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2517 | https://it.wikipedia.org/wiki/Linguistica | Linguistica | La linguistica è lo studio scientifico del linguaggio verbale umano e delle sue strutture. Essa include lo studio della fonetica, della grammatica, del lessico, della morfologia, della sintassi e della testualità. È una disciplina scientifica, in quanto si basa su approcci empirici e oggettivi. Un linguista è una persona specializzata in linguistica.
Introduzione
La linguistica ha come scopo comprendere e definire le caratteristiche del linguaggio verbale umano (la facoltà mentale dell'uomo di comunicare attraverso una lingua) attraverso l'analisi delle lingue del mondo: un linguista indaga e descrive quindi le strutture delle lingue per capire come sono quest'ultime e cerca di spiegare perché queste sono come sono (e perché non sono in altro modo).
L'obiettivo di un linguista quindi non è quello di studiare le lingue per imparare a parlarle, cioè a comunicare con i parlanti di quelle lingue. La linguistica è una scienza empirica in quanto legata a fenomeni osservabili (foni e grafemi). Tali fenomeni non valgono però di per sé: essi vengono prodotti e compresi come fenomeni semiotici, in quanto rinviano ad altro da sé (per i filosofi medievali, aliquid stat pro aliquo, 'qualcosa sta per qualcos'altro').
Si parla di linguistica generale per evidenziare un approccio che mette a confronto lingue diverse e affinità e differenze tra esse. Denominazioni analoghe a "linguistica generale" sono "linguistica teorica", "linguistica sincronica", "linguistica descrittiva".
Sincronia e diacronia
La linguistica indaga le lingue secondo due aspetti: quello sincronico e quello diacronico. Una lingua o, più in particolare, un fenomeno linguistico possono essere studiati nella loro evoluzione storica, ossia nel loro mutare nel tempo: tale approccio, nonché metodo di analisi linguistica, è chiamato diacronico. La linguistica storica è quella branca della linguistica che si occupa dello studio diacronico delle lingue. Quando invece si osserva e si analizza una lingua o una sua caratteristica in un preciso momento storico (sia esso presente o passato), senza interessarsi del suo aspetto diacronico, si conduce un'analisi sincronica. Quest'ultima è condotta dalla linguistica sincronica.
Ogni livello di una lingua (dalla fonologia alla semantica e alla pragmatica) può essere studiato sia sincronicamente che diacronicamente: ad esempio, è possibile studiare il sistema nominale del latino (ossia le declinazioni: quali sono e come sono strutturate) per come ci è stato conservato nei testi letterari di un determinato periodo (studio sincronico); oppure possiamo ricostruire i mutamenti che hanno portato al sistema nominale latino come lo osserviamo, seguendo la sua storia dal protoindoeuropeo fino al latino (studio diacronico).
Discipline
La linguistica è un campo di ricerca ampio che include varie discipline, alcune delle quali collegate alle varie parti che compongono il sistema lingua. Le principali sottodiscipline della linguistica (che corrispondono in linea di massima ai livelli che compongono un sistema lingua) sono:
la fonetica e la fonologia, che riguardano il sistema di suoni delle lingue
la morfologia, che studia la struttura interna delle parole
la sintassi, la quale si occupa della struttura delle frasi
la semantica, che interessa il significato
la pragmatica, che studia le proprietà degli atti comunicativi
e la lessicologia.
A seconda dei punti di vista dai quali il linguaggio viene studiato, è possibile inoltre distinguere altre sottodiscipline:
la linguistica descrittiva, che si occupa di documentare e descrivere le lingue del mondo
la linguistica storica, che consiste nell'analizzare i fenomeni linguistici da un punto di vista storico
la sociolinguistica, la dialettologia, la geolinguistica e l'etnolinguistica, che si occupano dei vari aspetti sociali e di variazione geografica e dialettale
la psicolinguistica, la neurolinguistica e linguistica cognitiva, che si occupano delle caratteristiche psico-cognitive e neurologiche del linguaggio
la tipologia linguistica (o linguistica tipologica) e la linguistica comparata, il cui obiettivo primario è quello di confrontare le lingue del mondo e individuare le strutture ricorrenti e darne una spiegazione attraverso motivazioni funzionali
la linguistica applicata, la linguistica computazionale e la linguistica forense
la logopedia e la foniatria, che si occupano dei disturbi e patologie legati al linguaggio.
Teorie linguistiche
Approcci
Umanistici
Il principio fondamentale della linguistica umanistica è che la lingua è un'invenzione creata dalle persone. Una tradizione semiotica della ricerca linguistica considera il linguaggio come un sistema di segni che nasce dall'interazione del significato e della forma. L'organizzazione delle strutture linguistiche è considerata computazionale. La linguistica è essenzialmente vista come relativa alle scienze sociali e culturali perché lingue diverse sono modellate nell'interazione sociale dalla comunità linguistica. Le scuole di pensiero che rappresentano la visione umanistica del linguaggio includono, tra gli altri, la linguistica strutturale.
Analisi strutturale significa sezionare ogni strato: fonetico, morfologico, sintattico e discorso, alle unità più piccole. Questi sono raccolti in inventari (ad es. fonema, morfema, classi lessicali, tipi di frase) per studiarne l'interconnessione all'interno di una gerarchia di strutture e strati. L'analisi funzionale aggiunge all'analisi strutturale l'assegnazione di ruoli semantici e altri ruoli funzionali che ciascuna unità può avere. Ad esempio, un sintagma nominale può funzionare come soggetto o oggetto grammaticale della frase, o come agente o paziente semantico.
La linguistica funzionale, o grammatica funzionale, è una branca della linguistica strutturale. Nel contesto umanistico, i termini strutturalismo e funzionalismo sono legati al loro significato in altre scienze umane. La differenza tra strutturalismo formale e funzionale sta nella loro risposta alla domanda perché le lingue hanno le proprietà che hanno. La spiegazione funzionale implica l'idea che il linguaggio sia uno strumento per la comunicazione, o che la comunicazione sia la funzione primaria del linguaggio. Le forme linguistiche vengono di conseguenza spiegate in relazione al loro valore funzionale, o utilità. Altri approcci strutturalisti assumono la prospettiva che la forma derivi dai meccanismi interni del sistema linguistico bilaterale e multistrato.
Biologici
Approcci come la linguistica cognitiva e la grammatica generativa studiano la cognizione linguistica con l'obiettivo di scoprire le basi biologiche del linguaggio. Nella grammatica generativa si sostiene che queste basi derivino da una conoscenza grammaticale innata. Pertanto, una delle preoccupazioni centrali dell'approccio è scoprire quali aspetti della conoscenza linguistica sono genetici.
La linguistica cognitiva, al contrario, rifiuta la nozione di grammatica innata e studia come la mente umana crea costruzioni linguistiche da schemi di eventi e l'impatto dei vincoli e dei pregiudizi cognitivi sul linguaggio umano. Analogamente alla programmazione neurolinguistica, il linguaggio viene avvicinato attraverso i sensi. I linguisti cognitivi studiano l'incarnazione della conoscenza cercando espressioni che si riferiscano a schemi sensomotori.
Un approccio strettamente correlato è la linguistica evolutiva che include lo studio delle unità linguistiche come replicatori culturali. È possibile studiare come il linguaggio si replica e si adatta alla mente dell'individuo o della comunità linguistica. La grammatica delle costruzioni è un framework che applica il concetto di meme allo studio della sintassi.
L'approccio generativo e l'approccio evolutivo sono talvolta chiamati formalismo e funzionalismo. Questo riferimento è tuttavia diverso dall'uso dei termini nelle scienze umane.
Teorie descrittive ed esplicative
Una seconda tipologia di classificazione, parallela alla precedente è stata proposta, ed è quella secondo la quale le teorie linguistiche sono divisibili in teorie descrittive e teorie esplicative. Le teorie descrittive sono teorie che riguardano la descrizione delle lingue, cioè come sono strutturate le lingue. Diversamente, le teorie esplicative sono teorie che spiegano perché le lingue sono in un modo piuttosto che un altro. Descrizione e spiegazione sono quindi intese come due concetti separati, al contrario di quanto generalmente affermato dalle teorie generative: secondo queste infatti, una teoria può e deve essere descrittiva e al contempo permettere di spiegare i fenomeni considerati.
Secondo questa visione, non è possibile concepire una "linguistica teorica" in opposizione ad una "linguistica descrittiva", dato che la distinzione non è appunto tra "teorico" e "ateorico/descrittivo", bensì tra descrittivo ed esplicativo. In altre parole, la descrizione non potrà mai essere "ateorica", ma dovrà necessariamente rifarsi ad una teoria (di tipo descrittivo).
Universalismo e particolarismo categoriale
Le teorie linguistiche possono essere ulteriormente suddivise a seconda di come concepiscono le categorie linguistiche delle lingue. Le teorie che affermano l'universalismo categoriale si propongono di individuare categorie universali, pertinenti a tutte le lingue, e spiegarne le caratteristiche: per esempio, cercano di individuare la categoria «passivo» in tutte le lingue del mondo, osservandone il comportamento e definendone delle caratteristiche universali che permettano il riconoscimento della categoria stessa in tutte le lingue osservate. Le teorie che invece seguono il particolarismo categoriale sostengono che ogni lingua possegga le sue categorie (di qui il termine «particolarismo») e che non sia possibile equiparare una categoria di una lingua con la stessa di un'altra lingua.
Storia della linguistica
L'Ottocento
L’inizio della ‘linguistica moderna’ si colloca nei primi decenni del XIX secolo, dopo la scoperta di alcune lingue che presentavano delle somiglianze notevoli nonostante fossero molto distanti geograficamente, temporalmente e culturalmente. Per spiegare ciò si pensò che in passato esistesse una lingua madre da cui tutte queste lingue derivarono. Le lingue prese in esame erano il sanscrito, il greco, il latino, e altre ancora, appartenenti alla famiglia indoeuropea; in seguito, si scoprì che la stessa situazione si presentava per altre lingue del mondo e si individuarono altre famiglie linguistiche: sino-tibetana, austronesiana, afroasiatica, niger-congo, dravidica. Attraverso lo studio delle singole lingue di una stessa famiglia nel tempo, si scoprì il carattere ‘naturale’ del linguaggio che comporta due aspetti: il primo è che il mutamento linguistico è un fenomeno universale, ogni lingua cambia nel tempo sia a livello sintattico che fonologico che lessicale; il secondo aspetto è che le lingue mutano in modo regolare, tanto che fu possibile descrivere il mutamento linguistico, specialmente quello fonologico, in termini di ‘leggi’, ossia generalizzazioni esplicite, un po’ come si fa per il mondo fisico. Pertanto, la riflessione linguistica entrò nell’ambito “scientifico”, e perciò divenne soggetto al criterio di verificabilità empirica. Questa corrente linguistica, denominata ‘Grammatica comparata’, fu dominante per tutto il XIX secolo e per gran parte della prima metà del XX. Tra gli esponenti più significativi di questo periodo emergono Rasmus Rask e Franz Bopp.
Il Novecento
Già dal’ottobre del 1913, lo studio della linguistica si avvalse di testi postumi del linguista e semiologo svizzero Ferdinand de Saussure, deceduto appena pochi mesi prima.
Dopo la morte di De Saussure, si prese in considerazione l’importanza dei suoi studi sulla linguistica, tanto che con la pubblicazione postuma del Cours de linguistique générale, pubblicato nel 1916 dai suoi allievi della Scuola di Ginevra, si dimostrò che era possibile studiare le lingue anche dal punto di vista sincronico, ovvero come sistemi esistenti di un dato momento, dando importanza allo studio delle lingue non soltanto come riflesso storico.
Lo studio influenzò notevolmente la grammatica del tempo, dimostrando che la grammatica tradizionale, denominata allora come strutturalista, e modellata in gran parte sul latino, non era in grado di spiegare le categorie morfo-sintattiche che presentavano lingue esotiche e gli elementi con gli ordini di frase inediti. Perciò i linguisti iniziarono a sperare di ottenere l’elaborazione di metodi descrittivi per trasformare i dati in grammatiche. Questa corrente di studi non produsse risultati significativi nello studio della sintassi ad eccezione della ‘Grammatica valenziale’ di Lucien Tesnière. La novità è che il verbo sia il centro della frase, in quanto ogni verbo seleziona un numero di partecipanti a ciascuno dei quali assegna un ruolo diverso nell’azione che esprime. Da qui la distinzione tra elementi necessari per dare a una frase ‘un senso compiuto’ e cioè gli attori selezionati dal verbo, e gli elementi accessori, indipendenti dal verbo e facoltativi, che hanno la funzione di modificare un altro elemento della frase. Va aggiunto, però, che Tesnière concepiva la sua grammatica come olistica, ritenendo che si potesse fare a meno di tutte le altre categorie sintattiche, come le funzioni grammaticali di soggetto o oggetto.
Nel 1957 il linguista americano Noam Chomsky pubblicò un libretto intitolato Syntactic Structures (‘Le strutture della sintassi’) che rivoluzionò il settore della sintassi. Egli dimostrò che una grammatica per essere adeguata deve rispecchiare la proprietà fondamentale della sintassi delle lingue naturali, la creatività, ovvero la capacità di produrre un numero infinito di frasi da un numero finito di parole. Questo significa che la grammatica deve disporre di regole con le seguenti caratteristiche: ricorsività e contestualità. La sintassi generativa si può suddividere in tre fasi:
nella prima fase la sintassi generativa produsse delle descrizioni molto dettagliate delle regole sintattiche di varie lingue, a cominciare dall’inglese;
nella seconda fase, cominciata sul finire degli anni ’70, ci si è soffermati su come il bambino disporrebbe già alla nascita di un istinto che gli consente di apprendere qualsiasi lingua umana; questo istinto, a sua volta, implica che debba esistere una grammatica universale a tutte le lingue umane, vale a dire un tema comune di cui ciascuna lingua umana è una variazione;
nella terza fase, cominciata poco prima della metà degli anni ’90 e tuttora in corso, si evidenzia il tentativo di risolvere quello che potrebbe essere denominato il ‘Problema di Darwin’: come si può derivare la Grammatica Universale in termini evolutivi?
Note
Bibliografia
Marco Svolacchia, L'articolazione informativa della frase , 1999.
Voci correlate
Diglossia
Grammatica
Famiglia linguistica
Flessione (linguistica)
Lingua (linguistica)
Lemma (linguistica)
Linguaggio
Lista delle famiglie linguistiche
Marcatezza
Morfema
Principio di economia (linguistica)
Produttività (linguistica)
Radice (linguistica)
Registro (linguistica)
Ricorsività (linguistica)
Deriva linguistica
Origine della lingua
Oralità
Applied Linguistics
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2520 | https://it.wikipedia.org/wiki/Dichiarazione%20di%20Alma%20Ata | Dichiarazione di Alma Ata | La dichiarazione di Alma Ata sull'assistenza sanitaria primaria venne adottata alla conferenza internazionale sull'assistenza sanitaria primaria tenuta il 6-12 settembre 1978 ad Alma Ata, nell'ex-Unione Sovietica.
Storia
Per quanto riguarda la politica della salute internazionale, fu l'evento più importante degli anni '70. La conferenza fu organizzata dall'OMS, dall'Organizzazione panamericana della salute, dall'UNICEF e patrocinata dalla Unione Sovietica. La dichiarazione di Alma Ata sottolinea l'importanza dell'attenzione primaria alla salute come strategia per ottenere un miglior livello di salute della popolazione. Il suo motto fu: "Salute per tutti entro il 2000".
La conferenza espresse la necessità urgente di azioni da parte di tutti i governi, degli operatori della salute e della comunità internazionale, per proteggere e promuovere il modello di attenzione primaria alla salute, per tutti gli individui del mondo.
A questa conferenza parteciparono 134 paesi e 67 organizzazioni internazionali, con l'assenza importante della Repubblica Popolare Cinese.
I dieci punti della dichiarazione
La conferenza internazionale formulò la seguente dichiarazione.
La conferenza ribadisce con forza che la salute, stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente assenza di malattia o infermità, è un diritto umano fondamentale e riafferma che il raggiungimento del maggior livello di salute possibile è un risultato sociale estremamente importante in tutto il mondo, la cui realizzazione richiede il contributo di molti altri settori economici e sociali in aggiunta a quello sanitario.
L'enorme disparità esistente nello stato di salute delle persone, in modo particolare tra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo ma anche all'interno delle nazioni, è inaccettabile dal punto di vista politico, economico, sociale e rappresenta una preoccupazione comune a tutti i paesi.
Lo sviluppo economico e sociale, basato su un nuovo ordine economico internazionale, è di importanza fondamentale per raggiungere appieno la salute per tutti e per ridurre il divario tra lo stato di salute dei paesi in via di sviluppo e quello dei paesi sviluppati. La promozione e la tutela della salute delle persone è indispensabile per un intenso sviluppo economico e sociale e contribuisce a una miglior qualità della vita e alla pace mondiale.
Le persone hanno il diritto e il dovere di partecipare individualmente e collettivamente alla progettazione e alla realizzazione dell'assistenza sanitaria di cui hanno bisogno.
I governi sono responsabili della salute dei propri cittadini: essa può essere raggiunta solo mettendo a disposizione adeguate misure sanitarie e sociali. Nei prossimi decenni un obiettivo sociale essenziale dei governi, delle organizzazioni internazionali e dell'intera comunità mondiale dovrebbe essere il raggiungimento, entro l'anno 2000, di un livello di salute che permetta a tutti i popoli del mondo di condurre una vita socialmente ed economicamente produttiva. L'assistenza sanitaria primaria è la chiave per conseguire questo risultato dentro la cornice dello sviluppo in uno spirito di giustizia sociale.
L'assistenza sanitaria primaria è costituita da quelle forme essenziali di assistenza sanitaria che sono basate su tecnologie e metodi pratici, scientificamente validi e socialmente accettabili, che sono rese accessibili a tutti gli individui e alle famiglie nella comunità grazie alla loro piena partecipazione, che sono realizzate a un costo che la comunità e la nazione possono sostenere in ogni fase del proprio sviluppo in uno spirito di autonomia e di autodeterminazione. L'assistenza sanitaria primaria è una parte integrante sia del sistema sanitario di un paese, del quale rappresenta la funzione centrale e il punto principale, sia del completo sviluppo sociale ed economico della comunità. Essa rappresenta la prima occasione di contatto degli individui, della famiglia e della comunità con il sistema sanitario nazionale, portando l'assistenza sanitaria il più vicino possibile ai luoghi di vita e di lavoro, e costituisce il primo elemento di un processo continuo di assistenza sanitaria.
L'assistenza sanitaria primaria:
riflette e si sviluppa dalle condizioni economiche e dalle caratteristiche socioculturali e politiche di un paese e delle sue comunità; essa si fonda sull'applicazione dei risultati significativi ottenuti dalla ricerca sociale, biomedica e nei servizi sanitari e sull'esperienza maturata in sanità pubblica;
affronta i principali problemi di salute nella comunità, fornendo i necessari servizi di promozione, prevenzione, cura e riabilitazione;
comprende almeno: l'educazione sui principali problemi di salute e sui metodi per prevenirli e controllarli; la promozione di un sistema di approvvigionamento alimentare e di una corretta alimentazione; un'adeguata disponibilità di acqua sicura e il miglioramento delle condizioni igieniche fondamentali; l'assistenza sanitaria materna e infantile, compresa la pianificazione familiare; l'immunizzazione contro le principali malattie infettive; la prevenzione e il controllo delle malattie endemiche locali; un appropriato trattamento delle malattie e delle lesioni più comuni; la fornitura dei farmaci essenziali;
coinvolge, oltre al settore sanitario, tutti gli altri settori e aspetti dello sviluppo nazionale e della comunità che sono collegati, in particolare l'agricoltura, la zootecnica, la produzione alimentare, l'industria, l'istruzione, l'edilizia, i lavori pubblici, le comunicazioni e altri settori; inoltre necessita del coordinamento delle attività tra tutti questi settori;
richiede e promuove al massimo l'autonomia dell'individuo e della comunità e la partecipazione alla progettazione, organizzazione, funzionamento e controllo dell'assistenza sanitaria primaria stessa, usando appieno le risorse locali, nazionali e le altre disponibili; per questo fine sviluppa, attraverso un'adeguata educazione, la capacità delle comunità a partecipare;
dovrebbe essere sostenuta da sistemi di riferimento integrati, funzionali e di supporto reciproco che portano a un progressivo miglioramento dell'assistenza sanitaria globale per tutti e danno priorità a coloro che sono maggiormente nel bisogno;
a livello locale e ai livelli di riferimento l'assistenza sanitaria primaria dipende dagli operatori sanitari, comprendendo di volta in volta i medici, gli infermieri, le ostetriche, il personale ausiliario e gli operatori di comunità, come pure dalle figure professionali tradizionali quando necessario: essi devono essere adeguatamente preparati, dal punto di vista sociale e tecnico, a lavorare come una squadra per la salute e a rispondere ai bisogni di salute espressi della comunità.
Tutti i governi dovrebbero formulare a livello nazionale politiche, strategie e piani d'azione per diffondere e sostenere l'assistenza sanitaria primaria come parte dell'intero sistema sanitario nazionale e in modo coordinato con gli altri settori. A questo scopo, sarà necessario esercitare una volontà politica, mobilitare le risorse del paese e usare razionalmente le risorse esterne disponibili.
Tutte le nazioni dovrebbero agire in uno spirito di stretta cooperazione e di servizio per garantire a ciascuno l'assistenza sanitaria primaria, dal momento che il raggiungimento della salute da parte delle persone di un qualsiasi paese interessa direttamente e rappresenta un beneficio per tutte le altre nazioni. In questo contesto il rapporto congiunto sull'assistenza sanitaria primaria curato dall'OMS e dall'UNICEF costituisce una solida base per lo sviluppo e le attività ulteriori dell'assistenza sanitaria primaria in ogni parte del mondo.
Un accettabile livello di salute per tutte le persone del mondo può essere raggiunto entro l'anno 2000 grazie a un migliore e più completo uso delle risorse mondiali, una parte considerevole delle quali è oggi destinata agli armamenti e ai conflitti militari. Un'autentica politica di indipendenza, di pace, di distensione e di disarmo potrebbe e dovrebbe liberare risorse aggiuntive che potrebbero essere ben destinate a scopi pacifici e in particolare all'accelerazione dello sviluppo sociale ed economico: all'assistenza sanitaria primaria, come parte essenziale di tale sviluppo, dovrebbe essere assegnata una quota adeguata delle risorse rese disponibili.
Conclusioni
La conferenza internazionale sull'assistenza sanitaria primaria richiede un'urgente ed efficace azione nazionale e internazionale per sviluppare e implementare l'assistenza sanitaria primaria in ogni parte del mondo e in particolare nei paesi in via di sviluppo, secondo uno spirito di cooperazione tecnica e in accordo con un nuovo ordine economico internazionale. La Conferenza esorta i governi, l'OMS, l'UNICEF e le altre organizzazioni internazionali, le agenzie multilaterali o bilaterali, le organizzazioni non governative, le agenzie di finanziamento, tutti gli operatori sanitari e l'intera comunità mondiale a sostenere l'impegno nazionale e internazionale a favore dell'assistenza sanitaria primaria e a dedicarle un crescente supporto tecnico e finanziario, particolarmente nei paesi in via di sviluppo. La conferenza si appella a tutti gli organismi appena citati perché collaborino a introdurre, sviluppare e mantenere l'assistenza sanitaria primaria in maniera coerente con lo spirito e il contenuto di questa dichiarazione.
Risultati
La dichiarazione di Alma Ata sull'assistenza sanitaria primaria non conseguì la meta della salute per tutti entro l'anno 2000, in quanto, a detta dei detrattori, mancarono la volontà medica, politica ed ideologica. con la creazione di un sistema di salute mista: per la classe povera il sussidio statale, molte volte deficitario, e per le classi alte, l'alternativa privata. Non ultimo non è posta sufficiente attenzione alla integralità della salute, si preferiscono benefici parziali a basso costo, (ad esempio vaccinazione per tutti, pianificazione famigliare, monitoraggio dell'accrescimento dei bambini, attenzione all'allattamento materno, ...) tralasciando la salute in toto, o peggio ancora si dà più attenzione alla salute riparativa.
Note
Collegamenti esterni
Storia della medicina
Almaty |
2523 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua%20inglese | Lingua inglese | Linglese (nome nativo: English, ) è una lingua indoeuropea appartenente al ramo occidentale delle lingue germaniche, assieme all'olandese, all'alto e basso tedesco e al frisone, con i quali conserva ancora un'evidente parentela.
Secondo alcuni studiosi scandinavi, l'inglese, almeno dalla sua fase media, sarebbe invece più affine alle lingue germaniche settentrionali (scandinàve) che a quelle continentali, data la loro spiccata affinità sia in campo grammaticale che lessicale.
Al 2022, è parlata da 1,452 miliardi di parlanti totali. Secondo dunque Ethnologue 2022 (25ª edizione), è la lingua più parlata al mondo per numero di parlanti totali (nativi e stranieri) ed è la terza per numero di parlanti madrelingua (L1) (la prima è il cinese e la seconda è lo spagnolo). Ogni Paese o territorio in cui l'inglese è parlato come lingua madre viene detto anglofono.
Descrizione
Dal punto di vista del lessico, diversamente dalle altre lingue germaniche, contiene molti termini di origine non germanica, in particolare di origine latina (anche per tramite di una mediazione francese), sia durante l'occupazione normanna dell'Inghilterra dopo il 1066 (quando i duchi di Normandia conquistarono l'Inghilterra anglo-sassone con la battaglia di Hastings), ma anche nel Rinascimento per influsso del latino nel gergo scientifico. Tali importanti influenze lessicali non hanno impedito però all'inglese il suo sviluppo come idioma germanico, rispettando le norme grammaticali dettate dalla sua filogenesi, mantenendo la maggioranza del lessico usato quotidianamente di origine anglosassone (quindi germanica).
Per questa ragione, una delle caratteristiche più evidenti del lessico inglese è la quantità di coppie di sinonimi, dei quali l'uno di origine germanica, l'altro di origine latina, per indicare uno stesso concetto, ma spesso con sfumature diverse, per esempio: freedom e liberty, pig e pork, spear e lance, first e prime, opening e aperture, surname e family name.
Tra le lingue di grande diffusione, l'inglese è verosimilmente la più aperta all'ingresso di nuovi vocaboli di origine straniera, sia a causa del suo ampio uso come lingua franca mondiale sia, probabilmente, anche grazie alla semplificazione della grammatica, caratterizzata dalla scomparsa di declinazioni e desinenze di verbi e sostantivi (caratteristica che invece era presente nell'inglese antico).
Espansione
Nel corso del XX secolo, dopo la seconda guerra mondiale, l'inglese è divenuto la lingua franca per eccellenza, abbattendo la precedente supremazia del francese, che a sua volta aveva sostituito il latino a fini di comunicazione diplomatica e scientifica.
Dopo il secondo conflitto mondiale, a seguito della conseguita supremazia economica e politica degli Stati Uniti e la portata dell'Impero britannico a livello globale, l'inglese è divenuta la lingua più studiata nel mondo, nonché la più importante in ambito economico, strumento per la comunicazione fra etnie prive di connessioni culturali, scientifiche o politiche (non senza critiche).
Si calcola che i parlanti dell'inglese come lingua madre (English as a native language, ENL) siano circa 430 milioni, mentre sono circa 300 milioni coloro che lo parlano accanto alla lingua nazionale o nativa (English as a second language, ESL). Sono infine circa 200 milioni quelli che lo hanno appreso a scuola (English as a foreign language, EFL), in Paesi dove questa lingua non è in uso. Il numero di coloro che usano l'inglese come lingua seconda o straniera supera dunque quello di coloro che lo parlano dalla nascita.
Attualmente è la lingua più parlata nel mondo e terza lingua madre dietro alla lingua cinese e alla spagnola.
Distribuzione geografica
L'inglese occupa una posizione del tutto particolare, non solo rispetto alle lingue germaniche, ma anche all'interno del gruppo linguistico indoeuropeo: ha talmente semplificato e alterato la propria struttura da avvicinarsi ormai a una lingua isolante piuttosto che a una lingua flessiva quale era.
L'inglese è usato come lingua ufficiale de iure o de facto nei seguenti paesi, dove è parlato dalla maggioranza o da una cospicua minoranza della popolazione:
in Europa
nelle Isole britanniche (area di origine):
(assieme allo scots e al gaelico scozzese)
(assieme al gallese)
(assieme all'Ulster scots e al gaelico irlandese)
(assieme al gaelico irlandese)
(assieme al gaelico mannese)
Isole del Canale (, ; assieme al francese e alle sue varianti locali)
(assieme al maltese e l'italiano)
Akrotiri e Dhekelia (assieme al greco)
(assieme allo spagnolo)
in Oceania e nel Pacifico:
(assieme al māori; compresi gli Stati associati di Isole Cook Isole Cook e Niue Niue)
(insieme a varie lingue locali)
in Africa, spesso accompagnato dalle numerose lingue locali ufficiali o non:
(assieme all'afrikaans, alle lingue bantu e alle lingue khoisan)
nelle Americhe e nell'Atlantico:
(assieme al francese)
Anguilla
Ascensione
Bermuda
Isole Falkland
Isole Vergini Britanniche
Montserrat
Sant'Elena
Isole Vergini Americane
(assieme alla sua variante autoctona)
(assieme all'olandese)
in Asia:
(assieme a cinese, malese, tamil)
(assieme al cinese)
(assieme a hindi e altre lingue locali)
(assieme a urdu e altre lingue locali)
(assieme a bengali)
(assieme al filippino e altre lingue locali)
(assieme al malese)
A seguito della supremazia economico-politica degli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, l'inglese si è imposto di fatto come lo standard anche per la comunicazione scientifica, venendo utilizzato per la pubblicazione di contributi nelle principali riviste scientifiche di qualsiasi settore e, quindi, come lingua preferenziale per lo scambio di informazioni tecnico-scientifiche tra persone di lingue differenti.
Storia
Nel suo lungo sviluppo, l'inglese si è notevolmente alterato. Convenzionalmente si divide l'evoluzione diacronica della lingua in cinque fasi:
anglosassone (AS);
inglese antico (Old English), opera di riferimento: Bēowulf;
medio inglese (Middle English), opera di riferimento: I racconti di Canterbury, per la pronuncia: Ormulum;
primo inglese moderno (Early Modern English), opere di riferimento: quelle di Shakespeare e Marlowe;
inglese moderno (Modern English).
È possibile estrapolare delle date approssimative tra le molte proposte, e dire che:
l'anglosassone va dall'invasione della Britannia ad opera delle popolazioni degli Angli, Sassoni e Juti (V secolo d.C.) fino alla più massiccia e seconda fase di cristianizzazione dell'isola;
l'inglese antico prende così il posto dell'anglosassone, anche in virtù della supremazia del dialetto sassone occidentale su quello anglico, dovuto al rafforzarsi della situazione economica e politica degli Stati del sud dell'Inghilterra rispetto a quella del nord (zona dei cinque regni), sino all'invasione normanna;
il medio inglese si può far terminare intorno all'inizio del XVI secolo;
il primo inglese moderno copre un periodo di tempo che va da Shakespeare sino alla metà del Settecento;
l'inglese moderno inizia a metà Settecento, con la comparsa di romanzi quali Robinson Crusoe di Defoe, sino ai giorni nostri.
Anglosassone ed antico inglese (Old English)
Secondo il resoconto del Venerabile Beda, le stirpi germaniche degli Angli, dei Sassoni e degli Juti, partite dallo Jutland, dalla Germania settentrionale e dalla futura Danimarca, si insediarono in quella regione della Britannia che è oggi l'Inghilterra nel 499 d.C.
Gli Juti si stabilirono nel Cantium (Kent), gli Angli nell'Anglia orientale, nelle Midlands e in Northumbria, e i Sassoni nell'Essex, nel Middlesex e nel Wessex — cioè rispettivamente regno dei Sassoni orientali, di mezzo ed occidentali. Sotto la spinta dei nuovi venuti germanici, i Celti dell'attuale Inghilterra si spostarono a ovest (North Walas, West Walas o Galles, Sûth Walas o Cornovaglia).
Le lingue germaniche di questi popoli, fortemente intelligibili tra loro, iniziarono ad unirsi e ad uniformarsi in un'unica parlata, simile a quelle della Bassa Germania e degli attuali Paesi Bassi e Fiandre. Questo fu la conseguenza dell'unione di tali popolazioni in una sola entità etnico-lingustica, che prese il nome di popolazione degli Anglosassoni.
A partire dal X secolo le atone brevi a, e, o, u tendono a confluire nel suono indistinto scevà/schwa così frequente nell'inglese moderno. L'antico inglese, a differenza dell'inglese medio, possiede una ricca flessione, sia nominale che verbale. I generi sono tre, maschile, femminile e neutro. Come in tedesco, con il quale la parentela è nettamente più evidente rispetto all'inglese moderno, il nome nell'antico inglese presenta quattro casi: nominativo, genitivo, dativo e accusativo.
In questo periodo avviene anche l'influenza del norreno, anch'esso un idioma germanico, anche se del gruppo nordico, a differenza di quello occidentale dell'inglese. È grazie alle invasioni dei Vichingi e al Danelaw che l'inglese ha potuto non solo accogliere nel suo vocabolario nuovi termini di origine scandinava (vedi knife, skirt, skull, sky, kill, skill, die, leg, egg, want...), ma anche fare proprie diverse caratteristiche della grammatica norrena (i pronomi they, them, their e theirs sono prestiti dal norreno).
Medio inglese (Middle English)
Il medio inglese (MI), o Middle English, è il nome dato alla lingua storica che ha come origine le diverse forme di inglese parlato nel periodo compreso tra l'invasione normanna e il tardo Rinascimento inglese. Grazie a Geoffrey Chaucer, il medio inglese emerse come una lingua letteraria, soprattutto grazie alla sua più celebre opera, i Canterbury Tales. Viene suddiviso in primo inglese medio (Early Middle English) e tardo inglese medio (Late Middle English).
È durante questo periodo che la lingua inglese subisce la maggior parte dell'influenza neolatina, per mezzo della lingua francese, che a seguito dell'invasione normanna del 1066 diventa la lingua principale della classe dirigente inglese. Il vocabolario viene abbondantemente influenzato e molti termini germanici vengono soppiantati per far spazio a sinonimi di origine francese, quindi latina. Tuttavia, ciò non rende difficile al medio inglese di evolversi rispettando le regole grammaticali imposte dalla sua filogenesi germanica, tenendo la maggior parte del lessico quotidiano di ascendenza anglosassone.
Con Giovanni Senzaterra pressoché tutti i possedimenti francesi andarono perduti (tranne le Isole del Canale, ultimo brandello del Ducato di Normandia). A partire dalla guerra dei cent'anni i legami con la Francia, quindi, si affievolirono. Il vecchio proverbio "Jack wold be a gentilman if he cold speke Frensk" cominciò a perdere molto del suo significato. In Inghilterra cominciò a delinearsi un nuovo standard, basato sul dialetto di Londra e delle Home Counties.
Inglese moderno (Modern English)
L'introduzione della stampa in Inghilterra ad opera di William Caxton nel 1476 contribuì alla fissazione dell'ortografia ma, poiché ebbe luogo prima che si concludesse il grande spostamento vocalico, determinò il primo grande divario tra scrittura e pronuncia.Dopo la nascita della Chiesa d'Inghilterra nacque l'esigenza di una versione inglese della Bibbia. Nel 1611 fu data alle stampe lAuthorized Version. La stampa, la Riforma e l'affermazione del ceto medio ("middle class") ebbero come conseguenza la diffusione di quella che si andava affermando come lingua standard.
L'espansione coloniale dell'Inghilterra diffuse la parlata in vasti territori dell'America del Nord, dell'Africa, dell'Asia e dell'Oceania.L'indipendenza degli Stati Uniti corrispose alla formazione di una varietà d'inglese, diversa dallo standard britannico, che si sarebbe affermata a livello mondiale nel XX secolo.
Il grande spostamento vocalico (Great Vowel Shift)
Il grande spostamento vocalico o Great Vowel Shift (GVS) è la più importante alterazione fonetica della storia della lingua inglese. Si può affermare che esso portò l'inglese alla sua pronuncia attuale. Il GVS non ebbe luogo nella stessa epoca nelle diverse regioni (in alcune, particolarmente al Nord, è assente nelle parlate locali del ventunesimo secolo); si può comunque porre il suo inizio al XV secolo e considerarlo compiuto alla fine del XVI.
Il GVS riguarda le vocali lunghe e segna l'inizio della separazione tra pronuncia e scrittura.
Tra i dittonghi e confluiscono in (mute). tende a semplificarsi in dopo l, r, e (rude, chew, June).
passa a (law).
Le spiranti allungano il suono di una a che le preceda: mass , bath , staff .
La r, peraltro destinata a scomparire dopo vocale, impedisce il GVS introducendo uno scevà: door , clear .
Scompaiono i suoni e , tranne in prestiti come lo scozzese loch o nei grecismi (ad esempio chemistry ). Il gh che li rappresentava perde ogni suono causando l'allungamento di compenso della vocale precedente e conseguente dittongazione (bright, night) ( > > , > > ) oppure, specie in fine di parola, diventa (cough).
Caso particolare è il pronome di prima persona I, che deriva dall'antico *igh (cfr. tedesco ich), ma nel passaggio dal MI all'inglese moderno, oltre al GVS subito dalla vocale lunga , ha visto cadere anche nello scritto il digramma gh.
diventa (tranne che al Nord) ma si mantiene la grafia wh.
tende a fondersi con la consonante precedente: ocean > , measure > , future > , ecc.
Uno dei fatti più importanti è la scomparsa della r postvocalica. Questa è una caratteristica tipica del Sud, assente dalle Midlands verso nord e in Scozia. È assente negli Stati Uniti tranne che nella Nuova Inghilterra orientale e nel Sud.
Sostantivo
Il plurale in -s si afferma decisamente. Restano alcune forme con apofonia (foot > feet; man > men, woman > women, tooth > teeth, mouse > mice) e alcuni plurali in nasale (child > children, ox > oxen).
Aggettivi
Gli aggettivi sono normalmente invariabili, ma ci sono casi in cui il genere della lingua antica si è preservato: blond cambia a blonde con sostantivi femminili.
Verbi
Diminuiscono notevolmente i verbi forti (ormai chiamati "irregolari"). All'interno di questa categoria scompare spesso la distinzione tra simple past (passato remoto) e perfect participle (participio passato), come in cling, clung, clung.Il congiuntivo si riduce fin quasi a scomparire. È infatti indistinguibile dall'indicativo tranne nei rari casi in cui ha una forma diversa: terza pers. sing. adesinenziale (he do), forme be e were del verbo essere.
La desinenza della terza persona singolare oscilla fra -(e)th (meridionale) e (e)s (settentrionale). Sarà quest'ultima forma a prevalere.
La forma progressiva (to be ...ing) diventa regolare.
La costruzione del present perfect con ausiliare essere (I am come) diventa molto rara, mentre si afferma la costruzione con ausiliare avere (I have come).
Inoltre, al simple past e al perfect participle, i verbi regolari terminano con il suono [d], [t] o [id] (esempio: "danced" [t], "changed" [d], "started" [id]).
Influenza delle lingue romanze sull'inglese
La lingua germanica delle isole britanniche, per quanto sia difficile parlare di un antico inglese unitario, subì una notevole latinizzazione in due fasi principali:
l'arrivo dei monaci al seguito di Agostino di Canterbury (primate della Chiesa cattolica in Inghilterra nel 601), che predicavano e scrivevano in latino
la sconfitta, nel 1066, di Aroldo II, ultimo re anglosassone, da parte di Guglielmo il Conquistatore, pretendente al trono inglese che devastò ed espropriò tutte le terre e i beni del paese che passarono ai vassalli e vescovi normanni a lui fedeli, tutti francofoni: questo momento terribile, in cui Wulfstan, l'arcivescovo di York volle vedere la fine del mondo ("Pentitevi, ché il Giorno del Signore è alle porte"), era destinato a cambiare per sempre il volto delle Isole britanniche.
Mutazioni semantiche dei lemmi francesi
Di solito, quando una parola straniera è introdotta in una lingua essa subisce ciò che Baugh e Cable, adattando un termine dalla botanica, chiamano "sviluppo interrotto". In inglese è possibile trovare molte parole francesi nella forma in cui furono importate in Inghilterra nel Medioevo: si confronti l'inglese default col francese défaut, l'inglese subject col francese sujet. Le parole francesi, quando non rimaneggiate dagli umanisti nel XVI secolo, hanno quindi conservato la forma con la quale furono introdotte nel Medioevo, in quanto isolate in un contesto linguistico a loro estraneo, quello germanico-anglosassone.
A differenza della forma, il significato delle parole mutuate del francese dovette invece adattarsi nell'inglese, a causa della concorrenza di altre parole germanico-anglosassoni con il medesimo significato, spesso cambiandolo o portando all'estinzione del termine. Così, ad esempio, mentre courir non attecchì per la maggiore frequenza di run, le parole che si riferivano alla vita dell'alta società, che fu francofona per gran parte del Medioevo, ebbero la meglio: court (francese moderno cour) e chivalry (nel senso di "cavalleria"). Interessante l'esempio di "maiale", parola per la quale esistono due versioni diverse: pig è la bestia viva, che diventava pork (dal francese porc) quando era cucinata dai ricchi normanni (i contadini anglosassoni non potevano permettersi di mangiare molta carne di maiale, e lo allevavano per i proprietari normanni).
Esistono diverse altre coppie sinonimiche, in cui il termine più comune, quotidiano e corrente è di radice germanica mentre quello alto ha radice latina (attraverso il francese). Si tratta di un fenomeno tipico della lingua inglese, non certo limitato agli alimenti, ma esteso anche a concetti metafisici, dove l'accezione elevata tende sempre a sviluppare il termine da radici latino-francesi (a differenza, per esempio, di quanto avviene in tedesco). Ne sono esempi:
ox "bue", cow "mucca", calf "vitello"; beef "carne di manzo" (dal francese bœuf, "manzo");
sheep "pecora"; mutton "carne di pecora" (dal francese mouton, "pecora")
time "tempo (cronologico)"; tense "tempo (verbale)" (dal francese temps);
freedom "libertà (concreta)"; liberty "libertà (idea)";
strength "forza (concreta)"; force "forza (in fisica)".
In altri casi ancora è difficile rinvenire accezioni ben distinte nei due termini sinonimi, quello germanico e quello latino, come accade per esempio con wedding, marriage, matrimony, espousal, tutti "matrimonio".
Questo complesso scenario in cui le parole di origine romanza lottano per la sopravvivenza contro quelle anglosassoni, riflette il conflitto ben più drammatico tra civiltà anglosassone e normanna. Dopo il distacco politico dell'Inghilterra dalla Francia (XIII secolo) il francese perse prestigio: spassosa testimonianza ne è il personaggio della Monaca nei Racconti di Canterbury, che parla maccheronicamente provocando l'ilarità della gente.
L'età moderna
Diverse furono le parole eliminate sia nell'anglosassone sia nella fase franco-normanna. Nell'età elisabettiana si re-introdussero termini francesi in forma più moderna e molti lemmi italiani prima sconosciuti (si pensi solo all'influenza delle forme letterarie come il sonetto, la commedia dell'arte, la musica italiana e la tragedia senechiana mutuate su modelli italiani). Il teatro elisabettiano sfruttò tra l'altro la presenza di una folta compagnia di attori e letterati italiani.
Fonologia
Vocali
Le vocali dell'inglese variano molto da dialetto a dialetto; pertanto, le vocali si possono trascrivere con simboli diversi a seconda della diversa articolazione.
Monottonghi
I monottonghi del General American variano da quelli della Received Pronunciation in alcuni modi:
Le vocali si differenziano più per qualità che lunghezza.
La vocale centrale della parola nurse è rotacizzata o occupa il nucleo sillabico .
I parlanti fanno una distinzione tra la rotica e la non rotica .
Nessuna distinzione è presente tra e . Molti parlanti non distinguono neanche .
Le vocali ridotte esistono in alcune sillabe atone. La quantità di distinzioni esistente varia da dialetto a dialetto. In alcuni dialetti le vocali atone sono vocali centrali, ma sono altrimenti distinte, mentre in Australia e molte varietà dell'inglese americano tutte le vocali atone convergono nello scevà . Nella Received Pronunciation esiste una distinta vocale centrale chiusa. Il dizionario OED la trascrive .
: roses (converge in in inglese australiano)
: Rosa's, runner
: bottle
: button
: rhythm
Dittonghi
{| class="wikitable"
|+Dittonghi dell'inglese
! rowspan="2"|
! rowspan="2"|RP
! rowspan="2"|Australiano
! colspan="2"|Nordamericano
|-
! GA
! Canadese
|- align="center"
|low || || ||colspan="2"|
|- align="center"
|loud || rowspan="2" | ||rowspan="2"| || rowspan="2" |||
|- align="center"
|lout || 1
|- align="center"
|lied || rowspan="2"| ||rowspan="2" | || rowspan="2" | ||
|- align="center"
|light || 1
|- align="center"
|lane || || || colspan="2"|
|- align="center"
|loin || || || colspan="2"|
|- align="center"
|leer || || || colspan="2"| ³
|- align="center"
|lair || ² || ²||colspan="2"| ³
|- align="center"
|lure || ² || || colspan="2"| ³
|}
In inglese canadese esistono allofoni di e . Questo fenomeno (chiamato Canadian raising) esiste (specialmente per ) in molte varietà dell'inglese americano, notevolmente nel Nordest, così come in alcune varietà dell'Inghilterra orientale. In alcune zone, specialmente nel nordest degli Stati Uniti, ) diventa .
Nella Contemporary Received Pronunciation, le vocali di leer e lair sono molto spesso pronunciate come monottonghi , rispettivamente, mentre la vocale di lure è pronunciata da alcuni e da altri. Nell'inglese australiano lair è e lure può diventare .
Negli accenti rotici, le vocali di parole come pair, poor e peer si possono analizzare come dittonghi, anche se alcune descrizioni le considerano vocali con la in posizione coda sillabica.
Consonanti
La tabella seguente contiene i fonemi consonantici presenti nella maggior parte delle varietà inglesi. Dove le consonanti appaiono a coppie, quella a destra rappresenta una consonante sonora, mentre quella a sinistra è sorda.
Consonanti nasali e liquide possono costituire nucleo sillabico in posizione atona, anche se può essere analizzato come .
Consonanti postalveolari vengono normalmente labializzate (e.g., ), così come /r/. Questo fenomeno si trascriva raramente.
La fricativa velare sorda si trova solo in alcune varietà, come l'inglese scozzese. In altre varietà, questo fono viene sostituito da .
La sequenza /hw/, l'approssimante labiovelare sorda , è talvolta considerata un fonema distinto. Per molti parlanti, parole che contengono questa sequenza si pronunciano con ; il fonema è ancora presente, per esempio, nella maggior parte del sud degli Stati Uniti e in Scozia.
Dipendendo dall'accento, può essere un'alveolare , un'approssimante post-alveolare, o un'approssimante labiodentale.
Molte varietà hanno due allofoni di , la L "chiara" e "scura" o velarizzata. In alcune varietà, la può essere sempre l'una o sempre l'altra.
{|
| || pit
| || bit
|-
| || tin
| || din
|-
| || cut
| || gut
|-
| || cheap
| || jeep
|-
| || fat
| || vat
|-
| || thin
| || then
|-
| || sap
| || zap
|-
| || she
| || measure
|-
| || loch
|
|-
| || we
| || map
|-
|-
| || left
| || nap
|-
| || run (anche , )
| || yes
|-
| || ham
| || bang
|}
Grammatica
La grammatica inglese esibisce una quantità minima di inflessione rispetto ad altre lingue indoeuropee. Per esempio, l'inglese contemporaneo, relativamente diverso dal tedesco, il nederlandese e le lingue romanze, manca di genere grammaticale e concordanza aggettivale. I casi sono tutti scomparsi ma in parte sopravvivono nei pronomi. La distinzione tra verbi forti (a volte chiamati "irregolari" per es. speak/spoke/spoken) e quelli deboli (chiamati "regolari" per es. call/called/called) di origini germaniche è diminuita nell'inglese contemporaneo, e le forme declinate (per es. plurali irregolari) sono diventate più regolari.
Parallelamente, la lingua inglese è diventata più analitica, e l'uso di verbi modali e l'ordine delle parole per comunicare significati diversi è diventato più importante.
Filologicamente parlando, la grammatica della lingua inglese moderna, seppur profondamente diversa dall'originale costruzione della lingua anglosassone, mantiene una forte radice germanica: la totalità dei verbi modali, le desinenze verbali, le preposizioni, le congiunzioni e i suffissi avverbiali sono quasi interamente di origine germanica. Verbi ausiliari segnalano le domande, la negatività, la polarità, la voce passiva e i tempi progressivi, caratteristica che contraddistingue l'inglese dalle lingue neolatine e lo afferma stabilmente come lingua germanica.
Vocabolario
Nel corso dei secoli, il vocabolario inglese è cambiato in modo considerevole.
Come in molte lingue indoeuropee, gran parte delle parole più comuni hanno origine dal proto-indoeuropeo (PIE) tramite la lingua proto-germanica. Tali parole includono i pronomi come I ("io") (cf. ich tedesco, ik gotico), me (cf. mich, mir tedesco, me latino), i numeri, le relazioni famigliari come mother ("madre") (cf. moeder olandese, Mutter tedesco, μήτηρ greco, māter latino), i nomi degli animali (cf. Maus tedesco, muis olandese, μῦς greco, mūs latino; mouse, "topo"), e molti verbi comuni (cf. knājan dell'alto tedesco antico, knā del norreno, γιγνώσκω del greco; to know, "sapere, conoscere").
Le parole di origini germaniche (generalmente le parole provenienti dalla lingua anglosassone) comprendono quasi tutti i pronomi, le preposizioni, le congiunzioni, i verbi modali, ecc. e formano la base della sintassi e della grammatica della lingua inglese.
La brevità delle parole germaniche è dovuta alla sincope nel medio inglese (per esempio, hēafod antico inglese > head inglese moderno; sāwol antico inglese > soul inglese moderno) e la perdita delle sillabe finali dovuta all'accento tonico (eg. gamen antico inglese > game inglese moderno; ǣrende antico inglese > errand inglese moderno).
Le parole più lunghe e di alto registro dell'antico inglese (germaniche) furono dimenticate dopo la conquista normanna dell'Inghilterra, che influenzò pesantemente il vocabolario della lingua inglese. La maggior parte del lessico dell'antico inglese dedicato alla letteratura, le arti e le scienze smise di essere produttiva quando cadde in disuso, soppiantata da termini di origine francese e quindi neolatina.
Altre influenze, precedenti a quella francese, si ebbero da parte della lingua norrena (una lingua germanica settentrionale) durante le invasioni vichinghe e il Danelaw.
Ciò significa che i parlanti dell'inglese possono scegliere in alcuni casi tra sinonimi di origini germaniche e altri di origini latine: come e arrive ("arrivare"); sight e vision ("visione, vista"); freedom e liberty ("libertà"). In più, esistono sinonimi di origini diverse e multiple: sick (antico inglese; germanico), ill (norreno; germanico), infirm (francese; neolatino), afflicted (latino) che vogliono dire "ammalato". Tali sinonimi introducono una varietà di sinonimi diversi che permettono ai parlanti di esprimere sfumature diverse e precise. Una buona conoscenza delle etimologie di tali sinonimi può dare ai parlanti dell'inglese controllo sul proprio registro.
Origini delle parole
A causa delle influenze francesi-normanne, è possibile, in un certo senso, dividere il vocabolario in parole di origine germanica (più usate quotidianamente) e di origine latina (prevalenti se presa in analisi la totalità del vocabolario inglese). Quelle latine derivano o direttamente dal latino o dal franco-normanno.
La maggioranza (il 57%) delle 1000 parole inglesi più comuni, e il 97% delle 100 più comuni, ha origini germaniche. Infatti, la maggior parte delle parole d'uso quotidiano sono prevalentemente di questa origine. Pur essendo la maggioranza complessiva delle parole di origini latina (anche tramite il francese), il vocabolario attivo di un madrelingua inglese comprende principalmente parole germaniche.
Nel 1973, in Ordered Profusion di Thomas Finkenstaedt e Dieter Wolff, fu pubblicata un'indagine condotta su quasi 80.000 parole del dizionario Shorter Oxford Dictionary (3ᵃ ed.) che stimava per le parole le seguenti origini:
Le lingue d'oïl, incluso il francese e il normanno: 28,3%
Il latino, inclusi termini scientifici moderni e termini tecnici: 28,24%
Le lingue germaniche, incluso l'antico inglese: 25%
Il greco: 5,32%
Nessuna etimologia conosciuta: 4,03%
Parole derivanti da nomi propri: 3,28%
Tutte le altre lingue: meno di 1%
Un'indagine fatta da Joseph M. Williams in Origins of the English Language di parole prese da migliaia di lettere commerciali ha calcolato le seguenti percentuali:
Il francese (le lingue d'oïl): 41%
Parole inglesi "native": 33%
Il latino: 15%
Il norreno: 2%
Il nederlandese: 1%
Altre lingue: 10%
Origini nederlandesi e basso-tedesche
Molti vocaboli riguardanti la marina militare, le navi, e altri oggetti e attività dell'ambiente marino hanno origini olandesi. Esempi includono yacht (jacht), skipper (schipper) e cruiser (kruiser, "incrociatore"). Altre parole si riferiscono alle arti o alla vita quotidiana: easel (ezel, "cavalletto"), etch (etsen, "incidere"), slim (slim, "snello"), e slip (slippen, scivolare).
Tra le parole derivate dal basso-tedesco vi sono trade (trade, "mestiere"), smuggle (smuggeln, "contrabbandare"), e dollar (daler/thaler, "dollaro" e "tallero").
Origini francesi-normanne
Una grande quantità di vocaboli di origini francesi entrarono nella lingua inglese tramite l'anglo-normanno parlato dai nobili inglesi nei secoli dopo la conquista normanna. Alcuni esempi di parole di origine francese sono competition, mountain, art, table, publicity, police, role, routine, machine, force e migliaia di altre. Tali parole vennero generalmente anglicizzate per accordarle alle regole di fonetica, pronuncia e ortografia germaniche, con alcune eccezioni.
Dialetti e varietà regionali
L'inglese della Gran Bretagna
La Received Pronunciation
L'accento britannico noto come "Received Pronunciation" ha le seguenti caratteristiche:
È una pronuncia non-rotica, cioè la r non è mai pronunciata dopo una vocale a meno che non sia seguita da un'altra vocale (anche iniziale di una parola successiva).
La l è velarizzata in fine di sillaba (mill ), chiara in tutte le altre posizioni.
Non c'è distinzione tra w e wh .
La o lunga (mode) si pronuncia come uno scevà seguito da /ʊ/, .
La u breve (but), trascritta tradizionalmente con , ha un suono molto chiuso, praticamente .
Altre varietà britanniche
La pronuncia dialettale centro-settentrionale dell'Inghilterra (dallo Staffordshire, Leicestershire e Lincolnshire verso nord) è caratterizzata dai seguenti fatti fonetici:
GSV assente: cloud si pronuncia , house , night .
Una vocale derivata da â dell'AI si pronuncia : stone .
dell'AI è conservato: lang = long dello standard.
Il gruppo wh è generalmente pronunciato .
La u breve si pronuncia : butter invece di .
Path, grass, laugh, ecc. si pronunciano , , anziché , ecc.
La pronuncia è rotica (r pronunciata in tutte le posizioni).
Nel sud d'Inghilterra:
Il gruppo path, grass, ecc. si pronuncia , , ecc.
h generalmente non è pronunciata.
I dialetti occidentali (Dorset, Somerset, Devon) sono rotici e conservano la desinenza -eth/-th alla terza persona sing. dei verbi (e.g. doeth, goeth, hath).
Nei dialetti orientali (Kent, Dorset) le fricative sorde in inizio di parola sono sonorizzate: farm , sea .
A Londra e nelle Home Counties tende a diventare o : they .
In Scozia:
L'inglese scozzese è un accento rotico, ossia il fonema è pronunciato anche in coda di sillaba.
e hanno anch'essi un contrasto, dunque shore e sure hanno una pronuncia differente, e così pour e poor.
[x] è comune in nomi e parole gaeliche (lingua celtica) o scots (lingua germanica, ma ben diversa dall'inglese nella sua evoluzione), tanto da essere spesso insegnato ai visitatori, soprattutto per il "ch" di loch. Alcuni parlanti lo impiegano anche in prestiti dal greco, esattamente come accade nel greco moderno e nella koinè, tuttavia il fonema corrispondeva a [kʰ] in lingua greca antica.
La quantità vocalica non è normalmente distintiva, nonostante la presenza della regola della quantità vocalica scozzese (Scottish vowel length rule), per cui alcune vocali come /i/, /u/, e /æ/) sono solitamente lunghe ma brevi davanti a consonanti nasali ed occlusive sonore. Questo non accade tra morfemi, quindi c'è una distinzione tra coppie come crude e crewed, need e kneed e side e sighed.
Cot e caught in quasi tutte le varietà centrali sono omofoni.
L'inglese irlandese
L'Irlanda si può suddividere, dal punto di vista linguistico in tre aree:
La costa orientale (o English Pale), con Dublino al centro, in cui l'inglese si è affermato già nel XVII secolo. L'inglese parlato in questa regione, denominato appunto inglese irlandese o Hiberno English, conserva molti dei tratti portati nell'isola dai coloni inglesi.
La frangia occidentale (o Gaeltacht), in cui il gaelico irlandese è ancora nell'uso quotidiano.
Tra le due si trova l'area centrale, in cui l'inglese si è affermato tra il XVII e il XX secolo.
L'inglese parlato in Irlanda ha subito poche variazioni a livello di pronuncia mantenendosi per alcuni aspetti molto conservativo. Perfino nel ventunesimo secolo l'influsso dello standard britannico non si fa sentire molto al di fuori di Dublino.
A livello fonetico l'inglese irlandese è caratterizzato dai seguenti fenomeni:
I dittonghi e tendono a confondersi, e si realizzano, a seconda della regione, come o .
I dittonghi e si presentano come e : face , load .
La derivata da si presenta come : meat .
La r si pronuncia sempre.
La l è sempre chiara, mai velarizzata.
tende a diventare e . Non si distinguono parole come thorn e torn, then e den.
e davanti a consonante vengono spesso realizzate come la "sc" di scena e la "j" francese , specialmente al sud. Fist quindi si pronuncia come se fosse scritto "fisht".
Nel lessico si riscontrano, come avviene in Scozia, termini peculiari di origine gaelica, per es. slean, vanga, che quindi vengono pronunciati seguendo le regole fonetiche gaeliche.
L'inglese americano
L'inglese americano è un insieme di varianti della lingua inglese parlate negli Stati Uniti d'America. Circa i due terzi dei madrelingua inglesi vivono negli Stati Uniti. L'accento più neutrale dell'inglese americano si chiama General American. Si basa sugli accenti del Midwest e ha le seguenti caratteristiche:
È una pronuncia rotica, cioè la /r/ si pronuncia in tutte le posizioni. Per alcuni parlanti, la /r/ si realizza come l'approssimante retroflessa, , invece del fono tipico inglese, l'approssimante alveolare, .
Le sequenze /ər/ (butter) e /ɜr/ (bird) hanno come realizzazione vocali rotacizzate indicate con i simboli [ɚ] oppure [ɝ].
Il father-bother merger è prevalente; i fonemi /ɑː/ e /ɒ/ hanno tutti e due la realizzazione [ɑ].
Alcuni accenti subiscono il caught-cot merger dove i fonemi /ɑ/ e /ɔ/ hanno la stessa realizzazione: [ɑ].
La presenza del tapping dei fonemi /t/ e /d/ in posizione intervocalica rende la realizzazione di entrambi fonemi uguale: , una singola vibrazione della r italiana. Per esempio, butt'er .
La l è sempre velarizzata (mill ).
Altre varietà
Cockney
L'inglese americano presenta a sua volta diverse varietà, che sono caratterizzate da un altro tipo di pronuncia. Tra queste, le più importanti:
Inglese californiano
Inglese afro-americano vernacolare
Inglese del Nord-Ovest del Pacifico
Inglese australiano
Inglese aborigeno
Inglese canadese
Inglese giamaicano
Inglese neozelandese
Inglese sudafricano
Inglese indiano
Note
Bibliografia
Simeon Potter, Our Language, Pelican Books, 1957
Fausto Cercignani, Shakespeare's Works and Elizabethan Pronunciation, Oxford, Clarendon Press, 1981.
Dobson, E. J., English Pronunciation 1500-1700, 2 ed., 2 voll., Oxford, Clarendon Press, 1968.
Bryan A. Garner, A Dictionary of Modern Legal Usage, Oxford, Oxford University Press.
Maria Fraddosio, ELS: English for Law Students - Corso di inglese giuridico, Napoli, Edizioni Giuridiche Simone, 2004.
Gianfranco Barbieri, Livio Codeluppi, How to Tackle Readings in Business and Economics , Milano, LED Edizioni Universitarie, 1993, ISBN 88-7916-033-8
Albert C. Derouaux, Guidebook to Translating from Italian into English, Milano, LED Edizioni Universitarie, 1991, ISBN 88-7916-001-X
Voci correlate
Aggettivo dimostrativo (lingua inglese)
Australia
Canada
Colonie britanniche
Frase ipotetica inglese
Gran Bretagna
Inghilterra
Inglese nell'informatica
Irlanda
Middle English Dictionary
Nuova Zelanda
Online Etymology Dictionary
Ortografia della lingua inglese
Pronuncia del th inglese
Purismo linguistico in inglese
Pronuncia dell'inglese
Paesi anglosassoni
Pronuncia italiana della lingua inglese
Scozia
Stati Uniti d'America
Sudafrica
Trasparenza fonologica
Euroinglese
Slang
Altri progetti
Collegamenti esterni
Grammatica Inglese Grammatica inglese ed esercizi interattivi inglese
Dizionari
Sansoni, Oxford Paravia concise, Il grande inglese Picchi, Garzanti Hazon (richiede registrazione), Wordreference English-Italian Dictionary, Dicios Inglese-Italiano, Dizionario-inglese.org, Woxikon English-Italian Dictionary.
Dizionario europeo interattivo di terminologia: un'enorme risorsa linguistica con glossari e traduzioni di parole di ogni genere da e verso tutte le lingue europee, con spiegazioni, fonti e classificazione dell'attendibilità delle diverse traduzioni; particolarmente prezioso per la terminologia tecnica e specialistica (è la risorsa dei traduttori di documenti ufficiali dell'Unione europea).
Pronuncia
Sound Comparisons : per ascoltare e paragonare come si pronunciano le stesse parole nei vari accenti regionali e internazionali dell'inglese (pagina dell'Università di Edimburgo).
Lista dei verbi irregolari con pronuncia, su verbi-irregolari-inglese.it.
Traduttori
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Inglese |
2525 | https://it.wikipedia.org/wiki/LyX | LyX | LyX () è un software libero con interfaccia grafica per elaborare testi. Viene descritto dagli sviluppatori non come un word processor ma come un document processor in quanto permette di concentrarsi sulla struttura del testo invece che sul suo layout. La fase di stampa viene gestita producendo codice , con il quale è possibile una stampa di qualità elevata. Gli sviluppatori ci tengono a sottolineare che si tratta di un editore WYSIWYM (What You See Is What You Mean) e non WYSIWYG (What You See Is What You Get).
È particolarmente adatto all'elaborazione di testi scientifici, ma si sta diffondendo in ambito umanistico e in generale accademico, grazie anche alla possibilità di gestire database bibliografici (attraverso BibTeX), ed è spesso usato per la scrittura di romanzi, specialmente eBook. Si pone come alternativa a nel senso che pur producendo codice evita di doverlo scrivere, il che è particolarmente vantaggioso in documenti con formule matematiche o tabelle. Gli sviluppatori in realtà non gradiscono troppo la definizione di «front end di », giustificando ciò con il fatto che non memorizza il documento con codice ma con un proprio formato, e anche dal fatto che si possono esportare i documenti anche in altri formati, come ad esempio DocBook. La presenza di è comunque indispensabile ed è innegabile che LyX trovi i suoi utenti in particolar modo tra utilizzatori di . Infatti in diversi siti personali, di persone anche esterne al progetto LyX, il programma viene praticamente sempre citato in ambito . Lo stesso vale per le diverse recensioni che si possono trovare nelle riviste o, più raramente, nei libri.
È disponibile soprattutto per sistemi operativi con X11 (tipicamente Unix e GNU/Linux), ma esistono anche versioni binarie per Win32 e Mac OS X.
Storia
LyX nasce nel 1995 come tesi di laurea di Matthias Ettrich, iniziatore e attuale coordinatore del più famoso progetto KDE. Lo scopo iniziale era un programma che permettesse di fare dei "documenti belli". Il progetto nasce con il nome LyriX in ambiente Unix, sui calcolatori dell'Università di Tübingen, dove l'iniziatore era studente di informatica. Dopo pochi mesi Ettrich rende pubblico il proprio progetto, distribuendolo a partire dalla versione lyrix-1.03 del 7 luglio 1995 con la licenza GPL. In un lungo thread svoltosi nei mesi di giugno e luglio 1995 nel gruppo di discussione comp.os.linux.misc, vengono discussi i primi progetti di wordprocessor WYSIWYG per GNU/Linux e il 29 giugno compare il primo riferimento a LyriX, primo nome di LyX. Dalla discussione che ne segue si vede che LyriX benché dichiarato dall'autore ancora in fase alpha, è considerato abbastanza maturo per essere usato.
Nel 1996 — nell'ambito del nuovo progetto KDE — Ettrich crea KLyX, una versione di LyX per KDE, che si basa sulle librerie Qt della Trolltech.
Dalla versione 1.3 il frontend Qt viene integrato nella distribuzione standard di LyX, fino a quando con la versione 1.5 le Xforms usate in precedenza vengono abbandonate del tutto, risolvendo definitivamente dei problemi legati alla licenza di distribuzione.
La distribuzione
LyX può essere usato sotto diverse piattaforme Unix (GNU/Linux, macOS, BSD, Irix, Solaris e altre), OS/2 e Windows. Non tutte le funzionalità sono supportate da tutte le piattaforme. In particolare, il LyX-server non è supportato da Win32 in quanto utilizza caratteristiche della gestione dei file inesistenti sotto Windows.
LyX può essere scaricato dal sito ufficiale e da suoi mirror, sia il sorgente che le versioni compilate; inoltre è incluso in tutte le principali distribuzioni Linux, in cui è possibile installarlo direttamente dal gestore di pacchetti.
