarin, regia di Richard Pottier (1958) La Venere tascabile (La bête à l'affût), regia di Pierre Chenal (1959) La dragée haute, regia di Jean Kerchner (1960) Schiave bianche (Le bal des espions), regia di Michel Clément e Umberto Scarpelli (1960) Les petits drames, regia di Paul Vecchiali (1961) La chevelure, regia di Adonis Kyrou (1961) Le vergini di Roma, regia di Carlo Ludovico Bragaglia e Vittorio Cottafavi (1961) L'appuntamento (Le rendez-vous), regia di Jean Delannoy (1961) Fumée, histoire et fantaisie, regia di Edouard Berne e François Villiers (1962) Desideri nel sole, regia di Jacques Rozier (1962) Sensi inquieti (Climats), regia di Stellio Lorenzi (1962) Lo spione (Le doulos), regia di Jean-Pierre Melville (1962) Il giorno e l'ora (Le jour et l'heure), regia di René Clément (1963) Il disprezzo (Le Mépris), regia di Jean-Luc Godard (1963) Paparazzi, regia di Jacques Rozier (1964) Il diario di una cameriera (Le journal d'une femme de chambre), regia di Luis Buñuel (1964) La fortuna si chiama Lucky, episodio di L'amore e la chance (La chance et l'amour), regia di Charles L. Bitsch (1964) La calda pelle (De l'amour), regia di Jean Aurel (1964) Café Tabac, regia di Claude Guillemot (1965) 50.000 sterline per tradire (Masquerade), regia di Basil Dearden (1965) La coup de grâce, regia di Jean Cayrol e Claude Durand (1965) Vagone letto per assassini (Compartiment tueurs), regia di Costa-Gavras (1965) Lady L, regia di Peter Ustinov (1965) La guerra è finita, regia di Alain Resnais (1965) Marie Soleil, regia di Antoine Bourseiller (1966) Les ruses du diable, regia di Paul Vecchiali (1966) La calda preda (La curée), regia di Roger Vadim (1966) La voleuse, regia di Jean Chapot (1966) Le creature (Les créatures), regia di Agnès Varda (1966) Parigi brucia? (Paris brûle-t-il?), regia di René Clément (1966) Mon amour, mon amour, regia di Nadine Trintignant (1967) Josephine (Les Demoiselles de Rochefort), regia di Jacques Demy e Agnès Varda (1967) Il 13º uomo (Un homme de trop), regia di Costa-Gavras (1967) Bella di giorno (Belle de jour), regia di Luis Buñuel (1967) Benjamin ovvero le avventure di un adolescente (Benjamin), regia di Michel Deville (1968) La Chamade, regia di Alain Cavalier (1968) Diabolik, regia di Mario Bava (1968) La via lattea (La Voie lactée), regia di Luis Buñuel (1968) Dillinger è morto, regia di Marco Ferreri (1969) L'invitata, regia di Vittorio De Seta (1969) Topaz, regia di Alfred Hitchcock (1969) L'amante (Les Choses de la vie), regia di Claude Sautet (1970) L'invasione (L'Invasion), regia di Yves Allégret (1970) L'udienza, regia di Marco Ferreri (1971) Il commissario Pelissier (Max et les ferrailleurs), regia di Claude Sautet (1971) Darsela a gambe (La Poudre d'escampette) di Philippe de Broca (1971) Dieci incredibili giorni (La Décade prodigieuse), regia di Claude Chabrol (1971) La cagna, regia di Marco Ferreri (1971) Il fascino discreto della borghesia (Le charme discret de la bourgeoisie), regia di Luis Buñuel (1972) L'attentato (L'Attentat), regia di Yves Boisset (1972) La femme en bleu, regia di Michel Deville (1973) Il mangiaguardie (Themroc), regia di Claude Faraldo (1973) L'amico di famiglia (Les noces rouges), regia di Claude Chabrol (1973) La grande abbuffata, regia di Marco Ferreri (1973) Le Far-West, regia di Jacques Brel (1973) E cominciò il viaggio nella vertigine, regia di Toni De Gregorio (1974) Non toccare la donna bianca, regia di Marco Ferreri (1974) Trio infernale (Le trio infernal), regia di Francis Girod (1974) Grandezza naturale (Life size), regia di Luis García Berlanga (1974) Il fantasma della libertà (Le Fantôme de la liberté), regia di Luis Buñuel (1974) Tre amici, le mogli e (affettuosamente) le altre (Vincent, François, Paul... et les autres), regia di Claude Sautet (1974) La smagliatura (La Faille), regia di Peter Fleischmann (1975) Léonor, regia di Juan Luis Buñuel (1975) I baroni della medicina (Sept morts sur ordonnance), regia di Jacques Rouffio (1975) L'ultima donna, regia di Marco Ferreri (1976) Todo modo, regia di Elio Petri (1976) Come è cambiata la nostra vita (F... comme Fairbanks), regia di Maurice Dugowson (1976) Mado, regia di Claude Sautet (1976) Tre simpatiche carogne (René la canne), regia di Francis Girod (1977) L'imprécateur, regia di Jean-Louis Bertucelli (1977) I miei vicini sono simpatici (Des enfants gâtés), regia di Bertrand Tavernier (1977) Strauberg ist da, regia di Mischa Gallé (1978) Giallo napoletano, regia di Sergio Corbucci (1978) Una donna due passioni (La part du feu), regia di Étienne Périer (1978) L'état sauvage, regia di Francis Girod (1978) L'amante proibita (La petite fille en velours bleu), regia di Alan Bridges (1978) Zucchero (Le sucre), regia di Jacques Rouffio (1978) Foto ricordo (Le divorcement), regia di Pierre Barouh (1979) Tre per un delitto (Le mors aux dents), regia di Laurent Heynemann (1979) Docteur Teyran (1980), regia di Jean Chapot - Serie TV Du crime considéré comme un des beaux-arts, regia di Frédéric Compain (1980) Salto nel vuoto, regia di Marco Bellocchio (1980) Il prezzo della vita (Der Preis fürs Überleben), regia di Hans Noever (1980) Atlantic City, U.S.A. (Atlantic City), regia di Louis Malle (1980) La fille prodigue, regia di Jacques Doillon (1981) Gioco in villa, regia di Pierre Granier-Deferre (1981) Alzati spia (Espion, lève-toi), regia di Yves Boisset (1982) La signora è di passaggio (La passante du Sans-Souci), regia di Jacques Rouffio (1982) Il mondo nuovo, regia di Ettore Scola (1982) Passion, regia di Jean-Luc Godard (1982) Oltre la porta, regia di Liliana Cavani (1982) Gli occhi, la bocca, regia di Marco Bellocchio (1982) Una camera in città, regia di Jacques Demy (1982) Que les gros salaires lèvent le doigt!, regia di Denys Granier-Deferre (1982) Il prezzo del pericolo (Le prix du danger), regia di Yves Boisset (1983) Il generale dell'armata morta, regia di Luciano Tovoli (1983) Mosse pericolose (La diagonale du fou), regia di Richard Dembo (1984) Viva la vita (Viva la vie!) regia di Claude Lelouch (1984) Il successo è la miglior vendetta (Success Is the Best Revenge), regia di Jerzy Skolimowski (1984) Pericolo nella dimora (Péril en la demeure), regia di Michel Deville (1985) Tornare per rivivere (Partir, revenir), regia di Claude Lelouch (1985) Adieu Bonaparte, regia di Yusuf Shahin (1985) Mon beau-frère a tué ma soeur, regia di Jacques Rouffio (1986) Le paltoquet, regia di Michel Deville (1986) Rosso sangue (Mauvais sang), regia di Leos Carax (1986) La puritana (La puritaine), regia di Jacques Doillon (1986) La rumba, regia di Roger Hanin (1987) Das Weite Land, regia di Luc Bondy (1987) L'homme voilé, regia di Maroun Bagdadi (1987) Voglia d'amare (Maladie d'amour), regia di Jacques Deray (1987) Come sono buoni i bianchi!, regia di Marco Ferreri (1988) Blanc de Chine, regia di Denys Granier-Deferre (1988) Cinéma 16 - serie TV, episodio La ruelle au clair de lune, regia di Édouard Molinaro (1988) Milou a maggio (Milou En Mai), regia di Louis Malle (1990) Le bateau de Lu, regia di Christine Citti (1991) La bella scontrosa (La belle noiseuse), regia di Jacques Rivette (1991) Marta ed io, regia di Jiří Weiss (1991) Il ladro di ragazzi (Le voleur d'enfants), regia di Christian de Chalonge (1991) Les équilibristes, regia di Nikos Papatakis (1992) Le bal des casse-pieds, regia di Yves Robert (1992) From Time to Time, regia di Jeff Blyth (1992) La vie crevée, regia di Guillaume Nicloux (1992) Archipel, regia di Pierre Granier-Deferre (1993) La cavale des fous, regia di Marco Pico (1993) Rupture(s), regia di Christine Citti (1993) Train de nuit, regia di Michel Piccoli (1994) L'emigrante (al-Mohager), regia di Yusuf Shahin (1994) Bête de scène, regia di Bernard Nissile (1994) L'angelo nero (L'ange noir), regia di Jean-Claude Brisseau (1994) Cento e una notte, regia di Agnès Varda (1995) Compagna di viaggio, regia di Peter Del Monte (1996) L'insolente (Beaumarchais, l'insolent), regia di Édouard Molinaro (1996) Party, regia di Manoel de Oliveira (1996) Tykho Moon, regia di Enki Bilal (1996) Genealogia di un crimine (Généalogies d'un crime), regia di Raúl Ruiz (1996) Passione nel deserto (Passion in the Desert), regia di Lavinia Currier (1997) Rien sur Robert, regia di Pascal Bonitzer (1999) Libero Burro, regia di Sergio Castellitto (1999) París Tombuctú, regia di Luis García Berlanga (1999) Actors (Les acteurs), regia di Bertrand Blier (2000) Tout va bien, on s'en va, regia di Claude Mouriéras (2000) Ritorno a casa (Je rentre à la maison), regia di Manoel de Oliveira (2001) Quel giorno (Ce jour-là), regia di Raúl Ruiz (2003) Un homme, un vrai, regia di Arnaud Larrieu e Jean-Marie Larrieu (2003) La Petite Lili, regia di Claude Miller (2003) Mal de mer, regia di Olivier Vinuesa (2004) Specchio magico (Espelho Mágico), regia di Manoel de Oliveira (2005) Giardini in autunno (Jardins en automne), regia di Otar Ioseliani (2006) Bella sempre (Belle toujours), regia di Manoel de Oliveira (2006) La duchessa di Langeais (Ne touchez pas la hache), regia di Jacques Rivette (2007) Rencontre unique, regia di Manoel de Oliveira, episodio del film Chacun son cinéma (2007) Boxes, regia di Jane Birkin (2007) Les toits de Paris, regia di Hiner Saleem (2007) De la guerre - Della guerra (De la guerre), regia di Bertrand Bonello (2008) La polvere del tempo (Trilogia II: I skoni tou hronou), regia di Theo Angelopoulos (2008) L'insurgée, regia di Laurent Perreau (2009) Un envol, regia di Simon Wallon (2009) Habemus Papam, regia di Nanni Moretti (2011) Holy Motors, regia di Leos Carax (2012) Le goût des myrtilles, regia di Thomas De Thier (2014) Regista Contre l'oubli, episodio "Pour Nasrin Rasooli, Iran" (1991) Train de nuit – cortometraggio (1994) Alors voilà (1997) La plage noire (2001) C'est pas tout à fait la vie dont j'avais rêvé (2005) Sceneggiatore Il generale dell'armata morta, regia di Luciano Tovoli (1983) Riconoscimenti Festival internazionale del film fantastico di Avoriaz1973 – Miglior attore per Il mangiaguardie Festival di Cannes1980 – Prix d'interprétation masculine per Salto nel vuoto Festival internazionale del cinema di Berlino1982 – Orso d'argento per il miglior attore per Gioco in villa Premio César1982 – Candidatura per il migliore attore per Gioco in villa1985 – Candidatura per il migliore attore per Mosse pericolose1991 – Candidatura per il migliore attore per Milou a maggio1992 – Candidatura per il migliore attore per La bella scontrosa Deutscher Filmpreis1988 – Miglior attore protagonista per Das weite Land1992 – Candidatura per il miglior attore protagonista per Marta ed io 7 d'Or Night1989 – Miglior attore per La ruelle au clair de lune Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia1990 – Ciak d'oro speciale per Marta ed io1997 – Premio Filmcritica "Bastone Bianco" per il miglior film per Alors voilà Golden Sacher Awards1996 – Miglior attore per Compagna di viaggio Shanghai International Film Festival1997 – Miglior attore per Compagna di viaggio 2001 - Premio Europa per il Teatro European Film Awards2001 – Candidatura per il miglior attore per Ritorno a casa2007 – Candidatura per il miglior attore per Bella sempre2011 – Premio speciale onorario2011 – Candidatura per il miglior attore per Habemus Papam Locarno Festival2007 – Pardo per la miglior interpretazione maschile per Les toits de Paris2007 – Excellence Award Love is Folly International Film Festival2010 – Miglior attore per Les toits de Paris Nastro d'argento2011 – Nastro d'argento europeo per Habemus Papam David di Donatello2012 – Miglior attore protagonista per Habemus Papam Bari International Film Festival2012 – Miglior attore per Habemus Papam Italian Online Movie Awards2012 – Candidatura per il miglior attore protagonista per Habemus Papam Premio Europa per il Teatro Nel 2001 fu insignito del IX Premio Europa per il Teatro, a Taormina, con la seguente motivazione: Michel Piccoli ha debuttato sotto il segno del teatro – il suo Don Giovanni è rimasto celebre -, per approdare soltanto in seguito “sull’altra riva”, il cinema, e poi finalmente rassegnarsi alla relatività di una traiettoria intermedia fra le due arti. Ma tra le due sponde s’intessono dialoghi. Piccoli seduce perché si colloca fra l’identità ben delineata dell’attore cinematografico e quella indefinita e duttile dell’attore teatrale. Quando, malgrado la sua fama cinematografica, registi teatrali del calibro di Bondy, Brook e Chéreau si sono rivolti a lui, lo hanno fatto senza dubbio in ragione di questa disponibilità, di questa apertura. Piccoli non era prigioniero di un’immagine, e apportava una presenza. Presenza disponibile, in grado di dar corpo alla prodigiosa varietà di ruoli che lo hanno condotto da Schnitzler a Checov e Pirandello, da Shakespeare a Koltès. L’attore cinematografico sapeva tirarsi indietro per lasciare spazio al suo doppio, l’interprete teatrale. Che cosa si ama di Piccoli? Il suo porsi come un artista che resiste nel tempo senza rimanere intrappolato in un’icona… egli assicura una certezza eppure, conserva una dimensione nascosta. La luminosità non scaccia l’ombra che puntualmente accompagna il fulgore dell’attore mitico che egli è. In nessun aspetto Piccoli mostra mai una sola dimensione. Michel Piccoli è una figura europea. In lui non si ravvisa la star internazionale che ignora le frontiere, ma l’artista aperto che si impegna a superarle. Cittadino libero, egli non vuole esserne prigioniero, la sua intera vita testimonia l’insopprimibile desiderio di oltrepassare i confini. Confini nazionali oltre che artistici. Michel Piccoli rifiuta l’indifferenza civile. Non ha mai praticato il disimpegno, anzi ha sempre preso una posizione, si è schierato. In lui coincidono sempre l’etica dell’attore e la morale civile. Se lo si erige a modello sarà sempre suo malgrado. Non ha niente dell’eroe che si mette in mostra. Piccoli, più di chiunque altro, ha saputo difendere la propria umanità. Un’umanità palpitante che continua ad alimentare le sue azioni e le sue parole. Michel Piccoli è un attore esemplare, responsabile di sé stesso come della propria arte.In quell'occasione propose, al teatro Massimo "Bellini" di Catania, lo spettacolo Piccoli- Pirandello, à partir des Géants de la montagne, interpretato con Emmanuelle Lafon. Doppiatori italiani Nelle versioni in italiano dei suoi film, Michel Piccoli è stato doppiato da: Pino Locchi in Nathalie, La calda pelle, La grande abbuffata, Non toccare la donna bianca, Tre simpatiche carogne, Oltre la porta Emilio Cigoli in L'amante, Il commissario Pelissier, L'attentato, I baroni della medicina Bruno Alessandro in Trio infernale, Rosso sangue, Cento e una notte, Passione nel deserto Roberto Villa in Bella di giorno, Topaz Giorgio Piazza in L'invitata, Tre amici, le mogli e (affettuosamente) le altre Sergio Graziani in Giallo napoletano, Il ladro di ragazzi Renato Turi in French Cancan, Lady L Vittorio Caprioli in Salto nel vuoto Cesare Barbetti ne Il disprezzo Carlo Romano in Lady L Giuseppe Rinaldi in La calda preda Luciano De Ambrosis in Parigi brucia? Gigi Proietti in Diabolik Carlo Reali ne La via lattea Renzo Montagnani in Dieci incredibili giorni Giulio Brogi in Gli occhi, la bocca Gianni Musy in Genealogia di un crimine Mario Valgoi in Il generale dell'armata morta Paolo Ferrari in La bella scontrosa Stefano De Sando in Giardini in autunno Walter Maestosi in Bella sempre Franco Zucca in La polvere del tempo Gianni Gaude in Holy Motors Da doppiatore è stato sostituito da: Sergio Fiorentini ne La profezie delle ranocchie Note Altri progetti Collegamenti esterni Italo-francesi David di Donatello per il miglior attore protagonista Prix d'interprétation masculine del Festival di Cannes Orso d'argento per il miglior attore Antifascisti francesi
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Massimo Serato
Biografia Si formò come attore presso il Centro sperimentale di cinematografia, vincendo un concorso alla Scalera Film con Anna Magnani, sua compagna anche nella vita per alcuni anni, dalla quale ebbe un figlio, Luca, che però non riconobbe. Dopo una prima esperienza cinematografica nel cortometraggio Appuntamento allo zoo (1937) di Franco Saponieri esordì sul grande schermo nel 1940 con L'ispettore Vargas diretto da Gianni Franciolini. Ebbe il ruolo di Franco nel Piccolo mondo antico (1941) di Mario Soldati e altri ruoli nei film Giacomo l'idealista (1943) e Sorelle Materassi (1944). Tra il 1944 e il 1945 recitò anche in alcuni spettacoli teatrali e partecipò alle prime riviste di Pietro Garinei e Sandro Giovannini. Nella stagione 1945-1946, prese parte alla rivista Venticello del Sud di Nelli e Mangini, accanto a Nino Taranto, e recitò in Il sole sorge ancora (1946), per il quale vinse il Nastro d'argento nel 1947 come migliore attore non protagonista, e Febbre di vivere (1953). L'ultima pellicola nella quale lavorò fu la commedia Fratelli d'Italia (1989). La sera del 21 dicembre 1989 venne ricoverato al Policlinico Umberto I di Roma per sottoporsi ad una serie di accertamenti, ma il giorno seguente morì a causa di un arresto cardiaco. Filmografia Cinema Inventiamo l'amore, regia di Camillo Mastrocinque (1938) Papà Lebonnard, regia di Marcello Albani (1939) L'ispettore Vargas, regia di Gianni Franciolini (1940) L'amore canta, regia di Ferdinando Maria Poggioli (1941) Due cuori sotto sequestro, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1941) Piccolo mondo antico, regia di Mario Soldati (1941) I sette peccati, regia di László Kish (1942) L'uomo venuto dal mare, regia di Belisario Randone e Roberto De Ribon (1942) Giacomo l'idealista, regia di Alberto Lattuada (1943) Sorelle Materassi, regia di Ferdinando Maria Poggioli (1944) Quartieri alti, regia di Mario Soldati (1945) Il mondo vuole così, regia di Giorgio Bianchi (1946) Il sole sorge ancora, regia di Aldo Vergano (1946) Rocambole, regia di Jacques de Baroncelli (1947) Sangue a Ca' Foscari, regia di Max Calandri (1947) La signora delle camelie, regia di Carmine Gallone (1947) Il principe ribelle, regia di Pino Mercanti (1947) La prigioniera dell'isola (La danse de mort), regia di Marcel Cravenne (1948) I cavalieri dalle maschere nere (I Beati Paoli), regia di Pino Mercanti (1948) I pirati di Capri, regia di Edgar G. Ulmer e Giuseppe Maria Scotese (1949) Monastero di Santa Chiara, regia di Mario Sequi (1949) Marechiaro, regia di Giorgio Ferroni (1949) Domenica d'agosto, regia di Luciano Emmer (1950) Il ladro di Venezia, regia di John Brahm (1950) La strada buia, regia di Marino Girolami e Sidney Salkow (1950) Il conte di Sant'Elmo, regia di Guido Brignone (1950) Senza bandiera, regia di Lionello De Felice (1951) Incantesimo tragico (Oliva), regia di Mario Sequi (1951) Amore e sangue, regia di Marino Girolami (1951) La figlia del diavolo, regia di Primo Zeglio (1952) Il boia di Lilla - La vita avventurosa di Milady, regia di Vittorio Cottafavi (1952) Il mercante di Venezia, regia di Pierre Billon (1952) Amore rosso - Marianna Sirca, regia di Aldo Vergano (1952) Lucrezia Borgia (Lucrèce Borgia), regia di Christian-Jaque (1953) William Tell, regia di Jack Cardiff (1953) Febbre di vivere, regia di Claudio Gora (1953) Gioventù alla sbarra, regia di Ferruccio Cerio (1953) I Piombi di Venezia, regia di Gian Paolo Callegari (1953) Pietà per chi cade, regia di Mario Costa (1954) L'amante di Paride, regia di Marc Allégret (1954) Le avventure di Cartouche, regia di Steve Sekely e Gianni Vernuccio (1955) Il piccolo vetraio, regia di Giorgio Capitani (1955) Il falco d'oro, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1955) Foglio di via, regia di Carlo Campogalliani (1955) La vedova X, regia di Lewis Milestone (1955) Maruzzella, regia di Luigi Capuano (1956) La trovatella di Milano, regia di Giorgio Capitani (1956) Tormento d'amore, regia di Claudio Gora (1956) Suprema confessione, regia di Sergio Corbucci (1956) Peppino, le modelle e... "chella llà", regia di Mario Mattoli (1957) Afrodite, dea dell'amore, regia di Mario Bonnard (1958) La maja desnuda (The Naked Maya), regia di Henry Koster (1958) Capitan Fuoco, regia di Carlo Campogalliani (1958) La spada e la croce, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1958) Il cavaliere del castello maledetto, regia di Mario Costa (1959) Il magistrato, regia di Luigi Zampa (1959) La scimitarra del Saraceno, regia di Piero Pierotti (1959) Ti aspetterò all'inferno, regia di Piero Regnoli (1960) David e Golia, regia di Ferdinando Baldi e Richard Pottier (1960) Gli amori di Ercole, regia di Carlo Ludovico Bragaglia (1960) Femmine di lusso, regia di Giorgio Bianchi (1960) La Venere dei pirati, regia di Mario Costa (1960) Costantino il Grande, regia di Lionello De Felice (1961) El Cid, regia di Anthony Mann (1961) Ponzio Pilato, regia di Irving Rapper e Gian Paolo Callegari (1961) Il colpo segreto di d'Artagnan, regia di Siro Marcellini (1962) Marte, dio della guerra, regia di Marcello Baldi (1962) L'invincibile cavaliere mascherato, regia di Umberto Lenzi (1963) Zorro contro Maciste, regia di Umberto Lenzi (1963) Goliath e la schiava ribelle, regia di Mario Caiano (1963) Ipnosi, regia di Eugenio Martín (1963) Brenno il nemico di Roma, regia di Giacomo Gentilomo (1963) Gli invincibili sette, regia di Alberto De Martino (1963) 55 giorni a Pechino (55 Days at Peking), regia di Nicholas Ray (1963) Maciste alla corte dello Zar, regia di Tanio Boccia (1964) Il leone di Tebe, regia di Giorgio Ferroni (1964) Il colosso di Roma, regia di Giorgio Ferroni (1964) La rivolta dei sette, regia di Alberto De Martino (1964) ...e la donna creò l'uomo, regia di Camillo Mastrocinque (1964) La Celestina P... R..., regia di Carlo Lizzani (1965) Superseven chiama Cairo, regia di Umberto Lenzi (1965) Il gladiatore che sfidò l'impero, regia di Domenico Paolella (1965) La decima vittima, regia di Elio Petri (1965) I criminali della galassia, regia diAntonio Margheriti (1965) FBI Operazione vipera gialla, regia di Alfredo Medori (1966) Quel nostro grande amore (La mujer perdida), regia di Tullio Demicheli (1967) Lo scatenato, regia di Franco Indovina (1967) La notte pazza del conigliaccio, regia di Alfredo Angeli (1967) Il magnifico texano, regia di Luigi Capuano (1967) È stato bello amarti, regia di Adimaro Sala (1968) Delitto quasi perfetto, regia di Mario Camerini (1969) L'amore breve, regia di Romano Scavolini (1969) Una nuvola di polvere... un grido di morte... arriva Sartana, regia di Giuliano Carnimeo (1970) Edipeon, regia di Lorenzo Artale (1970) Il divorzio, regia di Romolo Guerrieri (1970) La Califfa, regia di Alberto Bevilacqua (1970) Il sergente Klems, regia di Sergio Grieco (1971) Anda muchacho, spara!, regia di Aldo Florio (1971) Nel buio del terrore (Historia de una traición), regia di José Antonio Nieves Conde (1971) Il ritorno del gladiatore più forte del mondo, regia di Bitto Albertini (1971) Un apprezzato professionista di sicuro avvenire, regia di Giuseppe De Santis (1972) Terza ipotesi su un caso di perfetta strategia criminale, regia di Giuseppe Vari (1972) A Venezia... un dicembre rosso shocking (Don't Look Now), regia di Nicolas Roeg (1973) Diario segreto da un carcere femminile, regia di Rino Di Silvestro (1973) Number One, regia di Gianni Buffardi (1973) Salvo D'Acquisto, regia di Romolo Guerrieri (1974) Macchie solari, regia di Armando Crispino (1975) Cattivi pensieri, regia di Ugo Tognazzi (1976) Il ginecologo della mutua, regia di Joe D'Amato (1977) Solamente nero, regia di Antonio Bido (1978) Un poliziotto scomodo, regia di Stelvio Massi (1978) Suor Omicidi, regia di Giulio Berruti (1978) L'umanoide, regia di Aldo Lado (1979) Via degli specchi, regia di Giovanna Gagliardo (1983) Nanà, regia di Dan Wolman (1983) Il ragazzo di campagna, regia di Castellano e Pipolo (1984) Le lunghe ombre, regia di Gianfranco Mingozzi (1987) 32 dicembre, regia di Luciano De Crescenzo (1988) Fratelli d'Italia, regia di Neri Parenti (1989) Singolo, regia di Francesco Ranieri Martinotti (1989) L'avvoltoio sa attendere, regia e sceneggiatura di Gian Pietro Calasso (1991) Televisione Le spie (I Spy) – serie TV, episodio 2x04 (1966) Melissa, regia di Daniele D'Anza – miniserie TV (1966) Spia - Il caso Philby, regia di Gian Pietro Calasso – miniserie TV (1977) La granduchessa e i camerieri, regia di Gino Landi – film TV (1977) Teatro Cantachiaro, rivista di Garinei e Giovannini, De Tuddo, Franco Monicelli, con Anna Magnani, Carlo Ninchi, Guglielmo Barnabò, Marisa Merlini, Olga Villi, Lea Padovani, Raimondo Vianello, Massimo Serato, Enrico Viarisio, Luigi Pavese, regia di Oreste Biancoli, musiche di Piero Piccioni, prima al Teatro Quattro Fontane di Roma il 1º settembre (1944). Prosa televisiva Rai Morte di un vicino, con Aldo Sala, Enzo Garinei, Massimo Serato, Mario Colli, Elena Zareschi, Paolo Ferrari e Giusi Raspani Dandolo, regia di Enrico Colosimo, trasmessa il 13 agosto 1967. Delitto impossibile, di Sergio Velitti (1967) Doppiatori italiani Massimo Serato è stato doppiato da molti attori diversi nel corso della sua lunga carriera: sono almeno trentuno gli attori che gli hanno prestato la voce. Giulio Panicali in Giacomo l'idealista, Quartieri alti, Il ladro di Venezia, I cavalieri dalle maschere nere (I Beati Paoli), Il mondo vuole così, Monastero di Santa Chiara, Pietà per chi cade Emilio Cigoli in Le avventure di Cartouche, La spada e la croce, Ti aspetterò all'inferno, David e Golia, Gli amori di Ercole, Il colpo segreto di d'Artagnan Giuseppe Rinaldi in Domenica d'agosto, Il colosso di Roma, La Venere dei pirati, Il magistrato Nando Gazzolo in L'invincibile cavaliere mascherato, Superseven chiama Cairo, Una nuvola di polvere... un grido di morte... arriva Sartana Gualtiero De Angelis in Marechiaro, Febbre di vivere, Il falco d'oro Sergio Tedesco in El Cid, Il leone di Tebe, La notte pazza del conigliaccio Giorgio Piazza in Brenno il nemico di Roma, Gli invincibili sette, La rivoita dei sette Pino Locchi in Capitan Fuoco, Femmine di lusso, La decima vittima Renato Izzo in La scimitarra del Saraceno, I criminali della galassia Luigi Vannucchi in Costantino il Grande, È stato bello amarti Roberto Villa in Anda muchacho, spara!, Number One Nino Pavese in L'uomo venuto dal mare Augusto Marcacci in Due cuori sotto sequestro Arnoldo Foà in Sangue a Ca' Foscari Mario Pisu in I pirati di Capri Carlo D'Angelo in Lucrezia Borgia Michele Malaspina in Il piccolo vetraio Mario Feliciani in Maruzzella Mario Bardella in Afrodite, dea dell'amore Luciano Melani in Salvo D'Acquisto Sergio Fantoni in La Maja desnuda Otello Toso in Il cavaliere del castello maledetto Renato Turi in Zorro contro Maciste Stefano Sibaldi in Maciste alla corte dello Zar Michele Kalamera in Suor omicidi Riccardo Cucciolla in Il gladiatore che sfidò l'impero Gigi Proietti in Il magnifico texano Ferruccio Amendola in Edipeon Nino Dal Fabbro in La Califfa Sergio Graziani in Il divorzio Paolo Ferrari in Macchie solari Giancarlo Maestri in Cattivi pensieri Eiconoscimenti Nastro d'argento 1947 – Migliore attore non protagonista per Il sole sorge ancora Note Bibliografia Gli attori, Gremese Editore Roma 2003 Le teche Rai Altri progetti Collegamenti esterni Interpreti di fotoromanzi Nastri d'argento al migliore attore non protagonista Attori televisivi italiani Attori cinematografici italiani Attori teatrali italiani
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https://it.wikipedia.org/wiki/Monetazione%20romana
Monetazione romana
La monetazione romana si riferisce alle monete emesse da Roma antica dalle prime forme premonetali alla caduta dell'Impero romano d'Occidente. Monetazione repubblicana Monetazione fusa Nella prima parte della storia di Roma, dalla sua fondazione (21 aprile 753 a.C.) a tutto il periodo monarchico (753-509 a.C.) e parte del periodo repubblicano, fino al III secolo a.C., il commercio non si basava sull'uso della moneta, ma su una forma di baratto che sfruttava come mezzo di scambio scarti di lavorazione di bronzo informi (aes rude), in base al valore intrinseco, ossia il valore del materiale. La parola latina aes (aeris al genitivo) significa bronzo; da aes derivano parole come erario. Il valore dellaes rude era determinato dal peso e quindi doveva essere pesato ad ogni transazione. , quindi, si iniziò ad utilizzare getti in bronzo di forma rotonda o rettangolare su cui era riportato il valore, detti aes signatum, sulla cui superficie venivano impressi i simboli dei marchi che richiamavano l'autorità dell'emittente, e ne garantivano l'autenticità. . Il peso dell'asse era pari ad una libbra romana (327,46 g). Questo tipo di aes ha un peso costante perciò può essere un'unità di misura e per tanto una moneta (infatti il valore nominale, ossia quello "stampato, o meglio impresso sulla moneta" era uguale al valore intrinseco). Queste monete erano diverse per fattezza ma avevano uno stesso peso (un valore standard). Multipli dell'asse furono il dupondio (2 assi), il tripondio (3 assi) ed il decusse (10 assi). Frazioni dell'asse furono il semisse (mezzo asse), il triente (un terzo d'asse), il quadrante (un quarto d'asse), il sestante (un sesto d'asse) e loncia (un dodicesimo d'asse). Con il passaggio alla monetazione al martello, l'asse diventò una moneta fiduciaria, il cui valore non era cioè più legato al contenuto in metallo. Il peso dell'asse conobbe una progressiva diminuzione, acquisendo via via il peso delle sue frazioni: mezza libbra romana nel 286 a.C., un sesto di libbra nel 268 a.C., 1 oncia (cioè un dodicesimo di libbra) nel 217 a.C. e mezza oncia nell'89 a.C. L'uso del bronzo in periodo repubblicano terminò nel 79 a.C., per riprendere solo durante il principato. Monetazione di stile greco Le prime monete battute emesse da Roma furono alcuni didracmi d'argento e alcune monete frazionarie collegate sia in argento che in bronzo. Queste monete sono comunemente indicate con il nome di romano-campane, in quanto furono molto probabilmente coniate, sullo stile di quelle greche, in Campania nel III secolo a.C., allo scopo di facilitare il commercio con le colonie greche del sud Italia. Anche se lo stile era chiaramente greco, i tipi erano caratteristici delle civiltà italiche: Marte, Minerva, la lupa con i gemelli, Giano. L'etnico che inizialmente, secondo l'usanza greca, era "ROMANO", diventa presto ROMA, secondo le abitudini italiche. La moneta più famosa è conosciuta col nome di quadrigato. Presenta al dritto una testa giovanile di Giano ed al rovescio Giove e la Vittoria su una quadriga, da cui il nome. Le prime didracme pesavano intorno ai 7 g (7,3 - 6,8); le ultime intorno ai 6,6 g. Queste monete sono contemporanee alle emissioni di una serie di colonie e socii, tra cui Cales, Suessa, Teanum Sidicinum, con tipi simili, che fanno ipotizzare l'esistenza di accordi monetari. Denario La moneta d'argento che costituì l'ossatura dell'economia romana fu, però, il denario, battuto per la prima volta a Roma intorno al 211 a.C.; il suo valore iniziale era di 10 assi, pari a 1/72 di libbra (4,55 g), ed aveva come frazioni il quinario (1/2 denario) ed il sesterzio (1/4 di denario). Il denario fu poi rivalutato a 16 assi (dal 118 a.C.), facendo seguito alla riduzione del valore di quest'ultimo. Il denario rimase la moneta più importante del sistema monetario romano fino alla riforma monetaria di Caracalla, all'inizio del III secolo, quando fu di fatto sostituito dall'antoniniano. Venne anche coniata un'altra moneta d'argento, il vittoriato con un valore pari a 3 sesterzi, di scarsa diffusione e usata quasi esclusivamente nei commerci con i Greci dell'Italia meridionale prima, e con le Gallie dopo. Accanto al denario furono battute monete in bronzo: l'asse e le sue frazioni. La produzione di monete in oro (aureo) avvenne in maniera estremamente sporadica prima della conquista della Gallia (e delle sue miniere) da parte di Giulio Cesare. Le prime emissioni di aurei, ricalcando anche in questo caso il sistema monetario greco per facilitare gli scambi con il sud dell'Italia e con l'Oriente, si ebbero nel 286 a.C. (con un peso per laureo di 6,81g) e nel 209 a.C. (con un peso di 3,41 g). I primi aurei realmente romani vennero coniati nell'87 a.C. da parte di Silla (con un valore di 1/30 di libbra, 9,11 g), seguiti da emissioni nel 61 a.C. da parte di Pompeo (con un valore di 1/36 di libbra, 9,06 g), nel 48 a.C. da parte di Cesare (con un valore di 1/38 di libbra, 8,55 g) ed ancora nel 48 a.C., sempre da parte di Cesare (con un valore di 1/40 di libbra, 8,02 g). Monetazione imperatoriale Il termine è usato per indicare le emissioni coniate degli ultimi anni della Repubblica romana nel periodo che precede immediatamente la nascita del principato. Il termine, non accettato da tutti, deriva dal fatto che in questo periodo di guerre civili le monete venivano emesse a nome dei generali che si combattevano tra loro in virtù del loro imperium. Si tratta quindi delle monete di Pompeo, Giulio Cesare, Bruto, Cassio, Labieno, Sesto Pompeo, Lepido, Marco Antonio ed Ottaviano da soli o assieme tra loro o con altre persone. Le monete emesse in questi anni rispecchiano l'andamento della lotta politica e delle guerre in corso. I contenuti propagandistici sono accentuati e per le prime volte sono rappresentati anche le persone viventi. Le monete di Ottaviano sono a cavallo tra questo periodo ed il periodo successivo. Monetazione imperiale Anche se il denario restò l'elemento portante dell'economia romana dalla sua introduzione nel 211 a.C. fino al termine della sua coniazione nella metà del III secolo d.C., la purezza ed il peso della moneta andò lentamente, ma inesorabilmente riducendosi. Il fenomeno della svalutazione nell'economia romana era pervasivo e causato da una serie di fattori, quali la carenza di metallo prezioso, lo scarso rigore delle finanze statali e la presenza di una forte inflazione. Come detto in precedenza, il denario alla sua introduzione conteneva argento quasi puro con un peso di circa 4,5 grammi. Questi valori rimasero abbastanza stabili durante tutta la repubblica, ad eccezione dei periodi bellici. Ad esempio, i denari coniati da Marco Antonio durante la sua guerra con Ottaviano erano di diametro leggermente più piccolo e con un titolo considerevolmente inferiore: il dritto raffigurava una galea ed il nome di Antonio, mentre il rovescio presentava il nome della particolare legione per la quale la moneta era stata emessa; c'è da notare che queste monete rimasero in circolazione per più di 200 anni a causa della carenza di metallo prezioso. Riforma monetaria augustea La prima riforma monetaria importante del periodo imperiale fu la Riforma monetaria di Augusto, che prevedeva dal 15 a.C. la coniazione delle monete in oro ed argento controllata direttamente dall'imperatore, mentre il senato poteva decidere su delibera la coniazione dei valori minori. Per quanto riguarda le monete d'oro, ci si basava sull'aureo (1/42 di libbra romana, 7,78 g), con il quaternione come multiplo (4 aurei) ed il quinario come sottomultiplo (1/2 aureo). Per le monete d'argento, rimaneva il denario (1/84 di libbra, 3,90 g) ed il suo sottomultiplo quinario (1/2 denario). Per i valori minori, si aveva l'asse in rame (10,90 g), i suoi multipli in oricalco, un metallo simile all'ottone, detti dupondio (2 assi) e sesterzio (4 assi); per i sottomultipli si aveva il quadrante in rame (1/4 di asse). I e II secolo: dai Giulio-Claudi agli Antonini Durante la dinastia Giulio-Claudia (Tiberio, Caligola, Claudio, Nerone) il valore del denario rimase relativamente stabile. Nerone, invece, introdusse nel 65 d.C. una nuova riforma monetaria: l'aureo venne portato ad 1/42 di libbra (7,28 g), come ci racconta Plinio il Vecchio, il quale sosteneva che: Vale a dire che l'aureo fu deprezzato da Nerone, passando nel tempo, poco a poco, da un peso teorico di 1/40 di libbra (epoca di Cesare) a 1/45 sotto Nerone, con una svalutazione dell'11%. Riguardo invece al denario sappiamo che, sotto Cesare ed Augusto, aveva un peso teorico di circa 1/84 di libbra, ridotto da Tiberio ad 1/85, fino a quando Nerone lo svalutò fino ad 1/96 (pari ad una riduzione del peso della lega del 12,5%). Contemporaneamente, oltre alla riduzione del suo peso, vi era anche una riduzione del titolo (% di argento presente nella lega), che passò dal 97-98% al 93,5% (per una riduzione complessiva del solo argento del 16,5% ca). Alla fine della dinastia dei Flavi (Vespasiano, Tito, Domiziano), Domiziano annullò la riforma di Nerone, riportando le monete ai valori della riforma di Augusto, mentre nel periodo degli imperatori adottivi (Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco Aurelio), Traiano reintrodusse i valori della riforma di Nerone. III secolo Un'altra riforma si ebbe nel 215 per opera dell'imperatore Caracalla. Il denario, infatti, continuò il suo declino durante tutto l'impero di Commodo e di Settimio Severo. Contemporaneamente, oltre alla riduzione del suo peso, vi fu anche una riduzione del suo titolo (% di argento presente nella lega), che passò dal 97-98% dell'epoca augustea al 93,5% (per una riduzione complessiva del solo argento del 16,5% ca). Con Caracalla anche l'aureo venne svalutato di nuovo, portandolo ad 1/50 di libbra (6,54 g). Inoltre, sia per l'aureo che per il denario (ridotto ad avere meno del 50% di argento) vennero introdotte monete con valore raddoppiato: il doppio aureo (o binione) ed il doppio denario (o antoniniano), anche se per quest'ultimo non contenne mai più di 1,6 volte il contenuto d'argento del denario. Comunque, mentre l'aureo riuscì ad avere una valutazione abbastanza stabile, anche l'antoniniano conobbe la stessa progressiva svalutazione vista col denario, fino a ridursi ad un contenuto d'argento del 2%. Tra il 272 ed il 275, probabilmente nel 274, Aureliano riformò nuovamente il sistema monetario romano, eliminando la possibilità di coniazione locale delle monete minori per riportarle ad un livello qualitativo paragonabile a quello delle altre monete. L'aureo fu portato inizialmente a 1/60 di libbra (5,54 g), ma poi il suo valore fu fissato ad 1/50 di libbra (6,50 g). Per l'antoniniano, infine, si fissò un peso di 3,90 g ed un titolo di 20 parti di rame ed uno d'argento, rapporto indicato sulla moneta tramite il simbolo XXI in Latino o KA in Greco. La tetrarchia A seguito della riforma di Diocleziano, la monetazione romana cambiò radicalmente. Dato che il governo introdotto da Diocleziano si basava su una tetrarchia, con la suddivisione dell'impero in due territori assegnati a due diversi imperatori e con due Cesari a supporto ai due reggenti, le monete iniziarono a non personificare più un singolo reggente, ma a dare un'immagine idealizzata dell'imperatore sul dritto, con il rovescio che celebrava tipicamente la gloria di Roma e la sua potenza militare. Anche dopo l'adozione del cristianesimo come religione di Stato, quest'impostazione rimase abbastanza invariata: solo in poche eccezioni vennero utilizzate immagini cristiane come il chi-rho, monogramma greco per il nome Gesù Cristo. Nel 300 venne emanato un editto (lEditto sui prezzi massimi) che fissava i prezzi massimi delle merci, con l'intento di calmierarli: i prezzi venivano espressi in denarii, anche se questa non era ormai più una moneta in circolazione. L'aureo torna ad un peso di 1/60 di libbra. Si introduce una moneta in argento, detta argenteo, con un peso pari a 1/96 di libbra. Oltre ad un antoniniano con un peso di 3,90 g, fu introdotta anche una moneta in bronzo, il follis, con un peso di circa 10 g. Costantino il Grande Ultima riforma dell'impero romano fu nel 310 quella di Costantino, che si rifaceva al sistema bimetallico di Augusto. Venne introdotto il solido d'oro, con un peso di 4,54 g pari a 1/72 di libbra, e la siliqua d'argento, di 2,27 g pari a 1/144 di libbra: il miliarense, con un valore doppio della siliqua, aveva quindi lo stesso peso del solido. Per quanto riguarda i bronzi, il follis, ormai fortemente svalutato, venne sostituito da una moneta di 3 g, detto nummus centonionalis, cioè 1/100 di siliqua. Questo sistema monetario durò fino alla caduta dell'Impero romano d'Occidente nel 476. Per i successivi sviluppi nell'Impero romano d'Oriente, si veda l'articolo sulla monetazione bizantina. Monetazione provinciale Nell'impero romano alcune città conservarono il diritto di emettere monete proprie. Queste monete erano essenzialmente indirizzate ai commerci interni di una città o di un'area limitata. Di conseguenza le emissioni furono molto più limitate e meno regolari. Inoltre i tipi utilizzati riflettevano temi locali. Questa monetazione ci permette di conoscere particolari della vita del mondo romano altrimenti poco conosciuti Coniazione e ruolo della moneta Il valore delle monete romane, e di tutte le monete antiche, era dato, a differenza delle monete attuali, dal loro valore intrinseco cioè dal valore del metallo con il quale erano realizzate. In realtà, il valore delle monete era maggiore di quello del solo metallo in esse contenute: stime del valore di un denario, ad esempio, vanno da 1,6 a 2,85 volte il suo contenuto in argento. Ovviamente, non tutte le monete in circolazione erano in metallo prezioso, per avere anche valori utilizzabili per un uso quotidiano. Nel I secolo d.C., ad esempio, con un asse si poteva acquistare mezza libbra di pane. Questo, però, portava ad una dicotomia tra monete con elevato valore intrinseco (sulla circolazione delle quali lo stato era particolarmente attento) e quelle che non ne avevano. Questo si può constatare, ad esempio, nella scarsa produzione di monete in bronzo dalla fine del periodo repubblicano, quando dal tempo di Silla a quello di Augusto non venne coniata nessuna moneta in bronzo; anche quando queste monete venivano poi prodotte, esse erano molto grossolane e di bassa qualità. La coniazione di monete in bronzo, infatti, venne permessa a molte autorità locali, mentre questo non avvenne per le monete in metallo prezioso. Uno dei motivi per i quali l'emissione locale di monete in bronzo era considerata di scarsa importanza per Roma, risiedeva nel fatto che le spese per lo stato erano sempre di entità considerevole e quindi venivano pagate con monete in metallo prezioso. Oltre al riflesso economico, le monete ebbero anche un ruolo fondamentale nei diffondere nella società romana idee e messaggi tramite le iscrizioni e le immagini in esse utilizzate. La scelta delle immagini veniva delegata a dei monetari ("tresviri monetales"), giovani in attesa di diventare senatori. Questa carica, creata nel 289 a.C. e che durò fino alla metà del III secolo d.C., prevedeva inizialmente solo tre magistrati, ma il loro numero fu portato a quattro da Giulio Cesare verso la fine delle Repubblica. Le immagini dei primi denari consistevano di solito nel busto di Roma sul dritto e di una divinità alla guida di una biga o di una quadriga al rovescio. Il nome del magistrato monetario non appariva, anche se a volte le monete presentavano dei segni di controllo, come lettere o simboli che potevano essere utilizzati per identificare chi era responsabile di una particolare moneta. Questi simboli, poi, iniziarono ad essere sostituiti da forme abbreviate del nome del magistrato ed in seguito si iniziarono ad utilizzare le monete per rappresentare scene della storia della famiglia dei monetari: ad esempio, Sesto Pompeio Fostulo rappresentò il suo avo Fostulo che assisteva Romolo e Remo allattati dalla lupa. Il numero di questi casi si fece sempre più ampio e con riferimenti sempre più recenti, diventando strumento di promozione delle classi in lotta per il governo delle Repubblica. Un salto di livello nella immagini utilizzate si ebbe con l'emissione da parte di Giulio Cesare di monete con il proprio ritratto, invece di quello di propri antenati. Questa impostazione venne adottata anche nel periodo imperiale, con l'immagine del capo del governo utilizzata per rafforzare l'impersonificazione nell'imperatore dello stato e delle sue regole. Successivamente, l'immagine dell'imperatore venne progressivamente associata a quella delle divinità. Ulteriore salto di livello si ebbe durante la campagna contro Pompeo, nella quale Cesare emise monete con anche immagini di Venere ed Enea, con l'obiettivo di avallare in questo modo l'ipotesi di una sua discendenza divina. Questa tendenza venne portata all'estremo da Commodo, che proclamò il suo stato divino emettendo nel 192 una moneta che raffigurava sul dritto il suo busto vestito con una pelle di leone, mentre sul rovescio un'iscrizione lo proclamava come la reincarnazione di Ercole. Ulteriore sviluppo dell'utilizzo della moneta si ebbe come legittimazione della successione al trono. Dal tempo di Augusto fino alla fine dell'impero, infatti, la rappresentazione di antenati venne sostituita da quella dei familiari e degli eredi dell'imperatore, rafforzando l'immagine pubblica di quelli che si voleva venissero considerati all'altezza dell'imperatore stesso. Mentre il dritto continuava a riportare l'immagine dell'imperatore, si assistette ad una progressiva diversificazione del rovescio delle monete per uso propagandistico. L'incisione di frasi propagandistiche, già avvenuta al termine della repubblica, durante l'impero venne spesso utilizzata in concomitanza di eventi bellici, per sottolineare l'occupazione, liberazione o pacificazione di un territorio. Alcune di queste iscrizioni erano a volte estremamente di parte, come avvenne nel 244, quando si annunciò la conquista della pace con la Persia, anche se in realtà Roma era stata costretta dai persiani a pagare forti somme di denaro per ottenere la fine delle ostilità. Note Voci correlate Monetazione bizantina Monetazione imperiale romana Monetazione romana repubblicana Storia romana Simboli sulle monete dell'Impero romano Altri progetti Collegamenti esterni La Monetazione Repubblicana Romana, dai Manuali di www.LaMoneta.it La Monetazione Imperiale Romana, dai Manuali di www.LaMoneta.it Digital Library Numis (DLN) Books and artcles on Roman coins b
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https://it.wikipedia.org/wiki/Margarita%20%28Italia%29
Margarita (Italia)
Margarita (Margarita in piemontese) è un comune italiano di abitanti della provincia di Cuneo in Piemonte. Il nome del paese deriva da una cappella dedicata a Santa Margherita, risalente al XII secolo. È situato sulla sponda sinistra del torrente Brobbio. Storia Simboli Lo stemma del comune di Margarita è stato concesso con decreto del presidente della Repubblica del 20 ottobre 1990. Monumenti e luoghi d'interesse Al centro del paese è posta una chiesa barocca di importanza storica notevole, con un campanile alto 52 metri (citato in alcuni scritti di Giorgio Bocca), opera del celebre architetto Francesco Gallo, già progettista della cupola del vicino santuario di Vicoforte. Nel centro storico è presente la Torre Civica (ciochè vej), che delimita il cosiddetto "ghetto" o "ricetto" corrispondente al primo nucleo dell'abitato margaritese; il "ghetto" ospita da alcuni anni il Municipio, che ha occupato il palazzo delle vecchie scuole. Di grande interesse il castello appartenuto ai conti Solaro della Margarita, ora di proprietà della nipote; interessante il parco con tipico giardino all'italiana progettato dal marchese Piossasco di Rivalba, 1768. Svariati i piloni votivi e le cappelle, che delimitavano gli accessi principali al paese (San Magno, San Rocco, Sant'Anna; il più famoso è il pilone di Santa Lucia, in fondo al ghetto, celebre per essere rimasto intatto dopo caduta di bomba aerea inesplosa durante la seconda guerra mondiale. Sempre nel centro del paese, la vecchia chiesa della Confraternita (la crusà), che un tempo veniva utilizzata come punto di partenza per le processioni della domenica delle Palme ed ora è sconsacrata e utilizzata per mostre ed esposizioni. Il paese è bagnato dal torrente Brobbio, un tempo generoso di pesci. Altro torrente minore è la Colla. Società Evoluzione demografica Etnie e minoranze straniere Secondo i dati Istat al 31 dicembre 2017, i cittadini stranieri residenti a Margarita sono , così suddivisi per nazionalità, elencando per le presenze più significative: Romania, Cultura Fiere La quarta domenica di ottobre si celebra la Sagra dël còj (Sagra del cavolo verza). Essa è disposta nel caratteristico centro storico del paese (chiamato "Il Ghetto" o "Ricetto" dai locali) e richiama numerosi commercianti e visitatori dal Piemonte e dalla Liguria. La prima edizione della sagra è stata nel 2004. Il significato della sagra non è tanto per l'importanza della coltivazione del cavolo margaritese, quanto per il nomignolo dato ai margaritesi dai vicini morozzesi: teste 'd còj, (in italiano: "teste di cavolo", ovvero "zucconi"). I margaritesi hanno risposto nominando i morozzesi mangia mosche, vista la copiosa presenza di questi insetti nel paese vicino. Infrastrutture e trasporti Ferrovie Il comune di Margarita non è servito da trasporto su ferro. La vecchia stazione ferroviaria è da tempo inattiva e si trova nei pressi dell'abitato di Santa Maria Rocca. Autobus linea 11 (Conurbazione di Cuneo) - percorso: Cuneo Cap. Stazione FS - P. Torino - Trucchi - Margarita - Morozzo Cap. linea 40 (Extraurbana) - percorso: Cuneo Cap. Stazione FS - Trucchi - Margarita - Morozzo - Carrù - Dogliani linea 202 (Extraurbana) - percorso: Cuneo Cap. Stazione FS - Trucchi - Margarita - Morozzo - Mondovì - Ceva - Ormea - Imperia In questo modo, il comune è collegato alla città di Cuneo, così da permettere ai cittadini l'accesso agli altri collegamenti offerti dal trasporto pubblico, urbano ed extraurbano, e alla Stazione di Cuneo. Strade Il comune si trova sulla strada provinciale SP422 che collega Carrù con il capoluogo Cuneo. Amministrazione Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune. Galleria d'immagini Note Bibliografia Carlo Lovera di Castiglione, Vicende del comune di Margarita dal secolo XII ad oggi, I.G. Bertello, Borgo S. Dalmazzo (CN), 1955, rist. in facsimile 2002 con appendice di A. Lovera di Maria Margarita nella seconda metà del XX secolo Voci correlate Stazione di Margarita Altri progetti Collegamenti esterni
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Melilla
Melilla (AFI: ; nome ufficiale spagnolo: Ciudad Autónoma de Melilla; ; in berbero: ⵎⵔⵉⵞ, Mrič "la bianca" o ⵜⴰⵎⵍⵉⵍⵜ, Tamlilt; anticamente conosciuta dai romani come Rusadir; dai greci: Ῥυσσάδειρον, Ryssadeiron) è una Città autonoma spagnola situata sulla costa orientale del Marocco, nell'Africa del Nord, nei pressi del porto marocchino Beni Ensar. È un porto franco, e l'attività principale è la pesca. Altre fonti di entrata sono il commercio attraverso la frontiera (legale o di contrabbando) e le sovvenzioni spagnole e dell'Unione europea. Geografia fisica Clima Storia Melilla fu una colonia fenicia, con il nome di Rusadir. Nel 72 d.C. l'imperatore romano Vespasiano le concesse lo statuto di colonia e la città conobbe un periodo di splendore, arrivando a battere moneta. Nel 430 fu saccheggiata e occupata dai Vandali di Genserico dopo che questi ebbe attraversato lo Stretto di Gibilterra, per iniziare la conquista del Nordafrica. Liberata dal generale Belisario nel 534, tornò in orbita romano-orientale fino alla conquista islamica (fine del VII secolo). In epoca musulmana Melilla conobbe un periodo di decadenza. Nell'859 venne distrutta da un'incursione normanna. Nel 926 fu presa e fortificata dal califfo di Cordova Abd al-Rahman III. Successivamente passò sotto la sovranità delle differenti dinastie che governarono il Marocco, fra cui gli Almoravidi (nel 1080) e gli Almohadi (dopo il 1141). Il 17 settembre 1497, la Spagna occupò la città, nel corso della Reconquista. Da allora il Marocco ha tentato ripetutamente di annettere Melilla. Tra il 9 dicembre 1774 e il 19 marzo 1775 la città fu sottoposta a un assedio durato 100 giorni ad opera del sultano Mohammed ben Abdallah, ma senza esito. Il governo marocchino reclama dal 1982 Melilla, insieme a Ceuta e ad alcune piccole isole spagnole prossime alla costa africana La città confina con i centri abitati marocchini di Beni Chiker, Ben Ansar e Bou Mahroud. Melilla oggi Melilla ha un rappresentante al Congresso spagnolo e due al Senato. Ha ottenuto lo status di città autonoma il 14 marzo 1995. Lo standard ISO 3166-1 riserva la sigla EA per Melilla e Ceuta. Solo le persone con ascendenza marocchina parlano il berbero, per la precisione un dialetto della tarifit, la lingua del Rif. Nei dialetti del Rif di solito al suono l delle altre varianti berbere corrisponde un suono r, mentre al suono geminato, ll, corrisponde ğ o, in fine di parola, č. Da qui il nome Mrič per un antico Mlill, "la Bianca". La lingua ufficiale e più diffusa è tuttavia lo spagnolo, unica ad essere insegnata nelle scuole. Il confine terrestre tra Melilla e l'entroterra marocchino è recintato e sorvegliato, allo scopo di contenere l'ingresso di immigrati nell'exclave che, in quanto territorio spagnolo, garantisce ulteriore libero accesso all'area europea delle nazioni aderenti al trattato di Schengen. Monumenti e luoghi d'interesse Architetture civili e militari LAcropolis, cittadella fortificata del XVI secolo posta in cima a uno sperone di roccia affacciato sul porto.''' Amministrazione Gemellaggi Almería, Spagna Caracas, Venezuela Ceuta, Spagna Malaga, Spagna Motril, Spagna Montevideo, Uruguay Note Bibliografia Robert Rézette, Les enclaves espagnoles au Maroc'', Parigi 1976 Voci correlate Marocco Spagnolo Rotte dei migranti africani nel Mediterraneo Ceuta Aeroporto di Melilla Barriere di separazione di Ceuta e Melilla Casa dei cristalli Altri progetti Collegamenti esterni
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Minnesota
Il Minnesota (AFI: ; in inglese ) è il trentaduesimo Stato federato degli Stati Uniti d'America (ne è entrato a fare parte l'11 maggio 1858), e conta al 2018 una popolazione di 5.679.718 abitanti (sigla = MN). La capitale è Saint Paul (307.695), ma la città più popolosa è Minneapolis (425.403 abitanti); altri centri rilevanti sono Duluth (86.277 abitanti), Rochester (99.121 abitanti) e Bloomington (81.446 abitanti). La superficie è di 225.181 km², gran parte dei quali occupati dall'acqua di laghi e fiumi, inclusa una parte del Lago Superiore. Situato in posizione centro-settentrionale, e confinante con Canada, Dakota del Nord e Dakota del Sud, Iowa e Wisconsin, il Minnesota è conosciuto come la terra dei 10.000 laghi (in realtà sono quasi 12.000). Oltre a essi conta 6.500 fra torrenti e fiumi, fra cui l'omonimo Minnesota e il Mississippi, che sfociano in tre diverse direzioni: Baia di Hudson in Canada a nord, Oceano Atlantico a est e Golfo del Messico a sud. Secondo un'antica leggenda prende il nome dal vocabolo della lingua dakota minisota, cioè "acqua che riflette il cielo". Per la sua posizione geografica il Minnesota ha un clima che, nella stessa stagione, varia sensibilmente da settentrione a meridione. Ugualmente differenziato è il territorio, con praterie e fertili pianure a ovest e a sud, e ricco di boschi di conifere a nord e folte foreste a est (la parte un tempo conosciuta come Big Wood). Geografia fisica Il Minnesota è lo Stato più settentrionale, dopo l'Alaska, degli Stati Uniti d'America: infatti il cosiddetto Northwest Angle, diviso dal resto dello Stato dal Lago dei Boschi, è l'unica parte dei quarantotto Stati contigui che giace a nord del 49º parallelo. Il Minnesota fa parte della regione dell'Upper Midwest. Confina a nord-est con il Lago Superiore, a est con il Wisconsin, a sud con lo Iowa, a ovest con il Dakota del Sud e il Dakota del Nord mentre a nord confina con le province canadesi dell'Ontario e del Manitoba. Con una superficie di occupa il 2,25% del suolo statunitense ed è il dodicesimo Stato più grande degli USA. Clima Il clima, stante l'enorme lontananza dal mare, è di tipo fortemente continentale con inverni molto rigidi ed estati abbastanza calde e umide (Minneapolis, al centro, ha una media a gennaio di -6,2 °C/-16,2 °C e a luglio di 17,2 °C/28,8 °C), attenuate però dalla vicinanza dei Grandi Laghi del nord. Per l'assenza di barriere naturali il Minnesota è esposto per tutto l'inverno a correnti fredde dal nord, con brevi attenuazioni per i venti caldi provenienti da sud. Le medie di gennaio variano tra -8 °C (al sud) e -16 °C (al nord) con estremi di -10 °C e -19 °C (Tower, che nel periodo 1994-2001 ha avuto una media minima del mese di -25,3 °C). Le dieci città più fredde degli USA continentali, stabilite dalle medie di gennaio, sono tutte locate nel Minnesota. La città più fredda dei quarantotto stati è in genere indicata essere International Falls, con una media di gennaio di -10 °F/-22 °F e una annua di 37,4 °F (3 °C), ma è in realtà Tower, la cui media è 34,6 °F (poco meno di 1,5 °C) e che detiene il record assoluto ufficiale dello Stato di -51 °C, registrato il 2 febbraio 1996 (tra l'altro lo stesso giorno in una palude vicina vennero misurati -59 °C). L'estate tende a essere calda e umida al sud e fresca e meno umida al nord. Il record di caldo del Minnesota è 46 °C. La primavera e l'autunno sono le stagioni più notevoli e con più escursione termica: nella prima a marzo le condizioni sono chiaramente invernali con temperature anche di giorno spesso sotto 0 °C, ma già ad aprile tutto è cambiato; le nevicate e le riprese fredde possono spingersi fino a maggio. In autunno già settembre vede una netta diminuzione rispetto all'estate, a ottobre vengono le prime gelate e spesso già all'inizio di novembre, o anche prima (si sono verificati blizzard rilevanti ad Halloween), si piomba nell'inverno con neve che si scioglierà soltanto dopo metà marzo (dipende anche dai luoghi: nel sud il manto nevoso rimane da fine novembre o inizio dicembre fino ai primi di marzo, nel nord da metà novembre a fine marzo e, talvolta, inizio aprile). In primavera, specialmente verso aprile-maggio, si verificano forti temporali che danno vita a tornado, alcuni dei quali catastrofici. Origini del nome Il nome dello Stato deriva dal termine sioux mnisota con il significato di "fiume dall'acqua torbida", da mni "fiume" e sota "appannato". Dal toponimo dakota derivano numerosi altri nomi, tra i quali Minneapolis, da mni più il greco polis. Storia Abitato da tribù di Chippewa e Sioux, dal 1682 entra a fare parte della Louisiana francese, seguendone le sorti. Passato agli Stati Uniti (1803) di fatto fu colonizzato a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Nel 1849 divenne territorio autonomo ed entrò come Stato dell'Unione il 2 maggio 1857. Fu teatro di numerose guerre indiane specie contro i Sioux tra il 1861 e il 1863. A causa di carestie e di invasioni di cavallette vi furono grandi emigrazioni verso altre zone tra il 1874 e il 1876. Politica Società Evoluzione demografica Nel 1850 il Minnesota contava una popolazione inferiore ai 6.100 abitanti; la popolazione crebbe fino a raggiungere i 1,75 milioni di abitanti intorno al 1900. Nei sei decenni successivi si ebbe una crescita della popolazione pari al 15% per decennio, nel 1960 la popolazione era di 3,4 milioni di persone. Negli anni '60 il tasso di crescita diminuì e la popolazione nel 1970 era di 3,8 milioni di persone. Il censimento del 2000 indicava 4,9 milioni di abitanti.. Il 1º luglio 2007 la popolazione stimata dello Stato era pari a 5.197.621 (U.S. Census Bureau). I dati relativi alla popolazione, età media, distribuzione dei sessi ecc. sono simili a quelli del resto degli Stati Uniti, tranne i dati relativi alle minoranze etniche che costituiscono una percentuale di popolazione significativamente inferiore che nel resto del paese.. La popolazione del Minnesota è così composta: 88,6% bianchi 4,7% neri 4,3% ispanici 3,8% asiatici 1,3% nativi americani Il 37,9% dichiara di avere origini tedesche, il 32,1% scandinave, l'11,7% irlandesi, il 7,9% italiane, il 6,3% inglesi, il 5,1% polacche e il 4,2% francesi. Città più popolose La città più popolosa è Minneapolis, a cui segue la capitale statale Saint Paul. 1° Minneapolis 429.606 ab. 2° Saint Paul 308.096 ab. 3° Rochester 118.935 ab. 4° Duluth 85.618 ab. 5° Bloomington 84.943 ab. 6° Brooklyn Park 80.389 ab. 7° Plymouth 79.768 ab. 8° Woodbury 72.828 ab. 9° Maple Grove 72.622 ab. 10° Saint Cloud 68.462 ab. Università Macalester College, Saint Paul Metropolitan State University, Minneapolis, Saint Paul Università del Minnesota, Minneapolis, Saint Paul Hamline University, Saint Paul University of Saint Thomas, Saint Paul Bethel University, Saint Paul Minnesota State University, Mankato (Minnesota) Religione Cristiani: 84% Protestanti: 58% Anglicani: 26% Battisti: 5% Metodisti: 4% Presbiteriani: 3% Cattolici: 25% mormoni: 1% Altro: 1% Atei: 15% Sport Le franchigie del Minnesota che partecipano al Big Four (le quattro grandi leghe sportive professionistiche americane) sono: Minnesota Vikings (con sede a Minneapolis), NFL Minnesota Twins (con sede a Minneapolis), MLB Minnesota Timberwolves (con sede a Minneapolis), NBA Minnesota Wild (con sede a Saint Paul), NHL Vi sono inoltre il Minnesota United di Saint Paul nella MLS e i Minnesota Swarm di Minneapolis nella NLL. Note Voci correlate Peace Township Altri progetti Collegamenti esterni USGS.gov Informazioni e statistiche
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Mathurin Jacques Brisson
Opere L'ornitologie ou Methode contenant la division des Oiseaux en ordres sections, especes, et leurs varietées, Parigi, 1760, in sei volumi. Dictionnaire de physique, 1780. Alcuni taxa descritti Altri progetti Collegamenti esterni
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Mar Mediterraneo
Il mar Mediterraneo (detto brevemente Mediterraneo) è situato tra Europa, Nordafrica e Asia occidentale. È un mare marginale dell'Oceano Atlantico, da cui è dipendente e a cui è connesso a ovest tramite lo stretto di Gibilterra; lo stretto del Bosforo lo collega a nord-est al Mar Nero mentre il canale di Suez, artificiale, lo collega a sud-est al Mar Rosso e quindi all'Oceano Indiano. La sua superficie approssimativa è di con uno sviluppo massimo lungo i paralleli di circa , la lunghezza totale delle sue coste è di , la profondità media si aggira sui , quella massima di presso le coste del Peloponneso, mentre la salinità media varia fra il 36,2 e il 39‰. La popolazione presente negli stati bagnati dalle sue acque, noto come bacino del Mediterraneo, ammonta a circa 450 milioni di persone. Generalità È collegato a ovest all'Oceano Atlantico, attraverso lo stretto di Gibilterra; a est attraverso il Mar di Marmara e gli stretti dei Dardanelli e del Bosforo è collegato al Mar Nero (il Mar di Marmara è spesso considerato parte del Mediterraneo, mentre il Mar Nero viene generalmente considerato un mare distinto), mentre il Canale di Suez a sud-est collega il Mediterraneo al Mar Rosso e quindi all'Oceano Indiano. Le maree sono molto limitate anche a causa dello scarso collegamento con l'oceano, che limita la massa d'acqua complessiva investita dal fenomeno. Le temperature del Mediterraneo hanno estremi compresi fra gli 11 e i 32 °C. In genere si oscilla dai 12~18 °C nei mesi invernali ai 23~30 °C dei mesi estivi, a seconda delle zone. L'azione del Mar Mediterraneo come serbatoio termico è in buona parte dovuto al clima mediterraneo, generalmente caratterizzato da inverni umidi ed estati calde e secche. Coltivazioni caratteristiche della regione sono olivo, vite, agrumi e quercia da sughero. Etimologia Il termine Mediterraneo deriva dalla parola latina mediterraneus, che significa 'in mezzo alle terre'. Il mar Mediterraneo attraverso la storia dell'umanità è stato conosciuto con diversi nomi. Gli antichi Romani lo chiamavano, ad esempio, Mare nostrum, ossia "il nostro mare", e in effetti, la conquista romana toccò tutte le regioni affacciate sul Mediterraneo. La denominazione , al-Baḥr al-Abyaḍ al-Mutawassiṭ, ossia Mar Bianco di Mezzo, ha evidentemente ispirato la dizione turca di Akdeniz, Mare Bianco. Nelle altre lingue del mondo, solitamente si ha sia un prestito dal latino o da lingue neolatine (es. inglese Mediterranean Sea) sia, più spesso, un calco dal senso di "mare medio, in mezzo (alle terre)" (es. tedesco Mittelmeer, ebraico Hayam Hatikhon (הַיָּם הַתִּיכוֹן), "il mare di mezzo", berbero ilel Agrakal, "mare tra-terre", giapponese Chichūkai (地中海), "mare in mezzo alle terre", albanese deti mesdhe, "mare in mezzo alle terre", georgiano khmeltashua zghva (ხმელთაშუა ზღვა), "mare in mezzo alle terre"). Il mar Mediterraneo è considerato l'archetipo di altri mari che hanno caratteristiche analoghe, ossia quella di essere circondati da più continenti o subcontinenti, anch'essi detti mediterranei: il Mediterraneo Australasiatico, il Mar Glaciale Artico, il Mediterraneo Americano. Storia Vero ponte tra territori, la regione del Mediterraneo è considerata culla di alcune tra le più antiche civiltà del Pianeta, nonché teatro principale della storia e della cultura della civiltà occidentale assieme al Medio Oriente e al Vicino Oriente. L'agricoltura insieme all'allevamento si diffuse sulle sue coste intorno al 6000 a.C. Successivamente, nella sua parte orientale, una più accentuata dinamicità culturale portò verso la nascita di aree urbane caratterizzate da fiorenti attività artigianali e da vivacità nei commerci. Grazie all'azione mediatrice dei Cretesi, dall'isola di Creta, centro della civiltà minoico-micenea (tra il III e il II millennio a.C.) si irradiarono intensi flussi commerciali che interessarono le coste anatoliche, la Grecia, l'Egitto, le coste del Libano, dell'Italia meridionale, della Sicilia e della Sardegna, contribuendo ad intensificare i rapporti culturali tra i tanti popoli rivieraschi. Dopo la crisi del 1200 a.C., quando l'intero sistema dei commerci venne sconvolto dalle distruttive invasioni dei Popoli del Mare causando il crollo dell'Impero ittita e della civiltà micenea, i successivi mutamenti politici crearono nella zona siro-palestinese il presupposto allo sviluppo dei centri fenici e la nascita dello Stato ebraico. Abili navigatori e altrettanto abili nei commerci, i Fenici (nome greco per indicare i Cananei) navigarono in lungo e in largo per tutto il Mediterraneo, esportando i prodotti del loro fiorente artigianato e importando materie prime, creando empori e porti commerciali e dando impulso alla creazione di città costiere come Cartagine. Nel VII secolo a.C., lungo le rotte commerciali tra oriente e occidente, ai Fenici si affiancarono i Greci, che impiantarono colonie nel bacino ionico, nel Tirreno e nell'Egeo fino al Mar Nero. Il costante aumento di nuovi insediamenti crearono forti tensioni fra i popoli rivieraschi a causa della concorrenza nei mercati, infatti l'espansione greca a occidente fu bloccata, nel 541 a.C., dall'alleanza tra Etruschi e Cartaginesi nella battaglia del Mare Sardo. Nel secolo successivo sempre i Greci furono protagonisti nell'epico scontro che, nel 480 a.C., li oppose alle mire di Serse nella battaglia di Salamina, salvando le loro terre dall'occupazione persiana. Le nascenti potenze di Roma e Cartagine sconvolsero nuovamente il Mediterraneo e lunghe guerre si conclusero con la consacrazione della potenza romana e la distruzione dei Punici. Da allora in poi, il Mediterraneo divenne per i Romani il Mare nostrum e su tutto il suo bacino si irradiò la civiltà e la potenza della Roma repubblicana e imperiale. Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente e la stagnazione dei commerci nel bacino occidentale, nell'Impero romano d'Oriente i Bizantini mantennero intensi i traffici marittimi fino a quando, nel VII e nell'VIII secolo, l'espansione islamica sconvolse nuovamente l'intero bacino, oltrepassando lo stretto di Gibilterra e giungendo fino in Spagna con la sua civiltà. Le Repubbliche marinare (Amalfi, Pisa, Genova e Venezia le più note, ma anche Ragusa, Ancona e Gaeta), i cui interessi commerciali in oriente erano minacciati dai pirati saraceni, contrastarono efficacemente questa espansione, ma sia i contrasti con le marinerie aragonesi, in aspra concorrenza sulle rotte verso levante, sia la caduta di Bisanzio nel 1453, portarono al declino dei traffici mediterranei, declino che si accentuò ancor più dopo il 1492 con la scoperta dell'America e che neanche la vittoria nella battaglia di Lepanto nel 1571 riuscì a fermare, arrivando nel Seicento alla drastica riduzione della potenza navale veneziana. Nel Settecento le debolezze dell'Impero ottomano favorirono le mire espansionistiche degli inglesi nel bacino occidentale, degli austriaci verso l'Adriatico e dei russi nel bacino orientale. Nell'Ottocento, durante le guerre napoleoniche, Francia e Gran Bretagna si scontrarono violentemente nel Mediterraneo, combattendo una guerra che vide gli inglesi prevalere e assicurarsi così il dominio incontrastato dei mari. Sempre nell'Ottocento, la costruzione del canale di Suez rese possibile il collegamento del Mediterraneo all'oceano Indiano e costituì un evento di fondamentale importanza per i commerci marittimi in quanto si evitava in questo modo la circumnavigazione dell'Africa per raggiungere via mare i ricchi mercati asiatici. Dalla fine degli anni Ottanta il Mediterraneo è attraversato dalle rotte dell'immigrazione dall'Africa verso l'Europa. Ogni anno alcune decine di migliaia di migranti economici, profughi e rifugiati politici raggiungono via mare le coste italiane, greche e spagnole. Negli anni duemila il Mediterraneo è stato descritto da analisti geopolitici come "medioceano", un corridoio strategico tra l’Indo-Pacifico e l’Atlantico. Morfologia Per quanto riguarda la topografia del fondale il Mediterraneo è diviso in due parti principali: il Mediterraneo occidentale, delimitato dal canale di Sicilia e caratterizzato da ampie piane abissali; il Mediterraneo orientale, molto più accidentato e dominato dal sistema della dorsale Mediterranea. Mediterraneo occidentale Il Mediterraneo occidentale comprende due bacini principali, quello algero-provenzale e il bacino tirrenico. Il primo occupa un'area più o meno triangolare che comprende il mare di Alborán, il mare delle Baleari, il canale di Sardegna, il mar di Sardegna, il mare di Corsica e il mar Ligure. Ha una superficie di circa e una profondità massima di circa In alcuni tratti costieri, tipicamente alle foci dell'Ebro e del Rodano la piattaforma continentale raggiunge anche i 60 km di larghezza, con un massimo di 72 km presso il Golfo del Leone. La larghezza minima si ha invece tra Genova e Tolone, dove il fondale è caratterizzato da ampi e profondi canyon. Le isole di Maiorca e Minorca hanno una piattaforma comune mentre Ibiza è separata da un braccio di mare profondo 800 m. Al centro del bacino si trova la piana abissale delle Baleari, profonda dai 2600 a i 2800 metri. Il bacino tirrenico è la parte più profonda del Mediterraneo Occidentale, raggiunge infatti i 3800 m di profondità (Fossa del Tirreno). Il fondale è caratterizzato dalla presenza di numerose dorsali e di rilievi di tipo vulcanico. Vi sono montagne e vulcani sottomarini che in alcuni casi si elevano fino a -500 m come il Marsili e il Vavilov. Poche e di modeste dimensioni sono le piane abissali fra le quali si trovano la piana di Corsica, la piana di Orosei, la piana di Olbia, la piana abissale tirrenica e il rialzo pliniano. Il bacino è praticamente chiuso, è messo in comunicazione con i bacini adiacenti da pochi stretti passaggi. A nord un canale profondo circa 3/400 m lo mette in comunicazione con il Mar Ligure, lo stretto di Bonifacio, profondo non oltre i 50 m, lo mette in comunicazione con il bacino algerino così come il profondo canale di Sardegna, caratterizzato dalla presenza della fossa algero-tirrenica, mette in comunicazione i due bacini a sud della Sardegna. Il canale di Sicilia, dal fondale basso e caratterizzato dalla presenza di banchi che possono ridurre la profondità a poche decine di metri, lo mette in comunicazione con il Mediterraneo Orientale. Mediterraneo orientale Fanno parte del Mediterraneo orientale il mare Adriatico, il mar Ionio, il mar Egeo, il mar Libico e il bacino del mar di Levante. Il mar di Sicilia bagna la costa sud-occidentale dell'isola, da Marsala al capo delle Correnti (in prossimità dell'omonimo isolotto). L'Adriatico ha una superficie di circa e una profondità massima di . Da un punto di vista morfologico può essere diviso in tre aree: la parte settentrionale completamente dominata dal delta del Po è un lento declivio nel quale la profondità non supera i ; la parte centrale, tra Ancona e il Gargano, è caratterizzata dalla presenza di una depressione detta "fossa del medio Adriatico" . La zona meridionale ha una piattaforma continentale che si restringe in corrispondenza della Puglia fino a circa ; fra la Puglia e l'Albania si trova la piana adriatica con una profondità media di circa e la massima di Da qui la profondità risale a circa in corrispondenza del canale d'Otranto che separa l'Adriatico dallo Ionio. Il mar Ionio si estende su una superficie di circa dalle coste della Libia e della Tunisia fino alla Grecia e all'Italia meridionale. Raggiunge la massima profondità nella fossa Calypso (detta anche fossa ellenica), al largo della costa meridionale del Peloponneso. Nello Ionio si trova la piana abissale più estesa del Mediterraneo. Il mar Egeo ha una superficie di circa e conta oltre 200 isole. Lo collega allo Ionio il Golfo di Corinto e numerosi canali profondi fra i e gli fra le isole di Rodi e Creta. Raggiunge la massima profondità in corrispondenza della fossa di Creta che si estende dal Golfo di Argolide a Rodi. Il Mar Libico si estende dalla costa sud di Creta fino alle sponde della Libia. Il Mar di Levante è la parte più orientale del Mediterraneo, ha una superficie di circa ed è delimitato a ovest dalla linea che congiunge Capo Ra's al-Hilal, in Libia con l'isola di Gavdos presso Creta. La piattaforma continentale è molto estesa sia presso il delta del Nilo sia nel golfo di Iskenderun. La massima profondità è di in corrispondenza della fossa di Plinio. Mari dipendenti Mar Adriatico Mare di Alborán Mare delle Baleari Mare di Corsica Mar Egeo Mar Ionio Mar di Levante Mar Libico Mar Ligure Mar di Marmara Mar di Sardegna Mar di Sicilia Mar Tirreno Golfi e canali più vasti Golfo della Sirte Golfo del Leone Canale d'Otranto Golfo di Taranto Canale di Sardegna Canale di Sicilia Canale di Malta Isole Le isole maggiori sono: Sicilia , Sardegna , Cipro , Corsica , Creta , Eubea , Maiorca , Lesbo , Rodi , Minorca , Chio , Cefalonia , Corfù , Ibiza , Gerba , Lemno , Samo , Nasso , Zante , Cherso , Veglia , Brazza , Andro , Taso , Leucade , Scarpanto , Malta , Geologia Il Bacino del mar Mediterraneo è composto da un complesso sistema di strutture generate dall'interazione tra la Placca euroasiatica e la Placca africana. Secondo la teoria della Tettonica delle placche, queste due placche si sono avvicinate con un movimento rotatorio durante gli ultimi 300 milioni di anni, durante i quali le zone intermedie tra le due placche si sono deformate, scivolando e ruotando tra di loro, sovrapponendosi e lasciando spazio per l'apertura di nuovi bacini interni. Circa 6 milioni di anni fa, forse a causa di eventi sismici tra le due placche e/o fasi glaciali, l'afflusso di acqua dall'oceano atlantico venne interrotto più volte. Ciò causò per una decina di volte l'evaporazione del Mediterraneo trasformandolo in distese desertiche, simili agli odierni Laghi Salati dello Utah. Successivi eventi ripristinarono il collegamento con l'Atlantico, anche attraverso l'ampio corridoio di Siviglia/Cordova (Corridoio Betico) che per un certo tempo sostituì il passaggio che si era temporaneamente chiuso a Gibilterra, riportando il livello dell'acqua del Mediterraneo al livello normale. Tali eventi vanno sotto il nome di crisi di salinità del Messiniano. La recente costituzione della zona Mediterranea è il risultato di questa complessa storia geodinamica e mostra una serie di microplacche deformate, zone mobili tra queste microplacche (le catene montuose) e vecchie e nuove croste oceaniche (i bacini). Non esiste tuttora una singola teoria complessiva per descrivere la storia di questo sistema, e numerosi modelli sono stati proposti. Il sistema del Mediterraneo normalmente viene suddiviso in tre aree principali: il sistema del Mediterraneo occidentale, del Mediterraneo centrale e del Mediterraneo orientale. Il sistema del Mediterraneo occidentale è composto dalla microplacca iberica, la catena dei Pirenei, la catena dell'Atlante (Marocco, Algeria e Tunisia occidentale), le isole Baleari e il bacino Mediterraneo occidentale. Il sistema del Mediterraneo centrale è composto dalla catena delle Alpi, la catena degli Appennini, l'Arco calabro peloritano, il Bacino tirrenico, il Bacino adriatico, il Bacino ionico, le zone mobile di deformazione della Tunisia orientale e la Libia occidentale. Il sistema del Mediterraneo orientale è composto dalla Catena dinarica, dal sistema dell'Arco ellenico (con l'isola di Creta), il Mar Egeo, il Bacino del Mediterraneo orientale, la Placca anatolica, la catena di Cipro, le zone mobili del Mediterraneo orientale (Libano, Israele, Egitto) e le catene nordafricane libiche. All'interno del bacino del Mediterraneo, in particolare in Italia e Grecia (e nei tratti di mare adiacenti), sono presenti numerosi vulcani attivi o quiescenti. Nella regione geografica italiana si possono individuare zone attive in Campania (Vesuvio e Campi Flegrei), Sicilia (Etna) e nei mari circostanti, in particolare Tirreno sud-orientale (Arco Eoliano) e Canale di Sicilia (Campi Flegrei del Mar di Sicilia). Nel Mediterraneo orientale si trova invece l'arco vulcanico dell'Egeo meridionale, il cui centro eruttivo più noto è quello presente nell'arcipelago di Santorini. Fra le eruzioni vulcaniche avvenute in età storica nel Mediterraneo, le più significative sono quella minoica nell'età del bronzo, quella del Vesuvio nel 79 d.C., e quella dell'Etna del 1669. Un'altra prova del fatto che il bacino del Mediterraneo sia una zona tettonicamente attiva è data dall'elevata sismicità di alcune sue regioni, in particolare gran parte della penisola italiana, di quella balcanica, di quella anatolica, e del Levante, nonché delle isole vicine (Sicilia, Creta e isole egee, Cipro). In tali regioni si sono verificati alcuni dei terremoti più disastrosi della storia, come quello di Antiochia del 526 o quello del Val di Noto del 1693. Tale sismicità espone le coste mediterranee anche al rischio di maremoti: alcuni fra i più significativi si verificarono ad esempio in occasione del terremoto di Creta del 365 (il cui tsunami arrivò a devastare Alessandria), o in quello di Messina del 1908 (probabilmente la più grave catastrofe naturale ad aver colpito l'Europa in tempi storici). Maremoti possono verificarsi anche in seguito ad attività vulcanica, come nel caso dell'eruzione del vulcano sottomarino Kolumbo (nei pressi di Santorini) nel 1649. Caratteristiche fisiche Il mar Mediterraneo è un bacino semichiuso con una forte evaporazione e un ridotto apporto di acque dolci fluviali, apporto influenzato da attività umane (dighe e sbarramenti). Nei mesi estivi l'evaporazione è relativamente ridotta a causa dei venti non eccessivamente frequenti, al contrario nei mesi invernali l'evaporazione è molto elevata a causa della prevalenza di venti secchi di origine continentale (Bora, Maestrale, Vardarac, Scirocco e Meltemi). L'evaporazione e il ridotto apporto di acque fluviali fanno sì che il Mediterraneo sia in costante deficit idrico. Questo viene compensato dall'oceano Atlantico che annualmente riversa nel Mediterraneo, attraverso lo Stretto di Gibilterra, tra d'acqua. Questo apporto di grandi quantità d'acqua provoca forti correnti durante tutto l'anno, favorendo la pulizia dei bassi fondali dello Stretto che, diversamente, nel corso dei millenni si sarebbe inevitabilmente chiuso. Le correnti superficiali Le correnti superficiali mediterranee si originano tutte dall'afflusso di acqua atlantica e seguono in prevalenza gli andamenti di tipo ciclonico, cioè antiorario. L'acqua atlantica, più fredda ma meno salata (motivo per cui rimane in superficie) entra nel Mediterraneo dopo aver lambito le coste del Marocco. Una volta varcato lo stretto di Gibilterra viene spinta a sud dalla forza di Coriolis e segue prevalentemente la costa nordafricana dando origine alla corrente algerina, ma una parte della massa d'acqua, scontrandosi con la corrente anticiclonica del mare di Alborán, si biforca verso nord in direzione delle isole Baleari. La corrente algerina, nel prosieguo del suo corso, si biforca nuovamente: una parte prosegue verso il canale di Sicilia, un'altra invece risale verso la Corsica e unendosi alla parte che fin dall'inizio si era diretta verso le Baleari dà origine alla corrente ligure provenzale catalana che scorre verso ovest lambendo le coste liguri, francesi e catalane e attraversando il Golfo del Leone. I bassi fondali del canale di Sicilia fanno sì che la corrente algerina si biforchi nuovamente, una parte risale infatti verso il Tirreno dando origine a una corrente ciclonica che in parte lambisce le coste liguri e si riunisce con la corrente ligure-provenzale catalana. La parte di corrente algerina che riesce a valicare il canale di Sicilia attraversa dapprima un'area prospiciente le coste della Tunisia e della Libia caratterizzata da correnti anticicloniche (il Golfo della Sirte) e poi forma la corrente africana che scorre lungo il mare di Levante dando origine alla corrente dell'Asia Minore che lambisce la costa Turca fino a Rodi. Nell'Adriatico, nello Ionio e nell'Egeo vi sono altre correnti minori di tipo ciclonico. Oltre alle citate correnti costiere vi è la corrente centro-mediterranea che scorre sopra la dorsale mediterranea in direzione Creta e Cipro. La corrente intermedia Lo strato d'acqua compreso fra i 200 e i 500 metri è interessato da un movimento in senso opposto a quello delle correnti di superficie. Origina infatti dal mar di Levante, il tratto di Mediterraneo con i più elevati valori di salinità, (si raggiunge qui il 39,1 per mille di salinità). D'inverno, con il calo della temperatura si ha un aumento della densità dello strato superficiale che "comprime" lo strato d'acqua inferiore dando origine alla corrente intermedia. Questa corrente è divisa in un ramo principale che percorre l'intero Mediterraneo e due rami secondari che attraversano l'uno il Golfo della Sirte e l'altro, più cospicuo, lo Ionio fino a entrare nell'Adriatico dove incontra le fredde acque invernali per poi uscire nuovamente dallo stretto di Otranto. Il ramo principale si dirige invece verso il canale di Sicilia dove, a causa dei fondali bassi e della portata della corrente di superficie, deve dividersi in due stretti passaggi laterali situati a quote diverse. L'acqua proveniente dal più settentrionale si dirige verso il Tirreno dove fa un lungo giro antiorario e in gran parte esce per ricongiungersi con il ramo secondario e risalire verso la Sardegna per poi seguire la costa francese e spagnola e uscire dallo Stretto di Gibilterra. Dalle analisi degli oceanografi pare che una goccia d'acqua entrata dallo stretto di Gibilterra impieghi circa 150 anni per compiere tutto il "giro" e ritornare, profondamente modificata nella composizione, all'oceano Atlantico. La circolazione profonda Le correnti di profondità interessano due aree del Mediterraneo, il bacino ligure provenzale e lo Ionio. In entrambi i casi le correnti originano nella stagione invernale in seguito a un rapido raffreddamento delle acque provocato dal vento. Nel primo caso il maestrale raffredda rapidamente le acque al centro del Golfo del Leone. In seguito all'aumento di densità l'acqua si dirige verso il fondo, sino ai 2000 metri di profondità, contribuendo al lento ricambio delle acque profonde. Nel bacino orientale è la Bora che abbassando la temperatura delle acque nel mare Adriatico origina una corrente diretta verso sud che si inabissa oltre il canale di Otranto e contribuisce al ricambio delle acque profonde dello Ionio. Clima Il clima di gran parte dei paesi che si affacciano sul bacino del Mar Mediterraneo è caratterizzato da estati calde e asciutte con piovosità concentrata nel periodo autunnale e invernale. Queste caratteristiche climatiche sono riscontrate anche in altre parti del Pianeta e precisamente nella California centro-meridionale, in Australia occidentale, in Sudafrica e nella parte centro settentrionale del Cile. L'influenza delle correnti marine ne costituisce uno dei fattori fondamentali in quanto queste convogliano acque la cui temperatura è più elevata rispetto alla latitudine, inoltre la vicinanza del tropico permette nei periodi estivi la permanenza di masse di aria calda e secca, come nei climi sub-tropicali. Di seguito viene riportato un grafico che riferisce la temperatura del Mediterraneo presso varie città marittime che vi si affacciano. Effetti del riscaldamento climatico In particolare il Mediterraneo, trovandosi nella zona di confine tra Africa e Eurasia è particolarmente sensibile al cambiamento climatico attuale ovvero al riscaldamento globale con il rischio sensibile di aumento della sua temperatura media e superficiale con possibili effetti, secondo gli studiosi, di Tropicalizzazione del Mediterraneo e Meridionalizzazione del Mediterraneo, già parzialmente in atto. Le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo sarebbero invece a rischio desertificazione per spostamento verso nord della cella di Hadley e con essa dell'anticiclone africano. Alcuni studi stimano un innalzamento medio delle temperature del bacino del mediterraneo di 6 °C tra il 2070 e il 2100. Questa variazione climatica secondo i modelli climatici produrrà siccità ed estati torride con notevoli riduzioni delle precipitazioni in inverno. Attivo in questo senso è il Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici. Ecosistema Nonostante il mar Mediterraneo sia un mare oligotrofico, quindi piuttosto povero di nutrienti, in esso è presente una grande biodiversità e circa il 28% delle specie presenti sono endemiche di questo mare. Tutto ciò è dovuto principalmente alla presenza di habitat diversificati che favoriscono l'insorgenza di nicchie ecologiche e alle condizioni idrologiche e climatiche proprie di questo bacino. Un'eccezione alla condizione oligotrofica si riscontra nei pressi delle foci dei numerosi grandi fiumi che vi affluiscono, dal Nilo al Rodano, dall'Ebro al Po. I loro delta formano veri e propri ecosistemi diversi sulle coste del Mare nostrum. Perès e Picard nel 1964 hanno messo a punto un sistema di classificazione dei vari tipi di ecosistemi presenti nel Mediterraneo che ancora oggi è utilizzato dalla maggior parte degli studiosi di questo mare. Questo sistema di classificazione si basa sia su fattori abiotici, come profondità, temperatura, tipi di substrati, ecc., sia sulle interazioni interspecifiche tra gli organismi. Rispetto agli organismi che vivono negli oceani, quelli che vivono nel Mediterraneo raggiungono dimensioni minori e possiedono un ciclo vitale piuttosto breve. Nel tratto di mare tra Liguria e Toscana è stata istituita un'area protetta denominata Santuario per i mammiferi marini, ove vivono varie specie di cetacei tra cui la balenottera comune. Nella stessa area è stato altresì riscontrato il più grande accumulo di microplastiche in sospensione. Produttori primari Nell'ecosistema costiero del mar Mediterraneo un ruolo fondamentale è svolto dalla Posidonia oceanica. Grazie al suo sviluppo fogliare produce un'alta quantità di ossigeno, fino a 20 litri al giorno per ogni metro quadrato di prateria. Contribuisce inoltre al consolidamento dei fondali e delle spiagge, proteggendole dalla erosione. Ma soprattutto le praterie marine di questa fanerogama sono l'ambiente ideale per la crescita di pesci, crostacei e altre forme di vita, costituendo una vera e propria nursery delle specie ittiche. Attualmente la Posidonia è in forte regressione in tutto il bacino mediterraneo, a causa dell'inquinamento chimico, ma anche delle opere di protezione costiera e dell'"aratura" dei fondali provocata dalle ancore delle barche e dalla pesca a strascico abusiva, sotto costa. Filtratori Si tratta di organismi microfagi, che si nutrono cioè di minuscole particelle di cibo sospese in acqua, che hanno un ruolo importante per il mantenimento dell'equilibrio dell'ecosistema. Tra essi vanno ricordati: i Copepodi, piccoli crostacei, raramente più lunghi di 1–2 mm, che si nutrono dei prodotti della fotosintesi oceanica e a loro volta costituiscono nutrimento per molti pesci. le Spugne (il Mediterraneo ne ospita oltre 500 specie), e in particolare quelle appartenenti alla famiglia delle Spongiidae, che costituiscono una tipica risorsa del Mediterraneo, oggetto di intenso sfruttamento commerciale i Coralli e in particolare il corallo rosso (Corallium rubrum), le cui colonie sono in preoccupante declino a causa della massiccia raccolta per la produzione di gioielli e monili, la gorgonia rossa (Paramuricea clavata), la gorgonia gialla (Eunicella cavolinii), l'Astroides calycularis e la Dendrophyllia ramea. le Ascidie (numerose specie tra cui Ascidia spp., Ciona intestinalis, Phallusia mammillata, Halocynthia papillosa). Detritivori Erbivori Carnivori Specie a rischio la tartaruga marina comune (Caretta caretta) il danneggiamento dei siti di nidificazione minaccia seriamente la sopravvivenza di questa specie; la foca monaca (Monachus monachus) è ridotta a 150-250 esemplari tutti concentrati nei mari Ionio ed Egeo e lungo le coste del Nordafrica; la tartaruga verde (Chelonia mydas) è praticamente quasi estinta e si ritrova ormai solo verso le coste di Cipro. la tartaruga liuto (Dermochelys coriacea) in base ai criteri della Lista rossa IUCN è considerata vulnerabile. la Pinna nobilis Altre specie a rischio (anche se non in condizioni allarmanti come le tartarughe e la foca) sono il delfino comune (Delphinus delphis), il tursiope (Tursiops truncatus), il grampo (Grampus griseus), la balenottera (Balaenoptera physalus), il capodoglio (Physeter macrocephalus), il tonno rosso (Thunnus thynnus) e il pesce spada (Xiphias gladius). Meridionalizzazione e tropicalizzazione Per tropicalizzazione si intende il processo di insediamento in Mediterraneo di specie provenienti da aree tropicali o sub-tropicali, mentre, per meridionalizzazione si intende lo spostamento verso nord dell'areale di specie tipiche delle coste sud di questo mare. In alcuni casi si tratta di specie (migrazione lessepsiana) passate attraverso il canale di Suez, provenienti dal Mar Rosso, ovvero di specie provenienti dalle coste africane dell'Oceano Atlantico, giunte attraverso lo stretto di Gibilterra. Un altro canale d'ingresso è rappresentato dallo scarico incontrollato delle acque di zavorra delle navi cisterna. Un contributo allo sviluppo del fenomeno è dato inoltre dai mutamenti climatici in corso, con il conseguente innalzamento della temperatura delle acque. Alcune di queste specie si sono ambientate e riprodotte benissimo, al punto di arrivare a soppiantare le specie autoctone e di essere comunemente pescate e commercializzate. Fra di esse ricordiamo: il pesce palla (Sphoeroides cutaneus), la ricciola fasciata (Seriola fasciata), il pesce scorpione (Pteroides miles), la triglia del Mar Rosso (Upeneus moluccensis). Sempre in conseguenza dell'aumento della temperatura delle acque si assiste a un significativo cambiamento di distribuzione della fauna ittica autoctona, che porta molte specie tipiche delle aree più calde del Mediterraneo a espandersi verso nord. È il caso del pesce balestra (Balistes carolinensis) o del pesce pappagallo (Sparisoma cretense). Il fenomeno dell'importazione di specie alloctone non riguarda solo i pesci, ma anche le alghe: alghe delle coste giapponesi (Laminaria japonica, Undaria pinnatifida e Sargassum muticum) sono state segnalate già dalla fine degli anni Sessanta, mentre più recentemente è stata segnalata la presenza di un'alga tropicale, la Caulerpa taxifolia che attualmente minaccia soprattutto un ampio tratto della costa francese tra Tolone e Mentone, moltiplicandosi a una velocità impressionante, ostacolando i cicli vitali degli altri organismi con alterazione degli equilibri ecologici. Stati e città affacciati sul Mediterraneo Gli stati che vi si affacciano sono: Costa settentrionale e europea Gibilterra (Regno Unito) Spagna Francia Monaco Francia (Cantone di Mentone) Italia Malta Slovenia Croazia Bosnia ed Erzegovina (Neum) Croazia (parte meridionale della Regione raguseo-narentana) Montenegro Albania Grecia (comprende isole continentalmente asiatiche) Turchia (Tracia orientale) Costa settentrionale e asiatica Turchia (esclusa la Tracia orientale e la provincia di Hatay) Cipro (quattro tratti di costa con l'exclave della città di Dekelia) (2 tratti di costa separati con l'exclave di Kokkina) Akrotiri e Dhekelia, tre tratti di costa separati (Regno Unito) Costa orientale e asiatica Turchia (Provincia di Hatay) Siria Libano Israele Palestina (Striscia di Gaza) Costa meridionale e asiatica Egitto (Penisola del Sinai) Costa meridionale e africana Egitto Libia Tunisia Algeria Marocco tre tratti di costa separati dalle Plazas de soberanía spagnole (Plazas de soberanía: da est a ovest Melilla, Peñón de Vélez de la Gomera e Ceuta) (Spagna) La tabella seguente, invece, riporta le maggiori città che si affacciano sul Mediterraneo. Note Bibliografia Italo Farnetani, Mediterraneo. Un mare di salute da Ippocrate ai giorni nostri, Mazara del Vallo (Trapani), Città di Mazara del Vallo; Rotary Club di Mazara del Vallo, 2021. Predrag Matvejević, Breviario mediterraneo, introduzione Claudio Magris, Milano, Hefti, 1988. Predrag Matvejević, Mediterraneo. Un nuovo breviario, prefazione di Claudio Magris, Milano, Garzanti, 1991. AA. VV., L'alternativa mediterranea, a cura di Franco Cassano e Danilo Zolo, Milano, Feltrinelli, 2007. Rosario Marco Atria, Il Mediterraneo e le sue "onde d'inciampo", "Dialoghi Mediterranei", 32, luglio 2018. John Julius Norwich, Il Mare di Mezzo. Una storia del Mediterraneo, traduzione di Chiara Rizzuto, Palermo, Sellerio, 2020. Voci correlate Mare mediterraneo (idrografia) Ecosistemi mediterranei Mar Adriatico Mar di Sardegna Mar Ionio Mar Ligure Mar Nero Mar Tirreno Lista di isole dell'Italia Canale di Sicilia, Stretto di Messina Mare nostrum Costa Bacino del Mediterraneo Unione per il Mediterraneo ICSR Mediterranean Knowledge Rai Med Altri progetti Collegamenti esterni CIESM The Mediterranean Science Commission
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Mediterraneo (disambigua)
Cinema Mediterraneo – film del 1991 diretto da Gabriele Salvatores Editoria Il Mediterraneo – quotidiano pubblicato a Palermo dal 1995 al 2000 Geografia Mediterraneo – mare circondato tra terre emerse Toponimi Mediterraneo – mare intercontinentale che si trova tra Europa, Africa e Asia Mediterraneo americano – mare intercontinentale che si trova tra America del Nord e America del Sud Mediterraneo – area geografica riferita agli stati che si affacciano sul Mar Mediterraneo Giochi Mediterraneo – gioco di ruolo di Andrea Angiolino Musica Mediterraneo - brano musicato da Giuseppe Blanc nel 1940 Mediterraneo/Se puoi parlare – singolo di Milva del 1972 Mediterraneo – singolo dei Pooh degli anni settanta Mediterraneo – album di Rosanna Fratello del 1980 Mediterraneo – album di Toto Cutugno del 1987 Mediterraneo – singolo di Mango, tratto dall'album Come l'acqua del 1992 Mediterraneo – album di Fabrizio De André del 2001 Mediterraneo – album dei Rio del 2011 Mediterraneo – EP di Jovanotti del 2022 Altri progetti
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Mendelevio
Il mendelevio è l'elemento chimico della tavola periodica di numero atomico 101 e il suo simbolo è Md. È un elemento transuranico metallico radioattivo della serie degli attinidi; viene sintetizzato per bombardamento dell'einsteinio con particelle alfa. Il suo nome è stato attribuito in onore al chimico russo Dmitrij Mendeleev. Caratteristiche I ricercatori hanno appurato che il mendelevio ha uno stato di ossidazione +2 moderatamente stabile oltre allo stato +3 tipico di tutti gli attinidi. 256Md è stato l'isotopo studiato per scoprire alcune delle caratteristiche dell'elemento in soluzione acquosa. Non è noto alcun uso del mendelevio e solo minime quantità in tracce sono state sintetizzate. Storia Il mendelevio fu sintetizzato per la prima volta da un gruppo di ricercatori composto da Albert Ghiorso (team leader), Glenn Seaborg, Bernard Harvey, Greg Choppin e Stanley Gerald Thompson all'inizio del 1955. Produssero il 256Md (emivita: 76 minuti) bombardando un bersaglio di 253Es con particelle alfa (nuclei di elio) nel ciclotrone dell'Università di Berkeley, negli Stati Uniti. 256Md fu praticamente sintetizzato un atomo per volta. Il mendelevio è stato il nono elemento transuranico ottenuto per sintesi. Isotopi Del mendelevio sono noti 15 isotopi radioattivi, le cui masse sono comprese tra 245,091 e . I più stabili tra essi sono 258Md (emivita: 51,5 giorni), 260Md (31,8 giorni) e 257Md (5,52 ore). Tutti gli altri isotopi hanno emivite inferiori ai 97 minuti e la maggior parte di essi inferiore ai 5 minuti. Questo elemento ha anche un metastato, 258mMd, con un'emivita di 57 minuti. Bibliografia Altri progetti Collegamenti esterni Elementi chimici
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Meitnerio
Il meitnerio è l'elemento chimico della tavola periodica, che ha come simbolo Mt e come numero atomico il 109. È un elemento sintetico il cui isotopo più stabile ha un'emivita di . Storia Il meitnerio è stato sintetizzato per la prima volta il 29 agosto 1982 da un gruppo di ricerca tedesco guidato da Peter Armbruster e Gottfried Münzenberg alla Gesellschaft für Schwerionenforschung di Darmstadt. Il gruppo di ricerca ottenne il nuovo elemento bombardando del bismuto-209 con dei nuclei accelerati di ferro-58. La creazione di questo elemento dimostrò che la tecnica della fusione nucleare può essere usata per creare nuovi nuclei pesanti. Il nome meitnerio fu suggerito in onore della fisica e matematica austro-svedese Lise Meitner, ma a causa di una controversia sulla denominazione degli elementi dal 101 al 109, la IUPAC adottò temporaneamente il nome unnilennio (Une). Nel 1997 con la risoluzione della disputa venne adottato il nome attuale. Bibliografia Altri progetti Collegamenti esterni Elementi chimici Metalli
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Milo Manara
Carriera Le prime collaborazioni Quarto di sei fratelli, è nato a Luson, in Alto Adige, ma ha vissuto sin dalla giovinezza a Verona (tuttora risiede a Sant'Ambrogio di Valpolicella). Studia presso il liceo artistico di Verona, successivamente si iscrive alla facoltà di Architettura di Venezia senza conseguire però la laurea. Più tardi si accosta alla pittura per poi abbandonarla in maniera polemica. Sul finire degli anni sessanta, Manara si ritrova a cercare lavoro come fumettista fra gli editori di Milano, con scarso successo data la poca propensione degli editori ad affidare un lavoro ad artisti senza passate esperienze lavorative. Questa fase di stallo viene risolta grazie all'intervento dell'amico Mario Gomboli che lo indirizza verso l'editore Furio Viano per cui realizzerà il suo primo lavoro nel 1969. Manara debutta quindi con il fumetto come autore di storie erotico-poliziesche della collana Genius, uno dei tanti fumetti neri nati come emuli di Diabolik. Genius ha però la curiosa caratteristica di essere nato come fotoromanzo, quindi con veri attori, per poi passare all'essere un fumetto per poter risparmiare sui costi di realizzazione. Anni settanta I suoi lavori per Genius sono notati dall'editore Renzo Barbieri (proprietario insieme a Giorgio Cavedon della casa editrice ErreGi, nota per i suoi fumetti erotici) che lo chiama a collaborare per la sua casa editrice realizzando alcune storie libere prima di giungere a Jolanda de Almaviva con cui l'autore prosegue il filone erotico-sexy; tutto questo avviene in un periodo in cui i fumetti sono realizzati in grandi quantità con ritmi serrati e pertanto è necessario bilanciare la qualità del disegno con la rapidità di realizzazione, spesso facendo pressione sugli artisti. Le avventure di Jolanda de Almaviva, graficamente ispirata a Senta Berger, sono pubblicate su albi distribuiti in edicola dall'ottobre del 1970 all'agosto del 1974 e narrano esotiche storie avventuroso-erotiche di pirati e filibustieri. I testi sono di Roberto Renzi e Gaburro & Gramegna che prendono spunto dal personaggio di Jolanda, la figlia del Corsaro Nero ideata da Emilio Salgari. L'arrivo di Manara alla realizzazione del personaggio salva la testata, che navigava in cattive acque, dalla chiusura. Dopo alcuni lavori realizzati per il mondo dei giovanissimi (Corriere dei ragazzi, 1974) Manara inizia prestigiose collaborazioni, come quella particolare con il giornalista Mino Milani. La prima storia disegnata da Manara per il Corriere dei ragazzi è La rivincita della Morte scritta da Andrea Mantelli, episodio che fa parte del cosiddetto filone dei "fumetti di cronaca", ovvero fumetti giornalistici che si muovevano fra storia e attualità con diverse serie (Fumetto verità, Il gioco del destino, Il fumetto della realtà e altri). Manara realizza varie storie brevi per queste serie e, su sceneggiatura di Milani, disegna alcuni degli episodi della serie a fumetti Dal nostro inviato nel tempo Mino Milani e la storia autoconclusiva Quella notte del 1580, quest'ultima incentrata sulle vicende del soldato veneziano Gerolamo Polidori. Gli ottimi risultati ottenuti da Manara nella creazione di queste opere lo faranno selezionare come illustratore di una nuova serie ideata sempre da Milani, La parola alla giuria, della quale Manara curerà i disegni di tutti gli episodi pubblicati fra il 1975 ed il 1976. Si tratta di un fumetto in cui vengono presentati importanti fatti storici (talvolta anche fatti letterari) sotto forma di processo ad alcuni grandi personaggi responsabili di controverse vicende, portati davanti a giudice e giuria per esporre i fatti con chiarezza. Fra le grandi personalità che costituiscono gli imputati di tali processi troviamo il generale Custer, Nerone, Robespierre, Elena di Troia, Alfred Nobel, Robert Oppenheimer, Attila o Isoroku Yamamoto; in queste storie Milani lascia una discreta libertà a Manara sulle inquadrature e la caratterizzazione dei personaggi. Manara collabora per un breve periodo anche con il successivo Corrier Boy, per cui disegna il personaggio di Chris Lean, protagonista di un fumetto poliziesco con le fattezze di James Dean, su testi di D'Argenzio. Sul versante satirico, risale a metà anni settanta la realizzazione, con Silverio Pisu, della rivista Telerompo. La collaborazione fra i due autori dà vita in questo caso a Lo scimmiotto: si tratta del recupero e della rivisitazione di un importante personaggio della letteratura fantastica cinese, lo scimmiotto Sun Wu-Kung, completamente riletto e adattato per costruire una chiara metafora di Mao Zedong e del popolo cinese, rielaborando e filtrando il clima di quegli anni e i sentimenti del 1968. In quest'opera Manara trova modo di ricominciare a disegnare le sue affascinanti figure femminili, questa volta nel contesto di un'avventura impegnata politicamente e socialmente, nonché impregnata di un profondo e dissacrante umorismo. L'importanza di questa opera è evidente anche nella collocazione che la stessa trova in rivista, infatti Lo scimmiotto è ospitato, a partire dal gennaio 1976, su alterlinus, rivista supplemento del mensile linus. La stessa coppia Manara-Pisu darà poi vita a una nuova affascinante avventura: Alessio il borghese rivoluzionario, via di mezzo fra disegno e racconto illustrato che sembra voler proseguire il filone iniziato con Lo scimmiotto. Questo racconto viene pubblicato su alteralter (nuovo nome assunto dalla rivista alterlinus) a partire dal novembre 1977. In questo caso i ruoli di scrittore e disegnatore risultano decisamente staccati in quanto il testo è separato e incolonnato distintamente rispetto ai disegni, consentendo ai due autori di esprimersi liberamente senza che l'interpretazione di uno sia costretta o falsata da quella dell'altro autore. In questi anni la sua fama travalica i confini italiani. Fra il 1976 ed il 1978 pubblica per l'editore francese Larousse una Storia di Francia a fumetti, La scoperta del mondo e La Cina. A partire dal 1978 si trova a collaborare anche con la storica rivista francese A suivre (all'epoca appena fondata) edita da Casterman, per cui fa nascere il suo alter ego fumettistico Giuseppe Bergman, chiara rappresentazione dell'autore: per A suivre realizza infatti l'opera H.P. e Giuseppe Bergman, dove H.P. sta per Hugo Pratt, maestro da sempre rispettato da Manara nonché fonte di preziosi consigli per la sua attività di fumettista. Proprio in quanto alter ego fumettistico di Manara, il personaggio di Giuseppe Bergman tornerà spesso nelle sue avventure visitando alcuni dei luoghi più affascinanti del mondo. In Italia, dal 1975 al 1978 realizza per l'editrice Publistrip le copertine dei primi 70 numeri del fumetto erotico Il montatore le fattezze del cui protagonista erano ispirate all'attore Lando Buzzanca. Nel 1978 disegna un volume della collana Un uomo un'avventura (edita dalla Cepim, ora Sergio Bonelli Editore) intitolato L'uomo delle nevi, racconto fantastico scritto da Alfredo Castelli (creatore di Martin Mystère) che narra gli imprevedibili esiti di una spedizione sull'Himalaya alla ricerca dello yeti. Ne L'uomo delle nevi sembra che Manara, anche grazie ad alcuni consigli di Pratt, trovi un suo equilibrio nella costruzione della tavola, assente nelle opere precedenti che cercavano di sperimentare costruzioni personali, ma non sempre perfettamente riuscite. Dalla fine degli anni '70 collabora inoltre con la Storia d'Italia a fumetti di Enzo Biagi edita da Mondadori. Anni ottanta Il personaggio di Giuseppe Bergman riappare in Un autore in cerca di sei personaggi del 1980, e poi in Dies irae del 1982: queste storie che sono identificate come Le avventure africane di Giuseppe Bergman, spesso sono pubblicate come un'unica lunga storia e sono considerate fra i migliori lavori dell'autore.Nel 1981 vede la luce L'uomo di carta (anche noto col titolo alternativo di Quattro dita) un'avventura scritta e disegnata da Manara in stile western realizzato su richiesta dell'editore francese Dargaud. In Italia il fumetto è ospitato dalla neonata rivista Pilot. Manara si allontana dallo sperimentalismo per narrare una storia ricca di umorismo, per di più parteggiando per gli indiani, cosa molto inusuale al tempo. L'erotismo è appena accennato nel complesso personaggio della nativa americana Coniglia Bianca. Nel 1982 Manara si trova a collaborare anche con la rivista per adulti Playmen, della Tattilo editrice, che gli commissiona un fumetto erotico (il nome di Manara viene fatto ai curatori della rivista dal giornalista televisivo Vincenzo Mollica). Manara è così libero di dare pieno sfoggio a un erotismo trasgressivo e non vincolato. Nasce la sua opera più nota e venduta, Il gioco, in cui Manara si diverte a smascherare ipocrisie borghesi narrando la storia di Claudia Cristiani, una stupenda donna dell'alta società che si ritrova completamente disinibita e succube di inarrestabili impulsi sessuali a causa di una misteriosa scatola che ne libera gli istinti inconsci. Il grande successo di quest'opera ha spinto Manara a realizzare ben tre seguiti, pure venati da temi di critica sociale o attualità nel contesto delle vicende, dallo sfruttamento dell'Amazzonia e dei popoli diseredati alla corruzione politica ed al marcio che alberga nei luoghi di potere. Il gioco 2 appare nel 1991 sulle pagine della rivista Totem e utilizza il personaggio di Miele, ideato per il fumetto Il profumo dell'invisibile (1986) e poi utilizzato nelle storie brevi Candid Camera (1988); nel 1993 è la volta de Il gioco 3 mentre il quarto episodio, Il gioco 4 del 2001, per ammissione dello stesso Manara, non ha la stessa ironia e leggerezza degli altri, è più sporco nel segno e più cupo nel tema trattato, fra intrighi politici, corruzione e multinazionali. Il successo di Manara come fumettista erotico sarà sancito in Italia a partire dal 1984, quando la casa editrice Edizioni Nuova Frontiera raccoglierà gli episodi pubblicati su Playmen e stamperà Il gioco in un volume che sarà fruibile dalla gran massa dei lettori. Questa avventura avrà un successo anche internazionale che segnerà la carriera di Manara e lo consegnerà alla storia del fumetto, non solo italiano appunto, con l'etichetta di "maestro dell'eros". Il gioco avrà numerose ristampe e da esso verrà tratto anche un film intitolato Le déclic diretto dal regista Jean-Louis Richard e interpretato dall'attrice Florence Guérin. A partire dall'ottobre del 1983, su testi di Hugo Pratt ispirati dal romanzo La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne, Manara disegna Tutto ricominciò con un'estate indiana sulla rivista Corto Maltese: il fumetto è considerato uno dei massimi capolavori dei due artisti e una delle più belle opere del fumetto italiano. Nel 1986, sulla rivista Totem, Manara inizia la pubblicazione de Il profumo dell'invisibile che sancirà il successo della seducente protagonista Miele. Con Pedro Almodóvar ha collaborato per Le feu aux entrailles (Parigi, 1993). Numerose sono le storie brevi realizzate da Manara, soprattutto nei primi anni della sua carriera e nelle quali l'autore talvolta raggiunge un ottimo equilibrio con risultati decisamente pregevoli, mentre altre volte si adagia su storie più banali e meno significative. Oltre alla già citata serie di storie Candid Camera (pubblicate sul supplemento L'Espresso Più de L'Espresso e poi su Comic Art e datate 1988) con protagonista sempre l'affascinante Miele, numerose storie varianti nei temi e nello stile, da quelle più apertamente erotiche come la maliziosa Il diario di Sandra F., in cui Manara mette in immagini le lettere di una sua affezionata lettrice a storie che privilegiano l'aspetto narrativo come la storia fantascientifica Fone o l'omaggio a Pratt avuto con Dedicato a Corto Maltese (in cui si comprende quanto Manara conosca a fondo il lavoro di Pratt e abbia assimilato i personaggi di Corto Maltese). Queste storie brevi sono pubblicate nel corso degli anni su numerose riviste ed affrontano i temi più disparati, dall'invadenza della pubblicità ai tristi retroscena dei concorsi di bellezza, dagli snuff movie all'inquisizione, approfittando spesso dell'occasione per omaggiare autori o opere amate dall'autore (dal Fellini di Reclame, al Picasso di Periodo Blu, dal Borges del già citato Fone, al Mors tua vita mea dedicato al pittore Paolo Veronese). E nell'elenco delle storie brevi realizzate da Manara non manca nemmeno la lasciva Salomé. Le storie sono realizzate per varie riviste nel corso degli anni, da Orient Express (Acherontia Atropos, sul tema degli snuff movie, pubblicata sul primo numero della rivista nel giugno 1982) a Frigidaire (L'ultimo tragico giorno di Gori Bau e Callipigia Sister, visionaria rappresentazione di una discesa all'inferno e pubblicato su Frigidare n. 25 del dicembre 1982). A partire dal mese di luglio del 1989 Corto Maltese pubblica il fumetto Viaggio a Tulum, da un soggetto di Federico Fellini per un film poi non girato. Su Il Grifo Manara pubblica anche Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet sceneggiato da Federico Fellini. Per Il Grifo Manara collabora con numerosi disegni sparsi, con due inserti Vietato ai minori è l'autore delle copertine dei numeri 1, 3, 8, 11, 15, 22, 24, 26, 30, 34, 35 e 36 (l'ultimo numero). Con l'espandersi della comunicazione multimediale, la sua attività si è diversificata orientandosi anche verso la realizzazione di vignette e illustrazioni per campagne pubblicitarie e contributi per Internet. Nel 1987 è la volta di Sognare forse…, fumetto che ci ripresenta il personaggio di Giuseppe Bergman impegnato in quelle che sono le sue avventure orientali. Il fumetto è ambientato in luoghi realmente visitati da Manara in viaggio e da lui fotografati. Alla prima apparizione del fumetto sulle pagine della rivista Corto Maltese si sono potute osservare alcune delle foto che fanno da palcoscenico alle avventure dei personaggi. L'idea di un viaggio in India da utilizzare per trovare spunti e idee per una nuova storia a fumetti da pubblicare sulla rivista Corto Maltese è venuta al direttore della rivista ovvero Fulvia Serra. Manara parte insieme a Franco Mescola, i due non riusciranno a seguire l'intero percorso voluto e il racconto finale sarà differente rispetto a quelle che erano le ipotesi iniziali, ma si tratta a ogni modo di un'avventura ricca e affascinante che gioca su più piani temporali e ambientazioni e ricostruisce con sapienza luoghi e atmosfere di paesi sconosciuti. Nel 1989 disegna la copertina del disco Stella dissidente di Enzo Avitabile. Anni novanta Dalla fine degli anni ottanta e novanta collabora con la rivista satirica Verona infedele insieme alla sorella Nives. Nel 1991, sulle pagine della rivista Il Grifo, rinasce la storica collaborazione di Manara con Pratt per una nuova avventura di respiro storico-avventuroso. Ambientata ai primi del '900 in Argentina questa nuova avventura si intitola El Gaucho. La storia narra le vicende di una flotta di soldati inglesi di stanza a Buenos Aires e di una nave bordello ricca di ragazze destinate a divertire gli ufficiali. La protagonista femminile del fumetto, Molly Malone, è plasmata sulle fattezze di Nancy Brilli. Il giovane tamburino Tom Browne si innamora perdutamente di Molly, e questo contrastato amore si situa sullo sfondo dello scontro di civiltà che interessa l'Argentina al tempo delle invasioni inglesi. La pubblicazione di El Gaucho su Il Grifo prosegue fino al 1994 con una vita editoriale travagliata a causa delle frequenti assenze del fumetto sulle pagine della rivista. Infine nel 1996 la realizzazione del primo CD-ROM su una sua storia, Gulliveriana, fumetto datato 1995, nasce a puntate per essere ospitato sui primi numeri della rivista di viaggi Gulliver. Il fumetto prende ispirazione dal capolavoro di Jonathan Swift I viaggi di Gulliver, ma l'affascinante protagonista destinata a vivere le incredibili avventure descritte nel romanzo diventa una bellissima ragazza (con inevitabili variazioni erotiche). I viaggi di Gulliver sono un testo che ben si presta a riduzioni fumettistiche, e un suo adattamento a fumetti da un altro importante autore erotico italiano si è già avuto con I viaggi di Bianca di Guido Crepax, in cui le vicende erano riproposte in chiave fantascientifica oltre che erotica. Con Appuntamento Fatale, conosciuto anche come Ballata in Si Bemolle, realizzato nel 1997, Manara continua ad utilizzare l'erotismo come marchio di fabbrica ma rinuncia al sesso gioioso e solare che ha portato al successo delle sue opere. La storia infatti narra una cupa vicenda di usura e le numerose scene erotiche, tutt'altro che piacevoli, rappresentano numerose situazioni di violenza e di sopruso. Sebbene Manara inserisca spesso dei temi sociali nei suoi fumetti, con risultati più o meno felici a seconda dei casi, il tema e l'ambientazione di questa storia l'hanno resa una delle meno apprezzate dai fan dell'artista, che non hanno condiviso l'assenza dell'erotismo leggero presente in altre sue opere. È seguito nel 1997 da Il gioco del Kamasutra. Si tratta di una serie di illustrazioni realizzate nel 1998 per un CD-ROM multimediale, una specie di gioco che si sviluppa e prosegue in base alle scelte dell'utente. Nel 1999 Manara adatta liberamente L'asino d'oro di Lucio Apuleio rielaborandolo facendo tesoro delle invenzioni visive e delle intuizioni del Satyricon di Fellini, in seguito ad una proposta ricevuta dalla casa editrice francese Humanoides Associes (l'editore della rivista Métal Hurlant). Sempre nel 1999 Manara torna anche ad occuparsi del suo Giuseppe Bergman proponendone una nuova avventura, A riveder le stelle. Il titolo richiama chiaramente La Divina Commedia di Dante Alighieri mentre la storia, illustrata con la tecnica dell'acquatinta, cerca di ripercorrere una sorta di storia dell'arte in una continua citazione di dipinti celebri. A riveder le stelle fa parte di quelle che sono conosciute come Le avventure metropolitane di Giuseppe Bergman e che comprendono anche L'Odissea di Bergman del 2004. Anni duemila All'inizio del XXI secolo realizza Tre ragazze nella rete, in cui affronta l'attualità di internet e delle webcam erotiche popolate di graziose ragazze discretamente disinibite. Manara continua a trattare storie che abbiano anche dei contenuti di critica sociale. Con Rivoluzione, realizzato nel 2000, Manara affronta il problema dell'invadenza e delle capacità manipolatrici della televisione. Il tema trattato è una specie di nuova Rivoluzione francese, questa volta rivolta contro la televisione e le subdole persone che la manipolano. Fuga da Piranesi, datato 2002, riporta invece l'autore alla fantascienza, tema poco trattato nella sua vasta opera (escludendo il racconto breve Fone). Ancora una volta l'autore tenta di parlare della manipolazione degli individui da parte di una società corrotta, ed infatti nelle ultime opere l'aspetto di attualità e di denuncia della corruzione politica e della manipolazione dei media, presente nelle sue opere, diventa più esplicito e meno sotterraneo. Chiaramente l'aspetto erotico continua ad avere un ruolo di rilievo, anche quando si innesta su trame che hanno come fine una palese critica sociale. Del 2002 è Il pittore e la modella, non un vero e proprio fumetto bensì una sorta di personale viaggio nella storia dell'arte nel corso dei secoli fatto da Manara concentrandosi sul rapporto pittore-modella ed osservando gli eventi ponendo particolare attenzione alle modelle ritratte in quadri famosi ed al loro rapporto con i pittori che le ritraevano. Si tratta quindi di una serie d'illustrazioni con testo a fronte che ci guida nella storia dell'arte. Nello stesso periodo inizia una collaborazione con la DC Comics per la sua sotto-etichetta Vertigo, realizzando la storia di Desiderio per il progetto The Sandman: Endless Nights di Neil Gaiman in cui sono presenti 7 storie realizzate da 7 grandi artisti (fra gli altri Miguelanxo Prado e Bill Sienkiewicz) dedicate a uno degli Eterni: Morte, Desiderio, Delirio, Sogno, Disperazione, Distruzione e Destino, personaggi della nota serie a fumetti di Gaiman, Sandman. Nel 2004 dopo la precedente avventura ispirata a Dante, torna Giuseppe Bergman nelle sue Avventure metropolitane, qui l'autore si ispira ad un'altra delle sue opere letterarie preferite e realizza L'Odissea di Bergman, in cui ripercorre alcuni momenti del capolavoro di Omero, chiaramente riletti in modo personale, non disdegnando di porre all'interno della narrazione le consuete divagazioni erotiche. L'Odissea di Bergman rappresenta la sesta, e ad oggi l'ultima, avventura di Giuseppe Bergman realizzata da Manara. Ha inizio sempre nel 2004 un'altra importante collaborazione di Manara con un nuovo maestro del fumetto come sceneggiatore ovvero Alejandro Jodorowsky e l'opera che nasce da questa collaborazione è l'epopea de I Borgia, in cui viene narrata la loro ascesa al potere, le vicende storiche, le perversioni e la caduta di questo illustre casato, e di cui sono stati pubblicati quattro volumi editi in Italia da Mondadori che sono: I Borgia vol. 1 - La conquista del papato (2004), I Borgia vol. 2 - Il potere e l'incesto (2006), I Borgia vol. 3: Le fiamme del rogo (2009) e I Borgia vol. 4: Tutto è Vanità (2010). Nel 2006, con il fumetto Quarantasei, Manara torna al semplice fumetto di evasione in una storia che ha come suo protagonista Valentino Rossi, che qui collabora anche al soggetto della storia. Si tratta di un'opera in cui l'erotismo tipico dell'autore è molto soft (relegato più che altro nelle fattezze delle belle protagoniste) e la trama rappresenta una sorta di avventura vagamente fantasportiva che giostra intorno all'asso dello sport rappresentato da Valentino Rossi. La colorazione dell'opera, non effettuata da Manara, è insolita per le opere dell'autore e ricorre in modo massiccio agli effetti della colorazione digitale. Nel 2008 realizza uno spot pubblicitario per la marca di materassi Permaflex. Alla fine del 2009 Marvel Italia – Panini Comics pubblica X-Men – Ragazze in fuga disegnato da Manara e scritto da Chris Claremont, incentrato sulle protagoniste femminili degli X-Men. Anni duemiladieci Nel 2011 una sua tavola è stata pubblicata sul giornale il Fatto Quotidiano, in cui è raffigurato il defunto Papa Wojtyla circondato da angeli di sesso femminile in pose provocanti e perlopiù svestite, ciò ha portato grande indignazione da parte della Chiesa cattolica. Lo stesso anno, il 18 dicembre, il programma di approfondimento Terra! dedica a lui la sua storia. Oltre che per il suo lavoro di fumettista Manara merita di essere ricordato per il suo lavoro di illustratore ed infatti la mole smisurata della sua produzione è arricchita dal vastissimo numero di disegni, illustrazioni, locandine cinematografiche (alcune per Fellini), illustrazioni per racconti e romanzi (anche per una raccolta di racconti scritti dal regista Pedro Almodóvar) e dai suoi eccezionali portfolio, alcuni tratti dalle sue opere (come Il gioco o Tutto ricominciò un'estate indiana) altri riguardanti temi più generali e talvolta socialmente impegnati. Nel 2015 pubblica Caravaggio, la tavolozza e la spada, una grandiosa biografia del Caravaggio. L’opera inedita, pubblicata da Panini Comics nella collana Panini 9L, è articolata in due volumi e due formati differenti, Regular e Artist Edition. Nel 28 settembre 2017 a Saint Tropez, la statua disegnata dal Milo Manara di Brigitte Bardot che sarà inaugurata a Saint Tropez all'inizio di giugno. L’opera, dal titolo “Monumento a Brigitte Bardot” è stata creata sul modello disegnato da Manara. Nel 2019 è l'autore del drappellone del Palio di Siena del 16 agosto. Nel 2020, durante le prime fasi della pandemia COVID-19, pubblica una serie di tavole a colori in omaggio alle categorie di lavoratrici e lavoratori più impegnate nel fronteggiare l'emergenza socio-sanitaria. Tavole il cui ricavato sarà devoluto a favore di alcuni Ospedali delle città di Milano, Napoli e Padova. Manara e Fellini Manara conobbe Fellini nel 1983, con il tramite del giornalista televisivo Vincenzo Mollica, esperto di fumetti e critico cinematografico. Nacque quasi subito una sincera amicizia inizialmente disinteressata a qualsiasi forma di collaborazione artistica. Solo nel 1986 Manara illustrò la sceneggiatura di Fellini Viaggio a Tulum, pubblicata, nel mese di maggio, sulla terza pagina del Corriere della Sera. Da questa sceneggiatura nacque il fumetto Viaggio a Tulum, pubblicato sulla rivista Corto Maltese. Nel 1992 Il Grifo pubblicò la prima parte della seconda collaborazione fumettistica fra i due: Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet. Quando usci il fumetto per errore nell'ultima tavola comparve la parola "fine", mai utilizzata da Fellini in nessuno dei suoi film, perché il regista non voleva porre una conclusione all'illusione del cinematografo. Fellini interpretò quella parola "fine" come un segno del destino e pose fine alla realizzazione delle altre due parti, di cui doveva essere composto il fumetto (ci rimangono solo monche sceneggiature e sparuti bozzetti). Manara disegnò anche il manifesto del film Intervista e de La voce della Luna, l'ultimo film di Fellini. Numerose e sparse nel tempo risultano le illustrazioni di Manara ispirate dal maestro del cinema (molte pubblicate su Il Grifo). La storia di Fellini disegnatore e della sua collaborazione con Milo Manara è stata dettagliata, nel 2010, nel testo Approdo a Tulum; le Neverland a fumetti di Fellini e Manara di Tripodi e Dalla Gassa, edito da Studio LT2, e, nel 2011, ripresa in Fellini e Manara. Tra mistero, esoterismo ed erotismo di Laura Maggiore, edito da Navarra Editore. Opere Saga di Giuseppe Bergman: 1978: H.P. e Giuseppe Bergman 1980: Un autore in cerca di sei personaggi 1982: Dies Irae (Le avventure africane di Giuseppe Bergman) 1988: Sognare forse... (Le avventure orientali di Giuseppe Bergman) 1999: A riveder le stelle (Le avventure metropolitane di Giuseppe Bergman) 2004: L'odissea di Bergman 1981: Quattro dita (anche noto come L'uomo di carta) (pubblicato in Italia sulla rivista Pilot) Saga de Il gioco 1982: Il gioco (da quest'opera è stato tratto il film francese Le déclic) 1991: Il gioco 2 1994: Il gioco 3 2001: Il gioco 4 1982: Acherontia Atropos 1982: L'ultimo tragico giorno di Gori Bau e Callipigia Sister 1985: «CHARLIE» ovvero «Il diario di Sandra F.» 1985: Il profumo dell'invisibile (da quest'opera è stato tratto il film d'animazione Le Parfum de l'Invisible) 1988: Candid Camera 1996: Gulliveriana 1997: Appuntamento fatale (anche noto come Ballata in si bemolle) 1998: Il gioco del Kamasutra 1999: L'asino d'oro 2000: Rivoluzione 2000: Tre ragazze nella rete 2002: Fuga da Piranesi 2006: Quarantasei (con Valentino Rossi) 2015: Caravaggio - La tavolozza e la spada 2019: Caravaggio - La grazia Lavori su soggetto/sceneggiatura di altri autori 1969-1970: Genius (testi di Furio Viano, Mario Gomboli, Nino Cannata e Remo Pizzardi) 1970-1974: Jolanda de Almaviva (scritto da Roberto Renzi, Gaburro e Gramegna) 1974-77: Il fumetto della realtà (scritto da Andrea Mantelli, Franco Frescura e Mino Milani, sul settimanale Corriere dei ragazzi) 1975: Un fascio di bombe (scritto da Alfredo Castelli e Mario Gomboli) 1975: Quella notte del 1580 (scritto da Mino Milani) 1975-76: La parola alla giuria. Processo a... (scritto da Mino Milani) 1976-77: Lo scimmiotto (scritto da Silverio Pisu, sul periodico Alterlinus) 1977: Alessio, il borghese rivoluzionario (scritto da Silverio Pisu, sul periodico alteralter) 1977: Chris Lean (scritto da Raffaele D'Argenzio) 1977: Volere e Potere (scritto da Graziano Origa, sul periodico Contro n. 10) 1978: L'uomo delle nevi (scritto da Alfredo Castelli, all'interno della collana Un uomo, un'avventura) 1978-2004: Storia d'Italia a fumetti (scritto da Enzo Biagi, Manara illustra solo alcuni episodi) 1983: Tutto ricominciò con un'estate indiana (scritto da Hugo Pratt) 1986: Viaggio a Tulum (scritto da Federico Fellini) 1992-1995: El Gaucho (scritto da Hugo Pratt) 1992: Il viaggio di G. Mastorna, detto Fernet (scritto da Federico Fellini, tratto dalla sceneggiatura de Il viaggio di G. Mastorna, film mai realizzato di Fellini) 2003: The Sandman: Endless Nights: Desiderio (scritto da Neil Gaiman) 2006-2010: I Borgia (sceneggiatura da Alejandro Jodorowsky) 2007: Gli occhi di Pandora (scritto da Vincenzo Cerami) 2009: X-Men: Ragazze in fuga (scritto da Chris Claremont) 2019: Adrian (scritto da Adriano Celentano) - character design 2023: Il nome della rosa (soggetto di Umberto Eco) Riconoscimenti Premio Yellow Kid al Salone Internazionale dei Comics (1978) Alfred per il miglior fumetto straniero al Festival d'Angoulême del 1987 per Tutto ricominciò con un'estate indiana Note Voci correlate Miele (personaggio) Altri progetti Collegamenti esterni Manara, Milo Illustratori di fantascienza Disegnatori italiani Studenti dell'Università IUAV di Venezia