Le forme di comunicazione e informazione
LyX, come d'altronde la stragrande maggioranza dei prodotti opensource, non viene pubblicizzato in senso convenzionale. La sua diffusione è dunque legata ad altre forme di informazione. Una è la presenza stessa nelle distribuzioni GNU/Linux, in quanto il software di queste è organizzato in pacchetti. LyX viene compreso ad esempio nel pacchetto dedicato a e viene presentato come un "wordprocessor WYSIWYG basato su ". Il target in questo caso sono le persone interessate a e non persone alla ricerca generica di un programma per videoscrittura.
Un'ulteriore forma per aumentare la popolarità di LyX sono articoli su riviste o libri. Si tratta di riviste e testi dedicate a GNU/Linux o . A parte le 25 pagine nel libro di Kofler, per il resto si tratta di una presentazione più o meno ampia del programma, indicando a volte il sito Internet oppure includendo il programma nel CD allegato.
Inoltre esistono articoli o citazioni pubblicate su Internet da parte di siti specializzati in notizie e dunque visitati da utenti che di per sé possono persino ignorare l'esistenza di . Il sistema di ipertesto permette a tali articoli di rinviare direttamente al sito di LyX o ad altre risorse collegate. Gli articoli trovati risultavano nella stragrande maggioranza presenti in siti specializzati per GNU/Linux.
Esiste pure la possibilità che una persona utilizzi un motore di ricerca ricercando un programma o altro, senza conoscere l'esistenza di LyX. Interrogando i motori di ricerca si è visto che una ricerca riguardante e WYSIWYG porta ottimi risultati per LyX, ma anche una ricerca per un wordprocessor sotto GNU/Linux ha buone probabilità di indicare LyX.
A queste forme di pubblicità bisogna aggiungere un'ultima risorsa direttamente controllabile dal LyX-Team: i gruppi di discussione, in particolar modo comp.os.linux.announce. Intervistando gli utilizzatori di LyX è risultato che le succitate modalità sono state effettivamente la fonte per la scoperta di LyX, alle quali bisogna aggiungere il passaparola tra amici o colleghi. Le due modalità principali risultano essere Internet, specialmente con i motori di ricerca, e la presenza di LyX dentro le distribuzioni GNU/Linux.
Per concludere si possono citare le occasioni nelle quali singoli collaboratori del progetto presentano LyX a convegni o incontri riguardanti l'Open Source in genere e GNU/Linux in particolare.
Il processo di sviluppo di LyX
La genesi del progetto
Gli inizi
LyX nasce nel 1995 come tesi di laurea di Matthias Ettrich. Già dal primo anno cominciano le prime collaborazioni, alcune delle quali durano fino alle attuali versioni. Nel 1998 compaiono raccolte di software su CD che includono per la prima volta anche LyX.
Tra il 1997 e il 1998 si sviluppa una discussione su quali librerie grafiche utilizzare. Di fatto vengono proposte le librerie Qt e gtk+, la prima non ancora libera, l'altra nata già GPL. In quest'ambito Ettrich porta LyX verso il progetto KDE creando KLyX, ma la scelta della libreria Qt porta a discussioni sul fatto che non essendo tali librerie libere, di fatto veniva violata la licenza GPL con la quale veniva distribuito LyX. D'altronde anche l'utilizzo delle librerie xforms violava la GPL. Da qui la scelta di licenziare LyX con una GPL modificata.
KLyX esce in marzo 1998, ma non ha tra gli sviluppatori il successo sperato, in quanto gli sviluppatori di LyX non passano al nuovo progetto e la collaborazione tra i due non è intensa. Questa biforcazione del codice mette però in evidenza l'utilità di sviluppare LyX in modo tale da rendersi indipendenti dall'interfaccia grafica (GUII — GUI Independence).
L'idea e la speranza era di trovare una sufficiente collaborazione sia in campo KDE che in campo Gnome e, in attesa di raggiungere l'indipendenza dalla GUI, mantenere le xforms come una delle possibili implementazioni. I tempi si rivelano più lunghi del previsto, anche se nel 2001 l'indipendenza sembra vicina al successo. Comunque sia, una delle prime conseguenze della decisione a favore della GUI è che si separa lo sviluppo del kernel dallo sviluppo riguardante l'interfaccia grafica.
La prima svolta di progettazione
In seguito alle discussioni svoltesi tra gli sviluppatori all'inizio del 1998, anche in seguito alla distribuzione di KLyX, venne deciso di sviluppare LyX in modo tale, da separare il codice di LyX in senso stretto (LyX core o kernel) dal codice necessario per comunicare con l'utente. Questa separazione è cominciata di fatto con la versione (non stabile) 0.13.
La Graphical User Interface (GUI) è composta, oltre che dalla finestra principale che permette di vedere e scrivere il testo, dai menù, dalla barra degli strumenti, il minibuffer, i popup e quant'altro venga usato per comunicare con l'utilizzatore. In LyX, idealmente, la parte GUI è tutto ciò che non serve quando si usa LyX per processi batch.
L'indipendenza dalla GUI implica che gli sviluppatori possono ignorare il lavoro svolto da chi implementa l'interfaccia con l'utente (che potenzialmente potrebbe essere anche di tipo testo e non grafico), mentre gli sviluppatori della GUI possono usare un frontend 7 di proprio piacimento, senza conoscere i dettagli del LyX core. La parte che mette in contatto i due aspetti è il cosiddetto back end.
Tale indipendenza permette così di avere lo stesso programma, LyX, con interfacce diverse, evitando in questo modo il rischio di forking che si concretizzò con KLyX e che avrebbe potuto rendersi necessario con il progetto CJK-LyX. La scelta di separare il più possibile il kernel dall'interfaccia utente rende più facile il port verso sistemi operativi diversi da Unix e GNU/Linux, come ad esempio OS/2 e Windows, aprendo la possibilità ad un port nativo 8. Gli sviluppatori di LyX non hanno seguito completamente la soluzione scelta dal progetto opensource Mozilla, in quanto ritenuto tra l'altro troppo lento, pur considerandolo un punto di riferimento.
L'intenzione è di rendere l'indipendenza il più trasparente possibile dal punto di vista del LyX core. Inoltre dovrebbe rendere possibile lo sviluppo multi-toolkit, in modo che possano esistere diverse versioni di LyX che si distinguono soltanto per l'interfaccia con l'utente, integrandosi meglio con l'ambiente scelto dai porter: KDE piuttosto che Gnome in ambito GNU/Linux, ma anche OS/2 piuttosto che Windows per quanto riguarda i più noti sistemi operativi grafici proprietari.
La GUI non è ancora completa, si tratta infatti di modificare il codice un modo graduale. Non è stato neanche completata una GUI che non usi le xforms che rimangono di fatto l'implementazione di riferimento. Diversi gruppi lavorano alle seguenti librerie come alternativa alle xforms: Gtk/Gnome, Qt/KDE e Qt2. Da quanto pubblicato sul sito si può notare come i diversi gruppi lavorino con priorità simili ma non uguali, in quanto alcune parti sono state implementate da tutti e tre i gruppi, altre invece solo da uno o due di loro. Trattandosi di un progetto che per definizione coinvolge un numero imprecisato di sviluppatori, il LyX-Team ha scritto un'ampia documentazione destinata agli altri (potenziali) sviluppatori.
Le versioni
Nell'arco di quasi cinque anni le linee di codice sono sestuplicate. Al crescere della complessità è corrisposta una equivalente organizzazione dei file i quali mantengono nel tempo certe caratteristiche: sono formati mediamente da 80-90 linee di codice ciascuno, corrispondenti a 20-25 istruzioni elementari con una media di 4 linee di codice per ogni istruzione. Un decimo del codice è formato da commenti.
Al crescere del numero di file nei quali è stato scomposto il codice complessivo, non corrisponde una crescita della complessità. Infatti si registrano mediamente 5-6 #include pro file, sia per le versioni di più modeste dimensioni come la 0.12.0 che per quelle maggiori come la 1.1.6. Stabile pure il rapporto tra istruzioni elementari e l'ammontare di variabili definite, che passa però da una media di 100 istruzioni pro variabile nelle versioni tra la 0.12.0 e la 1.1.4 ad una media di 70 istruzioni pro variabile nelle versioni successive.
Quanto detto indica che al crescere del progetto la complessità è aumentata in modo quasi lineare. Il repentino cambiare di alcuni indicatori mostra come i passaggi dalla versione 0.12 alla versione 1.0 e poi dalla versione 1.1.4 alla versione 1.1.5 siano stati i più intensi per quanto riguarda la programmazione.
La versione stabile pubblicata il 20 maggio 2010 è la 1.6 revisione 6 mentre nove giorni dopo è stata resa disponibile la versione 1.6.6.1 con un importante bugfix allo spellchecker che non rilevava gli errori rimanenti nel documento dopo una correzione. Altre pubblicazioni si sono susseguite con vari bugfix fino alla versione 1.6.10.
L'8 maggio 2011, dopo la pubblicazione di diverse release candidate, gli sviluppatori sono fieri di presentare una nuova versione del programma, la 2.0.0: questa comprende numerose nuove caratteristiche e nuovi strumenti che ne facilitano l'utilizzo. Il 5 settembre 2011, viene pubblicato un nuovo aggiornamento di manutenzione che porta il software alla versione 2.0.1.
LyX è tuttora in sviluppo e sul sito web ufficiale è possibile visionare la roadmap delle versioni pianificate per immediato futuro.
L'organizzazione del progetto
Non esiste un'organizzazione aziendale che si occupa dello sviluppo e la distribuzione di LyX. Si tratta invece di un'organizzazione informale, dove alcune decine di persone collaborano al progetto in modo gratuito e senza impegni formali. Complessivamente quasi un centinaio di persone, da tutti e cinque continenti ma in prevalenza europei, con più di quarant'anni di differenza tra il più anziano e il più giovane ma soprattutto tra i 25 e i 35 anni, hanno contribuito o contribuiscono tuttora ad alcune parti del progetto. Praticamente l'unica lingua di comunicazione è l'inglese.
I gruppi
Ci sono tre gruppi principali:
gli sviluppatori o il developer team.
coloro che si occupano della documentazione (per gli utenti) o documentation-team.
i traduttori e chiunque si occupi dell'internazionalizzazione di LyX.
Una singola persona può senz'altro contribuire ai lavori di più di un gruppo, come effettivamente avviene.
I vari gruppi procedono in modo autonomo. I contatti sono dovuti più che altro al fatto che coloro che effettuano la documentazione necessitano di saperne di più da parte degli sviluppatori, e, analogamente, coloro che traducono i "manuali" hanno bisogno di informazioni supplementari da parte di chi cura la documentazione.
Il Developer Team
È formato da una ventina di programmatori, di cui una manciata sono coloro che vi lavorano con più impegno, da più tempo e pertanto vi svolgono anche il ruolo di "coordinatori" o di "decisori" di un certo rilievo.
Il gruppo centrale degli sviluppatori
Lars Gullik Bjonnes era, prima dell'introduzione del CVS, il patch-mantainer, nel senso che le varie patches venivano spedite a lui, che le metteva poi insieme. Questa responsabilità gli derivava dal passaggio delle consegne avvenuto in seguito all'impegno di Ettrich a favore del progetto KDE. Con l'introduzione del CVS Bjonnes è colui che ne gestisce i diritti di scrittura. È inoltre lui che cura l'hardware (e il software) che ospita il sito principale www.lyx.org (compresi i sottodomini). Gli viene riconosciuto di fatto un ruolo maggiore sia perché partecipa al progetto fin dagli inizi, sia per le sue capacità, pur rifiutando l'etichetta di "capoprogetto".
Alcuni sviluppatori come Jean-Marc Lasgouttes, Jürgen Vigna e, per alcuni ambiti particolari, Angus Leeming e Allan Rae, hanno un particolare peso quando devono essere prese decisioni che riguardano più parti del codice o il progetto nel suo complesso (vedasi oltre, sui processi decisionali).
Un'altra decina di sviluppatori collaborano in modo continuativo al progetto ed hanno diritti di scrittura su alcune o tutte le directory del CVS. Altri ancora, pur ricevendo gli annunci tramite una mailinglist riservata, non possono parteciparvi (vedasi oltre, sui metodi di comunicazione). Infine vi sono sviluppatori che offrono sporadicamente contributi o patches, ma che non si può dire appartengano al gruppo LyX vero e proprio. Quando si vede che uno di questi collaboratori invia in modo più assiduo dei contributi ritenuti validi, gli viene proposto di entrare nella lista riservata degli sviluppatori oppure gli si assegnano i diritti di scrittura su una directory del CVS.
Come si può vedere nel riquadro nella pagina seguente, il gruppo principale degli sviluppatori è formato da persone che di professione si occupano di informatica o di matematica. L'età va dai 25 ai 35 anni, quattro sono sposati. Salvo RAE, l'unico di madrelingua inglese, parlano tutti correntemente almeno una lingua straniera, alcuni anche più di una. Lingua principale di comunicazione è l'inglese, parlato da tutti correntemente.
Salvo Pönitz e Rae, tutti gli altri hanno conosciuto LyX già ai suoi inizi, anche se non tutti hanno cominciato a contribuire al progetto fin dall'inizio, ma comunque da prima del 1999.
I processi decisionali
Non esistendo di fatto una vera e propria gerarchia, le decisioni vengono prese tramite consenso che si basa sul tacito e reciproco riconoscimento delle competenze dei colleghi. Solitamente colui che mantiene una directory del CVS può agire in piena libertà fin quando le sue decisioni non incidono sul lavoro altrui. Anche in questi casi però i suoi colleghi possono fare le osservazioni che ritengono opportune, sia riguardo all'implementazione del codice che alla sua leggibilità. Di fatto la responsabilità della decisione da prendere rimane sempre a colui che mantiene la directory.
Decisioni di più ampio respiro vengono discusse pubblicamente sulla mailing list, ove sia i pareri positivi che quelli negativi vengono motivati. La continua discussione fa in modo che venga presa la decisione ritenuta dai più la migliore. Coloro che la pensano diversamente accettano, dissentendo, tale decisione. Non si tratta di una decisione a maggioranza vera e propria, in quanto i pareri dei singoli vengono in qualche modo "pesati" dall'esperienza e competenza e dall'"autorità" di chi li esprime.
I contributi di "esterni" vengono o immediatamente accettati, per esempio in quanto si tratta di patches precise, oppure ne viene discussa l'utilità o meno del contributo, oltre che l'eventuale implementazione. Qualora il contributo non fosse interessante, la discussione si zittisce per mancanza di interesse.
Il singolo programmatore, quando vuole implementare una nuova funzione o effettuare modifiche più o meno ampie al proprio codice, può crearsi una propria sottodirectory all'interno della directory principale del CVS, testare il proprio codice e quando ritiene che questo funzioni, proporlo per un test agli altri e includerlo nella directory principale del CVS (cancellando solitamente la sottodirectory che creò provvisoriamente).
La condivisione del codice
Trattandosi di un progetto open source, è evidente che chiunque possa vedere il codice, a maggior ragione gli sviluppatori stessi. Questo non vuol dire però che chiunque abbia i diritti di scrittura su qualsiasi directory del CVS e anche in questi casi, il tacito accordo tra gli sviluppatori è che eventuali modifiche riguardanti codice "altrui" vengano proposte a colui che ne mantiene la directory.
Note
Altri progetti
Collegamenti esterni
TeX editor |
2526 | https://it.wikipedia.org/wiki/Linux | Linux | GNU/Linux, comunemente noto come Linux (, pronuncia inglese ), è una famiglia di sistemi operativi liberi e open source di tipo Unix-like, pubblicati in varie distribuzioni, aventi la caratteristica comune di utilizzare come nucleo il kernel Linux: oggi molte importanti società nel campo dell'informatica come: Google, Microsoft, Amazon, IBM, Oracle, Hewlett-Packard, Red Hat, Canonical, Novell e Valve sviluppano e pubblicano sistemi Linux. Un esempio molto conosciuto è Ubuntu di Canonical (il cui codice sorgente deriva da Debian).
Storia
Linus Torvalds e gli esperimenti con Minix
Il primo nucleo del kernel Linux fu creato il 25 agosto 1991 dal giovane studente finlandese di informatica Linus Torvalds che, appassionato di programmazione, era insoddisfatto del sistema operativo Minix (sistema operativo unix-like destinato alla didattica, scritto da Andrew S. Tanenbaum, professore ordinario di Sistemi di rete all'università di Amsterdam), poiché supportava male la nuova architettura i386 a 32 bit, all'epoca tanto economica e popolare. Così Torvalds decise di creare un kernel unix con lo scopo di divertirsi e studiare il funzionamento del suo nuovo computer, che era un 80386.
Il sistema operativo basato sul kernel programmato da Torvalds, chiamato Linux, per girare utilizzava inizialmente, oltre al kernel di Torvalds, lo userspace di Minix. Successivamente, Linus decise di rendere il sistema indipendente da Minix, anche perché non ne gradiva la licenza che lo rendeva liberamente utilizzabile solo a fini didattici, e decise quindi di sostituire quella parte del sistema operativo col software del progetto GNU. Per fare ciò, Torvalds cambiò la licenza e adottò la GPL, che tra l'altro considerava buona per il suo sistema operativo a prescindere dal software GNU stesso.
Linux era all'inizio un semplice emulatore di terminale scritto in C e assembly, e non aveva bisogno di appoggiarsi a un sistema operativo. L'emulatore di terminale avviava e gestiva due thread: uno per mandare segnali alla porta seriale e uno per riceverli; quando poi Linus ebbe bisogno di leggere e scrivere file su disco, questo emulatore fu esteso in modo che potesse gestire un file system. Lentamente, questo programma si trasformò in un intero kernel in grado di gestire un sistema operativo e Linus iniziò a documentarsi sulle specifiche POSIX, chiedendo assistenza sul newsgroup. La prima versione del kernel Linux, la 0.01, fu pubblicata su Internet il 17 settembre 1991 e la seconda nell'ottobre dello stesso anno.
Torvalds preferiva chiamare Freax il kernel a cui stava lavorando, ma Ari Lemmke, assistente alla Helsinki University of Technology che gli aveva offerto lo spazio FTP per il progetto (ftp.funet.fi), preferì assegnare alla subdirectory dedicata il nome alternativo di lavorazione Linux. Sin dalla versione 0.01 si poteva compilare e far partire la shell GNU Bash. Fino alla versione 0.10 era richiesto un computer con Minix per configurare, compilare e installare Linux perché quest'ultimo usava il filesystem del sistema sul quale si appoggiava; dalla versione 0.11 poteva essere compilato da Linux stesso. Presto i sistemi Linux superarono Minix in termini di funzionalità: Torvalds e altri sviluppatori della prima ora di Linux adattarono il loro kernel perché funzionasse con i componenti GNU e i programmi in user-space per creare un sistema operativo completo, pienamente funzionante e libero. Il 12 marzo 1994 il 16º livello di patch del kernel 0.99 divenne Linux 1.0. Fu lo stesso Linus Torvalds a presentare la prima versione stabile all'Università di Helsinki.
L'implementazione di X Window System
Nella primavera del 1992 l'hacker Orest Zborowski riuscì a rendere eseguibile il server X sulla versione 0.12 di Linux. Per far ciò, Orest dovette implementare tutta la struttura degli Unix Domain Socket indispensabili a X Window e quindi un primo livello socket sul quale venne poi costruita tutta l'infrastruttura di rete di Linux. In realtà, il tutto era imbastito in maniera caotica e non era ben integrato all'interno del kernel, ma Linus accettò comunque la patch perché con essa era possibile sia utilizzare X, sia utilizzare tale infrastruttura per dotare Linux di uno stack di rete.
Entusiasta della novità, Linus pubblicò, dopo la versione 0.13, la versione 0.95, senza pensare a tutti i problemi di sicurezza che la rete avrebbe comportato. Per rimediare alla leggerezza, nei due anni che trascorsero dalla 0.95 alla 1.0, Linus dovette utilizzare sia un ulteriore numero per indicare il livello di patch sia le lettere dell'alfabeto (sino alla versione 0.99.15Z, 0.99 15º livello di patch, revisione Z).
Gli ambienti desktop e gli anni 2000
Nel 1996 fu scelto come logo ufficiale di Linux un pinguino disegnato da Larry Ewing, chiamato Tux come abbreviazione di Torvalds Unix. Il compito di fornire un sistema integrato, che combini tutte le componenti di base con le interfacce grafiche (come per esempio GNOME o KDE, basate a loro volta sulla presenza dell'X Window System) e con il software applicativo, è svolto dalle distribuzioni GNU/Linux.
Per quanto riguarda il kernel vero e proprio, Torvalds già nel settembre 2009 dichiarò che esso è diventato "gonfio e grosso", non così veloce e scattante come quando l'aveva progettato. Riconosce, però, che questo "ingrassamento" non va visto solo come una cosa negativa, perché significa che Linux ha molta più compatibilità rispetto al passato. Nel luglio del 2011, per festeggiare il 20º anniversario della nascita di Linux, Torvalds decise di pubblicare il kernel Linux, passando ad un sistema di numerazione a 2 cifre, pubblicando la versione 3.0 del kernel. L'ultima release della serie 2.6 è stata la 2.6.39. Il 12 aprile 2015 è stata pubblicata la versione 4.0 che oltre a risoluzioni di bug aggiunge supporto a nuovo hardware (come intel quark) e le live patching, ovvero la possibilità di aggiornare il kernel e i punti critici del sistema senza riavviare, questa feature è dovuta anche alla collaborazione di RedHat e SUSE.
L'ultima versione stabile del kernel Linux è la 5.9.8; il suo sviluppo è sostenuto dalla Linux Foundation, un'associazione senza fini di lucro nata nel 2007 dalla fusione di Free Standards Group e Open Source Development Labs.
La definizione GNU/Linux
Con la nascita di GNU (il sistema operativo unix-like ideato nel 1984 da Richard Stallman) e dopo la successiva creazione di Linux (il kernel ideato da Linus Torvalds nel 1991) sono nate accese controversie su come definire qualcosa basato sull'unione di entrambe le tecnologie.
Nonostante la maggior parte delle persone chiami il sistema operativo semplicemente "Linux", la Free Software Foundation ha promosso fortemente la diffusione del termine GNU/Linux, per ragioni riassumibili in:
Semantica Parlare di "sistemi Linux" può trarre in inganno sulla natura di Linux: Linux non è un sistema operativo unix-like, bensì un kernel per sistemi unix-like. È stato fatto un parallelismo fra dire «sistema operativo Linux» e dire «auto guidata dal carburatore».
Credito tecnico Utenti inesperti possono arrivare a dare credito a Linux anche quando non è utilizzato, ad esempio utilizzando sistemi Debian GNU/kFreeBSD o Debian GNU/Hurd. Viceversa gli utenti di "sistemi Linux" possono non venire a conoscenza di GNU, pur utilizzandolo.
Credito per ragioni storichePrima che Linus Torvalds cominciasse a scrivere il suo kernel, lo scopo del progetto GNU era quello di iniziare a sviluppare un sistema operativo completo e libero, sviluppando la maggior parte dei componenti principali e la visione di base. Gli utenti di "sistemi Linux" potrebbero non entrare a conoscenza di queste origini. Inoltre la parola "Linux" ha ragioni storiche meno profonde, dato che non fu inventata da Linus Torvalds (che al contrario aveva scelto il nome Freaks per il suo progetto), bensì dall'amministratore di rete Ari Lemmke, che preferì assegnare a Torvalds la directory FTP chiamata pub/OS/Linux.
Ulteriori motivazioni sulla promozione del termine GNU/Linux e sulla vasta diffusione del semplice termine "sistema Linux" anche in acronimi come "LAMP" sono approfondibili nella pagina dedicata alla controversia sul nome GNU/Linux.
Descrizione
Grazie alla portabilità del kernel, data dalla presenza dei moduli, sono stati sviluppati sistemi operativi per un'ampia gamma di dispositivi:
personal computer
cellulari
tablet computer e console
mainframe
supercomputer
Esistono inoltre sistemi Linux installabili anche come server, router e sistemi embedded.
Attualmente Linux è molto usato, soprattutto come sistema operativo su server, in ambienti di produzione o in dispositivi embedded (PVR, telefoni ecc.) e ha una discreta diffusione in ambiente desktop (circa il 3% dei PC). Anche l'iniziale ampia diffusione sui netbook ha lasciato il passo a Windows, pur mantenendo una quota di penetrazione significativamente superiore a quella dei pc desktop/notebook.
Kernel Linux
Il kernel Linux, uno dei più riusciti esempi di software libero e open source, costituisce il nucleo dei sistemi operativi della famiglia di Linux. Fu inizialmente creato nel 1991 da alcuni studenti di informatica finlandesi tra cui Linus Torvalds, il capogruppo. Successivamente aumentarono in modo repentino i suoi sviluppatori e i suoi utilizzatori che aderivano al progetto del software libero e contribuivano allo sviluppo del nuovo sistema operativo.
Pubblicato, liberamente scaricabile e modificabile sotto la licenza libera GNU GPL (insieme ad alcuni firmware con varie licenze), è continuamente e liberamente sviluppato da collaboratori di tutto il mondo attraverso la relativa community, con lo sviluppo che ogni giorno avviene sfruttando la relativa mailing list, in modo del tutto analogo in cui sono sviluppati i protocolli di Internet. Il ramo di sviluppo principale del kernel Linux prevede che esso contenga anche alcune parti non-libere, offuscate od oscurate come ad esempio alcuni driver. Il progetto Linux-libre si propone come variante completamente libera di Linux, da cui sono nate diverse distribuzioni completamente libere.
Boot loader
Linux come boot loader su MBR utilizza LILO in vecchie versioni e GRUB nelle versioni più moderne.
File system
Il file system utilizzato dai sistemi Linux fa riferimento al Filesystem Hierarchy Standard, uno standard per file system per sistemi Unix e Unix-like di tipo ad albero gerarchizzato. Esso serve per controllare come i dati sono salvati e come vengono recuperati dal disco rigido del computer da utente con privilegi di amministratore o dalla "root" con comando cd / (cd slash).
Utilizzo e applicazioni pratiche
Il kernel Linux gira su svariate architetture: dai cellulari ai PC, ai supercomputer. Speciali distribuzioni esistono per piccole architetture per mainstream. Il fork del kernel ELKS può girare su un Intel 8086 o su un Intel 80286 con microprocessore a 16-bit, mentre il fork del kernel µClinux può girare su sistemi senza MMU. Il kernel gira anche su architetture che erano state progettate per utilizzare il proprio sistema operativo, come: i computer Macintosh della Apple (con architetture PowerPC e Intel), PDA, console, lettori MP3 e telefoni cellulari. Oltre che su postazioni host ovvero desktop computer, Linux è ampiamente utilizzato su postazioni server tramite apposite distribuzioni ottimizzate per la destinazione d'uso, potendo gestire facilmente un gran numero di accessi contemporanei sia lato intranet sia lato internet (server pubblici) e dove i vantaggi in termini di stabilità e affidabilità sono ancor più apprezzati.
Amministrazione
L'amministrazione, da parte di un utente o un sistemista, di un sistema Linux può avvenire per via grafica attraverso un pannello di controllo oppure direttamente da riga di comando o terminale virtuale tramite ricorso a una serie di comandi. Quest'ultima modalità è tipica delle distribuzioni server che per motivi di semplicità e di carico non presentano interfaccia grafica (per l'elenco e descrizione dei comandi vedi fondo voce).
Vantaggi e svantaggi
Numerose distribuzioni sono completamente gratuite, per l'utente privato e per le aziende. Esistono società (Red Hat, Canonical, SUSE e altre) che, dietro compenso, forniscono supporto tecnico e altri servizi per le proprie distribuzioni commerciali. A questo si aggiunge la possibilità di modificare il sistema migliorando in proprio il codice sorgente, fornito con la licenza GPL e di distribuirlo liberamente e legalmente, sotto forma di nuove versioni. Il dibattito sui vantaggi e svantaggi di Linux è spesso ricompreso all'interno della comparazione tra Microsoft Windows e Linux, molto nota agli addetti ai lavori; perché alcune software house, come ad esempio Adobe, non vogliono fare il porting su varie distribuzioni.
Distribuzioni
Non esiste un'unica versione di Linux, ma esistono diverse distribuzioni (chiamate anche distro), solitamente create da comunità di sviluppatori (community) o società, che scelgono, preparano e compilano i pacchetti da includere. Tutte le distribuzioni sono sviluppate in maniera indipendente a partire dal kernel Linux comune (sia pur in versioni diverse e spesso personalizzate), e si differenziano tra loro per il cosiddetto "parco software", cioè i pacchetti preparati e selezionati dagli sviluppatori per la distribuzione stessa, per il sistema di gestione del software, i repository e per i servizi di assistenza e manutenzione offerti.
Esistono distribuzioni eseguibili direttamente da CD o chiave USB: sono chiamate distribuzioni live o desktop CD. Una distribuzione live su CD o USB consente di provare la distribuzione ed eventualmente procedere all'installazione del sistema sul proprio computer.
Sviluppo e promozione
Linux Foundation e Linux Standard Base
La Linux Foundation è un'organizzazione formata dai maggiori produttori di software e hardware il cui obiettivo è di migliorare l'interoperabilità tra le diverse distribuzioni.
Allo scopo, essa ha proposto uno standard aperto e gratuito, chiamato Linux Standard Base (ufficializzato con lo standard ISO/IEC 23360) che definisce una comune ABI (Interfaccia Binaria per le Applicazioni), un unico sistema di pacchettizzazione e una struttura per il file system che preveda le stesse convenzioni sui nomi e le stesse directory basilari in ogni sistema Linux. Molte aziende famose sono entrate nella Linux Foundation tra le quali: Cisco, Huawei, Microsoft, HP, IBM, intel, NEC, Fujitsu, Qualcomm e Samsung.
Esso al momento costituisce lo standard con maggiore appeal, al quale tutte le maggiori distribuzioni si stanno adeguando. Le distribuzioni possono essere specializzate per differenti utilizzi: supporto a particolari architetture, sistemi embedded, stabilità, sicurezza, localizzazione per una particolare regione o lingua o il supporto per le applicazioni in sistema real-time. In più, alcune distribuzioni includono solamente software libero. Attualmente, oltre trecento distribuzioni sono sviluppate attivamente, con circa una dozzina di esse che sono più famose per l'utilizzo giornaliero.
I LUG
Ruolo importante al riguardo è svolto dai Linux user group (Gruppi di utenti Linux), anche detti LUG, gruppo formato da sostenitori e promotori del sistema operativo GNU/Linux, che spesso organizzano manifestazioni pubbliche attraverso le quali fanno conoscere Linux e il suo funzionamento a tanti potenziali utenti, aiutando chi si è appena avvicinato all'utilizzo di questo sistema operativo nell'installazione e nella configurazione dei propri computer. I LUG sono spesso organizzati come associazioni senza scopo di lucro e la loro principale missione è contribuire alla diffusione del software libero e in particolare dei sistemi operativi basati sul kernel Linux.
Linux Day
I LUG italiani ogni anno promuovono e organizzano il Linux Day, una manifestazione che ha lo scopo di promuovere il sistema operativo Linux e il software libero, e avvicinare e aiutare i nuovi utenti, con un insieme di eventi contemporanei organizzati in diverse città d'Italia. La Italian Linux Society (ILS) stabilisce la data del Linux Day e, a volte, fornisce proprio materiale pubblicitario. La responsabilità dei singoli eventi locali è lasciata ai rispettivi gruppi organizzatori, che hanno libertà di scelta per quanto riguarda i dettagli delle iniziative locali, nel rispetto delle linee guida generali definite da ILS.
Giornate tematiche sul software libero e l'open source erano già state sperimentate in Italia sin dal 1999, grazie alle iniziative del gruppo ErLug (Emilia-Romagna Linux User Group). Fu grazie a queste esperienze, e i dibattiti che ne seguirono, che vennero definite le linee guida dei LinuxDay, successivamente gestite da ILS sul territorio nazionale. Le prime manifestazioni in questa nuova veste vennero proposte a partire dal 2001, per iniziativa di Davide Cerri di ILS, con lo scopo di valorizzare la rete dei LUG italiani organizzando una manifestazione di portata nazionale ma allo stesso tempo delocalizzata sul territorio. Il ruolo di ILS, tuttavia, è stato sempre secondario rispetto allo sforzo profuso dai LUG, veri artefici della manifestazione.
La prima edizione del Linux Day si è tenuta il 1º dicembre 2001 in circa quaranta città sparse su tutto il territorio nazionale. Il Linux Day è divenuto il principale evento italiano no profit dedicato a Linux e al software libero.
Riviste dedicate
Linux & C. in italiano
Linux Magazine in italiano
Linux Magazine in inglese
Confronto con MacOS e Windows
Linux ha come principali concorrenti Windows e MacOS. Ogni sistema operativo ha pro e contro, in base alle proprie esigenze.
Note
Bibliografia
Daniele Medri, Linux facile, 2001 (copyleft)
Daniele Masini, Informatica e GNU/Linux, 2008 (copyleft)
Daniele Giacomini, Appunti di informatica libera (copyleft)
Linus Torvalds e David Diamond, Rivoluzionario per caso. Come ho creato Linux (solo per divertirmi), Garzanti, 2001. ISBN 88-11-73896-2.
Machtelt Garrels, Introduzione a Linux - Una guida pratica, trad. Andrea Montagner, 2007 (copyleft)
Voci correlate
Android
Controversia sul nome GNU/Linux
Distribuzione GNU/Linux
Free Software Foundation
GNU
Halloween Documents
Linus Torvalds
Linux (kernel)
Linux console
Linux-libre
Linux Foundation
Linux Standard Base
Linux User Group
Linux Terminal Server Project
Linux Professional Institute
MINIX
MiniLinux
Novell
Red Hat
Revolution OS
Richard Stallman
Sistema operativo
Single UNIX Specification
Debian
The Linux Documentation Project
Tizen
Tux (mascotte)
Unix-like
Windows Server
Altri progetti
Collegamenti esterni
Linux.it sito della Italian Linux Society. Contiene un elenco dei Linux user group italiani, molta documentazione in italiano e altre informazioni su Linux.
kernel.org Il sito ufficiale del kernel di Linux
Distrowatch - Una lista esaustiva di distribuzioni aggiornata continuamente.
(IT) Linux/Hub, portale di supporto sulle community Linux - su linuxhub.it |
2527 | https://it.wikipedia.org/wiki/LaTeX | LaTeX | LaTeX (scritto anche ; pronunciato , e non , perché la X è in realtà una chi maiuscola) è un linguaggio di marcatura per la preparazione di testi, basato sul programma di composizione tipografica ; la versione attuale è chiamata LaTeX2ε, mentre LaTeX3 è in corso di sviluppo.
Storia
LaTeX venne creato nel 1985 da Leslie Lamport (adesso è mantenuto dal LaTeX project team) ed è divenuto il principale metodo di utilizzo di — l'uso diretto di base per la redazione di documenti è una circostanza rara.
Descrizione
Caratteristiche
Fornisce funzioni di desktop publishing programmabili e mezzi per l'automazione della maggior parte della composizione tipografica, inclusa la numerazione, i riferimenti incrociati, tabelle e figure, organizzazione delle pagine, bibliografie e molto altro.
Oltre a documenti stampabili può inoltre produrre presentazioni della stessa resa grafica grazie alla classe Beamer.
È distribuito con una licenza di software libero e questo lo ha reso disponibile per praticamente qualsiasi architettura: ne esistono pertanto versioni funzionanti per tutti i sistemi operativi, tra cui anche Microsoft Windows, macOS e le varie distribuzioni Linux.
WYSIWYM in contrapposizione a WYSIWYG
Al contrario di editor (o word processor) più conosciuti quali ad esempio Microsoft Word, WordPerfect, Works, Writer della suite LibreOffice (o OpenOffice.org), che si basano sul paradigma WYSIWYG (What You See Is What You Get, cioè ciò che vedi è quello che ottieni), con LaTeX si scrive un testo preoccupandosi essenzialmente del contenuto (della struttura) e non della forma.
Il testo del documento conterrà anche delle istruzioni (direttive di LaTeX): per ottenere l'output finale è necessario che tale sorgente sia poi compilata.
Questo approccio viene anche definito WYSIWYM (What You See Is What You Mean, cioè ciò che vedi è quello che intendi): con LaTeX l'autore inizialmente può occuparsi delle convenzioni da usare, ma una volta fissate queste, si può concentrare soltanto sul contenuto del testo. L'impaginazione, l'indice (generale e analitico), l'inserimento delle figure e delle tabelle sarà semi-automaticamente curato da LaTeX.
Il file prodotto da LaTeX era, in passato, esclusivamente in formato DVI (DeVice Independent). Grazie al contributo degli sviluppatori della comunità open source ora LaTeX è in grado di produrre un file nel più comune e diffuso standard PDF (Portable Document Format) e anche in HTML (le eventuali formule matematiche in esso presenti verranno incluse in formato grafico come se fossero immagini, se non in MathML).
È anche possibile, partendo da un file prodotto da LaTeX, ottenere un qualsiasi altro formato, anche .doc di Microsoft Word oppure un .odt (OpenDocument, usato da OpenOffice.org, LibreOffice...) o altro.
Le classi
I documenti redatti con LaTeX possono essere scritti utilizzando diverse classi (che sono formati standard per alcuni tipi di documento):
book, per realizzare libri
article, per articoli, soprattutto scientifici
letter per lettere
report
slides per creare presentazioni
Oltre alle classi standard qui sopra elencate, la comunità ha oggi a disposizione un numero enorme e costantemente in crescita di nuove classi scritte per andare espressamente incontro ad una specifica esigenza editoriale: classi per redigere un curriculum vitæ, per pubblicare un articolo scientifico su una specifica rivista, per realizzare presentazioni di elevata qualità estetica (ad esempio con la classe Beamer), ecc.
LaTeX lavora per ambienti e comandi; essi sono definiti sia dalle classi standard sia dai vari pacchetti (packages - moduli aggiuntivi che è possibile caricare al volo, on the fly) che si trovano sui siti dedicati che compongono la Comprehensive Archive Network (CTAN).
Ognuna di queste classi ha (alcuni) comandi propri che sono incompatibili con le altre. Ad esempio, la direttiva \chapter{...} (che indica l'inizio di un capitolo) è propria della classe book ed è incompatibile con article e letter, che non hanno capitoli, ma soltanto sezioni (direttiva \section{...}). Alcune altre istruzioni sono invece d'ordine generale e possono essere usate senza problemi in ogni classe (ad esempio, istruzioni di enfasi (rilievo) come \emph{...}).
Utilizzo e diffusione
Viene usato soprattutto da fisici,matematici, economisti, informatici, chimici , ingegneri e accademici (oltre ad avere un impiego commerciale).
Ha trovato un'ampia diffusione nel mondo accademico, grazie all'ottima gestione dell'impaginazione delle formule matematiche (anche il motore di Wikipedia utilizza LaTeX per il rendering delle formule) e alla gestione dei riferimenti bibliografici resa possibile dal progetto gemello BibTeX.
Esempio di utilizzo di LaTeX
Una digressione su LaTeX e il suo macrolinguaggio non ha senso in queste pagine, perché si tratta di un linguaggio che richiede una certa pratica, impossibile da acquisire in poco tempo: per approfondimenti si rinvia al manuale LaTeX che è indicato più sotto.
Una formula in LaTeX
Di seguito è riportato un esempio di scrittura di formula matematica.
Per ottenere l'espressione precedente occorre scrivere:
\[
\int_0^\infty f(x)\,dx \approx \sum_{i=1}^n w_i e^{x_i} f(x_i)
\]
In rete esiste un'amplissima documentazione sulle direttive LaTeX, anche in italiano.
LaTeX è inoltre lo standard nella scrittura di testi matematici e formule chimiche. Si possono inoltre preparare spartiti musicali grazie a macrolinguaggi basati su LaTeX come, ad esempio, MusiX.
Un esempio più complesso
Soltanto per dare un'idea di com'è strutturato un documento in LaTeX, qui sotto è un esempio di sorgente per LaTeX scritto per ottenere un articolo standard:
\documentclass[a4paper,12pt]{article} % Prepara un documento per carta A4, con un font di dimensione 12pt
\usepackage[french,italian]{babel} % Adatta LaTeX alle convenzioni tipografiche italiane,
% e ridefinisce alcuni titoli in italiano, come "Capitolo" al posto di "Chapter",
% se il vostro documento è in italiano
% l'opzione linguistica 'french' è necessaria per l'abilitazione della
% successiva istruzione <<\frenchspacing>>
\usepackage[T1]{fontenc} % Riga da togliere se si compila con PDFLaTeX
\usepackage[utf8]{inputenc} % Consente l'uso caratteri accentati italiani
\frenchspacing % forza LaTeX ad una spaziatura uniforme, invece di lasciare più spazio
% alla fine dei punti fermi come da convenzione inglese: richiede opzione linguistica 'french'
\title{Esempio di documento in \LaTeX} % \LaTeX è una macro che compone il logo "LaTeX"
% I commenti (introdotti da %) vengono ignorati
\author{Mario Rossi}
\date{8 aprile 2002}
% in alternativa a \date il comando \today introduce la data di sistema.
\begin{document}
\maketitle % Genera il titolo sulle istruzioni \title, \author e \date
\begin{abstract} % Questo è l'inizio dell'ambiente "abstract".
% L'ambiente abstract è fatto per contenere un riassunto del contenuto.
Breve dimostrazione dell'uso di \LaTeX.
\end{abstract} % Qui termina l'ambiente ''abstract''
\tableofcontents % Prepara l'indice generale
\section{Testo normale} %
È possibile scrivere il testo dell'articolo normalmente, ed
\emph{enfatizzare} alcune parti del discorso. %
Una riga vuota nel testo indica la fine di un paragrafo.
Eppure ero sicuro di aver aggiunto altre frasi...
\section{Formule} %
La forza di \LaTeX\ sono però le formule, sia in linea (ad esempio \(y=x^2\))
che messe in bella mostra in un'area propria:
\[y=\sqrt{x+y}\]
\section{Poesia} %
L'ambiente ``verse'' è usato per comporre tipograficamente le poesie:
\begin{verse}
La vispa Teresa avea tra l'erbetta\\ % la doppia barra inversa forza a capo
al volo sorpresa gentil farfalletta.
\end{verse}
\end{document}
Come si può notare, un documento si compone di due parti principali: il preambolo ed il corpo del documento vero e proprio. Nel preambolo sono contenute le istruzioni principali che verranno processate, ma non produrranno alcun output specifico: sono le istruzioni relative alla struttura del documento (la lingua, il formato della pagina, il numero di colonne, ...). Segue il corpo del documento vero e proprio, che è tutta la parte di testo compresa fra le istruzioni \begin{document} e \end{document}.
Il simbolo % introduce un commento, cioè una nota per il redattore che non viene inserita nel documento generato. I commenti possono iniziare in qualunque punto del documento, e terminano al primo carattere di "ritorno a capo" incontrato.
La "compilazione"
Il file sorgente, pur essendo un file di testo puro, è per convenzione salvato con il suffisso .tex (oppure, più raramente, .ltx) come, ad esempio, miodocumento.tex.
Una volta scritto, il sorgente deve essere processato per creare il file PDF formattato. Si possono usare programmi con GUI, come LyX, oppure usare la riga di comando. Per mezzo del comando (il simbolo $ indica il prompt dei comandi)
$ latex miodocumento.tex
Oltre a vari altri file, quali .aux, .log, .idx, viene generato anche un file .dvi (in formato DVI). Questo può essere letto direttamente tramite il programma Unix xdvi (oppure Yap o Windvi sotto Windows).
Se si desidera invece ottenere un file PostScript, bisogna, dopo aver prodotto il DVI, impartire il comando
$ dvips -t -f miodocumento.dvi -o miodocumento.ps
che permette di ottenere il file PostScript miodocumento.ps (è necessario aver installato un interprete PostScript quale Ghostscript) — l'opzione -t è necessaria se il documento contiene pagine in formato landscape. Per visualizzare il file PostScript si può utilizzare il programma Unix gv.
Per ottenere un documento in formato PDF bisogna processare il file sorgente con il comando
$ pdflatex miodocumento.tex
Se nel file sono presenti delle figure, esse devono, per essere processate correttamente con PDFLaTeX, essere salvate con il suffisso .png, .jpg oppure .pdf e non con il suffisso .ps o .eps, come invece è necessario per ottenere un file in PostScript.
Qualora siano stati introdotti errori (nella scrittura direttive), il processo di compilazione si blocca alla riga in cui compare l'errore: può avvenire, come nella programmazione, che l'errore non si trovi in quella riga ma si ripercuota su quella, e quindi è necessario cercarlo all'interno del sorgente.
La licenza di distribuzione
LaTeX è software libero, coperto dalla LaTeX Project Public License (LPPL), una licenza incompatibile con la GNU General Public License, poiché richiede che le versioni modificate usino un nome di file modificato;
questo è stato fatto per far sì che i file non vengano danneggiati da modifiche inattese o da prodotti di terze parti. Una nuova versione della licenza LPPL compatibile con la GPL è in preparazione. La LPPL è conforme alle linee guida per il free software di Debian dalla versione 1.3 in avanti.
Note
Bibliografia
Voci correlate
TeX Live
MiKTeX
LuaTeX
nroff
groff (software)
CTAN
BibTeX
Beamer
LatexDraw
Editor per LaTeX
LyX
Kile
TeXShop (Mac OS X)
TeXworks (Windows, GNU/Linux, Mac OS X)
TeXstudio
Texmaker
TeXnicCenter
Emacs con AUCTeX
Flwriter
Macro per TeX o LaTeX
XyMTeX
Traduttore da LaTeX a XML
LaTeXML v. pagine nel sito di NIST
Estensione di LaTeX con markups semantici
sTeX v pagina del wiki MathWeb
Altri progetti
Collegamenti esterni
The Comprehensive TeX Archive Network Gli ultimi pacchetti e programmi associati a (La)TeX
Installare LaTeX, (TeXLive 2014) su Ubuntu.
Installare LaTeX, (TeXLive 2016) su Ubuntu.
Installazione di TeXLive 2016, installazione di una versione di TeXLive su un OS Linux con distribuzione Slackware (corrente 14.2) risolvendo i conflitti col Perl; installazione di alcuni applicativi basilari (TeXstudio, JabRef, Geogebra) via sbopkg; file PDF
Nonché User Group italiano.
Traduzioni di alcuni manuali tra cui Una breve introduzione a LaTeX2ε.
Ottima introduzione a LaTeX2ε.
Traduzione italiana della guida "The Not So Short Introduction to LaTeX2ε".
Introduzione a LaTeX, rivolta sia a chi muove i primi passi con LaTeX sia a chi già lo conosce.
LEd Editor LaTex con la funzione di suggerire i comandi durante la scrittura (utile per gli smemorati).
Lyx Editor LaTex
TeXworks Editor LaTeX (Windows, GNU/Linux, Mac OS X)
LaTexDraw Editor grafico per le figure
Texmaker (the universal LaTeX editor) editor LaTeX con diverse feature (Windows, GNU/Linux, Mac OS X) |
2529 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua%20yiddish | Lingua yiddish | {{Lingua
|colore=#ABCDEF
|nome=Yiddish
|nomenativo=ייִדיש
|stati=Stati Uniti d'America, Svezia, Israele, Ucraina, Germania, Bielorussia, Russia, Polonia, Canada, Romania, Moldavia, Argentina
|regione= Oblast' autonoma ebraica
|persone=3 milioni (1991)
|classifica=
|scrittura=alfabeto ebraico
|tipologia=
|fam1=Lingue indoeuropee
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|fam3=Lingue germaniche occidentali
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| minoranza= Paesi Bassi
|agenzia=YIVO
|iso1=yi
|iso2=yid
|iso3=yid
|iso5=
|sil=yid
|estratto=יעדער מענטש װערט געבױרן פֿרײַ און גלײַך אין כּבֿוד און רעכט. יעדער װערט באַשאָנקן מיט פֿאַרשטאַנד און געװיסן; יעדער זאָל זיך פֿירן מיט אַ צװײטן אין אַ געמיט פֿון ברודערשאַפֿט
|traslitterazione=Yeder mentsh vert geboyrn fray un glaykh in koved un rekht. Yeder vert bashonkn mit farshtand un gevisn; yeder zol zikh firn mit a tsveytn in a gemit fun brudershaft.
|mappa=
|didascalia=
}}
La lingua yiddish, jiddisch o giudeo-tedesco (scritto: ייִדיש yidish oppure אידיש idish, lett. giudeo/giudaico; anche chiamata: מאַמע־לושן mame-loshn, lett. lingua-madre; in tedesco: Jüdisch o Jüdisch-Deutsch; in ebraico: ייִדִישׁ yiddish, אִידִית idìth oppure יהודי yehudì) è una lingua germanica occidentale parlata dagli ebrei aschenaziti. È utilizzata da numerose comunità in tutto il mondo ed è scritta con i caratteri dell'alfabeto ebraico.
Origini
La lingua trae le sue origini dalla cultura degli ebrei aschenaziti, sviluppatasi nell'XI secolo in Renania, e poi diffusasi in Italia settentrionale, nei Paesi Bassi, nell'Europa centrale e orientale, nelle Americhe, in Sud Africa, Australia e Israele. Tra i primi nomi dello yiddish vi sono loshn ashkenaz (לשון-אשכנז) e taytsh, per distinguerla dall'ebraico biblico e dall'aramaico, generalmente definiti entrambi come לשון־קודש (loshn-koydesh = "lingua sacra"). Sono attestati nei secoli XVIII, XIX e XX anche i nomi jargon e mame-loshn (מאַמע־לשון = "lingua materna"). Il termine "yiddish" non fu molto usato per definire la lingua e la sua letteratura: compare la prima volta solo nel XVIII secolo.
È probabile che tale lingua sia sorta per evitare le persecuzioni, soprattutto "ad imitazione" delle altre lingue giudaiche: è innegabile comunque la "coniazione" di nuove parole diffuse poi anche in quelle; la stessa Qabbalah della tradizione ebraica non nega la credenza in similitudini tra tutte le lingue che, secondo la Torah, derivano dall'ebraico, indirettamente o direttamente, malgrado le difficoltà semantiche o fonologiche. La gematria ne presenta un esempio anche se quanto qui espresso riguarda un approccio differente, assai complesso.
Si potrebbe altresì ammettere anche l'esistenza di parole in yiddish rivelate, quasi similmente al termine onomatopeico e/o all'ispirazione nella musica.
È stato anche proposto che l'origine del substrato germanico dello yiddish sia di fatto il gotico, che dai secoli IV al XVII sopravvisse in Crimea (gotico di Crimea, parlata dai Goti di Crimea).
L'elemento ebraico sarebbe entrato nello yiddish al tempo della conversione all'ebraismo dei cazari, dominatori di quell'area geografica fino al XIII secolo, avvenuta verso il V-VI secolo, ma questa teoria non è accettata dalla maggior parte degli studiosi.
Un'altra teoria è che lo yiddish derivi dalla parlata degli abitanti slavi e baltici dell'area polacca, i quali si convertivano o si spacciavano per ebrei per non venire rapiti e venduti come schiavi, cosa non rara in quelle zone durante tutto il Medioevo.
Attualmente la lingua yiddish presenta due principali varianti:
yiddish occidentale (codice ISO 639-3 yih), parlato dagli ebrei dell'Europa germanofona, in Italia settentrionale (secoli XV–XVII), in Terra d'Israele e in Egitto.
yiddish orientale (codice ISO 639-3 ydd), parlato dagli ebrei dell'Europa orientale. Autori classici del yiddish orientale nel XIX secolo sono Mendele Moicher Sforim, Isacco Leyb Peretz e Sholem Aleichem, però il più noto autore in quella lingua è il premio Nobel per la letteratura Isaac Bashevis Singer.
La differenza più marcata tra le due è l'inclusione di numerosi termini dalle lingue slave nello yiddish orientale. Mentre lo yiddish occidentale è ormai poco parlato, lo yiddish orientale è ancora largamente diffuso.
Storia
Nell'alto tedesco medio si svilupparono in ambito germanofono diversi dialetti tedeschi che venivano utilizzati prevalentemente dalle comunità ebraiche per comunicare tra di loro. Nella maggior parte di questi casi i dialetti parlati contenevano numerosi influssi della lingua ebraica e della lingua aramaica, a partire dall'alfabeto ebraico che veniva utilizzato per scrivere, mentre resta a tutt'oggi ignoto se anche la sintassi abbia risentito di quella utilizzata nella lingua ebraica.
A causa delle persecuzioni che avvennero nel XIV secolo ed in particolare dopo la pestilenza del 1348, ci furono diversi cambiamenti demografici di rilievo che videro lo spostamento di molte delle comunità ebraiche dall'Europa occidentale in quella orientale, in particolare verso quelle zone che fanno oggi parte della Polonia e della Lituania. La conseguenza fu che la lingua parlata da queste comunità si sviluppò in modo indipendente da quella che veniva parlata da coloro che rimasero nell'Europa occidentale. Di rilievo in questo periodo fu lo sviluppo che vide la lingua yiddish all'interno delle comunità rimaste nelle aree germanofone, in particolare quelle che comprendono l'odierna Germania. Mentre lo yiddish occidentale si sviluppò prevalentemente in contemporaneo con la lingua tedesca, risentendo in modo maggiore degli influssi del tedesco, lo yiddish parlato in est Europa rimase per lo più inalterato e risentì solo in maniera marginale dell'influsso delle lingue slave, conservando quindi ampiamente molti degli influssi gotici. Questo processo di evoluzione della lingua yiddish in due maniere distinte fu alla base della odierna distinzione presente tra lo yiddish occidentale e lo yiddish orientale.
Con le ondate di emigrazione da parte di molti membri della comunità ebraica a partire dai primi decenni del XIX secolo verso gli Stati Uniti la lingua yiddish si diffuse anche in aree dove si parlava prevalentemente l'inglese. Oggigiorno infatti molte delle comunità ebraiche che utilizzano la lingua yiddish risiedono negli Stati Uniti. Tipicamente però la lingua yiddish viene utilizzata prevalentemente dalle comunità ortodosse e ultraortodosse. In Israele le comunità di chassidim e quelle dei prushim, ebrei lituani discendenti dai discepoli del Gaon di Vilna, parlano yidish nella vita quotidiana. Lo yidish è la lingua principale di interi quartieri di Gerusalemme tra cui Mea Shearim, Gheula e Kfar Belz.
Il XIX secolo viene ritenuto da molti come l'epoca d'oro della lingua yiddish, specialmente dal punto di vista letterario. Grazie alla rinascita della letteratura yiddish in questo periodo e alla espansione delle comunità ebraiche nel mondo occidentale, molti termini di questa lingua sono stati assimilati sotto diversa forma nella lingua inglese ed in quella tedesca.
La prima grammatica di yiddish risale alla seconda metà dell'Ottocento e fu scritta da Ludwik Lejzer Zamenhof, un ebreo di Białystok (attualmente in Polonia) noto principalmente per aver creato la lingua internazionale esperanto.
Negli anni venti e trenta del secolo scorso la lingua yiddish fu per qualche periodo utilizzata come lingua ufficiale accanto al russo e al bielorusso nelle regioni della odierna Bielorussia, che all'epoca faceva ancora parte dell'Unione Sovietica.
Con la seconda guerra mondiale, a causa della persecuzione e dello sterminio degli ebrei, la lingua yiddish è stata completamente cancellata dall'Europa orientale: in Polonia, ad esempio, fino al 1939 c'erano ancora circa due milioni di parlanti, ma dal dopoguerra non ne è rimasto pressoché nessuno.
Letteratura in lingua yiddish
La letteratura è essenzialmente divisa in tre periodi. Dal 1100 al 1780 circa (fatta in genere di commenti a testi religiosi e qualche raro testo di epica e narrativa per lo più anonimo), dal 1780 al 1890 (con i racconti del chassidismo e le parabole di Nachman di Breslov e all'opposto i movimenti dell'haskalah) e dal 1864
Il padre della letteratura yiddish moderna viene considerato Mendele Moicher Sforim, accanto a Sholem Aleichem e Isacco Leyb Peretz. Altri esponenti sono Abraham Goldfaden, Semën An-skij, Sholem Asch, Israel Joshua Singer e il fratello Isaac Bashevis Singer (quest'ultimo nel 1978 insignito del Premio Nobel per la letteratura, ma anche la sorella Esther Kreitman scrisse in yiddish). Altri nomi: Halpern Leivick, Uri Zvi Grinberg, Pinchus Kahanovich (che scriveva con lo pseudonimo di Der Nister), Moyshe Kulbak, Peretz Hirschbein, Mani Leib, Jacob Glatstein, Chaim Grade, Abraham Sutzkever, Abraham Cahan, David Bergelson, Peretz Markish, Itzik Feffer, Leib Kvitko, Shira Gorshman, Itzik Manger, Joseph Opatoshu, Yehiel De-Nur, Chava Rosenfarb, Michael Lev, David Hofstein ecc.
Nel Novecento si è fatta largo anche una letteratura (e poesia) yiddish al femminile. Ricordiamo, fra le altre: Kadye Molodowsky, Anna Margolin, Malka Heifetz Tussman e Rochl Korn.
La letteratura yiddish conta molti eredi che però non scrivono in lingua, tra i quali Bernard Malamud, Philip Roth, Marek Halter, Nathan Englander e Jonathan Safran Foer. Anche il famoso pittore novecentesco Marc Chagall si cimentò nell'ambito poetico scrivendo componimenti non solo in russo e in francese, ma anche in yiddish.
Teatro yiddish
Il teatro yiddish consiste in opere teatrali scritte ed eseguite principalmente da ebrei in yiddish, la lingua della comunità ebraica ashkenazita dell'Europa centrale. La gamma del teatro yiddish è ampia: operetta, commedia musicale e riviste satiriche o nostalgiche; melodramma; dramma naturalista; drammi espressionisti e modernisti. Al suo apice, la sua portata geografica era relativamente ampia: dalla fine del XIX secolo fino a poco prima della seconda guerra mondiale, il teatro yiddish professionale poteva essere trovato in tutte le aree maggiormente ebraiche dell'Europa centro-orientale e orientale, ma anche a Berlino, Londra, Parigi, Buenos Aires e New York.
Le radici del teatro yiddish comprendono le rappresentazioni spesso satiriche tradizionalmente eseguite durante la festa religiosa del Purim (note come Purim spiels); altre mascherate come la Danza della Morte; il canto dei cantori nelle sinagoghe; il canto laico ebraico e improvvisazione drammatica; esposizione alle tradizioni teatrali di vari paesi europei e alla cultura letteraria ebraica che era cresciuta sulla scia dell'illuminazione ebraica (Haskalah).
Israil Bercovici scrisse che è attraverso il teatro yiddish che "la cultura ebraica è entrata in dialogo con il mondo esterno", sia mettendosi in mostra sia importando pezzi teatrali di altre culture.
Temi come immigrazione, povertà, integrazione e forti legami ancestrali possono essere trovati in molte produzioni teatrali yiddish.
Premi Nobel per la letteratura di lingua yiddish
Isaac Bashevis Singer (1978, / )
Produzioni televisive in lingua yiddish
La serie tv israeliana Shtisel, ambientata nel quartiere di Geula, a Gerusalemme, popolato per lo più da ebrei ultra-ortodossi charedim, è girata in lingua ebraica e lingua yiddish. La serie offre un esempio della diglossia e il bilinguismo delle diverse comunità ebraiche che vi abitano, dove gli anziani parlano soprattutto in yiddish, mentre una parte della nuova generazione parla quasi solo ebraico e non capisce lo yiddish.
La serie tv internazionale Unorthodox, ambientata nel quartiere di Williamsburg, a Brooklyn, ruota intorno a una comunità ebraica ultra-ortodossa chassidi che parla yiddish e inglese. Lo yiddish stesso parlato dai protagonisti della miniserie è ricco di prestiti dall'inglese.
Note
Bibliografia
Davide Astori, Nuovo parlo yiddish, Vallardi, 2000.
Raffaele Esposito, "Le origini dello yiddish: ipotesi a confronto", La Rassegna Mensile di Israel, 85/2, 2020, pp. 145-166, ISSN 0033-9792.
Regine Robin, "Le yiddish, langue fantasmatique?", L'écrit du temps, n. 5, 1984, Parigi.
Claudia Rosenzweig, "La letteratura yiddish in Italia. L'esempio del Bovo de-Antona di Elye Bocher", Acme, 50/3, 1997, pp. 159-189.
Chone Shmeruk, Breve storia della letteratura yiddish, Voland, Roma 2004.
Erika Timm, Early History of Yiddish Language, in: Christoph Cluse (Ed.), The Jews of Europe in the Middle Ages (Tenth to Fifteenth Century, Proceedings of the International Symposium Held at Speyer, 20–25 October 2002), Turnhout, Belgium: Brepols, 2004, pp. 353–364.
Erika Timm, and Beckmann, Gustav Adolf, Etymologische Studien zum Jiddischen, Buske, Hamburg, 2006
Erika Timm, Historische Jiddische Semantik. Die Bibelübersetzungssprache als Faktor der Auseinenderentwicklung des jiddischen und das deutschen Wortschatzes, unter Mitarbeit von Gustav Adolf Beckmann, Max Niemeyer, Tübingen 2005.
Chava Turniansky – Erika Timm, Yiddish in Italia. Manoscritti e libri a stampa in yiddish dei secoli XV-XVII / Yidish in Italye. Yiddish Manuscripts and Printed Books from the 15th to the 17th Century, Associazione Italiana degli Amici dell'Università di Gerusalemme, Milano 2003.
Max Weinreich, History of the Yiddish Language, Edited by Paul Glasser, Translated by Shlomo Noble with the Assistance of Joshua A. Fishman, 2 vols., YIVO Institute for Jewish Research – Yale University Press, New Haven and London 2008.
Ben Zimet, Racconti dei saggi yiddish, trad. dal francese di Fabrizio Ascari, L'ippocampo, Milano 2010 (originale: Contes des sages du ghetto, Éditions du Seuil, Parigi 2003).
Sheva Zucher, Yiddish. Lingua, letteratura e cultura. Corso per principianti, edizione italiana a cura di Maria Ines Romano, La Giuntina, Firenze 2007.
Voci correlate
Chutzpah
Klezmer
Maestri ebrei
Teatro yiddish
Altri progetti
Collegamenti esterni |
2530 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lingue%20retoromanze | Lingue retoromanze | Le lingue retoromanze sono un raggruppamento di lingue neolatine unite da strette affinità e parlate da circa 900.000 persone (1.500.000/2.000.000 di persone se si contano coloro che conoscono una lingua retoromanza, ma non la utilizzano quotidianamente) nella parte centro-orientale dell'arco alpino.
Le lingue riconosciute che ne fanno parte sono il romancio, il ladino ed il friulano; nel complesso queste tre lingue costituiscono l'intero gruppo (alcune fonti indicano come lingua distinta l'anaunico, altri lo considerano semplicemente un dialetto di transizione fra il ladino ed il romancio).
Terminologia
Il termine «ladino» (e il suo corrispettivo tedesco Ladinisch) originariamente era diffuso per indicare le parlate romanze della Val Badia all'interno del contesto austriaco, mentre successivamente si è naturalmente esteso alle contigue aree ladinofone delle Dolomiti. Fu per primo il glottologo Graziadio Isaia Ascoli ad analizzare sistematicamente i comuni caratteri delle parlate friulane, dolomitiche e romance, a raggrupparle in un unico gruppo (il retoromanzo, per l'appunto) e a formulare la teoria dell'unità ladina secondo la quale queste parlate avrebbero un comune antico substrato, più antico della loro matrice latina, che lo stesso Ascoli identificava in un ipotetico protolinguaggio retico (anche se oggi sappiamo che la lingua retica ha influenzato solo in misura minima le lingue retoromanze, e che in realtà le somiglianze fonetiche, lessicali e sintattiche fra queste lingue sono dovute ad un sostrato celtico-carnico); fu inoltre con tale teoria che il termine «ladino» acquistò una seconda accezione, più ampia di quella tradizionale, tesa a indicare la totalità delle parlate retoromanze.
In Italia attualmente prevale l'uso dell'espressione ladino in luogo di retoromanzo, tuttavia questo uso genera ambiguità dal momento che la stessa espressione ladino è usata per indicare il ladino dolomitico o più semplicemente ladino, lingua che fa parte del gruppo retoromanzo ma come già detto non ne è unica appartenente.
Ulteriore ambiguità è generata dal fatto che la stessa parola «ladino» è utilizzata anche relativamente alla lingua giudaico-spagnola, che a dispetto del nome non ha prossimi rapporti di parentela con le lingue retoromanze.
Le parlate retoromanze, in epoca alto medioevale, non dovevano differenziarsi dalle restanti parlate romanze dell'Alta Italia. Queste differenziazioni si fecero marcate nel Basso Medioevo, con l'italianizzazione (o meglio toscanizzazione) delle principali parlate gallo-italiche. Gli stati regionali furono, dal Trecento in poi, sempre più attratti dalla parlata fiorentina, tanto è che progressivamente andarono sostituendo il latino, quale lingua della cancelleria e dell'insegnamento, non con i dialetti locali, bensì con il toscano, cosicché anche il dialetto si andò "italianizzando" fino a perdere le S finali del plurale e delle coniugazioni e acquisendo termini toscani. Ciò non avvenne in aree più marginali, prive di grandi centri urbani e di cultura, come appunto l'area reto-romanza, che conservò fenomeni linguistici in declino nel resto dell'area gallo-italiana.
Storia
Le popolazioni retoromanze intorno all'anno mille occupavano un'area molto estesa nelle Alpi centro-orientali, che andava dalla Svizzera (Canton Ticino e Canton Grigioni) fino alle Alpi Giulie (attuale Slovenia occidentale).
Sulla genesi di queste popolazioni esistono diverse teorie.
Secondo una di queste, il ladino delle Alpi orientali deriva dall'idioma parlato dalle popolazioni del Norico rifugiatesi nelle vallate delle Alpi orientali a partire dal V secolo, fuggendo dalle invasioni dei Rugi, degli Avari e degli Slavi. Questi gruppi, unitisi alle preesistenti etnie celtiche (breoni), erano indicati dalle popolazioni di lingua tedesca come Welsch, opponendoli a sé stessi (Deutsch) e agli Slavi (Windisch), mentre essi stessi si autodefinivano latini (da cui il termine dialettale ladin). Il termine si diffuse a partire dal XVIII secolo anche negli ambienti tedeschi (Ladinisch) per designare le popolazioni in via di germanizzazione soggette al Tirolo.
Secondo lo studioso Carlo Battisti le valli del Sella vennero colonizzate da contadini neolatini soltanto due o tre secoli dopo il 1000 d. C., inviati in quelle valli dal potere religioso-feudale di Bressanone, Novacella e Castel Badia.