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Mar Ionio
Il mar Ionio (in greco: Ιόνιο Πέλαγoς, Iónio Pélagos) è un bacino del mar Mediterraneo orientale, situato tra la Sicilia, l'Italia meridionale (Puglia, Basilicata e Calabria), l'Albania meridionale e la Grecia (Isole Ionie, Grecia Occidentale e Peloponneso). Etimologia Il mar Ionio (o Jonio) deriva dal latino mare Ionium, ed è in collegato all'antica Ionia e a una delle stirpi tradizionali greche, gli Ioni. La leggenda dice che il mare si chiami così (Io), figlia di Inaco, signore di Argo, che fu amata da Zeus in forma di giovenca, e quindi perseguitata da Era; per sfuggire alla dea avrebbe attraversato a nuoto il mare. Secondo un'altra leggenda, prende il nome dal personaggio della mitologia greca Ionio, figlio di Durazzo, nipote a sua volta di Epidamno figlio di Poseidone, dio del mare e dei terremoti. L'attestazione della dizione è riportata fino al IV secolo a.C. e designava proprio quel tratto di mare che separa l'allora Illiria dall'Italia. Storia Il nome di Ionio fu dato dapprima alla parte di mare compresa fra Corcira (Corfù) e il Promontorio Iapigio (a sud) e la costa italiana all'ingresso dell'Adriatico (a nord), e per estensione anche alla parte meridionale dell'Adriatico fino al Gargano (Erodoto, Tucidide). Nel I secolo, Strabone dava per limite settentrionale dello Ionio il Promontorio Acrocerauno e specificava (nel libro VII) che «Il golfo Ionio è parte di quello che ora si chiama Adriatico», mentre indicava come Mare Siculo lo Ionio meridionale, ossia la parte compresa fra la Sicilia e il Peloponneso. Anche Claudio Tolomeo attesta che la delimitazione del bacino idrografico del mare Adriatico possiede un confine preciso sulla costa settentrionale del Gargano, vicino alla città di Hyrium, piccolo castelletto di fronte alle isole Diomedee. Per Tolomeo le località degli Apuli Peucenti (Egnatia, Barium), e le località degli Apuli Dauni (Salapia, Sipuntum, Apenestae, Monte Gargano ed Hyrium) si trovano sul mare Ionio, mentre le località dei Frentani (fiume Tifernus, Buca e Histonium) sul golfo del mare Adriatico. Geografia Il mar Ionio è il bacino più profondo del Mediterraneo, infatti raggiunge in più punti una profondità di e tocca i nell'abisso Calipso, a sud ovest del Peloponneso (). Vi si affacciano le regioni italiane di Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia, la prefettura albanese di Valona, le periferie greche di Epiro, Isole Ionie, Grecia Occidentale e Peloponneso. Sul golfo di Corinto si affacciano inoltre le unità periferiche di Focide e Beozia (periferia della Grecia Centrale) e Attica Occidentale (periferia dell'Attica). A quest'ultima periferia appartiene infine il comune di Cerigo, costituito dalle isole di Cerigo e Cerigotto, convenzionalmente poste anch'esse nel mar Ionio. Le principali insenature sono, nella parte italiana, quelle di Taranto, di Squillace, di Catania; nella parte orientale quelle di Arta, di Patrasso, di Corinto, d'Arcadia, di Messenia, di Laconia. La parte centrale dello Ionio è libera da isole, e queste mancano anche sul lato occidentale (se si escludono piccoli isolotti lungo la costa italiana), mentre sul lato orientale si succedono le Isole Ionie, alcuni isolotti in prossimità del Peloponneso (da Proti a Cervi), Cerigo e Cerigotto. È collegato al mar Tirreno tramite lo Stretto di Messina; al Mar Libico attraverso una linea di confine che da Capo Passero, in Sicilia, arriva fino all'isola di Creta. In alternativa, l'Organizzazione idrografica internazionale riconosce come limite meridionale del mar Ionio il tratto da Capo Passero a Capo Matapan in Grecia. Il servizio meteorologico italiano Meteomar pone il confine meridionale lungo il 35º parallelo, dall'isola di Creta fino al meridiano passante per Capo Passero; al mar Egeo attraverso il canale di Corinto, e – più a sud – tramite una linea di demarcazione compresa fra capo Malea nel Peloponneso e l'isolotto di Agria, di fronte a capo Busa (Vouxa) sull'isola di Creta (); al mare Adriatico tramite il Canale d'Otranto, ossia lo stretto di mare fra Capo Linguetta, sulla costa albanese, e Punta Palascia, sulla costa italiana (linea A in figura). Riguardo alla linea di demarcazione tra Ionio e Adriatico, occorre precisare che esistono altre due convenzioni nautiche, che per esigenze di semplificazione seguono le linee dei paralleli e dei meridiani, discostandosi quindi dalla definizione fin qui data. In particolare: ai fini meteorologici (Meteomar) e delle Informazioni Nautiche degli Avvisi ai Naviganti, il limite marittimo tra Adriatico Meridionale e Ionio Settentrionale è dato dal 40º parallelo nord (linea B in figura): sulla costa italiana corrisponde a Punta Mucurone nei pressi di Castro: , sulla costa albanese corrisponde alla costa nei pressi di Lukovë: per i restanti Avvisi ai Naviganti (portolani, fari e fanali, Navarea III, ecc.) il limite convenzionale fra costa ionica e costa adriatica è invece posto a Santa Maria di Leuca (Punta Mèliso) a 18°22' E. L'Organizzazione idrografica internazionale, in coerenza con quest'ultima definizione, pone il limite meridionale dell'Adriatico lungo la linea immaginaria che va da punta Mèliso a capo Cefalo () sull'isola di Corfù (linea C in figura). Tra l'isola di Corfù e la costa albanese, il limite segue poi la linea da capo Karagol () fino alla foce del canale di Vivari (), nei pressi di Butrinto. Quest'ultima convenzione comporta che la costa settentrionale dell'isola di Corfù e le isole Diapontie sarebbero bagnate dal mar Adriatico. Golfi Golfo di Valona Golfo di Taranto Golfo di Squillace Golfo di Catania Golfo di Arta Golfo di Patrasso Golfo di Corinto Golfo di Arcadia Golfo di Messenia Golfo di Laconia Isole Sazan Isole Ionie Cerigo Cerigotto Coste Costa degli Achei Costa degli Aranci Costa dei Gelsomini Costa dei Saraceni Costa jonica lucana Penisole Penisola di Karaburun Penisola salentina Galleria d'immagini Note Voci correlate Mar Mediterraneo Mare Adriatico Mar di Sardegna Mar Ligure Mar Tirreno Sismofaults Altri progetti Collegamenti esterni
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Montalcino
Montalcino è un comune italiano di abitanti della provincia di Siena in Toscana. Per estensione territoriale, risulta essere il comune più grande della provincia. È una località nota per la produzione dei vini Brunello di Montalcino e del Rosso di Montalcino. Si colloca nel territorio a nord-ovest del Monte Amiata, alla fine della val d'Orcia, sul confine amministrativo con la provincia di Grosseto. Geografia fisica Territorio Il paesaggio si distende su un sistema collinare; nella zona del centro il paese sorge ad un'altitudine di 564 m s.l.m., ma in alcuni punti della zona si superano i 600 m s.l.m. come poggio Osticcio (624 m s.l.m.), il passo del Lume Spento (621 m s.l.m.) e il poggio Civitella (661 m s.l.m.) dove è situata un'antica fortezza etrusca. Clima Diffusività atmosferica: media, Ibimet CNR 2002 Storia La collina su cui si trova Montalcino è stata abitata probabilmente già in epoca etrusca, come dimostra il sito vicino di Poggio Civitella. Montalcino è menzionato per la prima volta in un documento del 29 dicembre 814, quando l'imperatore Ludovico il Pio concesse il territorio sub monte Lucini all'abate della vicina abbazia di Sant'Antimo. Sull'origine del nome di Montalcino esistono almeno due ipotesi. Alcuni ritengono derivi dal Mons Lucinus citato nel documento dell'814, nome in onore dalla dea Lucina o riferimento alla parola latina lucus, che significa "bosco sacro", o più genericamente "piccolo bosco". Altri, invece, fanno derivare il toponimo da Mons Ilcinus, dal latino mons (monte) e ilex (leccio), cioè "monte dei lecci", pianta assai diffusa nella zona rappresentata anche nello stemma cittadino. Con il trascorrere dei secoli il nome, ad ogni modo, si sarebbe poi trasformato, da Mons Lucinus o Mons Ilcinus, in Mons Elcinus e successivamente nell'attuale Montalcino. Il primo nucleo abitativo si ritiene risalga al X secolo. In questo periodo la popolazione ebbe un notevole incremento demografico quando si trasferirono in città gli abitanti di Roselle. Il nucleo abitativo originario si sarebbe esteso nel corso dei secoli fino a raggiungere, nel XIV secolo, le dimensioni attuali. Grazie alla posizione della città, dominante la cima di una collina, dai suoi viali la vista può spaziare sulle valli dell'Ombrone e dell'Asso. In epoca medievale l'attività economica prevalente era la conceria e Montalcino disponeva di numerose fabbriche per la lavorazione del cuoio, fabbriche che erano celebri per la qualità dei loro prodotti. In seguito, com'è successo a molti centri abitati della provincia di Siena, anche Montalcino conobbe una gravissima crisi economica e demografica. Come molti dei borghi medievali della Toscana, Montalcino ha vissuto lunghi periodi di pace che hanno consentito agli abitanti una certa prosperità. Questa pace e il relativo benessere, tuttavia, sono stati interrotti da una serie di episodi estremamente violenti. Nel corso del tardo Medioevo Montalcino era ancora un comune indipendente di notevole importanza grazie alla sua posizione sulla vecchia Via Francigena, la strada principale tra la Francia e Roma, ma col passare del tempo entrò nell'orbita della potente Siena. Come un satellite di Siena, al momento della battaglia di Montaperti 1260, Montalcino fu profondamente coinvolto nei conflitti in cui anche Siena era implicata, in particolare in quelli con la città di Firenze nel corso del XIV secolo e del XV. Come molte altre città dell'Europa centrale e dell'Italia settentrionale, la città è stata anche interessata dalle lotte intestine tra i ghibellini e i guelfi (rispettivamente sostenitori del Sacro Romano Impero i ghibellini e sostenitori del Papato i guelfi). Fazioni dei due schieramenti controllarono la città in diversi momenti alla fine del periodo medievale. Dopo la caduta di Siena nel 1555 i nobili senesi si arroccarono in città per 4 anni con la speranza di poter un giorno ritornare a Siena, dando vita alla Repubblica di Siena riparata in Montalcino. Ma alla fine anche Montalcino entrò a far parte del Granducato di Toscana fino all'Unità d'Italia 1861. La situazione è radicalmente cambiata nella seconda metà del XX secolo. Nel caso di Montalcino la sua fortuna è stata quella di trovarsi al centro di una delle più importanti zone di coltivazione di uva. Il territorio, infatti, è celebrato per la presenza di vigneti di Sangiovese dai quali si ottiene il famoso Brunello di Montalcino e che vengono utilizzati, inoltre, per la produzione di due altri DOC: il Rosso di Montalcino e il Sant'Antimo. Il 1º gennaio 2017 il comune di Montalcino si è fuso con quello di San Giovanni d'Asso; il nuovo comune ha mantenuto la denominazione di Montalcino. Con questa fusione il nuovo comune è diventato il 36º comune più grande d'Italia per estensione, nonché il 5º della Toscana e il 1º della provincia di Siena. Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose Duomo di Montalcino Principale edificio religioso del comune, è concattedrale dell'arcidiocesi di Siena-Colle di Val d'Elsa-Montalcino. Dedicato al Santissimo Salvatore, è stato originariamente costruito nel XIV secolo, ma si presenta in stile neoclassico a causa dei lavori di ristrutturazione che ha subito nei primi anni del XIX secolo sotto la direzione dell'architetto senese Agostino Fantastici. Chiese parrocchiali Chiesa di Sant'Egidio Chiesa di San Lorenzo a Monterongriffoli Chiesa di Santa Maria Maddalena a Torrenieri Pieve di San Giovanni Battista a San Giovanni d'Asso Pieve di San Michele Arcangelo a Sant'Angelo in Colle Pieve della Santissima Annunziata a Montisi Pieve dei Santi Filippo e Giacomo a Castelnuovo dell'Abate Altre chiese Chiese di Montalcino Chiesa dei Bianchi Chiesa del Corpus Domini Chiesa della Madonna del Soccorso Chiesa di San Francesco Chiesa di San Lorenzo in San Pietro Chiesa di Sant'Agostino Chiesa di Sant'Antonio Abate Chiesa di Santa Croce Chiesa di Santa Maria delle Grazie Chiese nelle frazioni Pieve dei Santi Biagio e Donato a Camigliano Chiesa di San Michele, in località Castiglione del Bosco Pieve di San Sigismondo a Poggio alle Mura Chiesa della Madonna della Misericordia a Sant'Angelo in Colle Chiesa di San Giuseppe lavoratore a Sant'Angelo Scalo Pieve di Santa Restituta, in località Santa Restituta Chiesa di San Pancrazio ad Argiano Chiesa di San Pietro in Villore a San Giovanni d'Asso Chiesa della Misericordia a San Giovanni d'Asso Chiesa della Madonna del Tribbio a San Giovanni d'Asso Chiesa delle Sante Flora e Lucilla a Montisi Chiesa di Santa Lucia a Montisi Santuario della Madonna delle Nevi a Montisi Chiesa di San Biagio a Montelifré Ex pieve di Santa Maria a Pava, in località Pieve a Pava Pieve di San Pietro a Pava, in località Pieve a Pava Pieve della Natività di Maria, in località Pieve a Salti Chiesa di San Lorenzo a Vergelle Chiesa di San Biagio a Lucignano d'Asso Abbazie e conventi Abbazia di Sant'Antimo Badia Ardenga Convento dell'Osservanza Cappelle e oratori Cappella della Croce a Montisi Cappella di San Rocco a Montisi Cappella di Sant Antonio a Romitorio Cappella di Santa Caterina d'Alessandria a Montisi Oratorio di Sant'Antonio abate della compagnia del Santissimo Sacramento a Montisi Oratorio della Compagnia del Santissimo Rosario a Lucignano d'Asso Oratorio della Compagnia di San Rocco a Torrenieri Architetture civili La piazza principale di Montalcino è Piazza del Popolo. L'edificio principale della piazza è il palazzo comunale, detto anche Palazzo dei Priori (fine XIII secolo inizi del XIV). Il palazzo è adornato con gli stemmi araldici dei numerosi podestà che hanno governato la città nel corso dei secoli. Un'altissima torre medievale è incorporata nel palazzo. Vicino al palazzo comunale, si trova una struttura rinascimentale con sei archi a tutto sesto, chiamata La Loggia, che è stata iniziata alla fine del XIV secolo, e finita nei primi anni del XV, ma che ha subito numerosi lavori di restauro nel corso dei secoli successivi. Tra le altre architetture abbiamo il Teatro degli Astrusi e l'ex Spedale di Santa Maria della Croce. Architetture militari Le mura della città sono state costruite nel XIII secolo. La fortezza è stata costruita nel punto più alto della città nel 1361, ha struttura pentagonale ed è stata progettata dagli architetti senesi, Mino Foresi e Domenico di Feo. La fortezza incorpora alcune delle preesistenti strutture tra cui il bastione di San Martino, la torre di San Giovanni e un'antica basilica, che ora serve come cappella del castello. Castello Romitorio, già esistente in epoca Romana, la attuale fortezza è stata edificata nei primi del 1500 da Giuliano da Sangallo. Siti archeologici Sito di Poggio alle Mura Nel 2007, in località Poggio alle Mura, sono stati rinvenuti i resti fossili di una balena vissuta nella zona oltre quattro milioni di anni fa, nel periodo pliocenico in cui le calde acque del mare tirrenico ricoprivano l'area occupata dagli attuali vigneti. Pieve a Pava La pieve di San Pietro a Pava era un edificio religioso che sorgeva in località Pieve a Pava, nel comune di Montalcino. Sorse nei secoli IV-V presso il vicus romano di Pava, e apparteneva alla diocesi di Arezzo. Lo studio e la conservazione di questa zona sono gestiti dalla Fondazione Paesaggi Archeologici della Val d'Asso Onlus, che ha sede nel paese. Poggio Civitella Poggio Civitella, a circa 2 km da Montalcino; sito etrusco datato al VI fino al III secolo a.C.. Società Evoluzione demografica Etnie e minoranze straniere Secondo i dati ISTAT al 31 dicembre 2019 la popolazione straniera residente era di 860 persone. Le nazionalità maggiormente rappresentate in base alla loro percentuale sul totale della popolazione residente erano: Albania 118 2,06% Romania 117 2,04% Kosovo 95 1,66% Tunisia 78 1,36% Cultura Musei L'edificio adiacente alla chiesa di Sant'Agostino, costruito originariamente come convento, è sede del Musei riuniti, che è sia un museo civico che un museo diocesano. Il museo ospita varie opere, tra cui un crocifisso ligneo di ignoto artista di scuola senese, due bellissime sculture lignee XV secolo e alcune altre sculture in terracotta che sembrano essere della scuola dei Della Robbia. La collezione comprende anche un San Pietro e San Paolo di Ambrogio Lorenzetti e una Madonna col Bambino di Simone Martini. Geografia antropica Frazioni Il territorio comunale di Montalcino, oltre al centro abitato capoluogo (567 m s.l.m., abitanti), possiede sette frazioni: Camigliano (234 m s.l.m., 32 abitanti) Castelnuovo dell'Abate (385 m s.l.m., 231 abitanti) Montisi (412 m s.l.m., 298 abitanti) San Giovanni d'Asso (310 m s.l.m., 329 abitanti) Sant'Angelo in Colle (444 m s.l.m., 204 abitanti) Sant'Angelo Scalo (106 m s.l.m., 194 abitanti) Torrenieri (258 m s.l.m., abitanti) Altre località del territorio Possiedono invece lo stato di nuclei abitati o borgate le seguenti località: La Croce, Lucignano d'Asso, Monte Amiata Scalo, Montelifré, Monterongriffoli, Poggio alle Mura, Tavernelle e Vergelle. Altre località notevoli sono invece quelle di Argiano, Badia Ardenga, Castelgiocondo, Castelletto Accarigi, Castel Verdelli, Castiglione del Bosco, Lambertone, Montosoli, Nacciarello, Pieve a Pava, Pieve a Salti, Romitorio, Santa Restituta, Sodole, Velona, Villa a Tolli, Villa Ferrano. Amministrazione Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute nell'omonimo comune. Sport Hanno sede nel comune la società di calcio A.S.D. Montalcino che ha disputato campionati dilettantistici regionali (attualmente in Prima categoria 2017-2018) e la società di tiro con l'arco A.S.D. Compagnia Ilcinese Arcieri Montalcino. Il comune ha ospitato tre tappe del Giro d'Italia: nel 1987 la 4ª tappa, Camaiore-Montalcino è stata vinta da Moreno Argentin; nel 2010 la 7ª tappa, Carrara-Montalcino è stata vinta da Cadel Evans, mentre nel 2021 l'11ª tappa Perugia-Montalcino è stata vinta dallo svizzero Mauro Schmid. Dal 2017 a maggio si tiene Eroica Montalcino, edizione primaverile de L'Eroica. Note Voci correlate Colline toscane Poggio Civitella Repubblica di Siena riparata in Montalcino Rustici di Montalcino Arcidiocesi di Siena-Colle di Val d'Elsa-Montalcino Crocifisso di Sant'Antimo Vini Brunello di Montalcino Rosso di Montalcino Sant'Antimo (vino) Moscadello di Montalcino Altri progetti Collegamenti esterni
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Marina di Grosseto
Marina di Grosseto (già San Rocco) è una frazione del comune italiano di Grosseto, in Toscana. Geografia fisica La frazione di Marina è una rinomata località turistica posta a 12 km da Grosseto. Importante centro balneare della Maremma Grossetana, è conosciuta per il suo retroterra collinare ricco di macchia mediterranea e per le ampie spiagge affacciate sul mar Tirreno, con una vasta pineta, nota come Pineta del Tombolo, che si estende da Punta Ala ai Monti dell'Uccellina. Il centro del paese si sviluppa presso la foce del canale emissario di San Rocco, al confine con il Parco naturale della Maremma, poco distante da Bocca d'Ombrone, foce del fiume Ombrone. Storia Il centro abitato sorge intorno all'antico nucleo di San Rocco, villaggio di pescatori, e le prime notizie di un insediamento residenziale risalgono al 1793 quando fu terminata la Torre del Sale commissionata da Ferdinando III di Toscana. In quel periodo il borgo marinaro di San Rocco era uno dei quattro posti di guardia istituiti per presidiare la costa dopo l'epidemia di peste che aveva colpito la città francese di Marsiglia. La "moda" dei bagni di mare sulla costa grossetana ha preso campo sul finire del XIX secolo quando i giovani erano soliti recarsi dalla città (per mezzo di carrozze a cavallo) nelle spiagge paludose e allora quasi disabitate per sfuggire all'afa cittadina. Con il tempo quegli stessi arenili sono diventate una località turistica di grande richiamo. Per le sue acque pulite Marina di Grosseto ha ricevuto la Bandiera Blu della FEEE (Foundation for Environmental Education in Europe). Marina di Grosseto ha subito una forte urbanizzazione dall'inizio del XX secolo e ancor più dopo l'opera di bonifica che ha interessato tutto il comprensorio maremmano negli anni trenta. Nel 2003 è stato inaugurato il porto turistico. Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose Chiesa di San Rocco, chiesa parrocchiale della frazione, è stata progettata dall'ingegnere Ernesto Ganelli e consacrata nel 1954. La chiesa ne sostituì una precedente edificata nel 1923 ed intitolata a Santa Maria della Vittoria. L'interno è decorato da mosaici realizzati nel 1958 dall'artista Luciano Favret e da affreschi di Arnaldo Mazzanti degli anni settanta. La parrocchia di Marina di Grosseto conta circa 1400 abitanti e comprende anche la vicina frazione di Principina a Mare. Cappella del Cristo, chiesetta situata nella località Il Cristo, è stata costruita agli inizi del XX secolo come luogo di culto e di preghiera per i fattori e gli operai che prestavano servizio all'interno della vicina tenuta di San Vincenzo d'Elba. Cappella della Canova, piccola cappella privata tra le località di Canova e Le Marze. Cappella di Santo Stefano, situata nei pressi della strada che collega Grosseto a Principina a Mare, si trova alla fattoria delle Strillaie, nei pressi della tenuta San Carlo. Architetture civili Colonie marine dell'infanzia: Colonia marina Giambattista Bodoni (in abbandono) Colonia marina Giuseppina Saragat (in abbandono) Colonia marina San Rocco (oggi scuola media e sede nazionale del Club velico) Colonia marina Villa Gaia (oggi struttura alberghiera) Complesso La Rosmarina, struttura residenziale situata nell'omonima zona di Marina, è stata realizzata tra il 1970 e il 1971 su progetto di Marco Maioli e Luigi Savio. Si tratta di una pregevole opera di architettura contemporanea. La Rotonda, storico stabilimento balneare di Marina di Grosseto, è stato costruito nel 1933 su progetto di Umberto Tombari. La struttura è stata frammentata e inglobata nel tessuto urbano durante la realizzazione del lungomare e degli edifici residenziali che vi si affacciano tra la fine degli anni novanta e i primi anni duemila. Sul lato spiaggia sorge lo stabilimento balneare che mantiene la storica forma a semicerchio delle cabine, mentre l'edificio principale, rimasto in disuso, è stato ristrutturato nel 2021 accogliendo un bar-ristorante che ne riprende le originarie linearità, il quale possiede sul tetto della struttura una terrazza panoramica affacciatasi sulla spiaggia. Villini di Marina: sin dai primi anni del XX secolo sono stati costruiti sul lungomare di Marina di Grosseto numerosi villini privati di grossetani facoltosi che nella stagione estiva si spostavano dalla città al mare. Durante il corso degli anni novanta, però, un poco lungimirante piano regolatore, il cosiddetto Piano Samonà del 1985 approvato nel 1996, ha permesso la demolizione e la trasformazione degli storici edifici in condomini e strutture ricettive. Dei villini originari ne rimangono attualmente poche unità: tra quelli del centro sopravvive solo il Villino Tirreno. Architetture militari Forte di San Rocco, situato al centro della frazione, nei pressi del porto, si tratta di un complesso fortificato realizzato nel 1793 dal granduca Ferdinando III con funzioni di avvistamento. Attualmente è adibito ad uso residenziale. Forte delle Marze, situato nel tratto costiero che da Marina di Grosseto arriva a Castiglione della Pescaia, si tratta di una struttura fortificata realizzata nel XVIII secolo sul luogo di una precedente torre di avvistamento, e svolse funzioni di avvistamento, difesa e raccolta del sale. Trasformato successivamente in una lussuosa villa, è ancora oggi di proprietà privata. Altro Cippo ai martiri di San Leopoldo, situato nella pineta del centro sportivo, si tratta di una grossa pietra in ricordo dei sei civili (Fortunato Falzini, Olga Marchetti Lari e il figlio Giancarlo, Roma Madioni, Luigi Botarelli e il figlio Livio) uccisi dai militari tedeschi il 12 giugno 1944 presso il casello idraulico di San Leopoldo. Un secondo cippo commemorativo è stato inaugurato il 12 giugno 2012 sul luogo dell'eccidio. Monumento ai caduti del mare, situato di fronte al porto turistico, è stato inaugurato l'8 luglio 2013. Alla base dell'installazione è stata posta una targa con scritto: «In ricordo dell'equipaggio del "Koala" precipitato sui monti dell'Uccellina il 12 ottobre 2001» e i nomi dei caduti (Pasquale Esposito, Marco Parmeggiani, Michelangelo d'Onofrio, Massimo Antonio Pirrotta). Del monumento fanno parte due grosse ancore appartenute alla nave da guerra Canopo F 551, fregata della Marina Militare radiata nel 1982. Società Evoluzione demografica Quella che segue è l'evoluzione demografica della frazione di Marina di Grosseto. Cultura Eventi Durante l'estate, il 16 agosto, si festeggia San Rocco, patrono della cittadina, con una sfilata di carri allegorici per la passeggiata in centro, e con fuochi d'artificio lanciati dalla riva del mare. Durante l'estate, al Porto della Maremma, il porto turistico della frazione, tutti gli anni da luglio ad agosto va in scena la rassegna "Le Sere al Porto". Nel Giugno del 2017 Marina di Grosseto ha ospitato le Frecce Tricolori per la prima volta. Geografia antropica La frazione è compresa nella circoscrizione n.6 Marina del comune di Grosseto. Si tratta di un popoloso ed esteso centro abitato, più simile ad una cittadina che ad un paese, che si sviluppa tra la spiaggia e la pineta. Marina di Grosseto, data la sua estensione, è divisibile in vari rioni o quartieri, non riconosciuti ufficialmente ma affermati tra la comunità: Centro, l'antico nucleo con il forte, il porto, la chiesa e le vie centrali; Rosmarina, la zona immersa nella pineta a nord del centro con le colonie marine; e Sciangai, sviluppatosi sul lato sinistro dell'emissario San Rocco e così denominato per la presenza fino a pochi anni fa di numerose capanne di pescatori nate spontaneamente da questo lato del canale. Intorno al centro abitato principale vertono poi le località di Canova, Casotto Venezia, Dirudino (dov'è situata l'area artigianale di Marina), Fiumara, Il Cristo, Le Marze, Pingrossino, Pingrosso, San Leopoldo. Infrastrutture e trasporti Strade Marina di Grosseto è collegata a Grosseto e ai maggiori centri della Maremma dalla ex strada statale 322 delle Collacchie, oggi strada provinciale 158 delle Collacchie tra Follonica e Grosseto, e strada provinciale 159 Scansanese tra Grosseto e Scansano. Porti La frazione è dotata di un porto, scalo turistico della città di Grosseto, il cosiddetto Porto di San Rocco. Piste ciclabili Inoltre, Marina di Grosseto è collegata alla città con la pista ciclabile Grosseto-Marina di Grosseto, a Principina a Mare con la pista ciclabile Marina di Grosseto-Principina a Mare, e a Castiglione della Pescaia con la pista ciclabile Marina di Grosseto-Castiglione della Pescaia. Sport Il 13 maggio 2005 la 6ª tappa del Giro d'Italia 2005 si è conclusa a Marina di Grosseto con la vittoria dell'australiano Robbie McEwen, maglia rosa Paolo Bettini. La frazione ha ospitato i campionati mondiali di vela Formula 18 nell'estate del 2013 e i campionati mondiali di vela classe Vaurien nel 2014. Galleria d'immagini Note Bibliografia Giuseppe Guerrini, Da San Rocco a Marina di Grosseto. 1789-1989, Pisa, Pacini, 1989. Serafina Bueti, Il forte di San Rocco: una struttura militare nel sistema difensivo del litorale toscano del secolo 18, Grosseto, Archivio di Stato, 1995. Elena Vellati, Maria Serena Fommei, Il nuovo forte di San Rocco. Da capanna a forte: storia di un edificio militare, Grosseto, I portici, 1996. Aldo Mazzolai, Guida della Maremma. Percorsi tra arte e natura, Firenze, Le Lettere, 1997, p. 22. Mario Innocenti, Stefano Innocenti, Marina di Grosseto. Il litorale maremmano da Bocca d'Ombrone al canale di San Leopoldo: dalle origini alla fine della seconda guerra mondiale, Grosseto, Innocenti, 1999. Corrado Barontini, Gaetano Telloli, Sciangai: cuore di Marina di Grosseto, Roccastrada, Il mio amico, 2002. Guide d'Italia. Toscana, Milano, Touring Club Italiano, 2012, p. 892. Voci correlate Grosseto Maremma Altri progetti Collegamenti esterni Marina di Grosseto
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Musica barocca
Il termine Barocco fu introdotto nella storiografia per classificare le tendenze stilistiche che segnano l'architettura, la pittura e la scultura, e per estensione la poesia e la letteratura, tra il XVII secolo e la prima metà del XVIII. Il termine "barocco" fu utilizzato per definire uno stile della musica a partire dai primi del Novecento, come vediamo nel saggio di Curt Sachs Barokmusik del 1919. In campo musicale il Barocco può essere considerato come uno sviluppo di idee maturate nel tardo Rinascimento ed è perciò difficile, e anche arbitrario, voler stabilire una netta demarcazione cronologica precisa di inizio e di fine del periodo barocco in musica. Dal punto di vista geografico, la musica barocca ha origini in Italia, grazie al lavoro di compositori come Claudio Monteverdi, benché verso la metà del XVII secolo essa iniziasse a prendere piede e svilupparsi anche in altri paesi europei, sia attraverso i musicisti italiani (compositori, cantanti, strumentisti) che vi erano emigrati, sia attraverso i compositori autoctoni che svilupparono un autonomo indirizzo stilistico, come per esempio in Francia dalla seconda metà del XVII secolo. Il termine "musica barocca" è rimasto convenzionalmente in uso per indicare indistintamente qualunque genere di musica evolutosi fra il tramonto della musica rinascimentale e il sorgere dello stile galante e poi di quello classico, in un arco cronologico che, secondo gli schemi di periodizzazione adottati dai maggiori dizionari e repertori bibliografici musicali andrebbe dal 1600 (prima opera giunta integra fino a noi) al 1750 (morte di Johann Sebastian Bach) Il termine "musica barocca", pur entrato nel linguaggio comune, e la relativa periodizzazione, tuttavia, non sono praticamente più utilizzati dalla musicologia, a causa dell'estrema varietà di stili e dell'eccessiva ampiezza temporale e geografica, che non consente di vedere in modo unitario e coerente diverse manifestazioni dell'arte musicale. Del problema era già cosciente il musicologo Manfred Bukofzer che nel 1947 pubblicò il libro Music in the Baroque Era from Monteverdi to Bach, a lungo rimasto manuale di riferimento, in cui significativamente preferiva parlare, già dal titolo, di Musica nell'età barocca e non di "musica barocca". In altre parole per Bukofzer la musica barocca, intesa come uno stile unitario ed organico, non esisteva. Per questo motivo proponeva di adottare, invece, il criterio della distinzione tra i tre grandi stili che attraversano la musica occidentale tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento: lo stile concertante italiano, lo stile contrappuntistico tedesco e lo stile strumentale francese; operando, poi, un'ulteriore bipartizione, ovvero quella tra idioma strumentale e idioma vocale. Esso tuttavia presuppone una rigida visione dei fenomeni musicali legati a un'ideologia nazionalistica di stampo ottocentesco, contraddetta dai fatti storici, che non tiene in debito conto la circolazione di idee, pratiche sociali e musicali, come pure di musicisti e musiche nell'Europa del XVII e XVIII secolo. Nel 1982, in un volume della Storia della musica a cura della Società Italiana di Musicologia, dedicato alla musica del XVII secolo, il musicologo Lorenzo Bianconi rifiutava di usare il termine "barocco" o anche "musica dell'età barocca", a motivo dei fenomeni diversi e antitetici, e dell'eterogeneità di tante correnti e tradizioni che caratterizzano la musica di quell'epoca storica. In generale, oggi, in campo musicologico più che di "musica barocca" si preferisce talvolta parlare di "musica del Seicento", estendendo questa periodizzazione non soltanto alle musiche prodotte nel XVII secolo, ma anche a quelle di compositori nati in quel secolo, oppure di scorporare il primo Settecento, definendolo come "l'età di Bach e Handel", massimi compositori dell'epoca, legati al linguaggio musicale ereditato dal Seicento e a una scrittura fondata sul contrappunto, pur fondato sulla moderna tonalità e sull'armonia che ne consegue, e sul suo sfruttamento in senso espressivo. La musica dei due sommi compositori tedeschi è caratterizzata da elementi tanto dello stile italiano che francese, da loro magistralmente assorbiti, elaborati e adoperati in modo originale nella loro produzione. Problemi di definizione Il termine "barocco" dal latino verruca (escrescenza) compare nelle lingue neolatine del XVI e XVII secolo (berruecca in portoghese, barrucco in spagnolo, baroque in francese) a indicare perle o pietre preziose deformi o irregolari. Barocco divenne una categoria estetica nella cultura francese del Settecento per giudicare opere d'arte ritenute eccessivamente innaturali, irregolari, forzate, ampollose. In campo musicale fu il filosofo Jean-Jacques Rousseau, nel suo Dictionnaire de musique (1768), a parlare di musique baroque, per definire un genere di musica in cui «l'armonia è confusa, sovraccarica di modulazioni e dissonanze, il canto duro e poco naturale, l'intonazione difficile e il movimento forzato». Principale bersaglio dell'aspra critica erano le musiche delle opere di Rameau, Lully e di altri francesi, il cui stile veniva contrapposto alla naturalezza di quello dell'opera italiana; ma la critica avrebbe potuto essere rivolta anche alle musiche di Bach e Händel. In effetti, pur senza usare il termine "barocco" il critico musicale tedesco Johann Adolph Scheibe nel 1737, con parole simili a quelle di Rousseau, aveva rivolto pesanti critiche a Bach, la cui musica, a suo dire, "ampollosa e confusa", aveva "soffocato la naturalezza e oscurato la bellezza" con una scrittura troppo complessa e artificiosa. In questo senso l'opera italiana del pieno Settecento, e in particolar modo l'opera cosiddetta "napoletana", che dominò le scene europee a partire dagli anni Trenta del XVIII secolo, grazie proprio alla naturalezza del canto e al prevalere di un'armonia facile all'ascolto sul contrappunto, non può propriamente rientrare nell'ambito della musica barocca, essendo ad essa contrapposta nel giudizio dei contemporanei. Celebre è lo sferzante ma esemplificativo giudizio che nel 1745 Handel diede sull'emergente operista Christoph Willibald Gluck, una delle figure di spicco del teatro musicale di quel secolo: «[Gluck] non sa di contrappunto più del mio cuoco Waltz». La definizione di "musica barocca" formulata da Rousseau, riferita a un particolare stile compositivo che appariva ormai superato nell'estetica musicale del Settecento, fu fatta propria da uno dei maggiori teorici tedeschi, Heinrich Christoph Koch che nel suo Musikalisches Lexicon (1802) riprese quasi alla lettera la definizione del filosofo francese. In senso svalutativo, "barocco" continuò ad essere usato per definire espressioni d'arte, ma anche di musica, che si discostavano dai canonici estetici fissati da critici e teorici tra la fine del XVIII e la prima metà del XIX secolo. Fu soltanto dalla seconda metà del XIX secolo che il termine barocco passò ad indicare lo stile artistico di un'epoca successiva al Rinascimento. Jacob Burckhardt, nel suo manuale Il Cicerone (1855), dedicò un capitolo all'arte post-michelangiolesca, intitolato Stile barocco, rimarcandone gli aspetti di decadenza rispetto al Rinascimento. Verso la fine dell'Ottocento, Heinrich Wölflin riprese il termine in senso storico, più neutro e non svalutativo, e propose anche di allargare il suo uso alla letteratura e alla musica nel suo saggio Rinascimento e Barocco (1888). Nel barocco Wölflin vedeva uno stile non necessariamente legato a un'epoca, caratterizzato da elementi stravaganti, bizzarri, eccessivi, esuberanti, in contrapposizione a elementi quali ordine, equilibrio, proporzione, simmetria che denotavano lo stile classicistico. In campo musicologico Curt Sachs, nel saggio Barockmusik (1919), si richiamò alle posizioni di Wölflin sullo stile barocco in arte e in letteratura, applicandole in maniera sistematica alla musica: Sachs, in una prospettiva di stampo positivistico, tipica della musicologia del suo tempo, si sforzava di delineare le caratteristiche specifiche dello stile barocco in musica (per esempio, l'uso dell'ornamentazione, della variazione della melodia, oppure la scrittura monodica con basso continuo) cercando di metterle in rapporto con le novità stilistiche della pittura barocca. Questo tipi di classificazioni dello stile sulla base di caratteristiche interne alle composizioni ha comportato che alcuni studiosi nella prima metà del Novecento identificassero il barocco in musica con "l'età del basso continuo", sebbene tale pratica perdurasse a lungo nel XVIII secolo, anche in musiche di stile completamente diverso (galante, classico). Tuttavia, tale periodizzazione rimane questione controversa e condizionata dagli inevitabili mutamenti estetici nel corso del tempo. Molti musicologi sono oggi consapevoli di quanto sia improduttivo lo sforzo di inquadrare sotto un unico concetto storico-estetico un secolo e mezzo di produzione musicale, sviluppatosi attraverso pratiche, musicali e sociali, caratteri e momenti sensibilmente diversi tra un paese europeo e l'altro. Basti pensare alla marcata differenza tra lo stile italiano e quello francese, ben evidenziata fin dalla seconda metà del Seicento negli scritti di critici, letterati e memorialisti d'Oltralpe, che mettevano a confronto musica italiana e francese, come quelli di François Raguenet e Jean-Laurent le Cerf de la Vieville. Ancor più improduttivo appare lo sforzo di creare a tutti i costi una periodizzazione della "musica barocca" o "dell'età barocca", in modo da farla forzatamente combaciare con quelle di altre espressioni artistiche, come la pittura, l'architettura e la poesia. Caratteristiche generali I caratteristici elementi della produzione musicale di questo periodo sono i cambi repentini di tempo, i passaggi di grande virtuosismo strumentale o vocale e l'uso del contrappunto e della fuga, oltre a uno sviluppato senso dell'improvvisazione. Il barocco colossale Lo stile "barocco colossale" è un nome che è stato coniato per descrivere un numero di composizioni dal XVII al XVIII secolo scritte in una maniera opulenta, sontuosa e in larga scala. Inoltre in questi lavori venne fatto uso di tecniche policorali e spesso erano caratterizzati da una dotazione di strumenti quantitativamente superiore alla media dell'epoca. Il primo barocco colossale fu uno stile italiano, nato per rappresentare i successi della controriforma. I pezzi erano tipicamente a 12 o più parti, ma è evidente che non sempre gli aspetti policorali interessavano il largo spazio (ad esempio nel Exultate Omnes di Vincenzo Ugolini ci sono passaggi a tre per tutti i soprani, tenori e contralti; questo sarebbe apparso assurdo suonarlo in un ampio spazio). Tuttavia alcuni lavori vennero piacevolmente eseguiti dai cantanti e dagli strumentisti nella Cattedrale di Salisburgo. Un altro compositore del barocco colossale fu Orazio Benevoli, il quale fu confuso con Heinrich Ignaz Franz Biber e Stefano Bernadi come compositore della Missa Salisburgensis. La musica del barocco colossale fu una parte filosofica della controriforma e si diffuse oltralpe, nell'Impero austriaco, a Vienna e Salisburgo, dove le composizioni a più parti furono scritte per le occasioni particolare, anche se non vennero pubblicate impedendoci oggi la conoscenze di numerosi lavori prodotti da maestri italiani come Valentini (alcuni per 17 cori), Priuli, Bernardi (la messa per la consacrazione della Cattedrale di Salisburgo) e altri. Storia Primo barocco La Camerata de' Bardi fu un gruppo di umanisti, musicisti, poeti e intellettuali della Firenze tardorinascimentale che si raccolsero attorno al patronato di Giovanni Bardi, conte di Vernio, per discutere e influenzare la moda artistica dell'epoca, soprattutto nella musica e nel teatro. Per ciò che riguarda la musica, i loro ideali si basavano sulla ricezione del valore del discorso e dell'orazione nella musica del teatro classico, in particolare greco. La Camerata rifiutava perciò l'uso che gli autori a essa contemporanei facevano della musica strumentale e della polifonia, creata da linee melodiche indipendenti, e ripresero in considerazione mezzi musicali dell'Antica Grecia come la monodia, che consisteva in una linea di canto solista accompagnata dalla cetra. Una prima realizzazione di tali idee estetiche è rappresentata dalle opere Dafne, prima composizione in assoluto a poter essere definita opera, ed Euridice di Jacopo Peri. Nella teoria della musica del tempo si diffuse l'uso del basso cifrato, definendo l'inizio dell'importantissimo ruolo dell'armonia nella composizione musicale, anche come fondamento verticale della stessa polifonia. L'armonia può essere considerata come il risultato ultimo del contrappunto, essendo il basso cifrato una rappresentazione grafica delle armonie comunemente impiegate nell'esecuzione. Medio barocco Tardo barocco Musica strumentale Il concerto grosso Il termine concerto grosso indica una prassi della musica sacra del XVII secolo, che prevede la suddivisione delle voci e degli strumenti in due gruppi: uno formato da pochi e scelti solisti, detto "concertino"; l'altro formato da un più numeroso gruppo vocale e/o strumentale, detto "ripieno" o appunto "concerto grosso". Benché tale prassi si descritta da Ludovico Viadana nei suoi Salmi a quattro cori (1612), dalla metà del Seicento circa, essa fu utilizzata nella musica sacra per soli e coro di ripieno. In seguito tale genere di scrittura fu applicato anche agli accompagnamenti strumentali delle arie, dividendo gli strumenti in "Soli", nella concertazione con la voce, e "Tutti" nei ritornelli a inizio e fine strofa, come si vede per esempio nella musica di Alessandro Stradella e Bernardo Pasquini. Verso il 1680 o poco prima la prassi fu introdotta nella musica strumentale da Arcangelo Corelli, che la sperimentò essendo spesso chiamato a dirigere, come primo violino, orchestre molto più grandi dell'ordinario, di 50, 100 e perfino 150 elementi. Nei suoi aspetti strutturali il concerto grosso richiama l'organizzazione in più movimenti della coeva sonata a tre, anche nella suddivisione nei due generi "da chiesa" e "da camera". I concerti composti da Corelli nell'arco di un trentennio furono da lui dati alle stampe nella raccolta Concerti grossi, op.6, uscita postuma ad Amsterdam nel 1714. I dodici concerti grossi della raccolta sono l'esempio più alto del genere: la musica è ripartita tra un gruppo di solisti (nel caso di Corelli, due violini e un violoncello) detto "concertino" o "soli" che si contrappone all'intero corpo dell'orchestra, detto "grosso" o "tutti". Non si ha una contrapposizione generica basata sul semplice contrasto di sonorità, ma una rigorosa divisione del lavoro: al "grosso" spetta l'esposizione del ritornello, al "concertino" gli episodi solistici, secondo un'articolazione che verrà poi ripresa anche dal concerto solistico. Il concerto solistico Generalmente si individua in Antonio Vivaldi, l'inventore del concerto solista, ossia l'evoluzione del "concerto grosso" verso una forma musicale che prevede uno o più strumenti solisti ai quali è assegnata una parte "obbligata". La suite La forma della suite si origina dalla pratica di accompagnare e sostenere la danza con un numero più o meno elevato di voci o di strumenti, ma il termine suite appare per la prima volta in una raccolta pubblicata dal compositore francese Philippe Attaignant nel 1529. La pratica di codificare in modo rigoroso la denominazione e la successione delle diverse danze è, però, molto posteriore e si verifica quando la suite diventa una successione di brani con carattere di danze puramente immaginarie, perché indirizzate al solo ascolto. Si deve a Johann Jakob Froberger, allievo di Girolamo Frescobaldi, la riduzione della suite alle sue quattro danze "di base" (allemanda, corrente, sarabanda e giga) e sarà questo il modello di base che seguirà Johann Sebastian Bach solo per alcune delle sue suites (le sue Suites Inglesi, ad esempio, sono articolate in otto danze). In alcuni tipi di suite un preludio dà inizio alla successione delle danze, in casi eccezionali si ha unouverture, un preambolo, una fantasia o una toccata. Fra la sarabanda e la giga si possono ritrovare danze come la gavotta, la siciliana, la bourrée, la loure, il minuetto, la musetta, la doppia e la polacca, mentre dopo la giga le danze ordinariamente sono la passacaglia e la ciaccona. La sonata Il modello originario della sonata appare a Venezia verso la fine del Cinquecento, grazie agli organisti e ai violinisti che prestano servizio presso la Cappella della Basilica di San Marco, ma l'idea di una forma strumentale totalmente autonoma dalla musica vocale prende piede nell'altro grande centro musicale dell'Italia del tempo: la Basilica di San Petronio a Bologna. È qui che l'ordito contrappuntistico della sonata rinascimentale si scioglie nelle sue due polarità nascoste: da un lato il "basso continuo", dall'altro il libero gioco improvvisativo delle voci superiori. Nasce così il prototipo della cosiddetta "sonata a tre", il cui organico è costituito dal continuo e da due strumenti melodici. A partire dalla seconda metà del Seicento la sonata a tre si divide in due forme complementari: da un lato la "sonata da chiesa", inizialmente destinata a sostituire le parti mancanti della liturgia vocale e dunque caratterizzata da una severa scrittura contrappuntistica, dall'altro la "sonata da camera", indirizzata originariamente all'intrattenimento e quindi segnata dalla scrittura ritmico-melodica tipica delle forme di danza. Uno dei compositori più noti di sonata barocca è Domenico Scarlatti, autore di ben 555 sonate per clavicembalo solista. Musica vocale L'opera L'opera nasce a Firenze nella Camerata de'Bardi verso la fine del XVI secolo e, grazie a Claudio Monteverdi, ha enorme diffusione in età barocca, affermandosi soprattutto a Roma, a Venezia e, successivamente (a partire dagli ultimi decenni del Seicento), a Napoli. Spettacolo inizialmente riservato alle corti, e dunque destinato ad una élite di intellettuali e aristocratici, acquista carattere di intrattenimento a partire dall'apertura del primo teatro pubblico nel 1637: il Teatro San Cassiano di Venezia. Alla severità dell'opera degli esordi, ancora permeata dell'estetica tardo-rinascimentale, subentra allora un gusto per la varietà delle musiche, delle situazioni, dei personaggi, degli intrecci; mentre la forma dell'aria, dalla melodia accattivante e occasione di esibizione canora, ruba sempre più spazio al recitativo dei dialoghi e, di riflesso, all'aspetto letterario, il canto si fa sempre più fiorito. Fra i massimi rappresentanti italiani dell'opera di età barocca possiamo citare Francesco Cavalli (Il Giasone e L'Ercole amante) e Alessandro Scarlatti (Il Tigrane e Griselda). Nel frattempo Jean-Baptiste Lully, un compositore italiano emigrato in Francia, dà vita all'opera francese. In essa la tipica cantabilità italiana, poco adatta alla lingua francese, è abbandonata a favore di una più rigorosa interpretazione musicale del testo. Lo stile di canto, più severo e declamatorio, è prevalentemente sillabico. Ulteriori elementi di differenziazione rispetto al modello italiano sono costituiti dall'importanza assegnata alle coreografie e dalla struttura in cinque atti, che l'opera seria francese conserverà fino a tutto il XIX secolo. Nacquero così la tragédie-lyrique e lopéra-ballet. Nel Settecento l'opera italiana è riformata dai poeti Apostolo Zeno e Pietro Metastasio, che stabiliscono una serie di canoni formali relativi all'impianto drammaturgico, come alla struttura metrica delle arie, applicando le cosiddette unità aristoteliche e dedicandosi esclusivamente al genere serio. La scelta di Zeno e Metastasio di escludere ogni elemento comico dal teatro musicale serio determina la nascita dell'opera comica, dapprima in forma di intermezzo, poi come opera buffa. La cantata La cantata è una forma musicale vocale di origine italiana tipica della musica barocca, formata da una sequenza di brani come arie, recitativi, concertati e numeri corali. Ha una certa affinità con l'opera barocca, ma l'esecuzione avviene senza apparato scenico e senza costumi e lo spettacolo è di dimensioni minori. Le cantate possono essere sacre (o da chiesa), ispirate perlopiù a vicende tratte dalle Sacre Scritture, oppure profane (o da camera), solitamente con soggetto mitologico o storico, in latino o in volgare. In Italia i maggiori compositori di cantate sono stati Giacomo Carissimi, Alessandro Scarlatti, Giovanni Bononcini, Antonio Caldara e Antonio Vivaldi. Importanti in Germania furono Georg Friedrich Haendel, Georg Philipp Telemann, Dietrich Buxtehude. La cantata da chiesa tedesca Il concetto di "cantata sacra" è estraneo al lessico di Johann Sebastian Bach: il termine è stato infatti coniato soltanto nel XIX secolo per indicare sommariamente le composizioni da chiesa settecentesche su testo spirituale, ispirato alle Sacre Scritture, intonate da coro e solisti con accompagnamento di strumenti. Una svolta nella storia della cantata da chiesa tedesca è segnata dalla pubblicazione nel 1704 di un'antologia di testi per le cantate da chiesa del pastore protestante Erdmann Neumeister. Ispirandosi alle forme poetiche dell'opera, dell'oratorio e della cantata, secondo l'uso italiano, Neumeister articolò i versi dei suoi testi in arie, recitativi, concertati e numeri corali, fornendo a ciascun compositore un modello formale comodo da mettere in musica secondo lo stile del tempo. Johann Sebastian Bach seguì in molti casi il modello della "cantata" offerto da Neumeister, anche se impiegò anche altri modelli, più tradizionali, come per esempio le cosiddette "cantate-corali", in cui utilizza il testo di un corale luterano, suddiviso in più numeri ognuno dei quali coincidente con una strofa del testo. In origine il termine "corale" indicava generalmente il canto monodico non accompagnato dalla liturgia cristiana. Con l'avvento della riforma luterana la parola viene ad indicare il canto, anch'esso monodico, proprio della chiesa luterana e delle altre confessioni cosiddette "protestanti". Il cuore musicale della riforma luterana è costituito da un nuovo corpus di canti monodici, spesso di estrema semplicità e concentrazione melodica. I testi appartengono alla lingua della liturgia riformata, il tedesco, e abbandonano definitivamente il tradizionale latino dei padri della chiesa cattolica. I nuovi "corali" possono essere intonati choraliter, in forma monofonica, oppure figuraliter, in forma polifonica, grazie alla semplice armonizzazione della linea vocale di base. Di questa prassi, in uso sin dalla metà del Cinquecento, si avvarranno nei secoli successivi tutti i compositori tedeschi al servizio delle comunità luterane, compreso J.S. Bach. Generalmente, anche se con numerose eccezioni, le Kirchenkantaten di J.S. Bach si aprono con un corale intonato in forma non polifonica, seguono poi arie, recitativi e concertati, e si concludono con un corale armonizzato a quattro o cinque voci oppure con un numero corale. L'oratorio Genere di cantata, sviluppatosi a partire dagli inizi del XVII secolo, specificamente destinato a rendere più attrattive e solenni delle riunioni di preghiera e predicazione, che si tenevano, al di fuori della liturgia, negli oratori di confraternite o congregazioni religiose. Dal luogo originario d'esecuzione questo genere di cantata prese il nome di oratorio. Come altre forme di poesia per musica, l'oratorio presenta versi per i recitativi e per le arie, e talvolta per i numeri corali. I soggetti dei testi sono tratti dal Sacre Scritture, in cui i personaggi portano avanti un'azione drammatica solo con il canto, ma non recitandola in scena e senza costumi. Esistono anche oratori profani di soggetto mitologico o storico. Generalmente i testi sono in volgare, anche se esiste una minoranza di oratori in latino. Tra i maggiori compositori di oratori ci sono: Giacomo Carissimi, Bernardo Pasquini, Giovanni Bicilli, Giovanni Legrenzi, Alessandro Stradella, Giovanni Paolo Colonna, Giacomo Antonio Perti, Alessandro Scarlatti, Giovanni Battista Pergolesi, Marc-Antoine Charpentier, Heinrich Schütz, Johann Sebastian Bach, George Frideric Handel e Johann Adolf Hasse. Gli strumenti nella musica barocca In epoca barocca ebbero un ruolo particolarmente importante gli strumenti d'armonia dedicati all'esecuzione del basso continuo, che è il vero denominatore comune di tutta la produzione musicale. Fra questi, i due di uso prevalente erano l'organo e il clavicembalo (ai quali è dedicata, inoltre, una vastissima letteratura solistica; ne sono un semplice esempio le 555 sonate per clavicembalo di Domenico Scarlatti oppure L'Art de Toucher le Clavecin di François Couperin). Il basso continuo, tuttavia, era anche realizzato dalla tiorba, dall'arpa e occasionalmente dal regale; era prassi frequente che più strumenti (ad esempio organo e tiorba) concorressero all'esecuzione del basso continuo, soprattutto in compagini orchestrali o corali numerose. Fra gli strumenti a corda erano pure molto diffusi, sia come strumenti solisti che come strumenti d'accompagnamento, il liuto e la chitarra. Il clavicordo, per contro, era apprezzato ma era destinato a un uso esclusivamente solistico. Per quanto riguarda gli strumenti melodici, nel passaggio dal Rinascimento all'epoca barocca si riscontra una generale riduzione nella varietà di strumenti utilizzati: mentre nel XVI secolo praticamente ogni strumento melodico, sia a fiato che a corde, era costruito in taglie differenti, che riproducevano le diverse estensioni vocali (e spesso erano indicate con i termini "soprano", "contralto", "tenore e "basso"), nel corso della prima metà del XVII secolo, con la nascita di una vera e propria letteratura strumentale idiomatica, in ciascuna "famiglia" di strumenti fu privilegiata un'unica taglia. L'unica rilevante eccezione è costituita dalle viole da braccio, per le quali si consolidarono le quattro versioni che tuttora conosciamo (violino, viola, violoncello e contrabbasso). A fianco della famiglia degli archi, che costituivano l'elemento irrinunciabile di ogni insieme orchestrale, gli strumenti più frequentemente usati fra quelli acuti erano: il cornetto, che nella prima metà del XVII secolo contendeva al violino il ruolo di strumento solistico e virtuosistico per eccellenza; l'oboe, discendente diretto dal contralto della bombarda rinascimentale; erano usate, per particolari effetti timbrici, anche versioni di taglia maggiore e con alcune peculiarità costruttive, dette oboe d'amore e oboe da caccia; il flauto dolce, prevalentemente nella taglia di "contralto" (in sol nella prima parte del XVII secolo, in fa successivamente); il flauto traverso, nella taglia in re. Sia il flauto traverso che il flauto dolce subirono rilevanti modificazioni costruttive rispetto alle versioni rinascimentali: in particolare, nella seconda metà del XVII secolo si iniziò a costruire questi strumenti in più parti smontabili (tre o quattro), per permettere agli strumentisti di adeguare l'intonazione dello strumento ai diversi "la" che coesistevano. Fra gli strumenti gravi: la viola da gamba (nella taglia di basso, anche se era occasionalmente impiegata anche nella taglia di dessus: in Inghilterra il consort di viole da gamba, che includeva tutte le taglie, era tuttavia ancora in auge nel XVII secolo); la lira da gamba, detta semplicemente lira, strumento ad arco che permetteva l'accompagnamento armonico dei brani a voce sola di particolare espressività, come i "lamenti". il trombone; il fagotto, discendente diretto del basso della famiglia delle dulciane; Nell'orchestra barocca erano spesso presenti anche la tromba e dall'inizio del XVIII secolo il corno (all'epoca, entrambi senza pistoni); fra gli strumenti a percussione acquistarono un ruolo di particolare importanza i timpani. Accanto a questi strumenti di largo uso sia come strumenti solistici che nell'orchestra, in epoca barocca godettero di occasionale popolarità nell'ambito di specifiche scuole o mode musicali: il mandolino; la viola d'amore, viola da braccio con corde aggiuntive di risonanza; la viola da gamba lo chalumeau, antecedente diretto del clarinetto; la musette de cour (piccola cornamusa con mantice) e la ghironda, strumenti che evocavano atmosfere "pastorali". il serpentone (basso della famiglia dei cornetti) e il fifre (flauto traverso ottavino), nonché il tamburo, specie nelle bande militari e più tardi in quelle civiche. Compositori più noti I compositori del periodo barocco più noti al grosso pubblico, grazie ad una vasta produzione concertistica e discografica nel corso degli ultimi cinquant'anni, sono gli italiani Claudio Monteverdi, Giacomo Carissimi, Bernardo Pasquini, Alessandro Scarlatti e il figlio Domenico, Antonio Vivaldi, i tedeschi Bach e Händel e l'inglese Purcell. Numerosi altri compositori di grandissima notorietà ai loro tempi come Girolamo Frescobaldi, Heinrich Schütz, Arcangelo Corelli, Dietrich Buxtehude e Georg Philipp Telemann, nonché tutti i maggiori compositori della Scuola Francese Jean-Baptiste Lully, François Couperin, Marc-Antoine Charpentier, Marin Marais, Jean-Philippe Rameau ecc.), pur avendo avuto un'importanza storica e artistica non inferiore a quelli precedentemente citati, sono oggi familiari a un pubblico relativamente più ristretto. È soprattutto nel campo operistico che la ricchezza di nomi e di influenze è vastissima: essendo l'opera la principale fonte di successo per la maggior parte degli autori del tempo, anche la produzione ad essa collegata è praticamente sconfinata, e non è raro che vengano riscoperti lavori di notevole valore artistico, anche di compositori che fino ai nostri giorni erano meno rimasti pressoché sconosciuti alla ricerca musicologica. Celebri operisti furono certamente (oltre ai già citati Claudio Monteverdi, Jean-Baptiste Lully, Pier Francesco Cavalli, Alessandro