Oggi però l'ipotesi comunemente accettata è una continuità insediativa nelle valli alpine sin dall'epoca romana. Con la conquista delle Alpi da parte di Roma, la lingua ufficiale latina si impose sui diversi sostrati linguistici delle popolazioni alpine celtiche, retiche e noriche, dando vita a parlate latine volgari a carattere regionale. Da queste basi regionali emersero le tre aree neolatine nelle quali viene suddiviso oggi il mondo retoromanzo: il romancio dei Grigioni, il ladino dolomitico, e il friulano.
Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente la regione di parlata retoromanza si estendeva ininterrotta dagli attuali Grigioni al Friuli. Nei secoli seguenti le popolazioni alpine, frammentate e prive di strutture politiche e sociali comuni, rimasero però soggette a forti pressioni demografiche, culturali e linguistiche da parte delle popolazioni circumalpine.
Nel V secolo sotto la protezione degli Ostrogoti gli Alemanni si insediarono nella provincia Raetia Secunda, tra il lago di Costanza ed il Reno. Gli Alemanni cercarono ripetutamente di espandere la loro presenza oltre i confini dei territori attribuiti loro da Teodorico il Grande, entrando in conflitto con le popolazioni romaniche, che però riuscirono a mantenere la loro identità culturale. Nel territorio dell'odierno Alto Adige invece i Baiuvari colonizzarono le principali valli alpine, imponendo la loro presenza alle popolazioni locali.
L'inclusione delle aree alpine nel regno dei Franchi e poi nell'impero carolingio cambiò ulteriormente l'assetto politico e sociale della regione. Il potere politico venne centralizzato e dato in feudo ad aristocratici di origine germanica. Cominciò così un lento processo di assimilazione che porterà, attraverso i secoli, ad una graduale riduzione dell'area retoromanza.
Nel territorio dell'odierno Alto Adige l'uso delle lingue germaniche si espanse dal primo medioevo in poi, a partire dalle valli principali, giungendo a una sostanziale compattezza linguistica germanofona sin dal XII e XIII secolo. Ancora nel XVII secolo però alcune zone periferiche, come una parte dell'Alta Val Venosta, confinante con i Grigioni, risultano solo parzialmente germanizzate. L'idioma romanzo sopravvisse nelle valli ladine. La prevalenza della lingua tedesca non escluse continui contatti e presenze di persone e piccoli gruppi di lingua neolatina.
Nei primi secoli dopo il 1000 l'area retoromanza viene ulteriormente ridotta dall'avanzata delle lingue neolatine dell'Italia peninsulare. La parlata trentina/lombardo/veneta si espanse verso nord, a danno delle parlata ladina lungo la val di Fiemme, mentre la lingua veneta si afferma nel Bellunese e fa sentire i suoi influssi fin nel cadorino, ampezzano e nell'alto Cordevole.
Fino al Settecento questo processo di cambiamento della parlata degli strati popolari (la stragrande maggioranza della popolazione) fu una assimilazione culturale spontanea, slegata da ancora inesistenti implicazioni di carattere nazionalistico.
Divisione
Le parlate retoromanze si dividono in tre gruppi: romancio, ladino dolomitico (o più semplicemente ladino) e friulano.
Grigioni: il Romancio
Il romancio grigionese o romancio (ISO 639-2: roh) è parlato nel cantone svizzero dei Grigioni, è la quarta lingua nazionale della Svizzera dal 1937.
Si divide in:
a) gruppo Renano, parlati nelle aree occidentali e centrali del Grigioni (Val Surselva e Val Sursette):
sursilvano o soprasilvano (sursilvan), parlato nella val Surselva;
sottosilvano (sutsilvan);
surmirano (con i suoi dialetti surses e sutses);
b) gruppo Ladino, parlati nelle aree orientali del Grigioni (Engadina e Val Monastero):
alto engadino (putér), parlato in Alta Engadina
basso engadino (vallàder), parlato in Bassa Engadina
jauer, Val Monastero (Val Müstair), in passato diffuso nell'Alta Val Venosta.
Parlate affini a quelle del gruppo engadinese furono in passato presenti nelle contigue aree della val Venosta (oggi in Italia), con influssi da parte del ladino dolomitico.
Dolomiti: il Ladino
Il Ladino (ladin) è parlato principalmente nelle comunità dolomitiche:
gardenese, parlato in Val Gardena (Gherdëina),
fassano, parlato in Val di Fassa,
badioto-marebbano, diffuso in Val Badia e in val Marebbe (Mareo),
fodomo, diffuso a Livinallongo (Fodom), nell'alto Cordevole (Rocca Pietore/Ròcia) e nel comune di Colle Santa Lucia (Cól),
låger, parlato in Bassa Atesina, Alto Adige (generalmente ritenuto una variante del fassano, tuttavia con una maggiore influenza sudtirolese),
ampezzano, diffuso a Cortina d'Ampezzo (Anpezo) dove risente del confine culturale ladino-cadorino,
comeliano, diffuso nel Comelico; è il più conservativo tra i dialetti orientali,
cadorino, parlato in Cadore, fino a Perarolo (escluso),
agordino, risente fortemente dell'influenza veneta soprattutto nelle località di fondovalle (Agordo, La Valle Agordina), più conservativo in altre località (Cencenighe, Alleghe, San Tomaso, Falcade, Gosaldo),
zoldano parlato nella sola valle di Zoldo, molto vicino al ladino-veneto dell'agordino, presenta concordanze con il ladino dolomitico centrale (del Sella) e con il cadorino. Influenze venete maggiori nella parte alta della valle (verbo andare: "dzì" a Forno di Zoldo, "andà" a Zoldo Alto). Nello zoldano si incontrano anche numerosi termini di chiara derivazione tedesca, ad esempio: " sluck, sgnápa, smìr, slimeck, rúela, làta, présa, rusàck"
In Provincia di Bolzano (Bulsan) e di Trento è ufficialmente riconosciuto come lingua e la minoranza ladina viene tutelata con diverse norme riguardanti tra le altre cose l'insegnamento nelle scuole pubbliche. Infatti nelle scuole delle località ladine dell'Alto Adige la "lingua ladina" è lingua d'insegnamento assieme al tedesco e italiano.
Recentemente è stato concluso il progetto SPELL che mira alla creazione di una lingua ladina standard.
L'Anaunico
noneso-solandro, parlato in Val di Non, val di Sole, val di Pejo, val di Rabbi (non riconosciuto legalmente).
Friuli: il Friulano
La lingua friulana (friulano/furlan), (ISO 639-2: fur) si è formata, come tale, più o meno intorno all'anno Mille, ed ha mantenuto durante i secoli un'originalità tutta sua che la rende, ancora oggi, diversa dall'italiano e dagli altri idiomi parlati nei territori limitrofi (veneto, istroveneto). Il friulano è parlato nelle province di Gorizia, Pordenone e Udine e nella provincia di Venezia (parte orientale del Mandamento di Portogruaro) da circa persone. Nella parte orientale, tra l'Isonzo e il Timavo, lo spopolamento alto-medioevale con successive immigrazioni venete ma anche morlacche e slave, ha portato a una forma ibrida friulano-veneta (dialetto bisiaco). Ancora nel Rinascimento la valle dell'Isonzo fino ad Idria parlava il ladino con caratteristiche friulane.
Se ne individuano alcune varianti principali, caratterizzate principalmente da una diversa terminazione vocalica di alcune forme nominali (sostantivi, aggettivi ed articoli), che investe in particolar modo la declinazione del femminile, e dalla loro demarcazione geografica:
Friulano centro-orientale (la varietà che nella pronuncia risulta la più "vicina" all'ortografia ufficiale), esteso nella stragrande maggioranza della provincia di Udine (a nord della linea delle risorgive e a sud delle Alpi e prealpi carniche e giulie, fra il Tagliamento e l'Isonzo);
friulano carnico (l'insieme di dialetti -piuttosto diversi tra loro- parlati nella parte settentrionale della provincia di Udine. Sono caratterizzati da un marcato conservatorismo). Di questi dialetti, il più peculiare è quello del canal di Gorto, caratterizzato dalla terminazione in -o dei vocaboli femminili, come probabilmente accadeva in tutto il Friuli in epoca volgare e medievale;
Friulano occidentale o Concordiese, esteso nella provincia di Pordenone (eccetto le aree di parlata veneta), in alcuni comuni della provincia di Venezia (appartenenti al Friuli Storico) ed in alcune valli occidentali dell'alta Carnia;
Friulano orientale, esteso nella provincia di Gorizia (eccetto alcune zone del Monfalconese di parlata bisiaca) ed in alcune zone confinanti della provincia di Udine (zona di Cividale e zona di Cervignano), è una variante avente le stesse terminazioni vocaliche della variante Concordiese ma affine alla variante Orientale/Collinare per gli altri principali fenomeni di pronuncia, e comunque geograficamente isolata dalla variante Concordiese;
ladino friulano di Erto e Cimolais, dai più ritenuto un antico dialetto di transizione tra ladino dolomitico e friulano, da altri ritenuto semplicemente una variante peculiare (e con molti arcaismi) di friulano, è in ogni caso oggi isolato rispetto all'area dolomitica ma ancora contiguo a quella friulanofona;
Dialetti o lingue?
I linguisti sono concordi nel definire come lingue autonome (e pertanto non come dialetti o varianti di una stessa lingua) i tre idiomi romancio, ladino dolomitico e friulano.
Anche a livello politico ed istituzionale, questi idiomi hanno avuto riconosciuto il rango di "Lingua" in Svizzera (il Romancio è quarta Lingua Nazionale) e in Italia (Ladino e Friulano sono riconosciute come distinte lingue minoritarie) e vengono pertanto insegnate nelle scuole ed utilizzate negli atti pubblici, oltre che nella cartellonistica ufficiale.
La legislazione italiana riconosce il Ladino dolomitico con la denominazione più semplice di Ladino.
Il gruppo retoromanzo ha tratti in comune con le lingue romanze occidentali, p.es. la lenizione – talvolta fino alla scomparsa – delle intervocaliche (latinu > ladin) e il plurale in -s anziché in -i, -e, ma a volte se ne discosta (la c dinanzi a e e i non passa a [ʦ] > [s] ma diventa [ʧ] come nel gruppo orientale (italiano centro-meridionale, romeno) (romanice > rumantsch [ruˈmanʧ]).
Esempi
Un esempio di puter. Un popolare proverbio grigionese:
Voust entrer cun buna glüna
Bainvegnieu sarost adünna.
Vo da l'otra vart il vent
Fo il bain e sto davent.
(Se vieni di buonumore sei benvenuto. Altrimenti, per favore, resta fuori)
Un esempio di una leggenda in ladin dolomitan / standard:
Duc i Ladins sá che l lé (o lech) dl ergabuan è l Lé de Careza. Chest è conesciú lonc y lerch per si biei colours che muda demeztroi dal vert-fresch al cuecen-scarlat, y dal blé dl ciel al ghel-or; per chesta mudazion de colours él vegnú batié "Lé dl Ergabuan", dai colours dla irida/cogola dl uedl. An conta che chel lé fova n iade abité da na "gana" che ova l corp da pesc y l cef da persona, desche an se imaginova da zacan na ninfa. N salvan che abitova te cheles selves, che scluj ite chest pice lé desche na perla, se ova inamoré da perde l cef te chesta bela muta-ninfa; ma dut debant! Per la tré a sé, se ova l salvan pensé de fé n gran ergabuan con i colours plu biei che se destenova fora da la piza dl Latemar enfin ju tl lech; ma la ninfa ne se ova empone lascé pié. Dal gran senn, l Salvan, che ova fat con tant de fadia sie beliscim laour, ova n dí tout l ergabuan, l ova desfat en tant de fruzies y l ova spo sciulé tl lech. Da chel moment á l lé giaté duc chi biei colours che al à enfin aldidancuei.'''
Altri esempi:
Testi giuridici
Per il mutare della situazione politico-normativa negli anni a cavallo tra il XX e XXI secolo si assiste ad una grande produzione di testi normativi nelle varie lingue e dialetti retoromanzi.
Il Cantone dei Grigioni provvede a tradurre nel romancio grigionese standard molte leggi federali.
Per il ladino la strada scelta è quella di utilizzare per i testi normativi i singoli dialetti: si hanno pertanto testi in badioto e gardenese in provincia di Bolzano, in fassano in provincia di Trento.
In Friuli con legge regionale approvata nel 1996 la grafia è stata normalizzata. Viene usata obbligatoriamente nei testi ufficiali, nella toponomastica e nelle scuole. La grafia unica normalizzata è utilizzata anche per le varianti della lingua friulana.
Note
Bibliografia
Walter Belardi, Breve storia della lingua e della letteratura ladina. 2ª edizione aggiornata. Istitut Ladin Micurà de Rü, San Martin de Tor 2003.
Robert H. Billigmeier, Land und Volk der Rätoromanen. Eine Kultur- und Sprachgeschichte mit einem Vorwort von Iso Camartin, Verlag Huber, Frauenfeld 1983
Werner Pescosta, Storia dei ladini delle Dolomiti''. Istitut Ladin Micurà de Rü, San Martin de Tor 2010. ISBN 978-88-8171-090-4.
Voci correlate
Letteratura ladina
Altri progetti
Collegamenti esterni
https://arlef.it/it/lingua-e-cultura/friuli-storia-e-cultura/
http://www.filologicafriulana.it/normativa/
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https://web.archive.org/web/20030605095138/http://www.schulnetz.ch/schulen/alvaneu/Schuelerzeitung/Beitraege/rum.html
http://www.istladin.net/ Istituto Culturale Ladino e Museo Ladino di Fassa |
2531 | https://it.wikipedia.org/wiki/Laives%20%28Italia%29 | Laives (Italia) | Laives (AFI: ; Leifers in tedesco) è un comune italiano di abitanti della provincia autonoma di Bolzano in Trentino-Alto Adige, che è divenuto città dal 1985.
Geografia fisica
Si trova a meno di 10 chilometri a sud di Bolzano, sul versante orientale della Valle dell'Adige, in corrispondenza della confluenza tra Adige e Isarco, a 250–270 m s.l.m.
Corsi d'acqua
Il capoluogo comunale è attraversato dal Rio Vallarsa e lambito dal Fosso Landgraben. La frazione di Pineta è attraversata dal Rio Dolce e dal Rio Lusina. Nel territorio comunale scorre anche la Fossa di Laives, che a sud dell'abitato prende il nome di Fossa di Bronzolo, che ha per affluente lo stesso Rio Vallarsa.
Origini del nome
Il toponimo è attestato come Leiuers nel 1237, come Livers e Leivers nel 1295 e come Leiffers e Leyfers nel 1404 e 1406 e deriva probabilmente dal latino clivus ("pendio") o dal retoromanzo liver ("libero") ovvero area originariamente non coltivata e libera. Già dal 1333 i documenti riportano, a Bolzano, il cognome di provenienza Leiferser (persona da Laives).
Storia
Nella zona attorno a Laives non si erano insediati solo cavalieri prepotenti che esigevano le gabelle a ogni passaggio, ma la bellezza e la fertilità della terra hanno fatto sì che principi e castellani scegliessero di dimorarvi, e i monasteri vi coltivassero i loro vigneti. Nonostante le paludi che fino a 140 anni fa ricoprivano la Valle dell'Adige, la regione si popolò ben presto, specialmente nelle zone circostanti.
Alcuni scavi effettuati a Castel Varco (ted. Laimburg), vicino a Vadena, Bronzolo e Laives, hanno riportato alla luce degli interessanti reperti risalenti al 900 a.C., gran parte dei quali (urne cinerarie, fermagli per capelli in bronzo e ferro, gioielli e monete, queste ultime concentrate nel tesoretto di Reif) sono ora custoditi al Museo archeologico dell'Alto Adige, insieme a Ötzi, l'uomo venuto dal ghiaccio, dove possono essere ammirate anche alcune ricostruzioni di antichi insediamenti.
Un'ulteriore testimonianza di abitato preistorico, è rappresentata dal fortilizio, circondato da un vallo, di Trens Birg (1200 m) sul Montelargo (Breitenberg) sopra Laives. Di tale stanziamento, dell'età della pietra più recente, sono tuttora visibili resti di mura e di abitazioni. Anche la dorsale del Monte di Mezzo a sud del valico di Kreith, è designata come zona preistorica, in seguito ai diversi ritrovamenti presso le rovine di Castelchiaro (ted. Leuchtenburg), le Rosszähne (Denti di cavallo) ed il Gmundener Kopf (Monte di Ora).
Risalgono invece all'età del ferro (a partire dal VII secolo a.C.), i ritrovamenti più antichi di un villaggio retico nell'attuale abitato, nella zona di via Galizia, mentre a qualche secolo dopo risalgono i resti di un altro villaggio retico posto più a monte. I resti di una delle capanne del nucleo più antico, la cosiddetta "Casa 2" emersa durante gli scavi di un condominio nel 1993, è stata smontata e poi rimontata in un parco pubblico poco distante dall'area di ritrovamento, dov'è visibile.
Le prime notizie certe della località di Laives risalgono al 1189, quando per la prima volta viene citata in documenti ufficiali di cui si ha menzione storica.
Affinché la Bassa Atesina acquistasse sempre maggiore importanza, come collegamento principale tra nord e sud, vi si trasferirono ben presto diversi nobili. Sorsero così numerosi castelli e fortificazioni, in parte ancor oggi esistenti: la Torre sulla Tinzlleiten nella vicinanze di San Giacomo, la chiesetta di San Pietro sopra Laives, dove anticamente sorgeva Castel Liechtenstein, le rovine di Castel Varco e Castelchiaro sul Monte di Mezzo (Mitterberg) a sud di Vadena, nonché altri 58 ruderi di manieri disseminati a sud di Bolzano.
Come Comune autonomo, Laives appare per la prima volta soltanto nel 1819, e fino al 1948 era servito dal tram per la città di Bolzano.
Situato com'è vicino alla città capoluogo, grazie all'offerta di servizi residenziali più economici, Laives negli ultimi decenni ha attirato migliaia di residenti dai dintorni, con il conseguente rapido sviluppo da borgo agricolo a città satellite, con cospicui investimenti realizzati in infrastrutture necessarie alla crescita cittadina.
Nel 1985 Laives è stata insignita del titolo di "città" (Stadt), ed è quindi la più "giovane" città dell'Alto Adige. È il quarto centro urbano della Provincia per numero di abitanti, dopo Bolzano, Merano e Bressanone.
Stemma
Lo stemma è costituito da una pila d'argento, con i lati ricurvi in campo azzurro e una cappella posta su un monte rosso. L'insegna, simile a quella dei Conti di Liechtenstein che dimoravano nel castello sul monte Köfele, raffigura la chiesetta di Peterköfele. Lo stemma è stato adottato nel 1970.
Essendo stata la casata dei Liechtenstein proprietaria del castello e amministratrice di Cornedo all'Isarco dal 1385 al 1595 lo sfondo di dello stemma di Laives coincide con quello di Cornedo.
Monumenti e luoghi d'interesse
Architetture religiose
Chiesa di Sant'Antonio Abate e San Nicolò. Posta nel centro di Laives la parrocchiale, nella sua forma recente, risale agli anni 1852-1853 quando la costruzione storica fu trasformata in abside del nuovo tempio. Il campanile risale al 1250. Dal 1787 vi è custodita la Pietà di Pietralba, una statuetta di alabastro di 16 cm dell'addolorata Maria. Dal 2000 al 2003 la chiesa fu ampliata con un modernissimo e originale corpo architettonico, per opera degli architetti Höller & Klotzner di Merano. Risale al 2011 la fine dei lavori di ristrutturazione dell'edificio antico.
Nella frazione di San Giacomo (St. Jakob) troviamo una chiesa a forma gotica, che però oggi è chiusa per la costruzione della nuova Chiesa Parrocchiale.
Chiesa del Beato Enrico da Bolzano a La Costa
Chiesetta Peterköfele, che risale al 1300, costruita su uno sperone roccioso che sovrasta Laives, all'inizio del vecchio sentiero che porta a Pietralba. La Chiesetta conserva anche i resti del castel Liechtenstein, che sorgeva poco al di sopra del capoluogo comunale.
Cappella del cimitero nuovo a Laives città.
Chiesa parrocchiale di San Giuseppe artigiano a Pineta.
Architetture civili
Maso Gutleben
A Laives sorge l'imponente maso Gutleben (Gutlebenhof), risalente al Medioevo. Nel 2011 diventa oggetto di speculazione edilizia.
Maso Renner
Nella frazione di Pineta si trova uno dei più prestigiosi masi dell'Alto Adige: il Maso Renner (Rennerhof). Il maso è sotto tutela e sembra risalire al XVI secolo a proposito della meridiana murale che appare sulla facciata di un edificio presente; non si possono escludere però origini più remote.
Questo maso è circondato da molteplici leggende su draghi e creature mitiche. Gli abitanti del maso sono da sempre chiamati i Renneri.
Gli attuali proprietari sono la famiglia dell'ing. Piergiorgio Gazzini, che negli ultimi trent'anni hanno provveduto al restauro di diverse opere d'arte e alla coltivazione delle piantagioni.
Monumenti naturali
Due sono i monumenti naturali tutelati a livello provinciale siti nel comune di Laives. Si tratta di un monumento botanici (tre grandi castagni a maso Tschuegg) e uno geologico (le gole della Vallarsa). Per tutti e due, la tutela risale al 2001.
Un terzo monumento, un acero americano che si trovava di fronte alla chiesa parrocchiale, era anch'esso sotto tutela provinciale dal 2001, ed era altresì stato inserito dal ministero delle politiche agricole nell'elenco degli alberi monumentali d'Italia sin dalla prima stesura nel 2017. Nel gennaio 2022, l'albero si è spezzato ed è stato successivamente abbattuto.
Società
Appartenenza linguistica
Il territorio di Laives, come altri comuni della Bassa Atesina, era mistilingue già prima dell'annessione al Regno d'Italia, avvenuta nel 1920.
I censimenti asburgici offrono i seguenti dati sulla ripartizione linguistica di Laives:
Gli abitanti di Laives, durante il censimento del 2011, si sono dichiarati per oltre due terzi di madrelingua italiana e per meno di un terzo di madrelingua tedesca:
Gli attuali residenti nella città possono essere suddivisi, in base alla lingua e all'origine, principalmente in cinque gruppi:
ll tradizionale gruppo linguistico tedesco;
il tradizionale gruppo di lingua italiana, storica minoranza di lingua italiana nella Bassa Atesina;
il gruppo linguistico tedesco immigrato negli ultimi decenni, in particolare dal resto dell'Alto Adige;
parte del gruppo di lingua italiana immigrata negli ultimi anni, intorno a Bolzano;
i nuovi cittadini provenienti da altre parti del mondo, in primis Albania e Marocco.
Evoluzione demografica
Al 31 dicembre 2015 il comune contava residenti, di cui maschi e femmine.
Etnie e minoranze straniere
Secondo i dati al 31 dicembre 2015 la popolazione straniera residente era di persone, 346 provenienti da Paesi dell'UE e extracomunitari, pari al 9,44% degli abitanti. Le nazionalità maggiormente rappresentate erano:
Albania: 285
Marocco: 224
Romania: 183
Pakistan: 136
Cultura
Carnevale di Laives
Tra il capoluogo comunale e la frazione di Pineta si svolge annualmente il Carnevale di Laives, uno dei maggiori a livello regionale.
Musei
Laives ha ospitato il Piccolo museo navale, la più grande raccolta in Europa di modelli in grande scala di navi da guerra del XX secolo tragicamente affondate. Nel 2002 il museo ha chiuso e i modelli sono stati venduti al Museo storico italiano della guerra di Rovereto.
Teatro
La compagnia teatrale amatoriale Filodrammatica di Laives, nacque per iniziativa di don Luigi Simoni nel 1947 come filodrammatica oratoriale, per trasformarsi dapprima in compagnia teatrale dialettale maschile e infine in compagnia dialettale mista.
Quattro sono i teatri nel territorio comunale: due nel capoluogo, il Teatro dei Filodrammatici Gino Coseri e il Teatro Auditorium del Centro Don Bosco, uno nella frazione di San Giacomo, il Nuovo Teatro, e uno nella frazione di Pineta, il Teatro Delle Muse.
Geografia antropica
Frazioni
Il comune di Laives comprende quattro nuclei urbani separati:
Laives città (Stadt Leifers), 11 651 abitanti
Pineta (Steinmannwald), 2 183 abitanti
San Giacomo (Sankt Jakob), 3 629 abitanti
La Costa (Seit), 92 abitanti
Degli ultimi tre, le prime due costituiscono, ai sensi dell'articolo 3 dello statuto, una frazione, mentre La Costa è una località, ma è spesso considerata una frazione anche nella documentazione comunale.
Infrastrutture e trasporti
Laives dispone di una piccola stazione ferroviaria, posta fuori dal centro, sulla ferrovia del Brennero. Vi fermano i treni regionali di Trenitalia per Bolzano e per Verona.
Tre linee collegano il capoluogo comunale a Bolzano, passando per Pineta e San Giacomo; una di queste prosegue per Bronzolo. Una linea interna collega la stazione ferroviaria della cittadina al centro, mentre una seconda collega la frazione di Pineta al capoluogo comunale, per poi proseguire per Bronzolo e Vadena. Tutte le linee sono gestite dalla SASA, società pubblica di proprietà dei comuni di Bolzano, Merano e Laives.
I collegamenti extraurbani sono offerti anche dalla SAD, che collega la città a Bolzano, Ora, Egna, Prato all'Isarco e la Val di Fiemme.
Amministrazione
Dal 2005 è sindaco l'avvocato Giovanni Polonioli, con una coalizione di centro-sinistra formata da UDC, PD, Verdi e SVP. L'opposizione inizialmente comprendeva Alleanza Nazionale, Forza Italia, Lista Civica di Centro, Rifondazione Comunista e Indipendenti Democratici, per un totale di 10 seggi su 30, mentre la maggioranza poteva contare su 20 seggi.
Nel 2006, con la formazione del Progetto Alto Adige, tre consiglieri hanno lasciato la maggioranza e sono affluiti in questo nuovo soggetto politico, schierandosi nell'opposizione. Un ulteriore consigliere ha deciso di uscire dalla maggioranza nel maggio 2007 per dichiararsi indipendente.
Dal 2015 è sindaco Christian Bianchi (sostenuto dalla Lega Nord, da Forza Italia, dal Movimento 5 stelle e da altre liste civiche locali).
Note
Bibliografia
Andrä Johann Bergmeister, Physisch-medizinisch-statistische Topographie der Stadt Bozen mit den drei Landgemeinden zwölf Malgreien, Gries und Leifers, oder des ehemaligen Magistratbezirkes Bozen, Bolzano, 1854
Richard Staffler, Die Höfenamen von Zwölfmalgreien und Leifers, Innsbruck, Wagner, 1952
Georg Tengler (a cura di), Vom Dorf zur Stadt Leifers: Anfänge - Entwicklung - Chancen, Bolzano-Laives, Athesia-Raiffeisenkasse Laives, 1998
Laives - il volto di un territorio in 100 fotografie, a cura del Centro Culturale S. Giacomo, Laives, 2000
Franz-Heinz Hye, Die Städte Tirols, 2. Teil: Südtirol (Schlern-Schriften, 313), Innsbruck, Wagner, 2001. ISBN 978-3-7030-0353-0 (capitolo Laives)
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2534 | https://it.wikipedia.org/wiki/Latino%20%28mitologia%29 | Latino (mitologia) | Latino (, ... - 1176 a.C.) era il re eponimo dei Latini, l'antico popolo italico pre-romano dell'Italia centrale. Si sposò con Amata, da cui ebbe Lavinia, futura sposa di Enea.
Il mito
Le origini
Sulla sua genealogia le tradizioni sono molto intricate e parecchio contraddittorie; tuttavia numerosi mitografi, tra questi soprattutto Virgilio, si sono impegnati a conferire a questo re un carattere indigeno.
Di conseguenza esistono due versioni riguardanti la sua nascita. La cosiddetta versione "ellenizzante" pone comunque diverse ipotesi:
Una lo vuole figlio di Ulisse e di Circe;
Un'altra versione afferma che era figlio di Ulisse e della ninfa Calipso
C'è chi afferma che Latino era non un figlio, ma un nipote di Ulisse, quindi figlio di Telemaco e di Circe;
In altri autori lo si considera figlio di Telegono e Penelope,
Secondo una tradizione più antica era fratello di Greco, e uno dei figli di Zeus e Pandora.
La versione ideata da Virgilio e riportata nell'Eneide fa di Latino un figlio di Fauno, dio locale indigeno, e della dea di Minturno, chiamata Marica.
Ma anche questa tradizione è finita per dare spazio ad un'altra. Secondo la leggenda legata al culto del dio Ercole, Latino era frutto di uno dei suoi amori con una fanciulla del Lazio, a seconda delle versioni:
Palanto, una prigioniera Iperborea che l'eroe aveva ricevuto come ostaggio dal padre di lei. Essa sarebbe l'eponima del colle Palatino.
la moglie del re Fauno, che il dio aveva concesso all'eroe;
la figlia del dio, secondo un'ulteriore versione.
Latino in Ab Urbe Condita
Tito Livio riporta due diverse versioni dell'incontro tra il re Latino ed Enea, avvenuto dopo che gli esuli troiani erano sbarcati nel territorio di Laurentum.
Per una ci fu uno scontro con gli abitanti del posto, vinto dai troiani, in seguito al quale il re Latino fece la pace con i troiani. Per un'altra versione, il re Latino, con gli eserciti già schierati, volle sapere dal comandante avversario, chi fossero e quale fosse la loro storia. Venuto a conoscenza della loro identità e della loro storia, pieno di ammirazione, tese la mano ad Enea in segno di pace.
Al patto pubblico, il trattato di alleanza tra il re Latino ed Enea, segue un patto privato, per il quale Latino concede, in moglie ad Enea, sua figlia Lavinia.
Il matrimonio tra Enea e Lavinia scatenò la rabbia di Turno, re dei Rutuli, cui, precedentemente lo sbarco dei troiani, era stata promessa Lavinia. Pertanto Turno entrò in guerra contro sia Enea sia Latino contemporaneamente. I Rutuli furono vinti, ma nello scontro il re Latino morì.
Latino nelle Antichità romane di Dionigi
Per la versione di Dionigi, il re, Latino già impegnato in una guerra contro i Rutuli, e temendo la forza degli invasori troiani schieratisi alla greca all'apparire dei Latini, dopo aver parlamentato con Enea, gli propose un'alleanza, per la quale i Troiani sarebbero stati alleati dei Latini nella guerra contro i Rutuli, in cambio delle terre necessarie per fondare una propria colonia.
Nel racconto di Dionigi, il re Latino morì due anni dopo l'arrivo di Enea, quattro anni dopo la presa di Troia, prima che si arrivasse allo scontro definitivo con i Rutuli.
Latino nell'Eneide
Secondo l'Eneide di Virgilio, poema che esalta il nuovo Impero Romano e in particolare Augusto, Latino accoglie Enea in fuga da Troia, quando approda sul litorale dell'attuale Lazio (dalla regione deriverebbe pertanto il nome). Per creare un'alleanza con l'eroe troiano gli offre la mano della figlia Lavinia, suscitando il risentimento di Turno, cui la fanciulla era stata promessa in sposa. La causa scatenante della guerra nel Lazio è però l'uccisione di Almone, giovane cortigiano del re, durante una rissa scoppiata tra Latini e Troiani.
Latino nell'arte
Si ricordano due opere pittoriche raffiguranti il re italico: Latino offre in matrimonio Lavinia a Enea di Giambattista Tiepolo ed Enea alla corte del re Latino di Ferdinand Bol.
Note
Bibliografia
Esiodo, Teogonia.
Tito Livio, Ab Urbe condita libri, I.
Voci correlate
Enea
Lavinia (mitologia)
Almone (Eneide)
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Ab Urbe Condita/liber I
Personaggi della mitologia romana
Latino
Personaggi dell'Eneide
Sovrani mitologici
Discendenti di Ulisse |
2535 | https://it.wikipedia.org/wiki/Latini | Latini | I Latini furono un antico popolo italico di lingua indoeuropea, storicamente stanziato, a partire dalla seconda metà del II millennio a.C., lungo la costa tirrenica della penisola italica, nella regione del Latium. Politicamente frazionati, i Latini condividevano lingua (il latino, una delle lingue italiche appartenenti al sottogruppo delle lingue latino-falische) e cultura. Diedero un contributo determinante alla formazione del popolo di Roma, città che nel corso del I millennio a.C. avrebbe esteso la lingua e la cultura latina all'intero bacino del Mediterraneo e a buona parte dell'Europa. Per tale ragione il termine "latino" è spesso impiegato anche come sinonimo di "romano".
Nell'Impero bizantino, prevalentemente di lingua greca, tutti gli europei occidentali venivano chiamati "latini".
Etnonimo
Secondo un'interpretazione, l'etnonimo deriverebbe dal latino Latus, ovvero esteso, in riferimento al territorio pianeggiante abitato, messo a confronto con l'andamento prevalentemente collinare e montuoso dell'Italia centrale; se l'interpretazione fosse corretta, ne consegue che i Latini fossero gli Abitanti della pianura, distinti dagli abitanti delle limitrofe zone montane, come la Sabina.
Storia
Le origini latine
Le tradizioni storico-letterarie
Nel VII secolo a.C. Esiodo, nella Teogonia, si occupa della figura di Latino, sovrano di un popolo del Tirreno, i Latini, che per la prima volta sono citati come abitanti del Latium.
I primi a stabilire una connessione tra il Latium e una città dell'Asia minore, Troia, attraverso la figura di Enea, furono due scrittori greci del V secolo a.C., Ellanico di Lesbo e Damaste di Sigeo. Oltre un secolo più tardi lo storico siciliano Timeo di Tauromenio, tra i primi storici greci a interessarsi al mondo romano e alle sue istituzioni, fa menzione dell'origine troiana dei Penati custoditi in un santuario di Lavinium, città sacra per le genti latine. Fabio Pittore, Tito Livio, Dionisio di Alicarnasso, Appiano di Alessandria e Cassio Dione accreditano tutti la versione di Ellanico, Damaste e Timeo. Nella sua Storia di Roma, Livio scrive: «fondano una città, Enea le dà il nome, da quello della moglie, di Lavinium». In quegli stessi anni tale narrazione troverà spazio nellEneide di Virgilio.
Secondo gli storici antichi, e dello stesso Virgilio, dopo la morte del re Latino e, più tardi, dello stesso Enea, la popolazione autoctona si fuse con i Troiani e diede origine al popolo latino (XII secolo a.C.).
Le ipotesi della storiografia moderna
Secondo la teoria maggiormente accettata, diversamente dall'ipotesi della storiografia greco-romana di un'origine dall'Asia minore, i Latini, appartenenti alle genti indoeuropee, discesero in Italia nel corso del II millennio a.C.,Secondo il glottologo Giacomo Devoto, in due successive migrazioni, nel 1200 e nel 1000 a.C. circa, ultimi indoeuropei a stanziarsi nella penisola provenienti forse dall'Europa centrale danubiana.
Secondo Theodor Mommsen, che formulò la propria tesi soprattutto su basi linguistiche, la migrazione latina avvenne via terra, seguendo il percorso naturale dato dalla dorsale appenninica da nord a sud, seguendo il versante occidentale della penisola. La migrazione del gruppo latino si sarebbe estesa dal Lazio fino all'attuale Calabria. In seguito ai successivi arrivi di Sanniti e Greci, la presenza di popolazioni latine si sarebbe contratta, fino a coincidere con il Latium vetus (o Latium priscum), che grosso modo era delimitato dal Tevere a nord, dai Monti Prenestini e da un breve tratto del fiume Trerus a est, dai Monti Lepini e i Monti Ausoni a sud, e dal mar Tirreno a occidente. La presunta presenza di genti latine nelle terre a sud del Lazio è comunque definita dal Mommsen non documentabile. Per lo storico tedesco la presenza di genti latine in Campania (tra i quali lo studioso annovera gli Ausoni), si desume dal nome di alcune località campane come Nola (città nuova) o Volturnus (dal latino volvere), che attesterebbero la presenza di genti latine prima dell'arrivo dei Sanniti e dei Greci. Per quanto riguarda la presenza di genti latine nelle terre che poi sarebbero state occupate dai Lucani e Bruzi, è definita dal Mommsen probabile, anche se non documentabile.
Anche le altre popolazioni italiche di epoca storica, quali Umbri, Volsci, Piceni, Marsi e Sabini, appartenevano al gruppo di popolazioni di lingua indoeuropea, stanziatesi in Italia a seguito di migrazioni via terra, lungo la dorsale appenninica, seguendo un percorso da nord a sud, successive a quella dei Latini.
Invece le prime evidenze archeologiche ascrivibili a una popolazione di lingua indoeuropea, distinta da una precedente cultura appenninica, risalgono a non prima del XIII a.C. L'archeologia rileva che dalla fine dell'età del bronzo il territorio a sud del Tevere fu caratterizzato dalla cosiddetta facies laziale o cultura laziale (X-VI secolo a.C.), regionalizzazione della precedente cultura protovillanoviana (collegabile con la civiltà dei campi di urne dell'Europa centrale) che uniformò l'area tirrenica della Toscana e del Lazio fra il XII e il X secolo a.C. sovrapponendosi alla cultura appenninica che dominava la regione nei secoli precedenti. Secondo David W. Anthony, queste popolazioni di cultura protovillanoviana erano originarie della regione dell'attuale Ungheria orientale, mentre secondo l'archeologo Kristian Kristiansen, queste originavano dalla regione compresa tra la Moravia e l'Austria.
Alla cultura laziale viene associata la formazione dell'''ethnos latino che sul finire del secondo millennio a.C. si era già costituito in una serie di comunità (menzionate da Plinio il Vecchio) che avevano come centro principale Alba «Longa»
Dal XII all'VIII secolo a.C.
È ormai generalmente accertato che una popolazione, diversa da quella precedentemente residente, sia arrivata nel Latium in epoca protostorica. Tale popolo, sulla base di considerazioni di tipo linguistico e di una serie di rinvenimenti archeologici, viene identificato coi Latini.
Tra i reperti archeologici più antichi, risalenti a un periodo che va dall'XI al IX secolo a.C., quelli di Gabi e della vicina necropoli dell'Osa, di Lavinium e di Ficana.
Ne fa fede l'improvvisa comparsa di sepolcri che utilizzavano il rito dell'incenerazione, laddove invece i sepolcri di epoche precedenti utilizzavano esclusivamente il rito dell'inumazione. I primi sepolcri contraddistinti da questo nuovo rito sono databili attorno al X secolo a.C., e comparvero prima nella zona dei Colli Albani, a sud dell'attuale Grottaferrata, per poi diffondersi in altre parti del Latium, Roma compresa. Sulla base di queste considerazioni, troverebbe riscontro la tradizione romana che indicava in questo gruppo collinare il fulcro della nazione latina.
In questa prima età del ferro, la forma di popolamento dei Latini si articolava in una serie di raggruppamenti rurali autonomi, con spesso al centro un borgo fortificato (oppidum), e strettamente collegati fra di loro. Profondamente sentito era all'epoca il senso di un'origine, di un'appartenenza e di culti comuni, che indusse molte di queste entità a dare vita a delle vere e proprie federazioni o leghe. Queste, pur avendo originariamente un carattere religioso, col tempo riuscirono a darsi degli ordinamenti comuni che disciplinavano la difesa del territorio, il commercio ed altre materie di interesse generale. La Lega albense fu forse la più antica fra le federazioni del Latium vetus: era costituita da una trentina di centri, i cosiddetti populi albenses, ricordati da Plinio il Vecchio. Centro di questo ampio raggruppamento urbano era la città di Alba Longa, rasa al suolo attorno alla metà del VII secolo a.C. da Roma (al tempo di Tullo Ostilio), che si sostituì ad essa nella direzione della Lega. Ancora il quarto re di Roma, Anco Marzio, li vinse.Eutropio, Breviarium ab Urbe condita, I, 5. Alla fine di questo stesso secolo e in quello successivo, molti altri centri latini furono assorbiti nello stato romano. Dionisio di Alicarnasso, Strabone e Plinio si sono soffermati, nelle loro opere, sulle comunità più antiche del Latium Vetus, molte delle quali erano già scomparse da secoli quando i tre scrittori si accinsero a descriverle. Di alcune non si riesce neppure a stabilirne esattamente l'esatta ubicazione e fra queste la stessa Alba Longa.
Secondo la storiografia tradizionale uno sviluppo propriamente urbano di Roma e del Latium si era iniziato a delineare solo nel periodo fra la fine del VII secolo a.C. e la prima metà del secolo successivo. Negli ultimi tre decenni tale impostazione è stata messa in discussione dalle ricerche, dai ritrovamenti e dagli importanti contributi dottrinari di un gruppo di archeologi e storici, non solo italiani, con alla testa Andrea Carandini. Nel 1988 venne scoperta la prima cinta muraria di Roma databile attorno al 725 a.C., mentre ancor prima erano già venute alla luce significative testimonianze, dell'VIII secolo a.C., relative alle città di Praeneste e Tibur, i due massimi centri, dopo Roma, del mondo latino, fino almeno all'assorbimento del Latium Vetus nello Stato romano.
È difficile stabilire una linea netta di demarcazione fra fenomeno urbano e protourbano, purtuttavia è evidente che già a partire dal 750 a.C. circa, alcuni centri, per struttura e dimensioni, potevano essere equiparati a delle vere e proprie città sul modello di quanto era già avvenuto in Etruria un paio di generazioni prima e nel sud peninsulare con i primi stanziamenti ellenici. Questi ultimi sembrano essere addirittura posteriori a quelli etruschi o latini che quindi potrebbero essere sorti in forma autonoma, perseguendo cioè un modello di sviluppo del tutto autoctono.
Dal VII al VI secolo a.C.
Negli ultimi decenni del VII secolo a.C. ed ancor più nel corso del VI secolo a.C., si era andato affermando in tutto il territorio latino, in quasi tutta la Campania, ed in parte della pianura padana, la supremazia etrusca che si protrasse fino alla fine del VI secolo a.C. e che a Roma corrispose, secondo la tradizione, agli ultimi tre re appartenenti alla dinastia dei Tarquini (Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo). Sappiamo, inoltre, che Servio Tullio fece costruire un tempio a Diana a Roma, quale santuario federale dei Latini. In questa città, sempre secondo gli storici latini e greci, il periodo monarchico etrusco ebbe termine nel 509 a.C.
Con la battaglia di Aricia (504 a.C.), i Latini, grazie anche all'appoggio di un contingente cumano, sconfissero gli Etruschi di Chiusi, che miravano a prendere il posto della spodestata dinastia dei Tarquini o, secondo un'altra teoria, prestare loro aiuto. Il provvidenziale intervento degli alleati latini permise a Roma di conservare gli ordinamenti repubblicani, che si era da poco dati, per altri cinque secoli, e nel contempo infranse, e per sempre, le mire espansionistiche etrusche nel Latium centro-meridionale.
Successivamente nel Latium Vetus si scatenarono cruente lotte fra Roma ed i più importanti centri della regione, Tusculum in particolare, per il controllo del territorio. Nonostante Tusculum godesse dell'appoggio della maggior parte delle città latine, Roma riuscì, con la battaglia del Lago Regillo (496 a.C.), a sconfiggere le rivali e ad imporre loro la sua egemonia, sancita, qualche anno più tardi (493 a.C.), dal Foedus Cassianum. Questo trattato, che prese il nome dal console romano Spurio Cassio Vecellino, regolò le relazioni fra Roma e le altre città latine per oltre un secolo e mezzo, fino a quando venne sostituito da una serie di rapporti bilaterali fra l'Urbe ed i vari centri del Latium nel quadro di una politica di definitivo assorbimento della regione nello Stato romano (338 a.C.).
V secolo a.C.
Agli albori dell'età repubblicana iniziò anche quel grande movimento colonizzatore del popolo romano-latino, che, spesso sotto altre forme, ma con finalità non troppo dissimili, accompagnò l'espansione di Roma fino a tarda età imperiale. La spinta iniziale fu dovuta con ogni probabilità al sostenuto tasso d'accrescimento della popolazione del Latium Vetus in epoca etrusca, che comportò un forte surplus demografico non assorbibile in ambito regionale.
I primi centri in cui vennero dedotte colonie latine furono Cora (501 a.C.) e Signia (495 a.C.), cittadine di più antica ed incerta origine. Entrambe erano poste in zona di occupazione volsca. Seguì un anno più tardi Velitrae, anche essa contesa ai volsci (494 a.C.), come Anzio, la cui colonizzazione (467 a.C.) fu effimera, perché una decina d'anni più tardi tornava in possesso dei suoi precedenti abitatori volsci. La crisi politica, economica e demografica del V secolo impedì nuovi stanziamenti fino al 416 a.C. quando venne dedotta una colonia a Labici, in un territorio però già saldamente latino.
Il definitivo ritiro degli Etruschi a nord del Tevere, seguito a breve distanza dalla dura sconfitta subita nella battaglia navale di Cuma (474 a.C.) ad opera dei siracusani, determinò un improvviso ripiegamento in sé stesso di questo popolo ed un abbandono della sua politica di grande potenza nel Mediterraneo centrale. La Campania etrusca cadde in potere dei Sanniti e dei loro alleati pochi decenni più tardi ed il Latium Vetus, tassello importante della politica dei Tirreni in Italia centro-meridionale, ed esso stesso parte integrante del loro mondo da oltre un secolo, dovette affrontare una grave situazione politica esterna, oltre che interna (lotte sociali), che rischiò di comprometterne per sempre lo sviluppo, attentando alla sua stessa esistenza.
Nel corso del V secolo a.C., il Latium e le regioni limitrofe del Piceno, del Sannio e della Campania, furono sconvolte dall'espansione di alcuni popoli italici, primi fra tutti i Sanniti, gli Equi ed i Volsci. Questi ultimi costituivano una nazione fiera ed aggressiva stanziata fra i Monti Lepini ed il Liri e, fin dai primi decenni del V secolo a.C., riuscirono ad impegnare la Lega Latina e Roma, in una serie interminabile di guerre di logoramento. La roccaforte volsca di Anzio fu espugnata ed occupata dai romani nel 468 a.C., ma persa una decina d'anni più tardi, mentre le colonie latine di Signia e Norba latina, sui monti Lepini, furono costrette a patire un perenne stato d'assedio.
In questi conflitti i Volsci furono spesso appoggiati dagli Equi, altro popolo estremamente bellicoso le cui sedi erano situate fra l'alto corso dell'Aniene, i Monti Ernici ed il lago Fucino, a cavallo fra le attuali regioni del Lazio e dell'Abruzzo. Gli Equi, durante alcuni anni riuscirono persino ad occupare la seconda città latina per importanza, Praeneste, spingendosi fino alle propaggini orientali dei Colli Albani, sul monte Algido (458 a.C.). Qui furono fermati, da un dittatore entrato nella leggenda: Lucio Quinzio Cincinnato. A rendere ancor più drammatico questo già fosco quadro ci pensarono i Sabini che, fra il 495 a.C. ed il 449 a.C., scesero anch'essi ripetutamente in armi contro i Latini. L'importante e potente centro etrusco di Veio infine, da sempre rivale di Roma, mantenne durante tutto il V secolo a.C. una costante pressione militare sulle frontiere settentrionali del Latium Vetus che, in almeno tre occasioni sfociò in aperto conflitto: nel 485 a.C.-475 a.C. circa, nel 438 a.C.-425 a.C. ed infine nel 405 a.C.-396 a.C., conclusosi quest'ultimo con la distruzione della città ad opera di Roma.
Con ben quattro fronti bellici quasi costantemente aperti, a nord quello etrusco, ad est quello sabino, a sud-est quello equo ed a sud quello volsco, sembrava che il popolo latino e con esso la città di Roma, dovessero perire ed uscire per sempre dalla grande storia.
Il forte sentimento di appartenenza a una stessa stirpe, unitamente alla consapevolezza di poter essere travolti e sterminati dai popoli limitrofi, spinsero tuttavia i Latini a trovare le forze per liberare la propria terra dagli invasori. Nel 431 a.C. con la celebre battaglia del Monte Algido, gli Equi vennero ricacciati dal Latium Priscum; nel 426 a.C. fu la volta di Fidenae, città alleata di Veio, espugnata e distrutta da un esercito romano. L'appoggio degli Ernici, che fin dal 486 a.C. avevano aderito al Foedus Cassianum, permise a Roma ed alla Lega Latina, nell'anno 406 a.C., la realizzazione di un'impresa epica: la conquista della volsca Anxur, situata ad oltre cinquanta chilometri dalle frontiere meridionali del Latium Vetus. Dieci anni più tardi (396 a.C.) grazie al genio militare di Furio Camillo, la resistenza di Veio ebbe termine, la città venne rasa al suolo ed il suo territorio incorporato nello stato romano. Con Veio cadde uno dei centri etruschi più importanti e prestigiosi dell'epoca, fulcro civilizzatore dell'intero Lazio.
Le offensive condotte dal popolo latino negli ultimi decenni del V secolo a.C. avevano fortemente ridimensionato le mire espansioniste di Etruschi, Sabini, Equi e Volsci sul Latium vetus. Pochi anni più tardi tuttavia, un'orda celtica che aveva valicato l'Appennino seminando terrore e distruzione al suo passo, si diresse verso Roma.
IV secolo a.C. - dal 400 al 350 a.C.
Nel corso del V secolo a.C. alcuni popoli di origine celtica, chiamati dai Latini Galli, avevano occupato gran parte delle prealpi e della pianura padana. Nel 390 a.C. una spedizione di Galli capitanata da un certo Brenno, superato l'Appennino Tosco-Emiliano era penetrata in Etruria da dove marciò su Roma. Un esercito inviato dall'Urbe per arrestare gli invasori venne sconfitto sull'Allia, poche miglia più a nord del Tevere. A Roma donne, vecchi e bambini furono evacuati nelle città vicine mentre i difensori si rifugiarono nell'arx capitolina. Le insegne sacre furono invece inviate a Caere, importante centro etrusco alleato di Roma nell'ultimo, decisivo conflitto con Veio. La città latina, rimasta deserta, venne saccheggiata ed incendiata e solo il pagamento di un forte riscatto e la fermezza di Furio Camillo riuscirono ad allontanare l'orda che si diresse verso sud, in Apulia.
In seguito alla grave sconfitta della Battaglia del fiume Allia e al Sacco di Roma che ne seguì, i romani modificarono radicalmente l'armamentario dei soldati e le tattiche di guerra.
Erano stati arroganti, rifiutando di punire gli ambasciatori (della gens Fabia) che avevano ucciso un capo senone (violando il voto di non toccare armi), invece di risolvere la diatriba tra Etruschi e Senoni; erano stati presuntuosi, i tribuni militari schierarono l'esercito «senza aver scelto in anticipo uno spazio per il campo, senza aver costruito una trincea che potesse fungere da riparo in caso di ritirata, dimentichi, per non dire degli uomini, anche degli dèi, non essendosi minimamente preoccupati di trarre i dovuti auspici e di offrire sacrifici augurali», ma furono capaci di trarre insegnamento dai propri errori (che quasi avevano portato alla distruzione di Roma) e di capire i limiti del loro esercito e di provvedere in merito.
L'invio delle sacre vestimenta a Caere, e non in un'altra città latina, nel corso dell'incursione galla, può essere interpretato in vario modo ma certo è che nel 386 a.C. Praeneste denunciò il Foedus Cassianum sostenendo apertamente prima i Volsci poi gli Equi che, con i Falisci e gli etruschi di Tarquinia si levarono nuovamente in armi contro Roma. Anche Tusculum, pur non partecipando direttamente alla contesa, permise che un nutrito gruppo di suoi volontari si integrasse nell'esercito prenestino. I tempi della solidarietà latina sembravano svaniti per sempre.
Dopo un ennesimo tentativo dei Volsci di penetrare in territorio romano respinto da Furio Camillo, un esercito formato da Prenestini, Equi e volontari di Tuscolo si mosse contro Roma (383 a.C.). L'Urbe era allora impegnata a soccorrere la città alleata di Sutrium, cinta d'assedio dagli Etruschi di Tarquinia e dai loro alleati Falisci. Nonostante la scarsità di forze romane presenti in città, i prenestini vennero messi in fuga nei pressi di Porta Collina. La pace che seguì rispettò le libertà di Praeneste, ma non di Tusculum, città che venne definitivamente assorbita nello Stato romano (381 a.C.).
Fra il 362 a.C. ed il 358 a.C. la guerra divampò sulle sponde del Trerus: gli Ernici si ribellarono, e soltanto a prezzo di un notevole sforzo accompagnato da lunghe trattative diplomatiche, furono riportati all'obbedienza da Roma. Tibur, terza città latina per importanza, ne approfittò per scendere in guerra contro l'Urbe, dopo aver assoldato mercenari Galli (361 a.C.). Due nuovi conflitti, prima contro i Volsci, che vennero sconfitti (357 a.C.), e poi contro gli Etruschi di Tarquinia, obbligò Roma ad attendere ben sette lunghi anni prima di riuscire a piegare definitivamente la resistenza di Tibur, cui fu offerta una pace onorevole (354 a.C.). Nel 353 a.C. Caere passò definitivamente nella zona di influenza romana che si estese così, da quell'anno, sul miglior porto dell'Etruria meridionale. Ma ormai l'Urbe aveva perso molti dei suoi alleati latini nella lotta contro i propri nemici tradizionali: solo pochi centri relativamente popolosi (Norba e Signia in particolare), e un certo numero di nuclei minori del Latium, erano restati al suo fianco.
Gli avvenimenti che sconvolsero il Latium nella prima metà de IV secolo e che abbiamo cercato di sintetizzare nel precedente capitolo meritano una spiegazione. Perché dopo una serie ininterrotta di vittorie combattute e vinte da Roma e dai suoi alleati della Lega negli ultimi tre decenni del V secolo a.C. esplose nella regione una vera e propria guerra civile fra Latini? Quali furono le motivazioni che spinsero tanti prestigiosi centri del Latium Vetus a rinunciare a un grande progetto collettivo di espansione in Italia centrale e a levarsi in armi contro Roma e le città restatele fedeli?
La conquista di Veio del 396 a.C. aveva ulteriormente consolidato la posizione di assoluta supremazia che Roma godeva nella Regione. Sembrava ormai profilarsi per molte città latine il rischio di venire definitivamente assorbite dal potente Stato romano.
La presa ed il saccheggio di Roma (ma non della rocca capitolina) da parte dei Galli nel 390 a.C. fu certo un evento luttuoso nella sua storia, ma si trattò di una breve parentesi e la ricostruzione della città procedette ad un ritmo così sostenuto da indurci a credere che l'incendio tramandatoci dalla storiografia antica dovette interessare solo alcune zone dell'Urbe. Un importante studioso di questo periodo ritiene che agli inizi del IV secolo a.C. la popolazione di Roma tornò con ogni probabilità ai livelli della fine dell'età monarchica (509 a.C.), fissati da Tito Livio, Dionisio di Alicarnasso ed Eutropio in circa 80.000 abitanti. Anche allora, agli albori della Repubblica, le città della Lega avevano cercato di liberarsi dell'ingombrante tutela di Roma, ma senza successo.
Dopo la crisi del V secolo a.C., che, mettendo in pericolo la sopravvivenza stessa del Latium Vetus, aveva in qualche modo ricompattato il mondo latino, Roma era tornata ad essere più potente e florida che mai. Con la conquista di Veio, come si è già rilevato, i rapporti di forza fra Roma e i suoi alleati vennero ulteriormente modificati a favore dell'Urbe. Le città più importanti del Latium (Praeneste e Tibur), temettero di perdere le proprie libertà e si armarono contro Roma. In loro aiuto accorsero anche altri importanti centri del Latium Vetus, fra cui Tusculum, severamente punito da Roma con la perdita delle libertà civiche. Nella prima metà del IV secolo a.C. l'Urbe fu in grado non solo di respingere con successo gli attacchi delle città latine, ma anche tutte le offensive sferrate ripetutamente contro di essa da Etruschi, Falisci, Volsci ed Equi. Attorno al 350 a.C., subito dopo l'ultima guerra contro Tarquinia, che permise a Roma di consolidare la sua influenza sull'Etruria meridionale e di assorbire nel suo Stato l'importante porto di Caere, il destino dei Latini appariva ormai segnato.
IV secolo a.C. - dal 350 al 300 a.C.
Sul finire degli anni quaranta del IV secolo a.C. le due potenze egemoni in Italia centrale, Roma da una parte, e la Federazione sannita dall'altra, si affrontarono per il possesso della Campania settentrionale. La guerra (343 a.C.-341 a.C.), che si concluse con un nulla di fatto, permise però ai romani di inserirsi nelle contese interne di una regione ricca e popolosa e di entrare in possesso di Capua, la maggiore e più florida città campana del tempo, consegnatasi ai romani tramite l'istituto della deditio (343 a.C.). Capua era in quell'epoca al centro di una fitta rete di alleanze e di rapporti commerciali con molte città limitrofe che passarono tutte nell'orbita romana.
I Latini, preoccupati di questa nuova espansione di Roma verso Sud, decisero di passare in azione e, con l'appoggio di alcune città campane che mal sopportavano l'egemonia dell'Urbe nella loro regione, arruolarono un esercito che penetrò in Campania attraverso la valle del Trerus (340 a.C.). Le forze latino-campane vennero sconfitte nella battaglia del Vesuvio da un esercito romano, rafforzato, con ogni probabilità, da un contingente sannita. I superstiti furono costretti a ripiegare oltre il fiume Garigliano ma andarono incontro a una nuova disfatta presso Trifano. Nei Campi Fenectani, in territorio appartenente al Latium Adiectum si consumò l'ultimo atto della tragedia: un esercito costituito dai Latini di Prenestae, Tibur ed altri centri minori, venne interamente decimato da Romani (338 a.C.). Da quel momento le città del Latium Vetus cessarono di esistere come entità politiche autonome e la loro storia confluì per sempre in quella di Roma, espressione massima di quella stessa civiltà sviluppata dal popolo latino in tanti secoli di storia.
Società
Data l'esiguità della propria base territoriale (non superiore ai 2.000 km²), la popolazione latina non poteva, in epoca preromana, superare le 60.000 o 70.000 unità. Tale popolazione si articolava originariamente, come si è già accennato, in populi, comunità per lo più di modeste dimensioni che nell'età di Tarquinio il Superbo raggiunsero il numero di quarantasette, distribuite in diciannove o venti "distretti", entità territoriali unite spesso fra di loro in federazioni. I populi fin dagli inizi dell'età del ferro, diedero vita a dei centri urbani o protourbani governati da re locali e dalle forti aristocrazie autoctone. Il potere di queste ultime, sviluppatosi a partire dall'VIII secolo a.C. non fu solo un fenomeno laziale, ma coinvolse anche l'Etruria meridionale tirrenica: originato dalla nascita della proprietà privata terriera e dalla lotta fra le aristocrazie locali per l'accaparramento fondiario si basava «...sulla dipendenza di vasti gruppi di clientes, forza-lavoro agricola e militare composta da non consanguinei e annessa alla familia allargata...». Una società aristocratica, contraddistinta da «...segni del potere sempre più vistosi e sempre più largamente attinti dallo strumentario del fasto regale orientale...» si consolidò nel corso dei secoli successivi dando luogo a profonde divisioni sociali, che nella città di Roma si sarebbero protratte per buona parte dell'età repubblicana. Tale società divenne anche il motore di sviluppo di organismi statali, fra cui quello romano, che, sebbene non poggiati su basi razziali ed aperti a nuovi apporti etnici, si incentravano su un comune sistema di valori aventi originariamente, come punti di riferimento, la virtù individuale in tutte le sue manifestazioni ed una visione aristocratica della vita che permeava di sé l'intera collettività.
Religione
Le credenze religiose del Latium arcaico erano prevalentemente legate alla natura animata (animali e piante) ed inanimata (il fuoco, l'acqua, il vento ecc.) o alle forze soprannaturali che presiedevano l'esistenza umana (la saggezza, la morte, il concepimento e la nascita ecc.). Fra gli animali erano sacri il piculus (picchio), capace di predire il futuro, il serpens o draco (serpente, oggetto di culto nel tempio di Juno a Lanuvio), laper (cinghiale) ed il lupus (lupo).
Il fuoco trovava una doppia incarnazione in Vesta e in Vulcanus (Vulcano), mentre la vitalità della natura selvatica era racchiusa nel Dio Faunus (Fauno). Particolare oggetto di culto erano la terra (Terra mater), il cielo (Juppiter, ovverosia Giove) e la donna giovane in grado di generare e riprodurre la stirpe (Juno, Giunone, da jun di juvenis, giovane). Grande importanza avevano tutte le divinità legate all'agricoltura, e che assicuravano il sostentamento umano: Flora (la dea che presiede la fioritura del grano), Mater Matuta (la dea che protegge la maturazione del frumento), Cerere, ecc. Anche alcuni luoghi fisici, evocanti la storia del nomen latino potevano essere oggetto di culto, come Tiber (Tevere). Particolare devozione, infine, era riservata agli dei protettori del focolare e della stirpe come i Lares ed i Penates (Lari e Penati).
La religione non solo condizionava la vita sociale dei Latini, ma anche quella politica. La comunanza religiosa costituiva infatti, insieme a quella linguistica, il legame più forte che univa fra di loro le tante realtà territoriali ed umane in cui si articolava, all'epoca, il Latium Vetus. Spesso la credenza negli stessi riti, divinità, luoghi di culto, spingeva gruppi di villaggi e, più tardi, di città, a costituire delle vere e proprie Federazioni o Leghe. Celebre a questo proposito fu la Lega albense, cui abbiamo fatto precedentemente accenno, raccolta attorno al santuario di Juppiter sul Mons Albanus, la quale servì successivamente da archetipo alla Lega latina.
Diritto
I Latini si caratterizzarono sempre per un'accentuata e rigida concezione legalitaria che si rifletteva in ogni ambito della vita pubblica e privata. In epoca arcaica le liti e le controversie venivano risolte tramite un'azione individuale che però doveva conformarsi a determinate consuetudini e godere del necessario consenso sociale. Con lo sviluppo delle prime città-stato la giustizia passò ad essere amministrata dall'autorità pubblica, personificata frequentemente dallo stesso rex che spesso era anche guida spirituale della comunità e suo pontifex maximus cioè sommo sacerdote. Spettava a lui legiferare e designare le persone, o gli organi collegiali, che lo coadiuvassero in questa sua funzione.
Nel corso della prima metà del V secolo a.C. venne viepiù avvertita l'esigenza di una codificazione scritta del diritto che impedisse abusi ed interpretazioni arbitrarie della normativa soprattutto a detrimento delle classi sociali più deboli. Alcuni storici inquadrano questo fenomeno nell'ambito di una progressiva democratizzazione della società latina del tempo e nella lotta da parte delle classi popolari per assicurarsi quegli strumenti di tutela (e di certezza) giuridica necessari alla propria emancipazione sociale ed economica.
Nel 451 a.C.-450 a.C. la città latina più potente e popolosa, Roma, si diede un suo primo ordinamento giuridico scritto, attingendo ampiamente a quelle che erano le antiche tradizioni e le concezioni etiche della nazione latina. Si avverte in questo codice, universalmente conosciuto come Leggi delle XII Tavole, il forte senso di integrità e austerità tipico del popolo latino e la sua profonda avversione per tutto ciò che attentasse alle regole dell'onore e della fedeltà, sia verso lo Stato, che nei confronti della propria famiglia. Tutti i cittadini erano inoltre tenuti al rispetto della proprietà privata ed alla correttezza nei rapporti economici: esemplari erano le pene previste per il debitore insolvente.
Le Leggi delle XII Tavole hanno un'importanza storica enorme: con esse era stato posto infatti il primo tassello di quello che sarebbe stato il futuro ordinamento giuridico romano, base indiscussa della moderna giurisprudenza di tanta parte del mondo contemporaneo.
Economia
In epoca protostorica domina in tutto il Latium Vetus un'economia di tipo primario piuttosto diversificata: agricoltura (farro, orzo, miglio e fave in particolare ma anche cipolle e finocchi), ed allevamento (bovini e suini), in pianura, pastorizia transumante preferentemente, ma non solo, sui rilievi. Le colture della vite e dell'olivo furono introdotte non prima del VII secolo a.C., quando già noccioli, peri e meli erano presenti da tempo sul territorio. La caccia doveva inizialmente occupare un posto non trascurabile nell'alimentazione latina data la ricchezza nel territorio della fauna selvatica (lepri e colombi in particolare, più rari i cervidi).
Le attività manifatturiere presenti in zona erano di tipo metallurgico, legate in particolare all'agricoltura (utensili vari: zappe, asce, vomeri ecc.) ed all'attività bellica (armi). Col tempo si sviluppò anche una forma di artigianato locale tesa a soddisfare richieste meno primarie: vasellame in particolare, ma anche oggetti di pasta vitrea ed ambra rilevati in molti insediamenti (Colle della Mola, Narce ecc.).
Per quanto riguarda le attività commerciali, con ogni probabilità conobbero una notevole espansione in età etrusca e cioè a partire dal VII-VI secolo a.C. con lo sviluppo urbano di Roma, Praeneste, Tibur ed altri importanti nuclei abitati latini. Ricordiamo che il Latium Vetus era all'epoca un importante punto di transito fra l'Etruria propriamente detta, le importanti città campane cadute sotto l'influenza etrusca (Capua, Pompei ecc.) ed i ricchi centri italioti del Tirreno (Neapolis, Cuma, ecc.).
Lingua
Lingua dei Latini, della città di Roma e del suo Impero, fu il latino, idioma di origine indoeuropea forse distaccatosi da un precedente ceppo italo-celtico, e conosciuto nella prima fase del suo sviluppo come proto-latino.
Il latino delle origini costituiva, insieme al falisco e ad altre lingue affini, una lingua a sé stante rispetto agli altri idiomi italici ugualmente indoeuropei che, diffusi nell'Italia continentale e raggruppati in massima parte nella grande famiglia osco-umbra, erano stati introdotti nella Penisola in epoca successiva a quella riscontrabile per le lingue latino-falische. Il latino presentava caratteristiche grammaticali, sintattiche e lessicali che lo imparentavano, da una parte, con gli idiomi celtici e germanici, dall'altra con le aree indoeuropee più orientali (di lingua tocaria e indoaria). La prima iscrizione rinvenuta in protolatino è contenuta nella fibula praenestina, monile fabbricato attorno alla metà del VII secolo a.C. e rinvenuto a Palestrina (l'antica Preneste) nell'Ottocento; mentre una letteratura propriamente latina iniziò a svilupparsi solo in età romana, a partire dal III secolo a.C.
Cultura
Le origini della civiltà latina
In epoca arcaica (XII secolo a.C.-VIII secolo a.C.) l'etnia latina presentava un livello di sviluppo sociale e civile paragonabile a quello di altre popolazioni appenniniche da cui ben poco si differenziava, almeno a giudicare dalla scarsa documentazione in nostro possesso. Tipica del mondo latino del tempo era la forma di insediamento che si articolava in villaggi di piccole dimensioni (generalmente al di sotto dei 20 ettari), e contraddistinti da un tipo di economia stanziale di carattere agropecuario. Come abbiamo già rilevato precedentemente, le manifatture esistenti, tutte di modestissime dimensioni, erano specializzate nella fabbricazione di utensili agricoli, armi, o oggetti domestici di ceramica o di metallo con ben scarse pretese artistiche.
Le abitazioni dei primi Latini erano generalmente costituite da capanne o altre modeste edificazioni in legno, che solo partire dalla fine del VII secolo a.C. verranno sostituite da case in pietra o laterizi. La società doveva strutturarsi su base patriarcale o tribale in cui il capo tribù svolgeva anche la funzioni sacerdotali. La religione, prima dell'impatto con le civiltà etrusca ed ellenica, era di tipo naturalistico, e svolse un ruolo importante di aggregazione fra i vari villaggi in cui si articolava il Latium, i quali si riconoscevano in divinità, credenze e riti comuni.
Una forte spinta all'elaborazione di una cultura e di strutture sociali più articolate ed evolute fu dovuta, nel corso dell'VIII secolo a.C. a una prima fioritura di nuclei urbani (o protourbani) nel Latium Vetus ed alla fondazione delle prime colonie greche nell'Italia meridionale ed in Sicilia. In ogni caso l'impronta ellenica sul Lazio iniziò ad essere chiaramente percepibile negli ultimi decenni di questo stesso secolo (VIII secolo a.C.) con l'inizio del movimento coloniale che ebbe come epicentro le coste dell'Italia meridionale tirrenica e ionica e della Sicilia (la fondazione di Siracusa è del 734 a.C.).
Latini, Greci e Punici
La costituzione delle prime colonie greche in Campania attorno alla metà dell'VIII secolo ebbe una grande importanza storica non solo per la nazione latina, ma anche per molti altri popoli stanziati nell'Italia peninsulare, che ricevettero dai contatti con la civiltà ellenica un forte impulso al proprio sviluppo. Sono degli ultimi decenni di questo secolo i primi oggetti di lusso di produzione greca ritrovati a Roma ed in altre città latine che stimolarono oltretutto una produzione locale riscontrabile in molti centri del Latium vetus (Praeneste, Tibur, Satricum ecc.). Tale produzione, generalmente di imitazione, fu in un primo tempo di livello nettamente inferiore ai modelli originali. Già nel corso del VII secolo a.C., tuttavia, era riuscita ad affinarsi notevolmente dando vita a una fiorente produzione artigianale.
I Greci non si limitarono però ad introdurre in alcune parti d'Italia la propria arte o nuove tecniche di lavorazione manifatturiera, ma anche le proprie istituzioni politiche e militari ed uno strumento che rivoluzionerà la storia del popolo latino anche se si diffuse nel Latium Vetus attraverso l'intermediazione etrusca: la scrittura. In quegli stessi anni, tra il IX e VIII secolo iniziava in Sicilia e Sardegna la penetrazione commerciale fenicia che qualche secolo più tardi si sarebbe tradotta, tramite Cartagine, in un rapporto che legava le città delle Isole anche politicamente (per quanto riguarda la Trinacria l'occupazione punica interessò solo la sua parte occidentale). Secondo eminenti archeologi i Sardi godevano di privilegi che di seguito saranno rispettati pure con la colonizzazione punica. La differenza tra dominati e alleati è stata ipotizzata attraverso gli oggetti trovati in contesti funebri.
Latini ed Etruschi
In un momento storico non facilmente determinabile ma che dovette prodursi negli ultimi due o tre decenni del VII secolo a.C. Roma e tutto il Latium Vetus iniziarono a ruotare nell'orbita etrusca. L'evoluto popolo degli Etruschi, all'apogeo della propria potenza, dischiuse ai Latini le porte di una civiltà nuova e raffinata. Grande è il debito che essi contrassero nei confronti di questo importante gruppo etnico, debito spesso misconosciuto dagli stessi storici latini.
Gli Etruschi introdussero nel Latium molte delle proprie credenze religiose (fra cui le pratiche divinatorie degli aruspici ed il culto dei morti), proprie istituzioni politiche di tipo oligarchico, alcune delle quali sopravvissero anche in età repubblicana, e un'amministrazione efficiente. L'alfabeto etrusco (di derivazione greco-occidentale) pur se modificato per potersi adattare ad un idioma indoeuropeo come il latino, fu adottato da tutte le città del Latium Vetus, Roma compresa. Furono etrusche le tecniche costruttive che permisero a Roma, a Praeneste e a Tibur, di sostituire le proprie capanne ed altre abitazioni fatiscenti, con delle case in pietra ricoperte di tegole, acquistando delle inequivocabili connotazioni urbane (ma tale trasformazione dovette, con ogni probabilità, prodursi ancor prima che iniziasse una vera e propria egemonia etrusca sul Latium Vetus).
Il Lazio "etrusco" divenne anche un grande consumatore di beni di lusso ed artistici. Gli sfarzosi arredi funerari scoperti a Praeneste, testimoniano l'improvviso imporsi nella regione, non solo di un'arte nuova, ma di una prosperità materiale sconosciuta fino ad allora. Nacque in questo periodo, ma si sviluppò soprattutto nei secoli successivi, un'arte latina di ispirazione italico-etrusca contraddistinta da un accentuato realismo e che sopravvisse, soprattutto nella ritrattistica, fino ad età imperiale. Popolarissima fra le classi medie, verrà definita dagli studiosi, senza nessuna accezione spregiativa, arte plebea o popolare. Il dominio etrusco, forse esercitato più strettamente a Roma che non in altri importanti centri latini, durò oltre un secolo ed ebbe termine sul finire del VI secolo a.C.
La fine della civiltà latina
Il tramonto dell'egemonia etrusca sul Latium Vetus determinò un'improvvisa emarginazione della regione che venne tagliata fuori dalle grandi correnti di traffico internazionale che ne avevano determinato lo sviluppo nei decenni precedenti. A partire dal 470 a.C. circa e per quasi un secolo (fino almeno al 390 a.C.-385 a.C.), assistiamo così ad un progressivo impoverimento materiale del popolo latino che si rifletté, oltre che sul piano economico, anche su quello culturale. Per Roma, la cui situazione è senz'altro meglio documentata che per le altre città, non si conoscono, di questo periodo, grandi realizzazioni civili o militari. È significativo che l'Urbe, come ha fatto notare un grande archeologo italiano, Ranuccio Bianchi Bandinelli, non possedesse all'epoca, fra le associazioni artigiane esistenti, né tagliapietre, né pittori, né scultori.. Solo dopo l'incursione gallica (390 a.C.) il Latium Vetus tornò a prosperare: ne fanno fede i corredi e gli arredi tombali, più raffinati che in passato, e in taluni casi artisticamente pregevoli.
Note
Bibliografia
Fonti primarie
Tito Livio, Ab Urbe Condita, libri I-V
Eutropio, Breviarium ab Urbe condita Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane Strabone, Geografia Plinio, Naturalis Historia Fonti secondarie
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Ranuccio Bianchi Bandinelli, Etruschi ed Italici, Corriere della Sera e Rizzoli libri illustrati Milano (?) 2005
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Raymond Bloch, Origins of Rome, London 1960 Trad. Le Origini di Roma, Milano 1961
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Gianna Buti e Giacomo Devoto, Preistoria e storia delle regioni d'Italia, Firenze 1974
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Ugo Di Martino, Le Civiltà dell'Italia antica, Milano 1984
Massimo Pallottino, Storia della prima Italia, Milano 1984
Renato Peroni, Introduzione alla protostoria d'Italia, Roma-Bari 1994
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Autori vari, Storia di Roma Vol. I: Roma in Italia, Einaudi, Torino 1988
Autori vari, Popoli e civiltà dell'Italia antica'', Vol. I-VII Roma 1974-1978
Voci correlate
Popoli albensi
Popoli indoeuropei
Popoli italici
Popoli dell'Italia antica
Città scomparse del Lazio arcaico
Cultura laziale
Latium
Confederazione latina
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Licenza artistica 1.0
Tra le varie versioni esistenti, la più nota è la Artistic License (Perl) 1.0, che per essere tale deve comprendere la clausola:
Licenza artistica chiarificata
Se è o no una licenza del software libero è una questione molto discussa. È stata criticata dalla Free Software Foundation per il fatto che è "troppo vaga; alcuni passaggi sono troppo complicati per ciò che vogliono spiegare e il significato non è chiaro".Viene suggerito di non utilizzare questa licenza da sola, ma è raccomandato utilizzare la doppia-licenza AL/GPL, com'è stato fatto per i progetti Perl. In risposta a ciò, Bradley M. Kuhn, che più successivamente ha lavorato per la Free Software Foundation, ha fatto un cambiamento minimo per chiarificare i passaggi ambigui. Questa fu distribuita come "Licenza artistica chiarificata", ed è stata approvata dall'FSF. È utilizzata dagli emulatori SNEeSe e FakeNES, il Paros Proxy e NcFTP.
Licenza artistica 2.0
In risposta al processo di Request for Comments per migliorare la posizione in quanto a licenziamento di Perl 6, la bozza di Kuhn è stata ampiamente riscritta da Roberta Cairney e Allison Randal per renderla più semplice da leggere e per chiarezza legale, operazione suggerita dalla comunità Perl. Tutto ciò è sfociato nella "Licenza artistica 2.0" che è stata approvata sia come Licenza Libera e Open Source. Le principali differenze rispetto alla versione 1.0, a parte la riformulazione dei concetti, riguardano l'inserimento della possibilità di rilicenziare copie modificate del pacchetto in questione, sotto la licenza artistica o altre licenze compatibili (GPL, MPL, Apache, ecc...) e una protezione da eventuali diatribe in materia di brevetti.
Era stata programmata per l'adozione dall'implementazione standard di Perl quando la versione 6 è stata distribuita, ed è stata utilizzata da Parrot virtual machine fino alla versione 0.4.13.
La OSI raccomanda che tutti gli sviluppatori e i progetti licenzino i loro prodotti con la Artistic License adottando la Artistic License 2.0.
Note
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L'esempio più lampante (e noto al largo pubblico) sono le centinaia di distribuzioni GNU/Linux: un sistema operativo completo di migliaia di applicativi anche di elevatissimo valore, spesso allegate a riviste ad un costo limitato, a sola copertura dei costi di produzione e distribuzione del supporto, e/o liberamente scaricabili (senza infrangere nessuna legge) dai siti ufficiali su Internet.
La GNU Free Documentation License, l'unica licenza originariamente utilizzata da Wikipedia, è un esempio di licenza open source.
Natura ed obiettivi delle licenze open source
Lo scopo primario delle licenze open source non è la gratuità del software, ma la sua sopravvivenza ovvero la certezza che vi sia la possibilità per chiunque e in qualunque momento, anche futuro, di apportare miglioramenti o comunque modifiche al programma, e di installarlo senza alcuna limitazione.
Per alcuni esponenti della comunità del software libero, come Stallman, lo scopo primario è la libertà del software in sé, in quanto più importante rispetto agli aspetti tecnologici. Secondo Stallman, il software dovrebbe essere liberamente utilizzabile prima di tutto perché non è etico brevettarlo, e, solo in secondo luogo, perché è di migliore qualità.
La definizione di Open Source
Storia
Il termine "open source" venne coniato agli inizi del 1998 su iniziativa di Bruce Perens, Eric S. Raymond, Hall, Tim O'Reilly, Linus Torvalds e altri importanti sviluppatori della comunità Free Software, come allora veniva chiamata. L'obiettivo principale era quello di rendere l'idea del software libero più accettabile all'ambiente commerciale, evitando le posizioni intransigenti di Stallman e contemporaneamente evitare l'equivoco generato dalla parola "free" in inglese (che significa sia gratuito che libero). La parola "source" stava a sottolineare il fatto che un software non è tanto il programma eseguibile, quanto il suo punto di partenza, il sorgente appunto.
Molto attivo fu soprattutto il Raymond, che cercava la licenza migliore in occasione della distribuzione pubblica del codice sorgente di Netscape Navigator. L'obiettivo era proprio quello di rendere il prodotto accettabile nelle aziende evitando l'uso della restrittiva licenza GPL.
Definizione
La Open Source Definition definisce quali licenze possono essere considerate open source. Questa definizione è stata fatta dalla fondazione Open Source Initiative (OSI) che tuttora gestisce il marchio creato ad hoc. La definizione deriva dalle regole (dette Debian Free Software Guidelines) che si era dato il progetto Debian per scegliere quali software includere nella propria distribuzione GNU/Linux.
Secondo questa definizione è evidente che perché una licenza sia open source non si deve soltanto di avere accesso al codice sorgente, ma anche il permesso a chiunque di mettere mano al codice sorgente e contemporaneamente il permesso di ridistribuirlo, il tutto senza che alcuno possa pretendere anche il minimo compenso, però senza impedire di chiedere un compenso a chi è disposto a pagarlo.
Secondo la Open Source Definition affinché si possa parlare di una licenza open source è necessario che tale licenza soddisfi contemporaneamente tutte le condizioni sotto indicate.
Ridistribuzione libera. La licenza non può impedire ad alcuna parte in causa la vendita o la cessione del software. Chiunque deve poter fare tutte le copie che vuole, venderle o cederle, e non deve pagare nessuno per poter fare ciò.
Codice sorgente. Il programma deve includere il codice sorgente. Codice deliberatamente offuscato non è ammesso. Questo in quanto il codice sorgente è necessario per modificare o riparare un programma.
Opere derivate. La licenza deve permettere modifiche e opere derivate e deve consentire la loro distribuzione sotto i medesimi termini della licenza del software originale, in quanto il software serve a poco se non si può modificare per fare la manutenzione ad esempio per la correzione di errori o il porting su altri sistemi operativi.
Integrità del codice sorgente dell'autore. La licenza può proibire che il codice sorgente venga distribuito in forma modificata solo se la licenza permette la distribuzione di pezze ("patch file") con il codice sorgente allo scopo di migliorare il programma al momento della costruzione.
Nessuna discriminazione contro persone o gruppi. La licenza deve essere applicabile per tutti, senza alcuna discriminazione per quanto nobile possa essere l'obiettivo della discriminazione. Ad esempio non si può negare la licenza d'uso neanche a forze di polizia di regimi dittatoriali.
Nessuna discriminazione di settori. Analogamente alla condizione precedente, questa impedisce che si possa negare la licenza d'uso in determinati settori, per quanto questi possano essere deplorevoli. Non si può dunque impedire l'uso di tale software per produrre armi chimiche o altri strumenti di distruzione di massa.
Distribuzione della licenza. I diritti relativi al programma devono applicarsi a tutti coloro ai quali il programma sia ridistribuito, senza necessità di esecuzione di una licenza aggiuntiva.
La licenza non dev'essere specifica a un prodotto. I diritti relativi a un programma non devono dipendere dall'essere il programma parte di una particolare distribuzione di software.
La licenza non deve contaminare altro software. La licenza non deve porre restrizioni ad altro software che sia distribuito insieme a quello licenziato.
La licenza deve essere tecnologicamente neutra. Nessuna clausola della licenza deve essere proclamata su alcuna singola tecnologia o stile di interfaccia.
Le licenze
La OSI ha una lista di licenze open source. Perché una licenza vada in questa lista deve rispettare la Open Source Definition e deve seguire un processo di approvazione. La Free Software Foundation (FSF) ha a sua volta una lista di licenze ritenute libere (nella lista ci sono anche licenze ritenute da alcuni erroneamente libere e la spiegazione del perché non lo sono), per ognuna c'è scritto se è compatibile o no con la GNU General Public License. La lista delle licenze open source (secondo la definizione OSI) e la lista delle licenze libere (secondo la definizione della FSF) sono quasi coincidenti, ma ci sono alcune eccezioni (vedi Comparazione di licenze libere).
In generale le licenze open source non sono a priori reciprocamente compatibili. Il titolare dei diritti d'autore può comunque distribuire il proprio codice con diverse licenze, sia open source che commerciali. Questo vale sia per l'iniziatore del progetto che per gli autori che contribuiscono al progetto, ciascuno per il proprio codice. Questa possibilità, detta pure dual-licensing o dual-system viene effettivamente praticata, p.es. dalla Sun per la propria Suite Star Office, ma anche da Larry Wall per l'interprete Perl.
Nel novembre del 2001, Netscape ha deciso di rendere pubblico il codice del proprio browser anche sotto la licenza GPL - cosicché il progetto Mozilla viene distribuito con le licenze NPL, MPL, GNU GPL e GNU LGPL - per venire incontro alla comunità degli sviluppatori di progetti open source soggetti alla GPL. Il risultato attuale è che parti del codice sorgente sono soggette a una o più di queste licenze; lo staff di Mozilla lavora per cercare di distribuire tutto il codice sotto la triplice licenza MPL/LGPL/GPL.
Bibliografia
Andrew St. Laurent, Understanding open source and free software licensing — documento ZIP
Voci correlate
Open source
Open Source Definition
Licenza di software libero
Comparazione di licenze di software libero
Collegamenti esterni
L'open source nell'accesso digitale persistente Un Briefing Paper di Robert Neumayer, traduzione di Paolo Tentori.
Open Source |
2540 | https://it.wikipedia.org/wiki/Licenza%20di%20software%20libero | Licenza di software libero | Una licenza di software libero è una licenza libera, un testo legale caratterizzato da un aspetto contrattuale o para-contrattuale, che si applica ad un software per garantirne la libertà d'utilizzo, di studio, di modifica e di condivisione, ovvero per renderlo software libero.
La nascita del concetto di licenza applicata ad un software per renderlo libero combacia in parte con la nascita di GNU, il primo sistema operativo completamente libero ideato da Richard Stallman nel 1983.
Tutt'oggi il progetto GNU e la Free Software Foundation patrocinano attivamente il software distribuito sotto licenze libere e, in generale, la libertà digitale degli utenti.
La GNU General Public License, la licenza Apache e la licenza MIT sono alcune fra le licenze libere più adottate.
Storia
L’idea di licenza libera si sviluppa con la nascita del software libero la cui storia inizia a partire dal 1980.
Tra gli avvenimenti principali che portano allo sviluppo di queste tematiche troviamo:
Bayh-Dole Act in America: una nuova legge che permette di privatizzare i risultati ottenuti per mezzo di attività di ricerca svoltesi in ambito accademico, a patto che si verifichino specifiche condizioni (ad esempio la collaborazione con enti privati).
Frammentazione dell’At&T: una società telefonica americana che fino a quel momento deteneva il monopolio della telefonia. In quanto azienda monopolista, nella fornitura dei servizi di telefonia, era soggetta ai limiti imposti dall’autorità anti-trust statunitense. Quest’ultima aveva imposto ad AT&T diversi obblighi, tra cui l’obbligo di non fornire prodotti o servizi diversi dalla telefonia. AT&T aveva ad un certo punto sviluppato un sistema operativo, ovvero Unix, ma non poteva venderlo. Per questo motivo lo metteva a disposizione gratuitamente nei laboratori di ricerca delle università americane. Unix era, fino al 1980, il software libero utilizzato nel sistema di ricerca nelle università americane. Nel momento in cui la società viene frazionata in più società minori, vengono meno i divieti sottoposti dall’attività anti-trust statunitense. Unix diventa così un possibile oggetto possibile di commercializzazione.
USA Software Digital Act: prima del 1980 il tema dell’applicabilità al software del diritto d’autore era molto dibattuto. Negli Stati Uniti il primo atto normativo che rende possibile questa applicabilità è del 1976, ma nel 1980 viene adottato un ulteriore atto normativo: USA Software Copyright Act. Arriva quindi in modo definitivo la tutela del diritto d’autore applicata al software.
Nella storia del software è importante focalizzarsi su alcuni diritti, soprattutto parlando dei software degli anni ‘80. Nel 1980 erano importanti 3 facoltà:
● Diritto di riprodurre (Art. 64-bis lett. a ed art. 13 LdA), cioè il diritto di moltiplicare in copie il programma
● Diritto di modificare (Art. 64-bis lett. b ed art. 18 LdA), cioè autorizzare le modifiche del programma
● Diritto di distribuire (Art. 64-bis lett. C ed art 17 LdA), che negli anni ‘80 era la circolazione di copie fisiche
In quegli anni si discuteva su come proteggere il software, se con i diritti d’autore o con i brevetti. La scelta cadde sul diritto d’autore soprattutto perché la lobby delle aziende trovava conveniente adottare il diritto d’autore in quanto meno costoso, mentre il brevetto deve essere concesso (c’è bisogno di una domanda di brevetto che deve essere valutata da professionisti esperti) e ciò necessita di cifre molto importanti. Il valore economico era inizialmente nell’hardware piuttosto che nel software, solo in seguito si inizia a percepire che c’è del valore anche nel software (con l’avvento di linguaggi di programmazione come C).
A partire dal 1980 si diffondono quindi sostanziali cambiamenti, primo tra i quali la diffusione del software privato con forti limitazioni riguardanti la riproduzione, la distribuzione e la modificale libera del codice sorgente. Nel 1981 a seguito della sentenza Diamond v. Diehr, 450 US 175 (1981) venne riconosciuta per la prima volta la natura brevettuale dei programmi per elaboratore. In seguito a questi avvenimenti cominciò ad essere sempre più utilizzato e diffuso il concetto di proprietà intellettuale, concetto che in principio generò non poche difficoltà in quanto era sempre stato associato all’aspetto materiale di un prodotto. Infatti fino agli anni 90 questa espressione non era molto usata, ma diventa una moda quando viene rinominata l’organizzazione mondiale che si occupa di queste materie, chiamata WIPO. Il primo difetto di questa espressione è che mette insieme diritti molto diversi tra di loro, il che risulta molto confusionario. Il secondo difetto è che si usa l’espressione “proprietà” che nel sentir comune ricorda un diritto che applichiamo agli oggetti materiali, un diritto esclusivo ed escludente. I beni materiali come le opere dell’ingegno non funzionano così, perché la ragione dell’uso esclusivo funziona in modo diverso.
Ed è proprio in questo contesto che nascono le prime linee di pensiero in contrapposizione alle limitazioni che si stavano sviluppando. Tra i primi ad opporsi alle nuove disposizioni ci fu Richard Stallman, ideatore della definizione di software libero nonché fondatore del GNU Project (Gnu’s Not Unix). Stallman inizia il progetto con lo scopo di rifare un sistema operativo che avesse qualità simili a quelle del sistema operativo Unix, ma che fosse comunque diverso.
L’idea che sta alla base della licenza libera del software è motivata da istanze etiche riguardanti la libera diffusione e la cooperazione.
Nella prima metà degli anni ‘90, alcuni sviluppatori si convinsero che l’enfasi sugli aspetti etici fosse d’intralcio alla diffusione del software libero in ambito industriale e iniziarono a dubitare anche dell’espressione “free software” che risulta essere un po’ ambigua (in quanto si può anche tradurre "free" come "gratis"). Quindi questo gruppo di sviluppatori pensò di fare re-branding dell’idea di software libero, creando la Open source Initiative ed evolvendo il concetto in quello di Open Source Definition, una definizione simile all’espressione di software libero nella sostanza, ma molto diversa nella forma. Questa definizione è articolata in 10 punti. Negli anni sono state create molte licenze di software libero diverse.
Caratteristiche
Il codice contenuto nel software, a livello giuridico, viene trattato dalle leggi sul diritto di autore. Nell'ambito del software si è introdotto, un contratto, la licenza, il cui scopo è spesso quello di limitare ulteriormente i diritti di chi ne fruisce. Il software ha solitamente un proprietario che è colui che detiene i diritti di autore sul software stesso, cioè colui che possiede il copyright. L'uso del software può essere concesso gratuitamente o a pagamento, per le operazioni sancite dal contratto di licenza, o in sua mancanza per quanto stabilito dalla legge.
Quando si parla di licenza libera (o aperta) del software, così come intesa nell’Art. 69 del CAD, si fa riferimento ad una licenza che garantisca all’utente di un software 4 libertà:
libertà di eseguire il programma ad ogni scopo (libertà 0);
libertà di poter studiare il funzionamento del programma con possibilità di accesso al codice sorgente per potervi apportare delle modifiche qualora ce ne fosse necessità (libertà 1);
libertà di ridistribuire copie in linea con il concetto di condivisione nei confronti di chi necessiti del programma (libertà 2);
libertà di apportare migliorie al programma e ridistribuire la versione aggiornata in modo che questo possa giovare alla comunità (libertà 3).
Le libertà 1 e 3 richiedono l’accesso al codice sorgente.
Tipologia di licenze copyleft
Si possono suddividere le licenze di software libero in quattro tipologie: licenze non copyleft, licenze copyleft deboli, licenze copyleft forti e licenze copyleft di rete.
Licenze non copyleft
Il codice sviluppato nelle licenze non copyleft può essere preso, modificato senza che il codice così risultante debba soggiacere alla stessa licenza. Le licenze che seguono questo paradigma vengono dette anche “ultraliberali”, nel senso che consentono di fare quel che si vuole. In ciò rientra anche rendere il software interamente proprietario.
In tali licenze, che per la tradizione storica vengono anche dette “accademiche” abbiamo licenze legate appunto all’ambito universitario: la BSD e, meno diffusa, la MIT.
Alle accademiche si accompagna un’altra licenza molto utilizzata, la Apache Public License, licenza usata dalla Apache Software Foundation, che si occupa del più famoso e utilizzato server web. La Apache, al contrario delle accademiche, è una licenza lunga, che comprende anche una clausola di risoluzione nel caso di uso aggressivo dei brevetti da parte di un licenziatario.
Licenza copyleft forte
Una licenza di copyleft forte tende a estendere il suo effetto vincolante il più possibile a qualunque “opera derivata” di software copyleft. Il copyleft forte richiede una struttura normativa più complessa e stringente, perché essendo “restrittivo” (nel senso che tende a imporre condizioni più stringenti ed effettive al fine di mantenere le libertà del software), richiede che tutti i “buchi” siano tappati, tutte le scappatoie siano evitate, in modo che il copyleft forte resista a chi cerca di evitarlo. Creare una licenza di copyleft forte è molto difficile.
Siccome le licenze di copyleft forte hanno condizioni più stringenti e peculiari, è molto facile che una di esse sia incompatibile con qualsiasi altra licenza di copyleft forte, perciò combinare software sotto due licenze di copyleft forte è in pratica impossibile. Anche combinare copyleft forte con copyleft debole, e a volte anche con non copyleft, si rivela sovente impossibile. Se non si possono rispettare le condizioni di licenza ‒ tutte le condizioni ‒ non si può usare il software, non si possono trarre opere derivate.
La licenza di copyleft forte è la GNU General Public License, o GPL della Free Software Foundation (FSF). Questa licenza è giunta alla sua terza versione.
Licenza copyleft debole
Il copyleft debole è più recessivo rispetto al copyleft forte. Come idea, il copyleft debole opera a livello di file; per cui se uno sviluppatore appone le proprie modifiche a quel file, quel file rimane sotto la stessa licenza. Mentre se il codice sorgente di quel file viene compilato (“linkato”) con altro codice sorgente per creare un file oggetto che li comprenda (un’opera più ampia), il file oggetto risultante ‒ pur incorporando codice copyleft ‒ non necessita di essere pubblicato sotto le stesse condizioni, dunque non c’è interferenza in caso i due file sorgente siano sotto licenze incompatibili, e il prodotto risultante può anche essere sotto licenze proprietarie. Spesso infatti le licenze di copyleft debole sono usate per file destinati ad essere incorporati in altro software, tipicamente librerie.
Per il copyleft debole esistono due licenze: la GNU Lesser General Public License (un tempo “Library General Public License”, in quanto nata per le librerie GlibC, le librerie del compilatore C del progetto GNU) o LGPL; e la Mozilla Public License o MPL, la licenza di Firefox, uno dei più diffusi browser web (poi adottata anche da LibreOffice).
Licenze copyleft di rete
Con la licenza copyleft di rete si ha diritto ad accedere al programma anche chi utilizza il programma da remoto.
Il copyleft scatta con la distribuzione, solo per chi distribuisce il software si pone dunque un problema effettivo di rispetto delle condizioni di licenza. Cosa accade, però, in quelle situazioni in cui non vi sia effettiva distribuzione, ma ciò non di meno il software venga messo a disposizione di terzi? In tal caso le licenze tradizionali nulla possono. Questo fenomeno è da tempo fonte di preoccupazione per alcuni osservatori, addirittura da prima che per il cosiddetto “Software as a Service” divenisse una forma effettiva di utilizzo del software, e invece di “cloud” si parlava di “Application Service Provider” (fornitore di servizi di applicazioni, abbreviato “ASP”). Infatti al fenomeno si diede il nome di ASP loophole (trucco dell’ASP), ovvero la possibilità per uno sviluppatore di poter sfruttare software copyleft, metterlo a disposizione di terzi, ma senza consegnare il codice, essendo così libero dalle incombenze del copyleft (forte o debole) in quanto le condizioni non sono attivate. In questo modo il fornitore in cloud beneficia di un bene comune, lo sfrutta commercialmente, ma non restituisce nulla al common.
Per tentare di ovviare a tale problema, Bradley Kuhn, un attivista americano, concepì una clausola aggiuntiva alla GNU GPL v.2 che venne conosciuta come “Affero clause” (dal nome del progetto per cui Kuhn lavorava e per cui concepì la clausola). La Affero è l’unica condizione di copyleft che viene attivata non dalla distribuzione, ma dall’uso del software in una particolare situazione: quella sfruttata per dare accesso tramite interfacce di rete al software modificato. In tali condizioni, chi modifica il software deve mettere a disposizione, tramite la stessa interfaccia di rete, l’intero codice sorgente corrispondente alla versione utilizzata. La clausola Affero, nata come un’aggiunta alla GPL, ha poi trovato spazio in una licenza sua propria, denominata GNU AGPL, nella quale rappresenta la clausola 13.1.
Esistono altre licenze di copyleft di rete, come ad esempio la EUPL, nata nell’ambito delle istituzioni dell’Unione Europa.
Licenza libera e pubbliche amministrazioni
In Italia abbiamo due articoli che disciplinano l’uso del software libero nella pubblica amministrazione(PA):
Art 68 del CAD: prevede l’obbligo della valutazione comparativa; il comma 1bis spiega quali siano i criteri da considerare nella valutazione comparativa; il comma 1ter spiega che la valutazione comparativa va fatta seguendo una metodologia scritta nelle linee guida dell’AGID. Inoltre prevede l’obbligo di preferenza del software libero nelle pubbliche amministrazioni quando possibile.
Art 69 del CAD: parla del concetto di riuso del software sviluppato per una PA a favore delle altre PA e dei soggetti giuridici. Il concetto fondamentale è che le pubbliche amministrazioni devono consentire il riuso. Questa norma ha avuto una serie di modifiche, che hanno trasformato il concetto di riuso: dal 2016, con la modifica dell'articolo 69, il riuso non è più facoltà solo delle PA ma può essere chiesto dai soggetti giuridici (imprese, persone, enti no-profit ecc...). Un’altra novità della modifica del 2016 è l’obbligo di rendere disponibile a tutti il codice sorgente completo della documentazione e pubblicato in repertorio pubblico sotto licenza aperta, pur tenendo conto di eventuali eccezioni (“salvo motivate ragioni di ordine e sicurezza pubblica, difesa nazionale e consultazioni elettorali”). Il secondo comma definisce cosa debba fare una PA per mettersi nelle condizioni di poter distribuire il software con licenza libera, ovvero essere titolare del diritto di distribuzione con licenza libera.
Valutazione Comparativa
Viene svolta seguendo dei criteri quali:
Costo Complessivo
Livello di utilizzo di formati di dati aperti
Garanzie riguardo alla sicurezza e alla protezione dei dati personali
Le modalità di tale valutazione sono definite dalle Linee Guida dell'AgID.
Macro fase 1: individuazione delle esigenze
Macro fase 2: analisi delle soluzioni a riuso delle Pubbliche Amministrazione e delle soluzioni Open Source
Vanno verificate:
Conformità alle regole sull'interoperabilità
Conformità alle normative sulla protezione dei dati personali
Conformità ai livelli di minima sicurezza previsti per le Pubbliche Amministrazioni
È necessario anche calcolare il valore della soluzione attraverso ulteriori parametri, tra i quali:
Percentuale di copertura dei requisiti
Presenza di un manutentore del codice
Presenza e grado di competenza delle risorse interne della Pubblica Amministrazione
Numero e tipologia di altre pubbliche amministrazioni che usano lo stesso progetto open source
Sostenibilità del progetto open source secondo i seguenti indicatori:
frequenza delle modifiche
frequenza delle pubblicazioni
comunità degli utenti
longevità del progetto
Va anche calcolato il costo complessivo tenendo conto degli eventuali costi aggiuntivi per:
Installazione
Formazione
Personalizzazione
Integrazione
Sono da stimare anche i tempi necessari per la messa in produzione.
Macro Fase 3: analisi di altre soluzioni
Licenza libera di dati
Esistono delle limitazioni legate al diritto d’autore di default che si applica anche alle banche di dati, per questo motivo anche in quest’ambito è necessario utilizzare delle licenze ad hoc per favorire il riuso e la condivisione delle banche di dati.
Da qui parliamo di licenze Open Data, ovvero licenze che regolano il riutilizzo e la distribuzione dei dati tenendo conto del riconoscimento della paternità di chi ha licenziato la base di dati. È importante però tenere sempre conto del fatto che se i dati contenuti riguardano persone sono soggetti alla privacy e di conseguenza non possono circolare in modo del tutto libero.
Principali licenze per software libero
GNU GPL La GNU General Public License (GNU GPL, attualmente alla sua terza versione) è una delle licenze libere più adottate. Secondo tale licenza l'autore conserva i diritti morali sull'opera, ma ne permette la redistribuzione e la modifica con condizioni volte a garantire che tutte le versioni derivate continuino a conservare le stesse libertà. In altre parole se un software sotto GNU GPL viene modificato anche il derivato eredita a sua volta una licenza GNU GPL a prescindere dalla quantità e qualità di ciascuna delle parti. Ideata da Richard Stallman (fondatore della Free Software Foundation) in aiuto con il professore di legge Eben Moglen, fu storicamente la prima licenza libera forte. Può capitare che un software sotto licenza debole avanzi a licenze più forti, fino ad arrivare alla GNU GPLv3+ che è una delle licenze libere più forti.:: La licenza GPL3:
è una licenza di tipo copyleft
non presenta accordi di co-desistenza
cerca di risolvere in certa misura dei problemi di compatibilità
prevede delle nuove modalità di distribuzione di codice sorgente
GNU AGPL La GNU AGPL (GNU Affero General Public License o Affero GPL) è sostanzialmente la GNU GPLv3 con un paragrafo aggiuntivo che permette agli utenti che interagiscono tramite l'output di un software lato server di ricevere il codice sorgente di quel software. La Free Software Foundation consiglia agli sviluppatori di considerare l'uso della GNU AGPL per software destinato ad essere utilizzato via rete.:: La licenza AGPL3:
è una licenza di tipo network copyleft
è compatibile con la licenza GPL3
GNU LGPL La GNU Lesser General Public License (GNU LGPL) è una licenza copyleft come la GNU GPL.
La LGPL è usata in particolar modo per librerie software e talvolta anche da applicativi come Mozilla Firefox e LibreOffice.
La licenza LGPL3 è una licenza di tipo weak copyleft: permette di effettuare linking da software con diverse licenze.
MIT
La licenza MIT, chiamata anche "license X" o "license X11", è una licenza di software libero creata dal Massachusetts Institute of Technology (MIT). È una licenza permissiva o week copyleft, la quale permette il riutilizzo nel software proprietario con la condizione che la licenza sia distribuita con tale software. Non pone vincoli all'utilizzo del software modificato, infatti a differenza della licenza GPL, con il software licenziato con essa si può creare software proprietario. MIT è anche GPL-compatibile, cioè è possibile combinare e ridistribuire software GPL con codice che usa la licenza MIT. La licenza è simile alla licenza BSD, tranne per il fatto che quest'ultima contiene una nota che proibisce l'utilizzo del nome del detentore del copyright per fini pubblicitari.
BSD In principio venne utilizzata per distribuire il sistema operativo Unix Berkeley Software Distribution. Si tratta di una licenza debole, per cui da essa può derivare anche software non libero. Uno dei suoi punti di forza è che rimane compatibile con la GNU GPL in quanto, in caso di riutilizzazione di codice sorgente appartenente a quest'ultima, cede le sue credenziali in favore della GNU GPL.
Si può quasi sostenere che questa licenza software sia "realmente" libera, in quanto all'utente è consentito di distribuire il software da lui modificato o ampliato come libero o no.
Gli sviluppatori GNU GPL sottolineano però come questa licenza non contribuisca allo sviluppo di altro software libero e ritengono che la licenza BSD è più libera di una licenza GNU GPL se e solo se si crede che un Paese che consenta la schiavitù sia più libero di uno che non la consente.
ApacheLa Licenza Apache, sviluppata dalla Apache Software Foundation, non è una licenza copyleft pertanto versioni modificate del software possono essere oggetto di software proprietario, ma impone di includere un'informativa sul fatto che si sta usando software licenziato secondo i termini della Licenza Apache. La licenza è utilizzabile da qualsiasi sviluppatore interessato, anche in caso non fosse associato ad ASF. Il vincolo più importante imposto da questa licenza è la necessità di dare credito all'autore originale in ogni progetto derivato.
La versione 2.0 della licenza è compatibile con la GNU GPLv3, ma non con le versioni precedenti.
MPL La Mozilla Public License favorisce una collaborazione efficace permettendo di unire software libero e non libero. Il codice sorgente copiato o modificato sotto la licenza MPL deve rimanere sotto MPL, fattore che la rende ovviamente incompatibile con la GNU GPL (fatte le dovute eccezioni) nonostante sia meno permissiva della licenza BSD. La NPL (Netscape Public License, prima versione della MPL) fu la prima a curarsi di alcuni punti che non furono mai presi in considerazione dalle licenze BSD e GNU GPL: poter combinare codice sotto MPL con codice proprietario rende questa licenza molto appetibile anche dal punto di vista commerciale. Nello spettro delle licenze di software libero può essere considerata adiacente alla licenza BSD, ma ristretta.
EUPLL'European Union Public Licence è una licenza network copyleft approvata dalla Commissione europea in lingua Inglese, Francese e Tedesca il 9 gennaio 2007, mentre il 9 gennaio 2008 è stata approvata in tutte le restanti lingue ufficiali dell'Unione europea. Dal gennaio 2009 la Commissione ha adottato la versione 1.1. La presente licenza si applica a tutte le opere sotto le condizioni previste dall'EUPL. Secondo la Free Software Foundation (FSF) la licenza impone un copyleft forte e non è compatibile con la GPL. Essendo compatibile con licenze copyleft debole permette di avere effetti legali diversi non voluti dagli sviluppatori originali.:Risulta compatibile con alcune licenze indicate nella licenza stessa, ma non è riportata la GNU GPLv3.
Viene usata prevalentemente nell'ambito della Pubblica Amministrazione dei paesi membri dell'Unione Europea.
Leggi regionali sul software libero
In molte regioni italiane la preferenza per il software libero è prevista anche da prima del 2012 attraverso varie leggi regionali:
● art. 4, comma 1, lett. i), L1/2004 Regione Toscana
● art. 3 e 4, L11/2006 Regione Umbria
● art. 1, comma 1, lett. c), L19/2008 Regione Veneto
● art. 6, comma 2, L.9/2009 Regione Piemonte
● art. 10, L.20/2012 Regione Puglia
All’estero solo dopo il 2012 (ad esempio in Ecuador e Francia) viene introdotta una norma che impone la preferenza nelle pubbliche amministrazioni per il software libero.
Note
Voci correlate
Comparazione di licenze di software libero
Copyleft
Free Software Foundation
GNU
GNU General Public License
Licenza (informatica)
:Categoria:Software libero per licenza
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Collegamenti esterni |
2542 | https://it.wikipedia.org/wiki/Guida%20galattica%20per%20gli%20autostoppisti%20%28serie%29 | Guida galattica per gli autostoppisti (serie) | La Guida galattica per gli autostoppisti (tradotto nel 1980 in italiano dall'originale inglese The Hitchhiker's Guide to the Galaxy) nacque come serie radiofonica di fantascienza creata dallo scrittore britannico Douglas Adams e venne successivamente adattata in forma di romanzo, serie televisiva, videogioco e, quindi, film per il cinema.
Descrizione
La Guida citata nel titolo è, in realtà, un "libro nel libro": nel racconto i protagonisti fanno spesso riferimento ad una specie di enciclopedia, la Guida Galattica, appunto, che fornisce loro suggerimenti - spesso bizzarri, secondo il registro surreale del romanzo - su "la vita, l'universo e tutto quanto".
Per anni si era parlato di una possibile riduzione cinematografica dell'opera, ma il progetto - fortemente voluto dall'autore stesso - non ha potuto vedere la luce che nel 2005, anno di uscita del film omonimo Guida galattica per autostoppisti, postumo di oltre 4 anni la morte del suo ideatore: un lungometraggio basato proprio sulla sceneggiatura scritta anni prima da Adams stesso, che non riuscì a realizzare in prima persona il suo sogno.
Della Guida sono state realizzate diverse versioni telematiche, con numerose citazioni tratte dal romanzo; la BBC stessa cura un sito che è stato definito "almost but not quite completely unlike Wikipedia", ovvero "quasi ma non del tutto diverso da Wikipedia". Nelle parole di Adams, i libri costituivano una "trilogia in cinque parti", ed hanno tuttora un vasto seguito di cultori e appassionati.
La forza della Guida risiede nell'ironia che pervade il racconto, nell'umorismo sottile - che non risparmia le critiche di costume - e nei personaggi assolutamente bizzarri che abitano il romanzo. Nella versione originale si può anche apprezzare il particolare lessico dell'autore, con le sue invenzioni linguistiche diventate memorabili, un vero e proprio gergo che contribuisce all'atmosfera umoristica dei libri. Una per tutte è il significato del numero 42.
Così geniali e in anticipo coi tempi, alcune delle trovate di Adams sono state effettivamente abbracciate dalla tecnologia moderna, prendendo a prestito i nomi coniati dall'autore. Ad esempio il pesce di Babele, una specie di simbionte traduttore universale, a cui si è ispirato il traduttore di AltaVista, Babelfish, il computer scacchistico Deep Thought della IBM (primo computer capace di battere un Grande maestro internazionale in un match, il cui nome deriva da Pensiero Profondo, un supercomputer presente nel racconto), il programma di messaggistica istantanea Trillian, chiamato come la protagonista femminile della serie.
La storia della Guida
Nella primissima incarnazione, la Guida è uno sceneggiato radiofonico, trasmesso dalla BBC a puntate a partire dal 1978. La serie originale comprendeva sette episodi; altri cinque vennero trasmessi nel 1980, dopo di che le trasmissioni cessarono e il romanzo, adattamento dei primi episodi, acquistò vita indipendente.
La popolarità della serie radio e dei romanzi portò alla nascita di una miniserie televisiva, trasmessa nel 1981 - ulteriore adattamento delle versioni precedenti. Fu originariamente trasmessa nel Regno Unito dalla BBC, e fu riproposta di lì a poco in tutto il mondo in onde corte dalla BBC World Service, nel 1978. Nel marzo 1981, la National Public Radio la trasmise negli Stati Uniti (fu una delle sue prime trasmissioni in stereofonia) e la replicò a settembre. L'anno successivo la serie della BBC fu trasmessa dalla CBC Radio (Canadian Broadcasting Corporation).
Un episodio pilota fu commissionato nel marzo 1977, e registrato verso la fine del successivo giugno. Una seconda serie fu commissionata nel 1979 e trasmessa nel 1980. Gli episodi della prima serie furono ri-registrati per l'uscita in LP e audiocassette. Dopo la trasmissione della seconda serie in radio, la prima fu adattata per la televisione. Quest'ultima contiene materiale scritto originariamente da Adams per l'adattamento scenico e per il già menzionato adattamento in LP. Fin dagli esordi in radio, venne utilizzato quale tema musicale il brano strumentale degli Eagles Journey to the Sorcerer, per scelta diretta di Adams che lo ritenne particolarmente adatto allo lo scopo.
Adams pensò di scrivere una terza serie per la radio, basata sul libro La vita, l'universo e tutto quanto nel 1993, ma il progetto non prese il via che dieci anni dopo, postumo. Dirk Maggs, con cui Adams aveva discusso le nuove serie nel 1993, 1997 e 2000, diresse e co-produsse la serie radiofonica adattata da quel libro e dai due successivi, Addio, e grazie per tutto il pesce e Praticamente innocuo, che divennero rispettivamente la quarta e la quinta serie radiofonica. La terza serie fu registrata nel 2003 e trasmessa tra settembre e ottobre dell'anno successivo, mentre invece la quarta e la quinta furono registrate a cavallo tra il 2004 e il 2005 e trasmesse tra il maggio e il giugno 2005. Le registrazioni di tutte e cinque le serie sono state distribuite su audiocassetta e compact disc; la terza è stata pubblicata in DVD nel 2006, dopo più di un rinvio.
Nel 1984 venne pubblicata una riduzione in videogioco, un'avventura testuale ispirata alle vicende di Arthur Dent, curata da Adams stesso e da Steve Meretzky della Infocom. In tempi recenti, i fan della serie hanno creato una comunità online - non dissimile da Wikipedia - nota come H2G2, dal titolo originale del romanzo.
Nel 1992 la "trilogia" si arricchì di un quinto romanzo, scritto da Adams in un momento di profondo disagio e posto come finale temporaneo del racconto. Nel 2000 Adams completò la prima stesura della trasposizione cinematografica della Guida contenente nuovi personaggi ed elementi della trama. Il film, le cui riprese sono iniziate il 19 aprile 2004, negli Stati Uniti è uscito il 6 maggio 2005; in Italia, invece, pur essendo stato pubblicizzato nei mesi precedenti l'uscita con dei trailer nei cinema, è uscito il successivo 12 agosto in sole 20 sale cinematografiche senza essere stato pubblicizzato, ed è rimasto in cartellone per un solo fine settimana.
Nel 2001 Adams stava curando un sesto libro, intitolato Il salmone del dubbio, inizialmente pensato come terza puntata delle avventure di Dirk Gently, ma morì prima di completare l'opera. Con questo titolo, venne pubblicato nel 2002 un libro contenente articoli e interviste dell'autore, più una bozza del racconto, incompleto.
Nel 2004 è stata proposta la terza fase della Guida, con una nuova serie di sei episodi, trasmessi dalla fine di settembre da BBC Radio4, che riprende quanto scritto nel terzo libro della saga.
Nel 2005 sono programmate anche le fasi quarta e quinta, sempre su BBC Radio4, che vedranno la luce a partire dal 3 maggio, disponibili via radio e tramite il portale web di BBC.
Il 17 settembre 2008 è stato annunciato che Eoin Colfer, autore della popolare serie Artemis Fowl, è stato incaricato di scrivere il sesto libro della serie, con il consenso della vedova di Douglas. Il romanzo, che si chiama And an Other Thing... ("E un'altra cosa..."), è stato pubblicato nel Regno Unito e negli Stati Uniti nell'ottobre 2009 e tradotto in italiano nel 2010 per Mondadori.
I romanzi della Guida
Guida galattica per gli autostoppisti, Urania N. 843, 1980 (The Hitchhiker's Guide to the Galaxy, 1979).
Ristorante al termine dell'Universo, Urania N. 968, 1984 (The Restaurant at the End of the Universe, 1980).
La vita, l'universo e tutto quanto, Urania N. 973, 1984 (Life, the Universe and Everything, 1982).
Addio, e grazie per tutto il pesce, Urania N. 1028, 1986 (So Long, and Thanks for All the Fish, 1984).
Praticamente innocuo, Urania N. 1209, 1993 (Mostly Harmless, 1992).
Opere correlate
Sicuro, sicurissimo, perfettamente sicuro (Young Zaphod Plays it Safe, 1986)
Il salmone del dubbio (The Salmon of Doubt, 2002)
Niente panico: La guida galattica per gli autostoppisti di Douglas Adams secondo Neil Gaiman (Don't Panic: The Official Hitchhiker's Guide to the Galaxy Companion), 1988) di Neil Gaiman
E un'altra cosa... (And Another Thing..., 2009) di Eoin Colfer
Personaggi principali
Arthur Dent
Ford Prefect
Zaphod Beeblebrox
Tricia McMillan, detta Trillian
Marvin l'androide paranoico (robot della serie CPV - "Caratteristiche Persona Vera")
Fenchurch
Voci correlate
Douglas Adams
Enciclopedia galattica
Guida galattica per gli autostoppisti (romanzo)
Guida galattica per autostoppisti (film)
Risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto
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Collegamenti esterni
Serie di romanzi
Opere letterarie immaginarie
Oggetti della letteratura |
2543 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lapsang%20Souchong | Lapsang Souchong | Il Lapsang Souchong è una varietà di tè nero cinese.
Conosciuto in Cina con il nome Zheng Shan Xiao Zhong, viene prodotto esclusivamente nell'area dei monti Wuyi, al nord della regione del Fujian, in particolare nella contea di Tong Mu. Questo tè nero, dopo essere stato fatto ossidare, viene essiccato e affumicato con legno di pino o cedro.
Si presenta con foglie intere, di color nero e leggermente arricciate. L'infuso è di colore ambrato-arancione. Il contenuto in teina è relativamente basso. Costituisce la varietà di tè caratterizzante della miscela Russian Caravan.
Note di degustazione e abbinamento
Il Lapsang Souchong si distingue da tutti gli altri tè neri per il fatto di essere affumicato.
Le varietà più pregiate consumate in Cina si presentano con foglie piccole e con un'affumicatura molto delicata. La versione tradizionalmente prodotta per l'esportazione ha foglie più grossolane e subisce un'affumicatura più forte. L'affumicatura conferisce aromi inconfondibili di soja, empireumatici di tostato e frutta secca, legno, sottobosco e fiori, talvolta sentori animali (pancetta).
Tali caratteristiche sensoriali, unite al corpo pieno, rendono l'infuso che se ne trae particolarmente adatto all'abbinamento con pesci robusti (tonno, merluzzi nordici) alla brace, alla piastra, al vapore; ricorderà insieme ad un riso bianco il sentire dell'olio di noce. Potrà, caldo o freddo, accompagnare magnificamente (in sostituzione dell'acqua) uno Scotch Single Malt.
Altri progetti
Tè nero
Affumicatura |
2544 | https://it.wikipedia.org/wiki/Comparazione%20di%20licenze%20di%20software%20libero | Comparazione di licenze di software libero | Elenco comparativo di alcune licenze di software libero.
Sia la Open Source Initiative (OSI) che la Free Software Foundation (FSF) hanno valutato con propri criteri le licenze utilizzate per la distribuzione di software libero.
Elenco delle licenze approvate dalla OSI o giudicate dalla FSF
Come si può vedere nella tabella seguente, non tutte le licenze approvate esplicitamente dalla OSI sono considerate libere (free) dalla FSF, la quale considera libere e persino compatibili con la GPL alcune licenze non approvate dalla OSI.
Quest'ultima differenza è dovuta verosimilmente al fatto che le licenze vengono approvate dalla OSI dietro richiesta di chi le ha scritte, mentre il giudizio sulle licenze non scritte dalla FSF è stato dato da questa su propria iniziativa, per fare chiarimento rispetto alla compatibilità con la propria licenza GPL e anche per ribadire il proprio concetto di "libero".
Nella colonna "Approvata OSI" viene indicato con "OS" se tale licenza può essere considerata "open source". Nella colonna "Giudizio della FSF" vengono indicate con "GPL" le licenze ritenute dalla FSF compatibili con la licenza GNU General Public License scritta dalla FSF stessa. Con "free" vengono indicate le licenze giudicate libere dalla FSF. Un esplicito giudizio di "not free" è stato contrassegnato con un "no".
Licenze approvate dalla OSI o giudicate free dalla FSF
Licenze commentate dalla FSF in quanto ritenute da alcuni "libere"
Licenze riguardanti documentazione o raccolte di dati
Note
Voci correlate
Licenza open source
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2546 | https://it.wikipedia.org/wiki/La%20ricchezza%20delle%20nazioni | La ricchezza delle nazioni | La ricchezza delle nazioni o per esteso Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations), è la principale opera (saggio economico) di Adam Smith, ritenuto il fondatore dell'economia politica.
Scritta tra il 1767 e il 1773 a Kirkcaldy, dopo un viaggio in Europa come precettore di un giovane aristocratico durante il quale l'autore ebbe occasione di conoscere gli intellettuali del tempo (Voltaire, D'Alembert, François Quesnay e altri) e contestualizzata storicamente nel periodo che precede la guerra d'indipendenza americana (1779), fu completata a Londra, dove fu pubblicata il 9 marzo 1776, l'anno della Dichiarazione d'indipendenza. Nella quarta edizione del libro del 1786, Smith dedica questo ad Henry Hope, banchiere di Amsterdam.
Descrizione
Il monopolio dell'industria manifatturiera (inglese) fu una delle cause scatenanti il conflitto con l'Inghilterra che non voleva la nascita di un'industria sul suolo americano. L'autore assume in merito una posizione contraria all'intervento statale: infatti l'affermazione del laissez faire nel caso americano avrebbe comunque significato il mantenimento delle importazioni dalla madrepatria inglese. A tale politica economica la teoria smithiana forniva inoltre anche un fondamento teorico e in quest'opera comparve infatti per la prima volta la metafora della mano invisibile.
L'opera formalmente è composta da cinque Libri:
Delle cause del progresso nelle capacità produttive del lavoro, e dell'ordine secondo cui il prodotto viene naturalmente a distribuirsi tra i diversi ceti della popolazione tratta gli effetti della divisione del lavoro ed è esposta in dettaglio la teoria smithiana del valore e della distribuzione del reddito;
Della natura, dell'accumulazione e dell'impiego dei fondi tratta del ruolo svolto dalla moneta e la teoria dell'accumulazione del capitale;
Del diverso progresso della prosperità nelle diverse nazioni, contiene un'esposizione critica della storia economica dalla caduta dell'impero romano;
Dei sistemi di economia politica è un piccolo trattato di storia del pensiero economico e contiene la critica radicale della dottrina mercantilista e fisiocratica;
Del reddito del sovrano e della repubblica analizza il ruolo dello Stato e delle finanze statali nello sviluppo economico.
Il lavoro come fonte della ricchezza delle nazioni
Smith individua nel lavoro svolto "il fondo da cui ogni nazione trae in ultima analisi tutte le cose necessarie e comode della vita". Tali beni sono o il prodotto immediato di tale lavoro, oppure il risultato di uno scambio di questi ultimi con quelli cercati.
Tuttavia, nota Smith, la quantità della produzione sarà il risultato di due cause distinte:
"l'arte, la destrezza e l'intelligenza con cui vi si esercita il lavoro", che sono le determinanti della capacità produttiva dello stesso;
il rapporto tra coloro che sono impiegati in lavori produttivi e coloro che non lo sono, quelli che Smith chiama lavoratori improduttivi.
In Smith la ricchezza di una nazione non deriva quindi dalla quantità di risorse naturali o metalli preziosi di cui essa può disporre, come ritenevano i mercantilisti, né è generata solo dalla terra, l'unica risorsa capace di produrre un sovrappiù per i fisiocratici, ma dal lavoro produttivo in essa svolto, e dalla capacità produttiva di tale lavoro.
La divisione del lavoro
Nel Capitolo I Smith passa all'individuazione dei fattori che influiscono su tale produttività. A tale proposito afferma:
A tale affermazione segue la celebre descrizione dei vantaggi della divisione del lavoro nella manifattura degli spilli:
Smith osserva poi che i vantaggi della divisione del lavoro sono massimi nella manifattura, mentre nelle attività agricole, dato il carattere di tali attività, sebbene vantaggi possano essere ottenuti, questi saranno necessariamente limitati.
L'accentuato incremento della produttività collegato alla divisione del lavoro è per Smith il risultato di tre cause distinte:
la maggior destrezza (dexterity) dell'operaio nello svolgere le attività che gli sono affidate, dovuta alla semplificazione delle stesse;
il risparmio di tempo che si perde di solito nel passare da un tipo di lavoro ad un altro;
la possibilità di meccanizzazione del processo, reso più semplice dalla suddivisione del processo in attività elementari.
Riguardo all'ultimo fattore Smith rileva che la divisione del lavoro, non solo migliora l'applicabilità al processo di macchine già esistenti, ma agevola l'invenzione di nuove macchine.
La divisione del lavoro opera sia all'interno della singola manifattura, sia a livello più generale come divisione sociale del lavoro:
Per Smith la divisione del lavoro non è tuttavia il risultato di una "consapevole intenzione degli uomini", ma piuttosto la "conseguenza necessaria" dell'inclinazione naturale di questi al commercio.
Il baratto o lo scambio del prodotto del proprio lavoro con quello degli altri si realizza nel mercato.
Poiché dunque per Smith la possibilità di scambiare è il primum movens della divisione del lavoro, quest'ultima risulta "limitata dall'ampiezza del mercato".
Poiché la possibilità di servirsi di mercati internazionali è stata comunque sempre impedita dall'esistenza di barriere di natura sia legale che istituzionale, un posto di rilievo nello sviluppo delle nazioni hanno rivestito i mercati interni. Per Smith la prosperità degli antichi Egizi, come dei Cinesi, nonostante queste civiltà abbiano incoraggiato il commercio estero, è dovuta in larga parte all'ampiezza dei mercati interni.
Se da un lato l'ampiezza del mercato stimola la divisione del lavoro; dall'altro una crescente divisione del lavoro aumenta la dimensione dei mercati generando circoli virtuosi.
Valori e prezzi
Dopo una breve interessante analisi dell'origine e delle funzioni della moneta, Smith distingue le due accezioni con cui il termine valore può essere utilizzato in riferimento ad un bene:
valore d'uso, in relazione all'utilità del bene;
valore di scambio, in relazione al potere d'acquistare altre cose che il possesso di quel bene comporta.
A tale proposito egli osserva:
A questa affermazione fa seguito il celebre esempio del paradosso dell'acqua e del diamante, che costituì anche il punto di partenza per lo sviluppo della teoria soggettiva del valore sviluppata dai marginalisti e centrata sul concetto dell'utilità marginale dei beni. Osserva Smith:
Il lavoro comandato come misura del valore "reale"
Nelle società moderne, in cui la divisione del lavoro si è pienamente affermata, la maggior parte delle cose di cui un uomo ha bisogno le trae dal lavoro di altri.
La quantità di lavoro che la merce riesce a comprare, o comandare (il cosiddetto lavoro-comandato), è dunque per Smith la misura del valore della merce. Poiché il lavoro è l'origine della ricchezza delle nazioni, questo diventa anche la misura ultima del valore. Tuttavia, nota Smith, nonostante il lavoro sia la misura reale del valore di scambio delle merci, non è
Tra le merci, con la progressiva evoluzione dei commerci, alcune, come l'oro e l'argento, sono state scelte come mezzo di scambio privilegiato e sono diventate moneta. Ciononostante, anche l'oro e l'argento, come qualsiasi altra merce cambiano nello spazio e nel tempo il loro valore. Al contrario, per Smith, il valore del lavoro per il lavoratore è tendenzialmente lo stesso in ogni tempo e luogo, perché uguale valore per il lavoratore hanno i beni che egli deve sacrificare per compierlo:
Subito dopo però Smith nota che, nonostante il valore del lavoro per colui che lo presta sia tendenzialmente sempre uguale, per colui che lo utilizza il suo valore può cambiare, ma ciò dipende dalla produttività media del lavoro stesso, che fa più o meno care le merci che esso produce. Così, il valore del lavoro, quando come numerario sono scelte le merci che esso produce, varia perché a variare è il valore del numerario prescelto. Questo è il motivo per cui il 'prezzo' del lavoro in oro o argento (il salario) cambia continuamente.
Inoltre, poiché la possibilità di disporre di lavoro è legata alla possibilità di garantire la sussistenza del lavoratore, quelle merci, come il grano, nell'acquisto delle quali i lavoratori spendono la maggior parte del loro reddito (le cosiddette merci-salario), tenderanno a mantenere relativamente costante nel tempo e nello spazio il loro valore reale, cioè la quantità di lavoro che riescono a comandare. Anche se, nota Smith subito dopo,
Tuttavia, la suddetta stabilità del valore reale del grano, se è vera per confronti molto lontani nel tempo ("da un secolo all'altro"), non risulta più vera nel breve periodo:
Questo accade perché l'esatta misura del valore di scambio nominale di tutte le merci è la moneta ed il prezzo reale e quello nominale di tutte le merci sono tra di loro, "nello stesso tempo e luogo", in un rapporto ben determinato.
Il Capitolo VI del Libro I: Delle parti componenti il prezzo delle merci
Il Capitolo VI del Libro I della Ricchezza delle Nazioni si apre con la celebre esposizione della teoria del lavoro-incorporato:
Tuttavia per Smith:
Per Smith dunque il profitto, proporzionale al capitale anticipato per mezzi di produzione, materie prime e salari, in seguito all'accumulazione dei fondi entra necessariamente a far parte del prezzo delle merci. Egli osserva che questo è riconosciuto per il rischio sopportato da chi impiega i fondi, e non va confuso con il compenso spettante per il lavoro di direzione o ispezione, in quanto è dovuto anche se tale attività è di fatto affidata a terzi.
Dopo l'accumulazione dei fondi si crea così una scissione tra il lavoro contenuto ("la quantità di lavoro comunemente impiegata per procurarsi o produrre una merce") e il lavoro comandato ("la quantità di lavoro che essa può comunemente comprare, o comandare, o ricevere in cambio").
Inoltre, dopo che tutta la terra di un paese è stata appropriata ("non appena la terra di un paese diventa tutta proprietà privata"), per Smith nel prezzo della merce deve di necessità entrare anche un'altra componente che remuneri il proprietario della terra utilizzata nel processo produttivo: la rendita.
Dunque il prezzo di una merce (finale e intermedia) risulta dalla somma delle tre componenti di reddito: salari, profitti e rendite.
Ciononostante il lavoro rimane la misura del valore reale di tutte e tre le componenti:
Smith giunge a questo attraverso una serie di passaggi logici, a volte soltanto impliciti. Da un lato quello con cui risolve il prezzo di ogni merce nella somma delle tre componenti di reddito e in un insieme di merci utilizzate nella sua produzione; queste ultime a loro volta ridotte nella somma di salari, profitti e rendite e in un insieme di quantità fisiche di mezzi di produzione. L'operazione è ripetuta diminuendo a ciascun passaggio il residuo di mezzi di produzione prodotti, fino a quando rimangono solo salari, profitti e rendite. Dall'altro quello in cui ogni merce prodotta è collegata alla quantità di lavoro direttamente necessaria a produrla e ad un insieme di mezzi di produzione; questi a loro volta ridotti a quantità di lavoro e ad altri mezzi di produzione. L'operazione è ripetuta arrivando a vedere il sistema economico come un insieme di settori che collegano i beni di consumo finali a quello che per Smith è l'unico fattore produttivo originario: il lavoro.
Smith nota infine:
Prezzo naturale e prezzo di mercato
Per Smith in ogni società o ambiente esistono saggi ordinari o naturali di salari, profitti e rendita.
Tali saggi dipendono da:
le "condizioni generali della società, dalla sua ricchezza o povertà e dalla situazione di progresso, di stasi o di regresso";
la natura specifica dei diversi possibili impieghi per salari e profitti, e dalla fertilità della terra per la rendita.
Il prezzo naturale può essere diverso dal prezzo effettivo di vendita della merce, cioè il prezzo di mercato. Quest'ultimo è regolato dal rapporto tra la quantità effettivamente offerta e la domanda di coloro che sono disposti ed in grado di pagare il prezzo naturale della domanda effettuale o domanda effettiva (effectual demand), diversa dalla domanda assoluta. Nota Smith:
Se la domanda effettuale eccede l'offerta contingente del bene il prezzo di mercato tenderà a superare quello naturale. Il contrario accadrà se è l'offerta ad eccedere la domanda effettuale. Maggiore è la deperibilità dei beni maggiori saranno le oscillazioni dei prezzi di mercato. Ciononostante il prezzo naturale tenderà a ristabilirsi nel lungo periodo se non esistono impedimenti (naturali o istituzionali) e non vi sono ulteriori "accidenti", questo perché:
Tra gli impedimenti naturali Smith considera l'assenza di terra o di risorse naturali con particolari caratteristiche richieste per la produzione di una data merce. Così, ad esempio, il saggio di rendita della terra messa a coltura per la produzione di vino in Francia può essere molto al di sopra del saggio naturale della rendita, questo perché, dopo che tutta la terra utilizzabile a tale scopo in Francia viene utilizzata nella produzione di vino, ancora residua una domanda insoddisfatta.
Tra gli impedimenti di natura lato sensu istituzionale, Smith considera l'esistenza di monopoli, derivanti sia da "segreti" circa i metodi di produzione sia da regolamenti e statuti governativi (statuti di apprendistato, corporazioni).
Smith passa poi ad analizzare le singole componenti del reddito e le condizioni che ne regolano i saggi naturali.
Il salario
Sia il profitto che la rendita sono "deduzioni del prodotto del lavoro". In seguito all'accumulazione dei fondi e alla proprietà privata sulla terra, che sostituisce la "situazione originaria...in cui tutto il prodotto del lavoro appartiene al lavoratore",
La ripartizione della quota spettante al lavoratore e di quella spettante al proprietario dei fondi è dunque tendenzialmente conflittuale. Entrambi tendono a coalizzarsi per aumentare la loro quota, ma Smith lucidamente a tale proposito osserva:
Il limite minimo del salario è determinato da quel livello strettamente necessario alla sussistenza del lavoratore e della sua famiglia.
Vi è poi l'affermazione di quella che costituirà la base della cosiddetta teoria del fondo-salari:
A proposito del saggio di variazione del salario Smith osserva:
Così, ad esempio, la Cina, che è stata a lungo uno dei paesi più ricchi del mondo, essendo rimasta stazionaria per tanto tempo, non mostrava all'epoca di Smith un salario reale medio elevato. Invece l'America, che al contrario era in forte espansione, mostrava incrementi salariali costanti, e tali da agevolare l'immigrazione di europei.
Questo accade perché un incremento della produzione aumenta quanto destinato al mantenimento dei lavoratori e quindi stimola la domanda di lavoro, generando tendenze all'aumento del salario. Tuttavia, l'aumentato salario, superando i livelli di stretta sussistenza, porterà ad un incremento della popolazione e quindi ad un aumento dell'offerta di lavoro. Se il tasso di crescita della produzione non è costante e tale da far aumentare ulteriormente la domanda di lavoro, l'aumentata offerta riporterà il salario ai livelli di sussistenza.