Scarlatti, Händel, Vivaldi e Purcell) Alessandro Stradella, Bernardo Pasquini, Giovanni Battista Pergolesi, Leonardo Leo, Antonio Caldara, Nicola Porpora e Jean-Philippe Rameau. Molti appartengono alla Scuola musicale napoletana, che fu fra le più influenti e alla moda a partire dal terzo decennio del XVIII secolo. Da quell'epoca Napoli si impose, infatti, come uno dei massimi centri operistici europei, contendendo a Venezia un primato che la città lagunare aveva sempre avuto in Italia. Nel XVII secolo Roma fu uno dei principali centri dell'opera italiana, contribuendo in modo determinante allo sviluppo del genere e delle sue convenzioni fin dagli albori. Diversamente da altri centri, come Venezia che dal 1637 aveva sviluppato un sistema di teatri pubblici ovvero per un pubblico pagante, a Roma gli spettacoli operistici prosperarono soprattutto nei teatri delle famiglie aristocratiche, come i Barberini, nella prima metà del XVII secolo e i Colonna nella seconda metà, che realizzarono teatri nei loro stessi palazzi. A Roma, nel corso del Seicento, si formarono numerosi compositori e cantanti d'opera, che furono attivi anche nei teatri di altre città italiane ed europee. A Roma si formò, tra gli altri, Alessandro Scarlatti, poi attivo nei teatri di Venezia, Firenze e Napoli. In Italia, sulla scia dell'esempio veneziano, l'attività dei teatri d'opera aperti al pubblicosi diffuse, a partire dalla metà del XVII secolo, anche in altri centri come Bologna, Firenze, Genova, Pisa, Livorno, Modena, Ferrara, Parma, Napoli, Palermo, Milano ecc., attraverso modelli di gestione dei teatri adattati alla diversa struttura sociale e politica locale. Nel resto dei paesi europei la vita operistica ruotava generalmente attorno a una corte. in forma quasi esclusiva (Parigi e Madrid) o prevalente (Vienna e Londra). Solo in Germania gli spettacoli operistici si articolavano su modelli non troppo dissimili da quelli italiani, con città di grandi e medie dimensioni che fin dal XVII secolo si erano dotate di strutture teatrali adeguate, anche private. A Monaco di Baviera fu aperto un teatro stabile fin dal 1657 (lOpernhaus am Salvatorplatz rimasto in funzione fino al 1822), ad Amburgo si inaugurò nel 1678 il primo teatro pubblico tedesco e Dresda si impose fin dai primi decenni del Settecento come una piazza di prim'ordine. In tutta Europa (ad eccezione della Francia che aveva sviluppato un proprio genere di teatro per musica, la tragédie-lyrique), dominò comunque, durante tutta l'età barocca e per tutto il Settecento, l'opera italiana, che si impose come fenomeno transnazionale, al punto che tra i maggiori compositori del genere possiamo indicare tre compositori d'area germanica, quali Händel, Gluck e Mozart. L'Italia possedeva all'epoca buoni conservatori musicali e le più importanti compagnie liriche erano formate in maggiore o minor misura da interpreti italiani. I compositori italiani venivano contesi dalle corti europee e quelli di altri paesi dovettero quasi sempre orientare la propria produzione secondo le consuetudini e lostile dell'opera italiana. Soprattutto a Vienna, la cultura italiana dominò nel XVII e per buona parte del XVIII secolo. I poeti di corte, autori dei libretti d'opera, erano sempre italiani; basti ricordare Apostolo Zeno e Pietro Metastasio; come pure i maestri di cappella; basti ricordare i nomi di Antonio Caldara e Antonio Salieri. Tavola sinottica dei compositori barocchi (1550 -1750) Claudio Monteverdi Claudio Monteverdi (Cremona, 9 maggio 1567 – Venezia, 29 novembre 1643) fu il primo grande operista nella storia della lirica e fra i massimi compositori del suo tempo. Fu il creatore del linguaggio lirico, un linguaggio che doveva esaltare la voce umana ed essere in funzione della verità dell'espressione. L'Orfeo (1607) di Monteverdi è la prima opera, nella storia del melodramma in musica, degna di tale nome. In essa Monteverdi riesce a fondere perfettamente i vari generi di intrattenimento, dai canti madrigaleschi, alle scene a sfondo pastorale, passando per le musiche suonate a corte in occasione di feste e balli, sublimandoli con la sua arte e mettendoli al servizio di un coerente sviluppo drammaturgico. I personaggi acquistano, ne L'Orfeo, una dimensione e uno spessore nuovi e delle connotazioni di dolente umanità. Con Il ritorno d'Ulisse in patria (1640) e L'incoronazione di Poppea (1643), Monteverdi si rivela ancora una volta artista dall'ispirazione ricca e multiforme e dalle tecniche musicali e armoniche raffinatissime. Dà infatti vita a una nuova sublime creazione, animata da un profondo patetismo ed espressione di una perfezione formale, sia sotto il profilo musicale sia drammaturgico, che per lungo tempo resterà ineguagliata. Monteverdi fu anche compositore di madrigali, ascrivibili a un genere che con lui raggiunse la propria espressione più alta e di musica strumentale e sacra (celebre il suo Magnificat composto per Papa Pio V) Henry Purcell Henry Purcell (Westminster, Londra, 10 settembre 1659 – Westminster, Londra, 21 novembre 1695) è stato uno dei più grandi compositori britannici. Durante gli ultimi anni della sua vita scrisse alcune opere teatrali come Dido and Æneas, The Prophetess (The History of Dioclesian), King Arthur, The Indian Queen, Timon of Athens, The Fairy Queen e The Tempest. Compose anche della musica notevole per gli anniversari di compleanno e per il funerale della Regina Maria II. Antonio Vivaldi Antonio Vivaldi (Venezia, 4 marzo 1678 – Vienna, 28 luglio 1741) è un celebre violinista e compositore del periodo barocco. Fu anche un sacerdote, e per tale motivo – e per il colore dei suoi capelli – venne soprannominato "Il prete rosso". La sua composizione più nota sono i quattro concerti per violino conosciuti come Le quattro stagioni, celebre e straordinario esempio di "musica a soggetto". Il recupero della sua opera è un fatto relativamente recente e viene individuato nella prima metà del XX secolo. Avvenne grazie soprattutto agli sforzi di Alfredo Casella, il quale nel 1939 organizzò la Settimana di Vivaldi, evento che viene ricordato come storico in quanto, da allora, le opere del compositore veneziano hanno riscosso pieno successo. Innovando dal profondo la musica dell'epoca, Vivaldi diede più evidenza alla struttura formale e ritmica del concerto, cercando ripetutamente contrasti armonici e inventando temi e melodie inconsuete. Il suo talento consisteva nel comporre una musica non accademica, chiara ed espressiva, tale da poter essere apprezzata dal grande pubblico e non solo da una minoranza di specialisti. Vivaldi è considerato uno dei maestri della scuola barocca italiana, basata sui forti contrasti sonori e sulle armonie semplici e suggestive. Johann Sebastian Bach fu profondamente influenzato dalla forma del concerto vivaldiano: egli trascrisse alcuni concerti per clavicembalo solista e alcuni concerti per orchestra, tra questi il famoso Concerto per quattro violini e violoncello, archi e continuo (RV 580). Johann Sebastian Bach Johann Sebastian Bach (Eisenach, 31 marzo 1685 – Lipsia, 28 luglio 1750) fu un compositore tedesco e organista del periodo barocco, universalmente considerato uno dei più grandi geni della musica di tutti i tempi. Le sue opere sono famose per profondità intellettuale, padronanza dei mezzi tecnici ed espressivi, bellezza artistica e sono state di ispirazione per la gran parte dei compositori che si sono susseguiti nella tradizione europea. Il contributo di Johann Sebastian Bach alla musica o, per utilizzare un'espressione resa popolare dal suo allievo Lorenz Christoph Mizler, alla "scienza della musica", è di frequente paragonato al contributo di William Shakespeare alla letteratura inglese e di Isaac Newton alla fisica. Durante la sua vita, egli compose oltre 1000 opere. La sua raccolta di preludi e fughe chiamata Il clavicembalo ben temperato costituisce un repertorio monumentale e definitivo per quello che riguarda lo stato della forma detta fuga in ambito barocco. Esplorò compiutamente la possibilità di eseguire sulla tastiera composizioni in tutte le 24 tonalità maggiori e minori, come risultato dell'abbandono del sistema di accordatura mesotonica a favore dei cosiddetti "buoni temperamenti" (che precorsero la successiva adozione, nel corso del XIX secolo, del temperamento equabile). Georg Friedrich Händel Georg Friedrich Händel (Halle, 23 febbraio 1685 – Londra, 14 aprile 1759) fu uno dei maggiori compositori del XVIII secolo. In passato il nome veniva trascritto come George Frideric Handel, o Haendel o ancora, ma meno di frequente, Hendel. Nacque nella città di Halle, nella regione tedesca della Sassonia, da una famiglia borghese (il padre era un barbiere-cerusico) e trascorse gran parte della vita all'estero, frequentando numerose corti europee. Morì a Londra all'età di settantaquattro anni. Händel visse dal 1706 al 1710 in Italia, dove raffinò la sua tecnica compositiva, adattandola a testi in italiano; rappresentò opere nei teatri di Firenze, Roma, Napoli e Venezia e conobbe musicisti coevi come Scarlatti, Corelli, Marcello. A Roma fu al servizio del cardinale Pietro Ottoboni, mecenate anche di Corelli e Juvarra. Dopo essere stato per breve tempo direttore musicale alla corte di Hannover, nel 1711 si trasferisce a Londra per rappresentarvi Rinaldo, che riscuote un notevole successo. A Londra Händel decide così di stabilirsi e fondare un teatro reale dell'opera, che sarà conosciuto come Royal Academy of Music. Fra il 1720 e il 1728, scriverà per questo teatro quattordici opere. Händel compose quarantadue opere di genere serio per il teatro diventate famose (e molte delle quali tutt'oggi rappresentate in tutto il mondo). Fu autore anche di venticinque oratori altrettanto celebri (incluso il suo capolavoro Messiah). Scrisse poi molte pagine di musica per orchestra. Tra esse comprendevano anthem, sorta di inni celebrativi, e sonate sacre, oltre a centoventi cantate, diciotto concerti grossi, dodici concerti per organo e trentanove fra sonate, fughe, suite per clavicembalo. Altri compositori Il panorama della musica in quest'epoca non era certo ristretto ai cinque compositori sopra ricordati. Nel secolo e mezzo di evoluzione che contraddistingue l'epoca barocca, emersero paradigmi musicali estremamente eterogenei: fu questa l'epoca in cui vennero codificati o fondamentalmente rivisitati alcuni fra gli stili e le forme musicali fondamentali nella musica classica, come il concerto, l'opera lirica e gran parte della musica sacra. Per ciò che riguarda lo sviluppo del concerto grosso fondamentale è stato l'apporto di Händel, ma anche dell'italiano Arcangelo Corelli la cui op. 6 è considerata una delle massime espressioni. Ancora nel campo della musica strumentale bisogna ricordare l'opera di Georg Philipp Telemann che i suoi contemporanei consideravano il massimo musicista tedesco (assai più che non Bach, come si ricorda sopra). Nel caso del concerto solista il nome di Vivaldi è quello che più facilmente viene citato, ma altri artisti a lui contemporanei contribuirono in modo fondamentale nello sviluppo di questi stile, fra i quali non si possono non ricordare Alessandro Marcello, Giuseppe Torelli. In Italia Tomaso Albinoni Vincenzo Albrici Attilio Ariosti Giuseppe Antonio Bernabei Andrea Bernasconi Giovanni Bononcini Francesco Antonio Bonporti Giovanni Bontempi Antonio Caldara Giacomo Carissimi Francesco Cavalli Arcangelo Corelli Francesco Durante Giovanni Battista Ferrandini Girolamo Frescobaldi Francesco Geminiani Giovanni Girolamo Kapsberger Giovanni Legrenzi Leonardo Leo Pietro Locatelli Antonio Lotti Francesco Onofrio Manfredini Alessandro Marcello Benedetto Marcello Claudio Monteverdi Giovanni Battista Pergolesi Giacomo Antonio Perti Nicola Porpora Giovanni Giacomo Porro Giovanni Porta Alessandro Scarlatti Domenico Scarlatti Agostino Steffani Alessandro Stradella Barbara Strozzi Giuseppe Tartini Giuseppe Torelli Pietro Torri Francesco Maria Veracini Antonio Vivaldi In Francia André Campra Marc-Antoine Charpentier Louis-Nicolas Clérambault François Couperin Jean-Henri d'Anglebert Jean-François Dandrieu Michel-Richard Delalande Antoine Forqueray Jean-Henri d'Anglebert Jean-Marie Leclair Jean-Baptiste Lully Marin Marais André Danican Philidor Jean-Joseph de Mondonville François-André Danican Philidor François Danican Philidor Pierre Danican Philidor Jean Danican Philidor Michel I Danican Philidor Michel II Danican Philidor Jacques Danican Philidor Anne Danican Philidor Pierre Danican Philidor Jean-Philippe Rameau Monsieur de Sainte Colombe In Germania Johann Sebastian Bach Dietrich Buxtehude Heinrich Ignaz Franz Biber Gottfried Kirchhoff Reinhard Keiser Johann Christoph Graupner Johann Samuel Endler Philipp Heinrich Erlebach Johann Christoph Graupner Johann Kaspar Kerll Johann Jakob Froberger Johann Pachelbel Samuel Scheidt Johann Hermann Schein Heinrich Schütz Georg Philipp Telemann Sylvius Leopold Weiss Friedrich Wilhelm Zachow In Inghilterra John Blow John Jenkins Georg Friedrich Händel Henry Purcell Daniel Purcell Thomas Weelkes Nelle Fiandre Henry Du Mont Joseph-Hector Fiocco Pietro Antonio Fiocco Jean-Noël Hamal Jan Pieterszoon Sweelinck Pierre Van Maldere In altri paesi Jan Dismas Zelenka Razek François Bitar Adam Michna z Otradovic Pavel Josef Vejvanovský Bohuslav Matěj Černohorský Šimon Brixi Tavola diacronica dei compositori barocchi Qui di seguito sono raggruppati dei compositori barocchi per data di nascita secondo le periodizzazioni fatte da Suzanne Clercx. Note Bibliografia Manfred Bukofzer, Music in the Baroque Era. New York, W.W. Norton & Co., 1947. ISBN 0-393-09745-5 Little, Meredith Ellis. 2001a. "Passepied". The New Grove Dictionary of Music and Musicians, edited by Stanley Sadie and John Tyrrell. New York: Grove's Dictionaries. Little, Meredith Ellis. 2001b. "Rigaudon". The New Grove Dictionary of Music and Musicians, edited by Stanley Sadie and John Tyrrell. New York: Grove's Dictionaries. Mackay, Alison, and Craig Romanec. [n.d.] "Baroque Guide". website. Strunk, Oliver. 1952. Source Readings in Music History. From Classical Antiquity to the Romantic Era.. London: Faber & Faber, p. 393-415, "Stile Rappresentativo". Sachs, Curt. 1919. "‘Barokmusik". Jahrbuch der Musikbibliothek Peters 1919, 7–15. Claude V. Palisca, La Musique Baroque, Actes Sud, 1994 Claude V. Palisca, "Baroque", Grove Music Online, ed. L. Macy (Accessed August 21, 2007), (subscription access) Philippe Beaussant, Vous avez dit baroque?, Actes Sud (Collection Babel), 1994 ISBN 2-7427-0123-0 Julie Anne Sadie, Companion to baroque music, Los Angeles, University of California Press, 1998. ISBN 978-0-520-21414-9 Michel Bosc, Musique baroque française, splendeurs et résurrection, 2009, ISBN 978-1-4452-0102-3 Giuseppe Bardone "Incontri musicali" Milano, Studio Emme, 2015 Voci correlate Concerto (composizione musicale) Basso continuo Fortspinnung Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Myrtales
Myrtales
Myrtales (Juss. ex Bercht. & J. Presl, 1820) è un ordine di angiosperme, dalle foglie opposte, stipole corte e forti venature, fiori con petali clavati. La datazione delle Myrtales, utilizzando il DNA nucleare, è stata posta a circa 89-99 milioni di anni fa in Australasia. Vi è tuttavia qualche contesa in merito a questa data: analizzando il DNA dei cloroplasti, si ritiene invece che l'antenato delle Myrtales si sia evoluto nel periodo medio-cretaceo (100 milioni di anni) nel sud-est dell'Africa, piuttosto che in Australasia. Il nome di questo taxon deriva da quello della famiglia Myrtaceae, qui inclusa. Tassonomia Classificazione APG La moderna classificazione APG IV (2016) assegna all'ordine le seguenti famiglie: Alzateaceae S. A. Graham Combretaceae R. Br. Crypteroniaceae A. DC. Lythraceae J. St.-Hil. Melastomataceae Juss. Myrtaceae Juss. Onagraceae Juss. Penaeaceae Sweet ex Guill. Vochysiaceae A. St.-Hil. Sistema Cronquist Nella tassonomia classica del Sistema Cronquist l'ordine Myrtales si suddivide in otto famiglie: Sonneratiaceae Lythraceae Penaeaceae Crypteroniaceae Thymelaeaceae Trapaceae Myrtaceae Punicaceae Onagraceae Oliniaceae Melastomataceae Combretaceae Cambiamenti Rispetto al sistema Cronquist le modifiche non sono estremamente rilevanti, in particolare: Vochysiaceae è stata qui inclusa dall'ordine delle Polygalales, al suo interno sono state invece incluse le Thymelaeaceae. Le famiglie Sonneratiaceae, Trapaceae, e Punicaceae sono state inserite nelle Lythraceae. Le famiglie Psioxylaceaee e Heteropyxidaceae sono state spostate nelle Myrtaceae. Memecyclaceae è invece inclusa nelle Melastomataceae. Note Altri progetti Collegamenti esterni Taxa classificati da Antoine-Laurent de Jussieu
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https://it.wikipedia.org/wiki/Magnitudine%20assoluta
Magnitudine assoluta
In astronomia, la magnitudine assoluta (M) è la magnitudine apparente (m) che un oggetto avrebbe se si trovasse ad una distanza dall'osservatore di 10 parsec o 1 unità astronomica a seconda del tipo di oggetto (stellare/galattico o corpo del Sistema solare). Più semplicemente, è una misura della luminosità intrinseca di un oggetto senza tener conto delle sue variazioni di luminosità dovute a condizioni reali quali ad esempio l'estinzione. Più un oggetto è intrinsecamente luminoso, più la sua magnitudine assoluta è numericamente bassa, anche negativa. Ogni grado della scala corrisponde ad un incremento (o decremento) pari a ; in sostanza, una stella che presenta magnitudine +1 è circa 2,512 volte più luminosa di una che presenti +2 come magnitudine. Nel definire la magnitudine assoluta, è necessario specificare il tipo di radiazione elettromagnetica che viene misurata. Se ci si riferisce al totale dell'energia emessa, il termine corretto è magnitudine bolometrica, mentre se si considera lo spettro del visibile si parla di magnitudine assoluta visuale. Stelle e galassie (M) Nell'astronomia stellare e galattica la distanza standard è di 10 parsec, cioè circa 32,6 anni luce o . La magnitudine assoluta è indicata con il simbolo M sempre a tale distanza. Per gli oggetti molto vasti come le galassie ci si riferisce ad un oggetto di pari luminosità intrinseca ma di aspetto puntiforme. Quando si definisce la magnitudine assoluta è necessario specificare il tipo di radiazione elettromagnetica che si sta misurando. Quando ci si riferisce alla radiazione totale, il termine appropriato è quello di magnitudine bolometrica. Il valore della magnitudine bolometrica può essere calcolato sommando alla magnitudine visuale la correzione bolometrica, . Si tratta di una correzione necessaria perché le stelle molto calde emettono la maggior parte della loro radiazione nell'ultravioletto, mentre quelle molto fredde nell'infrarosso, in conformità alla legge di Planck. Più un oggetto appare debole, alla supposta distanza di 10 parsec, più alto sarà il valore della sua magnitudine; più bassa è la sua magnitudine assoluta, più alta sarà la sua luminosità intrinseca. Molte stelle visibili ad occhio nudo hanno magnitudini assolute che sarebbero capaci di formare ombre da una distanza di 10 parsec: Rigel (−6,7), Deneb (−8,5), Naos (−5,9), e Betelgeuse (−5,6). Per confronto, Sirio ha una magnitudine assoluta di 1,4 e il Sole ha una magnitudine assoluta di circa 4,5. Le magnitudini assolute delle stelle in genere sono comprese tra −10 e +17. Proxima Centauri, una nana rossa che è la stella più vicina alla Terra dopo il Sole, ha una magnitudine assoluta di 15,4. Confrontando invece con le magnitudini apparenti (cioè quello che si vede osservando il cielo notturno), Sirio è −1,4. Venere arriva a −4,3 al suo massimo e la Luna piena è −12. L'ultimo oggetto con una magnitudine comparabile alla magnitudine assoluta delle stelle nominate più sopra fu visibile come una supernova circa mille anni fa; il suo resto è la nebulosa del Granchio, M1. Gli astronomi cinesi riferirono di poter leggere usando la sua luce, di vedere ombre causate da essa e di poterla osservare durante il giorno. Il diagramma H-R lega la magnitudine assoluta con la luminosità, la classificazione stellare e la temperatura superficiale. Ricavare M da m La magnitudine apparente in una determinata banda x è definita come: dove Fx è il flusso osservato nella banda x, e C è una costante dipendente dalla banda in cui l'oggetto è osservato e nel visibile ha un valore di circa 0.941. Misurati i flussi di due stelle in una certa banda, la differenza fra le magnitudini dei due astri può essere quindi calcolata mediante la seguente formula: che è equivalente a: Per calcolare la magnitudine assoluta (M) data quella apparente (m), è necessario ricordare che la luminosità di un oggetto è inversamente proporzionale al quadrato della sua distanza. Ne segue che la differenza fra la magnitudine apparente e la magnitudine assoluta di un oggetto sarà espressa dalla seguente formula: ove è la distanza della stella espressa in parsec. Stiamo infatti confrontando la luminosità dell'oggetto alla sua posizione reale con quella che esso avrebbe se si trovasse a 10 parsec di distanza. Ricordando che per le regole dei logaritmi vale che e semplificando, dalla formula precedente si ottiene: Poiché il logaritmo è in base 10, è uguale a . Di conseguenza dalla formula precedente si può ricavare: che è equivalente a: Questa formula è valida per oggetti relativamente vicini, come le stelle della nostra galassia. Per oggetti molto distanti, il redshift dovuto alla legge di Hubble complica il calcolo e può essere necessario aggiungere alla formula una correzione K. Inoltre la formula è corretta quando la distanza è calcolata in uno spazio euclideo. Per gli oggetti molto distanti, a causa della teoria della relatività generale, l'approssimazione dello spazio a uno spazio euclideo non può essere più considerata valida e quindi ulteriori correzioni alla formula sono necessarie. Poiché la distanza di un oggetto è inversamente proporzionale alla sua parallasse, se al posto di utilizziamo nella formula la parallasse dell'oggetto , otteniamo la seguente relazione fra M, m e la parallasse: ove è espressa in arcosecondi. È possibile infine ricavare la magnitudine assoluta da quella apparente conoscendo il modulo di distanza : . Esempi Rigel ha magnitudine apparente ed è distante circa 860 anni luce. La sua magnitudine assoluta è quindi: Vega ha una parallasse di 0,129" e una magnitudine apparente La galassia Occhio Nero ha una magnitudine apparente di e un modulo di distanza di 31,06. Pertanto la sua magnitudine assoluta è: Magnitudine apparente Data la magnitudine assoluta e la distanza è possibile ricavare la magnitudine apparente mediante la seguente formula: Data la magnitudine assoluta è possibile calcolare quella apparente dalla parallasse : Infine, data la magnitudine assoluta e il modulo di distanza si ricava la magnitudine apparente: Magnitudine bolometrica La magnitudine bolometrica corrisponde alla luminosità assoluta dell'oggetto, ma espressa in unità di magnitudine. Per calcolare la magnitudine bolometrica è necessario prendere in considerazione tutte le lunghezza d'onda della radiazione elettromagnetica, comprese quelle non osservabili a causa dei limiti della strumentazione, dell'assorbimento causato dall'atmosfera terrestre e dell'estinzione operata dal mezzo interstellare. Per le stelle, in assenza di osservazioni su molteplici lunghezze d'onda, la magnitudine bolometrica può essere calcolata a partire dalla temperatura efficace. La differenza fra la magnitudine bolometrica di una stella e quella del Sole è in relazione con il rapporto fra le loro luminosità assolute, come illustrato dalla formula seguente: che per inversione è equivalente a: dove è la luminosità assoluta del Sole è la luminosità assoluta della stella è la magnitudine bolometrica del Sole è la magnitudine bolometrica della stella. Stelle variabili Numerose stelle hanno una magnitudine variabile nel tempo. In alcune di queste le variazioni dipendono dalla loro magnitudine assoluta, e sono quindi estremamente utili per il calcolo delle distanze: osservando il periodo di luminosità, se ne ricava la magnitudine assoluta, e confrontandola con quella apparente si può calcolarne immediatamente la distanza. Tra questi tipi di stelle, le più importanti sono le cefeidi (delle particolari stelle pulsanti). Corpi del sistema solare (H) Per pianeti, comete e asteroidi si usa una differente definizione di magnitudine assoluta, perché quella descritta sopra sarebbe così bassa da essere ben poco utile. Per questi oggetti, la magnitudine assoluta (H) è la magnitudine apparente che l'oggetto avrebbe se si trovasse ad 1 unità astronomica sia dal Sole che dalla Terra, con un angolo di fase di zero gradi (osservandolo quindi dal centro del Sole). Questo è fisicamente impossibile, ma è conveniente dal punto di vista del calcolo. Meteore Per una meteora, la distanza standard è un'altezza di allo zenit dell'osservatore. Ricavare H da M e viceversa Per convertire la magnitudine assoluta M in magnitudine assoluta H sottrarre 31,57. Per passare da H a M aggiungere la stessa quantità. Note Voci correlate Magnitudine apparente, per una descrizione più dettagliata dei problemi di misurazione della luminosità di un oggetto lontano Jansky, unità di misura del flusso utilizzata dai radioastronomi Luminosità superficiale, per oggetti estesi Stelle più luminose conosciute Collegamenti esterni Grandezze astronomiche
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https://it.wikipedia.org/wiki/Marie%20Curie
Marie Curie
Nel 1903 fu la prima donna insignita del premio Nobel. Ricevette il premio Nobel per la fisica, insieme al marito Pierre Curie e ad Antoine Henri Becquerel, per i suoi studi sulle radiazioni. Nel 1911 ricevette il premio Nobel per la chimica per aver scoperto il radio e il polonio, il cui nome è stato scelto proprio in onore della sua terra natale. È stata una dei cinque vincitori del Nobel ad averne ricevuti due ed è la sola ad aver vinto il Premio in due distinti campi scientifici. Marie Curie crebbe nella Polonia russa; poiché qui le donne non potevano essere ammesse agli studi superiori, si trasferì a Parigi e nel 1891 iniziò a frequentare la Sorbona, dove si laureò in fisica e matematica. Nel dicembre del 1897 iniziò a compiere gli studi sulle sostanze radioattive, che da allora rimarranno al centro dei suoi interessi. Nel 1906, dopo la morte del marito Pierre Curie, investito da una carrozza, le fu concesso di insegnare alla Sorbona. Due anni più tardi le venne assegnata la cattedra di fisica generale, divenendo così la prima donna ad insegnare alla Sorbona. Morì in Francia nel 1934 per un'anemia aplastica, causata dalle radiazioni a cui il suo fisico era stato per lungo tempo esposto e di cui aveva sempre negato la pericolosità. Biografia L'infanzia Maria Skłodowska nasce il 7 novembre 1867 a Varsavia, in una Polonia dominata dalla Russia. Figlia di Władysław Skłodowski (1832-1902) e di Bronisława Boguska (1834-1878), ultima di cinque figli e figlie, fra cui Bronisława, che collaborerà con lei più tardi. La sua famiglia proviene da una classe sociale orgogliosa del suo ruolo nel proprio Paese, appartenente alla piccola nobiltà terriera degli szlachta. Nel 1874, quando Maria ha appena 7 anni, la sorella Zosia muore di tifo, e nel 1878 muore la madre, malata di tubercolosi. Questo doppio lutto precoce segna profondamente la piccola Maria, che sviluppa un tratto caratteriale serio e tendente alla tristezza. Maria inizia gli studi con il padre, da autodidatta, proseguendoli poi a Varsavia e infine all'Università di Parigi, laureandosi in matematica e fisica. Dalla nascita Maria possiede tre qualità che presto la renderanno la beniamina degli insegnanti: memoria, capacità di concentrazione e sete di sapere. Nella tradizione familiare sono rimasti impressi tre episodi legati all'infanzia di Maria. Nel primo, Maria ha quattro anni e si trova in campagna con i suoi fratelli e le sue sorelle. Una mattina sua sorella Bronisława, di sette anni, legge stentatamente il testo dell'album che suo padre le porge. Allora Maria spazientita se ne impossessa e legge, solo con un po' d'incertezza, la prima frase. Soddisfatta per lo stupore che la circonda prosegue la lettura, poi, colta dalla sensazione d'essere stata sfacciata, farfuglia una scusa: "Non l'ho fatto apposta, è così facile...". Il secondo episodio si svolge a scuola dove l'insegnante, trasgredendo il regolamento, insegna la storia della Polonia in polacco. Maria ha dieci anni. Un giorno improvvisamente squilla un campanello e le alunne nascondono i libri di storia, si apre la porta della classe ed entra il signor Hornberg, ispettore degli istituti privati di Varsavia. L'ispettore interroga Maria sulla storia della Russia zarista e l'allieva risponde senza commettere errori. Quando l'ispettore lascia la stanza, Maria scoppia in singhiozzi: umiliata per il servilismo mostrato davanti all'ispettore russo, non se ne dimenticherà mai più. Il terzo episodio ha luogo nello stesso periodo, nella sala da pranzo della scuola. Maria, i gomiti sul tavolo, i pollici sulle orecchie per proteggersi dal rumore, è immersa nella lettura di un libro. Questa sua maniera di astrarsi e d'isolarsi solleva sempre l'ilarità degli altri bambini che quel giorno decidono di architettarle uno scherzo circondandola con una piramide di sedie e aspettando che la catasta crolli. I minuti passano e Maria immobile non si è accorta di niente, improvvisamente fa un gesto e le sedie cadono con un gran fracasso. Maria si massaggia la spalla urtata da una sedia, si alza, prende il suo libro, e borbotta: "Che idiozia!", uscendo dignitosamente dalla stanza. Tale approccio serio e severo sarà una costante e un elemento di forza nella sua vita, anche durante gli anni a venire. La giovinezza e l'esilio All'età di 15 anni Maria Sklodowska conclude gli studi secondari al Ginnasio ottenendo la medaglia d'oro che designa i migliori. Per un anno insieme a sua sorella Bronisława, con la quale rimarrà sempre molto legata, trascorre una deliziosa parentesi di tranquillità e divertimenti in campagna da alcuni parenti. La relazione che lega le due sorelle è così solida che resteranno unite fino all'ultimo respiro di Maria. Bronisława è esuberante, espansiva, materna e ha un amore sconfinato per la sua sorellina. Maria è chiusa, controllata e intransigente; non si abbandonerà che con lei, e in quelle occasioni, lo farà completamente. È sempre Bronisława che protegge e consola Maria ed è forse proprio da questa fiducia nella solida sorella che nascerà il suo costante atteggiamento verso le donne, il ruolo delle quali non sarà trascurabile nella sua esistenza. È chiaro che per lei la forza si trova nelle donne. Non se l'aspetta dagli uomini. Tornata a Varsavia Maria aderisce al progetto dell'"Università Volante", un nome ambizioso che cela un circolo di ragazzi e ragazze, fanatici patrioti, che coltivano clandestinamente il positivismo. A 17 anni Maria ha già rifiutato ogni religiosità; quel che c'è in lei di razionalità e, nello stesso tempo, di fede nel progresso, trova nel positivismo un'armatura e, nell'interpretazione polacca, una via d'azione. Verso la fine della sua vita, rievocando il tempo in cui, sotto il naso della polizia zarista, andava a portare la fiaccola della conoscenza ai dipendenti di una sartoria e raccoglieva una biblioteca per gli operai, scriverà: Maria stringe un patto con la sorella Bronisława, che desidera studiare medicina a Parigi, nonostante le ristrettezze economiche della famiglia: lavorerà per aiutare la sorella a pagarsi gli studi, e quando la sorella si sarà laureata, sarà lei ad aiutare Maria. Quindi nel 1885 Maria si presenta in un'agenzia di collocamento per cercare lavoro e trova un'occupazione come governante presso diverse famiglie. Dopo un primo lavoro a casa di una famiglia di avvocati di Varsavia, a Maria viene offerto un nuovo posto e lei lo accetta: lo stipendio sarà più elevato. Ma deve anche accettare l'esilio: lavorerà a tre ore di treno e quattro di slitta da Varsavia. Il 1º gennaio 1886, "la signorina Maria" prende servizio dagli Zorawski e dopo un anno di servizio accade l'imprevedibile: di ritorno dalle vacanze di Natale, Casimiro, il maggiore dei ragazzi Zorawski, si invaghisce di questa fanciulla che non assomiglia a nessun'altra. Maria non confida a nessuno i suoi sentimenti, ma è pronta a sposarlo; i genitori di lui però si oppongono al matrimonio. Casimiro deluso dalla disapprovazione dei suoi, torna a Varsavia per proseguire gli studi di ingegneria agraria, mentre Maria è costretta a restare per aiutare economicamente la sorella Bronia, ma non riesce a mandar giù l'offesa subita e tre anni dopo, a fine contratto, riesce finalmente ad andarsene e trova lavoro presso ricchi industriali di Varsavia. L'esilio è finito. Uscire da quel "buco di provincia" è già respirare, ma per il resto Maria ha dovuto ridurre di parecchio le sue ambizioni, così scrive a suo fratello Jozef in un momento di depressione: Nel 1891 Maria può finalmente lasciare il lavoro e trasferirsi a Parigi, ospite di sua sorella Bronisława e del marito Casimiro Dluski, per proseguire i suoi studi. È il 3 novembre 1891, Marie "attraversa il cortile della Sorbona" dove si è iscritta, francesizzando il suo nome, per preparare una laurea in scienze. Compirà 24 anni il 7 novembre. Esattamente quindici anni più tardi, il 5 novembre 1906, Marie Curie sarà la prima donna ammessa a insegnare alla Sorbona. Pierre Curie e gli studi sulla radioattività Pierre Curie entra in scena nella vita di Marie nel 1894. Fisico e matematico nato a Parigi nel 1859, all'epoca del loro incontro Pierre Curie ha 35 anni e lei 26, lavorava come istruttore di laboratorio alla Scuola di fisica e chimica industriale e stava studiando i fenomeni della piezoelettricità che consistono nella produzione di cariche elettriche in seguito alla compressione o alla dilatazione dei cristalli privi di un centro di simmetria. Fra i due nasce una solida amicizia basata sullo studio, sulla ricerca e sull'aiuto reciproco; basi su cui poi fonderanno il loro matrimonio nel 1895. Marie sarà sensibilmente restia a rinunciare alla sua indipendenza anche per l'uomo che ama, motivo per cui decide di non rinunciare totalmente al suo cognome e di farsi chiamare Marie Curie Sklodowska; d'altronde, sarà sempre una donna emancipata per i suoi tempi. La realizzazione, che altre sono costrette, compiacenti o rassegnate, a cercare nel matrimonio e nella maternità, Maria la cerca in ciò che fa. Marie Curie dedicò la sua vita all'isolamento e alla concentrazione del radio e del polonio, presenti in piccolissime quantità nella pechblenda proveniente da Jáchymov. La pechblenda è un minerale radioattivo e una delle principali fonti naturali di uranio. I coniugi Curie notarono che alcuni campioni erano più radioattivi di quanto lo sarebbero stati se costituiti di uranio puro; ciò implicava che nella pechblenda fossero presenti altri elementi. Decisero così di esaminare tonnellate di pechblenda riuscendo così, nel luglio del 1898, a isolare una piccola quantità di un nuovo elemento dalle caratteristiche simili al tellurio e 330 volte più radioattivo dell'uranio che fu chiamato polonio in onore del Paese di origine della scienziata. Il resoconto di tale lavoro, unitamente a quello immediatamente successivo che portò alla scoperta del radio, divenne la tesi di dottorato di Maria Skłodowska. Il polonio però ha un'attività eccessiva, una vita troppo breve perché ne sia possibile l'estrazione su scala industriale; per questo il radio eclisserà ben presto la sua gloria. Ma il polonio ha una particolarità che le darà occasione di rivincita trentaquattro anni dopo. Emette un solo raggio: il raggio alfa ad alta energia, mentre il radio ne emette molti. Nel 1932, servendosi di una sorgente di polonio, James Chadwick scoprirà una delle tre particelle che compongono l'atomo, che cercava da dieci anni: il neutrone. Marie ha avuto forse troppa fretta nel denominare il nuovo elemento; infatti, appena hanno avuto la certezza della sua esistenza, nuovi esperimenti portano a concludere ai coniugi Curie che la pechblenda debba contenere un altro nuovo elemento. Pierre afferma: I sali di radio puri sono incolori, ma le loro radiazioni colorano le provette di vetro che li contengono con una tinta azzurro-malva. In quantità sufficiente, le radiazioni provocano un chiarore visibile al buio. Quando questo chiarore cominciò a irradiarsi nell'oscurità del laboratorio, Pierre fu felice: ignorava gli effetti nocivi che queste radiazioni hanno sull'organismo umano. Il radio si trova, come l'uranio, nella pechblenda, ma in quantità infinitesimale. Per ottenere alcuni milligrammi di radio, abbastanza puro da poter stabilire il suo peso atomico, è necessario trattare tonnellate di pechblenda. Maria lavora instancabilmente nel suo capannone/laboratorio; attinge da un sacco una ventina di chili di pechblenda per volta che versa in una bacinella di ghisa. Poi, mette la bacinella sul fuoco, scioglie, filtra, precipita, raccoglie, discioglie ancora, ottiene una soluzione, la travasa, la misura. E ricomincia. L'operazione di purificazione richiede l'utilizzazione di solfuro di idrogeno. È un gas tossico e nella rimessa non c'è cappa di aerazione. Inoltre se un granello di polvere o una particella di carbone cadessero in uno dei recipienti dove le soluzioni purificate cristallizzano, sarebbero giorni di lavoro perduti. Maria si dedica con accanimento a separare il radio dal bario con il metodo della cristallizzazione frazionata che ha ideato e messo a punto. Il 28 marzo 1902 Maria annota sul suo quaderno nero: RA = 225,93. Peso di un atomo di radio. È la fine di un'avventura senza altri precedenti noti nella storia della scienza. Nei salotti parigini non si parla d'altro che del radio. L'Accademia delle scienze apre ai Curie un credito di 20 000 franchi per "l'estrazione delle materie radioattive". Ne nascerà una terapeutica, un'industria e una leggenda. Negli ambienti scientifici, nessuno dubitava più che il radio fosse un elemento. La radioattività sconvolge le leggi dell'universo fisico che essa lasciava intravedere catturando l'immaginazione dei ricercatori. Ma se il nome dei Curie è conosciuto in tutto il mondo, è perché è stato associato immediatamente alla guarigione del cancro. Ben presto, inoltre, alcuni ciarlatani sosterranno che il radio guarisce tutto. In realtà, due ricercatori tedeschi hanno annunciato che le sostanze radioattive hanno effetti fisiologici. Lo stesso Henri Becquerel, che ha trasportato nella tasca del suo gilet una provetta contenente radio si è ustionato. Ha raccontato ai Curie la sua avventura dichiarando: Becquerel ha inoltre osservato che una protezione di piombo rende il radio inoffensivo. Alcuni medici si mobilitano. Il dottor Daulos comincia a trattare i suoi malati dell'ospedale Saint-Louis con provette che emanano radio, prestate dai Curie. Il radio distrugge le cellule malate nel cancro della pelle: quando l'epidermide distrutta dalla sua azione si riforma, è sana. Non rimane che estrarre il radio dal minerale su scala industriale. Con una decisione insolita, Marie Curie intenzionalmente non depositò il brevetto internazionale per il processo di isolamento del radio, preferendo lasciarlo libero affinché la comunità scientifica potesse effettuare ricerche in questo campo senza ostacoli, in maniera tale da favorire il progresso in questo settore scientifico. Il 19 aprile 1906 Maria si trova in campagna con le figlie, Pierre è a Parigi e sta percorrendo a piedi rue Dauphine per raggiungere l'Accademia quando viene travolto da una carrozza e muore investito dai cavalli e dalle ruote del carro. Morto giovedì pomeriggio, Pierre Curie viene sepolto sabato mattina, senza cerimonia, nel cimitero di Sceaux dove riposa sua madre, alla presenza degli amici e della moglie. La signora Curie d'ora in poi sarà la "vedova illustre" e ottiene la cattedra di fisica generale alla Sorbona appartenuta precedentemente al marito. Nel 1911 durante il primo congresso Solvay intraprende una relazione con il collega scienziato Paul Langevin, i due erano colleghi a Parigi. La relazione divenne scandalosa per il fatto che Langevin era padre di quattro figli e il suo matrimonio andò all'aria, proprio a causa di questa avventura. La storia d'amore tra la vedova Curie e lo sposato Langevin causò una protesta pubblica tale che l'Accademia svedese, sul punto di assegnare il secondo premio Nobel alla Curie, aveva avuto dei ripensamenti. Malgrado la stampa dell'epoca attaccasse continuamente la donna, l'Accademia assegnò il premio a Marie Curie, con il consiglio tuttavia di non partecipare alla cerimonia. Un consiglio che lei ignorò. Lo scandalo causò anche cinque duelli in difesa di Marie Curie, che Langevin dovette combattere per onore. Langevin rimediò solo piccole ferite, ma ad altri andò peggio. La prima guerra mondiale e gli ultimi anni Durante la prima guerra mondiale, Marie Curie operò insieme alla figlia Irène in qualità di radiologa per il trattamento dei soldati feriti: dotando un'automobile di un'apparecchiatura radiografica rese possibili le indagini radiologiche effettuate in prossimità del fronte e partecipò alla formazione di tecnici e infermieri. Dopo la guerra divenne attiva nella Commissione Internazionale per la Cooperazione Intellettuale della Lega delle Nazioni per migliorare le condizioni di lavoro degli scienziati. Nel 1909 fondò a Parigi l'Institut du radium, oggi noto come Istituto Curie e, nel 1932, un altro analogo istituto a Varsavia, anch'esso successivamente rinominato Istituto Curie. Nel 1921 effettuò un viaggio negli Stati Uniti per raccogliere i fondi monetari necessari a continuare le ricerche sul radio; ovunque fu accolta in modo trionfale. Negli ultimi anni della sua vita fu colpita da una grave forma di anemia aplastica, malattia quasi certamente contratta a causa delle lunghe esposizioni alle radiazioni di cui, all'epoca, si ignorava la pericolosità. Morì nel sanatorio di Sancellemoz di Passy in Alta Savoia, nel 1934. Ancora oggi, tutti i suoi appunti di laboratorio successivi al 1890, persino i suoi ricettari di cucina, sono considerati pericolosi a causa del loro contatto con sostanze radioattive. Sono conservati in apposite scatole piombate e chiunque voglia consultarli deve indossare abiti di protezione. La figlia maggiore, Irène Joliot-Curie, vinse anch'ella un premio Nobel per la chimica (insieme al marito Frédéric Joliot-Curie) nel 1935. La secondogenita, Ève Denise Curie, scrittrice, fu tra l'altro consigliere speciale del Segretariato delle Nazioni Unite e ambasciatrice dell'UNICEF in Grecia. La nipote Hélène Langevin-Joliot è professoressa di fisica nucleare all'Università di Parigi. Un altro nipote, Pierre Joliot è un noto biochimico che si occupa dello studio della fotosintesi. I premi Nobel Maria Skłodowska-Curie fu la prima persona a vincere o condividere due premi Nobel. Oltre a lei, soltanto un'altra persona, sino ad ora, ha ricevuto due premi Nobel in due campi differenti: Linus Pauling che, oltre a quello per la chimica nel 1954, ne ha ottenuto un altro nel 1962 per la pace. Altri ne hanno ricevuti due nello stesso settore: John Bardeen (entrambi in fisica), K. Barry Sharpless e Frederick Sanger (entrambi in chimica). Insieme al marito Pierre Curie e ad Antoine Henri Becquerel, Maria Skłodowska-Curie ricevette – prima donna della storia – il premio Nobel per la fisica nel 1903: In occasione della conferenza per il primo premio Nobel, Pierre Curie pronunciò queste parole: Otto anni dopo, nel 1911, a Maria fu dato un altro premio Nobel, questa volta per la chimica: Altri riconoscimenti Assieme al marito Pierre Curie ricevette la Medaglia Davy nel 1903 e la Medaglia Matteucci nel 1904. Il 20 aprile 1995 le sue spoglie (insieme a quelle del marito Pierre) sono state trasferite dal cimitero di Sceaux al Pantheon di Parigi. È stata la prima donna della storia ad avere ricevuto questo onore (per meriti propri). Per il timore di contaminazioni radioattive, la sua bara è stata avvolta in una camicia di piombo. Una moneta da 100 franchi francesi e una banconota da złoty polacchi che la raffigurano furono emesse negli anni novanta. Ai coniugi Curie è stato dedicato un asteroide, il 7000 Curie, e un minerale di uranio: la curite. A Maria-Skłodowska è stato dedicato un altro minerale di uranio: la sklodowskite oltre all'unità di misura della radioattività: il curie. Riconoscimenti Opere Marie Curie, La vita non è facile, e allora?, a cura di Massimiliano Borelli, Roma, L'orma, 2015, ISBN 9788898038596 Marie Curie, Autobiografia, Castelvecchi, Roma, 2017, ISBN 8832820226 Marie Curie, Per amore. La storia di Pierre e Marie Curie raccontata da Marie, traduzione di Andrea Veglio, 2022, ISBN 9798846257696 Nella cultura di massa Film: 1943: Madame Curie, film americano di Mervyn LeRoy, pluri-candidato agli Oscar con protagonista Greer Garson. 1997: Les Palmes de M. Schutz, film francese diretto da Claude Pinoteau. Marie Curie è interpretata da Isabelle Huppert. 2016: Marie Curie: The Courage of Knowledge, co-produzione europea di Marie Noëlle con Karolina Gruszka. 2019: Radioactive, film inglese di Marjane Satrapi con protagonista Rosamund Pike. Note Bibliografia Voci correlate Donne nella scienza Radioactive (film del 2019, regia di Marjane Satrapi) Toshiko Yuasa (definita la Marie Curie giapponese) Altri progetti Collegamenti esterni Maria Sklodowska-Curie su Europeana Morti per esposizione alle radiazioni Fisici francesi Chimici francesi Chimici nucleari Cur Medaglia Davy Membri dell'Accademia delle scienze dell'URSS Sepolti nel Pantheon (Parigi)
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https://it.wikipedia.org/wiki/M31
M31
Astronomia M31 – numero del Catalogo di Messier della Galassia di Andromeda Matematica M31 – numero primo di Mersenne, 231 − 1 = Altro Suomi M-31 – mitragliatrice leggera finlandese
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https://it.wikipedia.org/wiki/M33
M33
Astronomia M33 – numero del Catalogo di Messier della Galassia del Triangolo Altro Macchi M.33 – aeroplano della Aermacchi M33 – Elmetto adottato dalle forze armate italiane dal 1933 al 1975
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https://it.wikipedia.org/wiki/Magnitudine%20apparente
Magnitudine apparente
La magnitudine apparente (m) di un corpo celeste è una misura della sua luminosità rilevabile da un punto di osservazione, di solito la Terra. Il valore della magnitudine è corretto in modo da ottenere la luminosità che l'oggetto avrebbe se la Terra fosse priva di atmosfera. Maggiore è la luminosità dell'oggetto celeste, minore è la sua magnitudine. La magnitudine, misurata mediante fotometria, generalmente viene rilevata nello spettro visibile all'uomo (vmag), ma a volte possono essere utilizzate altre regioni dello spettro elettromagnetico, come la banda J nel vicino infrarosso. Sirio è la stella più luminosa del cielo notturno nello spettro visibile, ma nella banda J la stella più luminosa risulta Betelgeuse. Poiché ad esempio un oggetto estremamente luminoso può apparire molto debole se si trova a una grande distanza, questa misura non indica la luminosità intrinseca dell'oggetto celeste, che viene invece espressa con il concetto di magnitudine assoluta. Storia La scala con cui sono misurate le magnitudini affonda le sue radici nella pratica ellenistica di dividere le stelle visibili a occhio nudo in sei magnitudini. Le stelle più luminose erano dette di prima magnitudine (m = +1), quelle brillanti la metà di queste erano di seconda magnitudine, e così via fino alla sesta magnitudine (m = +6), al limite della visione umana a occhio nudo (senza un telescopio o altri aiuti ottici). Questo metodo puramente empirico di indicare la luminosità delle stelle fu reso popolare da Tolomeo nel suo Almagesto, e si pensa che sia stato inventato da Ipparco. Il sistema prendeva in considerazione solo le stelle, e non considerava la Luna, il Sole o altri oggetti celesti non stellari. Nel 1856, Pogson formalizzò il sistema definendo una stella di prima magnitudine come una stella che fosse 100 volte più luminosa di una stella di sesta magnitudine. Perciò, una stella di prima magnitudine si trova a essere 2,512 volte più luminosa di una stella di seconda, come si deduce dal seguente calcolo: La radice quinta di 100 (2,512) è conosciuta come rapporto di Pogson. La scala di Pogson fu fissata in origine assegnando alla stella Polare una magnitudine di 2. Gli astronomi hanno in seguito scoperto che la Polare è leggermente variabile, pertanto viene usata come riferimento la stella Vega. Si è deciso di adottare una scala logaritmica perché nel XIX secolo si credeva che l'occhio umano non fosse sensibile alle differenze di luminosità in modo direttamente proporzionale alla quantità di energia ricevuta, ma su scala logaritmica. In seguito si scoprì che ciò è solo approssimativamente corretto, ma la scala logaritmica delle magnitudini rimase ugualmente in uso. Il sistema moderno non è più limitato a sei magnitudini. Oggetti molto luminosi hanno magnitudini negative. Per esempio Sirio, la stella più brillante della sfera celeste, ha una magnitudine apparente posta tra −1,44 e −1,46. La scala moderna include la Luna e il Sole. La prima, quando è piena, è di magnitudine −12, mentre il secondo raggiunge la magnitudine −26,8. Il Telescopio spaziale Hubble e il Telescopio Keck hanno registrato stelle di magnitudine +30. Relazioni matematiche Poiché la quantità di luce ricevuta da un osservatore dipende dalle condizioni dell'atmosfera terrestre, il valore della magnitudine apparente viene corretto in modo da ottenere la luminosità che un oggetto avrebbe in assenza di atmosfera. Quanto più un oggetto è debole, tanto più elevata è la sua magnitudine. La magnitudine apparente di un oggetto non è una misura della sua luminosità intrinseca: quanto un oggetto appaia luminoso dalla Terra dipende infatti, oltre che dalla sua luminosità assoluta, anche dalla sua distanza. Un oggetto molto distante può apparire molto debole, anche se la sua luminosità intrinseca è elevata. Una misura della luminosità intrinseca dell'oggetto è la sua magnitudine assoluta (M), che equivale alla magnitudine che l'oggetto avrebbe se si trovasse alla distanza di 10 parsec dalla Terra (~32,6 anni luce). Per i pianeti e gli altri corpi del sistema solare la magnitudine assoluta equivale alla magnitudine apparente che il corpo avrebbe se si trovasse alla distanza di 1 UA sia dal Sole che dalla Terra. La magnitudine assoluta del Sole è 4,83 nella banda V (giallo) e 5,48 nella banda B (blu). Poiché , la magnitudine apparente m nella banda x può essere definita come: dove è il flusso astrofisico osservabile nella banda x e e sono rispettivamente la magnitudine e il flusso di un oggetto di riferimento, ad esempio la stella Vega. L'incremento di una magnitudine corrisponde a una diminuzione di un fattore di . Per le proprietà dei logaritmi una differenza di magnitudini di può essere convertita in un rapporto tra flussi mediante la seguente formula: Esempio: il Sole e la Luna Si supponga di voler conoscere il rapporto fra la luminosità del Sole e quello della Luna piena. La magnitudine apparente media del Sole è -26,74, quella della Luna piena mediamente è -12,74. Differenza di magnitudine: Rapporto fra le luminosità: Visto dalla Terra il Sole appare volte più luminoso della Luna piena, nonostante il nostro Astro sia quasi 400 volte più lontano dal nostro pianeta rispetto alla distanza media della Luna, la quale ovviamente riflette in piccola parte la luce ricevuta. Addizione Qualche volta può essere necessario sommare magnitudini, per esempio, per determinare la magnitudine combinata di una stella doppia, quando la magnitudine delle due componenti è conosciuta. Ciò può essere fatto utilizzando la seguente equazione: ove è la magnitudine combinata e e le magnitudini delle due componenti. Risolvendo l'equazione per si ottiene: Si noti che vengono utilizzati i numeri negativi di ogni magnitudine perché luminosità maggiori equivalgono a magnitudini minori. Precisazioni La natura logaritmica della scala è dovuta al fatto che ai tempi di Pogson si pensava che l'occhio umano avesse esso stesso una risposta logaritmica (si veda per esempio la legge di Weber-Fechner). Tuttavia si è poi scoperto che l'occhio umano segue in realtà leggi di potenza, come quelle espresse dalla legge di Stevens. La misura della magnitudine viene complicata dal fatto che gli oggetti celesti non emettono radiazione monocromatica, bensì distribuita su un proprio caratteristico spettro. Per questo è importante sapere in quale regione di tale spettro stiamo osservando. A tal fine è utilizzato il sistema fotometrico UBV nel quale la magnitudine viene misurata a tre differenti lunghezze d'onda: U (centrata attorno a 350 nm, nell'ultravioletto vicino), B (circa 435 nm, nel blu) e V (circa 555 nm, nel mezzo dell'intervallo di sensibilità dell'occhio umano). La banda V è stata scelta perché fornisce magnitudini molto simili a quelle viste dall'occhio umano, e quando un valore di magnitudine apparente è fornito senza altre spiegazioni, si tratta in genere di una magnitudine V, chiamata anche magnitudine visuale. Tuttavia le stelle più fredde, come le giganti rosse e le nane rosse, emettono poca energia nelle parti blu ed UV del loro spettro, e la loro luminosità viene spesso sotto-stimata nella scala UBV. In effetti, alcune stelle di tipo L e T avrebbero una magnitudine UBV superiore a 100 perché emettono pochissima luce visibile, ma sono molto più luminose nell'infrarosso. L'originario sistema UBV è stato quindi integrato con due nuovi "colori", R ed I, centrati rispettivamente a 797 e 1220 nm (sistema di Johnson-Morgan-Cousins). Una volta scelta la banda su cui osservare, bisogna anche ricordare che ogni rivelatore utilizzato per raccogliere la radiazione (pellicole, sensori CCD, fotomoltiplicatori..) ha una diversa efficienza al variare della frequenza del fotone incidente: dovremo quindi tenere conto anche di queste caratteristiche curve di risposta quando vogliamo risalire alla luminosità di un oggetto osservato. Le pellicole fotografiche utilizzate all'inizio del XX secolo erano molto sensibili alla luce blu e, di conseguenza, nelle fotografie prese a quell'epoca la supergigante blu Rigel appare molto più luminosa della supergigante rossa Betelgeuse di quanto non appaia ad occhio nudo. Di conseguenza le magnitudini ottenute a partire da queste fotografie, conosciute come magnitudini fotografiche, sono considerate obsolete. Nella pratica il passaggio dalle magnitudini strumentali a quantità di effettivo significato astrofisico avviene attraverso il confronto con opportune stelle standard, oggetti scelti come riferimento di cui si conosce la luminosità e la distribuzione spettrale. Tavola delle magnitudini di alcuni oggetti celesti notevoli Alcune delle magnitudini riportate sopra sono solo approssimative. La sensibilità di un telescopio dipende dal tempo di osservazione, dalla lunghezza d'onda e da interferenze atmosferiche come lo scattering o l'airglow. Note Voci correlate Magnitudine assoluta Luminosità (astronomia) Stelle più brillanti del cielo notturno osservabile Stelle storicamente più luminose Lux Luminosità superficiale Modulo di distanza Collegamenti esterni Grandezze astronomiche
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https://it.wikipedia.org/wiki/M45
M45
Astronomia M45 – numero del Catalogo di Messier delle Pleiadi Trasporti M45 – autostrada britannica, traversa dell'M1 a nord di Daventry verso Coventry Altro M45 – missile balistico sublanciato Infiniti M45 – automobile della Infiniti
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https://it.wikipedia.org/wiki/Mitologia
Mitologia
Mitologia è il termine con cui si indica sia lo studio riferito di frequente alle singole religioni dei miti, sia il complesso delle credenze mitiche. Queste concernono principalmente tre argomenti: a) l'origine del mondo; b) l'origine dell'uomo; c) l'origine del popolo privilegiato rispetto alla divinità (l'elaboratore del mito stesso) Disciplina considerata fenomeno culturale assai complesso, la mitologia può essere analizzata sotto diverse prospettive; il suo corpus è comunque dato dall'insieme di narrazioni quasi sempre orali, spesso letterarie e da drammatizzazioni e rappresentazioni di tipo figurativo che mettono a fuoco le vicende di personaggi esterni al tempo inteso in senso storico. L'intersecarsi, il comporsi ed anche lo scomporsi ed il successivo ricomporsi delle vicende mitologiche che è possibile vedere sotto una diversa prospettiva a seconda di una narrazione o rappresentazione rispetto ad un'altra costituiscono il patrimonio fondativo di una determinata cultura e di un popolo. Ciò è sempre in qualche modo in rapporto con la sfera del sacro e del divino, per questa ragione il confine tra mitologia e teologia è molto labile e talvolta indistinguibile. Origini Può darsi che le civiltà antiche abbiano considerato i loro miti come la memoria di avvenimenti realmente accaduti, spesso legati all'origine stessa del mondo e dell'uomo. Di certo, le culture storiche molto spesso (o quasi sempre) hanno messo in dubbio la verità letterale dei miti, interrogandosi sulle ragioni e sui modi della nascita di questi antichi racconti strettamente connessi al pensiero del divino. Un celebre tentativo di rispondere a questo genere di domande si deve a Evemero, filosofo greco vissuto tra il IV e il III secolo a.C. Nell'interpretazione cosiddetta evemeristica, i miti sono in effetti resoconti di avvenimenti storici, che però, nel loro essere tramandati di generazione in generazione, sono stati via via sottoposti ad un insensibile procedimento fantastico, cristallizzando dettagli inverosimili e assumendo specifiche peculiarità simboliche. Secondo questa tesi (che ha sostenitori anche in tempi moderni), gli dèi del mito sono in realtà antichi re e guerrieri che col tempo sono diventati leggendari o sono stati divinizzati. Sempre fra i filosofi greci, altri (per esempio Plotino) sostennero invece l'infondatezza storica del mito, asserendo che la mitologia andava considerata come un corpus di insegnamenti morali espresso in forma metaforica. Anche questa posizione generale ha ancora i propri sostenitori, sebbene in genere gli studiosi moderni concordino sul fatto che non tutti i miti abbiano un significato morale. Nel XVII secolo, il filosofo Giambattista Vico suppose che il mito fosse nato dalle caratteristiche proprie dei primi uomini: simili a "fanciulli", i nostri progenitori, anziché formulare concetti astratti, avrebbero espresse la loro visione del mondo mediante immagini poetiche. Si tratta di una concezione di cui sarebbe davvero imprudente sottovalutare l'importanza: se ne ritrovano tracce, di segno peraltro opposto, in quasi tutte le teorie antropologiche successive, sia in quelle che vedono nell'ipotetica "fantasia" primordiale null'altro che un'incapacità razionale, sia in quelle che all'opposto ritengono quel pensiero "poetico" (di cui si parla per via ipotetica, occorre ricordarlo) come superiore a quello fondato sul principio di non contraddizione e su altri protocolli della Ragione. Età contemporanea Un primo contributo importante si deve al filologo Max Muller nel XIX secolo, il quale affermava che i miti avevano avuto origine nel linguaggio, dunque il mito nella sua interezza era, semplicisticamente parlando, una descrizione poetica degli eventi naturali, e i nomi degli dei che venivano dati a tali fenomeni. In questo però Muller non faceva che riprendere quanto già sostenuto nella Scienza Nuova da Vico. Ma un'interpretazione di tipo completamente differente ci viene dallo studio di Sigmund Freud e dei suoi seguaci ed allievi. Tra questi Carl Gustav Jung, tra la fine del XIX secolo e i primi anni del XX secolo è sicuramente colui che si è occupato maggiormente del mito, ma con un'interpretazione spiritualistica che finisce per confliggere con quella materialistica del maestro. Jung apre, a tutti gli effetti, una via alla psicanalisi su presupposti molto differenti da quelli di Freud. Secondo gli psicanalisti in genere, il mito nasce in seguito a due processi: il primo si può definire come un affacciarsi alla mente dell'uomo delle attività intellettive fondamentali, ossia la ricerca delle cause, i sentimenti contrapposti, le intuizioni, attività che prendono piede contemporaneamente. Il secondo processo opera una fusione della vita cosciente con la vita inconscia, ossia avviene un meccanismo simile a quello che avviene nei sogni. Questi due processi si integrano e si completano vicendevolmente: infatti, mentre il primo porta alla formazione di immagini "sintetiche", ossia immagini non direttamente stampate sulla retina dell'occhio, che racchiudono tutto quello che concerne una determinata idea, il secondo interviene, attingendo alla capacità di correlazione e sincretismo tra le varie attività del pensiero, per organizzare il primo processo, dando così origine al mito. Ad esempio, l'idea di "acqua" riunisce le idee di necessità, di causa prima, di fecondità, e di conseguenza il secondo processo interviene per creare la figura di un essere che ne rappresenti gli attributi e che operi di conseguenza. Nel momento in cui nasce il mito, la potenza diventa atto. Naturalmente questo non esclude il fatto che molti personaggi mitologici potrebbero essere realmente esistiti, anzi in alcuni casi ne abbiamo la quasi certezza: quello che è vero, è che probabilmente le loro imprese raccontate dai miti siano state romanzate, per i motivi di cui sopra, ed è certo che la mitologia è stata, specie nel passato, fonte di ispirazione nell'arte, sia in letteratura come nella pittura e nella musica. Mitologia come scienza Gli aspetti fondamentali del mito sono simili in ogni parte del mondo. Ad esempio Giorgio De Santillana ed Herta Von Dechend (in Il mulino di Amleto) affermano che la complessità della descrizione mitologica non ha nulla da invidiare alla complessità della scienza attuale. Attraverso il mito si scopre un messaggio importante per l'umanità che solo ora è possibile e necessario decifrare. L'autore afferma infatti che sia necessario affrontare una lettura "su più livelli" del mito. Ad esempio il Diluvio universale è un mito che si trova dovunque, in quasi tutte le antiche mitologie, anche in popoli geograficamente molto distanti. La prima ipotesi che si affaccia alla mente è che questo mito sia la descrizione di un'alluvione avvenuta in tempi remotissimi, il cui racconto fu tramandato oralmente e poi trascritto. Alcuni studiosi tuttavia credono che un mito come quello del Diluvio potrebbe essere molto più semplicemente nato dall'idea che le antiche popolazioni potevano avere dell'acqua: è innegabile che molte immagini risultano avere la stessa valenza in luoghi diversi (il fuoco e l'acqua la purificazione, il fulmine l'ira divina e così via), pertanto è possibile che l'idea di un'alluvione talmente devastante da costringere gli uomini a ricominciare da zero sia nata nelle diverse culture per diverse esigenze. Secondo questa ipotesi, piuttosto che un evento reale raccontato in modi diversi, le culture antiche avrebbero adattato una identica idea ai loro interessi, ai loro scopi; bisogna considerare che anticamente gli uomini erano molto più vulnerabili agli eventi naturali, e potrebbero aver scelto quasi indipendentemente un'inondazione come evento catastrofico. D'altra parte il primo Diluvio, raccontato nellEpopea di Gilgamesh fu ripreso nellEnūma eliš, e da qui si diffuse nella cultura greca e in quella ebrea, e da lì in tutto il mondo indoeuropeo. Le piante nella mitologia I racconti mitologici di pressoché qualsiasi popolo tradiscono un sentimento profondo per gli organismi vegetali che spesso venivano analizzati con cura, e di cui ci si serviva per comunicare significati allegorici a mezzo di un linguaggio simbolico. Inoltre laddove si analizzino alcuni racconti mitologici in relazione al culto è possibile riconoscere un nesso di ordine tradizionale tra la flora e il divino; basti pensare all'uso diffuso nelle celebrazioni che già in tempi remoti si faceva dell'incenso, e ad alcuni racconti mitologici che vedono protagonisti la pianta (mito di Leucotoe), ovvero un giovane che porta il nome della pianta (Libanotis). Le mitologie Non esiste cultura antica senza una propria mitologia. Le aree interessate comprendono tutti i continenti: Africa, Americhe, Asia, Europa ed Oceania. Di seguito una lista non esaustiva delle principali mitologie: Mitologia aborigena australiana Mitologia albanese Mitologia anglosassone Mitologia armena Mitologia azteca Mitologia babilonese Mitologia baltica Mitologia bantu Mitologia basca Mitologia careliana Mitologia celtica Mitologia cinese Mitologia ciuvascia Mitologia coreana Mitologia cristiana Mitologia ittita Mitologia dei Nativi Americani Mitologia ebraica Mitologia egizia Mitologia etrusca Mitologia fenicia Mitologia finnica Mitologia gallese Mitologia giapponese Mitologia greca Corrispondenza tra divinità greche e romane Mitologia hawaiana Mitologia inca Mitologia induista Mitologia inuit Mitologia irlandese Mitologia islamica Mitologia lituana Mitologia maya Mitologia mesopotamica Mitologia mongola Mitologia norrena Mitologia nuragica Mitologia persiana Mitologia romana Mitologia scintoista Mitologia scozzese Mitologia slava Mitologia sumera Mitologia turca Mitologia ugro-finnica Mitologia yoruba Note Bibliografia Giorgio De Santillana & Herta von Dechend, Il mulino di Amleto, Ed. Adelphi, Milano 2003 Robert Graves, I miti greci, Longanesi Milano 1988 Carl G. Jung e Károly Kerényi, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Boringhieri, Torino 1972 Eleazar Meletinskij, Poetika mifa, Moskva, Nauka, 1976, trad. it. di A. Ferrari, Il mito. Poetica folclore ripresa novecentesca, Roma, Editori Riuniti, 1993. Voci correlate Animale mitologico Credenza Folclore Mito Religione Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Marco