Questa sembra per molti versi l'anticipazione della cosiddetta legge bronzea dei salari, cardine della teoria distributiva degli economisti classici ed esposta in dettaglio da Thomas Robert Malthus nel Saggio sul principio della popolazione (1798). Tuttavia vi sono alcune significative differenze tra Malthus e Smith che meritano di essere sottolineate, perché mettono in risalto la profondità del pensiero di Smith:
Smith osserva che "la povertà, sebbene indubbiamente scoraggi il matrimonio, non sempre lo impedisce. Sembra persino che sia favorevole alla procreazione." Egli dunque rileva come un aumento della prosperità possa essere associato ad una diminuzione del tasso di natalità. Tuttavia, osserva poi, la diminuzione del tasso di mortalità, soprattutto infantile, che fa seguito ad un miglioramento delle condizioni di vita, necessariamente porterà ad un aumento della popolazione;
Smith non assume, contrariamente a Malthus, che il tasso di crescita della popolazione sia sempre necessariamente superiore a quello dei mezzi di sussistenza, ma semplicemente che vi sia una sorta di adeguamento dell'offerta di lavoro alla domanda di lavoro che è tale da far discendere il salario se la domanda di lavoro non cresce costantemente;
infine Smith osserva che "la remunerazione liberale del lavoro incoraggia la moltiplicazione della gente comune (a causa degli eventuali aumenti dei salari) e ne aumenta l’operosità e l’efficienza.". Così, l'aumento della produttività del lavoro che fa seguito all'aumento della produzione agisce da ulteriore forza atta a controbilanciare le tendenze alla diminuzione del salario reale.
Smith nota che, supponendo costante l'offerta di lavoro, il livello dei salari monetari è correlato positivamente con:
la domanda di lavoro;
il prezzo dei beni salario, cioè di quei beni nell'acquisto dei quali il salario è speso.
Questi due fattori, controbilanciandosi, tendono a stabilizzare i salari monetari, che subiscono oscillazioni minori del prezzo dei viveri. Infatti, in periodi di abbondanza, mentre il prezzo dei viveri scende comportando pressioni al ribasso dei salari, l'accresciuta domanda di lavoro esercita pressioni al rialzo. Il contrario accade in tempi di carestia.
Smith osserva poi:
Note
Bibliografia
Smith, Adam (1975) La ricchezza delle nazioni, Grandi Tascabili Economici Newton, Roma.
Altri progetti
Collegamenti esterni
The Wealth of Nations at MetaLibri Digital Library
The Theory of Moral Sentiments at MetaLibri Digital Library
McMaster University Archive for the History of Economic Thought: The Wealth of Nations - testo integrale in inglese
Traduzione in italiano di parte del capitolo 10, libro I della "Ricchezza delle Nazioni" - Flavio Filini
Ricchezza delle Nazioni
Ricchezza delle nazioni
Ricchezza delle nazioni |
2547 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lula%20%28disambigua%29 | Lula (disambigua) |
Geografia
Lula – comune in Sardegna in provincia di Nuoro
Lula – comune del distretto di Levice
Lula – città della contea di Hall, Georgia
Lula – città della contea di Coahoma, Mississippi
Persone
Luís Alonso Pérez (1922-1972) – allenatore di calcio brasiliano
Luís Ribeiro Pinto Neto (1946) – calciatore brasiliano
Luiz Inácio Lula da Silva (1945) – politico brasiliano, presidente del Brasile dal 2003 al 2011
Silvio Sérgio Astor Guimarães Machado (1964) – giocatore di calcio a 5 brasiliano
Videogiochi
Lula: The Sexy Empire – videogioco del 1998
Musica
Lula – cantante thailandese
Lula – canzone di Antonello Venditti dell'album Goodbye Novecento |
2548 | https://it.wikipedia.org/wiki/Luiz%20In%C3%A1cio%20Lula%20da%20Silva | Luiz Inácio Lula da Silva |
Biografia
Primi anni
Lula nacque da una famiglia povera e analfabeta a Caetés (fino al 1964 frazione del comune di Garanhuns) nello Stato brasiliano di Pernambuco. Allo stato civile la sua data di nascita risulta essere il 6 ottobre 1945, anche se Lula preferisce utilizzare la data che ricordava sua madre, il 27 ottobre. Nelle aree rurali del Brasile questa discrepanza nella data di nascita risultante nell'atto di stato civile è comune.
Subito dopo la nascita di Lula, suo padre si trasferì nella città costiera di Santos (nello Stato di San Paolo). La madre di Lula e i suoi otto figli lo raggiunsero nel 1952, dopo un difficoltoso viaggio di 13 giorni. Anche se il loro tenore di vita migliorò rispetto a Pernambuco, la loro vita era ancora molto difficile.
Lula ricevette poca istruzione formale: infatti lasciò la scuola dopo la quarta elementare. La sua vita lavorativa cominciò a 12 anni, come lustrascarpe e venditore di strada. A 14 anni trovò il suo primo lavoro regolare in una fabbrica di lavorazione del rame. Quindi proseguì gli studi e ottenne un diploma equivalente al conseguimento della scuola superiore.
Nel 1956 la sua famiglia si trasferì nella città di San Paolo, che offriva maggiori opportunità. Lula, sua madre e i suoi sette fratelli vissero in una piccola stanza nel retrobottega di un bar.
A 19 anni perse il mignolo della mano sinistra in un incidente, mentre lavorava come operatore di una pressa in una fabbrica di componenti automobilistici. È intorno a quel periodo che cominciò a interessarsi delle attività del sindacato, all'interno del quale ricoprì diversi importanti ruoli. La dittatura brasiliana si opponeva fortemente alle attività del sindacato e, per reazione, la visione politica di Lula si indirizzò a sinistra.
Vita privata
Nel 1969 sposò Maria de Lourdes, che morì di parto, col loro bambino, nel 1971. Nel 1974 si risposò con Marisa Letícia Rocco Casa, italo-brasiliana, da cui ebbe tre bambini. Ebbe anche una figlia fuori dal matrimonio con Miriam Cordeiro. La moglie è deceduta nel 2017.
Dopo l'arresto ricevette frequenti visite in prigione dalla sociologa Rosângela da Silva (più conosciuta con il soprannome Janja) e l'8 novembre 2019, lo stesso giorno del rilascio, annunciò l'intenzione di sposarla. Il matrimonio è stato celebrato il 18 maggio 2022 a San Paolo.
Carriera nel sindacato
Nel 1978 fu eletto presidente del sindacato dei lavoratori dell'acciaio (Sindicato dos Metalurgicos do ABC) di São Bernardo do Campo e Diadema, le città dove si trova la stragrande maggioranza delle industrie automobilistiche e componentistiche (tra cui Ford, Volkswagen, Mercedes-Benz e altre) e tra le aree più industrializzate del Paese. Prima di ciò, tuttavia, Lula aveva già ricoperto diversi ruoli nello stesso sindacato, ed è grazie a ciò che, nei primi anni settanta, viaggiò negli Stati Uniti, proprio durante la dittatura militare del Brasile, per seguire un corso sui sindacati, sponsorizzato dall'AFL-CIO e da ICFTU-ORIT, l'organizzazione regionale per le Americhe dei sindacati anticomunisti della Confederazione Internazionale per il libero scambio. L'aver avuto stretti contatti con i sindacati nordamericani creò qualche imbarazzo a Lula quando intraprese vie più estremiste anni dopo. Verso la fine degli anni settanta, Lula collaborò in diverse attività dei principali sindacati, tra cui alcuni enormi scioperi. Fu incarcerato per un mese, ma fu rilasciato in seguito a proteste. Gli scioperi terminarono lasciando scontenti sia le forze sindacali sia le fazioni filo-governative.
Carriera politica
Il 10 febbraio 1980, nel pieno della dittatura militare brasiliana, un gruppo di professori universitari, dirigenti sindacali e intellettuali, tra cui Lula e Chico Mendes, fondarono il Partido dos Trabalhadores (PT), ovvero Partito dei Lavoratori, un partito di sinistra e con idee progressiste.
Nel 1982 aggiunse il soprannome Lula al suo nome legale. Nel 1983 partecipò alla creazione dell'associazione sindacale Central Única dos Trabalhadores (CUT). Nel 1984 il PT e Lula parteciparono alla campagna politica Diretas Já, che chiedeva un voto popolare diretto per le successive elezioni presidenziali. Secondo la Costituzione brasiliana del 1967, i presidenti erano eletti dai due rami del Congresso in seduta comune, più dei rappresentanti di tutte le Legislazioni Statali, ma questo era largamente considerata una buffonata in quanto, dal colpo di Stato militare, solo ufficiali militari di alto livello (tutti generali in pensione), scelti dopo una consultazione militare interna, venivano "eletti". Come risultato della campagna politica e dopo anni di lotte civili, le elezioni del 1989 furono le prime a eleggere direttamente un presidente dopo 29 anni.
Elezioni
Lula si candidò a una carica pubblica per la prima volta nel 1982, per il governatoriato dello Stato di San Paolo. Perse, ma aiutò il suo partito a ottenere un numero sufficiente di voti, tali da sopravvivere.
Nelle elezioni del 1986, Lula conquistò un seggio al Congresso brasiliano. Il Partido dos Trabalhadores partecipò alla redazione della Costituzione post-dittatoriale; riuscirono a ottenere forti garanzie costituzionali ai diritti dei lavoratori, ma non ottennero una redistribuzione delle aree agrarie. Nonostante avessero partecipato al suo sviluppo, Lula e il suo partito si rifiutarono di firmare la nuova Costituzione.
Nel 1989, quando era ancora deputato, Lula si candidò alla presidenza, come rappresentante del PT. Nonostante fosse molto apprezzato da una grossa fetta della società brasiliana, non piaceva agli imprenditori e ai banchieri. Di conseguenza, fu preso di mira dai media (famosissimo il dibattito presidenziale contro Collor, pesantemente censurato da Rede Globo), e penalizzato da alcuni brogli durante le elezioni: per esempio, mancarono improvvisamente sezioni di voto in quartieri prevalentemente poveri, dove Lula era ampiamente favorito. Tutto ciò contribuì notevolmente alla sua sconfitta. I ricchi brasiliani non si fidarono del PT soprattutto perché questo si dipingeva come il primo partito movimento della classe operaia organizzato dalla base: il PT era infatti formato da una blanda coalizione di gruppi di sindacalisti, attivisti della base, cattolici di sinistra, socialdemocratici di centro-sinistra e piccoli gruppi trotskisti.
Al contrario, il Partito Laburista Brasiliano di Vargas era fondamentalmente una massiccia organizzazione costruita attorno ai vertici della burocrazia dei sindacati governativi.
Lula decise di non candidarsi nuovamente al seggio di deputato nel 1990, preferendo lavorare al miglioramento dell'organizzazione del PT nel Paese. Nel 1992 Lula partecipò alla campagna per deporre il presidente Fernando Collor de Mello, che lo aveva sconfitto nel 1989, dopo una serie di scandali legati a finanziamenti pubblici.
Fu nuovamente candidato alla presidenza nel 1994 e nel 1998. Nelle elezioni del 1994, Lula fronteggiò Fernando Henrique Cardoso, ex Ministro delle Finanze e responsabile per il piano real, che portò l'inflazione brasiliana sotto controllo, dopo decenni di crescita a due cifre. Forte di questo risultato, Cardoso vinse le elezioni al primo turno. Nel 1998, Cardoso si ripresentò, grazie al passaggio di un emendamento costituzionale che permetteva al presidente di ricandidarsi, e vinse nuovamente al primo turno.
Presidenza
Nella campagna elettorale del 2002, Lula abbandonò sia il suo abbigliamento informale sia il suo progetto di condizionare il pagamento dell'ingente debito estero a una verifica. Quest'ultimo punto aveva preoccupato molti economisti, imprenditori e banchieri, che temevano che anche solo un default parziale, congiunto al contemporaneo fallimento argentino, avrebbe avuto un effetto devastante sull'economia mondiale.
Lula divenne presidente dopo aver vinto il ballottaggio, nelle elezioni del 2002, contro il candidato di centro José Serra del Partito della Social Democrazia Brasiliana (PSDB). Lula fu eletto alle elezioni presidenziali il 27 ottobre 2002, al ballottaggio, con il 61% dei voti; ottenne 52,4 milioni di voti, ovvero il più alto numero di voti della storia democratica del Brasile del tempo (per quanto lo stesso Lula, in seguito, avrebbe battuto per ben due volte il suo stesso record: la prima volta alle successive elezioni in cui fu riconfermato con 58,2 milioni di voti e, più recentemente, alle elezioni del 2022 dove si ricandidò dopo essere stato scarcerato, vincendo con 60,3 milioni di voti).
Assunse la carica il 1º gennaio 2003. Il suo vicepresidente, con cui fu eletto, era José Alencar, proveniente dal Partito Liberale.
Il 29 ottobre 2006 Lula è riconfermato presidente, con oltre il 60% dei voti al ballottaggio, sconfiggendo il candidato del PSDB Geraldo Alckmin. Al primo turno si era fermato poco sopra il 48%, non riuscendo quindi a centrare subito la vittoria nelle elezioni generali.
Linea politica
Dall'inizio della sua carriera politica fino a oggi, Lula ha cambiato alcune delle sue idee originali e ha moderato le sue posizioni. Invece dei drastici cambiamenti sociali che ha proposto in passato, il suo governo ha scelto una linea riformista, approvando la nuova legislazione sulla pensione, le tasse, il lavoro e la giustizia, e discutendo sulla riforma universitaria. Pochissime delle riforme proposte sono state effettivamente attuate durante il mandato di Lula. Alcune ali del Partito dei Lavoratori in disaccordo con la crescente moderazione messa in atto dalla fine degli anni ottanta hanno lasciato il partito per formare ali dissidenti come il Partito Socialismo e Libertà.
Politiche sociali: Fome Zero e Bolsa Família
Lula ha posto i programmi sociali in cima alla sua agenda politica. Sin dall'inizio il suo programma principale era quello di sradicare la fame, seguendo la guida di progetti già messi in pratica dall'amministrazione Fernando Henrique Cardoso, ma ampliati dal nuovo programma Fome Zero ("Fame Zero"). Questo programma riunisce una serie di programmi con l'obiettivo di porre fine alla fame in Brasile, compresa la costruzione di cisterne per l'acqua nella regione semi-arida del Brasile di Sertão, oltre ad azioni per contrastare la gravidanza adolescenziale, rafforzare l'agricoltura familiare, distribuire una quantità minima di denaro per i poveri e molte altre misure.
Fome Zero ha un budget governativo e accetta donazioni dal settore privato e da organizzazioni internazionali.
Il più grande programma sociale, tuttavia, è stato Bolsa Família, basato sul precedente programma Bolsa Escola, subordinato alla frequenza scolastica, introdotta per la prima volta nella città di Campinas dall'allora sindaco José Roberto Magalhães Teixeira. Non molto tempo dopo, altri comuni e stati hanno adottato programmi simili. Il presidente Fernando Henrique Cardoso ha successivamente federalizzato il programma nel 2001. Nel 2003, Lula ha costituito la Bolsa Família combinando la Bolsa Escola con quote aggiuntive per il cibo e il gas da cucina. Ciò è stato preceduto dalla creazione di un nuovo ministero: il Ministero per lo Sviluppo Sociale e la Lotta alla Fame. Questa fusione ha ridotto i costi amministrativi e la complessità burocratica sia per le famiglie coinvolte sia per l'amministrazione del programma.
Il programma Bolsa Família è stato elogiato a livello internazionale per i suoi risultati, nonostante le critiche interne che lo accusano di essersi trasformato in un'arma elettorale.
Durante la sua presidenza, grazie a nuove politiche di welfare, milioni di brasiliani hanno sensibilmente migliorato la propria condizione di vita. Il ceto medio brasiliano è così arrivato a raggiungere il 54% della popolazione nel 2013 (presidenza Rousseff). Il Programa Bolsa Família, l'allargamento del Sistema unico di salute (Sus) e il programma Brasil Sem Miseria (Brasile senza povertà), che eroga sussidi a milioni di famiglie, garantendo sostentamento e scolarità gratuita, hanno contribuito a sottrarre milioni di persone dalla fame e dall'indigenza. L'indice di sviluppo umano è così aumentato del 36% nel 2013 rispetto al 1980. Insieme con progetti come Fome Zero e Bolsa Família, il programma di punta dell'amministrazione di Lula è stato il Programa de Aceleração do Crescimento (PAC, Programma di accelerazione della crescita).
Il programma ProUni fornisce sostegno agli studenti provenienti da famiglie a basso reddito e la durata media della scolarizzazione è aumentata da 6,1 anni (nel 1995) a 8,3 anni nel 2010.
Politiche economiche
Mentre Lula si rafforzò nella corsa alle elezioni del 2002, il timore di misure drastiche e il paragone con Hugo Chávez del Venezuela aumentarono le speculazioni sul mercato interno. Ciò ha portato a qualche isteria di mercato, contribuendo a una diminuzione del valore del real e a un abbassamento della valutazione creditizia del Brasile.
All'inizio del suo primo mandato, il ministro delle finanze scelto da Lula era Antonio Palocci, un medico ed ex attivista trotskista che aveva ritrattato le sue opinioni d'estrema sinistra mentre serviva come sindaco di Ribeirão Preto, centro dell'industria di lavorazione della canna da zucchero, nello stato di São Paulo. Lula ha anche scelto Henrique Meirelles del Partito della Social Democrazia Brasiliana, un eminente economista orientato al mercato, a capo della Banca centrale brasiliana. Come ex amministratore delegato del BankBoston era noto al mercato. Meirelles fu eletto alla Camera dei Deputati nel 2002 come membro del PSDB avversario, ma si dimise da deputato per diventare Governatore della Banca Centrale.
Silva e il suo gabinetto seguirono in parte la guida del precedente governo, rinnovando tutti gli accordi con il Fondo monetario internazionale, che furono firmati dal momento in cui l'Argentina andò in default nel 2001. Il suo governo raggiunse un soddisfacente saldo di bilancio primario nei primi due anni, come previsto dall'accordo con il FMI, superando l'obiettivo per il terzo anno. Verso la fine del 2005, il governo ha ripagato il suo debito con l'FMI per intero, due anni prima del previsto. Tre anni dopo le elezioni, Lula aveva lentamente ma con fermezza guadagnato la fiducia del mercato, e gli indici di rischio sovrani sono scesi a circa 250 punti.
L'economia brasiliana non è stata generalmente influenzata dallo Scandalo del mensalão, che si riferiva all'acquisto di voti nel Congresso brasiliano. All'inizio del 2006, tuttavia, Palocci ha dovuto rassegnare le dimissioni da Ministro a causa del suo coinvolgimento in uno scandalo di abuso di potere. Lula quindi nominò Guido Mantega, un membro del PT e un economista di professione, come Ministro delle Finanze. Mantega, un ex marxista che aveva scritto una tesi di dottorato (in sociologia) sulla storia delle idee economiche in Brasile da un punto di vista di sinistra, era noto per le sue critiche agli alti tassi di interesse, qualcosa che rivendicava interessi bancari soddisfatti. Mantega sosteneva anche un più alto livello di occupazione da parte dello stato.
Poco dopo l'inizio del suo secondo mandato, il governo di Lula ha annunciato il già nominato Programa de Aceleração do Crescimento (PAC, Programma di accelerazione della crescita), un programma di investimenti per risolvere molti dei problemi che hanno impedito all'economia brasiliana di espandersi più rapidamente. Le misure comprendevano investimenti nella creazione e nella riparazione di strade e ferrovie, la semplificazione e la riduzione della tassazione e la modernizzazione della produzione energetica del paese per evitare ulteriori carenze. L'obiettivo era rafforzare le infrastrutture del Brasile e, di conseguenza, stimolare il settore privato e creare più posti di lavoro. Il denaro impegnato per essere speso per questo programma è stato considerato pari a circa 500 miliardi di real (oltre 250 miliardi di dollari) per quattro anni. Prima di entrare in carica, Lula era stato un critico della privatizzazione. Nel suo governo, tuttavia, la sua amministrazione ha creato concessioni di collaborazione pubblico-privato per sette strade federali.
Il PAC aveva un budget totale di 646 miliardi di real (353 miliardi di dollari) entro il 2010 ed era il principale programma di investimento dell'amministrazione Lula. Il settore delle infrastrutture sociali e urbane avrebbe ricevuto 84,2 miliardi di real (46 miliardi di dollari).
Dopo decenni con il maggiore debito estero tra le economie emergenti, il Brasile è diventato un creditore netto per la prima volta nel gennaio 2008. A metà del 2008, sia Fitch Ratings sia Standard & Poor's avevano elevato la classificazione del debito brasiliano da speculativo a investment grade. Le banche hanno realizzato profitti record sotto il governo di Lula.
Il secondo mandato di Lula fu molto più sicuro essendo non solo il padrone indiscusso dell'affetto popolare, come il primo presidente a portare un modesto benessere a molte persone, ma anche a controllare completamente la propria amministrazione. I suoi due ministri principali erano spariti. Palocci non era più necessario per calmare i nervi degli investitori stranieri e Lula non aveva mai voluto o in qualche modo temuto José Dirceu, un esperto del freddo calcolo politico e intrigo coinvolto anche nello Scandalo del mensalão. La loro eliminazione congiunta ha stabilito Lula come unica guida a Brasilia. Quando, a metà del suo secondo mandato, arrivò un momento di grave crisi dovuta alla crisi di Wall Street nel 2008, lo gestì con disinvoltura. Il Brasile ha goduto di buona salute economica per combattere la crisi finanziaria globale con un grande stimolo economico durato fino alla crisi del 2014.
Le politiche economiche dell'amministrazione Lula hanno anche contribuito a migliorare significativamente il tenore di vita, con la percentuale di brasiliani appartenenti alla classe media consumistica saliti dal 37% al 50% della popolazione.
Sta attuando il programma Fome Zero ("Fame Zero"), che fornisce alle famiglie povere l'accesso ai prodotti alimentari di base attraverso l'assistenza sociale. Durante il primo mandato di Lula, la malnutrizione infantile è diminuita del 46 per cento. Nel maggio 2010, il Programma Alimentare Mondiale (PAM) delle Nazioni Unite ha conferito a Lula da Silva il titolo di "campione del mondo nella lotta contro la fame".
Politiche ambientali
Tra il 2004 e il 2012, grazie alle politiche della presidenza Lula, la deforestazione amazzonica è diminuita da all'anno a all'anno.
Politiche energetiche: Luz Para Todos
Le questioni relative al settore delle miniere e dell'energia nella piattaforma programmatica del candidato Lula furono discusse in riunioni coordinate dal fisico e ingegnere nucleare Luiz Pinguelli Rosa. Dilma Rousseff fu invitata da Pinguelli a partecipare al gruppo nel giugno del 2001; qui si distinse per la sua buona conoscenza del settore. Per tutti, nel gruppo, era scontato che Pinguelli sarebbe stato il Ministro delle Miniere e dell'Energia in caso di vittoria di Lula alle elezioni del 2002.
Fu grande la sorpresa quando Lula, una volta eletto, scelse Rousseff per quel ruolo. Lula dichiarò: "Nel 2002 arriva una compagna con un piccolo computer portatile in mano. Cominciamo a discutere e subito mi resi conto che lei aveva una marcia in più rispetto agli altri che erano lì con lei, perché lei portava con sé la pratica dell'esperienza come Segretaria per le Miniere e per l'Energia di Rio Grande do Sul. Per questo pensai subito: credo di aver già trovato qui un mio ministro."
Il suo lavoro al ministero fu caratterizzato dal rispetto degli impegni presi da chi l'aveva preceduta, dall'introduzione di un modello elettrico meno concentrato nelle mani dello Stato, al contrario di quello che avrebbero voluto Luiz Pinguelli Rosa e Ildo Sauer. Per quanto riguarda il libero mercato dell'energia, Dilma lo mantenne e lo ampliò. Convinta della necessità di investimenti urgenti nel campo dell'energia elettrica per evitare il rischio di un black out già nel 2009, Dilma trovò una strenua avversaria nel ministro dell'ambiente, Marina Silva, preoccupata per l'impatto ambientale di molte opere proposte dalla Rousseff.
Josè Dirceu, all'epoca ministro capo della Casa Civile, una sorta di ministro dell'interno con poteri di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, dovette dar vita a un'équipe di collaboratori che mediassero tra le posizioni dei due ministri per tentare di risolvere le molte dispute. Amico di Lula, Pinguelli fu nominato presidente della Eletrobrás, (azienda fornitrice di energia elettrica che coordina l'attività di tutte le imprese private brasiliane del settore) ed ebbe, durante il suo mandato, significative divergenze con la ministra Dilma, arrivando a mettere il suo incarico a disposizione di Lula e poi a lasciare il governo.
Mauricio Tolmasquim, che aveva una visione del settore più vicina a quella di Dilma, fu proposto da quest'ultima come sottosegretario esecutivo del ministero. Tolmasquim dichiarò che, man mano che la Rousseff e il suo sottosegretario cominciavano a conoscersi meglio, Dilma fu protagonista di feroci scenate contro lo stesso Tolmasquim: "È il suo modo di fare. Non è niente di personale. E nel giro di cinque minuti torna tutto tranquillo”. Anche Ildo Sauer ebbe vari dissensi con il ministro, che avrebbe respinto le idee di Sauer in materia di statalizzazione, tanto che fu necessario l'intervento diretto dello stesso Lula. Secondo Luciano Zica, ex deputato federale, che si trovò spesso a dissentire con Dilma riguardo a questioni inerenti al problema dell'energia elettrica, "Dilma è la persona più democratica del mondo, a patto che si concordi al 100% con lei".
Dilma propose di accelerare l'obiettivo dell'universalizzazione dell'accesso all'energia elettrica, la cui scadenza era prevista per l'anno 2015, impegnandosi affinché 1,4 milioni di case rurali fossero raggiunte dall'energia elettrica nel 2006. Nel governo precedente era stato lanciato il programma "Luce nel campo" (in portoghese Luz no Campo), con l'obiettivo di incentivare l'agrobusiness. Meta prevista da quel programma era raggiungere un milione di famiglie, ma fino all'inizio del 2003 solo poco più della metà risultavano effettivamente raggiunte. Secondo Dilma, tale programma aveva ottenuto risultati solo negli stati nei quali i governi locali avevano sostenuto la popolazione e propose un programma alternativo, finanziato dal governo. Il finanziamento, inoltre, doveva essere destinato al consumatore finale, non alle imprese.
Il programma fu lanciato nel novembre 2003 con il nome "Luz Para Todos" (Luce per tutti) e mise al centro le regioni a basso indice di sviluppo umano e le famiglie a basso reddito. Obiettivo del programma era raggiungere entro il 2008 due milioni di famiglie. Nell'aprile 2008 il governo aggiornò il programma, prevedendo, entro il 2010, di beneficiare ancora 1,17 milioni di famiglie. Nell'ottobre del 2008, Dilma dovette riconoscere che il governo non sarebbe riuscito a raggiungere la meta in tempo, visto che restavano ancora famiglie per l'anno 2009.
Politica estera
Conducendo uno stato agricolo ampio e competitivo, Lula si è generalmente opposto e ha criticato i sussidi agricoli, e questa posizione è stata vista come una delle ragioni per l'abbandono dei paesi in via di sviluppo e il successivo crollo dei colloqui dell'Organizzazione mondiale del commercio a Cancún nel 2003 rispetto ai sussidi agricoli del G8. Il Brasile ha svolto un ruolo importante nei negoziati riguardanti i conflitti interni in Venezuela e Colombia e ha concentrato molti sforzi per rafforzare il Mercosur. Durante l'amministrazione Lula, il commercio estero brasiliano è aumentato drasticamente, passando da deficit a diverse eccedenze dopo il 2003. Nel 2004 l'eccedenza è stata di 29 miliardi di dollari, a causa di un sostanziale aumento della domanda globale di materie prime. Il Brasile fornì inoltre truppe alle Nazioni Unite e condusse una missione di peace-keeping a Haiti.
Secondo The Economist del 2 marzo 2006, Lula aveva una politica estera pragmatica, vedendosi come un negoziatore, non un ideologo, un leader abile nel riconciliare gli opposti. Di conseguenza, fece amicizia con il presidente venezuelano Hugo Chávez e con il presidente degli Stati Uniti George W. Bush. Lula ha anche guadagnato una statura crescente nell'emisfero australe attraverso la crescita economica in Brasile. Nel 2008, si dice che sia diventato un "uomo di punta per la guarigione delle crisi regionali", come nell'escalation delle tensioni di quell'anno tra Colombia, Venezuela ed Ecuador.
Ha viaggiato in oltre 80 paesi durante la sua presidenza. Uno degli obiettivi della politica estera di Lula era che il paese ottenesse un seggio come membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. In questo non ha avuto successo.
Il 9 maggio 2007 il Presidente Lula ha ricevuto Papa Benedetto XVI in visita ufficiale in Brasile, arrivato per proclamare santo il francescano Frei Galvão.
Il caso internazionale suscitato dalla condanna di Sakineh Mohammadi Ashtiani per il reato di adulterio, con una sentenza di esecuzione per lapidazione, ha portato a chiedere l'intervento di Lula a suo nome. Sulla questione, Lula ha commentato: "Ho bisogno di rispettare le leggi di un paese [straniero]. Se la mia amicizia con il presidente dell'Iran e il rispetto che ho per lui valgono qualcosa, se questa donna è diventata una seccatura, la riceverà il Brasile". Il governo iraniano, tuttavia, declinò l'offerta. Le azioni e i commenti di Lula hanno suscitato polemiche. Mina Ahadi, politica comunista iraniana, ha accolto l'offerta di asilo di Lula per Ashtiani, ma ha anche ribadito un appello per la fine della lapidazione e chiedendo la cessazione del riconoscimento e del sostegno al governo iraniano a tale pratica. Jackson Diehl, direttore editoriale del Washington Post, ha definito Lula "il miglior amico dei tiranni nel mondo democratico" e ha criticato le sue azioni. Shirin Ebadi, attivista iraniana per i diritti umani e vincitore del Premio Nobel per la Pace, ha osservato l'intervento di Lula in una luce più positiva, definendolo un "potente messaggio alla Repubblica Islamica". Lula ha anche giocato un ruolo importante nel rilascio della cittadina francese Clotilde Reiss arrestata per aver documentato proteste post-elettorali in Iran.
Passaggio di testimone
Nel giugno del 2010, quattro mesi prima della fine del suo secondo mandato, non potendosi candidare per un terzo mandato consecutivo, ha indicato la politica ed economista Dilma Rousseff, ministro della Casa Civil nel suo governo, per il ruolo di candidata del PT alla presidenza della repubblica.
Durante la campagna per le elezioni presidenziali dell'ottobre 2010, si è speso in prima persona per sostenere la Rousseff e l'ha accompagnata in molte manifestazioni ufficiali del partito. Prima di passare il testimone alla nuova Presidente si oppone all'estradizione dell'ex terrorista italiano Cesare Battisti, condannato all'ergastolo, con sentenza passata in giudicato, per quattro omicidi.
A fine ottobre del 2011 viene rivelato che Lula soffre di un tumore alla laringe e che si sarebbe perciò sottoposto a trattamenti chemioterapici. Lula è guarito dal cancro dopo le cure.
Ritorno alla carriera politica
La sua attività politica ha subito un brusco arresto a causa di alcune accuse di corruzione che, fra il 2016 e il 2021, lo porteranno anche alla carcerazione, e da cui verrà riconosciuto completamente estraneo ed innocente, venendo prosciolto. Verrà anche riconosciuta dal Tribunale Supremo la "parzialità" e il fine politico delle precedenti condanne, tese a bloccarne l'attività politica. Riacquistati dunque i pieni diritti civili e politici, Lula è candidato per la terza volta alla Presidenza, alle elezioni generali in Brasile del 2022, risultando vincitore con il 50,9 % dei voti, al secondo turno di ballottaggio contro il presidente uscente, l'ultra-conservatore Jair Bolsonaro.
Come compagno di corsa per la vicepresidenza ha scelto Geraldo Alckmin, un ex avversario politico di destra. Questa scelta avrebbe lo scopo di rassicurare i mercati finanziari, mentre, nota la stampa, "tutto si oppone all'ex operaio Lula, 76 anni, leader storico della sinistra operaia, e a Geraldo Alckmin, 69 anni, perfetta incarnazione dell'alta borghesia conservatrice paulista". Si tratterebbe anche di un adattamento dell'ex presidente a un sistema elettorale che non ha mai permesso al Partito dei Lavoratori di ottenere la maggioranza nel Congresso Nazionale, tradizionalmente dominato dal "centrão", costringendolo a stringere alleanze atipiche per governare. Questa alleanza ricorda la decisione di Dilma Rousseff di prendere Michel Temer come compagno di corsa nel 2014, anche se il PMDB di Michel Temer era più centrista del PSDB di Geraldo Alckmin.
La coalizione "Tutti insieme per il Brasile" (Vamos juntos pelo Brasil), formata da nove partiti che sostengono la candidatura di Lula, presenta un programma incentrato su questioni sociali (in particolare il potere d'acquisto) e sulla tutela dell'ambiente. Previsto ampiamente sconfitto, Jair Bolsonaro ha moltiplicato le sue iniziative nelle settimane precedenti il primo turno: aumento dei minimi sociali, buoni energetici, tagli alle tasse, pressioni sul gruppo petrolifero Petrobras per abbassare le tariffe, facendo scendere il prezzo medio della benzina al livello più basso degli ultimi due anni, che, unito al sostegno delle chiese evangeliche, gli ha permesso di risalire nei sondaggi.
Lula è il primo Presidente eletto nella storia del Brasile post-dittatura ad ottenere oltre 60 milioni di voti (60.345.999), mentre Bolsonaro è il primo presidente uscente a non riuscire a essere rieletto per un secondo mandato.
Il periodo di transizione è caratterizzato da forti tensioni. Dalla sconfitta di Jair Bolsonaro, contestata dai suoi sostenitori, si sono verificati episodi di violenza in tutto il Paese: "attentati sventati, tentativi di invasione di edifici pubblici, auto e autobus bruciati, esplosivi e gilet antiproiettile lasciati lungo la strada". Il Partito liberale di Bolsonaro chiede l'annullamento di parte dei voti di Lula, dando la colpa a "disfunzioni", in modo da poter dichiarare vincitore il presidente in carica. Quest'ultimo, come il suo vicepresidente Hamilton Mourão, si è rifiutato di partecipare al passaggio di poteri, il primo dal ritorno della democrazia, ed è partito per gli Stati Uniti alla vigilia dell'insediamento del suo successore.
Privo di una maggioranza parlamentare, Lula ha condotto difficili negoziati con i partiti del centrão, riconoscendo che "formare un governo è più difficile che vincere le elezioni". I partiti conservatori, come il Partito Social democratico e l'Unione Brasile, hanno vinto molti ministeri: agricoltura, energia, comunicazione, turismo, trasporti, città e pianificazione. Al contrario, la maggior parte dei ministeri chiave (economia, affari esteri, giustizia, difesa, istruzione, lavoro) è affidata a figure di sinistra che da tempo collaborano con lui. L'ambientalista Marina Silva torna al ministero dell'Ambiente e Sonia Guajajara, una figura di spicco nella lotta per i popoli indigeni, viene nominata al ministero dei Popoli indigeni, un ministero altamente simbolico. Per sventare un tentativo di insubordinazione da parte dei comandanti della marina e dell'aviazione che minacciavano di dimettersi dai loro incarichi, annunciò anche un nuovo staff a capo delle forze armate, scelto in base all'anzianità.
Nel suo primo giorno, Lula ha revocato più di una dozzina di decreti ordinati dal suo predecessore. Ha anche ristabilito il funzionamento del Fondo Amazzonico, mentre sono stati emessi decreti per combattere la deforestazione ed è stato abrogato un provvedimento sull'estrazione mineraria illegale. D'altra parte, ha sospeso il rilascio di nuovi permessi per le armi e il progetto di privatizzazione di aziende pubbliche come la compagnia petrolifera Petrobras e il servizio postale Correios. Ha firmato diverse misure provvisorie, una delle quali garantisce il pagamento di 600 real brasiliani (106 euro) alle famiglie iscritte al programma Auxilio Brasil.
Durante il suo mandato, ha promosso con Alberto Fernández gli studi preliminari per la creazione di una valuta comune tra Argentina e Brasile, da estendere in una seconda fase all'America Latina.
Vicende giudiziarie
Nel 2016 Lula viene coinvolto nella Operação Lava Jato (Operazione Autolavaggio), con l'accusa di aver ricevuto denaro dalla Petrobras, oltre a favori da parte di imprese, come la costruzione di un ranch e di un appartamento fronte mare. La presidente Dilma Rousseff ha tentato di nominare Lula ministro, secondo alcuni per sottrarlo all'inchiesta, ma la nomina è stata bloccata dalla giustizia.
Il 4 marzo 2016 è stato fermato e interrogato per tre ore nell'ambito di un'inchiesta sui rapporti di Petrobras: Lula ha respinto le accuse di corruzione. A giudizio dopo un anno, Lula è stato ritenuto colpevole di aver accettato tangenti del valore di 3,7 milioni di reais (1,2 milioni di dollari), venendo condannato il 12 luglio 2017 dal giudice Sérgio Moro, in primo grado, a nove anni e mezzo di prigione, ma rimanendo libero in attesa dell'appello. Quando questo è stato deciso, in secondo grado la pena è stata aumentata a 12 anni e la Corte suprema ha respinto il suo appello contro la provvisoria esecutività della sentenza.
Il 7 aprile 2018, dopo aver tenuto un discorso di fronte al Sindacato dei Lavoratori Metallurgici dell’ABC a São Bernardo do Campo, Lula si consegna spontaneamente alla Polizia Federale per rispettare il suo mandato d'arresto e viene condotto a Curitiba a scontare la pena inflittagli. In ragione della condanna, i suoi diritti politici risultano sospesi in conformità con la "Legge Fedina Pulita": "la sua candidatura è virtualmente nulla, perché la legislazione brasiliana impedisce che i condannati in seconda istanza, come il suo caso, possano presentarsi a cariche elettive"; la Corte Suprema ha poi negato anche la sua scarcerazione temporanea.
Secondo i sondaggi Lula avrebbe potuto vincere largamente le elezioni presidenziali, poi vinte da Jair Bolsonaro contro Fernando Haddad. I sostenitori del PT hanno accusato gli avversari di aver ordito un golpe giudiziario contro Lula e Rousseff. In quanto non condannato in via definitiva, il Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite ha dichiarato che Lula avrebbe potuto candidarsi alle elezioni.
Nel novembre 2018 ha ricevuto una nuova incriminazione, ma il 7 novembre 2019 il Tribunale supremo federale ha deciso, per 6 voti a 5, che i detenuti condannati in secondo grado devono essere scarcerati in attesa di sentenza definitiva, decisione che è stata applicata anche a Lula.
Dal 7 aprile 2018 all'8 novembre 2019 è stato detenuto a Curitiba, scontando la pena a 12 anni e un mese per corruzione e riciclaggio. Versando in stato di detenzione per una condanna penale, sia pure non ancora definitiva, gli è stato impedito di partecipare alla vita pubblica per tutta la durata della pena.
L'8 novembre 2019 è stato rilasciato dopo 580 giorni di prigionia: la decisione della Corte suprema, che lo riguarda, ha determinato che gli imputati di cui ancora non è stata accertata la colpevolezza possono rimanere in libertà fino alla decisione definitiva.
Il 7 marzo 2021 viene prosciolto da ogni accusa dal Tribunale Supremo Federale del Brasile, tornando quindi eleggibile e riacquisendo i suoi diritti politici. Tale sentenza del Tribunale Supremo dimostra ed enuncia, oltre la incompetenza territoriale e materiale del tribunale di Curitiba, anche come procuratori e giudici dei processi avevano fabbricato prove false per bloccare l'attività politica di Lula e avessero usato una "parzialità" di giudizio, in particolare da parte del giudice Sergio Moro, che in seguito era stato nominato Ministro della giustizia durante la presidenza Bolsonaro. Tale condotta giudiziaria nei processi contro Lula è stata condannata anche dal Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite.
Vicende familiari occorse durante la carcerazione
Il 29 gennaio 2019 è morto il fratello Genival Inácio da Silva, "Vavá", ex metallurgico, a causa di un cancro al polmone, e i giudici negano a Lula il permesso di partecipare alle esequie. Il fratello era stato oggetto di intercettazioni e perquisizioni domiciliari da parte della Polizia Federale nell'ambito di un'inchiesta sulle irregolarità delle macchine da gioco truccate, riguardo alla quale il Pubblico Ministero escluse il rinvio a giudizio per insufficienza di prove.
A causa di una meningite fulminante, il nipote Arthur, figlio di Sandro Luís, viene improvvisamente a mancare il 1º marzo 2019 all'età di sette anni. La notizia è stata comunicata su Twitter dalla Presidente del Partito dei Lavoratori, Gleisi Hoffmann, mentre Lula si trova in carcere e i suoi avvocati hanno presentato istanza di permesso speciale per partecipare al rito funebre.
Passione calcistica
Noto tifoso del Corinthians, nel novembre 2004 nominò Kaká ambasciatore contro la fame del PAM, il programma alimentare mondiale dell'ONU. Nell'autunno 2008, durante una visita in Italia, il presidente rossonero Berlusconi lo accolse facendogli incontrare i calciatori brasiliani che - all'epoca - facevano parte della squadra.
Onorificenze
Onorificenze brasiliane
Onorificenze straniere
Onorificenze accademiche
Note
Bibliografia
Cristiano Zanin Martins, Valeska Teixeira Zanin Martins, Rafael Valim, O caso Lula. A luta pela afirmação dos direitos fundamentais no Brasil [1 ed.], Editora Contracorrente, 2016.
Altri progetti
Collegamenti esterni
Presidenti del Brasile
Sindacalisti brasiliani
Politici del Partito dei Lavoratori (Brasile)
Cavalieri di Gran Croce dell'Ordine reale norvegese di Sant'Olav
Cavalieri di Gran Croce dell'Ordine del Sole del Perù |
2549 | https://it.wikipedia.org/wiki/L%27innocente%20Casimiro | L'innocente Casimiro | L'innocente Casimiro è un film del 1945 diretto da Carlo Campogalliani.
Trama
Marcella Corra, rampolla di una famiglia dell'alta borghesia, ha un debole per l'ingenuo Casimiro Pelagatti, insegnante di storia nel collegio cui è stata affidata. Per attirare la sua attenzione, non trova soluzione migliore che rivelare al preside dell'istituto di essere alle prese con una gravidanza di cui il professore sarebbe responsabile. Il Pelagatti, espulso con ignominia dall'istituto, deve anche promettere di recarsi dalla famiglia di Marcella, con una lettera del preside, in cui si illustra l'accaduto, e di proporre un eventuale matrimonio riparatore.
Strada facendo, l'intraprendente giovane ha già provveduto, a insaputa dell'insegnante a modificare il contenuto della missiva cosicché, all'arrivo dei due nella lussuosa villa Corra, Casimiro, in compagnia del cagnetto Vercingetorige, viene calorosamente accolto come il tutore che dovrà seguire Marcella negli studi, durante un'interruzione dell'attività scolastica dovuta a un'epidemia di "morbillo cerebrale". Egli si trova così a dover familiarizzare con la strana fauna di cui è composta la famiglia Corra: il capofamiglia distratto e burlone, la zia, dedita alle frequentazioni spiritiche di Shakespeare ed altri spiriti eccelsi, Guido, fratello di Marcella, vacuo e perditempo ed un enigmatico maggiordomo. Con l'alleanza del medico di famiglia, Marcella riesce, inoltre, a far credere a Casimiro di essere sonnambulo e di aver compiuto il misfatto inconsapevolmente, spinto dalle pulsioni del suo inconscio.
Poi la casa si affolla. Casimiro è raggiunto da Paola, sua cugina e fidanzata che diviene subito preda delle attenzioni di Guido mentre dal collegio arrivano le compagne di Marcella. Infatti la storia dell'epidemia si è propagata, costringendo il collegio a chiudere davvero; preludio questo alla minacciosa entrata in scena del direttore. Nel convulso finale, insieme alla rivelazione della dabbenaggine del preside e di un matrimonio, restato segreto a tutti, tra la zia e il maggiordomo, dovuto ai buoni uffici dello spirito di Shakespeare, fiori d'arancio per Guido e Paola e, naturalmente, per Marcella e Casimiro.
Produzione
Tratto dalla commedia musicale di Mario Amendola, Scandalo al collegio, di cui inizialmente doveva conservare il titolo, il film fa da battistrada alla successiva massiccia produzione di film derivati dalla rivista e dall'avanspettacolo. Nel teatro leggero si è formata Lea Padovani e dal teatro, dove avevano trovato rifugio dalle incertezze e difficoltà produttive del periodo bellico, ritornano al cinema Erminio Macario e Alberto Sordi.
Con Roma città aperta e La resa di Titì, altra commedia, diretta da Giorgio Bianchi – è uno dei pochi film in lavorazione nei convulsi mesi che precedono la Liberazione.
La convenzionalità del soggetto, una "commedia di collegio" alla Mattoli, è parzialmente riscattata dalla comicità "stravagante e clownesca" di Macario, mentre un elemento di novità, rispetto al repertorio del periodo fascista, è stato individuato nei riferimenti alla psicologia.
Distribuzione
Esce nell'ottobre 1945, distribuito dalla Lux Film.
Incassi
Incasso accertato a tutto il 31 dicembre 1952 £ 34.500.000
Note
Bibliografia
Catalogo Bolaffi del cinema italiano, 1945/1955, Torino 1967.
Altri progetti
Collegamenti esterni
Film commedia
Film diretti da Carlo Campogalliani |
2552 | https://it.wikipedia.org/wiki/Liv%20Tyler | Liv Tyler | È principalmente nota per aver interpretato Arwen nella trilogia de Il Signore degli Anelli diretta da Peter Jackson, con il quale si è aggiudicata uno Screen Actors Guild Award come miglior cast cinematografico. Ha inoltre preso parte ai film Innocenza infranta (1997), Armageddon - Giudizio finale (1998), L'incredibile Hulk (2008) e Ad Astra (2019).
È figlia di Steven Tyler, frontman degli Aerosmith, e di Bebe Buell.
Biografia
Da bambina si chiamava Liv Rundgren, dal cognome del compagno di sua madre, Todd Rundgren. Nel 1986 conobbe Steven Tyler (cantante degli Aerosmith: Tyler è il nome d'arte, mentre all'anagrafe si chiama Steven Tallarico) durante un concerto di Todd e le due famiglie iniziarono a frequentarsi. Liv scoprì la verità sulle sue origini notando che Mia Tyler, la figlia di Steven, le assomigliava molto. Fu così che venne fuori la verità: Steven e Bebe Buell, madre di Liv, avevano avuto una relazione dieci anni prima, e Bebe era rimasta incinta. Steven Tyler la riconobbe quindi come figlia, e lei, nel 1991, decise di aggiungere il cognome del padre naturale (Tallarico), e utilizzò poi il suo nome d'arte (Tyler) come il proprio. Oltre a Mia, Liv ha altri due fratelli minori dal lato paternoː Chelsea Anna (1989) e Taj Monroe Tallarico (1992). La Tyler ha origini italiane e tedesche da parte di suo padre.
Quando aveva quattordici anni intraprese la carriera di fotomodella, incoraggiata dalla top model Pavlína Pořízková, amica di sua madre Bebe Buell, anch'essa modella; viene così ingaggiata dall'agenzia di moda Storm Management. Il volto di Liv apparve rapidamente sulle note riviste Seventeen, Interview e Mirabella, ma la popolarità arrivò nel 1994, quando comparve nel noto videoclip degli Aerosmith Crazy. Nello stesso anno uscirono i suoi primi film, Rosso d'autunno e Dolly's Restaurant. Liv decise allora di abbandonare la carriera di modella e di darsi completamente al cinema.
A diciassette anni recitò nel suo terzo film, Empire Records, ma la vera fama arrivò nel 1996 quando il regista Bernardo Bertolucci la scelse per il suo Io ballo da sola, in cui la Tyler ottenne riconoscimenti internazionali per la sua interpretazione del ruolo di un'adolescente americana che vive la sua iniziazione sentimentale in Toscana. Tra gli altri suoi film Music Graffiti con Tom Hanks, Armageddon - Giudizio finale con Bruce Willis e Ben Affleck, Innocenza infranta di Pat O'Connor, La fortuna di Cookie e Il dottor T e le donne, entrambi di Robert Altman.
Il suo personaggio più conosciuto è Arwen Undomiel, principessa degli Elfi di Gran Burrone, nella trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli, tratta dall'opera di J. R. R. Tolkien. Nel 2004 gira Jersey Girl, un film di Kevin Smith, dove recita di nuovo al fianco di Ben Affleck dopo Armageddon - Giudizio finale. Nel 2006 recita nel film indipendente di Steve Buscemi Lonesome Jim, al fianco di Casey Affleck. Nel 2007 esce Reign Over Me, film di Mike Binder, mentre l'anno seguente recita con Scott Speedman nel thriller The Strangers e con Diane Keaton in Mamma ho perso il lavoro.
Vita privata
Dal 1995 al 1998 è stata fidanzata con l’attore Joaquin Phoenix.
Dal 2003 al 2008 è stata sposata con Royston Langdon, cantante e bassista del gruppo rock Spacehog, dal quale ha avuto un figlio: Milo William Langdon, nato il 14 dicembre 2004.
Dal 2014 ha una relazione con l'agente sportivo David Gardner. La coppia ha due figli: Sailor Gene, nato l'11 febbraio 2015 e Lula Rose, nata l'8 luglio 2016.
Filmografia
Cinema
Rosso d'autunno (Silent Fall), regia di Bruce Beresford (1994)
Dolly's Restaurant (Heavy), regia di James Mangold (1995)
Empire Records, regia di Allan Moyle (1995)
Io ballo da sola, regia di Bernardo Bertolucci (1996)
Music Graffiti (That Thing You Do!), regia di Tom Hanks (1996)
Innocenza infranta (Inventing the Abbotts), regia di Pat O'Connor (1997)
U Turn - Inversione di marcia (U Turn), regia di Oliver Stone (1997)
Franky Goes to Hollywood, regia di Brendan Kelly (1998)
Armageddon - Giudizio finale (Armageddon), regia di Michael Bay (1998)
Plunkett & Macleane, regia di Jake Scott (1999)
La fortuna di Cookie (Cookie's Fortune), regia di Robert Altman (1999)
Onegin, regia di Martha Fiennes (1999)
Il dottor T e le donne (Dr T and the Women), regia di Robert Altman (2000)
Un corpo da reato (One Night at McCool's), regia di Harald Zwart (2001)
Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell'Anello (Lord of the Rings: The Fellowship of the Ring), regia di Peter Jackson (2001)
Il Signore degli Anelli - Le due torri (The Lord of the Rings: The Two Towers), regia di Peter Jackson (2002)
Il Signore degli Anelli - Il ritorno del re (The Lord of the Rings: The Return of the King), regia di Peter Jackson (2003)
Jersey Girl, regia di Kevin Smith (2004)
Lonesome Jim, regia di Steve Buscemi (2005)
Reign Over Me, regia di Mike Binder (2007)
Mamma ho perso il lavoro (Smother), regia di Vince Di Meglio (2008)
The Strangers, regia di Bryan Bertino (2008)
L'incredibile Hulk (The Incredible Hulk), regia di Louis Leterrier (2008)
Super - Attento crimine!!! (Super), regia di James Gunn (2010)
Punto d'impatto (The Ledge), regia di Matthew Chapman (2011)
Robot & Frank, regia di Jake Schreier (2012)
Jamie Marks Is Dead, regia di Carter Smith (2014)
Space Station 76, regia di Jack Plotnick (2014)
Wildling, regia di Fritz Böhm (2018)
Ad Astra, regia di James Gray (2019)
Televisione
The Leftovers - Svaniti nel nulla – serie TV, 28 episodi (2014-2017)
Gunpowder – miniserie TV, 3 puntate (2017)
Harlots – serie TV, 16 episodi (2018-2019)
9-1-1: Lone Star – serie TV, 10 episodi (2020)
Riconoscimenti
MTV Movie & TV Awards 1999 – Candidatura alla miglior performance femminile per Armageddon - Giudizio finale
1999 – Candidatura alla miglior coppia (condiviso con Ben Affleck) per Armageddon - Giudizio finale
Screen Actors Guild Award
2002 – Candidatura al miglior cast cinematografico per Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell'anello
2003 – Candidatura al miglior cast cinematografico per Il Signore degli Anelli - Le due torri
2004 – Miglior cast cinematografico per Il Signore degli Anelli - Il ritorno del re
Doppiatrici italiane
Nelle versioni in italiano, Liv Tyler è stata doppiata da:
Stella Musy in Dolly's Restaurant, Empire Records, Io ballo da sola, Il Dottor T e le donne, Un corpo da reato, Il Signore degli Anelli - La Compagnia dell'Anello, Il Signore degli Anelli - Le due torri, Il Signore degli Anelli - Il ritorno del re, Jersey Girl, L'incredibile Hulk, The Strangers, Super - Attento crimine!!!, The Leftovers - Svaniti nel nulla, Gunpowder, Ad Astra, 9-1-1: Lone Star
Francesca Guadagno in Music Graffiti, Plunkett & Macleane
Gabriella Borri in Rosso d'autunno, Lonesome Jim
Chiara Colizzi ne La fortuna di Cookie, The Strangers (ridoppiaggio)
Cristina Giachero in Armageddon - Giudizio finale
Francesca Fiorentini in Onegin
Daniela Calò in Reign Over Me
Eleonora De Angelis in Innocenza infranta
Selvaggia Quattrini in Mamma ho perso il lavoro
Connie Bismuto in Punto d'impatto
Domitilla D'Amico in Space Station 76
Note
Altri progetti
Collegamenti esterni
Attori italoamericani
Attori televisivi statunitensi
Germano-statunitensi
Modelli figli d'arte |
2553 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lugano | Lugano | Lugano (in dialetto ticinese e comasco Lügán ; in tedesco Lauis o Lowertz [desueto]; in romancio Ligiaun) è un comune svizzero di abitanti del Cantone Ticino.
Nona città svizzera per popolazione, principale centro urbano cantonale e della Svizzera italiana con abitanti nel suo hinterland, si estende dalle pendici del San Salvatore al Monte Brè fino alla cima del Gazzirola; su circa di superficie ad un'altezza che varia dai sulla riva del lago di Lugano, ai dell'alta Val Colla. Località turistica molto frequentata, Lugano si è inoltre affermata mondialmente come piazza bancaria internazionale di primo piano, al terzo posto in Svizzera per volume d'affari dopo Zurigo e Ginevra.
È la più popolosa città italofona al di fuori dell'Italia.
Geografia fisica
Territorio
Lugano si sviluppa a nord dell'omonimo lago ed è situata sul 46º parallelo nord. Si trova ai piedi delle Prealpi Luganesi.
Clima
Lugano è caratterizzata da un clima continentale influenzato dalle correnti alpine, con un tempo molto variabile a seconda della stagione. Gli inverni sono rigidi ma mitigati dal lago nei quartieri della pianura, mentre le estati presentano periodi di caldo secco ed altri di afa.
L'autunno a Lugano può essere molto variabile, normalmente nei primi giorni di settembre correnti più fredde e umide irrompono nella vallata, portando ad un abbassamento marcato delle temperature e all'arrivo di periodi di pioggia prolungati. Le temperature cominceranno man mano a scendere, non mancano comunque giornate tiepide in settembre e talvolta in ottobre. Le prime gelate si registrano mediamente in novembre, o occasionalmente in ottobre, i primi fiocchi di neve cadono in pianura verso fine novembre, o anche dopo.
La temperatura maggiore mai registrata a Lugano è , mentre la minore corrisponde a , registrati nel febbraio 1994 in zona Viganello. La temperatura è molto diversa nelle varie zone: nel centro e nei quartieri in pianura le temperature minime sono più miti, mentre nelle zone dell'alta Val Colla le temperature possono attestarsi anche a parecchi gradi sotto zero.
Le nevicate sono possibili da novembre ad aprile e si conta quasi sempre almeno una nevicata l'anno. La primavera è tiepida e ventosa, nel mese di maggio è molto sentita la presenza del favonio che soffia con raffiche che possono superare in certi casi i . Durante l'arco dell'anno si contano mediamente 28 giorni di gelo. I giorni di ghiaccio sono possibili durante l'inverno ma non così frequenti. Secondo la classificazione dei climi di Köppen Lugano corrisponde a Cfb, quindi a climi temperati, miti e umidi.
Negli ultimi anni la città ha subito pesantemente gli effetti del riscaldamento globale facendo scendere drasticamente i giorni di gelo e di ghiaccio, nonostante ciò nella città e nella periferia durante periodi freddi le temperature possono precipitare di parecchi gradi sotto lo zero. Gli ultimi episodi di freddo intenso si contano nel febbraio 1994 dove la temperatura nella piana cittadina precipitò fino a , il 2001 portò una bufera di neve che investì in pieno la zona con forti nevicate e temperature attestate decisamente sotto lo zero, nel febbraio 2012 durante un periodo di freddo intenso la temperatura precipitò oltre dieci gradi sotto zero alle rive del lago e intorno ai nelle zone collinari e della periferia, nel gennaio 2017 una forte incursione fredda portò il fiume Cassarate a gelare quasi completamente e il fiume Vedeggio completamente, portando lastre di ghiaccio nello stesso Lago di Lugano, lo stesso accadde nel febbraio e marzo 2018, dove la foce del fiume ghiacciò completamente dopo che le temperature precipitarono oltre .
Origini del nome
Sull'origine del toponimo Lugano vi sono diverse teorie:
dal nome del dio celtico Lugus, protettore delle acque
dal latino lucus, bosco sacro, selva
dall'acronimo della "Legio V (quinta) Gaunica Auxiliares", una legione ausiliaria dell'impero romano, da cui sarebbe derivato poi anche lo stemma della città, tuttavia la ricerca filologica più aggiornata la ritiene cervellotica e destituita di ogni fondamento
dal latino medioevale Lakvannus, ovvero abitanti sul lago.
Storia
Primi insediamenti ed i romani
Le sponde del Lago di Lugano sono state abitate sin dall'età della pietra. Entro i confini della città moderna (Breganzona, Castagnola, Davesco e Gandria) sono state rinvenute numerose macine. Nella zona di Lugano sono stati rinvenuti reperti dell'età del rame e dell'età del ferro. Ci sono monumenti etruschi a Davesco-Soragno (dal V al II secolo a.C.), Pregassona e Viganello (dal III al II secolo a.C.). Tombe con gioielli e oggetti per la casa sono state trovate ad Aldesago, Davesco, Pazzallo e Pregassona insieme a denaro celtico a Viganello.
La regione intorno al Lago di Lugano fu colonizzata dai Romani nel I secolo a.C.. C'era un'importante città romana a nord di Lugano, a Bioggio. Ci sono meno tracce dei romani a Lugano, ma diverse iscrizioni, tombe e monete indicano che alcuni romani vivevano in quella che sarebbe diventata Lugano. In epoca romana Lugano, il cui nome romano era Luganum, era il terminale della via Varesina, che metteva in comunicazione Milano con Lugano passando da Varese, da cui il nome della strada.
Le origini ed il Medioevo
Già nel 724 il borgo di Lugano veniva nominato nella donazione che re Liutprando fece alla Basilica di San Carpoforo di Como. I primi documenti indicanti l'esistenza della città moderna sono datati all'875, altri documenti, risalenti all'804 e all'844, si riferiscono al Lago di Lugano come "Laco Luanasco", e un atto del 984 indica Lugano come città di mercato.
Nel medioevo, per secoli, Lugano come le altre terre dell'attuale Cantone Ticino seguirono le vicende delle lotte, tra guelfi e ghibellini, dei vicini Comuni lombardi di Como e Milano, i cui conflitti ebbero spesso come campo di battaglia proprio la regione che costituisce ora la Svizzera italiana, cadendo dal XIII al XIV secolo sotto la dominazione comasca della famiglia Rusca. Del secolo XIV sono i primi Statuti, a noi solo in parte noti, redatti sulla falsariga di quelli di Como del 1335, ci sono invece pervenuti integralmente gli statutari luganesi del 1441, redatti sotto la dominazione milanese, basati su quelli anteriori. Nel 1449, quando il borgo ricadde per breve tempo sotto la signoria di Como, quest'ultima si affrettò tuttavia ad imporre nuovamente la propria legislazione.
Tali contese si chiusero con l'avvento del definitivo predominio di Milano, sotto la signoria dei Visconti, nel 1335, dopo il lungo dominio della famiglia Rusca. Allo stesso tempo si rafforza il legame tra il paese e la valle, nel 1405-1406 i documenti attestano l'esistenza di una vallis comunitas Lugani et, un organo di governo indipendente. La nuova comunità comprendeva le parrocchie di Lugano, Agno, Riva San Vitale e Capriasca. Nel 1416 il duca di Milano, Filippo Maria Visconti, conquistò definitivamente la regione di Lugano e la valle della Rusca e ne fece un feudo. La città è stata in grado di assicurarsi la completa indipendenza solo dopo la redazione degli statuti del 1441, pur appartenendo al ducato milanese. Sul finire del secolo la valle di Lugano fu donata dal duca Ludovico il Moro alla moglie Beatrice d'Este.
Il rinascimento, la conquista francese e la dominazione confederata
Tra il 1433 e il 1438 il duca di Milano sedeva come feudatario su Lugano, risarcendo la famiglia Rusca con la proprietà di Locarno. Sotto il regno dei suoi eredi nei decenni successivi scoppiarono ribellioni e rivolte, che durarono fino all'invasione francese del 1499, guidata da Mondragon.
La città fu occupata dalla Confederazione elvetica nel 1512, che la strapparono ai francesi. Dunque, dopo più di cento anni di dominio da parte delle potenti città lombarde, in concomitanza con la perdita dell'indipendenza del Ducato di Milano e con le invasioni straniere in Italia, s'instaurò il quasi trisecolare governo dei Confederati.
La città era fortificata e dove oggi sorgono il Palacongressi e Villa Ciani si poteva scorgere un castello costruito dai comaschi nel 1286, ricostruito da Ludovico il Moro nel 1498 e consegnato dai francesi ai confederati il 26 gennaio 1513 dopo un assedio durato sei mesi. La costruzione fu definitivamente abbattuta dagli svizzeri (prevalentemente per motivi di costi di manutenzione) dopo la conquista del territorio luganese.
A tale lungo periodo, durante il quale la città di Lugano era un baliaggio dei 13 Cantoni dell'allora Confederazione elvetica pose fine l'invasione napoleonica, in particolare fu significativa per il Ticino l'entrata di Napoleone Bonaparte in Lombardia nel maggio del 1796 e la creazione della Repubblica Cisalpina.
La mattina del 15 febbraio 1798, infatti, i Cisalpini sbarcarono a Lugano, essi incontrarono però la resistenza dei Volontari del Borgo, una guardia costituita fra la popolazione locale su iniziativa dei rappresentanti dei cantoni sovrani. Seguì una convulsa giornata di scontri, al termine della quale i Cisalpini, malgrado un iniziale successo, furono respinti. Gli elementi più aperti della borghesia luganese approfittarono tuttavia degli eventi per realizzare la sospirata indipendenza della città al motto di "liberi e svizzeri".
A determinare la svolta verso l'adesione alla Repubblica Elvetica piuttosto che alla Repubblica Cisalpina contribuirono sia l'affrancamento dei baliaggi decretata dal Canton Basilea, rapidamente imitato da altri Cantoni, sia la nuova costituzione della Repubblica Elvetica. Quest'ultima, costituendo i due Cantoni di Lugano e Bellinzona, troncò le resistenze degli altri Cantoni confederati, per niente disposti a concedere la libertà ai territori d'oltralpe.
Il periodo della Repubblica Elvetica fu per Lugano, come per il resto del paese, un'epoca di continui rivolgimenti e sommosse popolari, causati principalmente dal malcontento delle popolazioni rurali per la politica del nuovo Stato unitario. Lo stesso Napoleone dovette prenderne atto e con l'Atto di Mediazione del 1803 sancì la nascita del Cantone Ticino, unendo il Cantone di Lugano con quello di Bellinzona per fondare una Repubblica formalmente sovrana e indipendente all'interno della riformata Confederazione Svizzera.
Con la caduta di Napoleone nel 1815, il Congresso di Vienna confermò l'indipendenza dei nuovi Cantoni e nacque così la Svizzera dei 22 Cantoni. Per il Cantone Ticino la nuova Costituzione - di tendenza restauratrice - risolse in modo salomonico la questione della capitale cantonale con l'alternanza ogni sei anni delle città di Bellinzona, Locarno e Lugano; quest'ultima, quindi, nel XIX secolo funse anche da capitale del Canton Ticino.
Risorgimento italiano e Lugano
Nel XIX secolo Lugano svolse un ruolo rilevante nelle vicende del Risorgimento italiano, in quanto sulle rive del Ceresio hanno trovato rifugio molti e importanti esuli italiani.
Vi ha vissuto Carlo Cattaneo, precisamente nel quartiere di Castagnola, dove si era ritirato dopo il fallimento della rivolta delle Cinque Giornate di Milano e qui morì il 16 febbraio 1869. A Villa Tanzina ha soggiornato Giuseppe Mazzini per diversi anni, ospite di Sara Nathan, amica carissima anche del Cattaneo. Qui si era trasferito anche il patriota Abbondio Chialiva dopo aver fatto fortuna nelle Americhe, e qui aveva acquistato la villa, dove ospitava patrioti italiani e intratteneva rapporti con diversi intellettuali. A Lugano aveva riparato anche Maurizio Quadrio che aveva organizzato l'insurrezione della Val d'Intelvi insieme al Mazzini nel 1848. Fu Lodovico Frapolli, patriota italiano rifugiato a Lugano dal 1849 al 1853, che si interessò alla creazione del Liceo cantonale.
La crescita della "Nuova Lugano"
Il 15 dicembre 2002 fu approvato in votazione dalla popolazione il progetto Nuova Lugano, ossia dell'aggregazione alla città di Lugano di diversi comuni limitrofi.
Il 4 aprile 2004 vennero aggregati i comuni di Breganzona, Cureggia, Davesco-Soragno, Gandria, Pambio Noranco, Pazzallo, Pregassona e Viganello.
Il 20 aprile 2008 vennero aggregati i comuni di Barbengo, Carabbia e Villa Luganese.