Marco
Anime e manga Marco – anime della Nippon Animation Marco – singolo de Gli amici di Marco, sigla italiana dell'omonima serie Marco – personaggio del manga e anime One Piece Geografia Marco – comune dello stato del Ceará, Brasile Marco – frazione del comune di Rovereto, in provincia di Trento, un tempo comune autonomo Monete Germania Marco – nome di diverse monete di area tedesca Courantmark – moneta della Germania settentrionale dal 1502 – cfr. Wendischer Münzverein Mark Banco – unità di conto di Amburgo (XVII – XIX secolo) Goldmark – Impero tedesco 1871-1915 Papiermark – Germania 1919-1923 Rentenmark – Germania 1923-1924 Reichsmark – Germania 1924-1948 Marco tedesco – Germania 1948-2001 Marco della Repubblica Democratica Tedesca – valuta della Repubblica Democratica Tedesca (sostituito dal Marco tedesco con l'unificazione della Germania) Altri paesi Marco – valuta della Bosnia ed Erzegovina dal 1998 Marco – valuta della Finlandia fino al 2001 Marco estone – (1918-1927) Marco polacco – (1918-1926) Persone Marco – discepolo dell'apostolo Paolo Marco – maestro gnostico della scuola di Valentino Marco – papa della Chiesa cattolica (336) Marco – usurpatore romano Marco – Imperatore romano d'Oriente insieme al padre Basilisco Marco – vescovo italiano Carles Marco – ex cestista e allenatore di pallacanestro spagnolo Domenico Marco – prefetto, avvocato e politico italiano Enric Marco – sindacalista spagnolo Georg Marco – scacchista e compositore di scacchi romeno José Antonio Marco – cestista spagnolo Altro Marco – nome proprio di persona italiano maschile Marco – unità di misura del peso medievale Marco – personaggio della serie fantascientifica di libri per ragazzi Animorphs Altri progetti
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https://it.wikipedia.org/wiki/Napoli
Napoli
Napoli (AFI: ; Napule in napoletano, pronuncia ) è un comune italiano di abitanti, terzo in Italia per popolazione, capoluogo della Regione Campania, dell'omonima città metropolitana e centro di una delle più popolose e densamente popolate aree metropolitane d'Europa. Fondata dai cumani nell'VIII secolo a.C., fu tra le città più importanti della Magna Grecia e giocò un notevole ruolo commerciale, culturale e religioso nei confronti delle popolazioni italiche circostanti. Dopo il crollo dell'Impero romano, nell'VIII secolo la città formò un ducato autonomo indipendente dall'Impero bizantino; in seguito, dal XIII secolo e per più di cinquecento anni, fu capitale del Regno di Napoli; con la Restaurazione divenne capitale del Regno delle Due Sicilie sotto i Borbone fino all'Unità d'Italia. Sede della Federico II, la più antica università del mondo a essere nata attraverso un provvedimento statale, ospita, altresì, L'Orientale, la più antica università di studi sinologici e orientalistici del continente, e la Nunziatella, una delle più antiche accademie militari al mondo, eletta patrimonio storico e culturale dei Paesi del Mediterraneo da parte dell'Assemblea parlamentare del Mediterraneo. Luogo d'origine della lingua napoletana, ha rivestito e riveste tuttora un forte peso in numerosi campi del sapere, della cultura e dell'immaginario collettivo. Protagonista dell'umanesimo e centro illuminista di livello europeo, Napoli è stata a lungo un punto di riferimento globale per la musica classica e l'opera attraverso la scuola musicale napoletana, dando tra l'altro origine all'opera buffa. Città dall'imponente tradizione nel campo delle arti figurative, che affonda le proprie radici nell'età classica, ha dato luogo a movimenti architettonici e pittorici originali, quali il Rinascimento napoletano e il barocco napoletano, il caravaggismo, la scuola di Posillipo, la scuola di Resina e il liberty napoletano, nonché ad arti minori, ma di rilevanza internazionale, quali la porcellana di Capodimonte e il presepe napoletano. È all'origine di una forma distintiva di teatro, di una canzone di fama mondiale e di una peculiare tradizione culinaria che comprende alimenti che assumono il ruolo di icone globali, come la pizza napoletana e l'arte dei suoi pizzaioli, che è stata dichiarata dall'UNESCO patrimonio immateriale dell'umanità. Nel 1995 il centro storico di Napoli è stato riconosciuto dall'UNESCO come patrimonio dell'umanità per i suoi monumenti, che testimoniano la successione di culture del Mediterraneo e dell'Europa. Nel 1997 l'apparato vulcanico Somma-Vesuvio è stato eletto dalla stessa agenzia internazionale (con il vicino Miglio d'Oro, in cui ricadono anche i quartieri orientali della città) tra le riserve mondiali della biosfera. Geografia fisica Territorio Napoli sorge quasi al centro dell'omonimo golfo "dominato" dal vulcano Vesuvio e delimitato a est dalla penisola sorrentina con Punta Campanella, a ovest dai Campi Flegrei con Monte di Procida, a nord ovest-est dal versante meridionale della piana campana che si estende dal lago Patria al nolano. Il territorio di Napoli è composto da molti rilievi collinari (la collina dei Camaldoli, il più alto, raggiunge i ), ma anche da isole e penisole a strapiombo sul Mar Tirreno. Il territorio urbano, limitato a occidente dal vulcano Campi Flegrei e a oriente dal Somma-Vesuvio, ha una storia geologicamente complessa. Il substrato su cui poggia la città ha origine eminentemente vulcanica ed è il prodotto di una serie di eruzioni dei due complessi. Secondo la classificazione sismica nazionale, Napoli è ubicata in zona 2 (sismicità media). Clima Napoli gode di un clima mediterraneo, con inverni miti e piovosi ed estati calde e secche, ma comunque rinfrescate dalla brezza marina che raramente manca sul suo golfo. Secondo la classificazione Köppen, Napoli, nella sua fascia costiera, appartiene alla zona Cfa e Csa, perché un mese di estate riceve una quantità di precipitazioni superiore a 40 millimetri. Il sole splende mediamente per 250 giorni l'anno. La particolare conformazione morfologica del territorio del capoluogo, comunque, è tale da fare in modo che la città possieda al suo interno differenti microclimi, con la possibilità quindi di incontrare variazioni climatiche anche significative spostandosi di pochi chilometri. Secondo la classificazione climatica italiana, Napoli è ubicata nella zona C. Origini del nome L'etimologia del nome «Napoli» deriva dal termine greco Neapolis () che significa «città nuova», mentre la sua radice fa riferimento all'arrivo di nuovi coloni, dunque ad una epoikia. In realtà, fu un vero e proprio tratto distintivo dell'epoca greca. La città assorbiva nuove componenti e ogni volta rinasceva come Neapolis, la "Città Nuova", appunto: dopo la sua rifondazione, l'insediamento ribadì il proprio nome col sovrapporsi della componente ateniese, pithecusana, cumana (i profughi scampati, intorno al 421 a.C., alla presa della città da parte dei Campani) e osca. Storia Evo antico Il sito esatto in cui si è sviluppata la città, ossia la collina di Pizzofalcone e le aree limitrofe, risulta frequentato e occupato quasi ininterrottamente dal Neolitico medio. Parthènope venne fondata come epineion (approdo e caposaldo) cumano alla fine dell'VIII secolo a.C. (anche se la più antica documentazione archeologica è datata nel II-III quarto dell'VIII secolo, ossia tra il 750 e il 720 a.C.), a guardia dell'accesso meridionale del golfo. Nel VI secolo a.C. la città venne rifondata come Neapolis (nuova città), diventando progressivamente una delle città più importanti della Magna Grecia e costituendo la fonte principale tramite la quale la "grecità" alimentò la nascente cultura romana. La Nuova Città, infatti, seppe immediatamente sia sostituirsi alla città madre nei commerci marittimi, sia assumere il controllo sul golfo che da Cumano divenne Golfo Neapolitano, mentre con l'arrivo del navarca ateniese Diotimo inaugurò il suo ruolo sempre più egemone su tutto il litorale campano ed "internazionale" nel Mediterraneo. Nel 326 a.C. venne conquistata dai Romani, conservando però l'eredità civile dei suoi fondatori fino nel Medioevo, tanto da poter essere definita «la metropoli dell’ellenismo d’Occidente». Distrutta nell'82 a.C. dai partigiani di Silla, nel corso dell'ultimo secolo della Repubblica e durante l'Impero Neapolis si trasformò gradatamente da città mercantile a città degli otia per l'alta società romana e per gli imperatori. Fu sede di importanti scuole, come quella di Filodemo di Gadara e Sirone ove studiarono Virgilio e Orazio, e dei giochi Isolimpici che si svolgevano ogni quattro anni in concomitanza con i giochi di Olimpia. Tra il 161 e il 180 d. C., la città ottenne, forse per decisione dell’imperatore Marco Aurelio, con il nome di Colonia Aurelia Augusta Antoniniana Felix Neapolis, il riconoscimento appunto dello status di colonia. Età medievale Il Ducato di Napoli Nel 536 Napoli fu conquistata dai bizantini durante la guerra gotica e rimase saldamente in mano all'impero anche durante la susseguente invasione longobarda, divenendo in seguito ducato autonomo. Il primo duca, secondo la tradizione, sarebbe stato Basilio, nominato nel 660-61 dall'Imperatore bizantino Costante II, anche se è probabile che egli fosse stato preceduto da altre persone con stesse mansioni, le quali erano comunque espressione delle cosiddette "famiglie magnatizie" cittadine. La vita del ducato fu caratterizzata da continue guerre, principalmente difensive, contro i potenti principati longobardi vicini e i conquistatori musulmani (genericamente definiti Saraceni), provenienti per lo più dal Nordafrica o dalla Sicilia, che era stata conquistata dagli Arabi-Aghlabidi a partire dall'827. Celebre è a tal proposito la battaglia navale di Ostia dell'849, mentre Abu l-'Abbas Muhammad I tentò di impadronirsi della città nell'846. L'avversione tra il cristianesimo e l'islam, tuttavia, intravide già a Napoli ampi spazi di convergenza in vista di una proiezione più mediterranea che continentale del ducato. I comuni interessi commerciali determinarono di fatto una sostanziale amicizia tra Napoli e il mondo arabo, tanto che si verificò il disinvolto impiego da parte napoletana (ma campana in genere, dovendosi comprendere in questo discorso anche Amalfi) di mercenari, per lo più assoldati nell'insediamento del Traetto (in arabo ribāṭ). Prolungato artefice di questa politica fu il vescovo di Napoli e duca Attanasio II, a dispetto della scomunica inflittagli da papa Giovanni VIII. Il X secolo fu caratterizzato da una politica di neutralità, che mirò a tener fuori Napoli dai giochi che si svolgevano intorno a lei. Da ciò trassero giovamento sia l'economia, che la cultura, consentendo da un lato lo sviluppo delle industrie tessili e della lavorazione del ferro; dall'altro, un proficuo scambio di materiale letterario e storico - sia religioso sia profano, sia greco sia latino - tra la città e Costantinopoli, da cui provenne ad esempio il greco Romanzo di Alessandro. Lo sviluppo del movimento iconoclasta da parte di Leone III l'Isaurico, e la conseguente disputa teologica tra quest'ultimo e Papa Gregorio II, ebbe come conseguenza il passaggio formale delle diocesi dell'Italia bizantina sotto l'autorità del patriarcato di Costantinopoli. Nei fatti, tuttavia, la disposizione di Leone III rimase inapplicata, e Napoli restò fedele all'autorità del Papa. Come ricompensa per la posizione assunta nella disputa, la città fu elevata al rango di provincia ecclesiastica intorno al 990, e Sergio II ne fu il primo arcivescovo. Nel 1030 il duca Sergio IV donò la contea di Aversa alla banda di mercenari normanni di Rainulfo Drengot, che lo avevano affiancato nell'ennesima guerra contro il principato di Capua. Dalla base di Aversa, i normanni acquisirono una propria struttura sociale e organizzativa e nel volgere di un secolo furono in grado di sottomettere tutto il meridione d'Italia, dando vita al Regno di Sicilia. Il periodo normanno-svevo Nel 1139 i normanni di Ruggero II d'Altavilla conquistarono la città, ponendo fine al ducato: Napoli entrò così a far parte del territorio del Principato di Capua, nel neonato Regno di Sicilia, con capitale Palermo; ciononostante la città, già un centro di spessore sin dal VII secolo (a quest'ultimo periodo si collega la sua funzione di vicecapitale dell'Esarcato d'Italia sotto Costante II), si affermò come una notevole piazza commerciale (la più importante della costa tirrenica del Mezzogiorno). Passato il Regno di Sicilia in mano agli svevi sotto gli Hohenstaufen, Napoli fu compresa nel giustizierato di Terra di Lavoro. L'imperatore Federico II di Svevia preferì sempre come sua residenza Palermo così come anche la Capitanata in Puglia, ma a Napoli decise di istituire l'Università da cui trarre un ceto di funzionari fedeli istruiti all’interno dei confini. Essa, il più antico istituto europeo del suo genere, fu concepita come scuola indipendente dal potere papale. La città si ribellò più di una volta ai figli del defunto imperatore, Corrado IV e Manfredi, tanto che Corrado decise di diroccare parte delle mura e di spostare la sede dell'università a Salerno (poi ritornata a Napoli sei anni dopo, nel 1258). La fedeltà al papato fu ricompensata con l'ultimo soggiorno di Innocenzo IV nel 1254, da ottobre a dicembre, prima della sua morte. Il periodo angioino Napoli divenne parte del regno angioino in seguito alle vittorie di Carlo I d'Angiò su Manfredi di Svevia nel 1266 a Benevento; e su Corradino di Svevia a Tagliacozzo nel 1268. Sotto il regno di Carlo II d'Angiò, furono istituiti formalmente i Sedili, organi amministrativi ripartiti per aree della città. Essi traevano la propria origine dalla fratrie dell'epoca greca e dalla Magna cura Regis e sarebbero rimasti in piedi fino al XIX secolo. In seguito alla rivolta scoppiata in Sicilia nel 1282 (Vespri siciliani, causati anche dalla promozione ufficiale della città a capitale del Regno di Sicilia nel 1266) e il passaggio dell'isola al dominio aragonese, Napoli, divenne la capitale del Regno di Napoli. Succede a Carlo d'Angiò il figlio Carlo II e in seguito il nipote, Roberto d'Angiò, detto "il Saggio", che rende ulteriormente Napoli uno dei più influenti centri culturali dell'Europa e del Mediterraneo. A questo periodo risalgono i soggiorni in città di Francesco Petrarca, Simone Martini, Giotto (che vi fonderà una scuola pittorica giottesca fra le più importanti d'Italia) e di Boccaccio, che nella basilica di San Lorenzo Maggiore conoscerà Fiammetta, ovvero Maria d'Aquino e in seguito rimpiangerà i piacevoli anni trascorsi alla corte napoletana. Succederà al re Roberto, la nipote Giovanna I di Napoli nel 1343 e poi sarà il momento dei d'Angiò di Durazzo nel 1382 con Carlo di Durazzo, Ladislao I di Napoli e Giovanna II di Napoli. Tra gli avvenimenti celebri verificatesi nel periodo della dinastia angioina: la decapitazione del giovane Corradino di Svevia nel 1268, il maremoto del 1343 (lo stesso che diede il colpo di grazia ad Amalfi), il primo tentativo di riunificazione politica d'Italia sotto Ladislao di Durazzo e gli assedi alla città nelle lotte per la successione di Giovanna II d'Angiò fra Renato d'Angiò e Alfonso V d'Aragona finché quest'ultimo, dopo essere penetrato nella città attraverso un acquedotto, nel 1442 poté occupare definitivamente Napoli. Età moderna Il Regno aragonese Utriusque Siciliae Il sovrano Alfonso il Magnanimo, nonostante il conflitto interno fra la monarchia e i baroni, che si manifestò in episodi drammatici come la congiura dei baroni sotto il regno del figlio Ferdinando I di Napoli, privilegiò la città, facendone la capitale del suo Impero mediterraneo. Il periodo alfonsino e quello dei suoi successori fu caratterizzato dall'ampliamento del perimetro della città e dalla costruzione di una possente cinta muraria con ventidue torri cilindriche. In questo periodo furono anche costruiti importanti monumenti cittadini, come l'arco del Maschio Angioino (iniziativa che diede origine al cosiddetto clima dell'Arco), palazzo Diomede Carafa, palazzo Filomarino, porta Capuana, palazzo Como e la scomparsa villa di Poggioreale, che diverrà un paradigma per numerose ville, anche oltre i confini italiani. Anche il clima culturale conobbe un notevole incremento, grazie al grande impulso dato da Alfonso alla biblioteca cittadina e alla fondazione dell'Accademia Pontaniana. Le grandi somme profuse nella promozione della cultura diedero impulso ad un fiorire di attività, che resero Napoli protagonista dell'Umanesimo. Il Viceregno spagnolo A partire dal 1501, in conseguenza delle Guerre d'Italia che stravolsero la geopolitica europea, Napoli perse la sua indipendenza. Dopo la marcia su Napoli di Carlo VIII di Francia e la nuova occupazione francese, nel maggio del 1503 passò sotto la dominazione spagnola, e per oltre due secoli il regno fu governato da un viceré per conto di Madrid. Il lungo dominio spagnolo viene generalmente considerato dalla storiografia, specie di stampo crociano, un periodo oscuro e di regresso. In effetti però, la città in questo periodo non cadrà mai in una condizione provinciale (le dimensioni monstre, la vivacità interculturale e l'anticurialismo della Napoli spagnola), divenendo uno dei massimi centri dell'Impero; chiamata a contrastare tra l'altro l'espansionismo dell'Impero ottomano nel Mediterraneo centro-occidentale e ancor più importante a fungere da retrovia dell'azione spagnola nella valle padana. Del suddetto periodo è possibile riscontrare prestiti lessicali di adstrato nella lingua napoletana, nonché ampliamenti relativi all'assetto urbanistico della città, la quale raddoppiò il proprio perimetro e assistette all'apertura di via Toledo e alla costruzione dei cosiddetti quartieri spagnoli, ad opera degli architetti Giovanni Benincasa e Ferdinando Manlio, su richiesta dell'allora viceré Pedro de Toledo. Nel corso della guerra di successione spagnola l'Austria conquistò Napoli (1707), ma la tenne per pochi anni, fino al 1734, anno in cui il regno fu occupato da Carlo di Borbone, che vi ricostituì uno Stato indipendente che comprendeva tutto il sud Italia e la Sicilia. Il periodo borbonico e la parentesi francese Sotto Carlo III di Borbone, la città sancì definitivamente il suo ruolo di grande capitale europea, soprattutto con una serie di importanti iniziative urbanistiche e architettoniche; inoltre si affermò come grande centro illuminista. Con la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche, Napoli vide la nascita di una repubblica giacobina affogata nel sangue dalla successiva restaurazione borbonica. Nel 1806 fu conquistata dalle truppe francesi condotte da Napoleone Bonaparte che affidò il regno a suo fratello Giuseppe e in seguito a Gioacchino Murat, che non riuscì ad unificare prematuramente la penisola ma risvegliò il sentimento nazionale attraverso il Proclama di Rimini. Nel 1815 con la definitiva sconfitta di Napoleone e il Congresso di Vienna Napoli ritornò nuovamente ai Borbone. Durante il periodo francese, numerose furono le spoliazioni napoleoniche di opere d'arte a Napoli. Il 1820 in Europa fu l'anno delle agitazioni contro l'assolutismo monarchico, e a Napoli queste si manifestarono nella rivolta capitanata dal generale Guglielmo Pepe. Intimorito da ciò, Ferdinando I acquisì un comportamento ambiguo, elargendo dapprima la Costituzione, e chiedendo poi l'aiuto austriaco, per poterla ritirare e reprimere l'opposizione. Tale atteggiamento si ripeté nei moti del 1848 quando, dopo l'ennesima insurrezione, Ferdinando II concesse una carta costituzionale, per poi sciogliere il Parlamento e reprimere la rivolta nel sangue, ripristinando l'assolutismo. Altresì, in questo periodo la città vide numerosi impulsi in molti settori. La città fu colpita, come il resto d'Europa, da epidemie di colera che falcidiarono la popolazione nel 1835-37 e nel 1854-55; determinando anche tumulti e sommosse. Nel 1860 il Regno delle Due Sicilie fu oggetto della spedizione dei Mille di Giuseppe Garibaldi e successivamente invaso dal Regno di Sardegna. Francesco II di Borbone abbandonò Napoli ripiegando a Gaeta insieme a parte dell'esercito borbonico per «garantirla dalle rovine e dalla guerra… risparmiare a questa Patria carissima gli orrori dei disordini interni e i disastri della guerra civile», e fu tentata una prima difesa con la battaglia del Volturno e quindi con l'assedio di Gaeta. A seguito della sconfitta delle truppe borboniche, Napoli fu annessa al nascente Regno d'Italia. Età contemporanea Nel 1864 il Regno d'Italia fu forzato, dalla Convenzione di settembre con il Secondo Impero francese di Napoleone III, a spostare la capitale da Torino. Tra i motivi dello spostamento vi furono quelli militari: Napoli venne ritenuta la favorita assieme a Firenze (la prima era "protetta" dall'Appennino e la seconda dal Mar Tirreno). La città partenopea, per ragioni politiche, venne considerata dalla maggioranza del gabinetto una candidata particolarmente adatta, ma non ottenne l'appoggio del re, che ritenne Firenze una città più consona ad un ruolo di capitale temporanea, scelta confermata dal comitato di cinque generali chiamato a decidere, in quanto Napoli non sarebbe stata sufficientemente difendibile con la flotta italiana che non era ai livelli di quella francese o inglese. Lo smantellamento soprattutto delle precedenti strutture di governo seguito all'unificazione della penisola, unito al nuovo sistema fiscale e doganale nazionale ereditato da quello piemontese, determinò una profonda crisi sociale e industriale (denunciata anche dalla scrittrice Matilde Serao ne Il ventre di Napoli e Il paese di cuccagna). Le condizioni critiche della Napoli post-unitaria furono all'origine, a fine secolo XIX, di una profonda trasformazione urbanistica che le darà vaghe assonanze con la Parigi di Haussman. In questo periodo furono demoliti numerosi fabbricati e monumenti, costruiti nuovi quartieri, edifici e aperte le arterie di via Duomo, del Rettifilo, di via Francesco Caracciolo e viale Gramsci. Questo frangente storico coincise oltremodo con la nascita di numerosi café-chantant e di un dinamico ambiente culturale e sociale che vide esponenti del calibro di Benedetto Croce. L'11 marzo 1918, nel corso del primo conflitto mondiale, pur trovandosi molto distante dalla zona di conflitto, la città fu bombardata dal dirigibile tedesco L.58 o LZ 104, partito da una base bulgara, causando sedici vittime tra la popolazione civile. Nei primi anni venti del XX secolo, Napoli fu sede di uno dei più importanti Fasci di Combattimento italiani con a capo Aurelio Padovani; il 24 ottobre 1922 la città fu teatro della grande adunanza di camicie nere che fu la prova generale della Marcia su Roma. Con lo spostamento del baricentro politico ed economico del paese verso il Mezzogiorno, Mussolini riservò a Napoli il ruolo di città Porto dell'Impero coloniale italiano, motivo per cui vide di nuovo un profondo rinnovamento urbanistico. Casi emblematici sono la costruzione della Mostra d'Oltremare e del primo passante ferroviario di penetrazione urbana sotterraneo d'Italia, noto come "metropolitana FS", con la tratta Napoli-Pozzuoli. Proprio per il suo ruolo Napoli fu, durante la seconda guerra mondiale, la città italiana che subì il numero maggiore di bombardamenti, circa duecento. Dopo la resa del Regno d'Italia agli Alleati, avvenuta l'8 settembre 1943, Napoli fu teatro di una storica insurrezione popolare nota come le Quattro Giornate (27-30 settembre 1943) che, coronata dal successo, diede impulso alla Resistenza italiana dei partigiani contro i nazifascisti. Durante il secondo dopoguerra, vi fu il referendum per decidere tra monarchia e repubblica, e nella circoscrizione di Napoli ben furono a favore della prima. Pochi giorni dopo, fu Enrico De Nicola, napoletano, ad essere eletto primo presidente della Repubblica. Negli anni '50, nel pieno di quel fenomeno politico-sociale detto laurismo, nacque la grande speculazione edilizia che fu simbolicamente descritta nel film Le mani sulla città di Francesco Rosi. La città in questo periodo si espanse in tutte le direzioni, creando quelle che oggi sono le sue sterminate periferie che gravitano sul piccolo «distretto» centrale. Nello stesso periodo la città, che andava riprendendosi lentamente dagli scempi del secondo conflitto, vide nascere un'attività cinematografica molto intensa, sia a livello nazionale che internazionale. Il terremoto dell'Irpinia del 1980 fece sentire i suoi effetti anche a Napoli: nella zona orientale crollò un palazzo mal costruito, causando la morte di cinquantadue persone, e il settore turismo subì un'ulteriore flessione. Da una situazione economica e sociale così difficile, fu la camorra a proliferare. Nel 1994 la città ospitò il G7 e la conferenza mondiale dell'ONU per la lotta contro la criminalità organizzata, iniziando così un periodo di relativa rinascita. Nel 1995, dopo circa dieci anni di cantieri, venne completato il Centro Direzionale di Napoli, il primo cluster di grattacieli dell'Europa meridionale. Gli anni successivi vedranno la città divenire sede della Apple Developer Academy (2016), della XXX Universiade (inaugurata il 3 luglio 2019), dopo la rinuncia della capitale brasiliana, e ospitare il vertice del G20 su ambiente, energia e clima (2021). Capitale storica del Mezzogiorno, la Napoli contemporanea è il centro di una vasta area metropolitana e ha conservato un notevole prestigio culturale, come sede di istituzioni museali e teatrali, di un'antica università e di altre istituzioni. Simboli Lo stemma si compone di uno scudo sannitico diviso in due parti orizzontali di uguale altezza, quella superiore colorata d'oro e l'altra di rosso («troncato d'oro e di rosso»), sormontato da una corona turrita con cinque bastioni merlati visibili, di cui solo uno, quello centrale, dotato di porta d'ingresso. Secondo un'ipotesi, già dichiarata infondata dallo storico Bartolomeo Capasso, l'oro simboleggia il sole, mentre il rosso la luna. Il gonfalone riprende i due colori dello stemma, oro e rosso, che occupano rispettivamente la metà superiore e la metà inferiore dell'intero drappo («troncato»), riprendendo simmetricamente la disposizione dei colori dello scudo araldico cittadino. Onorificenze Napoli è tra le città decorate al valor militare per la guerra di liberazione; è stata, infatti, la prima grande città europea a liberarsi dall'occupazione nazi-fascista e quindi insignita della medaglia d'oro al valor militare per i sacrifici della popolazione e per le attività nella lotta partigiana durante la rivolta detta delle Quattro giornate di Napoli. Monumenti e luoghi d'interesse La storia di Napoli si presenta come un microcosmo di storia europea fatta di diverse civiltà, popoli e culture che hanno lasciato tracce anche nel suo eminente patrimonio artistico e monumentale. Napoli è in assoluto una delle città mondiali a maggior densità di risorse culturali, artistiche e monumentali, definita dalla BBC come «la città italiana con troppa storia da gestire». Il suo centro storico, frutto di storia, arte ed espressione urbanistica lungo un arco di circa tremila anni, ha esercitato una profonda influenza sull'Europa sin dall'Evo Antico. Architetture religiose Gli edifici religiosi costituiscono una parte essenziale del patrimonio monumentale cittadino. La certosa di San Martino, realizzata su imponenti fondamenta gotiche che già da sole costituiscono una notevole opera architettonica, è uno dei più riusciti esempi del barocco; mentre la cattedrale è quella di Santa Maria Assunta, anche se ne esistono molte altre degne di nota: la chiesa dei Girolamini, la basilica reale pontificia di San Francesco di Paola, la chiesa della Trinità Maggiore, la basilica di San Domenico Maggiore, la basilica dello Spirito Santo, la basilica di Santa Chiara con una delle navate più alte del mondo (45 metri), la basilica santuario di Santa Maria del Carmine Maggiore, la basilica di San Paolo Maggiore, la basilica di Santa Maria della Sanità, la chiesa di Sant'Agostino Maggiore, la basilica di San Lorenzo Maggiore, ecc.. Le chiese di Napoli si aggirano intorno al migliaio di unità, il che ne fa probabilmente la città con più chiese al mondo. Nel centro antico, da non confondersi con il centro storico, vi si concentrano circa 300 chiese dall'enorme valore storico, artistico e architettonico. Nel XVIII secolo la metropoli partenopea era soprannominata la "città delle 500 cupole". Nonostante i vari restauri portati a termine nell'ultimo lustro (chiesa di San Carlo alle Mortelle, chiesa di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta, complesso dei Cinesi, chiesa di Santa Maria Assunta dei Pignatelli, chiesa di Santa Maria della Colonna, chiesa di Santa Maria di Portosalvo, chiesa dei Santi Cosma e Damiano ai Banchi Nuovi, chiesa di Maria Santissima di Caravaggio, chiesa di San Nicola a Pistaso, ecc.) e nonostante quelli in corso (basilica di San Giacomo degli Spagnoli, complesso dei Girolamini, chiesa di San Nicola a Pistaso, chiesa di Santa Maria della Misericordia ai Vergini, chiesa di Santa Maria Maddalena delle Convertite Spagnole, chiesa di Sant'Andrea Apostolo detta dei Gattoli ecc.) sono ancora molte le chiese chiuse e in cattivo stato di conservazione, anche di notevole valore come ad esempio: la chiesa di Santa Maria delle Grazie Maggiore a Caponapoli, la chiesa della Santissima Trinità alla Cesarea o la chiesa di Santa Maria in Cosmedin. Innumerevoli anche le edicole sacre di Napoli, i chiostri monumentali e le aree cimiteriali, come il cimitero di Poggioreale, uno dei più vasti d'Europa. Architetture civili Per il suo clima mite e per la sua felice posizione al centro di una baia di indiscusso fascino, Napoli e i suoi dintorni nel corso del tempo sono stati scelti come luogo di villeggiatura; successivamente, con l'ascesa della città a capitale, si iniziarono ad edificare dimore e palazzi nobiliari anche con l'intento di prender parte alla vita di corte. Come risultato, la città e i dintorni sono adornati da alcune centinaia di ville, tra cui si ricordano: villa Pignatelli, villa Carafa di Belvedere, villa Doria d'Angri, villa Rosebery, villa Floridiana, villa Rocca Matilde e villa Visocchi. L'edilizia civile in epoca altomedievale risentì ampiamente delle numerose guerre e dell'incertezza politica del periodo; l'Umanesimo invece lascia numerose testimonianze, in particolare da artisti catalani e, a partire dal XV secolo, più marcata fu invece l'impronta toscana caratteristica dell'edilizia civile rinascimentale riletta in chiave locale. Furono gli anni in cui si ebbe la fioritura più cospicua di palazzi nobiliari, soprattutto grazie alle espansioni a ovest che portarono alla nascita di via Toledo. Al particolarmente prolifico periodo barocco e poi neoclassico risale invece la grande residenza regia della città: il Palazzo Reale; il grande piano urbanistico di Carlo di Borbone coinvolge poi i territori fuori le mura con le regge di Portici, Capodimonte e Caserta. Sempre nel corso del XVIII secolo, sono costruiti il teatro di San Carlo (il più antico al mondo ancora in attività e il più capiente in Italia) e il real Albergo dei Poveri, paragonabile in dimensioni alla Reggia di Caserta. Dopo l'unità d'Italia, sul finire del XIX secolo, si avviò il grande progetto del risanamento di Napoli, che prevedeva l'abbattimento di intere zone e l'edificazione di nuovi edifici, anche di notevole pregio come la galleria Umberto I. Dopo il razionalismo italiano, che vide nascere importanti strutture come il nuovo palazzo delle Poste o il teatro Mediterraneo della Mostra d'Oltremare, negli anni novanta venne inaugurata un'intera cittadella di grattacieli, la prima d'Italia e dell'Europa meridionale, ossia il centro direzionale di Napoli di Kenzō Tange, alla cui realizzazione parteciparono architetti di fama internazionale come Renzo Piano. In anni più recenti si ricorda invece l'imponente stazione di Napoli Afragola di Zaha Hadid, considerata dalla BBC tra le migliori costruzioni al mondo del 2017. Gli obelischi della città, i più famosi dei quali sono il grande obelisco dell'Immacolata, quello di San Domenico e di San Gennaro, risalgono al periodo tra il medioevo e il barocco e derivano grossomodo sia dalle pratiche della chiesa di assegnare a un importante edificio di culto un elemento riconoscibile ai pellegrini, sia dalle feste pubbliche, quando si usava costruire torri lignee portate a spalla e fortemente decorate con cartapesta (cosa che avviene tuttora con la Festa dei Gigli di Nola). Napoli, sebbene molto meno rispetto al passato, è inoltre ricca di fontane: la fontana del Gigante, la fontana del Sebeto e la fontana del Nettuno sono importanti esempi di epoca barocca, mentre la più vasta è la fontana dell'Esedra (900 m²) di Carlo Cocchia e Luigi Piccinato che si sono ispirati alla settecentesca fontana della Reggia di Caserta. Molto numerose invece le scale storico-monumentali della città (più di 200). Esse costituiscono un vero e proprio elemento distintivo dell'urbanistica partenopea, ve ne sono di varie forme e dimensioni disseminate su tutto il territorio del centro storico: la Pedamentina a San Martino, la scalinata del Petraio, la monumentale scalinata di Montesanto, ecc. Architetture militari Sin dall'epoca greca le mura cittadine si estendevano su un tracciato quadrangolare delimitato a nord sull'odierna via Foria, a sud dal corso Umberto I, ad ovest su via San Sebastiano e ad est su via Carbonara. Queste saranno poi riprese anche in epoca romana, costituendo quindi il centro antico della città. Delle modifiche furono compiute per accogliere i profughi dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e sotto Valentiniano III. Napoli ha visto l'avvicendarsi di diverse dinastie straniere, motivo per cui ha dovuto dotarsi di poderose fortificazioni: il Castel dell'Ovo, direttamente sul mare, costruito sulle vestigia della Villa di Licinio Lucullo, con funzione prettamente difensiva delle coste cittadine data la sua posizione pressoché centrale; il Castel Capuano, costruito nel 1153 per volere di Guglielmo I di Sicilia, con lo scopo di proteggere l'entroterra ma anche di fungere da residenza reale. In epoca angioina le mura si estendevano per circa comprendendo un'area di circa 200 ettari e circa abitanti. Il fossato a nord fu denominato carbonarius publicus in quanto vi venivano bruciati i rifiuti, quello a ovest Lavinaius in cui fluivano le acque piovane prima di gettarsi in mare. Ulteriori modifiche furono effettuate nel XIII secolo da Carlo I d'Angiò in direzione della marina fino ad includere il Castel Nuovo; e nel 1484 dagli aragonesi in direzione del Carmine fino ad includere l'omonimo castello. In questa fase furono edificati altri tre castelli: il Maschio Angioino, che assunse il ruolo di residenza reale, il Castel Sant'Elmo, che aveva una funzione di controllo della città grazie alla sua favorevole posizione in altura, e il Castello del Carmine. Durante il vicereame spagnolo furono intrapresi nuovi lavori di murazione. Nonostante il divieto di estendersi fuori le mura, nel 1656 la città contava abitanti (compresi i casali). Al periodo del viceregno invece, risalgono il Castello di Nisida e il forte di Vigliena. La caserma Garibaldi infine, rappresenta l'ultima fortificazione, sorta poco prima l'unità d'Italia. Altri castelli, per lo più palazzi o monasteri fortificati, sono locati oltre le mura e nel suo circondario. Da segnalare anche i piccoli fortini daziari del muro finanziere (come quello in stile neogreco del ponte dei Granili), l'ultima cinta muraria che circondava la città ottocentesca. Con lo sviluppo delle tecnologie belliche, le mura persero via via valore fino a scomparire del tutto. La cinta muraria originale era intervallata da una serie di torri, dapprima erette in tufo e poi in piperno e pietra lavica, accompagnate lungo il percorso da una serie di portali dei quali sono ancora visibili testimonianze: porta Medina (1640) nell'attuale Montesanto, porta San Gennaro (1573) nell'attuale piazza Cavour, porta Capuana di vetuste origini, port'Alba (1625) nell'attuale piazza Dante. Per quanto concerne le torri ne sono sopravvissute varie e si ricordano torre Ranieri e torre San Domenico. Siti archeologici L'attuale forma del centro antico rispecchia ancora la rielaborazione dell'antico tracciato viario, costituendo il più importante sito archeologico greco presente a Napoli e ancora in uso da 2600 anni circa. La Napoli greca, oltre al prezioso impianto urbano, ci ha lasciato altri resti del suo passato come ad esempio mura, torri di difesa, templi (compresa la tazza di porfido proveniente dal tempio di Era di Poseidonia), cunicoli e ambienti vari del sottosuolo. Più numerosi i resti del periodo romano e possiamo trovare: resti di mercati come quello di San Lorenzo Maggiore, aree termali come quella di Santa Chiara, cryptae, mura, acquedotti, passaggi sotterranei (iniziati dai greci ma ampliati dai romani) e reperti di vario genere. Napoli sotterranea occupa una enorme estensione (circa 900.000 m² di cavità artificiali). Tra gli stessi ambienti del sottosuolo, è possibile inoltre vedere anche i resti del teatro romano di Neapolis in cui si esibiva Nerone. Altri frammenti dello stesso teatro invece, possono essere visti dall'esterno lungo i decumani. Come testimonianza della Napoli antica vi sono anche le sepolture sotterranee: le più famose sono le catacombe cristiane, ma ne esistono esempi legati anche al periodo greco e preellenico. Immediatamente fuori dalla città vi è l'area archeologica dell'antica Ercolano, ritenuta dagli archeologi un suburbio dell'antica Neapolis. Aree naturali Napoli, oltre a possedere un patrimonio storico, monumentale, artistico, archeologico e culturale di livello mondiale, conta anche un patrimonio naturalistico paragonabile a quello di Rio de Janeiro, tanto che su tale elemento distintivo è nato il celebre detto popolare «Vedi Napoli e poi muori». La città possiede una moltitudine di aree verdi libere: il parco di Capodimonte, una vasta distesa di verde che circonda diversi fabbricati settecenteschi e in particolare l'omonima reggia, la Villa Reale (oggi meglio conosciuta come Villa Comunale), un giardino urbano di circa un chilometro e mezzo opera di Carlo Vanvitelli, il parco Vergiliano a Piedigrotta, una piccola area verde in cui secondo la tradizione popolare è custodito il sepolcro di Virgilio, o ancora la villa Floridiana, il real orto botanico e il parco regionale dei Campi Flegrei. Una veduta particolarmente suggestiva è offerta dal parco Virgiliano a Posillipo, posizionato su uno punto che permette di osservare contemporaneamente tutta la baia di Napoli. Sulla collina dei Camaldoli inizia invece il parco Metropolitano delle colline di Napoli (2215 ettari), il quale occupa un quinto dell'intera superficie comunale fino al parco del Poggio ai Colli Aminei. Oltre agli spazi verdi Napoli è caratterizzata anche da aree marine protette, come Nisida, cala Badessa e la Gaiola, quest'ultima un raro esempio nel Mediterraneo di parco archeologico sommerso a causa del fenomeno del bradisismo. Posto a pochissima distanza dalla zona est, si ricorda infine il vulcano Vesuvio, simbolo per eccellenza della città, il cui parco è stato inserito dall'UNESCO tra le riserve mondiali della biosfera. Società Evoluzione demografica Nel primo censimento dello Stato unitario (1861), Napoli era il comune più popoloso d'Italia e tra i primi in Europa. Cedette negli anni 30 del '900 il primato prima a Milano (1931) e poi a Roma (1936). Annoverando anche i pendolari (circa , ben il 20% in rapporto alla popolazione residente), i militari, ecc. che ogni giorno si riversano in città, il numero degli abitanti all'interno del comune cambia considerevolmente. Tuttavia, analogamente a quanto accade in altre città europee, come ad esempio Francoforte sul Meno, Napoli oggi conta un comune non particolarmente popolato (diciassettesimo in Europa) ma un'area metropolitana tra le più popolose d'Europa. Etnie e minoranze straniere Al 31 dicembre 2020, a Napoli risultavano residenti cittadini stranieri (6,2% della popolazione complessiva). Le nazionalità principali sono: Sri Lanka: Ucraina: Cina: Pakistan: Romania: Filippine: Bangladesh: Nigeria: Polonia: Lingue e dialetti La lingua napoletana è un idioma neolatino appartenente al gruppo italo-romanzo e al subgruppo meridionale intermedio, e diffuso a Napoli nella variante diatopica locale nota come dialetto napoletano (napulitano). Il napoletano, come qualsiasi altro idioma, ha inoltre subìto, nel corso della sua storia, influenze e "prestiti" di adstrato dai vari popoli che hanno governato la Campania e l'Italia centro-meridionale a partire dal Medioevo: dai funzionari e i mercanti bizantini nell'epoca del Ducato di Napoli, passando per i duchi e i principi longobardi di Benevento, giungendo infine ai sovrani normanni, francesi e spagnoli. Le prime testimonianze scritte si hanno già nel 960 con il famoso Placito di Capua, mentre la prima opera in prosa è stata considerata per secoli un testo di Matteo Spinelli, i Diurnali, un presunto cronicon degli avvenimenti più importanti del regno di Sicilia dall'XI secolo fino al 1268; nel XIX secolo si accese una diatriba tra vari studiosi sulla veridicità o meno di questo scritto, oggi considerata definitivamente risolta con l'accettazione dell'inautenticità della cronaca di Matteo Spinelli. A partire dal 1442, per volontà di re Alfonso V d'Aragona, il suddetto idioma, nella sua forma letteraria andò a costituire la lingua ufficiale della cancelleria del regno, sostituendo in alcuni contesti il latino, e conservando tale funzione per un periodo relativamente breve, fino al 1501, quando, per volere degli stessi letterati locali dell'Accademia Pontaniana, venne progressivamente sostituito (e dal 1554, per volontà del cardinale Girolamo Seripando, in maniera definitiva) dal volgare toscano, ossia dall'italiano, il quale, proprio dal XVI secolo, e in concomitanza con la trasformazione in viceregno del reame di Napoli, è usato come lingua ufficiale e amministrativa di tutti i regni e gli Stati italiani preunitari (con l'unica eccezione del Regno di Sardegna insulare, dove l'italiano assunse tale posizione a partire dal XVIII secolo), fino ai giorni nostri. Tuttavia, se le due principali lingue di cultura del tempo sono l'italiano e il latino, sul versante della comunicazione orale il napoletano — e più precisamente la sua variante dialettale cittadina, nel caso specifico della città Napoli — conservava senz'altro un proprio primato, coesistendo in forma di diglossia con l'italiano fino all'attualità. Il più celebre poeta napoletano d'Età Moderna è Giulio Cesare Cortese, di cui si ricorda la Vaiasseide, mentre, la prosa in volgare napoletano, diviene celebre grazie a Giambattista Basile, vissuto nella prima metà del Seicento e autore di un'opera famosa come Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de peccerille, tradotta in italiano da Benedetto Croce, la quale ha regalato al mondo la realtà popolare e fantasiosa di quelle che sono oggi universalmente conosciute come "fiabe classiche". Saranno proprio Cortese e Basile a porre le basi per la dignità letteraria e artistica della lingua napoletana moderna. Negli ultimi tre secoli, infatti, il napoletano è stato utilizzato con una certa frequenza e con notevoli risultati anche nell'arte. Nella letteratura e poesia, con Salvatore di Giacomo, Edoardo Nicolardi, Libero Bovio; nel teatro, che ha dato luogo al teatro napoletano; nella lirica, che tra il XVII e XVIII secolo (durante il periodo di maggior fulgore della scuola musicale napoletana) ha prodotto interi libretti di opere; nella musica, con la canzone classica napoletana; e nel XX secolo, anche nel cinema. Religione Luogo di approdo dell'apostolo Pietro in Italia, Napoli fu uno dei primi luoghi del Cristianesimo in Occidente. Le prime catacombe partenopee, risalenti al II e al III secolo d.C., non furono adibite al culto, ma utilizzate solo per usi funebri, secondo quanto stabiliva la legge romana. L'evangelizzazione della città si sviluppò nei primi secoli dell'era cristiana, e la latinizzazione dei riti avvenne nel XII secolo, soprattutto ad opera di Ruggero II il normanno. Per molti secoli le basiliche maggiori ospitarono i sedili di Napoli, organi amministrativi cittadini cui si deve, tra l'altro, l'opposizione all'istituzione del locale tribunale dell'Inquisizione (1547). La città, tranne i quartieri occidentali afferenti alla diocesi di Pozzuoli, appartiene all'arcidiocesi di Napoli, retta dall'arcivescovo Domenico Battaglia. È organizzata in base a 13 decanati, con 500 luoghi di culto di cui 189 parrocchiali. In ambito islamico, presenze musulmane all'interno della città partenopea, anche se sporadiche, si ebbero fin dal IX secolo, in quanto essenzialmente avevano instaurato rapporti commerciali con i napoletani. La diffusione dell'islam come chiesa organizzata, invece, avvenne in concomitanza con i flussi migratori degli anni ottanta del Novecento, quando sorsero le prime due moschee rispettivamente a piazza Garibaldi e piazza Municipio. Successivamente, un'altra moschea venne aperta in piazza Mercato e, all'indomani degli attentati delle Torri Gemelle del 2001, la stessa moschea e la Diocesi di Napoli redassero una dichiarazione comune Salam alaikum – Pax Vobiscum nella quale si confermano i principi di reciproco rispetto e buona convivenza. Ad oggi la presenza islamica in città registra una precoce evoluzione, come attesta il docufilm Napolislam del 2015 vincitore del Biografilm Festival. Infine, sono presenti anche una chiesa evangelica, una basilica anglicana e una comunità ebraica. Tradizioni e folclore La ricca e storica tradizione popolare di Napoli e la sua cultura millenaria hanno determinato nel corso del tempo un sentimento di napoletanità che sintetizza diverse abitudini e credenze del popolo locale. Questi elementi, alcuni dei quali anche pittoreschi e talune volte caricaturizzati, determinano così, nel napoletano, l'acquisizione di un'identità solida e una forte appartenenza alla città, riassumendo addirittura il contesto folcloristico e culturale dell'intera regione e in alcuni casi anche dell'Italia. Il bagaglio culturale, che va dalla musica alla cucina, dai riti sacri alle credenze mistiche, fa sì che alla città vengano associati diversi stereotipi che, in alcuni casi, vengono anche allargati al contesto nazionale. Pizza, sole, tarantella e mandolino, quattro simboli di Napoli, sono infatti annoverati e riconosciuti come i più classici simboli (utilizzati alcune volte con accezione dispregiativa) dell'Italia nell'immaginario collettivo internazionale. Tante altre invece sono le parole o le immagini che sintetizzano e rappresentano l'identità stereotipata napoletana: come il Vesuvio; il corno o il munaciello, che testimoniano la superstizione popolare; la mozzarella, simbolo assieme alla pizza della cucina napoletana e italiana; la tombola tipico gioco natalizio che viene accompagnato alla smorfia napoletana, altra invenzione popolare napoletana quest'ultima usata anche per il gioco del lotto, molto diffuso in città; c'è poi Pulcinella, una delle maschere italiane più famose e spesso usata per rappresentare l'italiano; infine vi è l'iconografia classica del vicolo napoletano, dominato dai bassi e dai panni stesi lungo la strada. Tra i riti religiosi, invece, dominano la storica arte presepiale napoletana per rappresentare la scena della Natività; il miracolo di San Gennaro, testimonianza della devozione religiosa popolare e dell'amore verso questo santo; e infine il culto della Madonna dell'Arco. Istituzioni, enti e associazioni Napoli, in quanto capoluogo della città metropolitana e della regione Campania, ospita, oltre alle sedi comunali, gli organi di governo della città metropolitana e della regione; inoltre, è sede di organismi nazionali come l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e di villa Rosebery, la residenza ufficiale estiva del presidente della repubblica. Il ruolo della città è tuttavia più ampio: Napoli è sede del comando integrato delle forze NATO per l'Europa meridionale (con l'aggiunta di altre basi minori: Capodichino, Camaldoli e Agnano), dell'Hub di Direzione Strategica per il fronte sud (Nord Africa, il Sahel e il Medio Oriente) dell'Alleanza Atlantica, della Apple Developer Academy, della Cisco Networking Academy e co-innovation Hub, dell'Osservatorio internazionale per l'Economia del mare e della Lazarus Union Italia, un ramo diretto della ONG internazionale. Per quanto concerne gli ospedali, la città ne ospita innumerevoli sia pubblici che privati, solo per citarne alcuni: l'ospedale Antonio Cardarelli, l'Ospedale del Mare, l'azienda Ospedaliera Universitaria Federico II, l'ospedale Monaldi, il Pascale, l'ospedale pediatrico Santobono e l'ospedale Domenico Cotugno. Criminalità Cultura Istruzione Archivi e biblioteche Napoli possiede un Archivio di Stato istituito nel 1808 al fine di concentrare presso un'unica sede tutti gli antichi archivi del Regno di Napoli. Sul territorio del comune sono attive 14 biblioteche comunali. La biblioteca più antica della città — e seconda in Italia per nascita, dopo quella Malatestiana di Cesena — è la biblioteca dei Girolamini, aperta al pubblico nel 1586. La più grande, e terza nel paese per dimensioni, è invece quella Nazionale, aperta nel 1804 come "reale biblioteca di Napoli", nel palazzo degli Studi. Le collezioni librarie ivi ubicate vi furono trasferite dalla reggia di Capodimonte per volontà reale. Divenuta "reale biblioteca borbonica" nel 1816, nel 1860, con l'unità d'Italia, fu poi denominata biblioteca Nazionale. Altre biblioteche, archivi o raccolte della città sono quelle dell'Università di Napoli (BUN), del conservatorio di San Pietro a Majella, della raccolta appartenente dell'archivio di Stato, della Fondazione Biblioteca Benedetto Croce, dell'Istituto Italiano per gli Studi Storici, della Società Napoletana di Storia Patria, della biblioteca Tarsia, della biblioteca del MANN, della biblioteca di storia dell'arte Bruno Molajoli e di molte altre ancora. Ricerca La città ospita numerosi centri di ricerca di notevole importanza, di seguito alcuni tra i più rilevanti: la stazione zoologica Anton Dohrn sita all'interno della Villa comunale, che comprende anche l'acquario più antico d'Italia e secondo più antico d'Europa (primo tra quelli ancora esistenti); l'European Marine Biological Resource Centre; l'INT "Giovanni Pascale"; SDN, Istituto di Ricerca Diagnostica e Nucleare; la sede operativa dell'Osservatorio Vesuviano (quella storica è invece adibita a museo e si trova nei pressi del Vesuvio), il più antico osservatorio vulcanologico del mondo; il Tigem (Telethon Institute of Genetics and Medicine), il Ceinge-Biotecnologie avanzate, l'Istituto di Ricerche sulla Combustione presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università degli Studi di Napoli Federico II e diversi istituti del CNR; l'Osservatorio astronomico di Capodimonte; la Sezione di Napoli dell'INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) con sede presso il complesso universitario di Monte Sant'Angelo; Center for Advanced Biomaterials for Healthcare dell'IIT; l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, accademia culturale e scientifica di rilevanza internazionale con sede nello storico palazzo Serra di Cassano; l'Istituto italiano per gli studi storici, fondato da Benedetto Croce, con sede a palazzo Filomarino; l'Accademia Pontaniana, sorta nel XV secolo a Napoli come libera iniziativa di uomini di cultura. Riconosciuta con il regio decreto n. 473 del 10 ottobre 1825, si propone di coltivare le scienze, le lettere e le arti; la Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti; la Stazione Sperimentale per l'Industria delle Pelli e delle Materie Concianti, fondata nel 1885 per dare supporto tecnologico all'industria guantaria napoletana e oggi centro di ricerca riconosciuto a livello internazionale per la chimica e la tecnologia conciaria; il Centro Studi "Gaetano Salvemini", istituto di ricerca storica e sociologica. Scuole Vista l'origine greca della città, la scuola napoletana ha radici illustri e molto antiche. Durante l'epoca romana alquanto rinomata era la sua scuola di osservanza epicurea. Uno degli istituti più importanti a Napoli è senza dubbio la scuola militare "Nunziatella", la più antica tra le scuole militari al mondo ancora attive, nonché il più antico istituto italiano di formazione militare. Nata nel 1787 ad opera di Ferdinando IV di Borbone sotto la denominazione di Real Accademia Militare, è stata eletta nel 2012 patrimonio culturale dei Paesi del Mediterraneo da parte dell'Assemblea parlamentare del Mediterraneo. Situata a Pizzofalcone in via Generale Parisi 16, è stata fin dalle origini luogo di elevata formazione militare e civile, ed ha avuto tra i suoi professori e alunni personalità del calibro di Francesco De Sanctis, Mariano d'Ayala, Carlo Pisacane, Enrico Cosenz e persino un re d'Italia, Vittorio Emanuele III. Tra i numerosissimi ex-allievi di prestigio, figurano altissimi gradi delle forze armate, Presidenti del Consiglio, ministri, senatori e deputati del Regno delle Due Sicilie, del Regno d'Italia e della Repubblica Italiana, un presidente della Corte Costituzionale, nonché esponenti di assoluto rilievo del mondo culturale, politico e professionale italiano e internazionale, tra cui un vincitore del premio Sonning. La bandiera della scuola è decorata da una croce d'oro al merito dell'Arma dei carabinieri (2012) e da una medaglia di bronzo al valore dell'esercito (2008). I suoi ex-allievi hanno meritato 38 medaglie d'oro, 490 medaglie d'argento e 414 medaglie di bronzo al valor militare, 2 al valor civile e numerosissimi altri riconoscimenti al valore. Altri istituti storici napoletani di particolare importanza sono i licei scientifici "Mercalli", "Tito Lucrezio Caro", "Vittorini" e "Leon Battista Alberti", i licei classici "Umberto I", "Sannazaro", "Genovesi", "Vittorio Emanuele II", "Giambattista Vico" e "Pansini", i licei statali "Giuseppe Mazzini" e "Margherita di Savoia", l'istituto statale d'Arte "Filippo Palizzi", l'istituto tecnico "Enrico De Nicola" e il complesso del Convitto Nazionale. Istituti per l'alta formazione Conservatorio musicale Storica è la tradizione del Conservatorio di San Pietro a Majella, fondato nel 1826 come "Regio conservatorio di musica" a seguito della fusione di altri quattro precedenti istituti, su volontà di Francesco II. Oggi si tengono insegnamenti per tutti gli strumenti musicali ed è ospitato al suo interno un notevole museo della musica. Accademia di belle arti L'Accademia di belle arti di Napoli è nata nel 1752 per volere di Carlo di Borbone. Ha ricoperto un ruolo molto importante nello sviluppo della pittura napoletana del XIX e XX secolo e, più nello specifico, nella formazione della scuola di Posillipo. Università A Napoli è stata fondata l'Università degli Studi di Napoli "Federico II", la prima università del mondo nata attraverso un provvedimento statale, e l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale", la prima università di studi sinologici ed orientalistici del continente. La città conta otto atenei. Le università pubbliche di Napoli sono: l'Università degli Studi di Napoli "Federico II" (ex "Università degli Studi di Napoli"); l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" (ex "IUO - Istituto Universitario Orientale"); l'Università degli Studi della Campania "Luigi Vanvitelli" (ex "SUN - Seconda Università degli Studi di Napoli"); l'Università degli Studi di Napoli "Parthenope" (ex "IUN - Istituto Universitario Navale"). Scuola Superiore Meridionale. Università private: Pontificia Facoltà Teologica dell'Italia Meridionale (PFTIM); Università degli Studi "Suor Orsola Benincasa". Università private telematiche: Università telematica "Pegaso". Musei Napoli, tra le grandi città d'arte europee, vanta un'abbondante offerta museale. I più importanti in assoluto sono il museo archeologico nazionale, ritenuto uno dei più importanti al mondo sia per la qualità che per la quantità delle opere esposte, principalmente quelle di epoca greco-romana; il museo nazionale di Capodimonte, nell'omonima reggia, che custodisce opere pittoriche dei più grandi maestri italiani dal Rinascimento al Barocco; il museo nazionale di San Martino, che raccoglie reperti relativi alla storia di Napoli, e il palazzo Reale di Napoli. Oltre a questi, altri musei rilevanti a livello nazionale, sono: quelli del Pio Monte della Misericordia, dei Girolamini (prima quadreria pubblica della città), del tesoro di San Gennaro, della ceramica "duca di Martina", del conservatorio di San Pietro a Majella, il MEMUS del teatro di San Carlo, la galleria di palazzo Zevallos, quelli dell'Opera di San Lorenzo Maggiore e Santa Chiara, il diocesano, il museo di villa Pignatelli, i civici Gaetano Filangieri e di Castel Nuovo, il museo di Pietrarsa, la galleria dell'Accademia, la cappella Sansevero, il palazzo delle Arti di Napoli (PAN) e il museo d'Arte Contemporanea Donnaregina (M.A.D.R.E.). Da segnalare anche le Stazioni dell'arte, in cui le stazioni della metropolitana cittadina non vengono concepite come semplici luoghi di transito, ma come un vero e proprio spazio espositivo con opere di artisti di fama mondiale (come Joseph Kosuth, Mimmo Rotella, Mario Merz) o di artisti emergenti. Tra i musei scientifici, oltre alla Stazione zoologica Anton Dohrn, di particolare interesse sono quelli che fanno parte del Centro musei delle scienze naturali. Vi sono inoltre l'Osservatorio astronomico di Capodimonte, e, presso la Seconda Università di Napoli, il museo di anatomia umana. Media Stampa Napoli, città dove nacque nel 1759 il primo quotidiano italiano (il Diario Notizioso), è sede di alcuni tra i più importanti giornali nazionali: il Roma (il più antico quotidiano italiano post-unitario), Il Mattino (il quotidiano più diffuso del Mezzogiorno), il Corriere del Mezzogiorno (la versione meridionale del Corriere della Sera), Il Denaro (quotidiano economico del sud Italia) e Il Giornale di Napoli (fondato nel 1985). Tra le numerose case editrici, le Edizioni Scientifiche Italiane, la Guida Editori, la Pironti e la Casa Editrice La Canzonetta. Radio A Napoli, tra le emittenti radiofoniche nazionali, ha la sua sede centrale Radio Kiss Kiss, che è settima tra le radio nazionali più ascoltate. Cinema I primi tentativi di produzione cinematografica risalgono al 1904, ma è dal 1905 che si cominciarono a girare film a Napoli con una certa regolarità, grazie ai fratelli Troncone. Nel 1924-25 più di un terzo dei film prodotti in Italia proveniva da Napoli, con soventi espressioni dialettali. I tempi pioneristici dell'industria cinematografica napoletana presero termine durante il ventennio fascista: l'enfasi posta sullo sviluppo della capitale e l'abbassamento dei costi dovuti alla centralizzazione fecero sì che la produzione dei film italiani venne trasferita a Roma, dove vennero costruiti gli stabilimenti di Cinecittà. La città partenopea è da sempre considerata anche un'importante località cinematografica sia a livello nazionale che internazionale: oltre 1000 pellicole girate tra il 2015 e il 2019; numerosi registi si sono succeduti negli anni, a partire dai Fratelli Lumiere che nel 1898 effettuarono alcune delle loro prime riprese sul lungomare di Napoli (rendendola di fatto una delle città con la testimonianza cinematografica più antica), passando attraverso gli anni sessanta e settanta con i film di Mario Monicelli, Roberto Rossellini, Francesco Rosi, Pier Paolo Pasolini, Vittorio De Sica, Ettore Scola, Nanni Loy, Dino Risi e tanti altri, fino ad arrivare ai giorni nostri con Massimo Troisi, Giuseppe Tornatore, Gabriele Salvatores, Matteo Garrone, John Turturro, Paolo Sorrentino e Ferzan Özpetek. Tra i più importanti film ambientati a Napoli vi sono: Paisà, Viaggio in Italia, L'oro di Napoli, Il giudizio universale, La baia di Napoli, Matrimonio all'italiana, Ieri, Oggi, Domani e Carosello napoletano, vincitore del Prix International 1954 al festival di Cannes. Televisione A Napoli ha sede uno dei quattro centri di produzione televisiva e radiofonica della Rai. Il centro Rai, sito in via Guglielmo Marconi 9, ospita numerosi programmi televisivi e diverse produzioni televisive legate alla città, tra cui la soap opera italiana più longeva, nonché la soap più seguita al mondo, Un posto al sole. Arte Napoli ha ancor oggi un ruolo centrale nell'arte e nell'architettura italiana ed europea, essendo sede di eventi e mostre internazionali. Architettura La storia dell'architettura medievale napoletana, nelle sue forme più significative e ancora oggi visibili, ha inizio sostanzialmente sotto la dinastia degli Angioini, grazie alla quale nascono le prime chiese in stile gotico della città, prevalentemente di matrice italiana seppur, in taluni casi — come in quello della basilica di San Lorenzo Maggiore, unicum in Italia — anche di stampo francese. Dopo un successivo periodo rinascimentale, si entra nell'età dello sfarzoso barocco napoletano, periodo forse in cui l'architettura cittadina assume maggior consapevolezza di sé e che tutt'oggi mostra i suoi maggiori punti di spessore qualitativo, grazie ai rifacimenti delle facciate dei palazzi preesistenti o alle nuove edificazioni che vedono nei portali d'ingresso e negli scaloni monumentali i massimi punti caratterizzanti dello stile architettonico locale. Uno degli elementi distintivi dei palazzi napoletani è infatti che — data la particolare conformazione urbanistica della città, caratterizzata da strette vie che non davano la possibilità di edificare facciate di ampie vedute — il gusto artistico-architettonico locale si è focalizzato in particolari dell'edificio, come il portale d'ingresso o lo scalone monumentale, elementi questi tipici proprio dell'architettura rinascimentale e barocca napoletana. Se gli stili rinascimentali e barocchi sono stati comunque due riletture locali di movimenti più ampi, seppur raggiungendo livelli molto alti, nel corso del XVIII secolo la città di Napoli si è mostrata all'avanguardia nel campo dal momento che contribuì alla costituzione del modello neoclassico, nato grazie agli scavi archeologici di Ercolano e di Pompei e alle relative scoperte. Le nuove correnti industriali di fine Ottocento e inizio Novecento portarono ad elaborazioni eclettiche, sfociando in delicate maniere floreali e innovazioni moderne che assumono identità locali, caratterizzanti in particolar modo le nuove ville vomeresi. Successivamente a questa fase, nei primi decenni del XX secolo nasce il liberty napoletano, mentre gli anni trenta furono il periodo del razionalismo italiano. Una delle ultime grandi realizzazioni architettoniche, invece, fu la Mostra d'Oltremare, un complesso di ; fu inaugurata nel 1940 e ripristinata negli anni cinquanta dagli stessi progettisti. Tra gli architetti più rilevanti che hanno lavorato in città vi sono: Luigi Vanvitelli, Ferdinando Fuga, Domenico Fontana, Cosimo Fanzago, Ferdinando Sanfelice, Domenico Antonio Vaccaro, Antonio Niccolini e Buono di Napoli. Pittura L'arte pittorica, a Napoli, risale al periodo della sua fondazione. Tuttavia, non sono rimaste tracce apprezzabili né del periodo greco, né di quello romano, né dell'epoca normanna, sveva e bizantina. Le continue dominazioni straniere dei secoli successivi non consentirono il formarsi di una vera e propria scuola pittorica locale. Tuttavia, i frequenti arrivi in città di artisti forestieri, principalmente di stampo toscano, come Pietro Cavallini, Giotto, Simone Martini e Giorgio Vasari consentirono, tra il XIV e il XVII secolo, l'emersione di una serie di personalità autoctone. Tra tutti, si ricordano Colantonio, Fabrizio Santafede e Giovanni Antonio Amato. La Scuola pittorica napoletana in senso stretto nacque solo nel XVII secolo con l'arrivo in città di Caravaggio, sul solco del quale un attento e cospicuo gruppo di pittori locali diede origine alla corrente del caravaggismo. Si crearono le prime botteghe, dove operarono artisti come Jusepe de Ribera, Artemisia Gentileschi e altri. Napoli divenne così molto ricettiva alla pittura, tanto da attirare l'attenzione anche degli esponenti del rinascimento emiliano come Domenichino, Guido Reni e Giovanni Lanfranco. Il Settecento napoletano vide una continuazione del tardo-barocco e un maggiore interesse verso la decorazione. In particolare si ammirano le opere di Francesco Solimena e Francesco De Mura, mentre Fedele Fischetti fu chiamato per affrescare numerosi palazzi nobiliari. Nel XIX secolo la pittura napoletana abbandonò i movimenti del passato e, dietro l'eco delle innovazioni di artisti quali John Constable e William Turner, divenne scuola di un più vasto movimento artistico, paesaggistico e in parte romantico, che assunse connotati propri. Tra il 1820 e il 1850 nacque così la scuola di Posillipo, i cui più alti esponenti furono Anton Sminck van Pitloo e Giacinto Gigante. L'Accademia di belle arti di Napoli divenne il centro propulsore dell'attività della scuola e fu alla base della nascita di un altro filone di artisti, quali Francesco Saverio Altamura, Gioacchino Toma, Domenico Morelli e Vincenzo Petrocelli. Gli anni ottanta del Novecento videro infine la nascita della Transavanguardia. Scultura Il Quattrocento e il Cinquecento furono periodi floridi per la scultura napoletana. A partire dalla realizzazione dell'arco trionfale del Castel Nuovo ad opera di Francesco Laurana, tra il 1452 e il 1471, si vide la fioritura di un vero e proprio laboratorio di formazione di vari artisti rinascimentali che riproporranno innovazioni artistiche in tutto il regno. Si parlò allora di "clima dell'arco" per indicare questa prima diffusione dei nuovi modi artistici. Diversi esempi di scultura del Cinquecento napoletano sono visibili nella chiesa di Santa Maria delle Grazie Maggiore a Caponapoli, definita come il museo della scultura napoletana del Cinquecento. Tra gli scultori principali di questo periodo si annoverano Giovanni da Nola, Giovanni Domenico, Girolamo D'Auria e Gian Lorenzo Bernini che fu però attivo soprattutto a Roma. Meritano poi citazione anche i lavori riguardanti le fontane di Napoli che hanno visto le mani di Pietro Bernini. Nel Seicento la scultura si manifesta nella realizzazione degli obelischi di San Domenico e San Gennaro e nelle figure di Francesco Antonio Picchiatti, Cosimo Fanzago e Dionisio Lazzari, quest'ultimo che eseguì per le chiese napoletane diversi altari maggiori. Tra gli scultori del Settecento invece spiccano su tutti Domenico Antonio Vaccaro e Giuseppe Sanmartino, quest'ultimo forse il più grande scultore napoletano, abilissimo a plasmare figure in terracotta e che diede inizio ad una vera scuola di artisti del presepio. Il Sanmartino è inoltre l'autore di quello che è considerato uno dei maggiori capolavori della scultura mondiale, il Cristo velato (1753), scultura marmorea conservata nella cappella Sansevero in cui sono presenti anche altre pregevoli opere marmoree di Antonio Corradini (Pudicizia) e Francesco Queirolo (Disinganno). Nel corso del XIX secolo dominano la scena le sculture bronzee e i busti di Vincenzo Gemito e Tito Angelini. Celebre all'estero è la Fonderia artistica Chiurazzi per le sculture in bronzo, alle quali si aggiunsero dopo sculture pure in marmo e ceramica. Al giorno d'oggi invece si ricorda la presenza in città di Jago, che ha scelto il rione Sanità come sede del suo laboratorio. Altre arti Tra le numerose arti praticate in città, la porcellana di Capodimonte e il presepe napoletano emergono per tradizione storica e rinomanza internazionale. L'origine della prima va fatta risalire al 1743, quando Carlo di Borbone fondò la Real Fabbrica di Capodimonte, con l'intento di affrancarsi dalle produzioni straniere. I modellatori napoletani raggiunsero presto livelli di assoluta eccellenza. Tradizione viva ancora oggi. L'origine del secondo è ancora più antica, in quanto il presepio a Napoli era già citato in un documento del 1025, conservato nella chiesa di Santa Maria del Presepe; molto anteriore, quindi, alla leggenda che vorrebbe il primo presepe realizzato da Francesco d'Assisi nel 1223. Nel corso dei secoli, l'arte del presepe si è intrecciata strettamente con il vissuto e l'immaginario napoletano sia colto, che popolare. Il periodo di massimo splendore va fatto risalire al periodo borbonico, quando raggiunse le più alte vette artistiche. Luogo focale della tradizione presepiale è via San Gregorio Armeno, dove a tutt'oggi si tiene il mercato del presepe tutto l'anno. Da ricordare come importante esponente di ambedue le arti, il pittore e modellatore Francesco Celebrano. Grande tradizione napoletana è pure quella dell'oreficeria: arte nella quale si distinsero Carlo Giuliano, Enrico Fiore, Eugenio Avolio e suo figlio Luigi Avolio, che raggiunse l'apice in molte sculture di argento. Altra arte, inventata e insegnata dai maestri napoletani agli stranieri, fu quella di trasformare il carapace delle tartarughe in un materiale pregiato perché decorato con oro, argento, avorio, madreperla, lacca e smalto. L'artista più celebrato e ammirato fu Giuseppe Serao, che lavorò per la famiglia reale borbonica. Le opere d'arte napoletane in carapace sono esposte in molti musei e la collezione più importante è conservata nella Galleria Kugel di Parigi. Arte antica tramandata da sapienti artigiani è quella della cartapesta. I burattini napoletani sono apprezzati e ricercati dai collezionisti del mondo intero. Teatro Opera napoletana Il teatro è una delle più antiche e conosciute tradizioni artistiche della città; già l'imperatore Nerone si esibiva, nel I secolo d.C., sul palco del teatro romano di Neapolis. Il secolo d'oro per il teatro napoletano moderno fu il Settecento, quando si edificarono numerosi teatri, tra i quali il già menzionato real di San Carlo. Erano quelli gli anni della Napoli capitale della musica con lo straordinario fermento dato dal conservatorio cittadino che contribuiva allo sviluppo della scuola musicale napoletana. Oggi Napoli vanta un'ampia offerta teatrale potendo annoverare, oltre al San Carlo, anche il Mercadante, il San Ferdinando, l'Augusteo, il Sannazaro, il teatrino di corte, il teatro Bellini e numerosi altri. Grazie a questa secolare e duratura tradizione e al cospicuo numero di teatri in città, Napoli è stata scelta come sede di importanti eventi, quale il Festival Nazionale del Teatro. Teatro napoletano Il teatro napoletano in senso stretto nasce con le opere celebrative alla corte aragonese di Jacopo Sannazaro, a cavallo tra XV e XVI secolo. I principali attori e autori teatrali del XIX e XX secolo sono Antonio Petito, Raffaele Viviani, Vincenzo Torelli, Roberto Bracco, Eduardo Scarpetta (ideatore della "mezzamaschera" di Felice Sciosciammocca) e i figli naturali di quest'ultimo, i fratelli De Filippo: Eduardo, Titina e Peppino. Eduardo è senza dubbio il più rilevante di tutti, in quanto padre di una tradizione divenuta universale. Intraprese un'originale attività di scrittura e recitazione teatrale, volta a portare sul palcoscenico l'anima di Napoli e dei suoi abitanti, la "napoletanità", attraverso cui evidenziare i caratteri fondamentali dell'umanità e della società contemporanea. Tra le sue commedie più importanti ricordiamo Napoli milionaria!, Il sindaco del rione Sanità, Gli esami non finiscono mai, Natale in casa Cupiello, Le voci di dentro, L'arte della commedia, Filumena Marturano e Questi fantasmi!. Le opere di Eduardo sono riportate in chiave moderna tutt'oggi, attraverso le riproposizioni cinematografiche o teatrali. Tra gli autori e attori contemporanei, notevoli Roberto De Simone e il trio comico cabarettistico de La Smorfia composto da Enzo Decaro, Lello Arena e Massimo Troisi. Musica Composizione Originata da una tradizione orale secolare, la musica napoletana assunse forma aulica nell'ambito della polifonia sacra e profana, a partire dal XV secolo e fino al XVII secolo. L'evoluzione fu possibile grazie ai quattro prestigiosi conservatori di Santa Maria di Loreto, della Pietà dei Turchini, di Sant'Onofrio a Capuana e dei Poveri di Gesù Cristo, dai quali uscirono importanti compositori del panorama europeo, i quali contribuirono considerevolmente allo sviluppo dell'opera e diedero origine alla scuola musicale napoletana. Quest'ultima si espresse in musicisti di grande livello come Alessandro e Domenico Scarlatti, Giovanni Battista Pergolesi, Nicola Porpora, Domenico Cimarosa e Giovanni Paisiello. La qualità e la quantità della musica prodotta a Napoli durante il periodo del classicismo è esemplificata da una lettera che il padre Leopold scrisse al figlio Wolfgang Amadeus Mozart nel 1778, nella quale egli comparava favorevolmente la scena operistica di Napoli rispetto a quella di Parigi circa le possibilità di emergere per un giovane compositore. I quattro conservatori della città furono unificati nel 1808 portando alla nascita il conservatorio di San Pietro a Majella dal quale passarono personalità quali Ruggero Leoncavallo, Riccardo Muti, Sergio Fiorentino, Vincenzo Bellini, Saverio Mercadante, Aldo Ciccolini, Salvatore Accardo, Bruno Canino, Nicola Antonio Zingarelli e Roberto De Simone. Tra i librettisti sono notevoli le figure di Salvadore Cammarano, il più importante del periodo romantico, e Andrea Leone Tottola. Tra i direttori d'orchestra di rilievo, spicca il già citato Riccardo Muti. Fra i cantanti lirici si ricordano Maria Borsa ed Enrico Caruso, considerato uno dei più grandi tenori di tutti i tempi. Canzone napoletana La canzone napoletana si fonda su diversi secoli di storia, legata per lo più ad una diffusa tradizione orale. Tra le manifestazioni più antiche si annoverano i balli popolari della tarantella napoletana, e più genericamente campana, nata nel corso del XVII secolo e denominata Tammurriata. Negli ultimi due secoli prende spazio la cosiddetta canzone classica napoletana, assurta a grande notorietà nel corso delle annuali feste di Piedigrotta tra l'Ottocento e la prima metà del Novecento e con i successivi festival della canzone napoletana. La canzone classica napoletana, repertorio musicale avente come esponenti compositori come Ernesto Murolo, Libero Bovio, Vincenzo Russo e Salvatore Di Giacomo, divenne uno dei simboli della musica italiana. In questo contesto, il tenore Enrico Caruso emerse come l'interprete più noto, e un'icona della musica napoletana nel mondo. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, alcuni autori e interpreti continuarono nel solco della tradizione classica, come ad esempio Roberto Murolo, ed Aurelio Fierro. Altri iniziarono invece a dare luogo a contaminazioni tra canzone napoletana e italiana, avendo in Peppino di Capri e Massimo Ranieri alcuni tra i maggiori rappresentanti. Infine, il contatto dei musicisti napoletani con quelli americani, avvenuto a partire dall'occupazione americana, diede origine ad un ramo musicale a sé stante il cui padre fu Renato Carosone. È vasta la schiera di cantautori e musicisti che hanno dato e danno il loro contributo alla continuazione della tradizione musicale partenopea; in particolare, si ricordano Giuseppe Di Stefano, Domenico Modugno e Dalida. Attivo da vari anni, presso la sede RAI di Napoli, è invece l'Archivio Sonoro della Canzone Napoletana. In epoca moderna la canzone napoletana ha visto mutare il proprio genere aprendo le porte ad altri generi musicali. Dal progressive rock degli Osanna a James Senese e i Napoli Centrale, Pino Daniele, Edoardo ed Eugenio Bennato, sono solo alcuni dei musicisti "moderni" più famosi e apprezzati. Da menzionare nella musica partenopea degli ultimi vent'anni sono anche il reggae/dub degli Almamegretta, i 99 Posse e Clementino. A partire dagli anni ottanta si è affermato inoltre il genere "neomelodico", il cui precursore è Nino D'Angelo. Altro fenomeno musicale storico di particolare interesse e protratto fino ai giorni nostri è infine la cosiddetta sceneggiata napoletana. Furono determinanti nel suo sviluppo le rappresentazioni di Nino Taranto e, più recentemente, di Mario Merola. Letteratura Nell'era dell'Impero romano, a Napoli, vi studiano rilevanti personalità come Orazio e Virgilio. Quest'ultimo, in particolare, vi compose alcune delle sue più importanti opere: le Bucoliche, le Georgiche e lEneide. Il Trecento è invece il periodo dell'Umanesimo; questa corrente partì dall'Italia e proprio in Napoli ebbe uno dei suoi maggiori centri, diffondendosi poi in tutto il continente. Vi risiedettero e vi realizzarono feconde produzioni Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio. In Giovanni Pontano fu riconosciuta una delle più rilevanti personalità dell'Umanesimo napoletano, definizione questa attribuitagli da un altro illustre umanista partenopeo, Jacopo Sannazaro. Quest'ultimo, nel corso del Quattrocento e fino ai primi decenni del Cinquecento, fu protagonista nella scena letteraria italiana ed europea con importanti opere, su tutti il poema dellArcadia, da cui successivamente prese il nome l'omonima accademia romana. L'epoca barocca, a cavallo tra il XVI e XVII secolo, fu invece il periodo di Giambattista Basile e Giulio Cesare Cortese, i quali posero le basi della letteratura in lingua napoletana. Nella prima metà del Seicento fu altresì istituita l'Accademia degli Oziosi, luogo di incontro tra intellettuali napoletani e spagnoli, fra i quali si annoverano Francisco de Quevedo e Tommaso Campanella. L'Ottocento fu caratterizzato da un altro illustre arrivo in città, quello di Giacomo Leopardi, che qui compose, poco prima di morire, alcuni dei suoi più celebri poemi: La ginestra e le Paralipomeni della Batracomiomachia. Tra l'Ottocento e il Novecento, intanto, nascono le prime poesie in napoletano, utilizzate spesso come testi di canzoni, dando luogo alla canzone classica napoletana. Furono infatti gli anni di E.A. Mario, Salvatore Di Giacomo, Libero Bovio, Ernesto Murolo. Tra i poeti vi furono anche Eduardo De Filippo e Totò. Nell'epoca moderna, tra i più importanti scrittori napoletani si ricordano Luciano De Crescenzo, Erri De Luca ed Elena Ferrante, nel 2016 ritenuta dal Time tra le 100 persone più influenti al mondo. Filosofia Fra l'80 e il 40 a.C. Napoli era un importante centro culturale della civiltà romana. L'epicureismo trovò la sua sede più adatta soprattutto in città, fuori dalla vita frenetica della capitale imperiale. Vi insegnavano il giordano Filodemo di Gadara e l'asiatico Sirone (che vi ebbe come allievi anche il giovane Publio Virgilio Marone e Quinto Orazio Flacco). Il più importante pensatore medioevale operante a Napoli fu il teologo san Tommaso d'Aquino, il quale visse nel convento di San Domenico. San Tommaso fu in particolare esponente di primissimo piano della filosofia scolastica ed elaboratore della visione tomistica. Punto focale della filosofia napoletana del XVI secolo fu invece Giordano Bruno, il quale elaborò una teologia dove Dio è intelletto e ordinatore di tutto ciò che è in natura, ma è nello stesso tempo Natura stessa divinizzata, in un'inscindibile unità panteistica di pensiero e materia. Nel vivace ambiente culturale napoletano del XVIII secolo emerse invece la personalità di Giambattista Vico, esponente di spicco dell'Accademia degli Investiganti. Egli delineò i tratti di una nuova attività culturale basata non soltanto sulla ragione, ma anche sull'estro, sui sentimenti e l'ingegno, del tutto in contrasto col pensiero cartesiano. Sulla stessa linea si muoverà il suo sodale Antonio Genovesi, il quale successivamente divenne titolare della prima cattedra di economia politica al mondo. Il giurista lucano Mario Pagano, personalità di spicco dellilluminismo italiano, sarà invece l'iniziatore della «scuola storica napoletana del diritto», nonché un precursore del positivismo. Il più alto esponente del pensiero a Napoli tra l'Ottocento e il Novecento fu invece Benedetto Croce, abruzzese di origini ma napoletano di adozione, principale ideologo del liberalismo novecentesco italiano ed esponente di spicco dello storicismo. Espressione moderna dello studio della filosofia a Napoli è l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, che raccoglie circa volumi, tra cui numerosi originali, ed è stato definito dall'UNESCO come "senza pari al mondo". Scienza A Napoli ha avuto origine la moderna scienza della vulcanologia, grazie alla prossimità di vulcani. Nel solco delle prime osservazioni dell'inglese William Hamilton, e grazie all'opera del fisico Macedonio Melloni, nel 1841 fu costruito l'Osservatorio vesuviano, il primo istituto scientifico di questo tipo al mondo. Di notevole spessore la scuola matematica napoletana, che nel XVIII secolo ha annoverato nelle sue fila personalità come Nicola Fergola e i suoi allievi Felice Giannattasio, Carlo Forti, Pietro Schioppa, Francesco Bruno, Luigi Telesio, Vincenzo Flauti, Giuseppe Scorza e soprattutto Annibale Giordano il quale giovanissimo, nel 1787, pubblicò una generalizzazione del "problema di Pappo" (o di Castillon). Nel XX secolo, la scuola è stata incentrata soprattutto intorno alla personalità di Renato Caccioppoli, il quale ha esercitato un'influenza decisiva sullo sviluppo della analisi matematica in Italia". Altri importanti studiosi di questa scuola sono i suoi allievi Carlo Miranda, Mario Curzio, Renato Vinciguerra, Donato Greco, don Savino Coronato. L'astronomia napoletana ha raggiunto risultati di eccellenza soprattutto grazie all'Osservatorio astronomico di Capodimonte, fondato da Federico Zuccari. Contributi fondamentali a questa scienza sono venuti da Giovanni Battista Della Porta, il quale descrisse, circa vent'anni prima che Galileo Galilei lo costruisse, i principi del telescopio. Lo stesso Della Porta fu una delle figure scientifiche di maggior rilievo del XVI secolo, noto anche per i suoi studi di crittografia e scienze naturali. Francesco Fontana, costruttore di telescopi kepleriani, fu invece il primo a tracciare disegni della Luna, di Marte (del quale scoprì e descrisse la rotazione) e degli altri pianeti maggiori. Di rilievo anche la scuola botanica rappresentata soprattutto da Michele Tenore con la sua Flora Napolitana, ma anche da Domenico Cirillo, Vincenzo Petagna e Guglielmo Gasparrini. La scuola zoologica è invece rappresentata da Oronzo Gabriele Costa, la cui scoperta nel golfo di Napoli e corretta classificazione tra i cordati dell'anfiosso Branchiostoma lanceolatum, consentì di individuare in questa categoria di animali l'anello di congiunzione tra invertebrati e vertebrati, avendo enorme influenza sulla formulazione della teoria dell'evoluzione darwiniana. Rilevante infine anche la scuola medica, che vide in Domenico Cotugno il suo più alto rappresentante. Rettore dell'Università di Napoli, fu protagonista soprattutto di importanti scoperte neurologiche, conseguite attraverso il metodo della dissezione. A Napoli è nata la scienza dell'anatomia comparata grazie al medico Marco Aurelio Severino, autore della Zootomia democritea, primo trattato generale al mondo su questa materia. Cucina La cucina napoletana rappresenta un'identità culturale inconfondibile per la città partenopea ed è strettamente collegata alle vicende storiche e culturali della città. La stessa, infatti, rappresenta all'estero uno dei più conosciuti simboli del "made in Italy". Grazie alle varie dominazioni ricevute (e principalmente a quelle relative alle dinastie reali francesi e spagnole) si è delineata nel tempo una netta distinzione tra quella che è definibile come "cucina aristocratica", caratterizzata da piatti con ingredienti ricchi (questi i casi dei timballi, del sartù di riso, ecc.) e una "povera", legata ad ingredienti come cereali, legumi e verdure (questi i casi della pasta e fagioli, degli spaghetti aglio e olio, spaghetti alla puttanesca, ecc.). Tra i piatti tipici vi sono la pizza napoletana, la pasta napoletana (spaghetti alle vongole, pasta al ragù napoletano), la parmigiana di melanzane, gli gnocchi alla sorrentina, la pastiera napoletana, il casatiello, i friarielli. In passato per le vie della città giravano degli ambulanti che commercializzavano una bevanda calda, oggi la chiameremmo "street food": l'acqua di polpo. Eventi Napoli è un importante centro congressuale e fieristico, che ospita ogni anno numerosi meeting e manifestazioni nazionali e internazionali, concerti, spettacoli ed eventi. I più sentiti sono: Il Maggio dei monumenti Il Napoli Comicon e Napoli Gamecon Il Napoli Film Festival Il Nauticsud Geografia politica Tessuto urbano e popolazione Napoli, dal Medioevo in poi e in maniera particolare dal Cinquecento, è stata in assoluto una delle prime città d'Europa per popolazione. Durante la seconda metà del XVI secolo era probabilmente la città più popolosa del cristianesimo occidentale. Dopo l'Unità d'Italia, se da un lato Napoli ha smesso di essere tra le primissime città d'Europa per popolazione, dall'altro è riuscita a conservare inalterate le caratteristiche demografiche tipiche di una metropoli europea. Il comune di Napoli al 31 ottobre 2022 è il terzo comune più popoloso d'Italia ma il primo tra i grandi comuni per densità abitativa; tuttavia bisogna tener presente che la città è cresciuta nel tempo ben oltre i confini municipali e quindi per parlare di città in senso completo, significa considerare il dato demografico dell'intera città metropolitana, oggi caratterizzata da un forte fenomeno di urbanizzazione che ha dato vita ad una vasta conurbazione; significativo è infatti il trasferimento di molti abitanti del capoluogo verso i comuni della ex provincia, che ha la più alta densità abitativa tra le città metropolitane d'Italia e tra le prime del vecchio continente. Nella realtà, i limiti metropolitani napoletani sono più estesi comprendendo vaste aree delle province limitrofe, in primis quelle della provincia di Caserta, e gli urbanisti chiamano l'intero territorio urbanizzato Grande Napoli. L'area metropolitana di Napoli risulta essere, a seconda delle fonti, la seconda (dopo Milano) o terza (dopo Milano e Roma) più popolosa del paese, mentre a livello europeo è approssimativamente l'ottava, paragonabile a città quali Barcellona ed Atene. Per il resto, il comune di Napoli è il più giovane d'Italia tra i grandi comuni, con un tasso di natalità più elevato rispetto ad altre zone del paese e con un numero di immigrati relativamente basso. I quartieri più popolosi sono quelli corrispondenti al territorio dei casali aggregati in epoca murattiana (Vomero, Arenella, Fuorigrotta, Bagnoli) e risorgimentale (Piscinola), e nel periodo fascista (Barra, Chiaiano, Marianella, Pianura, Soccavo, Ponticelli, San Giovanni a Teduccio, San Pietro a Patierno, Miano, Secondigliano e Scampìa). Geografia antropica Urbanistica Tra le strade e piazze principali della città, vi sono di certo quelle che caratterizzano l'area dei decumani di Napoli: Spaccanapoli (decumano inferiore), via dei Tribunali (decumano maggiore), via dell'Anticaglia (decumano superiore), via San Gregorio Armeno, piazza del Gesù Nuovo, piazza Bellini, piazza San Domenico Maggiore, largo Corpo di Napoli, piazza San Gaetano e diverse altre. Successivamente, voluta dal viceré Pedro Álvarez de Toledo y Zúñiga che la edificò nel 1536, fu pianificata via Toledo. A Napoli, fino al XVI secolo vigeva ancora il divieto assoluto di edificare nuove strutture al di fuori delle mura, pressoché delimitante l'odierna area del centro antico. Con la nuova strada, vi fu dunque un immediato sentimento di accaparramento dei nuovi spazi. Grazie alla pedonalizzazione, la strada è oggi uno dei fulcri dello shopping cittadino e del turismo. La stessa strada, sfocia infine su piazza Trieste e Trento e su piazza del Plebiscito, quest'ultima una delle più importanti d'Italia. Vi si affacciano due importanti monumenti: il palazzo Reale e la basilica di San Francesco di Paola. Il lungomare di Napoli prende il nome di via Caracciolo, in onore dell'ammiraglio Francesco Caracciolo fatto impiccare da Orazio Nelson sulla nave Minerva (già da lui comandata) nel golfo della città, per la sua adesione alla Repubblica Napoletana. La strada, in realtà, è relativamente recente e risale alla fine dell'Ottocento quando sostituì l'arenile che la villa reale (con l'Unità, "villa comunale") separava dalla riviera di Chiaia. Dal 2012 è diventato anch'esso un tratto interamente pedonale. Di notevole interesse le già menzionate scalinate storiche che costituiscono un elemento alquanto tipico dell'urbanistica partenopea. A partire dal 1996 e fino al secondo decennio degli anni Duemila, l'assetto e la fruizione della città sono cambiati radicalmente grazie alla costruzione delle cosiddette stazioni dell'arte. Si tratta di un complesso logistico-monumentale in cui la funzione del trasporto urbano per via sotterranea si coniuga con la fruizione di numerose opere di arte moderna installate nelle stazioni. Alcuni punti di questa rete, come ad esempio la Stazione Toledo, considerata la più bella d'Europa, hanno conseguito una forte notorietà internazionale, diventando rapidamente una delle attrazioni della città. Durante gli scavi necessari per la loro realizzazione, inoltre, sono stati rinvenuti numerosi reperti storici e archeologici. Suddivisioni amministrative Il comune di Napoli, precedentemente suddiviso in ventuno circoscrizioni, è oggi ripartito in 10 municipalità di circa centomila abitanti. Ogni municipalità ha un presidente eletto direttamente dal corpo elettorale, una giunta e un consiglio di 30 consiglieri. Economia Generalità Napoli, trovandosi al centro di alcune delle più importanti rotte del Mediterraneo e potendo disporre dell'entroterra fertile di due aree vulcaniche, già dall'età antica poté contare su una robusta economia legata soprattutto all'agricoltura, alle materie prime e all'artigianato. In epoca medievale e moderna la città divenne uno dei grandi centri italiani della protoindustria tessile, in particolare della lavorazione della seta. Nella prima metà del XIX secolo, a Napoli nacque il primo grande complesso metalmeccanico della penisola, ovvero quello di Pietrarsa, che conobbe un notevole sviluppo industriale ed economico nel successivo ventennio: nel 1860 contava una forza lavoro di circa 1200 unità. Tuttavia, dopo l'Unità d'Italia, lo stabilimento conobbe una fase di lento declino sino alla cessazione dell'attività produttiva verso il 1880, mantenendo comunque, fino al 1975, l'attività di manutenzione e riparazione di locomotive e locomotori. Per sottolineare l'importanza economica della città basti pensare che la provincia di Napoli aveva ancora nel 1871, a 10 anni dall'annessione, un indice di industrializzazione superiore a quello di Torino. Napoli era inoltre sede della Borsa, della Zecca e del Banco delle Due Sicilie. Per sopperire alle emergenti situazioni critiche dell'economia e società napoletana post-unitaria, nel 1904, nell'ambito del risanamento di Napoli, vennero creati ad est e ad ovest i grandi quartieri industriali (emblematico è a tal proposito la nascita del grande stabilimento siderurgico di Bagnoli): anche se un effettivo slancio del settore si avrà, escludendo l'effimero periodo fascista in cui Napoli poté considerarsi a tutti gli effetti una realtà industriale con circa il 14% della popolazione impiegata in tale settore, col boom economico. Napoli è, a livello comunale, la quindicesima tra le grandi città italiane per reddito pro capite (circa 20.000 euro al 2020), mentre è la quarta (dopo Roma, Milano e Torino) per prodotto interno lordo, con 1,5% del pil nazionale secondo una stima degli inizi del 2000. Nonostante questi brevi periodi di miglioramenti, favoriti anche dalla presenza in città di un forte artigianato (l'arte presepiale, la lavorazione delle ceramiche e porcellane, la produzione di gioielli con corallo e cammei incisi su conchiglia di Torre del Greco e altro ancora), l'occupazione non ha mai raggiunto un livello adeguato, soprattutto a causa di investimenti statali insufficienti, ma anche a causa della presenza di infiltrazioni camorristiche che scoraggiano gli investimenti privati. Le attività illegali napoletane hanno un'ingente ripercussione sull'economia nazionale, non senza incidenze negative sulle strutture sociali e ambientali cittadine. La mancanza di un vero e proprio tessuto industriale, ulteriormente minato negli ultimi decenni, ha fatto di Napoli un importante centro del terziario (commercio, amministrazione, finanza, trasporti e turismo) e del terziario avanzato volto alla ricerca tecnologica (Apple e Cisco Systems Academy). Il porto di Napoli è da sempre un importante voce di reddito per la città, mentre il più importante polo d'affari e del terziario è il CDN. Turismo Napoli è, con Firenze, Roma, Venezia e Milano, una delle grandi mete turistiche italiane ed è stata considerata, dalla CNN, tra le migliori destinazioni turistiche mondiali del 2022. Con circa quattro milioni di presenze nel 2019, la città è del tutto uscita dalla forte depressione turistica dei decenni passati (dovuta in primo luogo alla destinazione unilaterale a città industriale ma anche ai danni d'immagine provocati dai media italiani, dal terremoto dell'Irpinia del 1980 e dalla crisi dei rifiuti, a favore dei centri costieri della sua area metropolitana). Napoli è il decimo comune più visitato in Italia e il primo del Mezzogiorno. Per valutare adeguatamente il fenomeno, è però da considerare che una grossa fetta di turisti all'anno visitano Napoli soggiornando nelle numerose località dei suoi dintorni, collegate alla città con linee dirette sia private che pubbliche. Visite giornaliere a Napoli vengono effettuate da diversi tour operator romani e di tutte le località turistiche principali della Campania. Il settore è oltremodo in continua ascesa e si prospetta nuovamente il raggiungimento delle città d'arte del suo livello, in tempi relativamente brevi. Il turismo sta assumendo sempre più un peso decisivo per l'economia della città motivo per cui, esattamente come già accaduto ad esempio nel caso di Venezia o Firenze, è ormai elevato il rischio di gentrificazione del centro storico. Infrastrutture e trasporti Strade Napoli è un importante nodo stradale e autostradale del paese. Dalla città si dipartono l'autostrada del Sole (A1) verso nord, l'A3 verso sud e l'autostrada A16 verso l'Adriatico. La tangenziale di Napoli (ufficialmente autostrada A56), con i suoi transiti al giorno, scorre lungo la parte interna della città, attraversandone le colline con varie gallerie; i collegamenti con il circondario avvengono tramite la Circumvallazione esterna, l'Asse Mediano, l'Asse Perimetrale di Melito-Scampia, la strada statale 162 dir del Centro Direzionale. Ferrovie e tranvie Napoli è il principale nodo ferroviario del Mezzogiorno, essendo raggiunta da alcune delle principali linee ferroviarie italiane: la Ferrovia Roma-Napoli (alta velocità), la Ferrovia Roma-Cassino-Napoli, la Ferrovia Roma-Formia-Napoli, la Napoli-Salerno, la Napoli-Salerno via a monte del Vesuvio (AV/AC) e la Napoli-Foggia (attualmente in trasformazione in AV/AC Napoli-Bari). La stazione ferroviaria di Napoli Centrale è un nodo di interscambio di vitale importanza per l’intero sistema ferroviario nazionale, essendo la settima stazione italiana per flusso di passeggeri ( utenze giornaliere, ma salgono a se si include anche il Terminal bus in area Metropark e quello della Ferrovia Circumvesuviana pari a di passeggeri annui). Posta in piazza Garibaldi, la prima stazione era stata costruita nel 1886 su progetto dell'urbanista Errico Alvino; la stazione ottocentesca, tuttavia, fu abbattuta nel secondo dopoguerra per far posto al nuovo fabbricato viaggiatori, arretrato di 250 metri rispetto all'originale, progettato nel 1954 da un team di architetti e ingegneri, tra cui spicca la figura di Pierluigi Nervi. La stazione di Napoli Afragola, posta sulla linea ad alta velocità Roma-Napoli, costituisce un polo di interscambio macroregionale per la Puglia, il Lazio, la Basilicata, la Campania e la Calabria. Il passante ferroviario di Napoli, compreso in parte nel servizio ferroviario metropolitano della città denominato Linea 2, attraversa la metropoli da est a ovest. Le stazioni principali sono Napoli Campi Flegrei (ovest), Napoli Mergellina (centro) e Napoli Piazza Garibaldi (est) dove c'è uno scambio con la linea 1 dell'ANM e con più di 5 linee di ferrovie suburbane della rete Circumvesuviana. Fra il 1881 e il 1961 l'estesa rete tranviaria urbana, che nel 1929 incorporò altresì le tranvie di Capodimonte, era integrata dalle tranvie extraurbane gestite dalla Société Anonyme des Tramways Provinciaux, che comprendeva le linee Napoli-Aversa/Giugliano, Aversa-Albanova, Napoli-Frattamaggiore e Napoli-Caivano. Ulteriori linee extraurbane, esercite direttamente dall'azienda di trasporto urbano, erano le tranvie Napoli-Portici-Torre del Greco e Napoli-Bagnoli-Pozzuoli. Porti Il porto di Napoli, posto al centro del Mediterraneo e attivo fin dall'età classica, svolge, tra le altre, funzioni commerciali e di collegamento. L'area complessiva si estende per oltre 200000 m2 (20 km in lunghezza); sotto la sua giurisdizione anche il porto di Castellammare di Stabia (con Marina di Stabia per le imbarcazioni da diporto), l’area di Bagnoli (con la relativa colmata), il porto di Mergellina ed i lidi balneari presenti a Posillipo, Marechiaro e Bagnoli/Coroglio. Con circa sei milioni e mezzo di traffico passeggeri nel 2022 e con di passeggeri croceristi nello stesso anno (467 navi toccate), è uno dei più importanti porti sia a livello europeo che mediterraneo. Altri porti, come quello del Molosiglio e di Marina di Santa Lucia, hanno invece una funzione esclusivamente turistica. Da menzionare anche i due porti situati nei contigui comuni di Pozzuoli e di Portici, che servono soprattutto la periferia occidentale ed orientale della città. Aeroporti A Napoli e nei suoi dintorni vi sono due aeroporti: l'aeroporto intercontinentale di Napoli Capodichino, gestito dalla GESAC, e l'aeroporto di Napoli-Grazzanise gestito dall'Aeronautica Militare. Il primo, collocato a circa dal centro della città, è al 2022 il quarto aeroporto d'Italia ed il primo del Mezzogiorno per numero di passeggeri (circa 11 milioni). Il 13 giugno 2017 all'aeroporto viene conferito il premio "Aci Europe Award" come migliore in Europa nella categoria 5-10 mln di passeggeri. Nel 2018, inoltre, l'aeroporto ha vinto il titolo "fast and furious", primo nella sua categoria che premia lo scalo con la maggiore crescita in Europa, poiché passa da 6.775.988 passeggeri del 2016 a 8.577.507 passeggeri del 2017, con un incremento del 26,6%. Importanti anche i due collegamenti diretti giornalieri Frecciarossa tra la stazione centrale e l'aeroporto di Fiumicino, a circa 200 km dalla città, in orari coincidenti con i principali voli intercontinentali in particolare dagli USA. Mobilità urbana Napoli dispone di una capillare rete di trasporti pubblici, la cui tariffazione è gestita dal Consorzio UnicoCampania, che serve non solo l'intera area urbana bensì anche gran parte dell'area metropolitana. La rete poggia innanzitutto su una rete metropolitana di (due linee propriamente urbane e una intercomunale detta linea Arcobaleno che collega la città con il resto della conurbazione a nord) e su 4 funicolari, gestite da ANM; a queste si aggiungono la storica Metropolitana FS dal 1997 denominata linea 2 e le tratte ferroviarie urbane di Circumvesuviana, Circumflegrea e Cumana gestite dall'EAV. Oltre alla rete su ferro, sono presenti tre ascensori (Chiaia, Sanità, Acton, Ventaglieri), una rete tranviaria (che mette in comunicazione il porto, la stazione Centrale e la periferia orientale), un Metrò del Mare (che collega il comune con le principali località marittime dell'area metropolitana e della regione) e un'estesa rete di autobus; riguardo quest'ultima, la flotta dell'ANM, conta più di veicoli. Vi sono circa trenta tipologie di autobus. Ciò è dovuto alla particolare morfologia e struttura edilizia della città di Napoli, che spesso presenta vicoli stretti (soprattutto nel centro antico) e strade ripide. A questo proposito, sono state adottate soluzioni alternative come mini-bus, che riescono agevolmente ad accedere nei vicoli e nelle strade più strette, e bus con un punto di snodo al centro, capaci di portare il doppio dei passeggeri senza andare incontro a ostacoli dovuti all'eccessiva lunghezza del mezzo. La flotta effettua più di passaggi giornalieri essendo in servizio su circa 130 linee. Amministrazione Consolati Nel 1796 a Napoli, capitale del Regno delle Due Sicilie, nacque la prima ambasciata americana nella penisola italiana (settima nel mondo). La città è sede di 87 consolati. Gemellaggi Il Comune di Napoli ha siglato una serie di protocolli d'intesa con enti locali di paesi terzi tesi ad intensificare i rapporti tra le rispettive società civili e a consolidare relazioni che garantiscano lo scambio di esperienze e la reciproca conoscenza, progresso, sviluppo e benessere delle rispettive popolazioni: (dal 1960) Sport Quadro generale Maggiori società sportive di Napoli A Napoli vi sono diverse società sportive di rilievo: Calcio maschile: Società Sportiva Calcio Napoli, Serie A Calcio femminile: Napoli Calcio Femminile, Serie A (calcio femminile) Calcio a 5 maschile: Napoli Calcio a 5, Serie A (inattiva) Futsal Fuorigrotta Napoli, Serie A Calcio a 5 femminile: Woman Napoli Calcio a 5 Beach soccer: Napoli Beach Soccer, Serie A (beach soccer) Pallacanestro maschile: Napoli Basket, Serie A (pallacanestro maschile) Nuova Pallacanestro Napoli Società Sportiva Basket Napoli Partenope Napoli Basket, Serie C regionale Pallacanestro femminile: Dike Basket Napoli Serie A1 (pallacanestro femminile) Pallanuoto maschile: Circolo Nautico Posillipo, Serie A1 (pallanuoto maschile) Circolo Canottieri Napoli, Serie A2 (pallanuoto maschile) Rari Nantes Napoli, Serie A2 (pallanuoto maschile) Associazione Sportiva Acquachiara, Serie A2 (pallanuoto maschile) Pallanuoto femminile: Associazione Sportiva Acquachiara, Serie A1 (pallanuoto femminile) Pallavolo femminile: Centro Ester Pallavolo, Serie B2 Rugby Maschile: Partenope Rugby, Serie C1 Amatori Napoli, Serie B (rugby a 15) Rugby femminile: Old Napoli, Serie A femminile Vela: Reale Yacht Club Canottieri Savoia Circolo del Remo e della Vela Italia Impianti sportivi principali Stadio Diego Armando Maradona Piscina Felice Scandone PalaBarbuto Ippodromo di Agnano Sferisterio Partenopeo Stadio Arturo Collana Accademia Nazionale di Scherma PalaVesuvio Infrastrutture sportive militari del Velodromo generale Alberico Albricci Impianti sportivi dell'Università degli Studi di Napoli Federico II Stadio ex NATO Note Annotazioni Fonti Bibliografia Testi storici Storia Arte Architettura Musica Etnologia, etnografia, folclore Scienze Varie Voci correlate Storia Storia di Napoli Ducato di Napoli Regno di Napoli Regno delle Due Sicilie Quattro giornate di Napoli Istituzioni, enti e associazioni Campania Città metropolitana di Napoli Municipalità di Napoli Sindaci di Napoli Cittadini onorari di Napoli Trasporti a Napoli Geografia fisica Campi Flegrei Golfo di Napoli Quartieri di Napoli Vesuvio Gastronomia Casatiello Cucina napoletana Pastiera napoletana Pizza Antica Pizzeria Port'Alba Testa di moro (dolce) Pasta napoletana (campana) Arte e cultura Barocco napoletano Canzone napoletana Centro storico di Napoli Cucina napoletana Liberty napoletano Lingua napoletana Monumenti di Napoli Pittura napoletana Porcellana di Capodimonte Presepe napoletano Rinascimento napoletano Scuola musicale napoletana Teatro napoletano Napolitudine Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Nunavut
Nunavut
Nunavut (in inuktitut: ) è il territorio del Canada più settentrionale e più vasto. Si estende su una superficie di poco più di km², che corrisponde alla dimensione dell'Europa occidentale. Fu separato ufficialmente dai Territori del Nord-Ovest il 1º aprile 1999, per riconoscere l'identità di patria del popolo Inuit, dalla Legge sul Nunavut e il Nunavut Land Claims Agreement Act, anche se i confini erano già stati tracciati nel 1993. La sua creazione ha portato al primo cambiamento nella mappa politica del Canada dopo l'incorporazione della provincia di Terranova e Labrador nel 1949. Nunavut comprende una parte importante del Canada continentale settentrionale e la maggior parte dell'Arcipelago artico canadese. Il suo vasto territorio lo rende la quinta entità subnazionale (circoscrizione amministrativa) al mondo per ordine di grandezza, così come il secondo stato più grande dell'America del Nord (dopo la Groenlandia). Se fosse un paese autonomo, si classificherebbe al 15º posto per superficie. Il centro abitato di Iqaluit (precedentemente Frobisher Bay), che si trova nella parte sud-orientale dell'Isola di Baffin, è stata scelta attraverso plebiscito come capitale dello stato nel 1995. Altre comunità importanti nella regione sono Rankin Inlet e Cambridge Bay. È l'unica regione geopolitica del Canada non collegata al resto del Nord America attraverso vie di comunicazione stradale. L'Isola di Ellesmere, nella parte più settentrionale dello stato è sede del centro abitato più settentrionale al mondo, Alert, e di Eureka, una stazione meteo che ha la temperatura media annua più bassa di qualsiasi altra stazione meteorologica canadese. Il motto dello stato è Nunavut sanginivut (in inuktitut: Nunavut, nostra forza o Nostra terra, nostra forza). Geografia fisica Territorio Il Nunavut copre 1.877.787 km² di terra e 160.930 km² di acqua nel Canada settentrionale. Il territorio comprende parte della terraferma e parte dell'arcipelago artico canadese: tutte le isole della Baia di Hudson (Isole Belcher), della Baia di James (Isola Akimiski) e della Baia di Ungava, così come le porzioni orientali e meridionali dell'Isola Victoria ad ovest. Il Nunavut ha lunghi confini terrestri con i Territori del Nordovest sulla terraferma e alcune isole artiche, e con Manitoba a sud della terraferma del Nunavut; incontra anche il Saskatchewan a sud-ovest in un quadripunto e ha un breve confine terrestre con Terranova e Labrador sull'isola di Killiniq. Il confine con i Territori del Nordovest si avvicina all'incirca al limite del bosco in Canada. Il Nunavut condivide i confini marittimi con la Groenlandia e le province del Quebec, Ontario e Manitoba. Il punto più alto del Nunavut è il Barbeau Peak sull'isola di Ellesmere. Geomorfologia La principale catena montuosa è la Cordigliera Artica che corre lungo le regioni nord-orientali. Idrografia Tra i suoi fiumi si annoverano il Back, il Burnside ed il Dubawnt. Aree protette Gran parte del territorio fa parte di zone protette tra cui vi sono il Parco nazionale Quttinirpaaq sull'isola di Ellesmere, il Parco nazionale Auyuittuq sull'isola di Baffin, il Parco nazionale Sirmilik sull'isola di Baffin e sull'isola di Bylot, il Parco nazionale Ukkusiksalik, il Queen Maud Gulf Migratory Bird Sanctuary che si trova sul continente e il Thelon Wildlife Sanctuary, condiviso con i Territori del Nord-Ovest. Clima Il territorio di Nunavut ha un clima polare, a causa della sua elevata latitudine e della bassa influenza continentale rispetto alle aree che si trovano più ad ovest nel Canada. Possiede il clima più freddo del Canada. Le temperature possono scendere fino a -50 °C in alcune zone. La regione è soggetta alla quasi totale mancanza di luce per sei mesi all'anno e a quattro mesi in cui il sole non tramonta mai. L'estate dura solamente tre mesi mentre l'inverno addirittura nove. Nella stagione invernale si verifica il fenomeno dell'aurora boreale. Temperature Le temperature variano ampiamente da una comunità all'altra. La temperatura media di Kugluktuk è la più calda dello stato, talvolta sale fino a 30 °C in estate e varia dai -15 °C ai -40 °C in inverno. La comunità più fredda dello stato invece è Grise Fiord, dove le temperature estive possono a volte salire al di sopra dei 5 °C e le temperature invernali spesso scendono sotto i -50 °C. Le temperature durante la stagione primaverile sono omogenee in tutto il territorio, con valori medi tra i -20 °C e i -10 °C. In primavera a Nunavut si registrano già giorni con valori alti delle ore giornaliere di sole. Da fine marzo a fine maggio, la luce del sole riflessa dalla neve e dal ghiaccio può provocare scottature gravi. Ore di luce In inverno le temperature sono fredde a causa anche della brevità dei giorni. Nella giornata più breve ad Iqaluit, capoluogo dello stato, il sole sorge e tramonta in sole quattro ore. Più ci si spinge verso nord, più brevi saranno i giorni invernali. Le comunità a nord del Circolo Polare Artico a volte non vedono nemmeno sorgere il sole nei giorni invernali. Al contrario, al solstizio d'estate, il sole splende per 21 ore ad Iqaluit con alcune ore di crepuscolo intorno alla mezzanotte. Nelle zone più a nord dello stato il sole splende 24 ore al giorno nei mesi estivi. Il sole di mezzanotte brilla sullo stato di Nunavut. A seconda della zona in cui ci si trova, il sole potrebbe non tramontare completamente all'orizzonte fino a quattro mesi all'anno. Precipitazioni e venti La bassa umidità registrata nello stato contribuisce a ridurre l'impatto del freddo, rendendo un giorno con una temperatura di -20 °C come se se ne sentissero -5 °C. I venti, tuttavia, possono causare il congelamento. Molte comunità del Nunavut hanno venti giornalieri che si mantengono costantemente tra i 15 e i 20 km/h. Alcune comunità, come Pangnirtung, sono famose per i venti estremi occasionali che possono raggiungere i 100 km/h. Le precipitazioni a Nunavut tendono a scendere in senso laterale, in quanto quasi sempre accompagnate da venti tra i 30 e i 60 km/h. Il fenomeno windchill abbassa la percezione della temperatura effettiva dell'aria. Poiché la maggior parte dell'Artico è un deserto polare, sono comuni giornate senza nuvole o precipitazioni. Le precipitazioni annuali totali nella capitale, Iqaluit, sono di appena 430 mm, mentre la capitale del Canada Ottawa ha più del doppio dei fenomeni. Nel Nunavut, le temperature fredde indicano che in genere il manto nevoso rimane al suolo fino a giugno e il ghiaccio nei mari finisce per rompersi o sciogliersi solo dalla metà di luglio e per un brevissimo periodo. Le precipitazioni di carattere piovoso normalmente si verificano tra luglio e inizio settembre. Storia Primi insediamenti La storia della regione è molto antica. Circa 5000 anni fa giunsero dalla Siberia delle popolazioni chiamate dagli archeologi "Paleoeschimesi", che nel giro di mille anni giunsero ad occupare tutta l'Artide nordamericana. Erano i primi a penetrare in questa regione, trascurata dai Paleo-indiani nella loro occupazione del continente americano tra il 40.000 e il 12.000 a.C. Questi Paleoeschimesi, che gli Inuit chiamano Tunit nelle loro tradizioni, portarono con sé dal Vecchio Mondo una tecnologia adatta a quelle regioni impervie (anche se a quel tempo il clima era più caldo), tra cui abiti di pelle confezionata e cucita con aghi d'osso, l'arco e le frecce, comparsi per la prima volta in America con le piccole tribù di Tunit. Circa 2000 anni fa il clima dell'Artico cominciò a raffreddarsi e diventò anche più freddo di oggi, costringendo i Tunit a modificare il loro sistema di vita. La Cultura Dorset e i Nuovi Popoli Il risultato fu la nascita della Cultura Dorset, molto più ricca e sicura della precedente cultura paleo-eschimese, con insediamenti più grandi e un aumento della dipendenza dalla caccia ai mammiferi marini, come dimostra l'uso di un nuovo tipo di arpione, le racchette da neve, i grandi coltelli e le lampade a olio di steatite. Le culture tradizionali dell'Artico vedevano il mondo come un luogo pieno di spiriti e di forze misteriose, che certi individui, gli sciamani, erano in grado di usare. I Dorset ci hanno lasciato splendidi esempi di arte sciamanica, che mostra anche la vastità dei rapporti tra le varie comunità Dorset, che restarono virtualmente isolate dal 500 a.C. al 1000 d.C. Intorno al 1000 il clima cambiò ancora e la temperatura aumentò, costringendo i Dorset a modificare il loro stile di vita, mentre nuovi popoli entravano nell'area. Tra questi gli indiani di lingua algonchina che si espandevano fino a Terranova e sulle coste boscose del Labrador, i vichinghi stabilivano colonie in Groenlandia e si spingevano talvolta nell'Artide orientale, mentre da ovest gli Inuit ancestrali della Cultura Thule si muovevano dall'Alaska fin nel cuore del territorio Dorset. Recenti scavi presso Cape Banfield hanno portato gli studiosi a considerare l'esistenza di contatti con europei durati a lungo, almeno fino al 1450, ma iniziati prima del 1000 e certamente prima dell'arrivo dei vichinghi in Groenlandia. La fine dei Dorset e l'inizio dell'era Inuit Mentre i vichinghi si limitavano a commerciare anche se occasionalmente si verificavano delle scaramucce con i Dorset gli Inuit giunsero per stabilirsi in comunità molto più numerose, portando con sé gli strumenti e le armi di una sofisticata cultura di caccia, che comprendeva anche animali di grossa taglia come la balena. Tra il 1200 e il 1500 i Dorset scomparvero, soppiantati dagli Inuit, a cui lasciarono in eredità alcuni elementi della loro cultura, come l'Inukshuk o costruzione di sassi utilizzata per dirigere i caribù verso l'area di caccia e l'abitazione invernale a cupola, l'igloo. Gli Inuit resero omaggio ai Dorset attraverso le loro tradizioni, «I Tunit resero questo paese abitabile», ma narrano anche che erano troppo timidi e miti e venivano subito sopraffatti. Storia moderna e nascita dello Stato di Nunavut Gli Inuit vissero più o meno indisturbati fino alla metà del XIX secolo, quando il governo canadese cominciò a incoraggiare gli insediamenti permanenti. I qallunaat (o quablunaaq), cioè i bianchi, avevano visitato la regione dove erano transitati esploratori, geografi, antropologi e commercianti, ma furono i balenieri ad avere il maggior impatto sugli Inuit, cambiando gli schemi dei villaggi e portando armi, imbarcazioni baleniere e strumenti in metallo. La capitale dell'attuale Nunavut, Iqaluit, si trova sulla parte meridionale dell'Isola di Baffin di fronte a Frobisher Bay (dal nome dell'esploratore inglese che la visitò nel 1575). È una città di circa 7000 abitanti che deve la sua nascita allo sviluppo minerario del Grande Nord e alle basi militari durante la Guerra Fredda. Iqaluit è abitata per due terzi da Inuit. Il 1º aprile 1999 la mappa del Canada cambiò per la prima volta dopo 50 anni, dal tempo in cui Terranova si era aggiunta alla federazione canadese. Il nuovo territorio istituito tramite il Nunavut Act e il Nunavut Land Claims Agreement Act, fu chiamato Nunavut, (ᓄᓇᕗᑦ), che significa “La Nostra Terra” in inuktitut, la lingua degli Inuit, e copre circa due milioni di km², più o meno le dimensioni dell'Europa occidentale e circa un quinto del Canada. Per l'occasione è stata coniata una nuova moneta canadese da 25 centesimi disegnata da artisti inuit con incisi un gufo e un orso. Politica Storia politica dello Stato Allo scoccare della mezzanotte del primo aprile 1999, ad una temperatura di -45° gradi, Ottawa divise i Territori del Nord-Ovest in due stati distinti. Dal 60% della superficie orientale dei Territori del Nord-Ovest nacque lo stato di Nunavut. I negoziati per costituire lo stato erano cominciati ufficialmente nel lontano 1976 grazie ad una formazione politica Inuit: il Tapirisatche. Nel 1982 la maggioranza della popolazione dei Territori del Nord-Ovest votò un plebiscito per dividere la regione e in seguito approvò un confine che seguiva grosso modo le terre tradizionali degli Inuit escludendo la città di Yellowknife e la miniera di diamanti presso Lac de Gras. Dopo anni di negoziato nel 1993 venne firmato il più grande accordo territoriale della storia del Canada. Gli Inuit ricevettero chilometri quadrati di territorio, i diritti minerari su chilometri quadrati, una quota delle royalties federali sul petrolio, gas naturale, lo sviluppo minerario delle terre della Corona, il pagamento di 1 miliardo e 148 milioni di dollari canadesi (762 milioni di dollari americani) pagabili in 14 anni, il diritto di caccia su tutto il territorio, eguale rappresentazione nei governi territoriali e federali nei nuovi dipartimenti delle risorse ambientali e della fauna, opportunità di partecipare allo sviluppo minerario e commerciale della regione e la creazione di tre nuovi parchi nazionali. Amministrazione politica dello Stato Politicamente Nunavut ha il proprio parlamento, un gabinetto e un sistema giudiziario a un solo livello. Le prime elezioni per il parlamento, senza alcun tipo di partito, si tennero il 15 febbraio del 2000 e votarono l'88% degli aventi diritto, con i candidati che facevano campagna elettorale spostandosi con mezzi aerei per visitare le comunità. Vennero eletti una donna e diciotto uomini e scelto come premier Paul Okalik, 34 anni, avvocato e all'epoca unico laureato inuit. La legislatura, come vuole la tradizione, nel prendere le decisioni è basata sul consensus government e il tribunale dovrebbe applicare la legge secondo criteri legali multiculturali. L'applicazione della legge viene garantita da servizi di polizia della comunità supportati dalla Royal Canadian Mounted Police. Le tre lingue ufficiali sono l'inglese, il francese e l'inuktitut anche se si utilizza pure l'altra lingua Inuit, l'innuinnaqtun. Dal novembre 2008, il premier è Eva Aariak. Di fronte a delle pesanti critiche l'ex premier Paul Okalik ha creato un consiglio consultivo di undici anziani la cui funzione è quella di incorporare la cultura e le conoscenze tradizionali Inuit (“Inuit Qaujimajatuqangit“, spesso citato in inglese come “IQ”) nelle decisioni politiche del governo territoriale. Nunavut ha un Commissario Federale nominato dal ministro degli Affari Indiani e Sviluppo del Nord (DIAND), il cui ruolo è simbolico. Il Commissario Federale non rappresenta formalmente il capo dello stato canadese, ma è giunto ad avere un ruolo analogo a questo nella Corona britannica, che è a capo del Commonwealth di cui fa parte anche il Canada. Il vero potere a livello esecutivo è esercitato dal primo ministro, eletto dall'assemblea legislativa, a sua volta eletta dai cittadini. La lingua utilizzata dagli organi di stato è l'inuktitut, anche se sono utilizzati pure l'inglese e il francese. Nel settembre 2012 la premier Eva Aariak ha ricevuto il principe Edward e la consorte Sophie, Contessa di Wessex, in occasione delle celebrazioni a Nunavut in onore del Giubileo di Diamante della Regina Elisabetta II. Il governo di Nunavut ha gli stessi poteri e responsabilità degli altri due territori canadesi, lo Yukon e i Territori del Nord-Ovest, ma, dato che mancava di amministratori Inuit competenti, dovette assumerne dei non Inuit. Nel 2009 i posti statali riservati agli Inuit aumentarono fino a raggiungere la quota dell’85%. In questo modo riflettevano la percentuale di composizione etnica della regione. Attualmente quasi tutti i posti di lavoro sono governativi e il budget di Nunavut proviene per il 90% dal governo federale. La scarsità di popolazione di Nunavut rende improbabile che al territorio in un futuro recente sia concesso lo status di provincia (più o meno equivalente a quello di uno stato americano), anche se la situazione potrebbe cambiare se lo Yukon, che è solo marginalmente più popolato, diventerà una provincia. Economia La più grande risorsa economica di Nunavut è la sua ricchezza mineraria, che comprende riserve di oro, ferro, zinco, nichel, rame, diamanti, petrolio e gas naturale. Lo sfruttamento di tali risorse è tuttavia ostacolato da elevati costi di produzione e difficoltà di trasporto. Il governo federale ha partecipato allo sviluppo delle risorse soprattutto fornendo infrastrutture e aiutando nella ricerca di minerali. Inoltre, le agenzie governative producono e distribuiscono energia elettrica in tutto il territorio. Il governo e le sue agenzie sono una delle principali fonti di occupazione e di reddito per il territorio. La capitale di stato Iqaluit, ospita ogni aprile il Nunavut Mining Symposium, una fiera economica. La sola miniera operativa all'anno 2013 è la Agnico-Eagle Mines Ltd – Meadowbank Division. La Meadowbank è una miniera d'oro a cielo aperto, che dà lavoro a 678 persone. Il costo per produrre un grammo d'oro è di 32 dollari canadesi. Il tasso di disoccupazione a Nunavut è superiore a quello degli altri stati del Canada. Il turismo, incentrato soprattutto sulle attrazioni naturali del territorio e sulla cultura Inuit, costituisce una piccola ma significativa entrata per la popolazione. Il governo locale ha un budget annuale di 700 milioni di dollari canadesi, per la quasi totalità provenienti dal governo federale. Pesca e caccia Vengono pescati e esportati nei mercati del sud da diverse comunità nell'Artide orientale rombi, gamberetti e salmerini. Alcuni Inuit continuano a svolgere le attività in maniera tradizionale nella cattura di piccoli mammiferi, nella pesca e nella caccia agli animali acquatici per integrarli agli alimenti importati di cui dispongono. Vengono vendute alcune pelli di foca ai produttori di abbigliamento commerciale. La pesca sportiva e la caccia attirano turisti sul territorio. Società Evoluzione demografica Il Nunavut è una delle regioni più remote e scarsamente popolate del mondo. Secondo il censimento del 2016 ha una popolazione di 35944 abitanti, di cui l'85% è costituito da popolazioni native principalmente di etnia Inuit. La maggior parte della popolazione è concentrata nelle 28 comunità principali del Territorio. Tale dato, facente riferimento ad una popolazione scarsissima distribuita in maniera sparsa in un territorio estremamente vasto (circa sette volte quello dell'Italia), fa del Nunavut una delle regioni meno densamente popolate nel mondo, con una densità di popolazione di 0,019 ab./km². Se fosse una nazione indipendente, essa sarebbe la meno densamente popolata in assoluto. La vicina Groenlandia, estesa poco più del Nunavut, ha una densità di 0,026 ab./km². Popolazione residente Comuni più popolosi Lingue Le lingue ufficiali dello stato sono l'inuit (inuktitut e inuinnaqtun), l'inglese e il francese. Il Dtt. Ian Martin dell'Università di York nella relazione che ha commissionato nel 2000 (Aajiiqatigiingniq Language of Instruction Research Paper) presso il Dipartimento dell'Istruzione di Nunavut, ha affermato che «l'inglese è una minaccia a lungo termine per le lingue inuit, e le attuali politiche e pratiche linguistiche scolastiche in inglese stanno contribuendo a quella minaccia» se le scuole di Nunavut seguono il modello dei Territori del Nord-Ovest. Ha fornito un piano linguistico di 20 anni per creare una società bilingue pienamente funzionale, in inuktitut e in inglese entro il 2020. Il linguaggio Inuit è in costante declino dalla metà del XX secolo. Ogni censimento fatto ha dimostrato che l'inglese viene sempre più utilizzato dalle famiglie dello stato di Nunavut e che i giovani dichiarano inuktut come loro madrelingua meno degli anziani. L'uso dell'inglese prevale nelle imprese, mentre i media del sud (televisione, internet, etc) sono un'influenza in continua crescita, specialmente nei giovani. In breve, anche se l'uso della lingua inuktut rimane diffusa, è meno certo che questa verrà trasmessa da una generazione all'altra. Il sistema scolastico è di notevole importanza nel piano d'azione del governo per preservare la lingua inuktitut. La Legge sulla protezione della lingua inuit garantisce ai genitori il diritto di educare i propri figli con l'uso di questa lingua. Durante varie consultazioni, il governo ha ascoltato i propri cittadini, garantendo che i loro figli parlino la lingua madre inuktitut, ma volendo anche che diventino cittadini del mondo e conoscano l'inglese. Charlie Awa, un residente di 19 anni, di Iqaluit, dice che la prima lingua che ha imparato era l'inuktitut, ma ora parla inglese con i suoi amici e sul lavoro perché questo rende le cose più semplici. «In verità parlavo la lingua inuktitut perché ero cresciuto con gli anziani», dice Awa, originario del villaggio di Pond Inlet, che si trova nella punta settentrionale dell'isola di Baffin. Ma una volta entrato nella scuola superiore, l'inglese divenne la lingua che parlava ogni giorno con amici e insegnanti, la maggioranza dei quali erano anglofoni. «Parlo principalmente con i miei amici in inglese perché non riescono a capire il mio dialetto. Noi abbiamo tutti dialetti differenti.» La politica linguistica del territorio si basa su due leggi fondamentali approvate nel 2008: la Legge sulla lingua ufficiale e la Legge sulla protezione della lingua inuit. Il primo ha concesso come lingua ufficiale l'inuit, l'inglese e il francese nelle istituzioni del territorio, nell'assemblea legislativa e nei tribunali di Nunavut. Consente inoltre a Nunavut di ricevere alcuni servizi dai comuni in lingua inglese, francese e la lingua inuit in conformità con le regole stabilite. La Legge sulla protezione della lingua inuit invece afferma che il governo deve adottare azioni positive a promuovere l'uso della lingua inuktut in tutti i settori della società nello stato di Nunavut. Nel rispetto dell'uguaglianza di tutte le lingue ufficiali, l'Inuit Language Protection Act dà alla lingua inuktitut una nuova rilevanza nell'istruzione, nel lavoro e nella vita quotidiana in tutto il territorio. Delle risposte alla domanda riguardante la lingua madre durante il censimento del 2006 le lingue più comuni sono state: Nel censimento del 2006 è stato riferito anche che persone (7,86%) che abitavano lo stato di Nunavut non avevano alcuna conoscenza di una lingua ufficiale del Canada (inglese o francese). Religione I gruppi religiosi più rappresentativi secondo il censimento del 2001 erano la Chiesa anglicana del Canada con fedeli (58%), la Chiesa Cattolica (Diocesi di Churchill-Baia di Hudson) con 6205 fedeli (23%) e la pentecostale con 1175 fedeli (4%). Complessivamente, il 93,2% della popolazione era cristiana. Salute e istruzione Fino agli anni 1950 la maggior parte dei servizi educativi e sanitari della regione venivano forniti dai missionari. In seguito il governo canadese si assunse queste responsabilità. Oggi il Dipartimento dell'Istruzione di Nunavut sovrintende all'istruzione elementare e secondaria e il Nunavut Arctic College di Iqaluit offre programmi post-secondari e corsi. L'uso della lingua inuktitut è promosso nelle scuole e il Dipartimento Federale Indiano e degli Affari del Canada del Nord fornisce sostegno finanziario all'istruzione indigena. L'assistenza sanitaria viene fornita da centri sanitari regionali e da un ospedale che si trova ad Iqaluit. Vengono forniti piani assicurativi sanitari completi ai residenti. Sport Gli sport invernali, come l'hockey e il curling, sono molti popolari a Nunavut, come anche la corsa con le slitte trainate da cani, le motoslitte e i giochi artici tradizionali. L'hockey nello stato di Nunavut ha due squadre maschili e una squadra femminile che partecipano agli Arctic Games. Le gare di hockey dei Giochi invernali del 2016 a Nuuk, in Groenlandia, vennero ospitate nella città di Iqaluit, a causa della mancanza di strutture nella sede principale. La squadra rappresentante dello stato è l'Hockey Nunavut fondato nel 1999 e concorrente nel Campionato Maritime-Hockey North Junior C. Attività all'aria aperta, tra cui la caccia, la pesca, l'escursionismo e il kayak, attirano visitatori nel territorio. Simboli Bandiera La bandiera del Nunavut ha questo significato: il rosso si riferisce al Canada (che ha una foglia d’acero rossa nella bandiera federale), il blu e l’oro alle ricchezze della terra, del mare e del cielo, l’Inuksuk simboleggia la costruzione in pietra fatta dalle popolazioni native che guidano la gente sulla terra (come servivano a guidare i caribù verso i cacciatori) e segnano luoghi sacri o speciali. La Stella Polare sulla bandiera simboleggia la leadership degli anziani nella comunità. Emblema L'emblema è in un cerchio è divisa in due a misure dispari (1/3): la parte superiore è in blu cielo con 5 soli ed una stella gialla; la parte inferiore con sfondo giallo ha un simbolo locale ed un piatto con fuoco spiegato. Sopra il cerchio c'è una riga a due colori: bianco-blu e regge un igloo con sopra una corona. Intorno c'è due fili con sei fiori d'acero gialli e due fiori viola, con cinque petali, in due lati opposti. Note Altri progetti Collegamenti esterni