Il 20 novembre 2011 i comuni di Bogno, Cadro, Certara, Cimadera, Sonvico e Valcolla votarono per l'aggregazione alla città, e l'11 marzo 2012 fece lo stesso il comune di Carona.. Le aggregazioni sono operative dal 14 aprile 2013
Simboli
Stemma
Sul significato della sigla LVGA e della grafica dello stemma esistono molteplici ipotesi, ma non esistono interpretazioni ufficiali.
La testimonianza più antica a colori dello stemma della città (sfondo rosso e la croce argentata con la sigla LVGA) risale al 1588 e la si trova su un attestato di benservito rilasciato dalla città al balivo (capitano reggente o landfogto) Sebastian von Beroldingen, originario del Canton Uri, documento visibile al museo di Altdorf.
L'uso della V in luogo della U, secondo l'uso delle iscrizioni romane, fa credere che l'origine sia romana, quasi ad indicare effettivamente una legione.
Un'altra interpretazione faceta indicherebbe che la sigla LVGA sia l'acronimo di "La Vera Giustizia Antica".
La versione corrente dell'Amministrazione comunale, comprovata da alcune copie di documenti datati 1208 e 1209 (gli originali sono andati persi) depositati nell'Archivio della Diocesi di Lugano, è che LVGA non sia nient'altro che l'abbreviazione del nome della città stessa. Questa interpretazione è stata avanzata fin dal 1861 dal Consigliere di Stato ticinese Pietro Peri in un suo scritto in materia araldica sui comuni ticinesi.
Amministrazione
Giudici di pace 2009
Circolo di Lugano Ovest
Eletto in forma tacita
Giudice di pace
(PLR) Giovanni Gherra (nato il 1º febbraio 1953, Lugano – Castagnola)
Eletta in forma combattuta
Supplente Giudice di pace
(PPD) Maddalena Ermotti-Lepori (nata il 24 agosto 1957, Lugano)
Circolo di Lugano Est
Eletto in forma combattuta
Giudice di pace
(PLR) Giuseppe Cassina (nato il 1º settembre 1952, Lugano – Cureggia)
Eletto in forma combattuta
Supplente Giudice di pace
Ivan Vitalini (nato il 28 dicembre 1963, Lugano – Davesco-Soragno)
Il patriziato
Patriziato di Lugano (entro i confini amministrativi del 1972): l'ufficio patriziale è presieduto dall'avvocato Giorgio Foppa
Patriziato di Bogno (entrato a far parte di Lugano in seguito all'aggregazione di Val Colla nel 2013): l'ufficio patriziale è presieduto da Adriano Reali
Patriziato di Brè (in seguito all'aggregazione di Brè-Aldesago nel 1972): l'ufficio patriziale è presieduto da Fabrizio Demarchi
Patriziato di Cadro (in seguito all'aggregazione del 2013): l'ufficio patriziale è presieduto da Tiziano Frigerio
Patriziato di Carona (in seguito all'aggregazione del 2013): l'ufficio patriziale è presieduto da Ares Bernasconi
Patriziato di Castagnola (in seguito all'aggregazione nel 1972): l'ufficio patriziale è presieduto da Andrea Ender
Patriziato di Certara (in seguito all'aggregazione di Val Colla nel 2013): l'ufficio patriziale è presieduto da Roberto Moresi
Patriziato di Cimadera (in seguito all'aggregazione di Val Colla nel 2013): l'ufficio patriziale è presieduto da Edy Campana
Patriziato di Colla (in seguito all'aggregazione di Val Colla nel 2013): l'ufficio patriziale è presieduto da Joseph Moresi
Patriziato di Davesco-Soragno (in seguito all'aggregazione nel 2004): l'ufficio patriziale è presieduto da Arnaldo Fassora
Patriziato di Insone-Corticiasca (in seguito all'aggregazione di Val Colla nel 2013): l'ufficio patriziale è presieduto da Alberto Rossini
Patriziato di Piandera (in seguito all'aggregazione di Val Colla nel 2013): l'ufficio patriziale è presieduto da Sergio Moresi
Patriziato di Scareglia (in seguito all'aggregazione di Val Colla nel 2013): l'ufficio patriziale è presieduto da Angelo Petralli
Patriziato di Sonvico (in seguito all'aggregazione nel 2013): l'ufficio patriziale è presieduto da Vico Malfanti
Patriziato di Villa Luganese (in seguito all'aggregazione nel 2008): l'ufficio patriziale è presieduto da Marco Francesco Bulani
Le famiglie patrizie attuali di Lugano
Airoldi, Alleoni, Anastasi, Bariffi, Bellasi, Beretta, Beretta-Piccoli, Bernasconi (due ceppi), Bianchi, Bossi, Brentani, Camuzzi, Conti (due ceppi), Crivelli, De Carli, De Filippis, Domeniconi Foppa, Gorini, Laghi, Lepori, Lurati, Luvini, Moroni-Stampa, Morosini, Perlasca, Riva (due ceppi), Salmini, Solari, Soldini, Torricelli, Vegezzi e Viglezio.
Le famiglie patrizie attuali di Brè-Aldesago
Aprile, Caratti, Danesi, Demarchi, Gianini, Gilardi, Malacrida, Monti, Navoni, Pedrotta, Prati, Raselli, Sabbioni, Sala, Scopazzini, Taddei, Zeppi.
Le famiglie patrizie estinte di Brè
Gedra, Molinari, Snaghi, Talleri.
Gemellaggi
I quartieri
La città di Lugano è suddivisa in 21 quartieri.
La città del futuro
La città è impegnata in numerosi grandi progetti che ne stanno cambiando radicalmente il volto. Tra questi figurano:
Il polo culturale della Svizzera italiana LAC - Lugano Arte e Cultura con teatro, sala concerti e museo sul lungolago della città che ha aperto le porte al pubblico nel settembre 2015.
Il collegamento ferroviario Lugano-Mendrisio-Varese-Gallarate-Malpensa (entrato in servizio nel corso del 2017) permette di unire più efficacemente i poli di Lugano, Varese e Como-Chiasso e - da metà 2018 - di garantire un accesso ferroviario diretto all'aeroporto di Malpensa.
Stazione ferroviaria: la città di Lugano è la principale fermata della Svizzera italiana per i treni a lunga percorrenza che dal 2016 sfruttano la nuova ferrovia transalpina e la galleria ferroviaria più lunga del mondo (progetto Alptransit). Con la costruzione di AlpTransit, Zurigo e Lugano distano appena un'ora e cinquanta minuti. Inoltre, dal 2020, con l'apertura della galleria del Monte Ceneri, anche i collegamenti interni al Cantone si sono accorciati: tra Bellinzona e Lugano a 12 minuti invece di 22-33 attuali; tra Locarno e Lugano a 20-25 minuti invece di 48. Il progetto per la ristrutturazione della stazione di Lugano prevede il recupero di un'area pregiata, l'insediamento di servizi e il miglioramento dei collegamenti tra il centro e la parte in collina della città.
Monumenti e luoghi d'interesse
La città e la sua architettura hanno un carattere prettamente ticinese, ospita il palazzo della Curia vescovile della diocesi di Lugano. Negli ultimi cinquant'anni, dal 1950 al 2000 circa, la speculazione edilizia ha trasformato il volto cittadino con la perdita di numerose residenze, case, ville e palazzi risalenti ai secoli XVI-XIX.
Architettura religiosa
Centro storico
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Quartiere di Molino Nuovo
L'oratorio di San Maurizio, documentato per la prima volta nel 1203
L'attiguo cimiterino voluto dalla contessa Carolina Maraini Sommaruga per accogliere le spoglie del marito, progettato da Mario Chiattone (1891-1957) nel 1935.
Quartiere di Pazzallo
L'oratorio di San Barnaba, nel quartiere di Pazzallo, è documentato dal 1523
Il privato neoromanico oratorio di Santa Maria Ausiliatrice, eretto a Senago nel 1925
L'oratorio privato di San Vincenzo de' Paoli, a Morchino.
Quartiere di Breganzona
Chiesa parrocchiale dei Santi Quirico e Giulitta
Oratorio di San Sebastiano, del 1595
Ruvigliana e Cavallino
L'oratorio di San Michele sotto il quartiere di Ruvigliana, dove sorgeva un castello attestato già nel secolo XII
L'oratorio di San Carlo Borromeo, nella località di Cavallino
Quartiere di Loreto
La chiesa di santa Maria di Loreto sorge su un poggio oltre la valletta del riale Tassino.
Villa La Tanzina - oggi demolita - era situata in territorio di Loreto. Abbondio Chialiva, esule italiano che aveva realizzato una cospicua fortuna in Sud America, divenne proprietario della villa, che prendeva il nome dal primo proprietario, il nobiluomo milanese Franco Tanzi.
Il Chialiva fece realizzare il busto di George Washington nel 1859: al momento della demolizione della villa, il busto fu spostato ove si trova attualmente, sul Lungolago. Successivamente, la villa passò a Sara Nathan Levi, che vi ospitò Giuseppe Mazzini e altri patrioti italiani.
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Architettura civile
Il centro storico
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Quartieri a nord del centro storico
Quartieri ad ovest del centro storico
La stazione delle FFS sull'omonima piazza, eretto nel biennio 1875-1876 in forme neorinascimentali su piani di Adolf Göller
Nella Salita Bossoli la Casa d'appartamenti Pax, edificata dall'architetto Augusto Guidini junior nel 1934
LHotel Bristol (palazzo d'appartamenti), edificato da Paolito Somazzi per Vincenzo Fedele negli anni 1900-1903
In via Motta la Casa d'appartamenti Solatia, realizzata dall'architetto Rino Tami nel biennio 1950-1951
In via Massagno l'ex albergo Arizona (casa d'appartamenti) edificato da Tita Carloni negli anni 1957-1959
Montarina
Il quartiere fu realizzato in gran parte dall'architetto Americo Marazzi nel 1910 circa
Il Belvedere, in via Montarina, forse costruita nel 1855 per il commerciante Davide Enderlin
Il Villino, in via Borromini, edificato da Americo Marazzi per Giovanni Lüthy negli anni 1910-1912 circa.
Quartieri a sud del centro storico
La Riva Vela si trova nel punto d'incontro con Riva Caccia: giardino pubblico con sculture di artisti ticinesi e internazionali del XX secolo
Il Monumento a Giorgio Washington, in Riva Caccia, eseguito da Angelo Bruneri, fatto innalzare nel 1859 da Abbondio Chialiva
La Villa Malpensata, sede del Museo delle culture
LHotel Splendide Royal, originariamente Villa Merlina
Quartiere di Loreto
Cassarina
Il Palazzo residenziale e commerciale (Pensionato Franklin College), in via Calloni, progettato da Americo Marazzi negli anni 1925-1930 circa.
La Villa in via Domenico Fontana, progettata da Arnoldo Ziegler per Carlo Bossi nel 1928.
Quartiere di Besso
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Quartiere di Castagnola-Cassarate
La Villa Heleneum, di proprietà della Città di Lugano, è affittata per eventi privati
La Villa Helios
A Caprino
La località, situata sulla riva sud-ovest del Lago di Lugano sotto il Monte Caprino in faccia al centro storico della città, è nota soprattutto per le sue "cantine" ricavate nella roccia fin dal secolo XVII da famiglie patrizie luganesi e ora in gran parte ristrutturate.
Due case di vacanza sono state realizzate dall'architetto Peppo Brivio (nato nel 1923) nel biennio 1962-1963.
Architettura contemporanea
Degni di nota sono:
la Biblioteca cantonale, eretta dall'architetto Rino Tami nel biennio 1940-1941, situata vicino al Palazzo degli Studi
il Palazzo dei Congressi, opera dell'architetto Rolf Georg Otto degli anni 1965-1975; molteplici sono le costruzioni dell'architetto Mario Botta
la Biblioteca del convento della Santissima Trinità
la BSI in viale Stefano Franscini, ex sede principale della Banca del Gottardo (1988)
il Palazzo Ransila in pieno centro città
la pensilina della stazione degli autobus, nonché alcuni palazzi amministrativi o commerciali
il nuovo Casinò-Kursaal sul lungolago davanti alla rivetta Tell
LAC Lugano Arte e Cultura, il nuovo centro culturale facilmente raggiungibile a piedi dal centro storico della città percorrendo il lungo lago
la zona ad alta densità abitativa di Pregassona ovest.
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Parchi
Parco Ciani
Il Parco Ciani è il polmone verde della città; è un vasto parco con una variata flora primaverile ed estiva e numerosi alberi ad alto fusto, tra cui alcuni molto rari; al lago la darsena è ispirata ai cottage inglesi con elementi dell'architettura ottomana. La sua superficie nel tempo è stata dimezzata per far luogo alla costruzione del Palazzo degli studi, della relativa mensa-palestra, della biblioteca cantonale e del Palazzo delle scienze. Esso circonda l'omonima Villa Ciani (ora Museo di Belle Arti), una delle più belle residenze ticinesi ottocentesche, eretta per Giacomo Ciani e Filippo Ciani dall'architetto Luigi Clerichetti nel 1840. Qui i fratelli Ciani, durante le lotte per il Risorgimento italiano, diedero ospitalità a parecchi fuoriusciti tra cui Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo. Questi si accasò definitivamente a Castagnola nel villino di caccia di Pietro Peri.
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Parco Tassino
Il Parco Tassino è posto in prossimità della stazione ferroviaria in posizione panoramica, infatti si può godere della vista sul lago di Lugano. Nel punto più alto vi è la Torre Enderlin, dipinta di rosa. Grazie alla posizione, vi crescono piante come magnolie e rose a cespuglio e vi è anche una colonia di daini e mufloni. Infatti il parco era in passato una piccola riserva di caccia della famiglia Enderlin. Passato poi ad alberghi come il Métropole e il Majestic, diventò proprietà delle Ferrovie Federali Svizzere, che poi lo vendettero alla Città di Lugano nel 1970.
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Parco San Michele
Situato nel quartiere di Castagnola, si adagia sui pendii del Monte Brè come una terrazza panoramica in posizione privilegiata e può essere raggiunto partendo da Cassarate. I suoi romantici sentieri, coperti di fronde di palme e fiancheggiati da cipressi, da fontane e da sculture di pietra grigia, conducono nel cuore di una flora tipicamente meridionale, ricca di glicini, di ibischi e oleandri che costituiscono il parco vero e proprio, ampio , nel quale sorge la Cappella dedicata a San Michele, edificata sulle fondamenta di un antico castello. Dietro la cappella si estende la terrazza principale panoramica del parco dalla quale si gode una vista notevole; vi si trovano anche quattro colonne che rappresentano, sotto forma di figure sedute, modellate in sabbia rossa, quattro dei nostri sensi: l'udito, la vista, il tatto e il gusto. E proprio come in questa rappresentazione delle statue, il visitatore, attraverso la varietà e la bellezza della natura, ha la percezione concreta dei propri sensi. La città sottostante e il suo traffico paiono cosa insignificante a confronto degli orizzonti e dei frastagliati crinali che lo sguardo può abbracciare.
Da qui il golfo di Lugano, con i suoi porticciuoli, il Lido e l'arcuato lungolago si offrono alla vista nella loro interezza: lo scenario è chiuso dal Monte San Salvatore che da questa angolazione rivela tutta la sua imponenza. In lontananza emergono le cime delle catene alpine in una fantasmagorìa di forme e di colori che al tramonto si fanno incandescenti.
Sulla sinistra l'occhio può spaziare fino alla pianura padana dopo aver accarezzato le località di Melide, Campione d'Italia, Bissone, gli approdi sulla riva opposta ed i fianchi del Monte San Giorgio e della Sighignola. La sensazione che se ne trae è suggestiva: si è di fronte ad un angolo di terra privilegiata ammirabile da una delle più fortunate terrazze panoramiche che è preludio alle montagne più soleggiate d'Europa.
Nel 1963 il parco fu acquistato dall'ex Comune di Castagnola che non era ancora unito a quello della Città di Lugano; l'aggregazione risale al 1972.
Economia
Lugano, oltre che sul turismo, basa le sue risorse sulle numerose banche e sul settore finanziario in generale che non cessa di accrescersi. La capitale finanziaria luganese ospita anche altre industrie quali, ad esempio, le fabbriche di macchinari, i resti di quella che era una florida industria di lavorazione del tabacco, la fabbricazione di cioccolata. Merita di essere segnalata anche la produzione di carta. Lugano è inoltre azionista di maggioranza del casinò cittadino, sala da grandi giochi con ristorante.
Società
Evoluzione demografica
Popolazione residente
I molinari
Si tratta dell'autogestione giovanile iniziata come esperienze aggregative sull'onda del 68 all'occupazione degli ex Molini Bernasconi nel 1996 a Viganello (il nome Molinari deriva da quest'occupazione). L'occupazione si è poi sviluppata negli spazi all'interno dell'ex macello comunale di Lugano (lungo il fiume Cassarate). Questo tipo di movimenti sono presenti anche a Zurigo sotto il nome di besetzer. La gestione di questi spazi ha occupato il dibattito politico cittadino creando non poche tensioni per circa venti anni. La questione ha ripreso corpo durante il 2021 quando è stata emessa dal comune un'istanza di sgombero a seguito del fallimento delle trattative con i rappresentanti dei molinari. La questione raggiunge l'apice durante il mese di maggio 2021 quando, durante una manifestazione cittadina, i molinari hanno effettuato l'occupazione dimostrativa dell'ex istituto Vanoni. In risposta a queste azioni il Municipio di Lugano procede allo sgombero, come preannunciato negli scorsi mesi e in quella che RSI definisce 'La notte di Lugano' decide di abbattere lo stabile precedentemente sede dell'occupazione.
Istruzione e cultura
Istruzione
A Lugano ha sede l'Università della Svizzera italiana con le facoltà di Scienze della comunicazione, Scienze economiche, Scienze informatiche e, dal 2021, Teologia. Queste facoltà si trovano nello stesso campus. Lugano (zona Trevano) è anche la sede principale della SUPSI (Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana) che propone il modello formativo delle University of Applied Sciences e rappresenta l'unica università di questo tipo in lingua italiana al mondo. Nel quartiere di Lugano-Viganello c'è inoltre, attivo dal febbraio 2021, un nuovo campus universitario "Campus Est", destinato ad accogliere il Dipartimento tecnologie innovative (DTI) della SUPSI, la Facoltà di informatica dell'USI, l’Istituto Dalle Molle di studi sull’intelligenza artificiale (IDSIA) affiliato ad entrambe le istituzioni, e la nuova Facoltà di scienze biomediche dell’USI, oltre ad altre strutture complementari e comuni.
I nuovi edifici sono costruiti in prossimità dell'attuale Campus universitario USI, in una vasta area centrale della Città, posta sulla sponda sinistra del fiume Cassarate.
Nel quartiere di Cornaredo ha pure sede (dal 2012, in precedenza la struttura era ubicata a Manno) il CSCS, Centro Svizzero di Calcolo Scientifico, un'organizzazione nazionale con il compito di mettere a disposizione della comunità accademica – come pure della ricerca e del settore industriale – soluzioni tecnologiche avanzate nell'ambito del calcolo ad alte prestazioni. Il Centro è amministrativamente affiliato al Politecnico federale di Zurigo ed è dotato, sin dalla sua fondazione, avvenuta nel 1992, di computer fra i più potenti d'Europa.
Cultura e spettacolo
Nonostante la folta presenza a Lugano di diversi artisti e magnati, la città non sempre ha seguito una politica culturale brillante. Infatti ha perso diversi pezzi artistici importanti come la Collezione Thyssen-Bornemisza che è stata trasferita a Madrid al Museo Reina Sofia, di fronte al Museo del Prado, costruito appositamente, e destino simile hanno rischiato in passato altre collezioni.
Negli ultimi periodi si sta cercando di recuperare il patrimonio artistico come la stessa Villa Favorita, che in passato conteneva la collezione Thyssen.
In occasione dell'anniversario borrominiano l'architetto Mario Botta ha fatto erigere davanti alla Rivetta Tell lo spaccato del modellino della chiesetta di San Carlino alle Quattro Fontane a Roma.
Per alcuni anni, nel quartiere di Viganello, presso la sede in disuso dei Molini Bernasconi, aveva trovato sede un centro sociale (detto "Il Molino"), che ha proposto attività sociali e culturali nel quartiere. La presenza del centro è stata osteggiata da una parte della popolazione per questioni legate all'ordine pubblico. Contro la presenza del centro è stata fondata l'associazione ARDOS. Nel giugno del 1997 un incendio doloso brucia la struttura e sulle sue ceneri nel 2006 verrà edificato il nuovo centro commerciale Coop. Il centro sociale trova oggi spazio dentro le strutture dell'ex macello comunale.
Nell'attuale scena, composita dal profilo sia organizzativo che stilistico (teatro di prosa, teatro di marionette, teatro-danza, teatro-multimediale) si possono ricordare: I Teatranti di Pietro Ajani, il Teatro Pan, il Teatro Sunil, Luganoteatro, la Markus Zohner Theater Compagnie, il Teatro delle Radici, il Teatrodanza Margit Huber, ecc.
Per il cinquantesimo dell'ASSI (Associazione degli scrittori della Svizzera italiana) nel 1995 fu indetto il concorso letterario denominato Premio Internazionale Due Laghi.
In occasione del centenario della pubblicazione di Piccolo mondo antico nel 1995 venne indetto il Concorso Antonio Fogazzaro in collaborazione col comune di Valsolda.
Ogni autunno Lugano propone la tradizionale festa d'autunno – festa della vendemmia (prima settimana di ottobre).
Una visita artistico/culturale di sicuro interesse è quella del quartiere di Brè-Aldesago. Il nucleo del paese, sparso di opere d'arte, offre angoli suggestivi creati dalle sue caratteristiche costruzioni in sasso. Per l'amante dell'arte, le vie del paese, in acciottolato, offrono un percorso artistico sia per la presenza di "nomi" di rilevanza nazionale che internazionale, sia per l'accostamento arte/ambiente. Soffermarsi in questi luoghi dona senz'altro un'energia magica e benefica per il corpo e la mente.
Musei
LAC - Lugano Arte Cultura
MASILugano
Museo cantonale di storia naturale di Lugano
Museo delle culture
Museo delle dogane svizzero
Musica
Lugano è sede della Fonoteca nazionale svizzera, l'archivio sonoro nazionale e parte della Biblioteca nazionale svizzera, e del Conservatorio della Svizzera italiana.
Vi sono diverse manifestazioni musicali. Uno dei maggiori eventi estivi è il LongLake Festival, della durata di un mese, che si compone di 7 diversi festival, tra cui il noto Estival Jazz (prime settimane di luglio). Vi sono poi anche il "Blues To Bop" (tra agosto e settembre), il "Progetto Martha Argerich", la "Primavera Concertistica" o "Palco ai giovani". L'Auditorio Stelio Molo (della RSI) offre durante l'anno una lunga serie di concerti (soprattutto jazz, musica classica e musica da camera ma non solo). Numerosi sono i gruppi ticinesi che spaziano in diversi generi musicali. Si può dire che la scena musicale non manca certo di componenti anche se molti musicisti, ormai da anni, rivendicano maggiori spazi in cui potersi esibire.
Famosa anche la cultura Hip hop tra i giovani. Luoghi ed eventi ad esempio il Club Metrò di Molino Nuovo e il Palco Ai Giovani in centro hanno interessato molte persone nella città. Cantanti conosciuti di Lugano sono: Maxi B; Karma Krew; Free Word; Havana Clab; Lowa Man; Ciemme.
Inoltre, sempre restando nell'ambito musicale, vi sono anche i Dreamshade, gruppo Melodic Death Metal formato sempre a Lugano nel 2006.
A Lugano ebbe luogo, nel 1956, la prima edizione dell'Eurovision Song Contest.
Arte e teatro
LAC Lugano Arte e Cultura è il nuovo centro culturale della Città di Lugano inaugurato nel 2015 e dedicato alle arti visive, alla musica e alle arti sceniche. Il centro offre un ricco programma che spazia dalle mostre agli eventi, dalle stagioni musicali alle rassegne di teatro e danza e alle attività per famiglie e bambini.
Nel LAC ha sede il Museo d’Arte della Svizzera italiana nato dall’unione tra il Museo Cantonale d’Arte e il Museo d’Arte della città di Lugano. Inoltre, al primo piano è presente una sala concertistica e teatrale da 1000 posti, costruita interamente in legno e dotata di una speciale conchiglia acustica modulare e rimovibile, aperta al pubblico durante le stagioni di LuganoInScena e di LuganoMusica. Questa è anche la sede della Compagnia Finzi Pasca e dell’Orchestra della Svizzera italiana (OSI).
Lingue
La lingua più diffusa nella città di Lugano è l'italiano, lingua ufficiale del Cantone Ticino. Come nel resto del cantone, la seconda lingua è il lombardo, parlato in diglossia con l'italiano; il dialetto locale è di tipo occidentale ed appartiene - così come gli altri dialetti parlati nel Sottoceneri - alla varietà comasca.
Secondo i dati del 2015 dell'Ufficio federale di statistica, le principali lingue parlate dalla popolazione residente a Lugano sono l'italiano (87%), il tedesco o svizzero tedesco (8,8%), l'inglese (5,4%) e il francese (5,3%). La somma supera il 100% poiché è stata data la possibilità di esprimere più lingue come principali.
Sport
Lugano è storicamente una città sportiva le cui formazioni hanno sempre primeggiato a livello nazionale. In diverse occasioni, come nel 2014, la città ha vantato ben 4 titoli nazionali (Pallavolo, Pallacanestro, Pallanuoto, Hockey femminile):
Squadre cittadine
Hockey
L'Hockey Club Lugano (HCL), si è laureato campione svizzero sette volte: nel 1986, 1987, 1988, 1990, 1999, 2003 e 2006. A livello europeo, l'HCL è giunto due volte terzo nella Continental Cup, una volta quarto nella European Hockey League ed ha partecipato due volte alla fase finale della Coppa dei Campioni.
La squadra femminile ha vinto 6 titoli svizzeri, nel 2006, nel 2007, nel 2009, nel 2010, nel 2014 e nel 2015.
Calcio
Il Football Club Lugano è la principale società calcistica della città di Lugano e la più titolata del Canton Ticino.
Nel corso della sua storia il FC Lugano ha conquistato tre Campionati svizzeri (1938, 1941, 1949) e quattro Coppe svizzere (1931, 1968, 1993, 2022), ha inoltre partecipato a più riprese alle competizioni europee. Attualmente milita in Super League, massima serie del campionato svizzero, vi è ritornato il 25 maggio 2015 dopo un'assenza di 13 anni.
Lo Stadio di Cornaredo, sede degl'incontri casalinghi del FC Lugano, è stato inaugurato nel 1951. Il 20 giugno 1954 ha ospitato una partita dei Mondiali di calcio (Italia-Belgio 4-1).
Pallanuoto
Vi ha sede la squadra della Lugano Pallanuoto, 17 volte campione svizzero, l'ultimo titolo nel 2018. La squadra di pallanuoto è la squadra cittadina che annovera più titoli nazionali in bacheca e la seconda società svizzera per titoli nazionali vinti in questo sport. La squadra milita, al momento, in NWL, la massima lega svizzera e gioca le partite casalinghe nella suggestiva cornice del Lido. Annovera tra le sue fila numerosi giovani ticinesi ed anche alcuni giocatori con un prestigioso passato nelle competizioni internazionali.
Rugby
Dal 2007 esiste la squadra Rugby Lugano. La squadra partecipa al campionato della LNB.
Futsal
Lugano è rappresentata nel Futsal (anche chiamato Calcio a 5) da maggio 2010 dal Lugano Pro Futsal, che milita nel campionato di Lega Nazionale A Svizzera e disputa le proprie partite casalinghe presso il Palamondo di Cadempino.
Pallacanestro
A Lugano ha sede la squadra del Lugano Tigers, campione svizzero per 8 volte. Nel 2010-11 ha partecipato alla fase a gruppi di Eurochallenge.
Pallavolo
Vi hanno sede la squadra della Pallavolo Lugano che milita nella prima lega maschile (terza divisione nazionale), vincitrice di due titoli nazionali (2013, 2014), e la squadra del Volley Lugano che milita in LNA, la massima serie femminile, dal 2015.
Football australiano
A Lugano ha sede l'Aussie Rules Lugano prima squadra di football australiano fondata in Svizzera. Partecipa ai campionati organizzati dall'All Italia.
Hockey su prato
La squadra di hockey su prato è stata due volte campione svizzero di lega nazionale B e campione in coppa svizzera nel 1981.
Unihockey
La squadra dell'Unihockey Club Lugano è la prima squadra nata in Ticino e milita nel campionato di terza lega. Ha conquistato 1 campionato ticinese, 6 secondi posti e 1 terzo posto, 1 coppa Ticino, 1 titolo regionale di prima lega, 1 di seconda lega, 1 titolo regionale juniori C, 2 titoli regionale juniori D, 1 stagione in Lega Nazionale B, 1 semifinale di coppa svizzera.
Arti marziali
La palestra Fight Gym di Canobbio offre varie discipline quali Pugilato, Savate, Kick Boxing, Grappling, ju jitsu, MMA.
I suoi membri possono vantare numerosi titoli in campo nazionale ed internazionale.
Eventi sportivi
Tennis
A Lugano si è disputato dal 1999 al 2010 un importante torneo ATP Challenger Series a livello mondiale. Ha vinto il premio come miglior Challenger ed è stato premiato da Marat Safin.
Eventi sportivi occasionali
Tiro a segno
Dall'11 al 14 settembre 1997 si è disputata la Finale di Coppa del Mondo di Tiro a segno. Tutte le discipline olimpiche erano rappresentate (pistola e carabina) alle distanze di 10, 25 e 50 m. Alla manifestazione erano qualificati diversi campioni olimpici.
Olimpiadi
Il 30 gennaio 2006 la fiaccola olimpica, sulla strada dei Giochi olimpici invernali di Torino è transitata da Lugano con una manifestazione seguita da un grande pubblico. Tedofori famosi hanno portato la fiaccola: una tra i tanti Michela Figini, vincitrice della medaglia d'oro nella discesa libera alle Olimpiadi invernali di Sarajevo del 1984.
Ciclismo
Nel 1953 con la vittoria di Fausto Coppi e nell'ottobre del 1996 con la vittoria di Johan Museeuw (e col secondo posto di Mauro Gianetti) a Lugano si sono svolti i Campionati del mondo di ciclismo su strada.
Il 6 giugno 1998 la 21ª tappa del Giro d'Italia 1998, una cronometro individuale, si è conclusa a Lugano con la vittoria dell'ucraino Serhij Hončar.
Nel 2003 Lugano ha ospitato il Campionato del mondo di mountain bike, sulla pendici del Monte Tamaro. Dopo il Gran Premio Insubria vinto dal toscano Francesco Ginanni il 28 febbraio, il 1º marzo 2009 si è tenuto il Gran Premio di Lugano per professionisti – vinto da Remy Pauriol – quale prologo al Campionato mondiale di ciclismo su strada 2009 che si è tenuto sul circuito di Mendrisio.
Salute
Medicina
L'Ospedale regionale di Lugano si suddivide in due sedi, ubicate in zone diverse della città: l'Ospedale Civico e l'Ospedale italiano. Il nosocomio ha il compito di assicurare al distretto di Lugano l'assistenza ospedaliera di base e una serie di servizi specialistici di dimensione regionale e cantonale.
A Lugano ha inoltre sede il Cardiocentro Ticino, uno dei più importanti centri specializzati a livello svizzero e internazionale. Gestito da una fondazione privata, ma integrato nel servizio sanitario cantonale, il Cardiocentro Ticino è una struttura all'avanguardia nelle specializzazioni di Cardiologia, Cardiochirurgia e Cardioanestesia. È un ospedale acuto, cioè garantisce cure di primissimo intervento, ma dispone anche di un servizio di Day Hospital. La Fondazione non ha scopo di lucro ed è stata espressamente concepita per fini di pubblica utilità, in particolare a favore dei pazienti ticinesi. L'interno ospita numerose opere scultoree e pittoriche dell'artista Ivo Soldini di Mendrisio.
Trasporti pubblici
I trasporti pubblici cittadini sono garantiti dalla TPL SA che offre linee di bus in città. L'ARL SA gestisce la rete di bus per alcuni quartieri e comuni della periferia cittadina e i collegamenti con il resto del cantone sono assicurati dal sistema della rete celere del Canton Ticino. Le relazioni internazionali con l'Italia e oltre-Gottardo sono garantite dalle Ferrovie Federali Svizzere.
In passato vi erano quattro ferrovie nella regione: la Ferrovia Lugano-Ponte Tresa, che è l'unica ancora in servizio, la Ferrovia Lugano-Cadro-Dino (LCD), la Ferrovia Lugano-Tesserete (LT) e la rete tranviaria urbana.
Tra il 1954 e il 1959 il tram, che verrà messo di nuovo in circolazione forse entro il 2025, è stato gradualmente sostituito da filobus, il quale a sua volta, dopo essere stato trascurato e dopo che alcuni veicoli avevano addirittura perso il diritto a circolare, è stato tolto dal servizio il 30 giugno 2001 e sostituito da bus diesel.
Nel 2014 è stato approvato il progetto di reintroduzione del tram a Lugano, che circolerà dal centro alla periferia.
A nord della città c'è la Galleria Vedeggio-Cassarate che porta allo svincolo autostradale A2 di Lugano Nord.
Le cime del Monte San Salvatore e del Monte Brè sono raggiungibili grazie alle due funicolari, la prima con partenza a Paradiso, la seconda a Cassarate.
Dal 1º dicembre 2016 è stata rimessa in funzione la storica Funicolare Lugano-Stazione FFS.
Aeroporti
La città è servita dall'Aeroporto di Lugano, situato a ovest della città nel territorio del comune di Agno.
L'aeroporto è un noto scalo di voli commerciali e privati.
Infrastrutture e trasporti
Ferrovie
La stazione di Lugano è situata a nord della città. Vi operano le FFS e i TILO.
Sempre dalla stazione è possibile raggiungere la città di Ponte Tresa per mezzo della S60, della FLP, oppure il centro di Lugano per mezzo di una funivia di TPL che garantisce ogni quattro minuti di raggiungere il centro città.
Dal dicembre 2020, con l'apertura della Galleria di base del Monte Ceneri, è garantito il collegamento diretto fino all'Aeroporto di Zurigo.
Note
Bibliografia
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Eligio Pometta, Virgilio Chiesa, Vittorino Maestrini, Storia di Lugano, 2 volumi editi dalla Società dei commercianti di Lugano, 1975.
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Franco Cajani, La bottega dei Seregnesi nell'ambito della pittura del Quattrocento lombardo, Besana Brianza 1986.
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Andreas Hauser, INSA, 6. Inventario Svizzero di Architettura 1850-1920, "Lugano", Orell Füssli, Zurigo 1991, 205-356.
Antonio Galli, Borgo e Vicinìa di Lugano, 1940, Edizione in facsimile dell'editore Giampiero Casagrande in Lugano 1991.
Mario Agliati, Il tempietto di due Santi e di due città. Da Sant'Antonio da Padova in Lugano a San Lucio papa in Brugherio, Lugano 1994.
Luigi G. Herz, Di lasco e di bolina. Una disputa medico-farmacologica sul «solfato indigeno febbrifugo», tra Lombardia e Ticino, 1846-1848, in Archivio Storico Ticinese, numero 147, Casagrande, Bellinzona 2010.
Antonio Gili (a cura di), «Udite Udite!» Proclami dei governi provvisori e del Cantone di Lugano, 1798-1803, Edizioni Città di Lugano-Archivio storico, Lugano 2010.
Marco Schnyder, Famiglie e potere. Il ceto dirigente di Lugano e Mendrisio tra Sei e Settecento, Edizioni Casagrande, Bellinzona 2011.
Igor Ponti, Skate Generation, a Lugano skater portraits. Fontana Edizioni, Lugano 2009. « Skate Generation » è una serie di ritratti in bianco e nero di padri con i loro figli, di donne, di giovani e di uomini, richiamando alla mente i guerrieri di fine 800 in posa per l'istantanea.
Voci correlate
Comuni del Canton Ticino
Lago di Lugano
Valli di Lugano
Distretto di Lugano
Comuni di confine della Svizzera
Altri progetti
Collegamenti esterni
http://www4.ti.ch/fileadmin/DT/temi/aria/clima/01_Rapporto_clima_Ticino.pdf
Inventario degli insediamenti svizzeri da proteggere |
2554 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua | Lingua |
Anatomia
Lingua – organo degli apparati digerente e fonatorio, interno alla bocca
Cucina
Lingua – alimento umano
Linguistica
Lingua – forma storicamente determinata in cui si manifesta la facoltà del linguaggio
Geografia
Lingua – striscia di terra, sabbia o ghiaccio
Lingua – frazione del comune di Santa Marina Salina nella città metropolitana di Messina
Meccanica
Lingua – una delle due estremità dell'incudine
Altri progetti |
2555 | https://it.wikipedia.org/wiki/Linus%20Torvalds | Linus Torvalds |
Biografia
Nato a Helsinki da una famiglia appartenente alla minoranza finlandese di lingua svedese, ha studiato all'Università di Helsinki tra il 1988 e il 1996, conseguendo la laurea in informatica con una tesi intitolata Linux: A Portable Operating System. È sposato con Tove Torvalds.
Sviluppo del kernel Linux
Linus Benedict Torvalds è stato l'iniziatore dello sviluppo del kernel Linux, di cui è pure ispiratore del nome. Il sistema operativo completo GNU/Linux, ottenuto unendo Linux con il sistema operativo GNU, creato da Richard Matthew Stallman, è entrato nella storia dell'informatica come valida alternativa ai sistemi operativi non liberi (come ad esempio Microsoft Windows, MacOS, Unix); a differenza di questi ultimi sistemi, infatti, il kernel Linux è software libero coperto dalla licenza GNU GPLv2.
La popolarità di Linus Torvalds ebbe inizio a seguito di una disputa di carattere tecnico in un newsgroup Usenet con il professor Andrew Tanenbaum, della Vrije Universiteit di Amsterdam. Il professor Andrew Tanenbaum aveva infatti realizzato per scopi didattici MINIX, un sistema operativo simile a Unix, che poteva essere eseguito su di un comune personal computer. Tale sistema operativo veniva distribuito con il codice sorgente, ma la sua licenza di distribuzione vietava di apportare modifiche al codice senza l'autorizzazione dell'autore.
Altre divergenze tra Andrew Tanenbaum e Linus Benedict Torvalds portarono quest'ultimo a riflettere sulla possibilità di creare una sorta di Unix per PC, ispirato a Minix, ma con una licenza d'uso che consentisse a chiunque la libera modifica del codice. Fu questa scelta a dare il via al progetto che, data la licenza di software libero adottata, nel giro di pochi anni ha coalizzato centinaia di programmatori che, per lavoro o per hobby, sono impegnati ad aggiornare il codice del kernel linux.
Ciò è parte del messaggio contenuto nella e-mail che Linus Benedict Torvalds inviò ai suoi colleghi del progetto MINIX il 25 agosto 1991: "Salve a voi tutti, qui fuori [...] Sto realizzando un sistema operativo (libero), appena un passatempo, né grosso né professionale [...]".
Attualmente Linus Benedict Torvalds vive in California, a Santa Clara, con la moglie Tove. Ha lavorato fino alla primavera 2003 per la Transmeta occupandosi poi, a tempo pieno, del coordinamento del gruppo di programmatori che sviluppa il kernel Linux per conto dell'OSDL (Open Source Development Lab), un progetto di ricerca finanziato da industrie che hanno fondato parte del proprio business su GNU/Linux, come Computer Associates, Fujitsu, Hitachi, Hewlett-Packard, IBM, Intel, NEC.
Nel 2006 è stato incluso nella selezione "60 years of heroes" dall'edizione europea della rivista TIME.
Sebbene Linus Benedict Torvalds cerchi di mantenere un basso profilo, si trova spesso coinvolto nelle dispute fra le differenti correnti di pensiero e le diverse ideologie in competizione riguardo agli scenari futuri del software. Nonostante la sua popolarità provenga in buona parte dal mondo dell'open-source, egli ha assunto posizioni aperte sia nei confronti di licenze di altro genere, sia di tecnologie osteggiate dai sostenitori del software libero. Per esempio, nell'ordine, durante la scelta dello strumento di gestione dei codici sorgenti di Linux, Torvalds sostenne inizialmente l'utilizzo di BitKeeper, mentre in altre occasioni ha espresso l'opinione che il kernel possa includere tecnologie a supporto delle tecnologie di gestione dei diritti digitali (DRM), adducendo motivazioni di carattere soprattutto pratico.
Durante un intervento a TED Conference, ha dichiarato: “Non ho lanciato Linux come un progetto collaborativo. L'ho fatto solo per me stesso (…) L'ho reso pubblico, ma non avevo alcuna intenzione di usare la metodologia open source. Volevo solo avere commenti sul mio lavoro”.
La neutralità con cui si pone nelle dispute tra programmatori gli è valso il soprannome di: "dittatore dello stato libero di Bananas". Torvalds ritiene infatti che solo il tempo e gli utilizzatori del software possano dichiarare un codice migliore di un altro.
Il 16 settembre 2018 Torvalds ha dichiarato in un messaggio inviato alla mailing list degli sviluppatori del kernel linux di sentire il bisogno di prendersi una pausa, per via della poca empatia mostrata più volte nei confronti della community. Si è scusato e ha affermato di voler tornare allo sviluppo dopo aver migliorato il proprio comportamento. Dopo una pausa lunga poco più di un mese, a fine ottobre 2018 Linus Torvalds è tornato alla guida del kernel Linux.
Altri progetti
A partire dal 2005, Torvalds è anche autore di Git, software di controllo versione distribuito del codice. Anche questo progetto è stato iniziato per ragioni pratiche, essendo insoddisfatto di altri progetti analoghi (ad esempio, CVS) e più soddisfatto di altri (come il citato BitKeeper) che però non erano software libero. Inoltre è tra gli autori di Subsurface.
Note
Bibliografia
Voci correlate
Git (software)
GNU/Linux
Kernel
Kernel monolitico
Linux (kernel)
Open source
Richard Stallman
Sistema operativo
The Code (film 2001)
Altri progetti
Collegamenti esterni
Persone legate a Linux
Studenti dell'Università di Helsinki |
2557 | https://it.wikipedia.org/wiki/L%27uomo%20senza%20passato%20%28film%202002%29 | L'uomo senza passato (film 2002) | L'uomo senza passato (Mies vailla menneisyyttä) è un film del 2002 diretto da Aki Kaurismäki, vincitore del Grand Prix Speciale della Giuria e del premio per la migliore interpretazione femminile (a Kati Outinen) al 55º Festival di Cannes.
Trama
Un operaio giunge di notte in treno a Helsinki. Mentre riposa su una panchina, viene aggredito da tre delinquenti che, dopo averlo tramortito con una mazza da baseball, lo derubano e poi lo bastonano pesantemente. Portato in ospedale pare che debba morire ma malgrado l'elettrocardiogramma sia piatto, si risveglia, si sistema il naso sotto le bende, si riveste e viene ritrovato in riva del mare da due bambini figli di baraccati.
Medicato e accolto da questa famiglia povera, scopre di aver perso la memoria. Trova alloggio in un altro container, per il quale deve pagare una cifra esosa ad un guardiano corrotto il quale possiede un cane che dovrebbe essere ferocissimo ma che si rivelerà invece particolarmente mansueto. Grazie all'aiuto e alla complicità di altri diseredati, si installa nel container sistemandolo alla meglio.
Una sera va "fuori a cena", alla mensa dell'Esercito della Salvezza, e si infatua di Irma, una delle volontarie. Trova così lavoro presso il magazzino dell'Esercito della Salvezza e fa conoscere alla loro band, che accompagna la distribuzione dei pasti, il rock and roll e la musica ritmica.
Casualmente, scopre che probabilmente nella sua vita passata era stato un saldatore, ma per essere assunto nel cantiere navale deve aprire un conto in banca, possibilmente "cifrato, come in Svizzera", visto che non ricorda il proprio nome. Durante tale operazione viene coinvolto in una rapina di un imprenditore fallito e con il conto bloccato per colpa della disonestà della banca, la quale sta per chiudere i battenti.
Da testimone si ritrova così in prigione, accusato per non aver fornito le proprie generalità, ma grazie alle brillanti argomentazioni dell'avvocato dell'Esercito della Salvezza, viene liberato prima che le cose finiscano male. Non appena esce, viene contattato dal rapinatore, che gli chiede di distribuire i soldi ai suoi operai che non avevano avuto gli arretrati a causa del fallimento dell'azienda.
Sempre per via della rapina, la foto del nostro personaggio senza nome finisce sui giornali dove viene riconosciuta dalla moglie. Egli è pronto a tornare, suo malgrado, a quella vita che non gli appartiene più e che non riesce a ricordare, ma quando incontra la moglie scopre di essere divorziato e torna a Helsinki dalla sua amata Irma. Mentre sta rientrando nella sua baracca, viene di nuovo affrontato dai tre aggressori dell'inizio, ma questa volta gli vengono in soccorso gli altri diseredati del porto, che le suonano di santa ragione ai tre teppisti.
Cameo
La cantante finlandese Annikki Tähti interpreta la direttrice del mercatino dell'usato e canta nel gruppo dell'Esercito della Salvezza.
Il parlamentare Matti Wuori interpreta l'avvocato, professione che ha realmente svolto nella vita.
Riconoscimenti
Festival di Cannes 2002: Grand Prix Speciale della Giuria, premio per la migliore interpretazione femminile (Kati Outinen), Premio della giuria ecumenica
Nomination Oscar al miglior film straniero
Nordic Council Film Prize 2002
Nella cultura di massa
Al film è dedicata una storia pubblicata nel numero 3210 del settimanale Topolino, intitolata Il papero senza passato. La parodia disneyana porta la firma dello sceneggiatore finlandese Kari Korhonen e del disegnatore Giorgio Cavazzano.
Note
Bibliografia
Altri progetti
Collegamenti esterni
Film sentimentali
Film commedia drammatica
Film diretti da Aki Kaurismäki
Grand Prix Speciale della Giuria
Premio Guldbagge per il miglior film straniero |
2558 | https://it.wikipedia.org/wiki/Letteratura%20per%20ragazzi | Letteratura per ragazzi | L'espressione letteratura per ragazzi o letteratura per l'infanzia si riferisce a un vasto insieme di opere e generi letterari che, in qualche modo, si ritengono adatti per un pubblico di bambini o ragazzi. Si possono intendere come opere letterarie per ragazzi:
opere pensate esplicitamente per la lettura da parte di ragazzi
opere giudicate adatte ai minori da parte di una autorità riconosciuta come competente (per esempio associazioni di genitori e insegnanti o giurie di premi internazionali del settore come il Premio Hans Christian Andersen)
opere notoriamente apprezzate dai ragazzi
Queste tre definizioni (che non sono le uniche possibili) sono correlate, ma non necessariamente equivalenti. Per esempio la valutazione da parte di autorità competenti prende tipicamente in esame i contenuti morali delle opere per rilevare messaggi potenzialmente diseducativi, valutazione evidentemente non univoca e potenzialmente in contrasto con le intenzioni degli autori. Opere come Il principe e il povero o Le avventure di Huckleberry Finn di Mark Twain, molto apprezzate dal pubblico dei più giovani, erano pensate per gli adulti; Alice nel Paese delle Meraviglie, al contrario, fu concepito come storia per bambini, ma viene generalmente considerato più adatto a un pubblico adulto. Dunque, l’insieme di tutti i testi pensati e pubblicati per un pubblico di bambini e ragazzi fa riferimento a un insieme complesso, variegato e contraddittorio tanto che è difficile definire univocamente questa disciplina. Sono molte le strade che si possono percorrere per operare un discorso critico su questa letteratura. Essa è comunque da considerarsi come letteratura tout court, che, per essere compresa, ha bisogno di strumenti e conoscenze che si rifanno alla critica letteraria, alle conoscenze storiche, filologiche, pedagogiche e artistiche. Non sono necessari soltanto strumenti educativi e pedagogici per studiarla e comprenderla, ma è fondamentale un’impalcatura critica e artistica che la consideri come letteratura e arte a tutti gli effetti. La letteratura per l’infanzia abbraccia un panorama multidisciplinare da non considerarsi minoritario rispetto alla letteratura più in generale, spesso considerata come destinata esclusivamente agli adulti.
In Italia ha assunto particolare importanza il Premio Andersen che a partire dal 2001, anno della sua prima edizione, rappresenta una delle più importanti occasioni di fornire riconoscimenti sia ad autori italiani che stranieri nel campo della letteratura per ragazzi.
Nomenclatura e target demografico
I confini tra la letteratura per ragazzi e quella per adulti sono sfumati e seguono la sensibilità storica e culturale del momento o la percezione personale del soggetto. Diversi romanzi concepiti per adulti sono diventati con il tempo classici della letteratura per l'infanzia. Al contrario, come per esempio nel caso di Harry Potter, si sono verificati casi in cui romanzi scritti per bambini abbiano goduto di un vasto successo tra gli adulti.
La letteratura per ragazzi viene indicata in modo alternativo anche come letteratura per l'infanzia, per bambini, giovanile o young adult sia come sinonimi sia che ci si stia riferendo a delle sottosezioni e a dei target demografici più precisi. Specialmente a partire dalla seconda metà degli anni novanta e nell'area anglosassone, si tende a suddividere la corrente in fasce di pubblico sempre più ristrette e ben definite. In ambito italiano è comune riferirsi al corpus destinato alla fascia di età prescolare e scolare come a "letteratura per l'infanzia" e ai libri intesi per un pubblico adolescenziale come "letteratura giovanile".
Generi
Alcuni generi letterari si possono considerare intrinsecamente adatti ai ragazzi; vi compaiono certamente il romanzo o racconto educativo, la fiaba, la favola e ancor più la filastrocca. Altri sono considerati generalmente, ma non necessariamente, adatti ai ragazzi: un esempio sono i romanzi d'avventura. In linea di principio, tuttavia, la maggior parte dei generi letterari (dal romanzo di formazione, al romanzo storico, al fantasy e così via) possono essere reinterpretati nel contesto della letteratura per bambini, spesso attraverso una contaminazione di generi. Un esempio può essere il ciclo di Redwall di Brian Jacques, che utilizza molti elementi del genere fantasy (di scrittori come Tolkien o Terry Brooks, che sono più adatti a un pubblico adulto) in storie con animali del bosco come protagonisti (contaminazione con la fiaba o la favola). Un altro esempio è la serie Piccoli brividi di Robert Lawrence Stine, che riprende temi e ambientazioni del giallo e dell'horror. Questo fenomeno di contaminazione, sempre più frequente anche nelle nuove pubblicazioni, contribuisce a definire una serie di nuovi sottogeneri ("fantasy per ragazzi", "fantascienza per ragazzi", "horror per ragazzi") e così via.
Un concetto correlato è quello di adattamento per ragazzi, una rielaborazione per ragazzi di un testo per adulti (per esempio allo scopo di semplificarne il linguaggio o la trama): con questo mezzo si può riformulare un poema epico (per esempio l'Odissea o la Divina Commedia) come romanzo di avventura. Intere collane di libri per ragazzi, come la serie de La Scala d'oro dell'UTET edita negli anni trenta del secolo scorso, si basavano su adattamenti di classici letterari. Si parla invece di adattamento a fumetti quando un testo letterario, per ragazzi o per adulti, viene trasposto nel linguaggio del fumetto.
Oltre all’adattamento si può fare riferimento alla riscrittura e alla riduzione; una riduzione è:
In ogni caso, le riscritture, gli adattamenti e le riduzioni, spesso destinate ai grandi classici della letteratura, per l’infanzia e non, sono da considerarsi come vero e proprio genere letterario, capace di continuare a dare voce e diffusione alle grandi opere, di salvare e dare nuova vita alle storie del passato.
La letteratura per bambini può essere divisa in cinque grandi categorie:
Poesie
Albi illustrati
Letteratura popolare come fiabe, miti, leggende
Romanzi
Biografie e opere divulgative
Poesie
Il primo contatto dei bambini con la letteratura è costituito dall'ascolto delle ninnananne cantate dalle madri o dalle balie. Esse sono la forma più antica di letteratura infantile; costituite da rime semplici, musicali, ridondanti, adatti a placare l'animo bizzoso dell'infante per calmarlo e/o addormentarlo. Molte volte queste filastrocche sono prive di senso compiuto o narrano eventi improbabili, tuttavia, data la loro facile memorizzazione, possono essere ricordate anche dopo molti anni, costituendo uno dei primi ricordi del fanciullo. Alcune rime come "Il vecchio Re Cole" sono ispirate a fatti realmente accaduti, altre come "Humpty Dumpty" hanno solitamente una morale o un insegnamento. Innumerevoli sono i volumi di rime infantili apparsi fino a oggi. Uno di questi, pubblicato nel 1899, è Il libro di Papà Oca di L. Frank Baum, illustrato da W.W. Denslow.
Molte poesie per bambini sono di argomento umoristico. L'inglese A. A. Milne pubblicò nel 1924 e nel 1927 due raccolte di poesie per bambini Quando eravamo molto giovani e Now we are six. Molte di queste poesi avevano come protagonista il figlio di Milne, Christopher Robin, che diverrà poi famoso come personaggio delle avventure di Winnie Pooh, sempre create da Milne. Molti autori provarono a immedesimarsi nelle figure di bambini da loro conosciuti e cercavano di ricreare nelle loro poesie un mondo osservato dal punto di vista dei fanciulli. Robert Louis Stevenson, oltre ai romanzi di avventura, scrisse anche una celebre raccolta nel 1885 A Child's Garden of Verses. In Italia un maestro di questo stile fu negli anni cinquanta e sessanta del XX secolo lo scrittore Gianni Rodari. Egli diffuse un nuovo canone di poesia per l’infanzia, basato sul piacere dello sperimentalismo linguistico, sulla cura estetica e sull’impegno sociale, dando valore alla dimensione ludica, giocosa e formativa. Negli anni Ottanta e Novanta, in Italia, si distingue la figura di Roberto Piumini, il quale compie una scelta non didattica o educativa, ma formale ed estetica. Sia Rodari che Piumini desideravano con la loro poesia “dare la parola” ai bambini, ma in due sensi diversi: per Rodari dare la parola significava dare voce ai bambini, permettere loro di esprimersi; per Piumini la parola diventava nutrimento fondamentale, incarnato nell’esperienza artistica da fare vivere ai più giovani attraverso la poesia. Le opere poetiche più ricche di Roberto Piumini sono: C’era un bambino profumato di latte, Io mi ricordo, Non piangere, cipolla e Sole, scherzavo. Nel panorama contemporaneo si distingue la poesia di Bruno Tognolini, autore attento alla forma e all’equilibrio tra suono e senso, incarnato nell’uso sapiente delle rime. Opere importanti di questo autore sono: Rima rimani, Tiritere e Mammalingua. Ventuno filastrocche per neonati e per la voce delle mamme, opera ispirata alle tiritere, alle prime lallazioni e alle ninnenanne, che fa emergere un linguaggio speciale, ispirato al linguaggio materno, che mette in connessione intima la madre con il figlio.
Albi illustrati
Un albo illustrato è un libro che racconta storie semplici o complesse con una combinazione di poche parole e molte figure. in un albo illustrato, la storia è narrata prevalentemente attraverso le immagini, con un testo che fa da corredo alla trama. Gli albi illustrati possono essere letti anche dai bambini in età prescolare, che seguono la storia attraverso le immagini, così come da bambini in età scolare, ragazzi e adulti. Quello degli albi illustrati può essere considerato un vero e proprio genere letterario, con autori specializzati e premi dedicati, come il Premio Hans Christian Andersen o il Premio Compostela.
Fiabe, miti e leggende
La letteratura popolare delle fiabe e delle favole risale alla preistoria e venne trasmessa, almeno fino al XVIII secolo, prettamente in forma orale. Sebbene molti di questi racconti non furono creati direttamente per i ragazzi, essi, sono molto adatti a un pubblico infantile per lo stile semplice in cui sono narrati e le situazioni fantastiche presentate. Negli ultimi anni molti di questi racconti come i miti antichi sono stati accostati all'insegnamento scolastico tradizionale per spiegare ai bambini come le popolazioni dei secoli passati vedevano il mondo e cercavano di spiegare fenomeni naturali a loro misteriosi come il fuoco, i fulmini, le tempeste e i venti. Molte di queste leggende inoltre sono preziosi strumenti storici per studiare, oltre alle credenze e alle superstizioni, i valori etici e morali del popolo che le ha prodotte. Sebbene non propriamente per ragazzi, sono spesso considerate tali anche le favole di Esopo e Fedro dal forte contenuto didattico e moralista.
Secondo una definizione ormai accettata si suole definire la fiaba come un racconto fantastico in cui interagiscono personaggi umani, animali e comprimari dotati di poteri magici come maghi, streghe, fate; la favola è invece una breve storia, con protagonisti solitamente degli animali che pensano e si comportano come gli uomini, che ha in sé una morale o un insegnamento finale. La leggenda e il mito sono dei racconti fantastici utilizzati per spiegare un fatto o un evento misterioso altrimenti inspiegabili.
La fiaba e il desiderio del fiabesco si legano al desiderio e al piacere umano della narrazione, al bisogno del meraviglioso e del fantastico, proprio di ogni uomo, donna o bambino. Questo fa della fiaba un racconto intramontabile e immortale, radicato nel passato e destinano a persistere nel futuro, perché insito nella natura umana. La fiaba è il luogo del possibile e delle ipotesi, delle risposte alle domande dell’esistenza, luogo dove si possono vivere più vite. Tramite la fiaba si può dire l’indicibile, comprendere il bene e il male del mondo e degli uomini. I temi e i motivi principali che si riscontrano nella fiaba sono il viaggio, incarnato nel percorso di formazione, cammino di crescita e maturazione; il bosco, passaggio verso l’Altrove, territorio sconosciuto, che porta allo smarrimento e al rischio; la presenza della magia e di personaggi, spesso protagonisti fragili, comuni, coraggiosi e resilienti, che compiono il loro viaggio iniziatico alla ricerca della propria identità, andando incontro al lieto fine.
Le raccolte di fiabe sono numerosissime e sono solitamente definite o per Paese o per gli autori che le catalogarono come i fratelli Grimm in Germania, Italo Calvino in Italia, Aleksandr Nikolaevič Afanas'ev in Russia. Una delle prime raccolte di racconti è l'orientale Mille e una notti, tradotte in francese da Antoine Galland nel 1704. Tuttavia non mancano autori che crearono proprie storie basandosi su racconti popolari: il più famoso di questi è Hans Christian Andersen, danese, autore di fiabe come Il brutto anatroccolo, La sirenetta o Pollicina.
Le favole furono un genere molto popolare nell'antichità, con autori come il greco Esopo o il latino Fedro. Fu ripreso con successo dal francese Jean de La Fontaine nel XVII secolo. I miti antichi e le leggende sono oggi presentati in numerose raccolte tematiche. Il genere epico vanta un discreto successo presso il pubblico infantile più maturo come i due poemi omerici o il ciclo arturiano.
Romanzi
Il romanzo occupa una vasta categoria della letteratura per ragazzi. Tale categoria può essere ulteriormente suddivisa in sottocategorie a seconda del genere delle storie. Esiste così il romanzo fantastico, uno dei generi più famosi, che narra storie ambientate in luoghi immaginari, popolati da personaggi fantasiosi e magici, con molte influenze dalle fiabe e dai racconti popolari classici. Tre esempi celebri di questo genere sono il capolavoro britannico Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie (1865) di Lewis Carroll, il bestseller americano Il meraviglioso mago di Oz (1900) di L. Frank Baum, e il successo relativamente recente La storia infinita (1979) del tedesco Michael Ende. Un altro genere molto affermato nella letteratura infantile è il romanzo avventuroso che ha come suoi autori principali lo scozzese Robert Louis Stevenson, il francese Jules Verne e l'italiano Emilio Salgari. Molto apprezzati sono anche i romanzi con protagonisti animali come Il libro della giungla di Rudyard Kipling, Il vento tra i salici di Kenneth Grahame, La collina dei conigli di Richard Adams, o Winnie Pooh di A. A. Milne. Popolarissimo è il genere giallo e investigativo, dal capostipite Sir Arthtur Conan Doyle, creatore di Sherlock Holmes, fino al moderno successo delle indagini del topo antropomorfo Geronimo Stilton, creato da Elisabetta Dami, passando per le investigazioni di Hercule Poirot e Miss Marple, creati da Agatha Christie.
È anche possibile proporre una serie di specializzazioni locali nella letteratura per ragazzi, pur in presenza di numerose eccezioni: gli autori statunitensi, per esempio, hanno tradizionalmente preferito racconti dal forte sapore morale e didattico, come nel caso di Louisa May Alcott o dell'americana di adozione Frances Hodgson Burnett. Nel Regno Unito e nei paesi nordici si sono spesso privilegiati forti elementi fantastici, folclorici e favolistici, come fanno, tra gli altri, James Matthew Barrie, Clive Staples Lewis, Hans Christian Andersen e, più recentemente, J. K. Rowling. L'avventura sembra prevalere nei paesi latini, con autori come Jules Verne in Francia e Emilio Salgari in Italia. La vena umoristica, invece, è geograficamente trasversale, se si considerano maestri come l'inglese Lewis Carroll, gli italiani Carlo Collodi, Dino Buzzati e Luigi Bertelli detto Vamba, il francese Charles Perrault, la svedese Astrid Lindgren e gli statunitensi Mark Twain e Lyman Frank Baum. Anche il tono patetico è universalmente diffuso, sebbene in netto calo a partire dalla seconda metà del XX secolo, ma molto diffuso nel secolo precedente, come ancora testimoniano i libri di Edmondo De Amicis in Italia, Hector Malot in Francia e Ferenc Molnár in Ungheria.
Opere divulgative
La divulgazione per ragazzi è da molto tempo ormai considerata un genere letterario. Esso include saggi su svariati argomenti storici, scientifici, tecnologici o sociali ma anche biografie di personaggi famosi o racconti di epoche o guerre particolarmente importanti. Nella prima metà del secolo scorso molti regimi totalitari sfruttarono il genere divulgativo per inculcare alle giovani generazioni il culto della patria e del combattimento; un esempio di ciò è il volume Guerra e Fascismo spiegato ai ragazzi di Leo Pollini. Negli Stati Uniti la divulgazione per ragazzi ha subito una grande crescita soprattutto dagli anni quaranta, con le prime pubblicazioni in merito. Molto successo hanno riscosso le enciclopedie per bambini, come l'italiana I Quindici, traduzione ampliata di un'opera inglese: Childcraft.
Dalla seconda metà del XX secolo il settore si è ulteriormente sviluppato, abbracciando tematiche come l'educazione sessuale o il problema dell'uso di sostanze stupefacenti, fino ad allora considerate tabù nella letteratura infantile. Recentemente l'attenzione è stata posta sempre più sul gravoso problema dell'inquinamento atmosferico e del riscaldamento globale. Il genere divulgativo ha poi preso un taglio umoristico, come dimostrano le moderne collane di titoli divulgativi come le Brutte Scienze di Nick Arnold o le Brutte Storie di Terry Deary. Molti grandi studiosi come lo storico neozelandese Ronald Syme o l'astrofisica italiana Margherita Hack o il matematico inglese Stephen Hawking si sono dedicati con successo alla divulgazione per ragazzi.
La traduzione della letteratura per ragazzi
Quando si parla di letteratura per l'infanzia e l'adolescenza, è fondamentale sottolineare il rapporto che essa ha avuto e ha con la traduzione. Le opere per l'infanzia e l'adolescenza tradotte, infatti, rappresentano i primi libri con cui vengono a contatto i bambini. La traduzione permette dunque a bambini provenienti da ogni parte del mondo di accostarsi a culture differenti dal proprio contesto nazionale.
La traduzione di tale tipo di letteratura come ambito traduttologico ha assunto valore solo recentemente, nonostante da tempo si fosse constatata la complessità di tale tipo di traduzione. Soltanto negli ultimi trent'anni ci sono stati degli studi specifici relativi alla traduzione di libri per l'infanzia e l'adolescenza. I primi studi su tale tipo di letteratura in traduzione, che risalgono agli anni sessanta, riflettono una credenza tipica dell'immediato dopoguerra, secondo cui un futuro pacifico avrebbe potuto essere garantito da una corretta educazione delle giovani generazioni. Poiché le traduzioni trascendono i confini tra le culture, esse erano viste come un modo per fare progredire la comprensione internazionale. Già Paul Hazard, con la sua opera del 1932 Les livres, les enfants et les hommes, riteneva che tale tipo di letteratura avrebbe favorito la comprensione a livello internazionale. Egli considerava ogni libro per bambini tradotto come un messaggero che va oltre le montagne e i fiumi, oltre i mari, fino ai confini del mondo alla ricerca di nuove amicizie. Anche Jella Lepman nella sua opera autobiografica A bridge of Children's Books del 1969 ha fatto emergere gli stessi aspetti positivi di tale tipo di letteratura e ha portato nel periodo della riconciliazione successiva alla seconda guerra mondiale alla nascita di IBBY, un'organizzazione senza scopo di lucro creata in Svizzera nel 1953 per facilitare l'incontro tra libri, bambini e ragazzi.
I primi studi relativi alla traduzione della letteratura per l'infanzia e l'adolescenza emergono negli anni sessanta e settanta e sono di tipo prescrittivo, ovvero si occupano del come si debba tradurre, comparatista e straniante. Negli anni ottanta si assiste alla pubblicazione di due importanti monografie: Children’s Books in Translation: The Situation and the Problems di Göte Klingberg e Poetics of Children’s Literature di Zohar Shavit. La prima opera si è occupata della traduzione dei riferimenti culturali e ha proposto di mantenere la culturalità del testo source. La seconda, invece, si è occupata di indagare la manipolazione che veniva fatta sulle opere rivolte a bambini e ragazzi sulla base di pregiudizi relativi a cosa fosse giusto insegnare a un bambino nella cultura di arrivo, e sulla base dell'idea che il bambino avesse delle abilità di comprensione inferiori.
Con il Cultural turn degli anni ottanta, ci si rende conto che quando si traduce un testo lo si deve tradurre tenendo conto del contesto culturale ed emerge quindi come tali considerazioni possano andare a interessare anche la letteratura per l'infanzia e l'adolescenza. Alcuni critici hanno potuto constatare come proprio gli elementi culturali, i quali permettevano ai bambini di venire a contatto con culture differenti, siano stati soggetti a interventi, poiché si credeva che i bambini non fossero in grado di capirli, o che i bambini avrebbero imparato cose sbagliate. Negli anni novanta vengono pubblicati studi come quelli di O’Sullivan, Riita Oittinen e Tiina Puurtinen. A segnare un cambiamento nello studio delle opere per l'infanzia e l'adolescenza sono stati sicuramente due contributi: Translating for Children di Riitta Oittinen e Comparative Children’s Literature di O’Sullivan. Con la monografia di Oittinen si assiste a un passaggio da un paradigma prescrittivo a uno addomesticante e funzionalista basato sulla Skopos-Theorie di Katharina Reiss e Hans Vermeer. Ciò significa che il testo va tradotto prendendo in considerazione la situazione e lo scopo di arrivo. L’adattamento delle opere può essere quindi possibile, ma è auspicabile rimanendo leale nei confronti del lettore bambino o adolescente. La monografia di ‘O Sullivan si occupa invece di sondare la presenza di adattamenti come il risultato della voce del traduttore che può farsi sentire oppure no.