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Alessandro Maggiori
Biografia Nasce a Fermo nel suo palazzo di famiglia nel 1764 dal conte Annibale (1731-1809), appartenente al casato fermano dei conti Maggiori e dalla marchesa Anna Rosa Sciarra dei marchesi di Acquaviva Picena (1747-1815). I primi studi li effettuò presso il collegio Campana di Osimo, dove tra i compagni di studio ebbe Annibale della Genga futuro papa con il nome di Leone XII, per poi proseguirli presso il collegio Montalto di Bologna, uno dei più prestigiosi dello Stato Pontificio, istituito da papa Sisto V. Terminati gli studi giuridici presso l'ateneo bolognese, lavorerà con il famoso giureconsulto Cavalier Luigi Salina. In questo periodo della sua vita alternerà il suo lavoro di avvocato con lo studio delle belle arti, uno studio che ben presto si convertirà in collezionismo, facendone una delle figure predominanti nell'Italia ottocentesca. Da Bologna si trasferirà a Roma Nipote del vescovo Vincenzo Maggiori fratello di Lorenzo Maggiori Successivamente proseguì gli studi a Bologna presso il collegio Montalto. Visse quindi a Roma e si ritirò a Sant'Elpidio a Mare, nella villa detta “Il Castellano”. Fu esponente dell'aristocrazia d'orientamento liberale. Pubblicò alcune opere in base ad un criterio di utilità, fra cui diversi trattati di agronomia e la prima edizione moderna commentata delle Rime di Michelangelo Buonarroti (1817), il Dialogo intorno alla vita e le opere di Sebastiano Serlio architetto bolognese (1824), le guide artistiche delle città di Ancona e Loreto (1832) e Indicazioni al forestiere delle pitture sculture architetture e d'altro genere che si vedono oggi dentro la sacrosante basilica di Loreto e in altri luoghi della città (1824) e la Raccolta di proverbi e detti sentenziosi (1833). Fu critico d'arte (pubblicò le critiche alle opere degli artisti romani nel giornale Il Capriccio) e fu collezionista di disegni antichi, i quali alla sua morte, nel 1834, furono raccolti nel "Centro Alessandro Maggiori" di Monte San Giusto. Altri progetti Collegamenti esterni
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Nuova Scozia
La Nuova Scozia (in inglese e scots: Nova Scotia, in francese: Nouvelle-Écosse, in gaelico canadese: Alba Nuadh o Alba Ùr) è una provincia del Canada, affacciata sull'oceano Atlantico. Assieme al Nuovo Brunswick e all'Isola del Principe Edoardo è una delle tre province marittime. La capitale è Halifax. Altre città importanti sono Yarmouth, Sydney e Antigonish. Geografia Geografia fisica La provincia atlantica della Nuova Scozia ha una superficie di e solo abitanti. Il territorio della provincia è costituito in maggioranza dalla penisola della Nuova Scozia, che si estende a nord est dello Stato americano del Maine ed è connessa alla terraferma dall'istmo di Istmo di Chignecto, e dall'isola del Capo Bretone. La lunghezza totale di tutte le costa ammonta ad un totale di ben . Il mare è onnipresente, ed è proprio l'acqua a dare al paesaggio la sua caratteristica: insenature, fiumi, laghi sono numerosissimi. Sono presenti numerose aree boschive ed aree rimaste ancora allo stato naturale. Geografia antropica Clima La Nuova Scozia si trova nella zona medio-temperata e, sebbene la provincia sia quasi totalmente circondata dall'acqua, il clima è più vicino al clima continentale piuttosto che a quello oceanico. Le temperature estreme invernali ed estive del clima continentale sono moderate dall'oceano. Tuttavia, gli inverni sono abbastanza freddi da essere classificati come continentali, essendo ancora più vicini al punto di congelamento rispetto alle aree interne a ovest. Il clima della Nuova Scozia è per molti versi simile a quello della costa centrale del Mar Baltico, nell'Europa settentrionale, a parte l'essere più umido e più nevoso. Ciò avviene nonostante la Nuova Scozia sia una quindicina di paralleli più a sud. Le aree nell'entroterra della penisola sperimentano estati più calde, tipiche delle aree interne e le minime invernali sono un po' più fredde. Il 12 agosto 2020, la comunità di Grand Étang, famosa per i suoi venti di Les Suêtes, ha registrato un minimo mite notturno di . Descritta sulla targa automobilistica provinciale come Canada's Ocean Playground, la Nuova Scozia è circondata da quattro grandi specchi d'acqua: il golfo di San Lorenzo a nord, la baia di Fundy a ovest, il golfo del Maine a sud-ovest e l'oceano atlantico ad est. Storia Dalle origini al primo contatto europeo Circa anni fa, popolazioni paleoamericane raggiunsero e si accamparono nei luoghi appartenenti oggi alla Nuova Scozia. Si ritiene che in questa zona, tra i e i anni fa, fossero già state presenti popolazioni indiane arcaiche. I Mi'kmaq, la First Nation della provincia e della regione, sono la loro discendenza diretta. L'unico insediamento vichingo certo nel Nord America è quello di L'Anse aux Meadows, che dimostra il fatto che i Vichinghi esplorarono il continente 500 anni prima di Cristoforo Colombo. Vi è un certo dibattito su dove possa essere sbarcato l'esploratore veneziano Giovanni Caboto, ma i più sono concordi nell'individuare l'Isola del Capo Bretone nel 1497. Il primo insediamento europeo nella Nuova Scozia fu creato più di un secolo dopo, nel 1604. I francesi, guidati da Pierre Dugua, Sieur de Monts stabilirono la prima capitale della colonia dell‘Acadia a Port Royal, spostata successivamente nella vicina Annapolis Royal dopo essere stata distrutta da un attacco inglese. Lo stesso anno pescatori francesi crearono un insediamento a Canso. Il periodo coloniale Nel 1620 il Plymouth Council for New England, sotto il re Giacomo IV, designò tutte le coste dell'Acadia e del medio-Atlantico a sud della Baia di Chesapeake come colonia della Nuova Inghilterra. Il primo insediamento scozzese documentato nelle Americhe fu nel 1621 in Nuova Scozia. Il 29 settembre 1621, la carta per la fondazione di una nuova colonia fu rilasciata da Giacomo VI a William Alexander, I conte di Stirling e nel 1622 i primi coloni lasciarono la Scozia. Nel 1627 scoppiò una guerra tra Inghilterra e Francia con i francesi che riconquistarono Port Royal, da loro fondato. Ma la risposta inglese non si fece aspettare: nello stesso anno un contingente scozzese e inglese distrusse l'insediamento, costringendo i francesi ad andarsene. Così nel 1629 venne edificato il primo insediamento scozzese a Port Royal. La carta della colonia di Charter definì come Nuova Scozia tutti quei terreni compresi tra Terranova e la Nuova Inghilterra. Tuttavia la situazione non durò a lungo: nel 1631, sotto il re inglese Carlo I, con il Trattato di Suza, la Nuova Scozia veniva restituita alla Francia. Gli scozzesi furono costretti ad abbandonare la colonia. Nel 1654 re Luigi XIV di Francia nominò governatore dell'Acadia l'aristocratico Nicholas Denys. Le forze coloniali inglesi ripresero l'Acadia nel corso della Guerra di Re Guglielmo, ma l'Inghilterra, alla fine delle ostilità e grazie al Trattato di Ryswick restituì il territorio alla Francia. Il territorio ritornò nuovamente sotto la corona inglese nel corso della Guerra della Regina Anna, e tale conquista fu confermata con il Trattato di Utrecht del 1713. La Francia mantenne solo il possesso dell'Île St Jean (l'Isola del Principe Edoardo) e l'Île Royale (l'Isola del Capo Bretone), in cui fu costruita la fortezza di Louisbourg a guardia delle rotte marittime verso il Québec. La fortezza fu catturata dalle forze coloniali inglesi e ceduta definitivamente con la Guerra franco-indiana del 1755. La regione continentale della Nuova Scozia divenne una colonia britannica nel 1713, sebbene Samuel Vetch fu governatore di un precario territorio ottenuto con la caduta di Port-Royal (l'odierna Annapolis Royal) nell'Acadia già nell'ottobre 1710. I governanti erano sempre più preoccupati riguardo alla scarsa volontà di far pegno di fedeltà alla Corona britannica da parte degli Acadiani di lingua francese e di fede cattolica romana (la maggioranza nella nuova colonia). La colonia rimase in gran parte acadiana nonostante la creazione della capitale provinciale ad Halifax, e l'arrivo a Lunenburg, nel 1753, di un gran numero di nuovi coloni stranieri protestanti (soprattutto tedeschi). Nel 1755, i britannici espulsero forzatamente più di Acadiani in quello che divenne noto come il Grand Dérangement, o Grande Espulsione. Nel 1763 l'Isola del Capo Bretone entrò a far parte della Nuova Scozia. Nel 1769, St. John's Island (ora Isola del Principe Edoardo) divenne colonia separata. La Contea di Sunbury fu creata nel 1765, e comprendeva il territorio dell'odierno Nuovo Brunswick e la parte orientale del Maine. Nel 1784 la porzione occidentale della Nuova Scozia continentale fu separata e divenne la provincia del Nuovo Brunswick, mentre il territorio del Maine passò sotto il controllo del nuovo Stato americano indipendente del Massachusetts. Capo Bretone divenne una colonia nel 1784, ma tornò alla Nuova Scozia nel 1820. Gran parte degli antenati dell'odierna Nuova Scozia giunsero nel periodo successivo all'espulsione degli Acadiani. Tra il 1759 e il 1768 circa coloni arrivarono dalla Nuova Inghilterra. Alcuni anni più tardi, circa lealisti, gli American Tories, si stabilirono nelle odierne Province marittime del Canada in seguito alla sconfitta della Gran Bretagna nella Guerra d'indipendenza americana. Di questi , circa , si stabilirono nel Nuovo Brunswick e nella Nuova Scozia. Circa erano schiavi di origine africana, un terzo dei quali ben presto si trasferì nel 1792, in Sierra Leone. Un gran numero di scozzesi emigrò a Capo Bretone, o comunque nelle regioni occidentali della colonia, tra il tardo XVIII e XIX secolo. Dalla Confederazione canadese ad oggi La Nuova Scozia fu la prima colonia britannica del Nord America e dell'Impero britannico ad ottenere l'auto-governo nel gennaio-febbraio 1848 attraverso gli sforzi di Joseph Howe. La colonia e il suo premier Charles Tupper contribuirono alla creazione della Confederazione canadese nel 1867, insieme al Nuovo Brunswick e alla Provincia del Canada. Nel 1917 Halifax, la capitale della provincia, fu vittima di un evento tragico che è rimasto indelebile nella memoria dei suoi cittadini e di buona parte del Nord America. Nelle prime ore del mattino del 6 dicembre 1917, la nave militare francese Mont Blanc che trasportava decine di tonnellate di munizioni verso l'Europa in guerra, entrò in collisione con il cargo militare belga Imo. L'equipaggio abbandonò la nave alla deriva nella Baia cittadina e nel frattempo la nave s'incendiò richiamando l'attenzione di migliaia di persone verso i moli cittadini. Intorno alle ore 09.00, la nave esplose scatenando una potenza distruttiva tale che tutta la parte nord della città venne letteralmente spazzata via dall'onda d'urto. L'esplosione uccise quasi persone, ne ferì e lasciò persone senza una casa. Oltre il danno la beffa, il giorno dopo la città distrutta fu investita da una forte nevicata. Arrivarono aiuti da tutto il mondo e in pochi mesi la città fu ricostruita. A tutt'oggi, l'Esplosione di Halifax detiene il negativo primato di "Più potente esplosione mai avvenuta prima della Bomba Atomica". L'ancora della nave Mont Blanc venne ritrovata a circa 10 km dal luogo dell'esplosione e il boato fu avvertito fino a di distanza. Per riferirsi a un abitante della Nuova Scozia in inglese si usa il termine Nova Scotian, e in francese si usa il termine Néo-Écossais. Economia La Nuova Scozia, nota fino a ieri come la "provincia dimenticata" è una regione in rapida crescita economica. Da un'economia basata sulla pesca e la foresta si sta evolvendo in una dei servizi: il turismo, Information technology e industria aerospaziale. Inoltre le riserve di petrolio e gas individuate nell'Atlantico ne fanno una regione strategica per l'energia. La capitale della provincia Halifax è una grande città moderna con un cuore storico. È caratterizzata da un grande porto, diverse università, filiali di numerose aziende importanti e un'intensa vita culturale. Cultura La Nuova Scozia ospita le città più antiche del Nord America e in ogni luogo viene celebrata una festa tradizionale. Famose sono le feste dei clan scozzesi, e i banchetti degli acadiani (francesi di origine). La presenza dei clan scozzesi è talmente radicata che in alcune zone si parla il gaelico scozzese, nella sua variante dialettale canadese. La cultura scozzese in Nuova Scozia (Alba Nuadh, nome gaelico) è particolarmente sentita, tanto che numerose feste di origine celtica sono tra le festività più sentite della regione. Flora e fauna La Nuova Scozia possiede vaste aree rimaste allo stato naturale, nei boschi sono ospitati alci e aquile. Nelle acque salmoni, lucci e persici oltre alle trote sono un'attrattiva per i pescatori. Qui la tipica vegetazione che in Italia si trova in montagna si sviluppa lungo le coste. Nei mari circostanti sono numerosi i cetacei come balene e delfini per cui è molto praticata l'attività del whale watching da turisti ed appassionati. Inoltre non è raro incontrare foche e centrine. Infrastrutture e trasporti La Nuova Scozia è fra le parti del continente americano più vicina all'Europa e si raggiunge in sole 5 -6 ore di volo dall'Europa e 1 ora e mezza da New York. Voli diretti sono disponibili da New York, Boston, Toronto, Montréal, Amburgo, Francoforte, Monaco, Amsterdam e Londra per l'Aeroporto Internazionale di Halifax Stanfield, la capitale della provincia. Yarmouth nel Sud ha un aeroporto regionale nonché un porto con un collegamento veloce che in 3 ore porta a Portland negli Stati Uniti. Note Voci correlate Saint Francis Xavier University Altri progetti Collegamenti esterni
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https://it.wikipedia.org/wiki/Netiquette
Netiquette
La netiquette è una parola inglese che unisce il vocabolo inglese network (rete) e quello francese etiquette (buona educazione). È un insieme di regole informali che disciplinano il buon comportamento di un utente sul web di Internet, specie nel rapportarsi agli altri utenti attraverso risorse come newsgroup, mailing list, forum, blog, reti sociali o e-mail in genere. Il rispetto della netiquette non è imposto da alcuna legge, ma sotto un aspetto giuridico, la netiquette è spesso richiamata nei contratti di fornitura di servizi di accesso da parte dei provider. Il mancato rispetto della netiquette comporta una generale disapprovazione da parte degli altri utenti della Rete, solitamente seguita da un isolamento del soggetto "maleducato" e talvolta dalla richiesta di sospensione di alcuni servizi utilizzati per compiere atti contrari a essa (di solito l'e-mail e Usenet). In casi di gravi e continue violazioni l'utente trasgressore è punibile con il ban. Sono comportamenti contrari alla netiquette, e talvolta sanzionati dagli abuse desk: inviare spam, effettuare mailbombing e l'eccessivo cross-posting e/o multiposting sui newsgroup di Usenet. Anche l'invio di e-mail senza un oggetto è considerata una cosa poco rispettosa nei confronti del destinatario. Particolarmente scorretto è anche l'invio o l'inoltro di email a un gran numero di persone (per esempio a tutto il proprio indirizzario) inserendone gli indirizzi nel campo "To:" (in italiano "A:"). In questo modo tutti gli indirizzi, spesso privati, sono mostrati apertamente a tutti i destinatari, con una implicita violazione della privacy. Non solo: se un computer fra quelli dei destinatari è infettato da virus che utilizzano la posta elettronica per diffondersi, tutti gli indirizzi inseriti nel messaggio possono essere catturati dal virus e usati come destinatari di messaggi infettati. In ogni caso, il concetto di netiquette con i suoi aspetti e contenuti è un concetto che si evolve lentamente nel tempo con il Web stesso. Regole e principi della netiquette I principi di base del galateo informatico sono, al pari dell'educazione quotidiana, quelli di essere il meno possibile invasivi e scortesi. Le regole ufficiali La normativa della netiquette è stata fissata in una forma definitiva dall'ottobre 1995 con il documento RFC 1855 che contiene tutte le regole ufficialmente e universalmente riconosciute dai netizen per un buon uso della rete e il documento RFC 2635 che riguarda le regole relative allo spam. La sigla RFC (Request for Comments), nel linguaggio di Internet, indica un documento formale che è il risultato del lavoro di una commissione di studio, accettato dalle parti interessate. Quando viene acquisito come standard diventa un documento definitivo e non più modificabile. Eventuali aggiornamenti, resisi necessari in tempi successivi, producono nuove RFC. Tuttavia molte delle regole possono avere serie ripercussioni: l'ingiuria e la diffamazione, pur per via telematica, o lo spamming possono, per esempio, costituire i reati di cui agli artt. 594 e 595 c.p. da un lato e 660 c.p. dall'altro. A ogni modo, pur mancando nella maggior parte dei casi un carattere giuridico, molti ambiti telematici prevedono un vero e proprio sistema sanzionatorio che può addirittura condurre all'esclusione da gruppi o liste. Una sorta di "codificazione" della netiquette si è formata negli Stati Uniti. Malgrado le apparenze, non costituisce soltanto una forma di "buona educazione" adattata al mezzo, ma trova spesso fondamento nelle peculiarità proprie del mezzo stesso. In sostanza dietro molte di queste regole si nascondono esigenze tecniche che impongono determinati comportamenti. La navigazione in senso stretto, vale a dire il semplice accesso a siti Internet, non necessita di queste norme essendo tale attività limitata, nella quasi totalità dei casi, all'informazione, al prelievo unilaterale di dati. La Netiquette ha quindi particolare rilevanza negli altri strumenti della Rete che consentono di comunicare con altri soggetti: posta elettronica (cui sono assimilabili le mailing list), newsgroup e chat. Altri punti Altri punti si possono ricavare dal semplice buonsenso che, al di là dalle norme scritte, dovrebbe guidare gli utenti a rispettare gli altri. Non essere intolleranti con chi dovesse commettere errori in una lingua straniera: se le circostanze lo consentono si possono fare notare gli errori, non con toni di rimprovero ma con educazione, allo scopo di aiutare nell'apprendimento della lingua; ovviamente se un utente ha urgentemente bisogno di conoscere determinate informazioni, commentare i suoi errori, anche se con l'intenzione di aiutare, potrebbe risultare un atteggiamento fuori luogo. Se si ha necessità di intervenire in un luogo virtuale di discussione, scrivere nella lingua utilizzata dagli altri membri della discussione. Se non la si conosce bisogna usarne un'altra conosciuta da tutti, o almeno dalla maggior parte dei partecipanti; al contrario, se ci si trova nella necessità di dovere scrivere con uno o pochissimi utenti in una lingua sconosciuta dai più, si può pensare a una discussione privata, specie se la gravità della situazione non è tale da richiedere un sacrificio di attenzione da parte di chi non può capire, e ciò indifferentemente dalla notorietà della lingua. Se si interviene in una lingua che non è quella del luogo di discussione, e quindi nella propria lingua madre o un'altra lingua conosciuta sperando che qualcuno possa offrire il proprio aiuto, è bene scusarsi per il fatto di chiedere temporaneamente di cambiare lingua, in modo da fare capire che non si pretende di cambiare lingua, ma lo si sta chiedendo consapevoli dei sacrifici altrui. Invece si può leggere più spesso di persone che, cominciando a scrivere in una lingua che non è la loro, chiedono scusa per i loro errori. In entrambi i casi è segno di gentilezza, ma la differenza sta nel fatto che nel primo chiediamo a qualcuno di cambiare lingua per una lingua in cui siamo a nostro agio, mentre nel secondo, pur chiedendo un'informazione, siamo noi ad adattarci alla lingua altrui e facendo lo sforzo di cambiare lingua. Non insultare altre persone, scatenare flame o trollare, ma sostenere le proprie opinioni in maniera pacata e civile. Non utilizzare un linguaggio scurrile, blasfemo o a sfondo sessuale, a meno che ciò non sia necessario per esprimere un determinato concetto o comunque sia permesso dalle regole del gruppo nel quale si scrive. Rispettare le persone diverse da te per cultura, religione, ecc.; il razzismo, il sessismo, l'omofobia, ogni tipo di discriminazione sociale e l'apologia di ideologie politiche estremiste non sono quasi mai tollerati e possono comportare l'esclusione o il ban, oltre ad essere illegali in molte giurisdizioni. Non incitare a compiere o fornire informazioni su come compiere attività illegali, immorali o pericolose per chi le fa o per terzi. Non fornire informazioni errate, imprecise, incomplete, ambigue o obsolete; in caso di dubbio, verificarle prima. Non condividere notizie o informazioni di natura complottista o pseudoscientifica, o comunque classificabili come "notizie false". Non postare immagini o video di carattere pornografico o cruente né link a essi; se e solo se le norme del forum o del gruppo lo permettono, non pubblicarli direttamente ma sotto forma di link preceduto da un avviso sul tipo di contenuto presente. Non violare la privacy pubblicando o diffondendo informazioni, immagini o video di terzi non consenzienti. Rispetta le norme relative al copyright. Non parlare a nome di un gruppo, organizzazione, impresa o ente se non sei autorizzato a farlo; distinguere sempre le proprie opinioni da quelle dell'organizzazione della quale si fa parte. I 23 comandamenti dell'e-mail La regola d'oro dell'e-mail: non inviare ad altri ciò che troveresti tu stesso sgradevole ricevere. Un suggerimento da seguire: Quando scrivi un'e-mail non guardarti allo specchio ma “guarda” intensamente il tuo lettore, è un atto di altruismo che ti verrà ripagato. Non usare l'e-mail per alcun proposito illegale o non etico. Non diffondere né spam né messaggi appartenenti a catene di S. Antonio. Includere sempre l'argomento del messaggio in modo chiaro e specifico; non inviare mai e-mail prive del campo "oggetto". Rispondere sempre alle e-mail, se non altro per dare la conferma al mittente di presa visione. Cercare di rispondere alle e-mail mantenendo sempre lo stesso argomento (topic) per conservare una struttura storica ordinata dei messaggi inviati e ricevuti (storico discussione (thread)), "agganciandoli" uno dopo l'altro, evitando possibilmente di spedire un nuovo messaggio per un argomento già in corso di discussione. Seguire le regole di citazione per scrivere la risposta a una e-mail. Mantenere la privacy dei mittenti/destinatari, cancellando dal testo l'eventuale indirizzo di posta elettronica del mittente (se si inoltra una e-mail quando il destinatario non dovesse conoscere il mittente originale) e utilizzando la casella Bcc o Ccn (e non quella A o Cc) se si deve inviare la stessa e-mail a destinatari che non si conoscono tra loro. Fare molta attenzione all'ortografia e alla grammatica del proprio messaggio. Non insultare e non fare uso indiscriminato di parole scritte in maiuscolo (esse, infatti, corrispondono al tono di voce alto del parlato, e dunque denotano nervosismo o cattiveria). Riflettere bene su come il destinatario possa reagire al proprio messaggio: valutare se può essere realmente interessato al contenuto e utilizzare eventualmente le emoticon per indicare il tono della conversazione, in particolare se scrivono battute (se è diverso da quello che potrebbe fare pensare la semplice lettura del testo). La dimensione del messaggio da inviare non deve essere troppo grande (al posto di allegati di grandi dimensioni si possono inserire nel testo del messaggio dei link a tali risorse reperibili in altro modo, per esempio via FTP o HTTP); bisogna tenere presente che la dimensione massima ammessa per gli allegati può essere diversa in base al provider di posta utilizzato. Eventualmente è meglio concordare col destinatario le modalità di invio di allegati pesanti. Gli allegati devono essere di formati diffusi e aperti (come .pdf o .jpeg per le immagini) in modo da essere facilmente apribili con i dispositivi e i sistemi operativi più diffusi, già settati per la stampa, ed eventualmente compressi con programmi nativi del sistema operativo. Non inviare messaggi privati da postazioni o account dai quali possono essere letti da altri o se lo si fa ricordarsi di eliminare le tracce. Citare il testo a cui si risponde il più brevemente possibile, ma in modo che risulti comunque chiaro in cima alla risposta. Non richiedere indiscriminatamente, per qualsiasi messaggio, la ricevuta di ritorno da parte del destinatario. Non allegare file con nomi eccessivamente lunghi o che contengono caratteri particolari come quelli di punteggiatura o lettere con segni diacritici, in quanto potrebbero creare problemi con alcune piattaforme. Non impostare indiscriminatamente, per qualsiasi messaggio, il flag di importante e/o urgente (è come gridare "al lupo, al lupo" inutilmente): con il passare del tempo chi riceverà le tue e-mail ignorerà il flag. Scrivere in modo semplice e diretto, con periodi brevi e andando a capo spesso perché gli spazi bianchi delle interlinee aiutano la lettura. Fare una lista per punti se ci sono molte cose da dire: il testo così si leggerà facilmente anche su uno smartphone. Salvare il proprio messaggio in bozza quando quest'ultimo viene scritto di getto, per poi rileggerlo successivamente e se necessario modificarlo prima di inviarlo. Leggere il proprio messaggio almeno 3 volte prima di inviarlo e dimostrare di avere almeno letto il messaggio del mittente approfonditamente prima di dare risposte senza pensare. Se possibile prediligi i contenuti in formato testo selezionabile rispetto a quelli in formato immagine (ad esempio un testo scansionato o fotografato): renderai più facile il lavoro a chi ha la necessità di effettuare la ricerca di un termine nel testo, di fare copia-incolla o di usare un lettore di testo per non vedenti o ipovedenti. Non dimenticare una formula di saluto al/alla destinatario/a all'inizio della e-mail. Firmare sempre con il proprio nome alla fine del messaggio, a meno che la firma non sia già inclusa nell'oggetto. Consigli per le reti sociali Dal 2000 in poi si sono diffusi sempre di più i servizi di rete sociale, che danno la possibilità di accesso a servizi informatici e reti sociali che in modo più o meno specifico, a seconda degli obiettivi e delle tipologie di network, creano delle strutture di socializzazione (reti e relazioni sociali) online. Nati per comunicare e per scambiarsi opinioni e dati, le reti sociali mettono a disposizione strumenti vecchi e nuovi che assolvono a questo scopo. In linea generale valgono tutte le indicazioni appena definite relative al comportamento in rete e nelle e-mail. Alcune peculiarità delle reti sociali, tuttavia, possono richiedere qualche indicazione aggiuntiva: Come impostazione generalmente predefinita, ciò che si scrive sul profilo o sulla bacheca di un utente rimane visibile a tutti gli amici di quell'utente (e talvolta anche ai non amici). Fare attenzione, dunque, a non confondersi con lo strumento di messaggistica privata, che quasi sempre questi strumenti offrono. Non rispondere maleducatamente (o peggio generare flame) nello spazio pubblico di una persona, di una pagina o nel proprio. Oltre a diminuire il livello della discussione generale, comporta anche un risultato spesso offensivo o poco chiaro per chi legge. Per le diatribe personali è opportuno servirsi dei messaggi privati. Mantenere un comportamento rispettoso della privacy, evitando di includere negli spazi pubblici di un profilo riferimenti a terze persone che non possono intervenire a meno che questi non abbiano dato l'assenso. Non pubblicare mai foto o filmati raffiguranti persone riconoscibili non consenzienti ad apparire sulla rete sociale. Tale accorgimento vale anche per i servizi di condivisione di foto o video visibili a tutti (ad esempio YouTube) e più in generale tutti i siti web, forum inclusi. Eventualmente, si possono adoperare tecniche di elaborazione grafica per rendere irriconoscibili eventuali facce o targhe di veicoli. Non iscriversi allo stesso gruppo con più nickname e/o profili (in gergo, morphing): in molti gruppi è considerato un comportamento scorretto in quanto spesso genera il sospetto che si tenti di ingannare gli altri utenti sulla propria vera identità ed è, solitamente, punito con l'eliminazione dei nickname in eccesso. Non iscriversi con un falso nome o peggio fingendosi un'altra persona realmente esistente (in quest'ultimo caso si configura il reato di furto d'identità). Rispettare l'obiettivo per cui il gruppo di discussione è nato e scegliere di iscriversi a gruppi per i quali si manifesta il proprio interesse. Normalmente la scelta si fa sulla base del nome e/o della descrizione del gruppo. L'andare fuori tema (OT o Off Topic) è tollerato se la percentuale di tali messaggi (per gruppo e/o per utente) è minima rispetto al totale del gruppo/utente e se tale digressione fa nascere discussioni cui è interessata la maggior parte del gruppo. Se una discussione prendesse una piega che esulasse dall'argomento o dagli argomenti del gruppo/forum sarebbe meglio spostarla in un gruppo apposito o in una discussione privata a meno del consenso della maggior parte del gruppo. Nella pubblicazione di un proprio contenuto far sì che risulti chiara l'attinenza dello stesso con gli argomenti trattati nel gruppo. Con la sempre maggior partecipazione di persone di estrazione e classe sociale e/o background culturale diversi allo stesso gruppo ciò che potrebbe sembrare ovvio all'autore non potrebbe esserlo a tutti gli utenti del gruppo. Applicare allo strumento posta, messaggi (o altri con denominazione simile ma identico funzionamento), le indicazioni viste per l'e-mail. Anche se possono sembrare simili a chat, queste applicazioni sono in realtà identiche alla posta privata, e quindi valgono per esse le indicazioni sull'uso delle emoticon e su tutti gli argomenti suddetti. Utilizzare con parsimonia il servizio di tagging messo a disposizione di alcuni siti, evitare di effettuare un tag di una persona senza il consenso dello stesso in post, foto o video. Chiedere agli amici il permesso di pubblicare foto o video in cui loro sono ritratti. Qualcuno potrebbe non vedersi bene in determinate immagini o non voler far sapere a tutti dove, quando e con chi si trovava. Evitare di effettuare tag pubblicitari su foto o video senza il consenso dell'interessato. Evitare di pubblicare uno stesso post su tante pagine o su tanti gruppi per rimarcare le proprie idee (cross-posting). Evitare la pubblicazione di foto o video in cui una persona appare particolarmente male o è ritratta in un momento imbarazzante; potrebbe risultare offensivo e avere ripercussioni sulla sua vita sociale, professionale e familiare. Evitare di inviare richieste e inviti a eventi, gruppi, giochi, applicazioni e altro a tutti gli amici o ad amici selezionati a caso, ma solo a quelli che li ritieni che possano essere più interessati. Evitare di pubblicare in bacheca messaggi d'interesse unicamente privato (es. "vado a bere il caffè" o "vado a fare la spesa") perché occuperebbero spazio inutile nelle bacheche degli amici. Se si trova un post interessante e lo si vuole condividere sul proprio profilo, su una pagina, gruppo, ecc., condividerlo in modo che si possa risalire alla fonte oppure cita la fonte stessa. Non usare il copia/incolla facendo intendere che il post sia proprio. Fare molta attenzione alle impostazioni della privacy: pensa sempre a chi potrebbe leggere il tuo post o commento. In alcune piattaforme è possibile selezionare il pubblico che può o non può vedere un determinato contenuto o creare gruppi chiusi visibili solo ai membri. Prima di pubblicare un qualsiasi contenuto in una piattaforma, pensa a quali possono essere le sue conseguenze, ad esempio se può offendere qualcuno o violare la sua privacy. Segnalare con gli appositi strumenti i contenuti che violano gli standard della comunità, ma non abusare degli strumenti di segnalazione per punire determinati utenti. Non condividere contenuti controversi (es. fake news, contenuti razzisti, ecc.) nemmeno a scopo di critica, in quanto potrebbero comunque venire segnalati e ogni condivisione di un post contribuisce ad aumentare la sua visibilità. Meglio fare lo screenshot e condividere quello, dopo aver oscurato le parole o le immagini che potrebbero essere suscettibili di ban. Evitare di creare gruppi Whatsapp (o piattaforme analoghe alle quali ci si iscrive con numero di telefono) contenenti persone che non si conoscono fra di loro perché nei gruppi Whatsapp tutti possono vedere i numeri telefonici di tutti gli altri membri e i numeri telefonici sono dati personali protetti dalla legge sulla privacy. Eventualmente chiedere il consenso ai partecipanti o utilizzare altri mezzi di comunicazione. Evitare di inviare nei gruppi Whatsapp (o piattaforme analoghe) un numero eccessivo di messaggi, specie se non pertinenti con l'obiettivo del gruppo o se interessanti solo uno o pochi membri. In questo modo si rischierebbe che messaggi importanti passino inosservati. Preferire in questo caso i messaggi privati agli utenti interessati. Netiquette nei progetti wiki Nei siti in cui i contenuti sono modificabili da chiunque, come Wikipedia e le altre wiki, la netiquette è molto importante affinché tali siti possano continuare a essere fonti di informazioni affidabili. Vanno evitati assolutamente la modifica indiscriminata dei testi, le cancellazioni ingiustificate e l'inserimento di testi non consoni alle finalità del singolo progetto. Nel gergo dei progetti, l'esecuzione di queste azioni è chiamata vandalismo. Altre azioni deprecate sono la pubblicazione di ricerche originali e quella di testi copiati e incollati da altri siti: è meglio prendere spunto da varie fonti ed effettuare una rielaborazione personale. In ogni caso, le fonti vanno sempre citate a supporto del testo inserito. La netiquette di Wikipedia prende il nome di Wikiquette. Netiquette nel peer to peer Non bisogna assolutamente mettere in condivisione file con nomi che non rispecchiano i contenuti, così come bisogna evitare assolutamente quelli infetti. I file non funzionanti o con contenuto diverso dal nome dovrebbero venire segnalati come non validi in modo da avvertire gli altri utenti. Note Bibliografia Voci correlate Carattere delle applicazioni informatiche Lex informatica Wikipedia:Wikiquette Parola macedonia Altri progetti Collegamenti esterni Cultura di Internet Costume
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https://it.wikipedia.org/wiki/New%20Left
New Left
New Left (Nuova Sinistra) è un termine utilizzato per indicare i movimenti della sinistra radicale che si svilupparono nel Regno Unito e negli Stati Uniti a partire dagli anni sessanta del XX secolo. Storia Le origini di questo movimento possono essere ricondotte ad una lettera aperta, scritta nel 1960 dal sociologo Charles Wright Mills, intitolata Letter to the New Left ("Lettera alla Nuova Sinistra"). Mills argomentò su una nuova ideologia di sinistra, focalizzata non sulle istanze riguardanti i problemi dei lavoratori, come aveva fatto la vecchia sinistra, ma piuttosto su istanze maggiormente personali riguardanti l'alienazione, il disagio, l'autoritarismo e altri mali della società moderna. L'organizzazione che rappresentò meglio la New Left fu lo Students for a Democratic Society (SDS, Studenti per una Società Democratica). Lo statuto di questa organizzazione, il Port Huron Statement, che fu scritto da Tom Hayden nel 1962, richiedeva una democrazia molto più partecipata. La New Left si oppose al modo in cui il potere era organizzato e distribuito all'epoca, e lo denominò Establishment (il Sistema). La prima e più importante organizzazione che emerse dallo spirito di ribellione scatenato dalla New Left fu il Free Speech Movement (FSM, Movimento per la Libertà di Parola) nel 1964 nei campus dell'Università della California, a Berkeley. Questo movimento, che sorse in risposta alle restrizioni imposte alle attività politiche nei campus universitari, fu capeggiato da Mario Savio. L'SDS divenne l'organizzazione leader del movimento contro la guerra nei campus dei college durante la guerra del Vietnam. Quando l'opposizione alla guerra si fece più forte, l'SDS divenne un'organizzazione di primaria importanza negli USA, ma allo stesso tempo la contestazione della guerra costituì un argomento che superò ed oscurò tutte le altre istanze a cui la New Left si ispirava. Verso la fine degli anni sessanta, l'SDS iniziò a dividersi a causa del dissenso interno e dell'aumento della penetrazione dei teorici della Old Left (Vecchia Sinistra) e si dissolse nel 1969. Alcune sue piccole fazioni estremiste, come i Weather Underground e la Symbionese Liberation Army, emersero dopo la dissoluzione dell'SDS. Con la fine dell'SDS, la New Left, intesa come movimento politico nei campus dei college, giunse alla sua vera fine. Ideologia Questi movimenti differivano dalla sinistra tradizionale, che erano orientati prevalentemente all'attivismo sulle tematiche inerenti al lavoro e alla lotta di classe, in quanto adottarono una più larga visione dei campi di intervento dell'attivismo stesso, come ad esempio la difesa delle minoranze. Insieme di movimenti di matrice intellettuale, la New Left si propose di correggere quelli che erano da lei percepiti come gli "errori" dei precedenti movimenti di sinistra (Old Left) nel dopoguerra. Note Voci correlate New Left Review Sinistra (politica) Noam Chomsky Herbert Marcuse Perry Anderson Wright Mills Marxismo occidentale Ultrasinistra Collegamenti esterni Ideologie politiche Storia degli Stati Uniti d'America (1964-1980)
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https://it.wikipedia.org/wiki/Numero%20perfetto
Numero perfetto
In matematica, un numero perfetto è un numero naturale che è uguale alla somma dei suoi divisori positivi, escludendo il numero stesso. In termini formali, un numero naturale si dice perfetto quando , dove la funzione è la funzione sigma, cioè la funzione che fornisce la somma dei divisori positivi di . Ad esempio, il numero , divisibile per è un numero perfetto e lo stesso vale per che è divisibile per , e . Storia I numeri perfetti furono inizialmente studiati dai pitagorici. Un teorema enunciato da Pitagora e dimostrato da Euclide rivelò che se è un numero primo, allora è perfetto. Successivamente Eulero dimostrò che tutti i numeri perfetti pari devono essere di tale forma. I numeri nella forma che sono primi sono detti primi di Mersenne. Si dimostra facilmente che se non è primo allora non lo è neanche . Secondo Filone di Alessandria il Mondo era stato creato in 6 giorni e il mese lunare siderale è quasi di 28 giorni proprio perché 6 e 28 sono numeri perfetti. Le proprietà matematiche e religiose di questi numeri perfetti vennero sottolineate in seguito anche da alcuni commentatori cristiani. Nel suo trattato "La Genesi alla lettera", libro IV, par. 7,14, Sant'Agostino scrisse: «Sei è un numero perfetto in sé stesso, e non perché Dio ha creato tutte le cose in sei giorni. Anzi è vero l'opposto: Dio ha creato tutte le cose in sei giorni proprio perché questo è un numero perfetto». Conoscenze attuali Ad oggi, si conoscono 51 numeri perfetti, il più grande dei quali ha cifre. Esempio: Per via dell'espressione , ogni numero perfetto pari è necessariamente: un numero triangolare, visto che si può scrivere un numero esagonale, visto che si può scrivere è anche un numero pratico ha come espressione binaria valori uguali a uno seguiti da zeri (con numero primo). Qui il pedice denota la base in cui il numero viene espresso: 610 = 1102 2810 = 111002 49610 = 1111100002 812810 = 11111110000002 3355033610 = 11111111111110000000000002. Questi numeri sono stati ottenuti per n = 2, 3, 5, 7, 13. Il caso n = 11 fornisce un valore di che non è primo. I primi 12 numeri perfetti sono: 6 28 496 8 128 33 550 336 (8 cifre) 8 589 869 056 (10 cifre) 137 438 691 328 (12 cifre) 2 305 843 008 139 952 128 (19 cifre) 2 658 455 991 569 831 744 654 692 615 953 842 176 (37 cifre) 191 561 942 608 236 107 294 793 378 084 303 638 130 997 321 548 169 216 (54 cifre) 13 164 036 458 569 648 337 239 753 460 458 722 910 223 472 318 386 943 117 783 728 128 (65 cifre) 14 474 011 154 664 524 427 946 373 126 085 988 481 573 677 491 474 835 889 066 354 349 131 199 152 128 (77 cifre) Il successivo numero perfetto, il tredicesimo, è composto da 314 cifre. Fino ad ora si conoscono solo 51 primi di Mersenne, e quindi 51 numeri perfetti. Il più grande tra questi è formato (in base 10) da cifre. I primi 47 numeri perfetti sono pari e quindi esprimibili come con: p = 2, 3, 5, 7, 13, 17, 19, 31, 61, 89, 107, 127, 521, 607, 1279, 2203, 2281, 3217, 4253, 4423, 9689, 9941, 11213, 19937, 21701, 23209, 44497, 86243, 110503, 132049, 216091, 756839, 859433, 1257787, 1398269, 2976221, 3021377, 6972593, 13466917, 20996011, 24036583, 25964951, 30402457, 32582657, 37156667, 42643801, 43112609. Si conoscono altri quattro numeri perfetti maggiori, con p = 57885161, 74207281, 77232917, 82589933 Tuttavia non si è ancora verificato se ve ne siano altri in mezzo, né si sa se i numeri perfetti continuino all'infinito e se esistano numeri perfetti dispari. Tutti i numeri perfetti pari terminano con un 6 oppure con un 8. Infatti, da 2n-1 × (2n − 1) si ha che: 2n-1 è pari e termina per 2, 4, 8, 6; (2n − 1) è dispari e termina per 3, 7, 5, 1. La cifra finale '5' va scartata perché sappiamo che (2n − 1) dev'essere primo, quindi le coppie che rimangono sono (2,3), (4,7) e (6,1), i cui prodotti danno le cifre 6 e 8 come finali di ogni numero perfetto pari. Se la somma dei divisori di è maggiore di , il numero viene detto abbondante, mentre se risulta minore di 2N esso viene chiamato difettivo. Ogni numero che verifica viene detto lievemente abbondante, mentre un numero che verifica viene detto lievemente difettivo. Finora nessuno è riuscito a trovare numeri lievemente abbondanti. D'altra parte, mentre è facile verificare che tutte le potenze di due sono numeri lievemente difettivi, non si sa ancora se esistono numeri lievemente difettivi diversi dalle potenze di due. Non è esclusa la possibilità che esista un numero perfetto dispari. In tal caso, è facilmente dimostrabile che esso debba essere un quadrato perfetto. Infatti, preso un numero dispari, tutti i suoi divisori saranno dispari. Siccome la somma di una quantità pari di numeri dispari è pari, ne consegue che un numero perfetto dispari debba necessariamente avere un numero dispari di divisori, il chè è possibile esclusivamente se tale numero è un quadrato perfetto. Note Bibliografia Kevin G. Hare, New techniques for bounds on the total number of prime factors of an odd perfect number, Math. Comp. 76 (2007), 2241-2248 Voci correlate Numero semi-perfetto Numero primo di Mersenne Numeri amicabili Numero socievole Numero abbondante Numero difettivo Numero lievemente abbondante Numero lievemente difettivo Numero pratico Funzione aritmetica Teorema di Euclide-Eulero Altri progetti Collegamenti esterni Perfect, amicable and sociable numbers di David Moews Perfect numbers - History and Theory in MacTutor (EN) Successione A000396 della On-Line Encyclopedia of Integer Sequences Successioni di interi
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Nuovo Brunswick
Il Nuovo Brunswick (in inglese New Brunswick; in francese Nouveau-Brunswick; in gaelico canadese Brunswick Nuadh) è una provincia del Canada con capoluogo Fredericton. La sua popolazione, in lenta crescita, supera i abitanti. Fa parte del cosiddetto Canada francese, e assieme alla Nuova Scozia e all'Isola del Principe Edoardo è una delle tre Province marittime. Origine del nome Dopo la fondazione nel 1784, la colonia fu chiamata New Brunswick in onore di Giorgio III, re di Gran Bretagna, re d'Irlanda e principe elettore di Brunswick-Lüneburg nell'attuale Germania. Prima dell'arrivo degli europei, le tribù indigene non hanno lasciato una documentazione scritta, ma la loro lingua è presente in molti nomi di luogo, come Aroostook, Bouctouche, Memramcook, Petitcodiac, Quispamsis, Richibucto e Shediac. Storia 4000 a.C. – periodo pre-europeo L'uomo, giunto probabilmente nel Nord America attraversando il ponte di ghiaccio creatosi con l'Asia, popolò l'emisfero settentrionale del nuovo continente dando vita a numerose civiltà, tra cui i Sáqwéjíjk, che si insediarono nei territori che oggi sono il Nuovo Brunswick a partire dal 4000 a.C. circa. I primi Sáqwéjíjk chiamavano se stessi con il nome di Mi'kmaq (Micmac), che significa “i miei amici-parenti”. Il tumulo di Augustine testimonianza di questa fase fu costruito vicino a Metepnákiaq (Red Bank First Nation) nel 2500 a.C. Le popolazioni indigene del Nuovo Brunswick comprendevano i Mi'kmaq (Micmac), Maliseet (Wolastoqiyik – "gente del fiume buono" il fiume Saint John) e Passamaquoddy (Panwapskewiyik). I Mi'kmaq erano situati maggiormente nella parte orientale della provincia. Il Maliseets si stanziarono lungo il Wolastoq (fiume Saint John) e la nazione Passamaquoddy nel sud-ovest, intorno a Passamaquoddy Bay. Prime esplorazioni e epoca coloniale francese (1604-1759) La prima esplorazione nota del Nuovo Brunswick risale al 1534 per opera dell'esploratore francese Jacques Cartier. Il successivo contatto francese risale al 1604, quando il partito guidato da Pierre Dugua de Mons e Samuel de Champlain istituì un campo invernale a St.Croix Island tra il Maine e il Nuovo Brunswick. La colonia fu trasferita l'anno seguente lungo la Baia di Fundy a Port Royal. Nel corso dei 150 anni seguenti, altri insediamenti francesi vennero fondati lungo il fiume Saint John, nell'alta Baia di Fundy e, infine, a Saint-Pierre (il sito dell'odierna Bathurst). L'intera regione marittima (così come parte del Maine) venne proclamata parte della colonia francese dell'Acadia. Una delle disposizioni del Trattato di Utrecht del 1713 fu la cessione della penisola della Nuova Scozia agli inglesi. La maggior parte della popolazione dell'Acadia si ritrovò così sotto la corona britannica. Il resto della Acadia (compresa la regione del Nuovo Brunswick) rimaneva scarsamente popolata e difesa, e per proteggere i propri interessi territoriali (quello che rimaneva della colonia dell'Acadia), la Francia nel 1750 fece costruire due forti (Fort Beausejour e Fort Gaspareaux) lungo la frontiera con la Nuova Scozia su ciascuna estremità dell'Istmo di Chignecto. Una grande fortificazione francese (Fortress Louisbourg) fu costruita sull'Ile Royale, ma la funzione di questo fortilizio fu soprattutto la difesa della colonia del Canada, non tanto dell'Acadia. Con la Guerra dei Sette Anni (1756-63), l'Inghilterra estese il suo controllo fino ad includere tutto il Nuovo Brunswick. Fort Beausejour (vicino a Sackville) fu catturato dalle forze britanniche comandate da Lt. Col. Robert Monckton nel 1755. Alcuni degli Acadiani della regione di Petitcodiac e Memramcook scappato e sotto la guida di Joseph Broussard continuarono a condurre azioni di guerriglia contro le forze britanniche per un paio di anni ancora. Altre azioni militari lungo il fiume Saint John si combatterono tra il 1758 e 1759. Fort Anne (Fredericton) cadde nel corso delle campagne del 1759 e in seguito a questo, l'odierno Nuovo Brunswick passò interamente sotto il controllo britannico. L'epoca coloniale britannica (1759-1867) Dopo la Guerra dei sette anni la maggior parte del Nuovo Brunswick e del Maine vennero annessi come Contea di Sunbury nella colonia della Nuova Scozia. La relativa distanza del Nuovo Brunswick dalla costa atlantica ostacolarono però gli insediamenti durante il periodo post-bellico, anche se con alcune eccezioni (l'arrivo della Pennsylvania dei coloni olandesi nel 1766). Una significativa crescita della popolazione non si verificò nella regione fino a quando la Gran Bretagna non convinse i profughi lealisti provenienti dagli Stati Uniti ad insediarsi nella zona in seguito alla guerra d'indipendenza americana. Con l'arrivo di questi profughi lealisti a Parrtown (Saint John) nel 1783, la necessità di organizzare politicamente il territorio divenne urgente e sentita anche dalle nuove popolazioni. L'amministrazione coloniale britannica con sede nella lontana Halifax ritenne che le regioni a ovest dell'Istmo di Chignecto erano troppo remote per consentirne un efficace governo. Come risultato, la colonia del Nuovo Brunswick fu creata da Sir Thomas Carleton il 16 agosto 1784. La nuova provincia prese il nome dal duca di Brunswick, figlio di re Giorgio III d'Inghilterra. Fredericton fu similarmente dedicata al principe di Galles, che morì prima di diventare Re. Tra la fine del XVII e l'inizio del XIX secolo, alcuni deportati Acadiani ritornarono dalla Nuova Scozia nei territori della vecchia "Acadia", dove si stabilirono soprattutto lungo la costa orientale e settentrionale della nuova colonia del Nuovo Brunswick. Qui vissero in un relativo (e in molti modi auto-imposto) isolamento. Altri immigrati giunsero nel Nuovo Brunswick nella prima metà del XIX secolo provenienti da Inghilterra, Scozia e Irlanda, spesso dopo aver attraversato o aver vissuto a Terranova. Un grande afflusso di coloni arrivò nel Nuovo Brunswick dopo il 1845 dall'Irlanda a seguito della Grande carestia irlandese che colpì l'isola. Molte di queste persone si stabilirono a Saint John e Chatham. La frontiera nord-ovest tra Maine e Nuovo Brunswick non era stata chiaramente definita dal Trattato di Parigi (1783), che aveva concluso la guerra rivoluzionaria. Entro la fine del 1830, la crescita demografica e gli interessi legati allo sfruttamento del legname imposero la necessità di una precisa delimitazione politica. Nell'inverno del 1838-39, la situazione rapidamente deteriorò, e sia il Maine che il Nuovo Brunswick fecero scendere in campo le loro rispettive milizie. La guerra di Aroostook fu comunque incruenta, e il confine fu tracciato dal Trattato di Webster-Ashburton nel 1842. Per tutto il XIX secolo la cantieristica navale, sia sulla Baia di Fundy che sul fiume Miramichi, fu l'industria dominante nel Nuovo Brunswick e, assieme all’agricoltura, fu assai importante per l'economia. Il Nuovo Brunswick nel Canada (1867-oggi) Il Nuovo Brunswick è stata una delle quattro province ad entrare nella Confederazione canadese il 1º luglio 1867. Sul finire del XIX secolo la situazione economica segna il passo nel Nuovo Brunswick con il declino della cantieristica navale in legno. Lavoratori qualificati furono così costretti a trasferirsi in altre parti del Canada se non negli Stati Uniti in cerca di un lavoro. Con l'inizio del XX secolo le cose migliorano e l'economia provinciale inizia ad espandersi nuovamente. Il settore manifatturiero acquisita importanza con le costruzione di numerosi opifici nel campo tessile e nel cruciale settore forestale con nuove segherie che aprono in parecchie regioni dell'entroterra dando rilevanza al comparto della carta e della cellulosa. L'industria ferroviaria nel frattempo si sviluppa nella regione di Moncton. Tuttavia la disoccupazione rimane alta in tutta la provincia e la Grande depressione porterà un'altra battuta d'arresto. Due influenti famiglie, gli Irving ed i McCain, emergono dal periodo della depressione e iniziano a modernizzare e integrare verticalmente l'economia provinciale, in particolare nel vitale settore forestale, della trasformazione alimentare e dell'energia. Gli Acadiani nel nord del Nuovo Brunswick rimasero a lungo isolati geograficamente e linguisticamente dai più numerosi anglofoni del sud della provincia. I servizi governativi spesso non erano forniti in lingua francese, e le infrastrutture nelle aree prevalentemente francofone rimasero notevolmente meno sviluppate che nel restante Nuovo Brunswick. Questa situazione però cambiò con l'elezione del premier Robichaud Louis nel 1960 che intraprese l'ambizioso piano delle “pari opportunità” (nei campi dell'istruzione, della manutenzione delle strade rurali, l'assistenza sanitaria). I consigli di contea vennero aboliti, e le zone rurali passarono sotto la giurisdizione dalla provincia. Con l'Official Languages Act del 1969 il francese divenne lingua ufficiale. Geografia Geografia fisica Il Nuovo Brunswick è situato sulla costa orientale del Canada. Confina a nord con la Penisola Gaspé o de la Gaspésie (Québec) e la Baia dei Calori e ad est con il Golfo di San Lorenzo e lo Stretto di Northumberland. A sud, è bagnato dalla Baia di Fundy, ma una stretta penisola lo collega alla Nuova Scozia; a ovest confina con gli Stati Uniti d'America (più precisamente con lo stato del Maine). Il Nuovo Brunswick è posto ai limiti settentrionali dei Monti Appalachi, una catena di antiche montagne erose. Il territorio consiste principalmente di vallate fluviali e colline. Le Caledonia Highlands e le St Croix Highlands si estendono lungo la regione costiera della Baia di Fundy, e raggiungendo un'altezze di circa 300 metri. Nella parte nord-occidentale della provincia si trovano le Miramichi Highlands, così come le Chaleur Uplands e le Montagne di Notre Dame che trovano la loro cima più alta con il Monte Carleton a 820 metri. Il Nuovo Brunswick si differenzia dalle altre province marittime del Canada (le altre sono Nuova Scozia e Isola del Principe Edoardo) sia da un punto di vista fisico che climatico. Le vicine province di Nuova Scozia e Isola del Principe Edoardo sono completamente o quasi circondata da acque oceaniche e il loro clima ne è fortemente influenzato, così come l'economia e la cultura. Il Nuovo Brunswick, d'altra parte, pur possedendo una notevole linea di costa, è al riparo dagli effetti diretti dell'Oceano Atlantico soprattutto spingendosi verso l'entroterra. Il clima, pertanto, tende ad essere più a carattere continentale che marittimo. E così il tipo di insediamento e il modello economico a differenza delle vicine province marittime, è basato più sul suo sistema fluviale interno che sul suo mare. I principali sistemi fluviali della provincia includono i fiumi Saint Croix, Saint John, Kennebecasis, Petitcodiac, Miramichi, Nepisiguit e Restigouche. La superficie provinciale, acque interne comprese, è di , di cui oltre l'80% è coperta da boschi e foreste. I terreni agricoli si trovano in gran parte nell'alta valle del fiume Saint John, e in minore quantità nel sud-est della provincia, soprattutto nelle valli fluviali del Kennebecasis e Petitcodiac. I tre principali centri urbani si trovano tutti nella parte meridionale della provincia. Le popolazioni indigene del Nuovo Brunswick comprendono i Mi'kmaq (Micmac), i Malecite e i Passamaquoddy. Geografia antropica – Le suddivisioni Bisogna notare che prima del 1966, le contee del Nuovo Brunswick non avevano altra funzione che quella di giurisdizione giudiziaria e di indicazione geografica. Compaiono ancora sulla maggior parte delle carte geografiche. Prima dell'Equal Opportunity del 1966, le contee rappresentavano il vertice del complicato sistema amministrativo del Nuovo Brunswick, che si articolava su tre livelli. Ogni contea era suddivisa in parrocchie (parishes), e alcune parrocchie erano ulteriormente divise in municipalità. Tutte le municipalità facevano capo alla propria parrocchia e quindi alla propria contea, ad eccezione della Città di Saint John. Saint John faceva capo direttamente alla Contea di St. John. Città Le otto principali città del Nuovo Brunswick, elencate in ordine decrescente di popolazione, sono: Moncton Saint John Fredericton Miramichi Edmundston Dieppe Bathurst Campbellton Moncton ( abitanti, nell'area metropolitana) è l'area urbana che sta crescendo più velocemente nella provincia e tra le prime dieci a livello federale. La sua economia è basata principalmente sui trasporti, il commercio e i servizi. La popolazione di Moncton è per circa il 62% anglofona e per il 38% francofona e la città ha ospitato nel 1999 l'ottavo summit dell'Organizzazione della Francofonia. Saint John ( abitanti, nell'area metropolitana) è una città portuale, basata sull'industria pesante, principalmente carta, raffinerie e bacini di carenaggio. Saint John, viene sempre scritto per esteso, in modo da distinguere la città da St. John's, capitale di Terranova e Labrador, con la quale viene comunemente confusa. Fredericton, oltre ad essere la capitale della provincia, è una città universitaria, sede della Lord Beaverbrook Art Gallery, del Theatre New Brunswick, e di altri luoghi d'interesse, compresa la Christ Church Cathedral, che è la più antica cattedrale del Canada e degli Stati Uniti. Altre suddivisioni Regioni naturali del Nuovo Brunswick Municipalità del Nuovo Brunswick Parrocchie del Nuovo Brunswick Politica Società Lingue e dialetti Il Nuovo Brunswick è l'unica provincia ufficialmente bilingue del Canada. La popolazione è per il 64,7% di lingua inglese e per il 32,9% di lingua francese: i francofoni del Nuovo Brunswick prendono il nome di "Acadiani", da Acadia, il nome che aveva la regione durante il periodo coloniale francese, quando ci fu una forte migrazione proveniente dalla zona della Vienne. Il governo provinciale partecipa in qualità di membro sottonazionale all'Organizzazione Internazionale della Francofonia. Religioni (Dati relativi al censimento 2001) Cristiani: 91,5% Cattolici: 53,7% Protestanti: 36,6% Ortodossi: 0,1% Altri Cristiani: 1.1% Musulmani: 0,2% Ebrei: 0,1% Atei e agnostici: 8,0% Economia L'economia del Nuovo Brunswick è composta principalmente dal terziario, dominato dai servizi finanziari, assicurazioni e altri servizi, ma è meglio conosciuta per la silvicoltura, l'industria mineraria, l'agricoltura e la pesca. La principale coltivazione è quella delle patate, mentre la pesca si rivolge principalmente alle aragoste. Cultura Il Nuovo Brunswick conta quattro università pubbliche, di cui tre anglofone (la University of New Brunswick, fondata come King's College nel 1785, la St.Thomas University, una delle più antiche istituzioni accademiche del Nord America, e la Mount Allison University) e una francofona (l'Université de Moncton). Galleria d'immagini Note Bibliografia William H Benedict. New Brunswick in history (2001) Tim Frink. New Brunswick: A short history (1997) James Hannay, History of New Brunswick, (St. John, 1909) William Kingsford, History of Canada, (London, 1887-98) M. H. Perley, On the Early History of New Brunswick, (St. John, 1891) William Menzies Whitelaw; The Maritimes and Canada before Confederation Oxford University Press, 1934 Altri progetti Collegamenti esterni