A livello internazionale la traduzione della letteratura per l'infanzia e l'adolescenza ha assunto rilievo grazie alla diffusione negli ultimi anni di riviste, ricerche e convegni che la mettono al centro. Numerose sono state le riviste che sono state create riguardanti la letteratura per l'infanzia e l'adolescenza e che, pur non concentrandosi sulla traduzione, trattano vari aspetti del processo traduttivo. Alcune di queste riviste sono: The Journal of Children’s Literature Studies, Bookbird: A Journal of International Children’s Literature, la quale è legata a IBBY, Routledge Children’s Literature and Culture Series e Children’s Literature in Education, così come la rivista di IRSCLInternational Research in Children's Literature (IRCL). Della traduzione della letteratura per l'infanzia e l'adolescenza si sono occupati anche alcuni numeri di riviste traduttologiche come Meta, Palimpsestes e Équivalences. A testimoniare l'importanza che ha assunto la traduzione di libri per l'infanzia e l'adolescenza sono stati anche i convegni organizzati sul tema. I più importanti sono stati: II Congreso Internacional de Traducción, Literatura Infantil-Juvenil y Didáctica tenutosi a Las Palmas nel 2003 e nel 2005, un convegno a Bruxelles nel 2004, Scrivere e tradurre per l’infanzia:voci, immagini e parole del 2006 a Forlì, così come altri due convegni tenuti nella stessa città romagnola nel 2013 e nel 2017. A questi si aggiungono altre conferenze: a Parigi nel 2007, a Rouen nel 2013, a Bruxelles/Anversa nel 2017. Nella Bologna Children’s Book Fair, la Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna, inoltre, è nato il Centro Traduttori/Translators Café, luogo d'incontro di traduttori, studiosi di traduttologia ed editori, che ha portato anche alla creazione del premio In altre parole, concorso dedicato alla traduzione di opere letterarie per l’infanzia e l’adolescenza. Negli ultimi anni, figura importante negli studi di Letteratura per l'infanzia è stata Angela Articoni, scrittrice di numerosi saggi e autrice di La sua barba non è poi così blu... Immaginario collettivo e violenza misogina nella fiaba di Perrault (2014, tradotto in spagnolo Su barba no era tan azul), libro vincitore del primo premio internazionale CIRSE 2015, assegnato dal Centro Italiano per la Ricerca Storico Educativa il 26 febbraio 2016 a Bologna, e di Arte bambina (2017).
Autori e opere
Classici del genere avventura
Richard Adams
La collina dei conigli
Louisa May Alcott
Piccole donne
Piccole donne crescono
Piccoli uomini
I ragazzi di Jo
Una ragazza fuori moda
Hans Christian Andersen
Fiabe
James Matthew Barrie
Peter Pan nei Giardini di Kensington
Peter e Wendy
Lyman Frank Baum
Il meraviglioso mago di Oz
Frances Hodgson Burnett
Il piccolo Lord
Il giardino segreto
La piccola principessa
Dino Buzzati
La famosa invasione degli orsi in Sicilia
Lewis Carroll
Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie
Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò
Carlo Collodi
Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino
James Oliver Curwood
The Grizzly King
Roald Dahl
James e la pesca gigante
La fabbrica di cioccolato
Matilda
Il GGG (il Grande Gigante Gentile)
Il grande Ascensore di cristallo
Le streghe
Daudet - Tartarino
Edmondo De Amicis
Cuore
Michael Ende
La storia infinita
Momo
Il segreto di Lena e altri racconti
Francis J. Finn
Tom Playfair
Kenneth Grahame
Il vento tra i salici
Fratelli Grimm
Le fiabe del focolare
Heinrich Hoffmann
Pierino Porcospino
William Henry Giles Kingston
Peter the Whaler
Rudyard Kipling
Il libro della giungla
Kim
Capitani coraggiosi (romanzo)
Storie proprio così
Clive Staples Lewis
Le cronache di Narnia
Astrid Lindgren
Pippi Calzelunghe
Selma Lagerlöf
Il viaggio meraviglioso di Nils Holgersson
Jack London
Zanna Bianca
Il richiamo della foresta
Hector Malot
Senza famiglia
Herman Melville
Moby Dick
Alan Alexander Milne
Winnie Puh
Altri libri di Winnie the Pooh
Ferenc Molnár
I ragazzi della via Pál
Charles Perrault
I racconti di Mamma Oca
Gianni Rodari
Emilio Salgari
I misteri della jungla nera (1895)
Le tigri di Mompracem (1900)
I pirati della Malesia (1896)
Le due tigri (1904)
Il Re del Mare (1906)
Alla conquista di un impero (1907)
La rivincita di Yanez (1913)
Il Corsaro Nero (1898)
La regina dei Caraibi (1901)
Jolanda, la figlia del Corsaro Nero (1905)
Il figlio del Corsaro Rosso (1908)
Gli ultimi filibustieri (1908)
Richard Scarry
Lemony Snicket
Una serie di sfortunati eventi
Johanna Spyri
Heidi
Robert Louis Stevenson
La freccia nera
L'isola del tesoro
Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde
Mark Twain
Il principe e il povero
Le avventure di Tom Sawyer
Le avventure di Huckleberry Finn
Vamba
Il giornalino di Gian Burrasca
Jules Verne
Il giro del mondo in 80 giorni
Ventimila leghe sotto i mari
Viaggio al centro della Terra
Tutta la serie dei Viaggi straordinari
Michele Strogoff
Elwyn Brooks White
Le avventure di Stuart Little
Charles Dickens
La piccola Dorrit
Daniel Defoe
Robinson Crusoe
Erica Lillegg
Vevi
Zolfanello
Altre opere
Giovanni Boccaccio
Decameron
Autori vari
Le mille e una notte
Heinrich Hoffmann
Der Struwwelpeter
Giulio Cesare Croce e Adriano Banchieri
Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno
Eleanor H. Porter
Pollyanna
Pollyanna cresce
Emilio Salgari
La favorita del Mahdi
Rudyard Kipling
Il libro della giungla
Il secondo libro della giungla
T. H. White
La spada nella roccia
Alexandre Dumas
I tre moschettieri
Vent'anni dopo
Il visconte di Bragelonne
Lucy Maud Montgomery
Anna dai capelli rossi (romanzo)
Annie M. G. Schmidt
Jip e Janneke
Jean de Brunhoff
Babar
Judith Kerr
Quando Hitler rubò il coniglio rosa
Autori e opere contemporanee
Christian Antonini
Fuorigioco a Berlino
Henriette Bichonnier
Il mostro peloso
Camilla e la matita magica
Eoin Colfer
Artemis Fowl
Brian Jacques
il ciclo di Redwall
Erich Kästner
Emilio e i detectives
Carlottina e Carlottina
Alberto Manzi
Orzowei
Ewn Garabandal
Feha Gìbuss e il Libro della Profezia
Walter Moers
Le 13 vite e mezzo del capitano Orso Blu
Ensel e Krete
Christine Nöstlinger
Il bambino sottovuoto
Christopher Paolini
Ciclo dell'Eredità
Bianca Pitzorno
Sette Robinson su un'isola matta
Clorofilla dal cielo blu
L'amazzone di Alessandro Magno
L'incredibile storia di Lavinia
La bambola dell'alchimista
Parlare a vanvera
Ascolta il mio cuore
Polissena del Porcello
Diana, Cupìdo e il Commendatore
La voce segreta
Tornatrás
La bambinaia francese
Il nonno selvaggio
Violante & Laurentina
J. K. Rowling
La serie di Harry Potter
Anna Russo
Pao alla conquista del mondo
La bambina Babilonia
Caro Hamid, fratello lontano
Ibrahim, il bambino del campo
Chuang Tse e il primo imperatore
Il baffo del dittatore
Robert Lawrence Stine
La serie di Piccoli brividi
Geronimo Stilton
La serie delle Storie da Ridere
Silvana Gandolfi
Lia Levi
Elisa Puricelli Guerra
Moony Witcher
La bambina della Sesta Luna
Silvana De Mari
La bestia e la bella
L'ultimo elfo
Markus Zusak
Storia di una ladra di libri
Io sono il messaggero
Antoine de Saint-Exupéry
Il piccolo principe
Italo Calvino
I nostri antenati
Marcovaldo
Le cosmicomiche
Se una notte d'inverno un viaggiatore
Dino Buzzati
Il deserto dei Tartari
Note
Bibliografia
Voci correlate
Young Adult (genere letterario)
Altri progetti
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2560 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua%20scots | Lingua scots | La lingua scots o scozzese (scots leid; ) è una lingua germanica occidentale in uso in Scozia e nell'Ulster. Parte del ramo delle lingue anglo-frisoni, è strettamente affine all'inglese. Viene anche definito Lowland Scots in contrapposizione al gaelico scozzese che è invece un idioma celtico, limitato storicamente alle Highlands, alle Ebridi e al Galloway, ovverosia alla parte nord-occidentale della Scozia. In italiano questa lingua può essere designata come “scozzese” o "scoto".
Per la consistenza del gruppo di locutori, e per la sua marcata caratterizzazione, lo scots viene considerato lingua a sé, distinta sia dalla lingua inglese sia dalla sua variante scozzese parlata in Scozia, sebbene la strutturazione di fondo ne sia la medesima e la capacità di comunicazione tra i parlanti delle due lingue sia più che sufficiente, derivando entrambi dall'antica lingua anglosassone (Old English).
Lo scozzese trae infatti origine dalla lingua germanica degli Angli che abitavano a nord del fiume Humber, con influssi provenienti dall'inglese moderno. In effetti ha molti punti di contatto con il dialetto dell'Inghilterra settentrionale, con cui in passato condivideva una certa area di transizione. Al contrario, presenta caratteristiche che lo differenziano in modo molto marcato dai dialetti inglesi meridionali e di conseguenza dall'inglese standard.
Storia
L'inglese antico (Old English), o lingua anglosassone, era già diffuso nella Scozia sud-orientale nel VII secolo, essendo la regione parte del regno anglosassone di Northumbria. L'anglosassone in Scozia rimase confinato a questa regione fino al XIII secolo, rimanendo la lingua di uso comune, mentre il gaelico era la lingua della Corte Scozzese. La variante della lingua inglese media parlata nel sud-est della Scozia, anche conosciuta come scots antico, cominciò a divergere da quello della Northumbria nel XII e nel XIII secolo. Altre influenze sullo sviluppo dello scots furono da lingue romanze come il latino, utilizzato in ambito ecclesiastico e legale, il francese diffusosi grazie alla Auld Alliance e l'olandese grazie al commercio e all'immigrazione proveniente dai Paesi Bassi. Lo scots include anche numerosissimi prestiti linguistici celtici grazie al contatto con il gaelico. Antichi documenti legali medievali includono termini giuridici e amministrativi di origine gaelica; al giorno d'oggi le principali parole designanti particolari caratteristiche geografiche e culturali scozzesi, come ceilidh, loch, glen e clan, sono di origine celtica.
Dal XIII secolo lo scots antico si diffonde ulteriormente in Scozia tramite i Burghs, istituzioni urbane stabilite per la prima volta da re Davide I di Scozia. L'aumento del prestigio dello scots antico nel XIV secolo, e il declino del francese in Scozia, rese lo scots la lingua di prestigio della maggior parte della Scozia meridionale e orientale. Dal XVI secolo lo scots medio aveva stabilito delle regole ortografiche e norme letterarie indipendenti da quelle che si stavano sviluppando in Inghilterra con la lingua inglese, ed era diventata la lingua letteraria della Scozia. Dal 1610 al 1690, durante la colonizzazione dell'Ulster, una grande quantità di parlanti di scots – circa – si stabilì nel nord dell'Irlanda, dando origine al dialetto scozzese dell'Ulster. Il termine scots moderno è utilizzato per descrivere la lingua dopo il 1700, quando, a causa dell'unione politica della Scozia con l'Inghilterra, l'inglese moderno fu adottato come lingua ufficiale e letteraria della nazione, e lo scots si ridusse a vernacolo, ossia a lingua di uso pressoché dialettale.
Dialetti
Lo scozzese si suddivide in almeno cinque dialetti:
Scots del nord, parlato a nord di Dundee, spesso suddiviso a sua volta in North Northern, Mid Northern (conosciuto anche come Scots del nord-est o dialetto dorico) e South Northern, e nella contea di Caithness.
Scots centrale, parlato da Fife e Perthshire a Lothian e Wigtownshire; spesso suddiviso in Scots centrale del nord-est, Scots centrale del sud-est, Scots centrale dell'ovest e Scots centrale del sud-ovest.
Scots del sud o semplicemente lingua di confine o dialetto di confine, parlato nelle aree di confine con l'Inghilterra.
Scots insulare, parlato nelle isole Orcadi e Shetland.
Ulster Scots, parlato da discendenti di immigrati scozzesi in Irlanda del Nord e a County Donegal nella Repubblica irlandese; qualche volta viene indicato con il neologismo Ullans, una contrazione di Ulster e Lallans (un sinonimo di Lowlands). Comunque in un recente articolo Caroline Macafee, autrice del The Concise Ulster Dictionary, ha dichiarato che l'Ulster Scots è "chiaramente un dialetto dello Scots centrale".
Particolarità linguistiche e ortografiche
Il suono [x], scomparso in inglese, è reso con ch (loch [lox], lago, mare).
Il suono [ʍ] è reso quh (quhyte, white).
La [a:] dell'AI è rimasta immutata (è diventata [o:] in inglese) (laird, lord).
La lunghezza di una vocale è indicata da una i o da una y (heid, head; laird, lord).
k corrisponde all'inglese ch (breeks, breeches; kirk, church).
Le vocali non sono alterate da r seguente (bird [bird], word [ward]).
Il suono [y] è scritto ui (Guid mornin, buon giorno).
Sono numerose le differenze lessicali (bonnie, beautiful; how are you keepin?, come stai?; the back of nine, poco dopo le nove, etc.).
Come esempio di scozzese, ecco una celebre poesia di Robert Burns:
O ye, wha are sae guid yoursel,
Sae pious and sae holy,
Ye've nought to do but mark and tell
Your neebours' fauts and folly!
Whose life is like a weel-gaun mill,
Supplied wi store o water;
The heapet happer's ebbing still.
An' still the clap plays clatter!
Wha, who; sae, so; guid, good; whase, whose; weel-gaun, well going; heapet happer, heaped hopper.
Note
Voci correlate
Lingua norn
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Scots
Scots
Cultura della Scozia |
2566 | https://it.wikipedia.org/wiki/Le | Le |
Codici
LE – codice FIPS 10-4 del Libano
LE – codice ISO 3166-2:AL del distretto di Alessio (Albania)
LE – codice ISO 3166-2:ES della provincia di Léon (Spagna)
LE – codice ISO 3166-2:GN di Lélouma (Guinea)
LE – codice ISO 3166-2:IT della provincia di Lecce (Italia)
LE – codice ISO 3166-2:LV del distretto di Liepāja (Lettonia)
Fisica
Le – numero di Lewis
Informatica
LE – abbreviazione di Linear Executable, formato di file eseguibile a 32 bit studiato da Microsoft e da IBM per i driver software dei sistemi operativi Microsoft Windows (da Windows 95 in poi) e OS/2
Persone
Lê
Cung Lê (1972) – ex lottatore di arti marziali miste, ex lottatore di sanda e attore vietnamita naturalizzato statunitense
Lê Công Vinh (1985) – ex calciatore vietnamita
Lê Duẩn (1907-1986) – politico e rivoluzionario vietnamita
Lê Đức Thọ (1911-1990) – rivoluzionario, militare, politico e diplomatico vietnamita
Lê Huỳnh Đức (1972) – allenatore di calcio ed ex calciatore vietnamita
Lê Lợi (1385-1433) – imperatore e generale vietnamita
Lê Quang Liêm (1991) – scacchista vietnamita
Lê Sáng (1920-2010) – artista marziale vietnamita
Lê Tú Chinh (1997) – velocista vietnamita
Altro
LE – targa automobilistica di Leoben (Austria)
LE – Targa automobilistica di Lecce (Puglia)
Le – articolo determinativo femminile plurale
Lê – nome di tre dinastie reali del Vietnam
Prima dinastia Lê (980-1009)
Seconda dinastia Lê (1428-1527)
Terza dinastia Lê (1533-1788)
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2572 | https://it.wikipedia.org/wiki/Adolphe%20Quetelet | Adolphe Quetelet |
Biografia
Ha notevolmente influenzato la propria scienza ed è stato considerato ancora in vita "il primo a far sì che la statistica divenisse una scienza morale".
Pur volendo diventare poeta, la morte del padre (avvenuta quando Quetelet ha 7 anni) fa precipitare la condizione economica familiare, spingendolo a insegnare matematica.
Nel 1823, con l'idea di fondare un osservatorio, si reca a Parigi per studiare astronomia.
In tale occasione, incontra Fourier, Poisson e Laplace, che lo introducono alla statistica.
Durante la rivoluzione belga (1830), si trova in Italia a visitare gli osservatori.
Nel 1832, comincia a lavorare presso l'osservatorio di Bruxelles e viene incaricato di seguire le riunioni dell'Associazione britannica sul progresso delle scienze. In tale occasione fa delle relazioni sulle stelle cadenti e il magnetismo, ma soprattutto - dopo dei colloqui con Malthus e Charles Babbage - propone di creare una sezione speciale di statistica.
Da questa sua proposta nacque nel 1834 la Statistical Society of London, che pubblicherà dal 1837 il periodico Transactions of the Statistical Society of London.
Nel 1834, diventa segretario permanente dell'Accademia reale di scienze, lettere e belle arti del Belgio. Negli anni seguenti si occupa soprattutto di astronomia e climatologia, parallelamente ai suoi interessi in statistica. Poté approfondire le sue conoscenze in materia statistica durante la sua collaborazione alla pubblicazione dei dati del censimento della popolazione svoltosi nel 1829 in Belgio.
Nel 1841, diventa il primo presidente della Commissione centrale di statistica.
Nel 1851, propone un Congresso Internazionale di Statistica, che si svolgerà la prima volta nel 1853 a Bruxelles.
Nel 1855, ha un ictus che l'obbliga a ridurre le sue attività, limitandosi soprattutto a aggiornare i suoi scritti precedenti. Nel 1856, sceglie di lasciare l'osservatorio e si limita alle attività di presidente della commissione centrale di statistica nonché di segretario permanente dell'Accademia reale.
Difende in diversi congressi di statistica l'idea di una statistica scientifica basata sul calcolo delle probabilità, fino a creare nel 1867 (in occasione del congresso tenutosi a Firenze) una sezione speciale per tale problema.
Nel 1869, ristampa La physique sociale (opera del 1835, considerata il suo principale scritto di statistica), nel quale cerca di studiare l'uomo con il calcolo delle probabilità, cercando le meccaniche che regolano il comportamento fisico, intellettuale e morale non dei singoli individui ma di un ipotetico uomo medio.
Nei suoi studi di statistica, Quetelet utilizza tabulati con anche tre, quattro variabili (la cosiddetta analisi multivariata), andando così oltre l'analisi bivariata.
Gli sono stati dedicati l'asteroide 1239 Queteleta e il cratere Quetelet sulla Luna.
I suoi studi hanno influito sul sistema di Émile Durkheim riguardo all'affermazione che i fenomeni sociali hanno una natura non riconducibile ai singoli elementi di cui sono composti, e alcune acquisizioni importanti come la sostanziale invarianza dei tassi di suicidio nel tempo.
Note
Bibliografia
De quibusdam locis geometricis necynon de curva focali (1819), tesi di laurea
Sur l'homme et le développement de ses facultés, ou Essai de physique sociale, 2 volumi (1835)
Histoire des sciences mathématiques et physiques chez les Belges (1864)
Météorologie de la Belgique, comparée à celle du Globe (1867)
La physique sociale (1869) 2ª edizione molto ampliata
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Membri dell'Accademia delle Scienze di Torino |
2573 | https://it.wikipedia.org/wiki/Linguaggio%20di%20programmazione | Linguaggio di programmazione | Un linguaggio di programmazione è un sistema di notazione per la scrittura di programmi per computer. La maggior parte dei linguaggi di programmazione sono linguaggi formali basati su testo, ma possono anche essere grafici. Sono una sorta di linguaggio informatico.
La descrizione di un linguaggio di programmazione è solitamente divisa nelle due componenti della sintassi (forma) e della semantica (significato), che di solito sono definite da un linguaggio formale. Alcuni linguaggi sono definiti da un documento di specifica (ad esempio, il linguaggio di programmazione C è specificato da uno standard ISO) mentre altri linguaggi (come Perl) hanno un'implementazione dominante che viene trattata come riferimento. Alcuni linguaggi hanno entrambi, con il linguaggio di base definito da uno standard e le estensioni prese dall'implementazione dominante che sono comuni.
La teoria dei linguaggi di programmazione è il sottocampo dell'informatica che studia la progettazione, l'implementazione, l'analisi, la caratterizzazione e la classificazione dei linguaggi di programmazione.
Storia
Il primo linguaggio di programmazione della storia è il linguaggio meccanico adoperato da Ada Lovelace per la programmazione della macchina di Charles Babbage, al quale fu seguito il Plankalkül di Konrad Zuse, sviluppato da lui nella Svizzera neutrale durante la seconda guerra mondiale e pubblicato nel 1946. Plankalkül non venne mai realmente usato per programmare. La programmazione dei primi elaboratori veniva fatta invece in short code, da cui poi si è evoluto l'assembly, che costituisce una rappresentazione simbolica del linguaggio macchina. La sola forma di controllo di flusso è l'istruzione di salto condizionato, che porta a scrivere programmi molto difficili da seguire logicamente per via dei continui salti da un punto all'altro del codice.
La maggior parte dei linguaggi di programmazione successivi cercarono di astrarsi da tale livello basilare, dando la possibilità di rappresentare strutture dati e strutture di controllo più generali e più vicine alla maniera (umana) di rappresentare i termini dei problemi per i quali ci si prefigge di scrivere programmi. Tra i primi linguaggi ad alto livello a raggiungere una certa popolarità ci fu il Fortran, creato nel 1957 da John Backus, da cui derivò successivamente il BASIC (1964): oltre al salto condizionato, reso con l'istruzione IF, questa nuova generazione di linguaggi introduce nuove strutture di controllo di flusso come i cicli WHILE e FOR e le istruzioni CASE e SWITCH: in questo modo diminuisce molto il ricorso alle istruzioni di salto (GOTO), cosa che rende il codice più chiaro ed elegante, e quindi di più facile manutenzione.
Dopo la comparsa del Fortran nacquero una serie di altri linguaggi di programmazione storici, che implementarono una serie di idee e paradigmi innovativi: i più importanti sono il Lisp (1959) e l'ALGOL (1960) . Tutti i linguaggi di programmazione oggi esistenti possono essere considerati discendenti da uno o più di questi primi linguaggi, di cui mutuano molti concetti di base; l'ultimo grande progenitore dei linguaggi moderni fu il Simula (1967), che introdusse per primo il concetto (allora appena abbozzato) di oggetto software. Nel 1970 Niklaus Wirth pubblica il Pascal, il primo linguaggio strutturato, a scopo didattico; nel 1972 dal BCPL nascono prima il B (rapidamente dimenticato) e poi il C, che invece fu fin dall'inizio un grande successo. Nello stesso anno compare anche il Prolog, finora il principale esempio di linguaggio logico, che pur non essendo di norma utilizzato per lo sviluppo industriale del software (a causa della sua inefficienza) rappresenta una possibilità teorica estremamente affascinante.
Con i primi mini e microcomputer e le ricerche a Palo Alto, nel 1983 vede la luce Smalltalk, il primo linguaggio realmente e completamente ad oggetti, che si ispira al Simula e al Lisp: oltre a essere in uso tutt'oggi in determinati settori, Smalltalk viene ricordato per l'influenza enorme che ha esercitato sulla storia dei linguaggi di programmazione, introducendo il paradigma object-oriented nella sua prima incarnazione matura. Esempi di linguaggi object-oriented odierni sono Eiffel (1986), C++ (che esce nello stesso anno di Eiffel) e successivamente Java, classe 1995.
Descrizione
Concetti fondamentali
Tutti i linguaggi di programmazione esistenti sono definiti da un lessico, una sintassi e una semantica e possiedono:
Istruzione: un comando oppure una regola descrittiva: anche il concetto di istruzione è molto variabile fra i vari linguaggi. A prescindere dal particolare linguaggio però, ogni volta che un'istruzione viene eseguita, lo stato interno del calcolatore (che sia lo stato reale della macchina oppure un ambiente virtuale, teorico, creato dal linguaggio) cambia.
Alcuni concetti sono poi presenti nella gran parte dei linguaggi:
Variabile e costante: un dato o un insieme di dati, noti o ignoti, già memorizzati o da memorizzare; a una variabile corrisponde sempre, da qualche parte, un certo numero (fisso o variabile) di locazioni di memoria che vengono allocate, cioè riservate, per contenere i dati stessi. Molti linguaggi inoltre attribuiscono alle variabili un tipo, con differenti proprietà (stringhe di testo, numeri, liste, atomi ecc.) che può essere assegnato in maniera forte (tipizzazione forte) o in maniera debole (tipizzazione debole). Vi sono linguaggi di programmazione, come unlambda, che invece non utilizzano variabili. Alcuni linguaggi supportano l'uso dei cosiddetti puntatori a variabili.
Espressione: una combinazione di variabili e costanti, unite da operatori; le espressioni sono state introdotte inizialmente per rappresentare le espressioni matematiche, ma in seguito la loro funzionalità si è estesa. Un'espressione viene valutata per produrre un valore, e la sua valutazione può produrre "effetti collaterali" sul sistema e/o sugli oggetti che vi partecipano. Casi particolari di espressione sono le cosiddette espressioni regolari.
Strutture dati, meccanismi che permettono di organizzare e gestire dati complessi.
Strutture di controllo, che permettono di governare il flusso di esecuzione del programma, alterandolo in base al risultato o valutazione di un'espressione (che può ridursi al contenuto di una variabile, o essere anche molto complessa) (cicli iterativi quali ad esempio for, do, while e strutture condizionali quali ad esempio if, switch-case).
Sottoprogramma: un blocco di codice che può essere richiamato da qualsiasi altro punto del programma. In tale ambito quasi tutti linguaggi offrono funzionalità di riuso di codice accorpando cioè sequenze di istruzioni all'interno di funzioni richiamabili secondo necessità all'interno di programmi o all'interno di librerie richiamabili in ogni programma.
Funzionalità di input dati da tastiera e visualizzazione dati in output (stampa a video) attraverso i cosiddetti canali standard (standard input, standard output).
Possibilità di inserire dei commenti sul codice scritto, sintatticamente identificati e delimitati, che ne esplichino le funzionalità a beneficio della leggibilità o intelligibilità.
Codice sorgente
Programmare in un dato linguaggio di programmazione significa generalmente scrivere uno o più semplici file di testo ASCII, chiamato codice sorgente che esprime l'algoritmo del programma tradotto nel linguaggio di programmazione. I font, i colori e in generale l'aspetto grafico sono irrilevanti ai fini della programmazione in sé: per questo i programmatori non usano programmi di videoscrittura, ma degli editor di testo (come emacs e brief) che invece offrono funzioni avanzate di trattamento testi (espressioni regolari, sostituzioni condizionali e ricerche su file multipli, possibilità di richiamare strumenti esterni ecc).
Se un dato editor è in grado di lavorare a stretto contatto con gli altri strumenti di lavoro (compilatore, linker, interprete ecc.: vedi più avanti) allora più che di semplice editor si parla di IDE o ambiente di sviluppo integrato. Va notato che alcuni linguaggi di programmazione recenti consentono anche una forma mista di programmazione, in cui alla stesura di codice sorgente ASCII si associano anche operazioni di programmazione visuale, attraverso le quali il programmatore descrive alcuni aspetti del programma disegnando a video attraverso il mouse; un'applicazione tipica di quest'ultima forma di programmazione è il disegno interattivo della GUI del programma (finestre, menù, e così via). Per essere eseguito dal processore il codice sorgente deve essere tradotto in linguaggio macchina che è il linguaggio in cui opera la macchina a livello fisico, e questo è possibile attraverso due possibili tecniche: la compilazione e l'interpretazione.
Il codice sorgente, contenente le istruzioni da eseguire e (spesso) alcuni dati noti e costanti, può essere poi eseguito passandolo ad un interprete che eseguirà le istruzioni in esso contenute, il che è la prassi normale per i linguaggi di scripting; oppure può venire compilato, cioè tradotto in istruzioni di linguaggio macchina da un programma compilatore: il risultato è un file binario 'eseguibile' (codice eseguibile) che non ha bisogno di altri programmi per andare in esecuzione, ed è anche molto più veloce di un programma interpretato. In passato, la compilazione è stata la norma per tutti i linguaggi di programmazione di uso generale; attualmente vi sono numerosi linguaggi interpretati e di uso generale, come il linguaggio Java o quelli della piattaforma .NET, che applicano un approccio ibrido fra le due soluzioni, utilizzando un compilatore per produrre del codice in un linguaggio intermedio (detto bytecode) che viene successivamente interpretato. La differenza di prestazioni tra i linguaggi interpretati e quelli compilati è stata ridotta con tecniche di compilazione just-in-time, sebbene si continui ad utilizzare i linguaggi compilati (se non addirittura l'assembly) per le applicazioni che richiedono le massime prestazioni possibili.
Compilazione
La compilazione è il processo per cui il programma, scritto in un linguaggio di programmazione ad alto livello, viene tradotto in un codice eseguibile per mezzo di un altro programma detto appunto compilatore. La compilazione offre numerosi vantaggi, primo fra tutti il fatto di ottenere eseguibili velocissimi nella fase di run (esecuzione) adattando vari parametri di questa fase all'hardware a disposizione; ma ha lo svantaggio principale nel fatto che è necessario compilare un eseguibile diverso per ogni sistema operativo o hardware (piattaforma) sul quale si desidera rendere disponibile l'esecuzione ovvero viene a mancare la cosiddetta portabilità.
Interpretazione
Il difetto di questi linguaggi è la lentezza dell'esecuzione; però hanno il pregio di permettere di usare lo stesso programma senza modifica su più piattaforme. Si dice in questo caso che il programma è portabile.
La perdita di prestazioni che è alla base dei linguaggi interpretati è il doppio lavoro che è affidato alla macchina che si accinge ad elaborare tale programma. Al contrario di un programma compilato, infatti, ogni istruzione viene controllata e interpretata ad ogni esecuzione da un interprete. Si usano linguaggi interpretati nella fase di messa a punto di un programma per evitare di effettuare numerose compilazioni o invece quando si vuole creare software che svolgono operazioni non critiche che non necessitano di ottimizzazioni riguardanti velocità o dimensioni, ma che traggono più vantaggio dalla portabilità. I linguaggi di scripting e tutti quelli orientati al Web sono quasi sempre interpretati. PHP, Perl, Tcl/Tk e JavaScript e molti altri sono esempi concreti di interazione non vincolata alla piattaforma.
Ci sono vari tentativi per rendere i compilatori multipiattaforma creando un livello intermedio, una sorta di semi-interpretazione, come nel caso sopra menzionato di Java; d'altro canto per i linguaggi interpretati ci sono tentativi per generare delle compilazioni (o semi-compilazioni) automatiche specifiche per la macchina su cui sono eseguiti. Esistono anche strumenti per automatizzare per quanto possibile la compilazione di uno stesso programma su diverse piattaforme, ad esempio GNU autoconf/automake, che permette di realizzare una distribuzione del codice sorgente che può essere configurata e compilata automaticamente su diverse piattaforme, in genere almeno tutti gli Unix.
Collegamento (linking)
Se il programma, come spesso accade, usa delle librerie, o è composto da più moduli software, questi devono essere 'collegati' tra loro. Lo strumento che effettua questa operazione è detto appunto linker ("collegatore"), e si occupa principalmente di risolvere le interconnessioni tra i diversi moduli. Esistono principalmente due tipi differenti di collegamento: dinamico e statico.
Collegamento statico
Tutti i moduli del programma e le librerie utilizzate vengono incluse nell'eseguibile, che risulta grande, ma contiene tutto quanto necessario per la sua esecuzione. Se si rende necessaria una modifica a una delle librerie, per correggere un errore o un problema di sicurezza, tutti i programmi che le usano con collegamento statico devono essere ricollegati con le nuove versioni delle librerie.
Collegamento dinamico
Le librerie utilizzate sono caricate dal sistema operativo quando necessario (linking dinamico; le librerie esterne sono chiamate "DLL", Dynamic-link libraries nei sistemi Microsoft Windows, mentre "SO" Shared Object nei sistemi Unix-like). L'eseguibile risultante è più compatto, ma dipende dalla presenza delle librerie utilizzate nel sistema operativo per poter essere eseguito. In questo modo, le librerie possono essere aggiornate una sola volta a livello di sistema operativo, senza necessità di ricollegare i programmi. Diventa anche possibile usare diverse versioni della stessa libreria, o usare librerie personalizzate con caratteristiche specifiche per il particolare host. Nella realizzazione di un progetto software complesso, può succedere che alcune parti del programma vengano realizzate come librerie, per comodità di manutenzione o per poterle usare in diversi programmi che fanno parte dello stesso progetto.
La complicazione aggiunta è che quando si installa un programma con collegamento dinamico è necessario verificare la presenza delle librerie che utilizza, ed eventualmente installare anche queste. I sistemi di package management, che si occupano di installare i programmi su un sistema operativo, di solito tengono traccia automaticamente di queste dipendenze. In genere si preferisce il collegamento dinamico, in modo da creare programmi piccoli e in generale ridurre la memoria RAM occupata, assumendo che le librerie necessarie siano già presenti nel sistema, o talvolta distribuendole insieme al programma.
Confronto tra compilazione e interpretazione
Questi due metodi di creazione ed esecuzione di un programma presentano entrambi vantaggi e svantaggi: il maggior vantaggio della compilazione è senz'altro l'efficienza nettamente superiore in termini di prestazioni, al prezzo del restare vincolati a una piattaforma (combinazione di architettura hardware e sistema operativo) particolare; un linguaggio interpretato invece non ha, in linea di massima, questa dipendenza ma è più lento e richiede più memoria in fase di esecuzione.
Bytecode e P-code
Una soluzione intermedia fra compilazione e interpretazione è stata introdotta nelle prime versioni di Pascal (compresa quella realizzata nel 1975 dal suo inventore, Niklaus Wirth) e successivamente adottata nei linguaggi Java e Python, con il bytecode, e nei linguaggi Visual Basic e .NET di Microsoft con il P-code.
In tutti e due questi casi il codice sorgente dei programmi non viene compilato in linguaggio macchina, ma in un codice intermedio "ibrido" destinato a venire interpretato al momento dell'esecuzione del programma: il motivo di questo doppio passaggio è di avere la portabilità dei linguaggi interpretati ma anche, grazie alla pre-compilazione, una fase di interpretazione più semplice e quindi più veloce. Nel caso del bytecode di Java siamo di fronte a un vero linguaggio assembly, che in origine doveva essere implementato in un modello di processore reale, poi mai realizzato; alcuni microprocessori moderni, come gli ARM con Jazelle implementano nativamente molte istruzioni bytecode e sono quindi in grado di eseguire bytecode Java come fosse assembly.
Tuttavia il codice intermedio è più facile sia da interpretare che da compilare: per questo motivo sia per Java che per i linguaggi .NET sono stati sviluppati i compilatori JIT (Just In Time), che al momento del lancio di un programma Java o .NET compilano al volo il codice intermedio e mandano in esecuzione un codice macchina nativo, eliminando completamente la necessità dell'interprete e rendendo i programmi scritti in questi linguaggi veloci quasi quanto i corrispondenti programmi compilati.
Ambienti di sviluppo e di esecuzione
Con ambiente di sviluppo si intendono l'insieme degli strumenti atti allo sviluppo del codice sorgente del programma, mentre con ambiente di esecuzione si intende tipicamente il complesso delle librerie software, detta anche piattaforma software, utilizzate dal programma stesso per poter funzionare correttamente.
Classi di linguaggi
In generale esistono circa 2500 linguaggi di programmazione più o meno noti e diffusi.
Questi in primis vengono classificati, a seconda del livello di astrazione a partire dal linguaggio macchina fin verso il linguaggio logico umano,
in linguaggi a basso livello e ad alto livello (negli anni novanta si distinguevano anche quelli ad altissimo livello). A loro volta i linguaggi possono essere classificati in linguaggi compilati e interpretati come visto sopra. Normalmente i linguaggi vengono poi distinti in tre grandi famiglie basate sul paradigma di programmazione di riferimento: i linguaggi imperativi, quelli funzionali e quelli logici.
Imperativi
Nei linguaggi imperativi l'istruzione è un comando esplicito, che opera su una o più variabili oppure sullo stato interno della macchina, e le istruzioni vengono eseguite in un ordine prestabilito. Scrivere un programma in un linguaggio imperativo significa essenzialmente occuparsi di cosa la macchina deve fare per ottenere il risultato che si vuole, e il programmatore è impegnato nel mettere a punto gli algoritmi necessari a manipolare i dati. Le strutture di controllo assumono la forma di istruzioni di flusso (GOTO, FOR, IF/THEN/ELSE ecc.) e il calcolo procede per iterazione piuttosto che per ricorsione. I valori delle variabili sono spesso assegnati a partire da costanti o da altre variabili (assegnamento) e raramente per passaggio di parametri (istanziazione).
Tipici linguaggi imperativi:
APL
Assembly
ALGOL
B
BASIC
BCPL
C
COBOL
FORTRAN
Forth
Hot soup processor
PL/I
POP
Strutturati
La programmazione strutturata è una tecnica il cui scopo è di limitare la complessità della struttura del controllo dei programmi. Il programmatore è vincolato ad usare solo le strutture di controllo canoniche definite dal Teorema di Böhm-Jacopini, ovvero la sequenza, la selezione e il ciclo, evitando le istruzioni di salto incondizionato.
Ada
Fortran 90/95
Modula-2
Oberon
Pascal
Orientati ad oggetti
La programmazione a oggetti è basata su un'evoluzione del concetto di tipo di dato astratto caratterizzata da incapsulamento, ereditarietà, polimorfismo. Oltre a linguaggi specializzati che implementano completamente i principi di tale metodologia (come Smalltalk o Java), molti linguaggi moderni incorporano alcuni concetti della programmazione a oggetti.
Ada95
Attack
BETA
Clarion
CLOS
C++
C#
D
DataFlex
Delphi
Eiffel
Fortran 2003
Java
Linden Scripting Language
Modula-3
mShell
Objective C
OCaml
OpenGenera
JavaScript
Python
PowerBuilder
REALbasic
REBOL
Ruby
Scala
Scriptol
Simula
Smalltalk
Visual Basic
Visual Basic .NET
Funzionali
I linguaggi funzionali sono basati sul concetto matematico di funzione.
In un linguaggio funzionale puro l'assegnazione esplicita risulta addirittura completamente assente e si utilizza soltanto il passaggio dei parametri. Tipicamente in tale modello il controllo del calcolo è gestito dalla ricorsione e dal pattern matching (l'azione di controllo della presenza di un certo motivo - pattern - all'interno di un oggetto composito), mentre la struttura dati più diffusa è la lista, una sequenza di elementi.
Il più importante esponente di questa categoria è senz'altro il Lisp (LISt Processing).
Clarion
Clean
Clojure
Curry
Haskell
Lisp
Scala
Scheme
Standard ML
Caml
OCaml
C++11
F#
Dichiarativi (o logici)
Nei linguaggi logici l'istruzione è una clausola che descrive una relazione fra i dati: programmare in un linguaggio logico significa descrivere l'insieme delle relazioni esistenti fra i dati e il risultato voluto, e il programmatore è impegnato nello stabilire in che modo i dati devono evolvere durante il calcolo. Non c'è un ordine prestabilito di esecuzione delle varie clausole, ma è compito dell'interprete trovare l'ordine giusto. La struttura di controllo principale è rappresentata dal cut, che è detto rosso se modifica il comportamento del programma o verde se rende solo più efficiente il calcolo, che procede per ricorsione e non per iterazione. Le variabili ricevono il loro valore per istanziazione o da altre variabili già assegnate nella clausola (unificazione) e quasi mai per assegnamento, che è usato solo in caso di calcolo diretto di espressioni numeriche.
Affinché sia possibile usarli in un programma dichiarativo, tutti i normali algoritmi devono essere riformulati in termini ricorsivi e di backtracking; questo rende la programmazione con questi linguaggi un'esperienza del tutto nuova e richiede di assumere un modo di pensare radicalmente diverso, perché più che calcolare un risultato si richiede di dimostrarne il valore esatto. A fronte di queste richieste, i linguaggi dichiarativi consentono di raggiungere risultati eccezionali quando si tratta di manipolare gruppi di enti in relazione fra loro.
Curry
Mercury
Prolog
Linguaggi debolmente o fortemente tipizzati
Un'altra classificazione vuole dal punto di vista dei tipo di dato espresso vuole la suddivisione in linguaggi a tipizzazione forte o a tipizzazione debole.
Linguaggi esoterici
Befunge
Brainfuck
COW
FALSE
HQ9+
HQ9++
INTERCAL
Malbolge
Whitespace
LOLCODE
Linguaggi paralleli
I moderni supercomputer e - ormai - tutti i calcolatori di fascia alta e media sono equipaggiati con più CPU. Come ovvia conseguenza, questo richiede la capacità di sfruttarle; per questo sono stati sviluppati dapprima il multithreading, cioè la capacità di lanciare più parti dello stesso programma contemporaneamente su CPU diverse, e in seguito alcuni linguaggi studiati in modo tale da poter individuare da soli, in fase di compilazione, le parti di codice da lanciare in parallelo.
Occam
Linda
Axum
Linguaggi di scripting
I linguaggi di scripting sono nati come linguaggi batch, per automatizzare compiti lunghi e ripetitivi da eseguire, appunto, in modalità batch.
Invece di digitare uno ad uno i comandi per realizzare un certo compito, essi sono salvati in sequenza in un file, utilizzabile a sua volta come comando composto.
I primi linguaggi di scripting sono stati quelli delle shell Unix; successivamente, vista l'utilità del concetto, molti altri programmi interattivi hanno cominciato a permettere il salvataggio e l'esecuzione di file contenenti liste di comandi, oppure il salvataggio di registrazioni di comandi visuali (le cosiddette macro dei programmi di videoscrittura, per esempio).
Il passo successivo, è stato in molti casi l'estensione dei linguaggi con l'associazione di simboli a valori, cioè l'uso di variabili, con i comandi di gestione del flusso, ovvero i costrutti di salto condizionato, le istruzioni di ciclo o di ricorsione, rendendoli così linguaggi completi.
Recentemente molti programmi nati per scopi ben diversi dalla programmazione offrono agli utenti la possibilità di programmarli in modo autonomo tramite linguaggi di scripting.
La sintassi di molti linguaggi di scripting, come PHP o i dialetti di ECMAScript, è simile a quella del C, mentre altri, come Perl o Python, ne adottano invece una progettata ex novo.
Visto che molto spesso i linguaggi di scripting nascono per l'invocazione di comandi o procedure esterne, altrettanto spesso essi sono interpretati, cioè eseguiti da un altro programma, come il programma madre, del quale il linguaggio di scripting è un'estensione, o un apposito interprete.
AutoIt
Applescript
ActionScript
Game Maker Language (vedi Game Maker)
Hybris
HyperTalk
JavaScript
JScript (Implementazione Microsoft di JavaScript)
mIRC scripting
Lingo
Lua
Perl
PHP
Powershell
Python
QBasic
Rexx
Ruby
Tcl
thinBasic
Visual Basic for Applications (VBA)
VBScript
Altri linguaggi
Altri tipi di linguaggi sono i linguaggi di programmazione ad altissimo livello utilizzato da professionisti e i linguaggi di programmazione visuali che non richiedono particolari conoscenze avanzate in fatto di programmazione.
Valutazione
Non ha senso, in generale, parlare di linguaggi migliori o peggiori, o di linguaggi migliori in assoluto: ogni linguaggio nasce per affrontare una classe di problemi più o meno ampia, in un certo modo e in un certo ambito. Però, dovendo dire se un dato linguaggio sia adatto o no per un certo uso, è necessario valutare le caratteristiche dei vari linguaggi.
Caratteristiche intrinseche
Sono le qualità del linguaggio in sé, determinate dalla sua sintassi e dalla sua architettura interna. Influenzano direttamente il lavoro del programmatore, condizionandolo. Non dipendono né dagli strumenti usati (compilatore/interprete, IDE, linker) né dal sistema operativo o dal tipo di macchina.
Espressività: la facilità e la semplicità con cui si può scrivere un dato algoritmo in un dato linguaggio; può dipendere dal tipo di algoritmo, se il linguaggio in questione è nato per affrontare certe particolari classi di problemi. In generale se un certo linguaggio consente di scrivere algoritmi con poche istruzioni, in modo chiaro e leggibile, la sua espressività è buona.
Didattica: la semplicità del linguaggio e la rapidità con cui lo si può imparare. Il BASIC, per esempio, è un linguaggio facile da imparare: poche regole, una sintassi molto chiara e limiti ben definiti fra quello che è permesso e quello che non lo è. Il Pascal non solo ha i pregi del BASIC ma educa anche il neo-programmatore ad adottare uno stile corretto che evita molti errori e porta a scrivere codice migliore. Al contrario, il C non è un linguaggio didattico perché pur avendo poche regole ha una semantica molto complessa, a volte oscura, che lo rende molto efficiente ed espressivo ma richiede tempo per essere padroneggiata.
Leggibilità: la facilità con cui, leggendo un codice sorgente, si può capire cosa fa e come funziona. La leggibilità dipende non solo dal linguaggio ma anche dallo stile di programmazione di chi ha creato il programma: tuttavia la sintassi di un linguaggio può facilitare o meno il compito. Non è detto che un linguaggio leggibile per un profano lo sia anche per un esperto: in generale le abbreviazioni e la concisione consentono a chi già conosce un linguaggio di concentrarsi meglio sulla logica del codice senza perdere tempo a leggere, mentre per un profano è più leggibile un linguaggio molto prolisso.
A volte, un programma molto complesso e poco leggibile in un dato linguaggio può diventare assolutamente semplice e lineare se riscritto in un linguaggio di classe differente, più adatta.
Robustezza: è la capacità del linguaggio di prevenire, nei limiti del possibile, gli errori di programmazione. Di solito un linguaggio robusto si ottiene adottando un controllo molto stretto sui tipi di dati e una sintassi chiara e molto rigida; la segnalazione e gestione di errori comuni a runtime dovuti a dati che assumono valori imprevisti (overflow, underflow) o eccedono i limiti definiti (indici illegali per vettori o matrici) controllo dei limiti; altri sistemi sono l'implementare un garbage collector, limitando (a prezzo di una certa perdita di efficienza) la creazione autonoma di nuove entità di dati e quindi l'uso dei puntatori, che possono introdurre bug molto difficili da scoprire.
L'esempio più comune di linguaggio robusto è il Pascal, che essendo nato a scopo didattico presuppone sempre che un'irregolarità nel codice sia frutto di un errore del programmatore; mentre l'assembly è l'esempio per antonomasia di linguaggio totalmente libero, in cui niente vincola il programmatore (e se scrive codice pericoloso o errato, non c'è niente che lo avverta).
Modularità: quando un linguaggio facilita la scrittura di parti di programma indipendenti (moduli) viene definito modulare. I moduli semplificano la ricerca e la correzione degli errori, permettendo di isolare rapidamente la parte di programma che mostra il comportamento errato e modificarla senza timore di introdurre conseguenze in altre parti del programma stesso. Questo si ripercuote positivamente sulla manutenibilità del codice; inoltre permette di riutilizzare il codice scritto in passato per nuovi programmi, apportando poche modifiche. In genere la modularità si ottiene con l'uso di sottoprogrammi (subroutine, procedure, funzioni) e con la programmazione ad oggetti.
Flessibilità: la possibilità di adattare il linguaggio, estendendolo con la definizione di nuovi comandi e nuovi operatori. I linguaggi classici come il BASIC, il Pascal e il Fortran non hanno questa capacità, che invece è presente nei linguaggi dichiarativi, in quelli funzionali e nei linguaggi imperativi ad oggetti più recenti come il C++ e Java.
Generalità: la facilità con cui il linguaggio si presta a codificare algoritmi e soluzioni di problemi in campi diversi. Di solito un linguaggio molto generale, per esempio il C, risulta meno espressivo e meno potente in una certa classe di problemi di quanto non sia un linguaggio specializzato in quella particolare nicchia, che in genere è perciò una scelta migliore finché il problema da risolvere non esce da quei confini.
Efficienza: la velocità di esecuzione e l'uso oculato delle risorse del sistema su cui il programma finito gira. In genere i programmi scritti in linguaggi molto astratti tendono ad essere lenti e voraci di risorse, perché lavorano entro un modello che non riflette la reale struttura dell'hardware ma è una cornice concettuale, che deve essere ricreata artificialmente; in compenso facilitano molto la vita del programmatore poiché lo sollevano dalla gestione di numerosi dettagli, accelerando lo sviluppo di nuovi programmi ed eliminando intere classi di errori di programmazione possibili. Viceversa un linguaggio meno astratto ma più vicino alla reale struttura di un computer genererà programmi molto piccoli e veloci ma a costo di uno sviluppo più lungo e difficoltoso.
Coerenza: l'applicazione dei principi base di un linguaggio in modo uniforme in tutte le sue parti. Un linguaggio coerente è un linguaggio facile da prevedere e da imparare, perché una volta appresi i principi base questi sono validi sempre e senza (o con poche) eccezioni.
Caratteristiche esterne
Oltre alle accennate qualità dei linguaggi, possono essere esaminate quelle degli ambienti in cui operano. Un programmatore lavora con strumenti software, la cui qualità e produttività dipende da un insieme di fattori che vanno pesati anch'essi in funzione del tipo di programmi che si intende scrivere.
Diffusione: il numero di programmatori nel mondo che usa il tale linguaggio. Ovviamente più è numerosa la comunità dei programmatori tanto più è facile trovare materiale, aiuto, librerie di funzioni, documentazione, consigli. Inoltre ci sono un maggior numero di software house che producono strumenti di sviluppo per quel linguaggio, e di qualità migliore.
Standardizzazione: un produttore di strumenti di sviluppo sente sempre la tentazione di introdurre delle variazioni sintattiche o delle migliorie più o meno grandi ad un linguaggio, originando un dialetto del linguaggio in questione e fidelizzando così i programmatori al suo prodotto: ma più dialetti esistono, più la comunità di programmatori si frammenta in sottocomunità più piccole e quindi meno utili. Per questo è importante l'esistenza di uno standard per un dato linguaggio che ne garantisca certe caratteristiche, in modo da evitarne la dispersione. Quando si parla di Fortran 77, Fortran 90, C 99 ecc. si intende lo standard sintattico e semantico del tale linguaggio approvato nel tale anno, in genere dall'ANSI o dall'ISO.
Integrabilità: dovendo scrivere programmi di una certa dimensione, è molto facile trovarsi a dover integrare parti di codice precedente scritte in altri linguaggi: se un dato linguaggio di programmazione consente di farlo facilmente, magari attraverso delle procedure standard, questo è decisamente un punto a suo favore. In genere tutti i linguaggi "storici" sono bene integrabili, con l'eccezione di alcuni, come lo Smalltalk, creati più per studio teorico che per il lavoro reale di programmazione.
Portabilità: la possibilità che portando il codice scritto su una certa piattaforma (CPU + architettura + sistema operativo) su un'altra, questo funzioni subito, senza doverlo modificare. A questo scopo è molto importante l'esistenza di uno standard del linguaggio, anche se a volte si può contare su degli standard de facto come il C K&R o il Delphi.
Note
Bibliografia
Maurizio Gabbrielli e Simone Martini, Linguaggi di programmazione: principi e paradigmi, 2a ed, Milano, McGraw-Hill, 2011. ISBN 978-88-386-6573-8.
Ravi Sethi, Linguaggi di programmazione, Bologna, Zanichelli, 1994. ISBN 88-08-09740-4.
Voci correlate
Dialetto (informatica)
Interprete (informatica)
Linguaggio formale
Linguaggio di scripting
Linguaggio di programmazione a basso livello
Linguaggio di programmazione ad alto livello
Linguaggio di programmazione ad altissimo livello
Lista dei linguaggi di programmazione
Programmazione (informatica)
Paradigma di programmazione
Teoria dei linguaggi di programmazione
Altri progetti
Collegamenti esterni
Linguaggio di programmazione
Programmazione |
2575 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lagosanto | Lagosanto | Lagosanto (Làgh in dialetto laghese) è un comune italiano di abitanti della provincia di Ferrara in Emilia-Romagna. Fa parte dell'Unione Delta del Po.
Geografia fisica
Il territorio del comune di Lagosanto si estende nella parte orientale della pianura padana, in corrispondenza delle Valli di Comacchio.
Il centro abitato si trova a 0 m s.l.m., che rende Lagosanto il comune meno alto d'Italia, riferendo l'altitudine all'altezza sul livello del mare della casa comunale. Il punto più basso d'Italia si trova, invece, ad appena 19 km, in località Contane, nel territorio comunale di Jolanda di Savoia.
Clima
Classificazione climatica: zona E, 2268 GR/G
Storia
Il comune nacque nel 1013 dalla concessione di un territorio alla comunità laghese da parte dell'allora potente Abbazia di Pomposa, nel 2013 infatti il comune ha compiuto i suoi mille anni.
Sino agli anni venti del Novecento, anni in cui il regime fascista fece le bonifiche nel basso ferrarese, Lagosanto era circondato per tre quarti dalle valli (Valle Pega, Ponti e Trebba), valli legate indissolubilmente alla vita ed alla storia di Lagosanto: lo dimostra il monumento al fiocinino in piazza Vittorio Veneto, simbolo dell'importante tradizione lagotta legata alla pesca, anche di frodo nelle valli di Comacchio. Dagli anni trenta in poi Lagosanto si è trasformato in un paese a vocazione agricola, come da prevalenza nel basso ferrarese, vocazione palesata nella locale sagra della fragola. Un tempo parte delle valli tra Lagosanto e Comacchio erano lagotti, ma il cosiddetto rogito Giletti stipulato tra delegazione francese napoleonica e Comacchio vendette tutte le valli al comune di Comacchio, che di conseguenza ne divenne l'unico legittimo proprietario. Dopo la caduta di Napoleone I, nel 1814, la comunità lagotta ha intentato una causa nei confronti di Comacchio, da loro accusata di appropriazione indebita e di essere stata trattata con favoritismi da parte dei francesi assetati di denaro. Suddetta causa durò per più di 100 anni e si concluse nel 1927 con un lodo arbitrario nel quale venne data ragione a Comacchio e Lagosanto venne relegata negli angusti confini in cui ancora oggi si ritrova. Questo ha determinato la famosa rivalità che c'è tuttora tra i due paesi.
Società
Evoluzione demografica
5013 abitanti nel 2012
Istituzioni, enti e associazioni
Ospedale del Delta
Dal 2001 è stato inaugurato l'Ospedale del Delta, che è stata la prima struttura sanitaria nel 2004 ad ottenere l'accreditamento istituzionale in Emilia-Romagna per gli standard accertati e verificati ed è compreso tra gli istituti IRCCS. La struttura ha come bacino di utenza tutto il territorio provinciale legato all'area del Delta del Po.
Cultura
Eventi
Nel primo fine settimana di agosto si svolge l'Antica Fiera d'Agosto, che dura solitamente dal venerdì al martedì.
Amministrazione
Di seguito è presentata una tabella relativa alle amministrazioni che si sono succedute in questo comune.
Note
Altri progetti
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2576 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua%20finlandese | Lingua finlandese | La lingua finlandese, o finnica (nome nativo suomen kieli), è una lingua uralica (alla quale appartengono, tra gli altri, l'ungherese, l'estone e le lingue sami) del ramo baltofinnico, parlata dalla maggioranza della popolazione in Finlandia e dall'etnia finlandese al di fuori della Finlandia e, perciò, è una delle due lingue ufficiali della Finlandia (l'altra è lo svedese). Inoltre, in Svezia, sia il finlandese che il meänkieli sono lingue ufficiali minoritarie.
Al 2022, è parlata da 5,7 milioni di parlanti totali, in gran parte madrelingua.
Le peculiarità del finnico possono essere sintetizzate come segue: la grammatica è basata sulla declinazione delle singole parole; la posizione delle parole nella frase è generalmente basata sull'importanza del messaggio informativo di ogni singolo termine; la forma base di costruzione della frase è comunque SVO (soggetto-verbo-oggetto). L'ortografia si basa sull'alfabeto latino derivato da quello svedese, e per la maggior parte ogni grafema corrisponde a un singolo fonema e viceversa. La lunghezza delle vocali e quella delle consonanti sono distinte ed esistono vari dittonghi, sebbene l'armonia vocalica limiti questi.
Il finlandese è una lingua agglutinante, definizione con cui si intende una lingua che ricorre più spesso a suffissi e declinazioni, anziché a preposizioni o posposizioni distinte dal vocabolo base. Ad esempio:
kirja: libro
kirjani: il mio libro
kirjassa: nel libro
kirjassani: nel mio libro
kirjassanikin: anche nel mio libro
Il finnico è parlato da circa 6 milioni di persone. La maggior parte di esse vive in Finlandia (dove il finnico è parlato da circa il 93% della popolazione), ma antiche minoranze di locutori si trovano anche nella Svezia settentrionale (il dialetto finnico parlato in tale zona è chiamato meänkieli, ovvero "la nostra lingua"), in Norvegia (è la lingua del popolo Kven) e in Ingria. Di tale regione fa parte l'attuale Carelia, in cui circa 70.000 persone parlano il dialetto finnico del careliano, e che ha status di lingua ufficiale nella Repubblica russa della Carelia. Gruppi di recente formazione di locutori finnici si trovano in America settentrionale (emigrazione durante il XIX secolo) e in Europa. Il più grande gruppo di locutori finnici al di fuori della Finlandia si trova comunque in Svezia, dal momento che, oltre alla minoranza linguistica del meänkieli, numerosa è la presenza di finlandesi nel sud della Svezia (soprattutto a Göteborg) a causa dell'emigrazione avvenuta durante gli anni sessanta e settanta dello scorso secolo.
Storia della lingua finnica
Il protofinnico, ovvero la forma originaria del finnico, appartenente al gruppo di lingue baltofinniche, era parlato su entrambe le rive del Golfo di Finlandia (ovvero nell'attuale Finlandia meridionale e in Estonia) già nel periodo avanti Cristo. Il protofinnico e le lingue sami possono essere a sua volta riunite in un'unica forma originaria, chiamata finnico primitivo oppure lingua finnosami originaria. Le lingue baltofinniche e le lingue sami hanno incominciato a differenziarsi intorno al 1500-1000 a.C. Tale differenziazione è avvenuta lentamente, poiché i sami residenti nel sud della Finlandia erano assimilati agli antenati finlandesi.
I dialetti baltofinnici della parte settentrionale del Golfo di Finlandia hanno incominciato a dare origine alla lingua finnica solo intorno al 1200, quando il nuovo confine di Novgorod tra Svezia e Russia separò i protolocutori del careliano dai protolocutori dei dialetti finnici orientali. Il finnico scritto si è formato, durante un periodo che va dal XVI al XIX secolo, sulla base del dialetto sudoccidentale della regione dell'attuale Turku, mentre il popolo continuava a parlare i propri dialetti. Anche oggigiorno sono abbastanza marcate le differenze dialettali, sebbene molto lontane dalla differenziazione linguistica presente in Italia.
Prima del 1500, nel periodo del protofinnico, la lingua non era praticamente usata in forma scritta; si sono infatti conservati solo alcuni nomi, parole e frammenti di frase. La nascita ufficiale del finnico avviene infatti con la riforma religiosa del XVI secolo. Grazie al vescovo Mikael Agricola vedono la luce i primi libri stampati in finnico (lAbckiria, ovvero il "libro dell'Abc" nel 1543, e Se Wsi Testamenti, ovvero "Il nuovo testamento", nel 1548). L'ortografia di Agricola era basata sul modello della lingua latina, tedesca e svedese, per cui, ad esempio, la scrittura delle vocali lunghe e la distinzione tra la ä e la e erano contraddittorie. A partire da questi libri, e per i successivi tre secoli, la lingua finnica scritta si è sviluppata e logicizzata, sebbene il suo utilizzo fosse circoscritto, per lo meno fino all'Ottocento, alla cerchia ecclesiastica e dell'insegnamento elementare. In finnico vennero scritti principalmente libri religiosi e importanti testi amministrativi (ad esempio, le ordinanze statali alla popolazione), e la popolazione stessa sapeva generalmente leggere, ma raramente scrivere.
I cambiamenti politici del XIX secolo (il cosiddetto "periodo dell'autonomia", coincidente con il periodo della dominazione russa), e le idee del romanticismo nazionalista portarono a un forte e veloce sviluppo del finnico scritto. Nacque anche un conflitto letterario a causa dell'uso scritto preponderante dei dialetti finnici sudoccidentali a scapito di quelli orientali, che si concluse con un compromesso tale per cui la lingua scritta non doveva rappresentare nessun dialetto in particolare. La terminologia venne rapidamente sviluppata costruendo numerosi neologismi, oppure modificando termini dialettali per altri usi; ad esempio juna (treno) deriva originariamente da jono (fila). Finalmente nel 1863 vide luce il primo decreto sulla lingua, in cui si specificava che la lingua finnica avrebbe assunto ruolo di lingua ufficiale, affiancandosi allo svedese, nel giro dei successivi venti anni. Ciò costrinse anche a incrementare l'istruzione della popolazione; non a caso proprio in quel periodo venne incominciata la pubblicazione regolare di riviste di letteratura non religiosa in finnico.
Il periodo del finnico contemporaneo viene fatto incominciare intorno al 1870, contemporaneamente alla pubblicazione del primo romanzo in lingua, Sette fratelli (Seitsemän veljestä) del maggiore scrittore finlandese Aleksis Kivi. Da allora fino ai giorni nostri la lingua finnica comune non ha più subito repentini cambiamenti, se si eccettua l'introduzione di neologismi. I cambiamenti più evidenti di questi ultimi decenni non sono legati alla lingua comune, bensì al suo uso: oggigiorno infatti è accettato l'uso del finnico parlato anche in contesti ufficiali. Le differenze tra la lingua parlata e quella scritta sono legate principalmente all'uso di termini dialettali; per esempio i pronomi personali "io" e "tu" sono usati nella forma parlata mä e sä anziché in quella scritta minä e sinä, oppure l'uso delle forme passive dei verbi viene preferito all'uso della prima persona plurale dell'indicativo (me mennään, cioè "noi si va" in luogo di me menemme, "noi andiamo").
Evoluzione del lessico
Dopo il periodo del protofinnico, periodo distinto nell'evoluzione della lingua finnica, il lessico si è rinnovato in parte autonomamente — formazione di derivati e agglutinazione di più termini in parole composte — e in parte in forma di prestiti linguistici.
Prestiti linguistici
, mentre i prestiti più comuni vengono, per motivi storici, dallo svedese. Anche termini paneuropei quali aasi (asino), öylätti (ostia), sono giunti in Finlandia con il tramite della lingua svedese.
Influenze della lingua russa sono presenti nei dialetti più orientali, e sono passati nel XIX secolo a uso scritto, parte a causa della loro presenza nel poema epico finnico Kalevala e parte a causa del fatto che la maggior parte dei finlandesi ignorava la loro origine straniera. Alcuni esempi di prestiti dal russo sono leima (timbro), rotu (razza), viesti (messaggio).
Durante la strutturazione della lingua finnica scritta sono stati eliminati neologismi nati in forma orale da prestiti linguistici, e sostituiti con parole derivate da termini finnici. Così da kirja (libro) si è costruito kirjasto (biblioteca) al posto del prestito svedese biblioteekki, puhe (parola, il parlare) → puhelin (telefono) al posto di telefooni, oppi (sapere, conoscenza) → yliopisto (università) al posto di universiteetti, muovata (foggiare, sagomare) → muovi (plastica) al posto di plastiikki.
Molti neologismi sono comunque andati persi, e sostituiti da prestiti stranieri: sätiö → radio, kärkky → bakteeri (batterio), äänikkö → magnetofoni (magnetofono), jalopeura → leijona (leone), paukkumaissi → popcorn, joukkoistuin → sohva (divano).
Oggigiorno i prestiti sono abbastanza evidenti, anche a causa dell'internazionalizzazione di molti termini tecnici e dall'influenza sempre più marcata della lingua inglese. Generalmente i prestiti stranieri nella lingua finnica sono modificati in modo da poter accordarsi con le regole grammaticali (tape → teippi, scotch), oppure traducendoli alla lettera (scheda madre → emolevy).
Dizionari e grammatiche di lingua finnica
La prima grammatica finnica, dal nome latino di Linguae Finnicae brevis institutio risale al 1649 a cura di Aeschillus Petraeus, mentre il primo dizionario, chiamato Suomalaisen Sana – Lugun Coetus, è del 1745 e a cura di Daniel Juslenius, contenente circa 16.000 parole, e anche provvisto di un piccolo elenco di termini svedesi.
I dizionari di finnico più usati oggigiorno sono il Nykysuomen sanakirja (dizionario di finnico corrente) stampato dalla WSOY e giunto nel 2002 alla sua quindicesima edizione (la prima risale alla fine degli anni venti) e il Suomen kielen perussanakirja (dizionario base della lingua finnica), pubblicato dal Kotimaisten kielten tutkimuskeskus (centro di ricerca delle lingue nazionali), sia in formato cartaceo sia elettronico.
Morfologia linguistica
La lingua finnica è scritta con l'alfabeto finlandese, ossia con l'alfabeto latino nella sua forma usata anche in Svezia, ovvero comprendente le lettere speciali ä, ö e å.