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Nuoro
Nuoro (AFI: , fuori dalla Sardegna anche ; Nùgoro in sardo) è un comune italiano di abitanti, capoluogo dell'omonima provincia della Sardegna centro-orientale dal 1927. Geografia fisica Territorio La città si estende su un altopiano granitico a circa 554 metri s.l.m. (le abitazioni si estendono tra i 450 e i 650  m s.l.m.), ai piedi del monte Ortobene, alto 955 metri, e tra i colli Ugolio, Biscollai, Cucullio, Tanca Manna, Thigoloboe, Monte Gurtei e Sant'Onofrio. A ovest la città termina con il pianoro di Corte. Nuoro è il settimo capoluogo di provincia più elevato d'Italia, dopo Enna, Potenza, L'Aquila, Campobasso, Aosta e Caltanissetta. Clima Nuoro gode, come quasi tutti i comuni della Sardegna, di un clima mediterraneo temperato dominato da un ricorrente maestrale, con estati moderatamente calde e inverni freschi, solo raramente gelidi. Tuttavia la quota relativamente elevata e la particolare posizione geografica della città favoriscono repentini cali di temperatura in occasione delle ondate fredde dal nord, soprattutto nord/est. Nuoro subisce periodicamente anche il caldo scirocco, che arriva dalla valle di Dorgali e spesso genera piogge molto intense. La temperatura media annua varia tra i 13 e i 15 °C, a seconda delle annate (Media 2004: +13,09 °C / Media 2005: +13,07 °C / Media 2006: +14,30 °C) e dei quartieri, avendo la città una discreta estensione geografica unita ad un notevole dislivello di 275 m tra il punto più alto e quello più basso. Durante l'inverno sono numerose le gelate (57 nel 2004) mentre in estate sono abbastanza rari i giorni con temperature superiori ai 35 °C; (neanche uno nel 2004), anche grazie al fatto che la brezza marina spesso riesce a giungere in città mitigando di qualche grado la temperatura. Nel decennio 1996-2006 la temperatura più bassa registrata a Nuoro è stata di -10,5 °C il 31 gennaio 1999, proprio in occasione di un'ondata fredda da N/E, con 40 cm di neve cumulati in circa 15 ore. Dal 2001 in poi invece non si sono superati i 38,1 °C (i dati sono riferiti a una precisa area della città, quella del Quadrivio). Origini del nome Il nome deriva dal medievale Nuor, derivante dal più antico Nugor; è stato sostenuto dallo Spano (1872) che questa a sua volta provenisse da una non precisata "voce orientale" dal significato "casa" o "luce" o "fuoco". Secondo un'altra interpretazione, il toponimo Nùoro deriva dalla radice paleosarda nur, da cui il termine nuraghe. "Nùoro" è la pronuncia etimologicamente più corretta e viene indicata dalle principali fonti e istituzioni linguistiche. È diffusa, negli italofoni non nativi della Sardegna e, in tempi recenti, anche fra i sardi non nativi di Nuoro, la pronuncia etimologicamente meno corretta "Nuòro", indicata da altre fonti. La frequenza tra i non nativi della pronuncia con "o" tonica è spiegabile con la rarità nella lingua italiana di una sequenza -ùo- rispetto al ben più comune dittongo -uò-. La pronuncia locale con l'accento sulla prima vocale è considerata la più appropriata in quanto etimologicamente derivante dal sardo altomedievale Nùgor, poi evolutosi nel tempo nella forma attuale. Il toponimo in sardo Nùgoro è coufficiale. Storia Dal Neolitico alla Civiltà Nuragica Le tracce più antiche della presenza dell'uomo nel territorio di Nuoro sono le Domus de janas (in nuorese bìrghines) risalenti al IV-III millennio a.C.. Sono inoltre presenti delle necropoli ipogeiche e resti di una tomba dei giganti e di un pozzo sacro, situato nelle vicinanze dell'attuale via Martiri della Libertà, dove sono stati recuperati numerosi reperti riferibili alla Cultura di Bonnanaro. Nel quartiere di Su Nuraghe, all’interno di un parco urbano di circa 7 ettari, in una delle zone più elevate della città, c'è il complesso archeologico del nuraghe Tanca Manna, in un contesto della Media età del Bronzo con un nuraghe monotorre e un villaggio con caratteristiche della prima fase della civiltà nuragica. La posizione del Nuraghe e del villaggio sono stati determinati dalle scelte insediative di occupazione e controllo territoriale delle popolazioni protostoriche nell’area nuorese, come testimoniato anche dalla presenza di simili tipologie nelle immediate vicinanze tra cui i nuraghi Tertilo, Ugolio, e dei ruderi di Monte Gurtei e Biscollai. L'epoca romana Le prime fasi della dominazione romana in questa zona, denominata Civitates Barbariae, risalgono all'età repubblicana. A seguito del ritrovamento soprattutto in Barbagia e nel Marghine di monete puniche, si era ipotizzato che in una certa fase storica le "popolazioni sarde (legate al culto del toro) e puniche, si coalizzarono" inizialmente per reagire all'impatto dell'invasione di Roma. I romani agirono sia militarmente che con una lenta e intelligente attività di "sedentarizzazione" dei clan locali, al fine di favorire lo sviluppo agricolo delle terre. Delimitarono dunque grandi latifondi da avviare alla coltivazione del grano che assegnarono a coloni o alle popolazioni locali. I confini erano segnalati da lapidi indicanti la proprietà. Un cippo terminale con la dicitura "FIN NURR", cioè fines nurritanenses, consente di identificare la localizzazione di quella popolazione che, semi-romanizzata, nel II secolo d.C. costituì un reparto militare imperiale assegnato alla Mauretania Cesariense: la "Cohors I – Nurritanorum". Il ritrovamento, nel 1975, di ceramiche ascrivibili all'epoca imperiare (I-II sec. d.C.) nel rione di Su Serbadore testimoniano la frequentazione dell'area urbana da parte dei romani. Il Medioevo e l'Età Giudicale La presenza bizantina in città è attestata dal ritrovamento di una tomba a poliandro databile al VII-VIII secolo, contenente i resti di dieci soldati-coloni (kaballaroi), di frammenti di "graffita arcaica savonese, maiolica arcaica pisana, ingobbiate monocrome savonesi e oristanesi e marmorizzata pisana", e di una moneta dell'imperatore Leone VI il saggio. La Curatoria turritana di Nugor Nuoro è citata in diversi documenti fra i quali il condaghe di San Nicola di Trullas, Condaghe di San Pietro di Silki e di Salvenero, databili tra l'XI e il XIII secolo. In quell'epoca è attestata l'esistenza di una Curatoria giudicale con capoluogo Nugor, nel distretto sud orientale del Giudicato di Torres, comprendente probabilmente le sole ville di Nuoro, Lollove e Orgosolo, ma che in passato doveva essere più estesa. La Curatoria di Nugor, estrema propaggine a sud est del giudicato di Torres, confinava a ovest con quella più conosciuta di Dore che ebbe alternativamente come capoluoghi Dore, Orotelli, Sarule e Othane (Ottana), citata nel Condaghe di San Pietro di Silki e ad est con quella di Orosei-Galtellì del Giudicato di Gallura. A sud vi era la curatoria arborense della Barbagia di Ollolai. Il borgo di Nugor nel secondo decennio del XII secolo venne assegnato alla diocesi di Ottana composta dalle ville di: "Macomerio, Virore, Gorore, Molaria, Orticalli, Sabuco, Silanos, Dualque, Nuracucuma, Lexay, Golossene, Otana, Ortilli, Univer, Orane, Suarell, Nuor, Noroloe, Gossilla, Sporlazo, Illortay, Bortiochoro e Su Burgu (solo a partire dal 16 agosto 1353)". Le comunità monastiche Non si ha notizia di comunità monastiche insediate nei dintorni della città. L'unica congregazione religiosa attestata nel territorio del nuorese è quella dei camaldolesi, che nel 1139 ricevettero in dono dal vescovo ottanese Ugone la chiesa di San Pietro di Oddini. Alcuni studi hanno ipotizzato che proprio nella parte sud-orientale del ghiandifero dell'Ortobene, si potesse localizzare la chiesa di Santa Maria di Gultudolfe, scomparsa, facente parte di un antico salto ecclesiale, detto di Girifai o Jurifai. Il salto, insieme alla chiesa di Santa Maria di Gultudolfe e Santa felicita di Bithe (Vitithè o Bititè, un villaggio scomparso presso Galtellì) donato dallo iudike di Gallura Costantino de Lacon al monastero di San Felice di vada a Rosignano Marittimo nel 1160 circa. La donazione rientra perfettamente nella tipologia della secatura de rennu, un istituto giuridico medievale equiparabile alla sdemanializzazione odierna. Il re Costantino concedeva l'uso di quelle terre al monastero, che aveva pieni poteri anche sui mezzadri che vi lavoravano. In realtà, come mostrato da studi recenti, la villa di Gultudolfe è da localizzare nella bassa Gallura, attuale Baronia, nelle vicinanze di Irgoli e Loculi. L'insediamento medievale A partire dal XIII-XIV secolo, nel territorio dell'attuale Nuoro, si contavano diversi insediamenti umani: oltre agli attuali quartieri di San Pietro e di Sèuna, attorno alla villa principale si contavano altri centri demici, fra cui Lollove (attuale frazione di Nuoro), Noddule/Loddune, Nurdole (Nuroloe nelle Rationes Decimarum), Occana, Gortovene, Gurtei, Toddotana, pranu 'e bidda, Saderi/Sadiri, Ivana, Muruapertu, Bidda 'e Macras, la zona di Seuna-Sedda Orthai; le vestigia di questi borghi abbandonati erano ancora visibili nell'Ottocento; alcuni di questi sono citati nel Dizionario dell'Angius-Casalis. Si deve tener conto che l'Angius non distingueva tra insediamenti medievali e nuragici, che indicava indistintamente come "vestigia di popolazioni antiche". Difatti, l'insediamento Gurtei da lui indicato è quasi certamente il villaggio attorno all'omonimo nuraghe, del quale oggi non rimane praticamente nulla. Fra il 1341 e il 1342, risultava uno dei villaggi che versava il maggior contributo di tasse alla Diocesi di Ottana nelle Rationes Decimarum , attestandosi anche come una delle uniche due pievanie (chiese rurali dotate di battistero) della diocesi. L'altra pievania era Bottidda. Nel 1322 Ugone II di Arborea e Giacomo II d'Aragona stipularono un accordo che, confermando i diritti regali giudicali sull'Arborea, affermava i diritti del sovrano arborense anche sulle terre di Dore, ma con un'investitura extragiudicale, cioè come faudatario del re d'Aragona. Più precisamente nel 1339 il re di Sardegna e Corsica creò la Contea del Goceano, includendovi oltre al Castello di Goceano la curatoria Dore con le ville di Nuoro, Oniferi, Orani, Orgosolo, Orotelli, Ottana, Sarule, infeudandola al giovane donnikellu arborense che poi divenne il giudice Mariano IV d'Arborea, padre di Eleonora. Seguì un periodo di guerra tra Arborea e Aragona fino al 1388 quando Nuoro figura tra le 8 ville della Curatoria Dore che firmano il trattato di pace fra sardi e catalani. Per la Villa di Nuor firmano il Majore Arçoco Carta e i Jurados: Mariano Tolu, Gunnario Popula, Comita Dorvidi, Aramo Torla, Gunnario Asole, Mariano Quinnache, Remundo de Serra, Nicolao Tola e Parasono Matola. Nel 1414, dopo la vittoria degli aragonesi, la Contea di Goceano venne consegnata al conte Leonardo Cubello. Il periodo aragonese e spagnolo Fra le popolazioni era radicato un sentimento antiaragonese tant'è che, sia il Goceano che il Nuorese vengono segnalati nel 1421 come zone ribelli al sovrano aragonese e fedeli al Cubello. Nel XV secolo si assistette all'introduzione del sistema feudale, sconosciuto nella società giudicale. Nel 1477 la contea di Goceano, sequestrata al ribelle Leonardo Cubello, venne assegnata al demanio reale e gli Acta curiarum regni Sardiniae del 1485 riportano che i territori della curatoria di Dore, benché fossero un settimo dei possedimenti reali in Sardegna, contavano un terzo dei fuochi fiscali. Nel 1479, alla nascita della corona di Spagna, il Regno di Sardegna entrò automaticamente a farne parte. Avvenirono anche grandi cambi religiosi: nel 1503 venne soppressa la Diocesi di Ottana e, assieme alle antiche diocesi di Bisarcio e di Castro, venne ricompresa nella nuova diocesi di Alghero. Gli ultimi decenni del secolo furono caratterizzati da una certa vivacità culturale. La nascita delle confraternite aveva dato una spinta importante alla vita religiosa del villaggio. La prima fu quella del Rosario, fondata da Pascalino Floris il 20 gennaio 1572. La seconda fu quella di Santa Croce, fondata dal gesuita sassarese Giuseppe Vargiu nel 1579. La terza, quella di San Carlo Borromeo, risulta contestuale alla fondazione della chiesa da parte del nobile don Pietro Paolo Pirella Satta, tra il 1611 (anno di beatificazione del vescovo milanese) e il 1630, anno di morte del Pirella. LEncontrada de Nuero nel Seicento feudale l'Encontrada de Nuero con Nuoro-Orgosolo-Locoe-Lollove faceva parte del grande e ricco Marchesato di Orani comprendente anche le encontrade di Orani, Bitti e Gallura. Il Marchesato era feudo di Anna Portugal e Fernandez de Silva e confinava col feudo Barbagia di Ollolai, col Marchesato del Marghine, e con i centri della Baronia di Orosei-Galtellì e con quella di Posada o Monalbo. La villa, pur se soggetta alle fluttuazioni dovute a carestie e pestilenze, era abbastanza popolosa. Negli atti del Parlamento del Viceré Geronimo Pimentel, si riportano due censimenti: Nuoro, nel censimento del 1592, contava 826 fuochi, che nel 1626 si erano ridotti a 608, per una popolazione stimabile in 1800 abitanti. Nel 1601 vi è la prima traccia di un síndico, ossia di un rappresentante legale dei vassalli: Pedro Pablo Pirella Satta, che sarà nuovamente in carica nel 1609 insieme a Juan Estevan Manca. Nel villaggio era operativo il tribunale dell'inquisizione: nella relazione del visitatore Juan baptista Rincón de Ribadeneyra, del 1613, risulta che Nuoro contava su un commissario del Sant'Uffizio, il sacerdote Antonio Freso di Ozieri, e sei famigli. Gli antichi rioni di Nuoro erano allora quelli ancora noti come storici: Santu Predu; Su Serbadore; Santa Ruche; Santu Càralu; S'Ispina Santa; Corte in susu; Séuna; Sa corte de sos sette fochiles (grande cortile sul quale si affacciavano sette focolari, sette case); Su puthicheddu (pozzo in epoca moderna essiccato); Fossu Loroddu (letteralmente “fosso sporco” dove si era soliti buttare l'immondizia); Santu Milianu; Santu Nicola (zona intorno all'antica chiesetta di San Nicolò, andata poi in rovina); Sa Bena (fonte pubblica e abbeveratoio per il bestiame posto nell'attuale incrocio tra via Gramsci e via Manzoni); I capitoli della villa di Nuoro nel parlamento sardo Alla fine del XVII secolo a seguito di pestilenze e carestie si registra un crollo demografico. Dal censimento del 1698, Nuoro era il centro abitato più popolato dell'Encontrada de Nuero, della Barbaja Ololay e Marquesado de Orani. Nel 1614 Don Antonio Satta riuscì a vincere una causa contro il primo tentativo di aggregazione del Capitolo di Alghero. Nel 1671 un secondo tentativo fu sventato dai maggiorenti nuoresi che si rivolsero direttamente alla Curia romana. Il Sindaco supplicò il sovrano Carlo II di Spagna affinché intercedesse con il Santo Padre per la trasformazione della parrocchia in abbazia. Chiese inoltre lo scorporo dalla diocesi di Alghero e l'unione con l'antica diocesi di Galtellì. Segnalò infine, per rafforzare tale richiesta, le vessazioni doppie imposte ingiustamente dal Capitolo algherese con il pretesto del real donativo, del sussidio alle galere, del seminario. Il Regno di Sardegna dalla Spagna ai Savoia Nel 1779 il pievano don Salvatore Roig di Ozieri aspirava a diventare vescovo della mitra dell'antico vescovado di Galtellì, con sede a Nuoro, con l'emanazione della bolla Eam inter caeteras di Papa Pio VI. Fu ricostituita la diocesi che assunse il nome Galtellinensis-Nuorensis. Il primo vescovo fu monsignor Giovanni Antioco Serra Urru. Nuoro divenne sede del Tribunale di Prefettura (1807), città nel 1836, e sede di Divisione Amministrativa e di Intendenza nel 1848 (in pratica una terza provincia sarda, dopo Cagliari e Sassari); poi l'ultimo titolo fu ridotto nel 1859 a quello di sottoprefettura. Si sviluppò perciò come centro amministrativo a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, periodo in cui si aprì ad un rilevante insediamento di funzionari piemontesi del Regno di Sardegna e commercianti continentali. Così avrebbe in seguito descritto questo passaggio storico il Satta: "In breve, i nuoresi si trovarono amministrati, rappresentati dagli estranei, e in fondo non se ne dolsero. Era un fastidio in meno". Rivolta "de su Connottu" L'episodio trae origine a seguito dell'emanazione nel 1865 di una legge con la quale si aboliva l’istituto dell'ademprivio e si imponeva una tassazione particolarmente onerosa sulle abitazioni. Questo provvedimento era stato preceduto dall' Editto delle chiudende, emanato nel 1820 dall'allora re di Sardegna Vittorio Emanuele I, e autorizzava la chiusura dei terreni che erano fino ad allora di proprietà collettiva, introducendo di fatto la proprietà privata. Il 26 aprile 1868, al culmine della tensione, diverse centinaia di cittadini assaltarono il palazzo del municipio e diedero alle fiamme gli atti di compravendita dei terreni del demanio. Il banditismo, che dopo Su Connottu si pretese almeno in parte corroborato da sentimenti di ribellione al nuovo regime dei suoli, ebbe una recrudescenza e lo Stato rispose con l'invio di truppe di polizia, numerose quanto poco efficaci nel contrastare grassazioni e faide. Verso la fine del secolo si manifestò il fenomeno dell'emigrazione verso il continente americano e il Nord-Europa. Sul finire del secolo gli abitanti erano circa 7.000. Il Novecento Con il Novecento il fermento culturale che avrebbe dato vita all'importante avanguardia artistica sarda si giovò del notevole miglioramento dei trasporti per la comunicazione col Continente, ed anzi prese proprio questa a suo obiettivo; pian piano, si fecero conoscere oltremare le opere della Deledda, dei pittori, dei poeti. Celebri per il notevole pregio le sculture di Francesco Ciusa. Nuoro divenne un centro culturale di grande rilievo. Con l'allargamento dei servizi e dei posti di lavoro amministrativi, iniziarono a trasferirsi a Nuoro molti abitanti dei paesi vicinanti e fra questi alcuni artisti. Passate la guerra italo-turca e la prima guerra mondiale con un elevato numero di caduti, si ebbero in città i primi sviluppi delle sinistre. Uno dei principali attivisti fu l'avvocato Salvatore Sini, impegnato in molte campagne fra le quali una per la fondazione di una lega delle donne operaie; è noto anche come autore del testo di No potho reposare. Nel 1921 fu visitata da David Herbert Lawrence, il quale voleva conoscere i luoghi dove erano ambientati i romanzi della Deledda; di questa fugacissima tappa, restano alcune interessanti pagine di "Mare e Sardegna" . Nel 1926 fu conferito il premio Nobel alla cittadina Grazia Deledda. Avendo già assunto almeno moralmente questo ruolo, ed essendola in pratica già stata nel secolo precedente, nel 1927 Nuoro ridivenne provincia. Nel 1931 raggiunse i 9.300 abitanti. Simboli Lo stemma della città di Nuoro è risalente all'Ottocento e deriva dallo stemma di monsignor Giovanni Maria Bua, amministratore apostolico di Galtellì-Nuoro nel secolo XIX sotto il quale Nuoro divenne città nel 1836. Esso è composto da tre montagne simbolo delle tre regioni del Marghine, dell'Ogliastra e della Barbagia. Il bue, oltre a richiamare il cognome del vescovo, simboleggia la vocazione pastorale del territorio. Infine troviamo il sole e l'albero eradicato, simbolo del giudicato di Arborea, quest'ultimo rimosso dallo stemma nel 1945. Onorificenze Monumenti e luoghi d'interesse Architetture religiose La cattedrale di Santa Maria della Neve La cattedrale di Santa Maria della Neve è un monumento del XIX secolo, in stile neoclassico. Eretta per volontà del vescovo Giovanni Maria Bua, nella prima metà del XIX secolo. Il progetto venne affidato all'architetto Antonio Cano. La posa della prima pietra risale al 12 novembre 1835 e i lavori terminarono con la consacrazione del 29 giugno 1853. Oltre l'altare maggiore dedicato a santa Maria della Neve furono affrescati nel soffitto ed eretti nella navata sinistra gli altari: Vergine del Carmelo, Madonna della Salute, Sacro Cuore; nella navata destra gli altari: San Salvatore da Horta, Santa Lucia, Madonna di Lourdes. All'interno è presente una tela rappresentante la deposizione di Cristo, a lungo attribuita erroneamente al pittore bolognese Alessandro Tiarini. Questa nuova cattedrale prese il posto dell'antica pieve di Santa Maria ad Nives. Durante il periodo di costruzione della nuova cattedrale, la Diocesi di Nuoro utilizzò come cattedrale la chiesa de "Sa Purissima". Un'antica chiesa oramai perduta situata nel Corso Garibaldi. La chiesa della Madonna delle Grazie (Nostra Segnora 'e sa Gràssia) Il 22 ottobre 1679 il vescovo di Alghero Francesco Lopez de Urraca concedeva a Nicolau Ruju Manca la "permissione di poter fabbricare una chiesa in onore della Vergine delle Grazie di Nuoro". La chiesa si trova nell'antico quartiere di Sèuna. La facciata presenta un portale centrale, con due semicolonne sulle quali poggia un doppio architrave modanato sormontato da un timpano triangolare in trachite. Il portale è sormontato da un rosone. Gli stipiti e i capitelli delle colonne sono decorati con figure zoomorfe e floreali che rimandano al linguaggio decorativo gotico-catalano. Sulla fiancata destra si apre un terzo ingresso che, in tempi remoti, conduceva all'esterno in un ampio spazio, delimitato da colonne, che fungeva da ostello per i pellegrini. Sulle fiancate vi sono infine loggette che interrompono, alleggerendolo, il volume massiccio della costruzione. Nella chiesa sono conservati pregevoli dipinti, risalenti al XVIII secolo. Le altre antiche chiese Chiesa del Rosario (Su Rosàriu) - Fu edificata di fronte all'antica chiesa di San Pietro, nel quartiere San Pietro, nei pressi della casa di Grazia Deledda. Chiesa di Santa Croce (Santa Ruche) - del XV-XVI secolo, antica sede di una confraternita, prossima alla piazza Su Connottu nel quartiere di San Pietro. All'interno una piccola cupola, archi in trachite a sesto acuto, un Cristo di scuola fiorentina del Quattrocento, ed un Cristo in croce di fattura spagnola di probabile datazione cinquecentesca. Chiesa del Salvatore (Su Serbadore) -edificata prima del XV secolo ha subito numerosi restauri che ne hanno stravolto gli esterni. Furono inoltre abbattute nel novecento le cumbessias che servivano come appoggio per i pellegrini della festa de Su Serbadore. Chiesa di San Giuseppe - facente parte del convento francescano dei Minori Osservanti. Chiesa di San Carlo (Santu Càralu) -L'oratorio era frequentato dallo scultore Francesco Ciusa, la cui casa natale si trova proprio di fronte. All'interno del tempio si trova la tomba dell'artista, sopra la quale è collocata una delle copie della famosa scultura La madre dell'ucciso, opera con la quale Ciusa partecipò alla Biennale di Venezia nel 1907. Chiesa della Madonna della Solitudine (sa Solidae) - cara a Grazia Deledda, che la cita nelle sue opere, si trova sulla strada che conduce al monte Ortobene. Di origine seicentesca, fu demolita e ricostruita negli anni cinquanta, al suo interno è collocata la tomba della Deledda. Chiesa di Santa Maria di Valverde (N.S. de Balubirde) Chiesa della Madonna del Monte Nero (Virgin 'e monte) Nostra Signora del Carmelo (Su Càrmene) - già San Leonardo (Santu Lenardu) in via Massimo d'Azeglio. Chiese scomparse o diroccate San Mamiliano (Santu Milianu) - viene citata come chiesa di San Julian e Sant'Emiliano, diroccata già nel XVII secolo. San Nicolò (Santu Nicola) - in via San Nicolò Santa Maria Maddalena (Sa Piedade) - era in via della Pietà. San Pietro e Lucas (Santu Predu) - sorgeva in via Chironi di fronte alla nuova chiesa del Rosario. San Lucifero (Santu Luziferru) - in via Roma, angolo via Marconi. La facciata in mattoni è stata rinvenuta sotto l'intonaco della casa in via Marconi. San Giovanni (Santu Jubanne) - era presso piazza San Giovanni. Sa Purissima (de la Purisima Concepción) - fu una delle antiche cattedrali di Nuoro, edificata presso Corso Garibaldi (Bia Majore). Nel XIX secolo al suo posto fu edificato il Municipio, poi sostituito dalla sede del Banco di Sardegna. Sant'Elena (Sant'Elene) - presso via Mons. Bua (Bar Cambosu) Santa Barbara - in via S. Barbara presso l'artiglieria. Sant'Angelo - viene citata nel dizionario del Casalis, insieme con Santa Barbara Santa Lucia (Santa Luchia) - era in Via Lamarmora. Sant'Orsola (Sant'Ùrsula) - era in Via Irillai. Santa Marina, più tardi cointestata a Sant'Onofrio (Santu Nofre) sul colle di Sant'Onofrio, ove c'è il chiosco. Santa Maria del Monte, demolita per la costruzione del carcere "La Rotonda". Si trovava in via Carlo Cattaneo. chiese campestri tra Balubirde e Marreri: N.S. de sa Ìtria, Santu Jacu, Santu Gabinzu, Santu Tèderu, Santu Tomeu, Santu Larentu; i ruderi si trovano alle pendici settentrionali del monte Ortobene. chiese campestri Prato Sardo: San Marco Evangelista; Santu Micheli, S'Ispiritu Santu. Chiese moderne Chiesa della Madonna delle Grazie (Sa Gràssia Noba) - Si trova praticamente nel centro geometrico della città, proprio all'inizio del Corso Garibaldi. Chiesa di San Giuseppe (Santu Zoseppe) - Costruita relativamente da poco (negli ultimi 50 anni), ha una caratteristica immagine data dall'intera struttura in mattoncini rossi sporgenti. Chiesa di San Domenico Savio, gestita dai Salesiani di Don Bosco Chiesa di Salvatoris Mater, - opera dell'architetto francese Savin Couelle è gestita dalle carmelitane scalze dell'adiacente convento situato sulla collina di Cuccullio a circa 650 m s.l.m. Chiesa di San Paolo - Da poco fuori questa chiesa si può vedere un bellissimo panorama verso i quartieri di Città Giardino e Città Nuova. Chiesa del Sacro Cuore di Gesù Chiesa della Beata Maria Gabriella - Situata nella periferia più estrema, a pochi passi dal Carcere di Badu 'e Carros e dalle difficoltà che esso porta, la parrocchia è stata completata appena nel 1999. È realizzata in stile moderno. La chiesa è dedicata alla Beata Maria Gabriella Sagheddu, nata a Dorgali. Siti archeologici Nuraghi Nurache Biscollai Nurache Corte Nurache Costiolu Nurache Curtu Nurache Dèo Nurache Durgulileo Nurache Feghei Nurache Fenole Nurache Funtana 'e Littu Nurache Gabotele Nurache Gurturju Nurache Jacupiu Nurache Loghelis Nurache Monte Gurtei Nurache Murichessa Nurache Murzulo Nurache Noddule o Loddune Nurache Nurdole Nurache Nuschele Nurache Orizanne Nurache Pradu 'e Leo Nurache Pedra Pertusa Nurache S'Abba biba Nurache Sa Murta Nurache Tanca Manna Nurache Soddu Nurache Sodduleo Nurache Su Ribu 'e su sàliche Nurache Su Saju Nurache Tertilo Tres Nuraches Nurache Tigologoe Nurache Ugolio Monumenti Piazza Sebastiano Satta (Costantino Nivola); Statua del Redentore, eretta nel 1901 (sul Monte Ortobene); Scultura "Madre dell'ucciso" (Francesco Ciusa) (nella chiesa di San Carlo); Porta della Città; Porta della Barbagia con Madre mediterranea (Pietro Cascella); Prefettura Vecchio Ospedale San Francesco Rifugi antiaerei nuoresi Sa Conca, rifugio sotto roccia utilizzato come ovile (sul Monte Ortobene); Rocciai del Monte Ortobene – monumenti naturali; Omaggio a Grazia Deledda – monumento dell'artista Maria Lai, presso la Chiesa della Solitudine; Piazza Sebastiano Satta La piazza-monumento è ubicata al centro di Nuoro fra il corso Garibaldi e il rione di Santu Prédu. L'idea di utilizzare questo spazio, la vecchia piazza Plebiscito, per onorare il "vate di Sardegna", Sebastiano Satta (1867-1914), fu perfezionata nel 1967 con l'incarico allo scultore Costantino Nivola. Nivola iniziò ad eseguire una serie di schizzi e scelse la strada minimalista con l'inserimento di piccole rappresentazioni in bronzo in giganteschi massi granitici provenienti dal monte Ortobene, anche al fine di legare il paesaggio urbano e quello del Monte visibile sullo sfondo della piazza. Vie principali Il Corso Garibaldi è la via principale di Nuoro ed è meta di nuoresi e turisti per via delle attività commerciali e bar presenti, tra cui lo storico Caffè Tettamanzi. Il colle di Sant'Onofrio Il colle di Sant'Onofrio è meta dei nuoresi e dei turisti per la presenza di un parco e anche di Villa Antonietta, comunemente chiamata dai nuoresi Castello di Sant'Onofrio, visitabile solo con il consenso dei proprietari in quanto è abitata. Il borgo di Lollove Si tratta di un borgo di origini medievali, abitato da poche unità di residenti. Fra i ruderi abbandonati e le poche case abitate si erge la chiesetta seicentesca della Maddalena, in stile tardo-gotico. Caffè storici Il principale caffè storico è il Caffè Tettamanzi, fondato nel 1875 e situato nel centro storico di Nuoro al Corso Giuseppe Garibaldi 71. Questo caffè è ancora oggi punto di ritrovo di nuoresi e turisti. Questo caffè anticamente si chiamava Bar Majore. Un altro caffè storico di Nuoro è il Bar Cambosu, fondato nel 1921 e anch'esso situato nel centro storico della città. Il Monte Ortobene L'Ortobene è il monte simbolo dei nuoresi. La vetta raggiunge i 955  Sulla cima c'è la statua del Redentore e l'antica chiesa campestre di Nostra Signora 'e su Monte. Di rilevante interesse turistico ed antropologico è la cosiddetta "sa conca", una residenza rurale ricavata all'interno di un enorme masso di granito cavo e di forma sferica, situato sul ciglio della strada che porta al parco di "Sedda Orthai". Presso le pendici settentrionali del Monte vi sono le tracce del santuario di Valverde, i ruderi delle chiese di Sa Itria, di Santu Jacu e della Chiesa di Santu Tomeu, infine il mulino ottocentesco sito in località "Caparedda". Società Evoluzione demografica Etnie e minoranze straniere Secondo i dati ISTAT al 31 dicembre 2016 la popolazione straniera residente era di persone, pari al 3,4% della popolazione totale. Le nazionalità maggiormente rappresentate in base alla loro percentuale sul totale della popolazione residente erano: Romania 539 Senegal 288 Cina 111 Lingue e dialetti La lingua sarda parlata a Nuoro è quella logudorese nella variante nuorese. Cultura Biblioteche La biblioteca Sebastiano Satta La Biblioteca Sebastiano Satta fu fondata nel 1933 su iniziativa del Comune e della Provincia di Nuoro, col supporto del Ministero della Pubblica Istruzione. I primi fondi librari furono acquistati anche grazie alla collaborazione del locale liceo ginnasio “G. Asproni”. Il Consorzio per la biblioteca “Sebastiano Satta” è stato costituito, con Decreto Prefettizio del 28 dicembre 1945, dall’Amministrazione Provinciale di Nuoro e dal Comune di Nuoro, ai sensi della Legge n.393/1941 “Disposizioni concernenti le biblioteche dei Comuni capoluoghi di Provincia”. Nel 1980 vengono modificati lo Statuto, la composizione, nonché la denominazione del Consorzio, che diventa Consorzio per la Pubblica Lettura “Sebastiano Satta”. Ne fanno parte, inizialmente, oltre la Provincia e il Comune di Nuoro, anche le Comunità Montane n. 9 del Nuorese e n. 10 delle Baronie. Da allora inizia la creazione del Sistema Bibliotecario Territoriale del Nuorese e delle Baronie (che attualmente comprende 26 comuni ricadenti nel territorio delle due ex Comunità Montane) e viene istituito il Sistema Bibliotecario Urbano di Nuoro. Nel 2011, in seguito alla soppressione di due dei quattro enti consorziati, le Comunità Montane n. 9 del Nuorese e n. 10 delle Baronie, il Consorzio è stato commissariato. Dal 1º agosto 2019 è attivo il progetto finanziato dalla Regione Autonoma della Sardegna, relativo al supporto della gestione dei servizi bibliotecari del Centro sistema e del Sistema Bibliotecario Urbano del Consorzio. La biblioteca è intitolata a Sebastiano Satta. Università Nuoro dal 1989 è sede di corsi di laurea delle Università di Cagliari e Sassari erogati in accordo con il Consorzio per la Promozione degli Studi Universitari nella Sardegna Centrale. ISRE Nel 1972 fu istituito l'Istituto superiore regionale etnografico (ISRE), annesso al preesistente Museo del costume ora Museo della vita e delle tradizioni popolari sarde. Musica Dal 1989 Nùoro è sede del Seminario di studio sulla musica Jazz Nuoro Jazz diretto dal trombettista Paolo Fresu dalla prima edizione sino al 2013, ora diretto dal pianista Roberto Cipelli ed organizzato dall'Ente Musicale di Nuoro. Il Seminario si tiene tutti gli anni fra l'ultima settimana di agosto e la prima di settembre. Inoltre da tanti anni vanta la presenza di vari gruppi folk con gruppi di ballo e canto con la presenza dei cori polifonici e dei Tenores che seguono i canoni del canto a tenore e l'antica moda nugoresa citata nell'opera di Grazia Deledda Tradizioni popolari di Nuoro. L'Atene Sarda tra passato e futuro La città ha avuto, a cavallo tra il XIX ed il XX secolo, un forte fermento culturale che ha visto nascere e svilupparsi il talento di tanti artisti e personalità che attirarono l'attenzione nazionale ed internazionale, uscendo perciò dal ristretto ambito locale e facendo nascere per Nuoro l'appellativo di "Atene Sarda" (Elettrio Corda). A Nuoro è nata Grazia Deledda, scrittrice, vincitrice del Premio Nobel per la Letteratura nel 1926, Salvatore Satta, giurista e autore del romanzo Il giorno del giudizio. Il romanzo lascia forse una delle testimonianze più profonde e intime della città e dei suoi abitanti, dei quali ritrae le famiglie più note nel primo Novecento sotto una labilissima copertura di nomi fittizi. Altre personalità artistiche nate a Nuoro sono il poeta Sebastiano Satta (1867-1914); il pittore e fotografo Antonio Ballero (1864 -1932); lo scultore Francesco Ciusa (1883-1949), affermatosi alla Biennale di Venezia del 1907; il pittore Giovanni Ciusa Romagna (1907-1958). Peraltro, per tutto il corso del ventesimo secolo la città è stata attraversata da un grande fermento culturale in campo artistico, letterario, musicale e sociale con nomi, come quello della scrittrice Maria Giacobbe. Come da lui ricordato, a Nuoro si è formato il carattere di Indro Montanelli che qui frequentò le ultime due classi delle elementari e i primi tre anni del ginnasio. Nel 2017 il comune di Nuoro ha proposto la candidatura della città come Capitale Italiana della Cultura 2020 risultando tra le prime dieci finaliste. Il progetto, riguardante tutto il territorio provinciale e non solo, pur non essendo stato premiato dalla commissione ministeriale, è stato sostenuto a livello regionale. Musei Museo Deleddiano ("Museo di Grazia Deledda") Museo della Vita e delle Tradizioni Popolari sarde ("Museo del costume" o Museo etnografico) Museo nazionale archeologico - mostra reperti dal 500.000 a.C. sino al basso Medioevo. Vi si ritrovano anche varie ricostruzioni archeologiche tra cui la vasca lustrale di Sedda 'e sos carros di Oliena. Museo d'arte della provincia di Nuoro (MAN) – ospita mostre temporanee internazionali oltre a una collezione permanente di importanti artisti sardi del XIX e XX secolo. Museo Ciusa - Tribu - ospita la collezione di alcune tra le più famose sculture di Francesco Ciusa. Chiuso nel 2018. Spazio Ilisso - Museo della scultura del Novecento e mostre temporanee. Media Stampa Vi è un'emittente televisiva, chiamata Telesardegna e due emittenti radiofoniche che sono Radio Barbagia e Radio Nuoro Centrale, che danno le notizie locali. Vi sono inoltre le sedi di corrispondenza delle TV e dei giornali regionali come Videolina, L'Unione Sarda e La Nuova Sardegna. Teatro Il cinema teatro Eliseo, aperto nel 2005, di proprietà comunale, ospita soprattutto spettacoli teatrali e concerti. È gestito da Sardegna Teatro per concessione del Comune di Nuoro. Il cine-teatro dell'oratorio "Le Grazie", chiuso dopo l'apertura di un cinema multisala in località Pratosardo. L'anfiteatro Fabrizio De Andrè, tra i teatri all'aperto più grandi della Sardegna; negli anni, durante l'estate, ha ospitato il festival regionale del folklore e numerosi concerti, poi è stato chiuso in attesa di lavori di consolidamento delle gradinate. Il teatro del Museo Etnografico di Nuoro dove si svolgono conferenze, concerti e il festival internazionale di cinema etnografico. Auditorio della Biblioteca "Sebastiano Satta", ospita stabilmente presentazioni di libri, mostre e dibattiti. Il teatro situato sotto la chiesa di San Giuseppe, inaugurato nel 2016 e dato in gestione alla compagnia Bocheteatro. Cucina Oltre ai prodotti della cucina sarda, pur nella tipica variante barbaricina comune a tutto il circondario, la gastronomia del capoluogo nuorese vanta la specificità di un tipo di pasta e di un dolce: Su filindeu (fili di Dio) è una pasta per minestra formata da sottilissimi fili sovrapposti in tre strati incrociati, ricavati con abilità manuale da un impasto con semola di grano duro, che viene poi cotta nel brodo di pecora e condita con pecorino fresco. È nota per essere la pasta più rara del mondo. S'aranzada nugoresa (l'aranciata nuorese) è un dolce preparato con scorza d'arancio candita nel miele e con mandorle, la cui ricetta fu messa a punto dal pasticcere nuorese Battista Guiso che, intorno al 1900, ottenne per questo importanti riconoscimenti in Italia e all'estero. Eventi Riveste enorme importanza, sia per l'attaccamento e devozione dei nuoresi sia come attrattiva turistica, la Sagra del Redentore che dura circa una settimana, all'interno della quale vi è anche la sfilata dei costumi della Sardegna. La sagra ha termine con la funzione religiosa che ha sede ai piedi della statua del redentore il 29 di agosto di ogni anno. Nel fine settimana tra la prima e la seconda metà di novembre c'è la manifestazione Mastros in Nugoro, inserita nel circuito Autunno in Barbagia, nel quale si aprono case storiche e i musei della città. Durante la manifestazione che si svolge nei quartieri di Santu Predu e Seuna e che richiama non solo i nuoresi, ma anche turisti e visitatori, vengono esposti prodotti tipici e artigianali. Dal 2014 inoltre è stato introdotto nell'evento Su Cojubiu Nugoresu, un rito antico in cui si celebra il matrimonio in costume tradizionale. Fino al 2007 la manifestazione si chiamava Mastros in Santu Predu, poiché era coinvolto solo l'omonimo quartiere. dopo due anni di pausa dal 2010 la manifestazione cambia nome in Mastros in Nugoro e da quest'anno coinvolge anche il quartiere di Seuna. Un altro importante appuntamento è quello del 21 novembre per la festa della Madonna delle Grazie a carattere prettamente religioso, ma che coinvolge l'amministrazione comunale. Secondo la tradizione, un giovane pastore trovò, nel XVII secolo, una piccola statua lignea della Madonna che si dimostrò miracolosa. Fu così che nel 1812 la città fece voto alla Vergine per essere liberata dalla peste. Per sciogliere il voto, da allora viene allestita una processione in cui 12 nuoresi col tradizionale costume, accompagnati dal sindaco e dal gonfalone, offrono 12 ceri alla Madonna in rappresentanza degli altrettanti rioni della città; nel tempo si sono aggiunti altri sette ceri, offerti dai membri della confraternita delle Grazie. Molto sentita è anche la festa di Sant'Antonio abate, il 16 e 17 gennaio, durante la quale, come in molti centri della zona, i vari quartieri organizzano grandi falò (sos focos) nelle piazze e offrono ai cittadini fava e lardu (fave con lardo), vino e pane carasau. È tradizione durante la festa fare il giro dei numerosi fuochi della città dove gli organizzatori fanno a gara per il fuoco più bello e l'ospitalità. Attorno al fuoco: canti, balli sardi e l'immancabile gioco della morra. I più frequentati sono solitamente quelli dei quartieri del centro storico, come quello di Santu Predu o della cattedrale. Per il carnevale si può assistere alla manifestazione del carnevale barbaricino, con le maschere provenienti dai centri vicini come i mamuthones di Mamoiada, boes e merdules di Ottana, turpos di Orotelli, su bundu di Orani ecc.; è stata riscoperta una delle caratteristiche maschere di Nuoro chiamata Bove o Boves, simile ai boes di Ottana e citata dallo studioso Raffaello Marchi. Altre maschere tipicamente nuoresi, in fase di studio e ricostruzione, sono quelle di su turcu e quella di maschera a gattu, molto simile a quella scoperta a Sarule, citate da Grazia Deledda in alcune sue opere. Fino al 2009 Nuoro ospitava a fine estate la bella manifestazione della Notte Bianca, dove vari artisti si esibivano per le strade principali della cittadina, e i commercianti potevano mantenere i negozi aperti fino a notte fonda. La manifestazione è stata reintrodotta nel 2014 dopo alcuni anni di pausa per il mancato finanziamento da parte del comune. Infrastrutture e trasporti Strade La Strada statale 131 Diramazione Centrale Nuorese è la superstrada che collega Nuoro con Olbia e Cagliari. La circonvallazione sud è un'importante arteria che raccorda i quartieri di Mughina (tramite la galleria di Mughina), Badu 'e Carros e Città Giardino con la strada provinciale 58 per Orgosolo e la strada provinciale 22 per Oliena (quest'ultima arteria stradale parte dalla SP 58 a circa 1 km da Nuoro) e con la strada statale 389 var Nuoro-Lanusei per Orani, Sarule, Mamoiada, Lodine, Gavoi, Fonni e l'Ogliastra. È inoltre possibile raggiungere la strada statale 131 Diramazione Centrale Nuorese tramite la galleria di Prato Sardo. La galleria di Mughina dopo i fatti di cronaca del ciclone Cleopatra del 2013, in giornate di maltempo è stata spesso soggetta per precauzione alla chiusura al traffico veicolare per via degli allagamenti e di alcuni problemi strutturali. Ferrovie La stazione di Nuoro è capolinea della ferrovia ARST per Macomer, che collega il capoluogo con i paesi del Marghine e con l'altro capolinea di Macomer. Condivide con Andria e Matera il fatto di essere capoluogo di provincia non servito dalla rete ferroviaria statale. Mobilità urbana Nuoro dispone di un sistema di trasporto pubblico, gestito dall'ATP. L'autobus a Nuoro viene comunemente chiamato postalino. Amministrazione Gemellaggi Sport La principale squadra di calcio della città è la che, nel campionato di Serie D 1973-1974 ha raggiunto il suo miglior piazzamento arrivando terza, sfiorando la promozione in Serie C; inoltre ha vinto il Campionato Interregionale 1983-1984, girone N, ottenendo la promozione in Serie C2. Ha poi ha disputato il campionato di Serie C2 2006-2007, arrivando quarta e uscendo sconfitta in semifinale platy-off contro il . Dal 2014-2015 al 2017-2018 la Nuorese ha militato in Serie D. Vi sono inoltre delle squadre di calcio giovanili: pol.ichnos 1999Nuoro, Atletico Nuoro, Puri e Forti, Sadosan, Sales, Santu Predu Polisport. Inoltre Nuoro è rinomata per le partite di pallamano Star Solar Handball Atletic Club Nuoro o denominata anche H.A.C. Nuoro è una società di pallamano che milita in A1 (femminile) e serie B (maschile) con ottimi risultati disputò anche competizioni europee in passato. I settori giovanili hanno disputato partite di livello nazionale. La Nuoro Softball milita nel campionato italiano di softball di Serie A1 (prima stagione nel 2003). Nel suo palmarès la Coppa Italia del 2011 e, nel 2012, fu finalista della Coppa delle Coppe. Sono presenti in città tre squadre di pallavolo che militano nel campionato regionale di serie D: Libertas Nuoro (femminile) e Pvn Nuoro (femminile/maschile). Altre attività sportive Altre attività sportive presenti in città: atletica leggera (Circolo Sportivo Atletica Amatori Nuoro e l'Atletica Delogu Nuoro), nella pallacanestro si può trovare la Pallacanestro Nuoro (maschile) in serie D riconosciuta anche col nome Sirbones (cinghiale in sardo nuorese e mascotte della squadra) e disputa le partite nel palazzetto del Coni situato in via Lazio. L'Ichnos Basket che milita in Promozione disputa le gare nel palazzetto dei Salesiani. la pallamano Star Solar Handball Atletic Club Nuoro o denominata anche H.A.C. Nuoro è una società di pallamano che milita in A1 (femminile) e serie B (maschile) con ottimi risultati disputò anche competizioni europee in passato. I settori giovanili hanno disputato partite di livello nazionale. nuoto e pallanuoto rappresentati dalla Rari Nantes Acquatica Nuoro, la scherma è rappresentata dal Club Scherma Nuoro A.S.D, bocce, nel rugby è presente un sodalizio che partecipa al campionato di serie C, la Nuororugby. arti marziali come judo, con lo storico club Judo Teiko, l'Osaka e la Polisportiva Gigliotti Team Nuoro, quest'ultima attiva anche nella lotta olimpica, nel sambo (di cui fu la prima e storica palestra in Sardegna) e nella lotta sarda "s'istrumpa" Santu Predu C5 futsal femminile, milita nel campionato di A2 nazionale Note Bibliografia Vittorio Angius, (a cura di) Luciano Carta, Città e villaggi della Sardegna dell'Ottocento, Ilisso Edizioni, Nuoro, 2006 ISBN 978-88-89188-91-0 Voci correlate Caffè Tettamanzi Cattedrale di Santa Maria della Neve Chiesa della Madonna delle Grazie Colle di Sant'Onofrio Corso Giuseppe Garibaldi Costantino Nivola Costume tradizionale di Nuoro Giovanni Pintori Grazia Deledda Maria Giacobbe Museo d'arte della provincia di Nuoro Nuraghe Tanca Manna Parco di Sedda Ortai Piazza Sebastiano Satta Rivolta de Su Connottu Sagra del Redentore Salvatore Satta Sebastiano Satta Stazione di Nuoro Altri progetti Collegamenti esterni La scheda del comune nel portale Comunas della Regione Sardegna URL consultato in data 02-01-2013.
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https://it.wikipedia.org/wiki/Neornithes
Neornithes
Neorniti (Neornithes , 1893) è il nome scientifico dato agli uccelli (Aves), alla luce della loro appartenenza filogenetica, come parte dei dinosauri aviani. Ordini e famiglie Note Altri progetti Collegamenti esterni Aves
3002
https://it.wikipedia.org/wiki/Nobel
Nobel
Astronomia 6032 Nobel – asteroide del sistema solare Persone Alfred Nobel – inventore svedese Ludvig Nobel – petroliere svedese, fratello di Alfred Robert Nobel – petroliere svedese, fratello di Alfred Emanuel Nobel – petroliere svedese, figlio di Ludvig Altro Premio Nobel – premio in onore dell'omonimo inventore AkzoNobel – multinazionale olandese, formata dall'unione tra le industrie: AKZO e Nobel Museo Nobel – museo di Stoccolma Nobel – film del 2001 diretto da Fabio Carpi Nobel – album del 2019 di Gian Pieretti
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https://it.wikipedia.org/wiki/Nikolaus%20August%20Otto
Nikolaus August Otto
Otto era l'ultimo di sei figli del gestore del locale ufficio postale. Ancora bambino, Nikolaus Otto rimase orfano di padre, fatto che gettò il resto della famiglia in condizioni economiche difficili, tanto che Nikolaus Otto non poté permettersi degli studi regolari. Fin da giovanissimo venne comunque avviato a studi di tipo commerciale, ma dopo due anni di liceo dovette abbandonare per le ristrettezze economiche della famiglia e dovette imparare un mestiere. Questi fatti lo portarono a inserirsi nel mondo del lavoro svolgendo l'attività di commesso viaggiatore. Dopo anni, Nikolaus Otto fiutò le grandi possibilità degli sbocchi commerciali cui i motori a gas potevano portare. Questi motori a gas avevano fino a quel momento un unico, principale punto di riferimento, che andava ricercato nella persona di Étienne Lenoir, un inventore belga che il 24 gennaio del 1860 aveva brevettato un propulsore in cui, stando alla descrizione del brevetto, "l'aria subisce un'espansione conseguente alla combustione del gas". Otto lasciò quindi il suo lavoro di commesso viaggiatore e si lanciò nell'impresa di produrre un motore che fosse un'evoluzione di quello di Lenoir: più compatto e leggero e soprattutto più economico. Iniziò questa attività nel 1860: la base per i suoi primi motori sperimentali era sempre ispirata ai progetti di Lenoir. Dopo aver condotto una serie di ricerche sul funzionamento dei motori di Lenoir, Otto si dedicò alla realizzazione di esperimenti sui motori a combustione interna. Il 2 gennaio del 1862 brevettò un primo prototipo sperimentale di quello che può essere considerato il primissimo motore a quattro tempi. Nel 1864, insieme all'ingegnere Eugen Langen, fondò una ditta, la N. A. Otto & Cie, progenitrice dell'attuale Deutz AG, che nel 1866 produsse il primo modello di motore, un monocilindrico che presentava un consumo molto più basso di quello del motore di Lenoir. Tale motore venne tra l'altro presentato alla seconda Esposizione Universale di Parigi, dove svettò sugli altri motori presentati per le sue caratteristiche di minor consumo e di minori costi di realizzazione. Per questi motivi, Otto e Langen vennero premiati con la medaglia d'oro. Nel frattempo, l'azienda fondata da Otto e Langen cambiò ragione sociale in Gasmotoren-Fabrik Deutz AG. Nel 1872 l'azienda vide l'ingresso di due personaggi di enorme spessore: Gottlieb Daimler e Wilhelm Maybach, destinati in futuro a essere i primi inventori dell'automobile assieme a Karl Benz. Mentre Daimler entrò alla Deutz come direttore di produzione, Maybach fu inizialmente assunto come disegnatore e progettista, per poi essere promosso qualche anno dopo al ruolo di progettista capo. Il 2 gennaio del 1875, Otto, conscio delle evidenti pecche del suo motore, incaricò Daimler e Maybach di realizzare un motore che eliminasse o quantomeno riducesse drasticamente tali inconvenienti. A rendere il motore a combustione interna efficiente fu l'introduzione della fase di compressione da parte di Daimler e Maybach. Questo motore venne brevettato nel 1876 dall'Ufficio Brevetti dell'Impero germanico. Tale motore, noto anche come motore a ciclo Otto, riscosse grande successo e, nella nascente industria automobilistica, divenne il modello base per la maggior parte dei moderni motori a combustione interna. All'interno dell'azienda cominciarono a emergere i primi contrasti tra Otto e Langen da una parte e Daimler dall'altra. Maybach, con la sua personalità austera e riservata, non si intrometteva tra le due parti. Mentre Daimler premeva per la costruzione di motori ancora più compatti e leggeri da applicare per il trasporto su "carrozze motorizzate", Otto era più propenso alle applicazioni statiche di tipo industriale. Nel frattempo, il motore introdotto da Otto nel 1876 subì ulteriori migliorie e venne reso più compatto e leggero. Ma, contemporaneamente, divennero sempre più aspre le incomprensioni tra Daimler e Otto. Secondo il direttore di produzione, Otto non riconosceva abbastanza meriti sia a Daimler stesso, sia a Maybach. Resta il fatto che, quando nel 1882 Daimler e Maybach si dimisero, la Deutz versò ai due (e specialmente a Daimler) un'altissima somma che, tra l'altro, avrebbe permesso loro di dar vita al primo germe di quella che sarebbe stata la Daimler Motoren Gesellschaft. Sempre nel 1882, Otto venne insignito della laurea ad honorem in ingegneria, una grande soddisfazione per l'inventore tedesco. I contrasti tra Otto e Daimler, però, perdurarono fino a quando, nel 1883, Otto intentò una causa legale contro Daimler, reo di aver utilizzato abusivamente i suoi motori coperti da brevetto. Nel corso della causa, durata quasi tre anni, emerse che già nel 1862 un francese, Alphonse Beau de Rochas, aveva realizzato e depositato il brevetto di un motore dalle caratteristiche simili. Per questo motivo, Otto perse la causa e, all'inizio del 1886, il suo brevetto di dieci anni prima venne annullato. Le diatribe legali, conclusesi oltretutto in modo negativo per Nikolaus Otto, minarono profondamente la sua salute: Otto morì il 26 gennaio del 1891 nella sua abitazione a Heumarkt, un quartiere di Colonia. I suoi resti riposano ancor oggi nel cimitero della città. Dal 1996 il suo nome è stato inserito nell'Automotive Hall of Fame unitamente a quelli dei più grandi personaggi che hanno dato sviluppo all'industria automobilistica. Vita privata Nikolaus Otto era sposato con Anna Gossi, dalla quale ebbe ben sette figli, uno dei quali, Gustav, sarebbe divenuto nel 1917 uno dei fondatori della Bayerische Motoren Werke (nota in seguito semplicemente come BMW). Rivendicazioni brevettuali Indipendentemente da Otto, il motore a quattro tempi venne inventato da Christian Reithmann nel 1860 e Alphonse Beau de Rochas nel 1862, che promosse più tardi un'azione giudiziaria, il 30 gennaio 1886. Nel 1889 il brevetto del "motore Otto" venne attribuito alla Gasmotorenfabrik Deutz, prima in Germania e successivamente in altri paesi. Così Nikolaus Otto venne riconosciuto sotto il Deutschen Reich inventore del motore a quattro tempi e Deutz elargì a Reithmann 25.000 Goldmark e un vitalizio. Christian Reithmann rinunciò con una scrittura privata a rivendicare alla Deutz AG il primato di Otto come inventore del motore a quattro tempi. Deutz riuscì a mantenere il trattato segreto fino al 1949, quando Arnold Langen, il biografo di Nikolaus Otto, pubblicò la storia dei processi Reithmann in forma di libro. Anche Felice Matteucci e Eugenio Barsanti, con il loro motore del 1853, ebbero un ruolo nello sviluppo del motore a ciclo Otto. Onorificenze Nel 1882 Otto ricevette il titolo di dottore emerito dalla facoltà di filosofia della università di Würzburg. Otto è il nome dato al ciclo Otto. Alla stazione di Köln Messe/Deutz è presente un monumento a Nicolaus August Otto e Eugen Langen. Sono intitolate a Nicolaus August Otto anche delle scuole a Bad Schwalbach, Diez, Nastätten, Köln-Deutz e Berlin-Lichterfelde. A Kiel, nel quartiere Wellsee, vi è la Otto Straße. Galleria d'immagini Note Bibliografia Mercedes-Benz Opera Omnia 1886-2001, J. Lewandowski, Automobilia Editrice Arnold Langen, Nikolaus August Otto (1832–1891), in Rheinisch-Westfälische Wirtschaftsbiographien, vol. V, Münster, Aschendorff, 1953, pp. 79–101. Voci correlate Motore a quattro tempi Deutz AG Gottlieb Daimler Wilhelm Maybach Eugenio Barsanti Felice Matteucci Altri progetti Collegamenti esterni Otto Otto, Nikolaus August Otto, Nikolaus August Otto, Nikolaus August
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https://it.wikipedia.org/wiki/Neve%20Shalom%20%28villaggio%29
Neve Shalom (villaggio)
Neve Shalom (), conosciuta anche come Wāħat as-Salām (), è un villaggio cooperativo abitato da arabi palestinesi ed ebrei israeliani. È stato fondato da Bruno Hussar a ovest di Gerusalemme nel 1972 su un terreno preso in affitto dal monastero di Latrun. Attualmente il villaggio è composto da una cinquantina di famiglie. Entrambi i nomi ufficiali significano "oasi della pace", in quanto il villaggio è nato con l'obiettivo di dimostrare che è possibile la coesistenza pacifica tra ebrei e palestinesi sulla base di una mutua accettazione. Neve Shalom esprime praticamente questa visione attraverso varie attività. La nursery, l'asilo e la scuola elementare Dopo alcuni anni di sperimentazione le strutture scolastiche furono aperte anche ai bambini dei villaggi vicini. Attualmente la scuola e l'asilo sono frequentati per il 90% da bambini non residenti provenienti da comunità arabe ed ebraiche. Gli insegnanti ebrei e palestinesi fanno lezione ognuno nella propria lingua ma si rivolgono a tutti gli scolari. I bambini prendono coscienza della propria cultura e delle proprie tradizioni; al tempo stesso imparano la lingua e la cultura dei loro compagni. Ne risulta un'atmosfera di apertura e rispetto. La Scuola per la pace La scuola ha uno staff composto in parti uguali da arabi ed ebrei, esperti in materie scientifiche o letterarie. I membri dello staff hanno superato un corso di sostegno al superamento dei conflitti. Dalla fondazione della scuola più di 25 000 tra ebrei e arabi hanno preso parte a svariate attività. I programmi coinvolgono studenti delle superiori e universitari, insegnanti, giornalisti, avvocati, medici e comunque sono aperti a chiunque voglia prendervi parte. Le attività della scuola si svolgono a Neve Shalom - Wāħat as-Salām o in altre località di Israele o della Palestina Il Centro Spirituale Pluralista Bruno Hussar Il Centro dedicato a Bruno Hussar, fondatore di NSWAS, promuove quelle attività che abbiano una dimensione spirituale o che siano comunque in relazione con le identità religiose degli abitanti di Israele e Palestina. Appartata su una collina è la Casa del Silenzio (Beit Dumia - Bayt Sakina), un luogo di riflessione, meditazione e preghiera. La Casa è un santuario per tutti gli uomini di qualsiasi credo o cultura. Amministrazione Gemellaggi Bibliografia Brunetto Salvarani (a cura di), Il folle sogno di Neve Shalom Wahat al-Salam. Israeliani e palestinesi insieme sulla stessa terra, Collana: Testimoni, Milano, Edizioni Terra Santa, 2017, ISBN 978-88-6240-515-7 Altri progetti Collegamenti esterni Centri abitati del distretto di Gerusalemme Processo di pace israelo-palestinese