I termini della lingua finnica sono divisi nelle seguenti categorie: sostantivi (substantiivit), aggettivi (adjektiivit), pronomi (pronominit), numerali (numeraalit), verbi (verbit) e particelle (partikkelit). Sostantivi e aggettivi non si flettono in base ai generi grammaticali, che in finnico sono inesistenti. Questa lingua non possiede alcun tipo di articolo
I casi
In finnico i sostantivi, gli aggettivi, i pronomi, i numerali e le parti nominali dei verbi vengono declinate, oltre che in base al numero (singolare o plurale), anche in base a 15 casi:
Nominativo: è il caso del soggetto (Kirja on pieni – Il libro è piccolo).
Risponde alle domande: kuka? (chi?), mikä? (che cosa?).
Il plurale si forma aggiungendo la desinenza -t al morfema debole del tema
Accusativo: corrisponde generalmente al complemento oggetto (Maria ostaa kirjan – Maria compra un libro).
È uguale al genitivo nella forma singolare e al nominativo nella forma plurale. Fanno eccezione i pronomi personali, che vengono declinati con la desinenza -t (es. minut, me).
Genitivo: è il caso del complemento di specificazione (Kirjan kansi on punainen – La copertina del libro è rossa).Risponde alle domande: kenen? (di chi?), minkä? (di che cosa?).
Si forma aggiungendo la desinenza -n al singolare, le desinenze -en, -ten, -den/-tten al plurale, quindi è identico all'accusativo.
Partitivo: indica la parte di una cosa o una quantità indefinita, è anche il complemento diretto delle frase negative (En näe kirjaa Non vedo il libro).
Risponde alle domande: ketä? (chi?), mitä? (che cosa?).
Si forma aggiungendo le desinenze -a/-ä, -ta/-tä, -tta/-ttä al singolare, le desinenze -a/-ä, -ta/-tä al plurale.
Inessivo: è il caso del complemento di stato in luogo interno (Mario on autossa – Mario è nella macchina).
Risponde alla domanda: missä? (dove?).
Si forma aggiungendo la desinenza -ssa/-ssä
Elativo: è il caso del complemento di moto da luogo interno o la provenienza (Mario tuli ulos autosta – Mario è uscito dalla macchina ). Inoltre è anche il caso del complemento di argomento (Mario puhuu autostaan - Mario parla della sua macchina).
Risponde alla domanda: mistä? (da dove?).
Si forma aggiungendo la desinenza -sta/-stä
Illativo: è il caso del complemento di moto a luogo interno (Mario istuu autoon – Mario si siede nella macchina).
Risponde alla domanda: mihin? (verso dove?).
Si forma aggiungendo le desinenze -Vn, -hVn, -seen al singolare e -hin, -siin al plurale
Adessivo: è il caso del complemento di stato in luogo esterno (Kirja on pöydällä – Il libro è sul tavolo), oppure il mezzo con cui si svolge un'azione o il modo in cui si compie (Mario opiskelee kirjalla – Mario studia con un libro). Inoltre indica il possessore nell'espressione: io ho (Minulla on kirja – Io ho un libro).
Risponde alla domanda: millä? (dove? in che modo? a chi?), millä paikalla? (in che posto?).
Si forma aggiungendo la desinenza -lla/-llä
Ablativo: è il caso del complemento di moto da luogo esterno. Indica separazione o provenienza (Mario ottaa kirjan pöydältä – Mario prende il libro dal tavolo).
Risponde alla domanda: miltä? (come? da dove?), miltä paikalta? (da che posto?).
Si forma aggiungendo la desinenza -lta/-ltä
Allativo: è il caso del complemento di moto a luogo esterno (Il libro è caduto sul pavimento), oppure del complemento di termine (Mario on kirjoittanut Luigille – Mario ha scritto a Luigi).
Risponde alla domanda: kenelle? (a chi?).
Si forma aggiungendo la desinenza -lle
Essivo: indica lo stato/la situazione in cui si trova una persona o una cosa. (Lääkärinä Mario tekee paljon töitä – Come medico / In quanto medico, Mario lavora tanto).
Risponde alla domanda: minä? (in qualità di cosa?).
Si forma aggiungendo la desinenza -na/-nä
Translativo: esprime una trasformazione (Mario valmistui lääkäriksi – Mario è diventato medico).
Risponde alla domanda: miksi? (come?).
Si forma aggiungendo la desinenza -ksi
Istruttivo: è il caso del complemento di mezzo (Näin sen omin silmin – L'ho visto con i miei occhi).
Risponde alla domanda: miten? (come?).
Si forma aggiungendo la desinenza -n e si declina solo al plurale.
Comitativo: è il caso del complemento di compagnia, abbastanza raro nel finnico parlato (Mario tuli vaimoineen – Mario è venuto con sua moglie).Risponde alle domande: kenen kanssa? (con chi?), minkä kanssa? (con cosa?).
Si forma aggiungendo la desinenza -ne, sempre preceduta dalla desinenza -i.
Abessivo: esprime la mancanza di qualcosa, molto raro nel finnico parlato (Mario on kirjatta – Mario è senza libri).
Risponde alla domanda: mitä ilman? (senza che cosa?).
Si forma aggiungendo la desinenza -tta/-ttä
Con la sola eccezione del nominativo plurale, che ha una propria desinenza (-t), per il plurale degli altri casi le desinenze indicate sono sempre precedute dalla vocale -i, che muta in -j quando sia l'ultima lettera della radice del nome che la prima lettera della desinenza di caso sono vocali. Tale modificazione occorre solo per i nomi che terminano in vocale che al plurale non cade e per casi i cui suffissi constano di una vocale o iniziano con una vocale. Quindi il partitivo plurale e il genitivo plurale di kirjasto (libreria) sono rispettivamente kirjastoja e kirjastojen.
L'abessivo, l'instruttivo e il comitativo sono rari e solitamente appaiono in espressioni avverbiali (paljain jaloin, a piedi nudi). Più raro ancora è il prolativo, che si forma con l'aggiunta della desinenza -tse (maitse, meritse, sähköpostitse, rispettivamente "via terra", "via mare", "via posta elettronica"). ll caso particolare della desinenza -t dei pronomi personali del caso accusativo è usata in alcuni dialetti anche per i nomi propri di persona (otetaan Matit ja Maijat mukaan ja lähetään kylälle, passiamo a prendere Matti e Maija e andiamo in paese).
Suffisso possessivo
I sostantivi si declinano anche in funzione della persona, a essi cioè può essere legato anche un suffisso possessivo. Tali suffissi vengono inseriti dopo la desinenza del caso utilizzato.
-ni (prima pers. sing.)
-si (seconda pers. sing.)
-nsa, -nsä oppure -Vn (terza pers. sing.)
-mme (prima pers. pl.)
-nne (seconda pers. pl.)
-nsa, -nsä oppure -Vn (terza pers. pl.)
Per i casi nominativo, genitivo e illativo, singolare e plurale, si impiega sempre -nsa, -nsä. Per gli altri casi si impiega -Vn: ma per il partitivo singolare si impiega -nsa, -nsä quando la radice della parola termina con vocale breve -a,-ä.
En ottanut hänen lippuaan / lippuansa, Non ho preso il suo biglietto.
En ottanut hänen junaansa, Non ho preso il suo treno.
L'uso del suffisso possessivo è obbligatorio nella lingua finnica scritta, in aggiunta può essere utilizzato, come attributo del sostantivo, anche il pronome di persona al genitivo (minun autoni oppure autoni, "la mia auto"). Nella terza persona, l'usare o meno il pronome di persona indica, rispettivamente, la forma non riflessiva o riflessiva della frase:
Pekka näki autonsa, "Pekka ha visto la sua propria auto"
Pekka näki hänen autonsa, "Pekka ha visto la sua auto" (di un'altra persona).
Nella lingua parlata i suffissi possessivi vengono usati raramente. Generalmente il loro utilizzo si limita alle forme di possesso riflessivo (mä löysin kirjani, "trovai il mio libro"), oppure in senso rafforzativo o in linguaggio volutamente forbito. A prescindere dal loro uso o meno, essi sono completamente comprensibili anche nella forma parlata.
I suffissi possessivi sono utilizzati anche abbinati ai pronomi riflessivi (itselleni, "a me stesso", toisilleen "a un altro"), e anche con le forme infinite dei verbi (kerroin tulevani huomenna, "dissi che sarei arrivato domani").
Lo sviluppo della lingua finnica suggerisce una diminuzione progressiva dell'uso suffissi possessivi, che sono sostituiti semplicemente dall'attributo al genitivo, così come accaduto nella lingua estone, che ha perso completamente tali suffissi.
Verbi
Le forme dei verbi vengono divise in due categorie:
Forma finita. Sono le forme coniugabili in funzione della persona (6 forme personali più il passivo); i verbi in forma finita vengo usati nella forma canonica di predicato
Forma infinita o forma nominale. In questa forma i verbi vengono declinati alla stregua dei sostantivi (casi, singolare/plurale e suffissi possessivi), e usati pertanto anche in forma sostantivata.
I modi dei verbi in forma finita sono sei: indicativo, imperativo, condizionale e potenziale. Raramente sono utilizzati i vecchi modi eventivo e ottativo.
I tempi sono anch'essi quattro: presente, imperfetto, perfetto e piuccheperfetto. Altri tempi usati nel passato sono caduti in disuso. Interessante notare come nella lingua finnica non esista un tempo futuro.
I verbi in forma nominale si dividono in infinitivi e participi. La forma infinitiva è usata all'interno della frase allo stesso modo dei sostantivi, e può presentarsi in alcune forme declinate. Ad esempio il verbo syödä (mangiare) diventa syömässä ("a mangiare", "mangiando", stato in luogo), syömästä ("dal mangiare", moto da luogo), syömään ("a mangiare", moto a luogo), syömättä ("senza mangiare", "senza aver mangiato", abessivo). In forma infinitiva i verbi possono anche avere il suffisso possessivo (mennessämme, "nel nostro andare", "mentre stiamo/stavamo andando", nähdäkseni, "per vedermi"). I participi, nel loro declinarsi e nella loro sintassi, si comportano come aggettivi, ovvero possono declinarsi in tutti i casi, e in tutti i modi comparativi. Ad esempio il primo participio (participio presente) del verbo tehdä (fare) è tekevä (facente, colui che fa), e può assumere la forma comparativa relativa tekevämpi e comparativa assoluta tekevin, difficilmente traducibili direttamente in italiano senza l'uso di circonlocuzioni. Così come nel modo infinitivo, anche i participi hanno forme attive e passive. Il citato verbo syödä ha come participio presente syövä (mangiante) nella forma attiva e syötävä (mangiabile) nella forma passiva, mentre il participio passato è syönyt (mangiato) nella forma attiva e syöty (stato mangiato) in quella passiva.
Un'altra peculiarità del finnico, presente anche in altre lingue uraliche, è il verbo di negazione, che si coniuga in funzione della persona. All'indicativo le sei forme personali sono en, et, ei, emme, ette, eivät, all'imperativo è presente nella seconda e terza persona singolare (älä e älköön) e in tutte e tre le forme plurali (älkäämme, älkää, älkööt). Dei modi nominali del verbo di negazione è rimasto, nel finnico corrente, solo la forma del participio presente (primo participio) che è epä ed è spesso utilizzato come prefisso di negazione in molti aggettivi (es. epävirallinen, non ufficiale, ufficioso).
La negazione dei verbi si ottiene dunque inserendo il verbo di negazione tra il soggetto e il verbo, ovvero come un vero e proprio verbo ausiliare. Ad esempio, sinä olet lukenut (tu hai letto) diventa sinä et ole lukenut (tu non hai letto).
Nella forma interrogativa, è il verbo a spostarsi all'inizio della frase e ad assumere la particella interrogativa -ko o -kö: oletko lukenut (hai letto?), etkö sinä ole lukenut (non hai letto?).
Alterazioni fonetiche morfologiche o relative alla declinazione
A differenza delle lingue agglutinanti canoniche, nella lingua finnica la radice (il tema lessicale) e la desinenza dei termini possono avere numerose varianti. Questo comportamento è legato agli sviluppi fonetici della lingua risalenti alle lingue baltofinniche o ancora a tempi antecedenti. I cambiamenti nel tema lessicale sono causati dai seguenti fattori:
Cambiamento del morfema vocalico e consonantico. La maggior parte dei sostantivi terminano, in forma nominativa, con una vocale (es. veri, sangue), oppure il tema, a cui viene aggiunta la desinenza, termina con una vocale (es. nominativo: hevonen, genitivo: hevose-n, "cavallo"). Ma nel caso di altre desinenze, soprattutto del partitivo, una consonante viene aggiunta al tema (variante del tema) privato della vocale terminale (ad es. il partitivo singolare degli esempi sopra citati è ver-ta e hevos-ta).
Alternanza consonantica: nei termini che presentano nel tema consonanti occlusive (k, p, t), esse cambiano a seconda che la sillaba successiva (generalmente la desinenza) sia chiusa (terminante con una consonante) oppure aperta (es. nominativo: kukka, genitivo kuka-n, partitivo kukka-a, "fiore"). L'alternanza consonantica è sintatticamente un fenomeno così importante che si estende anche ai nuovi prestiti stranieri, a termini di uso esclusivo della lingua parlata, e anche a consonanti non storicamente presenti nella lingua finnica. Ad esempio, il neologismo dubata, "doppiare (un film)" diventa alla terza persona singolare dell'indicativo dubbaa
Variazioni del tema lessicale con vocali terminali e e i: nelle parole in cui il tema termini con la vocale e, la forma del nominativo singolare termina in i (gen. vere-n : nom. veri, "sangue", gen. lapse-n : nom. lapsi, "bambino"). Le parole aventi tema terminante in i, e il cui nominativo termina anch'esso in i, sono da un punto di vista della declinazione termini a tema vocalico, e sono generalmente parole derivate come kasvi (pianta) o prestiti stranieri come lasi (bicchiere).
Cambiamenti di t e s: anticamente (già prima del periodo del protofinnico), la t si è trasformata in s davanti alla vocale i, per cui nelle parole antiche in cui il morfema vocalico i si trasforma in e e aventi davanti a esso una t (o alla sua consonante alternativa d), quest'ultima cambia in s. Ad esempio la parola "acqua" è vesi al nominativo, vettä al partitivo e veden al genitivo.
Esempi di tipi di temi lessicali:
valo (luce)
tema vocalico invariabile valo-: valon (gen.), valoa (part.)
takka (camino, focolare)
tema vocalico forte takka-: takkaan (illativo)
tema vocalico debole taka-: takassa (inessivo)
keihäs (lancia)
tema vocalico keihää-: keihäät (nom. pl.)
tema consonantico keihäs-: keihästä (part. sing.)
opas (guida)
tema vocalico (di grado forte) oppaa-: oppaana (essivo)
tema consonantico (di grado debole) opas-: opasta (part.)
vesi (acqua)
tema vocalico forte vete-: vetenä (essivo)
tema vocalico debole vede-: vedestä (elativo)
tema consonantico vet-: vettä (part.)
Fonetica e ortografia
Sistema fonetico
Nel finnico il sistema vocalico è alquanto ampio. Esso è composto da:
Cinque vocali anteriori
arrotondate: vocale semialta ö e alta y (pronunciata come la tedesca ü)
non arrotondate: alta i, semialta e e ampia ä
Tre vocali posteriori
arrotondate: semialta o e alta u
non arrotondate: ampia a.
Le vocali si presentano in forma lunga e breve (la forma lunga è rappresentata dalla stessa vocale scritta due volte). Inoltre esistono numerosi dittonghi o unioni di vocali (vocali consecutive pronunciate con una breve pausa tra di esse).
A un'ampia scelta di vocali corrisponde un limitato sistema consonantico. Esso è composto da:
le occlusive sorde p, t, k e l'occlusiva sonora d (la d è presente solamente nelle parole che hanno una t come corrispondente nel morfema debole del tema)
la sibilante s
le nasali m, n e ng (quest'ultima talvolta simile al gn italiano di gnomo, ma in forma meno marcata)
le liquide l e r
le fricative v e j (quest'ultima con pronuncia fricativa molto debole, praticamente semivocale) e la debole fricativa h (equivalente alla c toscana in la casa).
In aggiunta a queste consonanti, sono presenti prestiti consonantici stranieri, quali b e d (in posizioni diverse dal caso sopra specificato), g, f, e š.
Le consonanti (eccetto la h) possono presentarsi in forma breve o lunga. La j è raddoppiata solo con aggiunta di una i, mentre la v solo dopo un dittongo terminante in u, ma non viene raddoppiata nella forma scritta. Le parole aventi occlusive nel tema lessicale sono caratterizzate dall'alternanza consonantica.
Armonia vocalica
Come nel turco e nell'ungherese, nella lingua finnica (almeno per le parole originarie) esiste un'armonia vocalica: in una stessa parola possono coesistere solo le vocali anteriori y, ä, ö oppure le posteriori
a, o, u; la e e la i sono considerate vocali neutre e sono presenti anche con vocali posteriori. Questo influisce anche sulle desinenze, che devono contenere vocali che mantengano l'armonia velare: kala-ssa, (nel pesce), kylä-ssä (nel paese), levo-ttom-uus (inquietudine), työ-ttöm-yys (disoccupazione). Se sono presenti solo vocali neutre queste valgono come vocali anteriori. (es. Helsingi-ssä-kö, "a Helsinki?")
L'armonia vocalica non è presente nelle parole composte dall'agglutinazione di due termini distinti (kesäloma, "vacanze estive", aamuyö, "le ore piccole"). Stesso discorso vale per parole aventi suffissi esterni (es. tällainen, "simile") e parole composte che abbiano un morfema identificativo del limite tra le due parole (laihan-länta).
Struttura e accento delle parole
Le parole finniche possono essere divise in sillabe, che possono incominciare con una vocale o al massimo con una consonante. Anche per questa ragione i termini originari finnici possono avere al massimo una consonante all'inizio, e nei vecchi prestiti stranieri il morfema iniziale è semplificato in base a questa regola (es. ranta, "spiaggia", dal germanico strand). I termini che incominciano per vocale (che può essere breve, lunga o un dittongo) sono seguiti da 0-2 consonanti; la sillaba più breve è pertanto costituita da una vocale breve (es. o-lo, "l'essere", "lo stare", i-sä, "padre").
I termini finnici di radice antica sono generalmente bisillabici e a tema lessicale con terminazione vocalica (kala, "pesce", muna, "uovo", mene-, tema del verbo mennä, "andare", otta-, tema del verbo ottaa, "prendere"), monosillabici sono solo il verbo di negazione (ei, e-), alcuni temi di pronomi (se, "esso", tuo, "quello", tä-, tema del pronome tämä, "questo", ku-, tema del pronome kuka, "chi") e un piccolo gruppo di parole bisillabiche che hanno perso una consonante interna (es. jää, ghiaccio, kuu, luna, pää, testa). Ovviamente in coda al tema possono essere aggiunte desinenze e suffissi, oltre alla possibilità di costruire parole composte, cosicché le parole finniche possono essere anche molto lunghe.
L'accento nelle parole finniche è, senza eccezioni, sulla prima sillaba. Questa è una tipica particolarità del finnico, tant'è che l'accento non è affetto né dalla durata della sillaba, né dal suono: suoni (vocali) lunghi e brevi possono presentarsi indifferentemente sulla sillaba accentata o su altre. Nella lingua parlata l'accento più marcato può essere spostato su altre sillabe (es. hetkiNEN, "un attimo!"), ma solo nei casi in cui la parola vuol essere enfatizzata. Nell'ambito della frase alcune parole brevi possono restare senza accento, come ad esempio le parole incomincianti per on-. Oltre all'accento principale, nelle parole composte da almeno quattro sillabe, è possibile avere un accento secondario. Emil Nestor Setälä, in un suo scritto del 1930 ha definito gli accenti secondari come segue:
Nelle parole composte l'accento secondario è importante per distinguere le parole singole.
Ortografia
L'ortografia della lingua finnica è nella gran parte fonologica, ovvero a ogni suono corrisponde una lettera. Le eccezioni maggiori sono:
il suono äng, ovvero una n velare, che viene scritto come ng (kengät, scarpe)
il fenomeno sandhi, ovvero i cambiamenti di pronuncia tra due parole consecutive, tra cui il più comune è la geminazione di frontiera
La geminazione di frontiera si presenta in quei termini che hanno perso una consonante finale (generalmente -k o -h); se a una parola di questo tipo segue un termine incominciante per consonante, questa consonante viene foneticamente raddoppiata. La geminazione di frontiera non viene generalmente scritta; nei trattati linguistici viene spesso contrassegnata dal simbolo x. Esempi della geminazione di frontiera sono i seguenti:
Dopo il verbo coniugato tramite l'uso del verbo di negazione: en ota sitä [en otas sitä] (non lo prendo)
Nella seconda persona singolare del modo imperativo dei verbi: ota se [otas se] (prendilo), älä tule tänne [älä tulet tänne] (non venire qui)
Nella forma del primo infinito dei verbi (corrispondente all'infinito italiano): en tahdo ottaa sitä [en tahdo ottas sitä] (non voglio prenderlo)
Nei sostantivi declinati nel caso allativo: äidille pitää soittaa [äidillep pitää soittaa] (si deve chiamare la mamma)
In alcuni avverbi che (così come nel caso dei termini all'allativo o dei verbi all'infinito) avevano nella loro forma antica una -k terminale: tänne tulo [tännet tulo] (l'arrivo qua)
termini (originari o prestiti) anticamente terminanti per -(e)k- e -(e)h-, la cui forma nominativa dei derivati moderni termina generalmente in e; ad esempio la parola herne, pisello, derivante dal baltico herneh: hernekeitto [hernekkeitto], "zuppa di piselli", oppure puhe ("parola", "parlata", dal verbo puhua, parlare), da cui puhemies [puhemmies], "portavoce", "presidente".
I problemi nella scrittura e nella pronuncia nascono spesso nel caso di prestiti linguistici. In alcuni casi, infatti, si è mantenuta la scrittura originaria, o comunque non modificata secondo le regole di pronuncia finnica. Ad esempio, il prestito latino invalidi (invalido), è scritto con una sola i, e così dovrebbe essere pronunciato dal momento che nella versione latina della parola tale i era breve; in realtà in pratica la pronuncia della i viene raddoppiata seguendo la regola linguistica di altre parole aventi la stessa sequenza di vocali e consonanti (es. invaliidi, Balttia).
La sibilante š presenta lo stesso tipo di indeterminazione di scrittura: per i prestiti che presentavano tale vocale viene talvolta consigliato l'uso di una normale s (sakaali, sciacallo, sampoo, sciampo, snautseri, schnauzer, sokki, shock, attasea, addetto, hasis, hashish, klisee, cliché, montaasi, montaggio, reportaasi, reportage, sabotaasi, sabotaggio, kollaasi, collage, saali, scialle, samppanja, champagne, sekki, ma anche šekki, scacchi, sifonki, chiffon, sortsit, ma anche šortsit e shortsit, calzoncini corti, brosyyri, brochure, ecc.), mentre l'uso della š viene consigliato nelle parole šaahi, scià, šamaani, sciamano šeikki, sceicco, šeriffi, sceriffo, šillinki, scellino, geiša, geisha, šakki, scacchi, tšekki, Cechia, Tšehov, Čechov, šovinismi, sciovinismo, bolševikki, bolscevico, kašmir, cachemire, pašša, pascià, e comunque nella traslitterazione dei nomi russi (es. Hovanštšina, Tšehov, Tšaikovski, Gorbatšov, Tšetšenia). La forma sh- viene usata raramente in prestiti inglesi (es. sherry, show), oppure nel caso in cui, per ragioni tecniche, non si possa usare la lettera š.
Esempi di lingua
Parole e frasi di uso comune
Kyllä: sì
(si usa Joo nella lingua parlata)
Ei: no
En/et/ei/emme/ette/eivät: non (cambia a seconda della persona)
Hei!: ciao!
(si usa anche Moi nella lingua parlata)
Terve!: salve!
Tervetuloa!: benvenuto/a/i/e!
Hyvää huomenta!: buon giorno! (al mattino presto)
Hyvää päivää!: buon giorno!
Hyvää iltaa!: buona sera!
Hyvää yötä!: buona notte!
Näkemiin!/Terveisiä!: arrivederci!
(si usano spesso anche "Hei hei!",
"Heippa!")
Kiitos: grazie
Mutta: ma
Ja: e (congiunzione)
Paljon kiitoksia/kiitos paljon: molte grazie
Ole/Olkaa hyvä(ä): prego (letteralmente "sii/siate buono/i")
Eipä kestä: di niente, Prego
Mitä kuuluu?/Miten menee ?: come stai?/come va?
Anteeksi: scusa/i
Kuinka...?: come/in che modo?
Kuinka paljon...(se maksaa)?: quanto...(costa)?
Kuinka monta...?: quanti/e...?
Mikä...?: che (cosa)...?
Kuka...?: chi...?
Missä...?: dove...? (stato)
Mihin...?: dove...? (moto)
Mistä...?: da dove?
Milloin...?: quando...?
Miksi...?: perché?
Puhutko suomea/italiaa/englantia/ranskaa/saksaa?: parli finnico/italiano/inglese/francese/tedesco?
Minä en ymmärrä/en puhu suomea.: io non capisco/non parlo il finlandese.
suomeksi/italiaksi/englanniksi/ranskaksi/saksaksi: in finnico/italiano/inglese/francese/tedesco
Oletko suomalainen/italialainen?: sei finlandese/italiano?
Mitä kello on?: che ore sono?
Kello on + ora (es. kaksi).: sono le + ora (es. due).
Kuinka se sanotaan suomeksi/italiaksi/italiaksi/englanniksi/ranskaksi /saksaksi? : come si dice in finnico/...
Mikä sinun nimesi on?: come ti chiami?Curiosità:''' in finlandese non esiste una vera e propria parola che possa significare "per favore". Per esprimere richieste in maniera cortese si coniuga il verbo il questione con quello che corrisponde al nostro condizionale in italiano. es: Voitko...?: Puoi...? - forma cortese: Voisitko...?: Potresti...:?
Numeri cardinali
Numeri da zero a dieci
zero: nolla uno: yksi due: kaksi tre: kolme quattro: neljä cinque: viisi sei: kuusi sette: seitsemän otto: kahdeksan nove: yhdeksän dieci: kymmenenNumeri da undici a mille
undici: yksitoista ...
venti: kaksikymmentä ...
cento: sata ...
mille: tuhat Giorni della settimana
maanantai: lunedì
tiistai: martedì
keskiviikko: mercoledì (letteralmente "metà settimana")
torstai: giovedì
perjantai: venerdì
lauantai: sabato
sunnuntai: domenica
Nomi dei mesi
tammikuu: gennaio (lett.: "(il) mese della quercia")
helmikuu: febbraio (lett.: "(il) mese della perla")
maaliskuu: marzo (lett.: "(il) mese della terra")
huhtikuu: aprile (lett.: "(il) mese del debbio")
toukokuu: maggio (lett.: "(il) mese della semina")
kesäkuu: giugno (lett.: "(il) mese dell'estate")
heinäkuu: luglio (lett.: "(il) mese del fieno")
elokuu: agosto (lett.: "(il) mese del raccolto")
syyskuu: settembre (lett.: "(il) mese dell'autunno")
lokakuu: ottobre (lett.: "(il) mese del fango")
marraskuu: novembre (lett.: "(il) mese del morente")
joulukuu: dicembre (lett.: "(il) mese del Natale")
Voci geografiche
Suomi: Finlandia
Englanti: Inghilterra
Espanja: Spagna
Etelä-Afrikka: Sudafrica
Hollanti: Paesi Bassi
Islanti: Islanda
Italia: Italia
Kreikka: Grecia
Norja: Norvegia
Ranska: Francia
Ruotsi: Svezia
Saksa: Germania
Sveitsi: Svizzera
Tanska: Danimarca
Venäjä: Russia
Viro: Estonia
Yhdysvallat: Stati Uniti
Eurooppa: Europa
Napapiiri: Circolo polare
Välimeri: Mar Mediterraneo
Presente indicativo del verbo essere (olla)
(minä) olen: io sono
(sinä) olet: tu sei
(Te) olette: Lei è
hän on: lui/lei è
se on: esso è
(me) olemme: noi siamo
(te) olette: voi siete
he ovat: loro/essi/esse sono
ne ovat: essi/esse sono
Il verbo avere in finnico
La lingua finnica non ha un vero e proprio verbo avere. Per questo motivo si usa un'espressione particolare formata dal verbo olla sempre al singolare e dal possessore al caso adessivo, che ha come desinenza -lla/-llä. La cosa posseduta va all'accusativo o al partitivo.
Ecco un esempio:
Minulla on kaksi koiraa: io ho due cani
Sinulla on kaksi koiraa: tu hai due cani
Hänellä on kaksi koiraa: lui/lei ha due cani
Meillä on kaksi koiraa: noi abbiamo due cani
Teillä on kaksi koiraa: voi avete due cani
Heillä on kaksi koiraa: loro hanno due cani
Dialetti
Nonostante il basso numero di locutori del finnico (circa sei milioni), esistono numerose variazioni dialettali. Molti dialetti hanno radici antiche, praticamente più antiche della nascita della lingua finnica vera e propria. Prima del Medioevo non esisteva una definizione vera e propria, ma esisteva una distinzione tra dialetti etnici baltofinnici; da quelli rimasti all'interno dei confini della Svezia del tempo, quando si è iniziato a costruire la lingua finnica. La lingua finnica attuale non è figlia di un singolo dialetto, bensì frutto di compromesso di unificazione dei vari dialetti effettuato durante il XIX secolo.
I dialetti non vengono più parlati nelle loro forme originarie, e si può dire che stanno lentamente morendo. In alcune regioni, comunque, il dialetto si è mantenuto forte e conta numerosi locutori; si può in ogni caso affermare che i dialetti originari siano stati sostituiti dalla locale lingua parlata. Negli ultimi decenni è nato un nuovo interesse nei dialetti, per cui oggigiorno esiste una nutrita pubblicazione di libri scritti nei vari dialetti locali, arrivando addirittura a pubblicare fumetti (ad es. Paperino) nei vari slang.
I dialetti finnici sono tradizionalmente divisi in due gruppi: i dialetti occidentali e quelli orientali. Le differenze sostanziali sono le seguenti:
Variazione della t nella forma debole del tema lessicale. Essa si trasforma in d nel finnico scritto, nei dialetti occidentali spesso diventa r o l, mentre in quelli orientali viene completamente rimossa, oppure sostituita da un fonema di transizione,
Trasformazione delle vocali lunghe in dittonghi (nei dialetti orientali): ad es. moa invece di maa (terra), peä invece di pää (testa)
Differenze nell'uso dei vocaboli. Ad esempio il fascio di rametti di betulla che si usa in sauna è chiamato vihta nei dialetti occidentali, mentre vasta in quelli orientali. Alcune parole assumono significati diversi, come tuima, che nei dialetti occidentali significa forte, pungente, mentre in quelli orientali significa insipido, insapore.
Dialetti occidentali
I dialetti occidentali vengono suddivisi tra i dialetti del sud-ovest, parlati nelle regioni del Varsinais-Suomi e della Satakunta, e il gruppo dei dialetti denominati hämäläismurteet, dai quali i dialetti contemporantei del sud-ovest hanno origine, e parlati principalmente della regione dell'Häme. I dialetti dell'Ostrobotnia meridionale sono parlati nelle regioni dell'Ostrobotnia meridionale, mentre i dialetti dell'Ostrobotnia centrale e settentrionale ovviamente delle regioni dell'Ostrobotnia centrale e settentrionale. I dialetti finnici parlati in Lapponia sono generalmente chiamati dialetti della Lapponia meridionale. Lo stesso meänkieli (lett. "la nostra lingua"), parlato nel Tornedalen può essere considerato un dialetto della Lapponia, sebbene si sia diviso dagli altri dopo il 1809, anno in cui la Finlandia è passata sotto la dominazione russa, mentre i locutori del meänkieli sono rimasti in Svezia. Stesso discorso vale per la lingua kven, parlata nel Finnmark norvegese.
I dialetti occidentali che hanno subito poche influenze nel corso dei secoli sono solo i dialetti del sud-ovest e quelli del gruppo degli hämäläismurteet. I vari dialetti dell'Ostrobotnia hanno subito influenze dai dialetti orientali, sempre più marcate più a nord ci spostiamo. Per questa ragione molti studiosi stanno pensando di riclassificare i dialetti in tre gruppi: occidentali, orientali e settentrionali.
Dialetti orientali
I dialetti orientali sono principalmente divisi nei dialetti del Savo e nei dialetti del sud-est. Alcuni ricercatori sostengono che tali dialetti siano più vicini alla lingua careliana che ai dialetti occidentali.
La regione dei dialetti del Savo è geograficamente l'area dialettale finnica più vasta, poiché i contadini originari del Savo si sono trasferiti – durante il Medioevo e anche successivamente – in altre aree dialettali, ma difficilmente in centri già abitati, evitando così influssi da altri dialetti. I dialetti del Savo sono dunque anche parlati nella Carelia settentrionale, nella regione del Päijät-Häme a est del lago Päijänne, nella Finlandia centrale, nel Kainuu, nel Koillismaa e anche nell'Ostrobotnia, nelle enclavi linguistiche dei distretti di Keuruu ed Evijärvi. Inoltre il dialetto dei Finlandesi delle foreste, parlato nel Värmland svedese e nell'adiacente regione norvegese fino all'inizio del XX secolo, ha origine come dialetto del Savo.
I dialetti del sudest sono o sono stati parlati nella Carelia meridionale, nell'Istmo di Carelia e dal XVII secolo in Ingria (la regione in cui giace l'odierna San Pietroburgo). I dialetti parlati nelle regioni di confine della Carelia e nelle regioni a nord-est del Lago Ladoga non sono direttamente legati alla lingua finnica, bensì a quella della Carelia, sebbene nelle regioni di confine siano perfettamente comprensibili dai finlandesi.
Altri dialetti o slang della lingua finnica
Finglish, forma di slang in cui sono presenti numerosi prestiti dalla lingua inglese
Dialetto di Rauma, dialetto parlato principalmente nella città di Rauma, appartenente al gruppo dei dialetti del sud-ovest, ma con forti distinzioni quali l'accorciamento delle parole, una propria intonazione e molti prestiti germanici.
Stadin slangi (letteralmente "slang di Helsinki"), forma dialettale nata a Helsinki all'inizio del XX secolo e praticamente basata sull'uso di numerosi prestiti svedesi. Tale dialetto nacque come sorta di lingua franca per permettere la comunicazione tra finlandesi di lingua svedese e finnico.
Premi Nobel per la letteratura di lingua finnica
Frans Eemil Sillanpää (1939, )
Note
Bibliografia
Auli Hakulinen, Iso suomen kielioppi, Suomalaisen Kirjallisuuden Seura, Helsinki 2004 ISBN 951-746-557-2.
Savolainen Asiakirjoittaminen ja kielenhuolto: Oikeinkirjoitusoppia: Suhuässä, 1998
Kauppinen, Koskela, Mikkola, Valtanen Äidinkieli – käsikirja, 1994 ISBN 951-0-16706-1
Jukka Korpela, Sivistyssanojen asu: Suhuässä ja sen merkitseminen (shekki, šekki vai sekki?), 2003.
Saukkonen, Räikkälä, Kirjaimet š ja hattu-z suomen kielen oikeinkirjoituksessa, Kotimaisten kielten tutkimuskeskus 1998
Taru Kolehmainen, Hattu-s vai sh?, Kielitoimisto 2002, pubblicato su Helsingin Sanomat il 19 novembre 2002
Gyula Weöres, Suomen ja unkarin kielen sukulaisuudesta, 1935
Heikki Hurtta, Kieli-ikkuna: Donjuanin heteka'' Kotimaisten kielten tutkimuskeskus, pubblicato su Helsingin Sanomat il 22 giugno 2004
Voci correlate
Prenomi finlandesi
Altri progetti
Collegamenti esterni
Tuuli . Software che mostra la coniugazione dei verbi finnici e la sintassi in generale.
Finlandese |
2579 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lunghezza | Lunghezza | Il termine lunghezza, nell'uso comune, indica una delle dimensioni di un oggetto, ovvero una sua estensione nello spazio. Nelle varie discipline tecniche e scientifiche il termine ha un utilizzo definito più rigorosamente o assume un significato leggermente diverso.
In geometria euclidea, la lunghezza di un segmento è la distanza tra gli estremi del segmento. Si veda la voce lunghezza di un arco per l'estensione di questo concetto ad archi di curva.
In matematica e in fisica il termine lunghezza è utilizzato anche come sinonimo di norma o valore assoluto di un vettore. In altri campi, questo termine può essere impiegato come sinonimo di distanza. Per esempio, in cartografia, la lunghezza di una strada è la distanza che bisogna percorrere per spostarsi da un'estremità di essa all'altra.
La lunghezza è assunta come una delle grandezze fisiche fondamentali, nel senso che non può essere definita in termini di altre grandezze. La lunghezza come grandezza fisica non è una proprietà intrinseca ad alcun oggetto. Infatti due osservatori possono misurare lo stesso oggetto e ottenere risultati differenti. Questa strana proprietà dello spazio viene spiegata nella teoria della relatività speciale di Albert Einstein.
Unità di misura nella storia
L'unità di misura attuale nel SI della lunghezza è il metro ma questo fu definito solo nel 1791 e prima di allora si sono susseguite nel tempo innumerevoli unità di misura della lunghezza.
Le prime unità di misura di essa erano associate al corpo umano. Gli egiziani avevano stabilito il cubito che equivaleva alla distanza fra il gomito e l'estremità del dito medio. In modo simile il piede rappresentò la misurazione dopo la prima metà del Seicento ed equivaleva infatti alla lunghezza del piede reale di Luigi XIV.
Altre misure che si possono ricordare sono il piede e il miglio anche se quest'ultimo è un multiplo. Nel 1791 però si cercò una misura più oggettiva e si scelse quella del metro che, nella definizione attuale, è pari alla distanza coperta dalla luce, nel vuoto, in un intervallo di tempo pari a 1/ di secondo.
Note
Voci correlate
Ordini di grandezza (lunghezza)
Larghezza
Dilatometro
Profondità (liquidi)
Altri progetti
Collegamenti esterni
Grandezze fisiche fondamentali
de:Längenmaß |
2581 | https://it.wikipedia.org/wiki/Laika | Laika | Laika (, "Piccolo abbaiatore", Mosca, 1954 – Spazio, 3 novembre 1957) è uno dei nomi con cui è nota la cagnolina che il 3 novembre 1957 fu imbarcata a bordo della capsula spaziale sovietica Sputnik 2, diventando così il primo animale ad orbitare intorno alla terra.
Il personale sovietico era solito chiamare la cagnolina con il nome di Kudryavka (in italiano "Ricciolina"), mentre il nome con cui è nota in Occidente deriva da un possibile fraintendimento tra i giornalisti occidentali ed i responsabili della missione, che, facendo riferimento alla razza del cane, indicarono la cagnolina come Laika (nome russo per varie razze di cane simili agli husky). La stampa statunitense la soprannominò Muttnik, unendo il termine inglese per meticcio e la parola Sputnik.
La capsula Sputnik 2 era attrezzata per il supporto vitale e portava cibo e acqua, ma non prevedeva il rientro, quindi la sorte di Laika era segnata fin dall'inizio della missione. La capsula era inoltre attrezzata con sensori tali da permettere il monitoraggio dei segnali vitali del passeggero come pressione sanguigna, battiti cardiaci e frequenza respiratoria.
Pianificazione della missione
Dopo il successo dello Sputnik 1 fu subito chiaro che al lancio del primo satellite sarebbero subito seguiti degli altri e si ritenne indispensabile lanciare a breve termine anche degli esseri umani nello spazio. All'epoca erano in via di completamento due satelliti del tipo Sputnik. Tuttavia nemmeno uno dei satelliti sarebbe stato pronto prima del 7 novembre 1957, e il progetto iniziale di lanciare uno di questi con un essere vivente a bordo il giorno del quarantesimo anniversario della Rivoluzione d'ottobre sarebbe fallito. Si decise pertanto di avviare la costruzione di un quarto satellite meno sofisticato che secondo i piani sarebbe stato pronto e lanciato entro il 7 novembre.
Per quanto riguarda la scelta di Laika, invece, ben poco è stato reso noto. Ancora oggi non si sa quali considerazioni abbiano spinto alla decisione di utilizzare un cane come primo passeggero a bordo di un satellite, anche se è intuibile che le dimensioni ridotte dell'animale possano aver giocato un ruolo fondamentale nella scelta. I cani erano gli animali scelti nell'ambito del programma spaziale sovietico. Secondo la versione ufficiale la cagnetta Laika era un cane randagio trovato a Mosca, che all'epoca doveva avere all'incirca tre anni. Sempre secondo la stessa versione Laika sarebbe un cane meticcio, per metà Husky e per metà Terrier, anche se non poté essere mai stabilita con certezza la razza dei suoi genitori. Per quanto invece riguarda il metodo di selezione e i criteri con i quali si sia deciso di utilizzare proprio lei, non si ebbe mai nessuna dichiarazione ufficiale.
Preparazione alla missione
Sia l'URSS sia gli Stati Uniti d'America non avevano all'epoca alcuna esperienza nell'inviare esseri viventi nello spazio e ancor meno sapevano se il corpo di questi potesse sopravvivere per lunghi periodi in situazioni di assenza di gravità. Le uniche informazioni disponibili erano quelle ricavate da voli suborbitali ad altissima quota. Apparve quindi subito necessario raccogliere informazioni al riguardo del comportamento del corpo nello spazio prima di poter passare al lancio di navicelle con equipaggi umani a bordo.
Per le missioni Sputnik si selezionarono in tutto tre cani: Albina, Muschka e Laika. Albina fu la prima ad assolvere un volo suborbitale e sarebbe stata usata in caso di necessità come sostituta di Laika, mentre Mushka venne usata per testare i sistemi vitali della capsula. Tutte e tre le cagnette furono sottoposte a un allenamento intensivo che venne diretto da Oleg Gazenko, colui che aveva scelto Laika come la predestinata al primo volo spaziale e responsabile del programma.
Durante la fase di addestramento gli animali venivano abituati a spazi angusti e rimanevano anche per 20 giorni consecutivi in gabbie strettissime. Ciò fece sì che gli animali soffrissero notevolmente sotto un punto di vista psicologico e fisiologico, tanto che Laika cominciò a divenire sempre più irrequieta e per un certo periodo l'addestramento dovette essere sospeso. In una seconda fase gli animali ma soprattutto Laika vennero sottoposti a simulazioni di lancio in centrifughe, all'interno delle quali si riproducevano le vibrazioni e i rumori che avrebbero poi caratterizzato il lancio. Durante queste simulazioni si misurarono pressioni del sangue fino a 65 mmHg e un polso che batteva con frequenza quasi doppia. Infine secondo una versione non ufficiale la cagnetta sarebbe già stata messa a bordo del satellite tre giorni prima del lancio. Durante questo periodo l'animale sarebbe stato accudito da due tecnici che avrebbero garantito il benessere dell'animale.
Viste le basse temperature della stagione la capsula sarebbe stata quindi collegata con un impianto di riscaldamento, che avrebbe mantenuto una temperatura costante all'interno della capsula. Infine, prima del lancio, degli elettrodi sarebbero stati fissati sul corpo dell'animale per trasmettere alla centrale di controllo i segnali vitali, quali polso, pressione e respirazione. In tutto la capsula pesava 500 kg, ai quali si dovevano aggiungere i sei chilogrammi di peso dell'animale. L'interno del satellite era foderato e lo spazio interno era sufficientemente ampio da permettere a Laika di stare sdraiata o in piedi. La temperatura interna era regolata sui 15 °C e un sistema di refrigeramento doveva proteggere l'animale da sbalzi termici eccessivi. A bordo si trovavano quindi ancora cibo e acqua preparati sotto forma di gel.
Il lancio
Il razzo con a bordo Laika venne lanciato il 3 novembre 1957 alle 2:30 dal Cosmodromo di Bajkonur. Secondo i dati telemetrici inviati dal satellite, si rilevò un polso notevolmente accelerato e si dovette aspettare che la forza di gravità incominciasse a ridursi per notare una diminuzione della frequenza cardiaca. Secondo quanto rivelato da fonti ufficiali si ricevette per circa sette ore un segnale prima di non captare più nessun segnale di vita dalla capsula. La versione ufficiale dell'epoca data dal governo sovietico è che Laika sopravvisse per "oltre quattro giorni".
Il satellite rientrò in atmosfera 5 mesi più tardi, il 14 aprile 1958, dopo aver compiuto 2.570 giri intorno alla Terra. Un eventuale rientro in orbita terrestre non era possibile dal momento che la capsula non era in grado di rientrare in atmosfera, perché sprovvista di uno scudo termico: il satellite andò così completamente distrutto durante il rientro e, con esso, il corpo di Laika.
Il lancio rappresentò un successo dal punto di vista tecnico, considerando sia le conoscenze tecniche dell'epoca sia il poco tempo messo a disposizione ai progettisti per la costruzione della capsula. La missione di Laika non fu però l'ultima: dopo di lei altri cani furono lanciati nello spazio a bordo di satelliti, e il 20 agosto 1960 le cagnoline Belka e Strelka furono le prime a rientrare sane e salve a terra da una missione spaziale a bordo del satellite Sputnik 5.
Reazioni da parte dell'opinione pubblica
Il lancio di Laika nello spazio fu come per il lancio dello Sputnik 1 un evento shock nel mondo. L'URSS aveva dimostrato con ciò di essere in notevole vantaggio per quanto riguarda la costruzione di satelliti e quindi anche con la costruzione dei vettori, che vantavano capacità di carico maggiori e pertanto anche gittate maggiori. Nonostante la costruzione in tempo record, lo Sputnik 2 poteva vantare una propulsione ancora maggiore del suo predecessore e fu in grado di raggiungere orbite più alte.
Questo evento aveva dimostrato che l'Unione Sovietica disponeva sia dei mezzi sia delle tecnologie necessarie per poter portare in orbita testate nucleari e di poter colpire indipendentemente dalla portata dei suoi bombardieri ogni paese sul globo, utilizzando uno dei suoi vettori. Gli USA accelerarono immediatamente il proprio programma spaziale costruendo un primo satellite che chiamarono Vanguard TV3. Ma il ritardo accumulato e la mancanza di conoscenze fecero sì che la missione fallisse, causando la perdita del satellite e del vettore nella primissima fase di lancio. Gli Stati Uniti sarebbero riusciti solo il 31 gennaio 1958 a mandare in orbita il loro primo satellite, l'Explorer 1, seguito poi il 17 marzo 1958 dal Vanguard 1.
La presunta morte di Laika fu però anche causa di una serie di azioni di protesta nei confronti di ambasciate sovietiche in tutto il mondo, portando in primo piano la discussione sull'utilizzo di animali per scopi scientifici.
Solo con la fine della Guerra fredda alcune informazioni furono rese ufficiali. Nell'ottobre 2002 furono resi noti i risultati di nuove ricerche compiute da uno scienziato russo (Dmitrij Malashenkov), che rivelarono che Laika sopravvisse unicamente per un periodo compreso tra le 5 e le 7 ore dopo il decollo a causa degli sbalzi di temperatura caldo-freddo. Per quanto riguarda la vera e propria causa di morte dell'animale, furono rese pubbliche varie versioni in parte anche contrastanti fra loro: secondo una prima versione resa ufficiale, l'animale sarebbe morto a causa degli sbalzi termici a bordo della navicella, mentre secondo una versione più recente la causa di morte fu data da asfissia a causa di un guasto all'impianto di aerazione.
Secondo un'intervista fatta nel 1998 con Oleg Gazenko, responsabile della missione, lui stesso avrebbe espresso rammarico per la morte dell'animale, ritenendo che il lancio di Laika fu un sacrificio inutile; ben poche informazioni poterono essere raccolte da tale missione e la probabile morte prematura dell'animale potrebbe aver compromesso la missione dal punto di vista scientifico.
Omaggi a Laika
La missione a bordo dello Sputnik 2 rese sicuramente Laika uno degli animali più famosi al mondo, tanto da essere ricordata tra i cosmonauti morti in missione e in numerosi omaggi nella cultura popolare:
Nel 1960 la politica italiana Teresa Noce ne fa la protagonista del libro: ‘’Le avventure di Layka, cagnetta spaziale’’.
Nel 1964 nasce l'azienda di caravan Laika in suo onore.
Nel 1965 nel film 002 Operazione Luna compare brevemente lo scheletro di un cane con il casco, che uno dei due protagonisti riconosce in Laika, citando poi brevemente il lancio della cagnolina da parte dei comunisti.
Nel 1987 un gruppo rock finlandese decise di chiamarsi Laika & The Cosmonauts.
Il gruppo musicale britannico Laika si chiama così in onore alla cagnetta.
Nel 1988 il gruppo spagnolo Mecano dedicò a Laika una canzone omonima.
Nel 1994, l'autore italiano Stefano Calabrese scrisse e interpretò una canzone omonima che ne narra la vicenda.
Nel 1997 l'istituto aerospaziale di Mosca dedicò a Laika una targa. Inoltre furono numerosi i francobolli a lei dedicati, e per un certo periodo anche prodotti come sigarette e cioccolato furono nominati in suo onore.
Il 1º luglio 2002 i Gorillaz pubblicano in collaborazione con gli Space Monkeyz l'album Laika Come Home.
Il 27 maggio 2002, con la pubblicazione dell'album Memoryhouse, il musicista Max Richter dedica il brano Laika's Journey al primo rappresentante dell'umanità nello spazio.
Nel videogioco arcade Pop'n Music 11 uscito nel 2004, è presente un brano intitolato Space Dog dedicato a Laika.
Nel 2004, il gruppo Arcade Fire include nell'album Funeral una canzone intitolata Neighborhood#2 (Laika).
Laika's Theme è un brano presente nel disco Absent Friends del 2004 di The Divine Comedy.
Il 9 marzo 2005 un piccolo fazzoletto di suolo marziano nei pressi del cratere Wostok su Marte, sul quale la sonda Opportunity stava effettuando dei prelievi, fu nominato (seppure in modo non ufficiale) "Laika".
Nel 2007 il musicista danese Trentemøller le dedica un video (Moan (Trentemoller Remix Radioedit)) per un suo brano dall'album The Trentemoller Chronicles.
Nel 2008 esce Laika (ed. Magic Press), un romanzo grafico dell'inglese Nick Abadzis, con il quale ottiene il prestigioso Eisner Award.
Nel 2010 il cantautore Roberto Tardito dedica a Laika un brano del suo album Se fossi Dylan.
Nel 2012 esce il libro Il bassotto e la regina dove viene citata Laika in una canzone.
Nel 2013 la band australiana Sticky Fingers pubblica l'album musicale Caress Tour Soul contenente una traccia omonima dedicata al cane.
Nel 2013 il gruppo valtellinese coXtola ha dedicato a Laika il suo brano Laik-a-dog dallo split con i Fune di fuga.
Nel 2015 Ascanio Celestini intitola Laika il suo nuovo spettacolo, che inizia con una riflessione sulla cagnolina nello spazio e Dio.
Nel 2018 esce il film ungherese Lajka, in cui si ipotizza ironicamente che il primo essere ad andare nello spazio sia stato uno giovane Rom chiamato così.
Nel 2019 esce il video della canzone We’ve Got to Try del gruppo musicale The Chemical Brothers. Il video si ispira alla vicenda di Laika.
Nel 2019 viene realizzato un documentario fantascientifico in merito alle vicende di nome Space Dogs.
Nel 2021 viene lanciata una Criptovaluta in onore di Laika, chiamata LaikaCoin.
Note
Bibliografia
Chris Dubbs: Space Dogs: Pioneers of Space Travel, Writer's Showcase Press, 2003, ISBN 0-595-26735-1
G. G. Gowortschin: Soviets in Space – An historical Survey, Spaceflight, Mai, 1965
V. N. Tschernow und V. I. Jakowlew: Scientific research during the flight of an animal in an artificial earth satellite, Artificial Earth Satellite, number 1, 1958
Voci correlate
Cani nel programma spaziale sovietico
Programma Sputnik
Belka e Strelka
Sergej Pavlovič Korolëv
Félicette
Altri progetti
Collegamenti esterni
Laika non visse nello spazio la cagnetta morì dopo il lancio - di Vittorio Zucconi (La Repubblica del 29 ottobre 2002)
Astronautica
Cani famosi
Programma Sputnik |
2582 | https://it.wikipedia.org/wiki/Leonid%20Kreutzer | Leonid Kreutzer | Allievo di Annette Essipova, Kreutzer ha vissuto ed insegnato musica in Giappone per molti anni. Ha registrato copiosamente per l'etichetta giapponese Columbia, concentrandosi sulle opere di Beethoven e Chopin.
Altri progetti
Collegamenti esterni
Kreutzer, Leonid
Emigranti dalla Germania nazista |
2583 | https://it.wikipedia.org/wiki/Legge%20dei%20grandi%20numeri | Legge dei grandi numeri | La legge dei grandi numeri oppure teorema di Bernoulli (in quanto la sua prima formulazione è dovuta a Jakob Bernoulli), descrive il comportamento della media di una sequenza di prove di una variabile casuale, indipendenti e caratterizzate dalla stessa distribuzione di probabilità ( misure della stessa grandezza, lanci della stessa moneta, ecc.), al tendere ad infinito della numerosità della sequenza stessa.
In altre parole, grazie alla legge dei grandi numeri, possiamo fidarci che la media sperimentale, che calcoliamo a partire da un numero sufficiente di campioni, sia sufficientemente vicina alla media vera, ovvero quella calcolabile teoricamente. Che cosa significhi "ragionevolmente sicuri" dipende da quanto vogliamo essere precisi nel nostro test: con dieci prove, avremmo una stima grossolana, con cento, ne otterremmo una molto più precisa, con mille, ancora di più, e così via: il valore di che siamo disposti ad accettare come sufficiente dipende dal grado di casualità che riteniamo necessario per il dato in questione.
In termini generici, per la legge dei grandi numeri si può dire:
che la media della sequenza è un'approssimazione, che migliora al crescere di della media della distribuzione, e
che, viceversa, si può prevedere che sequenze siffatte mostreranno una media tanto più spesso e tanto più precisamente prossima alla media della distribuzione quanto più grande sarà .
Un caso particolare di applicazione della legge dei grandi numeri è la previsione probabilistica della proporzione di successi in una successione di realizzazioni indipendenti di un evento ossia la frequenza di nelle misurazioni: per che tende a infinito, la proporzione di successi converge alla probabilità di .
Unita a questa si ha un'altra nozione interessante, ossia la legge dei piccoli numeri, che va al di là del concetto di equiprobabilità e considera la dimensione del campione rispetto ai possibili eventi e conseguenti esiti. In particolare, a seguito di esperimenti ripetuti considerando un campione più piccolo, è molto più semplice allontanarsi dal valore atteso, banalmente perché avendo meno valori da considerare vi è più probabilità che essa si approssimi ad un certo valore, sottostimando il numero di campioni per stime accurate. Essa fu teorizzata da Kahneman.
Legge forte dei grandi numeri
Se, data una successione di variabili casuali indipendenti e identicamente distribuite con media (finita) , si considera la media campionaria
la legge (forte) dei grandi numeri afferma che
ossia lo stimatore media campionaria converge quasi certamente al valore atteso comune delle .
Legge debole dei grandi numeri
Se, data una successione di variabili casuali aventi la stessa media , la stessa varianza finita e indipendenti, si considera la media campionaria
la legge (debole) dei grandi numeri afferma che per ogni :
ossia la media campionaria converge in probabilità al valore atteso comune alle .
Con maggior rigore
Sia una successione di spazi di probabilità. Si consideri lo spazio prodotto e in esso una successione bernoulliana di eventi (stocasticamente indipendenti e con probabilità costante ) . Assegnato un elemento si definisce la frequenza di successo in prove , dove e indica il numero di successi ottenuti in prove.
Dimostrazione della legge debole dei grandi numeri
Nelle condizioni sopra enunciate, si vuole dimostrare che:
.
Fissato , si consideri la disuguaglianza di Bienaymé-Čebyšëv:
;
poiché è distribuito in modo binomiale, il suo valore atteso è
e la sua varianza è
abbiamo allora che il valore atteso e la varianza di sono, rispettivamente:
Sostituendo nella disuguaglianza, si ottiene:
e, passando al limite per ,
Ma la probabilità non può essere negativa:
da cui la tesi.
Osservazioni
La legge debole dei grandi numeri non assicura che, comunque scelto , quasi certamente a partire da un certo il valore si mantenga minore o uguale a , ossia che l'insieme
sia -trascurabile. Infatti, esplicitando la definizione di limite, si trova:
ma niente sembra assicurare che non diverga per .
Dimostrazione della legge forte dei grandi numeri
Ciò è invece assicurato, nelle medesime condizioni, dalla proposizione:
che, in effetti, implica sia
sia la legge debole dei grandi numeri.
Dimostrazione delle due implicazioni
La legge forte può essere formulata, esplicitando la definizione di limite e passando al complementare, come:
che a sua volta è equivalente, trasformando il quantificatore esistenziale in un'unione, a:
e per monotonia di
da cui, per confronto, la prima implicazione. Trasformando anche gli altri due quantificatori in operazioni insiemistiche, si ha:
ma, si è in presenza dell'intersezione di una successione non crescente di insiemi, dunque per monotonia di , si ha:
e ancora:
da cui anche la seconda implicazione, ricordando che questo è valido per ogni .
Dimostrazione della legge forte
Si è già visto che l'asserto è equivalente a:
Discretizzando, come consueto nel caso dei limiti, si ha:
Per subadditività
Dunque, se quest'ultima espressione sarà nulla, si sarà dimostrata la legge forte. Essendo non negativa, si dovrà avere:
si vuole mostrare che questo è vero considerando la sottosuccessione . Si vuole applicare il lemma di Borel-Cantelli, pertanto si verifica che converga l'espressione
Per la disuguaglianza di Bienaymé-Čebyšëv si trova:
da cui:
Ma questa serie è notoriamente convergente. Pertanto,
Si noti ora che ogni numero naturale n è compreso tra due quadrati consecutivi:
da cui
si noti ora che è la massima differenza possibile tra e , da cui:
pertanto:
ora però si ha , dunque:
passando al limite () e applicando il risultato ottenuto per , si ottiene che, quasi certamente:
il che conclude la dimostrazione.
Note
Voci correlate
Campionamento statistico
Distribuzione di Bernoulli
Probabilità
Statistica
Quasi certamente
Teorema della scimmia instancabile
Altri progetti
Collegamenti esterni
Inferenza statistica
grandi numeri
Psicometria |
2587 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lituania | Lituania | La Lituania (AFI: ; ; ), ufficialmente Repubblica di Lituania (; ), è uno Stato membro dell'Unione europea, confinante a nord con la Lettonia, a est con la Bielorussia, a sud con la Polonia e a sud-ovest con l'exclave russa dell'Oblast' di Kaliningrad, mentre a ovest è bagnata dal mar Baltico. Ha una superficie di e 2 793 397 abitanti. Fa parte dell'area geopolitica dei Paesi Baltici, di cui è lo Stato più meridionale e il più popoloso.
Abitata per secoli da numerose tribù, la Lituania venne unificata nel XIII secolo da Mindaugas, costituendo prima un Regno e poi un Ducato. Ultima nazione europea ad abbandonare il paganesimo, tra XIV e XV secolo ebbe una rapida espansione territoriale, fino a diventare la nazione più estesa d'Europa, il cui controllo copriva anche l'odierna Bielorussia e le regioni occidentali dell'Ucraina. Nel 1569 il Granducato di Lituania formò una confederazione col vicino Regno di Polonia e assieme a quest'ultimo subì, nella seconda metà del XVIII secolo, varie spartizioni territoriali, fino all'annessione all'Impero russo nel 1795.
Tornata indipendente nel 1918, la Lituania, assieme alle confinanti Lettonia ed Estonia, venne occupata e annessa all'Unione Sovietica nel 1940, in base a quanto previsto dal patto Molotov-Ribbentrop, come RSS Lituania. Dopo l'occupazione tedesca, segnata dalla persecuzione degli ebrei e da vari eccidi, nel 1944 ritornarono le truppe sovietiche, contro le quali operò per quasi un decennio una resistenza armata. Nel 1990 fu la prima tra le repubbliche sovietiche a dichiarare la propria indipendenza.
La Lituania è uno Stato membro dell'ONU, della NATO, del Consiglio d'Europa, dell'OCSE. Il 1º gennaio 2015 ha adottato l'euro, sostituendolo al litas. È una Repubblica semipresidenziale, il cui attuale Presidente è Gitanas Nausėda, mentre il Ministro presidente è Ingrida Šimonytė.
Etimologia
Il nome "Lituania" comparve per la prima volta nel 1009 negli Annali di Quedlinburg. La sua etimologia è fonte di dibattito: una credenza popolare vuole che "Lietuva" derivi dalla parola "lietus" (pioggia), ma la presenza del suffisso -uva e la mancanza di prove convincenti rende tale spiegazione poco plausibile. Un'altra teoria vorrebbe il toponimo derivato dal Lietava, corso d'acqua della Lituania centrale; tuttavia le sue ridotte dimensioni renderebbero il passaggio da idronimo a toponimo altamente improbabile.
Storia
I primi insediamenti nel territorio dell'odierna Lituania si formarono dopo l'ultima glaciazione nel decimo millennio a.C. I Protoindoeuropei, che arrivarono tra il terzo ed il secondo millennio a.C., si mescolarono con la popolazione locale, formando così le tribù baltiche.
La prima menzione scritta del nome "Lituania" si trova in un manoscritto tedesco del monaco Bruno di Querfurt, Annali di Quedlinburg, e risale al 9 marzo 1009.
La Lituania nel Medioevo
Inizialmente abitate da tribù baltiche frammentate, negli anni trenta del XIII secolo le terre lituane furono unite da Mindaugas (si suole parlare di Ducato di Lituania), incoronato Re di Lituania il 6 luglio 1253. Dopo l'assassinio di Mindaugas nel 1263, la religione pagana della Lituania divenne un obiettivo delle crociate dei Cavalieri Teutonici e dell'Ordine livoniano. Malgrado un plurisecolare conflitto portato avanti con i crociati, il Granducato di Lituania si espanse notevolmente nei territori dell'Europa orientale, diventando infine lo Stato europeo più esteso nel XV secolo. Si ricorda inoltre la potente regina Ingrida, che ascese al potere con le sue uniche forze e quindi venne molto amata dai sudditi lituani sia per la sua intelligenza sia per la sua forza d'animo.
La Confederazione polacco-lituana
Nel XIV secolo fu cristianizzata in seguito al matrimonio del granduca Jogaila con la regina Edvige di Polonia e alla conseguente unione personale delle due corone.
L'unione delle due corone si trasformò in confederazione con il trattato di Lublino nel 1569 assumendo il nome di Rzeczpospolita ("Repubblica") e successivamente quello di Rzeczpospolita Oboiga Narodów ("Repubblica dei Due Popoli") formando così la Confederazione polacco-lituana.
I due paesi rimasero uniti fino alla spartizione della Polonia nel 1795, quando la Lituania fu annessa all'Impero russo.
Dominio russo e indipendenza
Con la rivolta di Novembre del 1830 contro i russi, si diede il via alla guerra russo-polacca, che finì nel 1831 con la vittoria russa e la definitiva occupazione zarista della Lituania.
All'inizio del XX secolo iniziò a formarsi un movimento culturale che stimolava, soprattutto con la promozione dell'uso della lingua lituana, la formazione di una coscienza nazionale: tale periodo è noto come il Risveglio nazionale lituano. Contro tale spinta, le autorità russe risposero vietando la pubblicazione di opere in lingua lituana che utilizzassero l'alfabeto latino e reprimendo militarmente i movimenti di carattere indipendentista.
Durante la prima guerra mondiale sotto il comando di Paul von Hindenburg e del capo di stato maggiore Erich Ludendorff, l'esercito tedesco invase la Lituania e respinse le truppe russe sulla loro frontiera negli anni 1914-15 e bloccò fino all'inizio del 1918 il fronte orientale in modo abbastanza stabile. Ciò permise l'istituzione di un'amministrazione militare in Lituania sotto la diretta tutela dell'comando tedesco col nome di Ober Ost, affidata a Ludendorff.
Nel febbraio 1918 fu firmato il trattato di Brest-Litovsk, in cui l'URSS rinunciava a qualunque pretesa territoriale sui Paesi baltici, la Lituania si dichiarò indipendente il 16 febbraio 1918 con l'Atto d'Indipendenza redatto dal Consiglio della Lituania, e il 4 aprile 1919, terminata la prima guerra mondiale, si costituì in repubblica. Lo stato del primo dopoguerra fu egemonizzato dalla figura di Antanas Smetona. Dopo la dichiarazione d'indipendenza della Lituania (16 febbraio 1918), egli fu eletto presidente della Repubblica nel 1919, conservando tale carica fino al giugno 1920. Nel dicembre 1926, in seguito a un colpo di Stato conservatore e autarchico, venne eletto nuovamente presidente della Repubblica e il mandato gli fu confermato nel 1930 e nel 1938. Il nuovo Stato rifiutò l'ipotesi di ristabilire l'unione con la Polonia (proposta effettuata nell'ambito della contesa e controversa situazione determinata dalla costituzione della Lituania Centrale). La nominativa capitale - Vilnius - fu contesa con lo Stato polacco fino al 1939, quando i sovietici, invadendo la Polonia insieme ai tedeschi passarono parte della regione di Vilnius alla Lituania, mentre la regione di Klaipėda fu acquisita nel 1923 e successivamente ceduta ai tedeschi nel 1939 dopo un ultimatum.
L'occupazione sovietica
In base al patto Molotov-Ribbentrop del 1939, la Lituania fu assegnata alla sfera d'influenza tedesca, ma dopo pochi mesi, in cambio di una maggior porzione del territorio della Polonia occupato dall'Unione Sovietica, la Germania accettò l'occupazione della Lituania da parte dei sovietici, che occuparono il Paese in seguito a un ultimatum, fondando così la Repubblica Socialista Sovietica Lituana. Furono istituite nuove strutture politiche ed economiche secondo il modello comunista, affidate a un Partito Comunista Lituano sottoposto al ferreo controllo di Mosca. Gli Stati Uniti d'America, con la dichiarazione di Welles (23 luglio 1940), notificarono all'Unione Sovietica che essi non avrebbero mai riconosciuta come legittima tale annessione.
Vennero collettivizzate le terre coltivabili e fondati grandi complessi industriali. Molti contadini vennero costretti a stabilirsi nei centri urbani. Le autorità occupanti provvidero a una sistematica politica di depauperamento della cultura lituana: ogni manifestazione esteriore dell'identità culturale lituana venne proibita, mentre il patrimonio artistico venne duramente danneggiato (molte chiese cattoliche, simbolo della devozione popolare lituana, vennero chiuse o spogliate delle loro opere d'arte o distrutte). Inoltre si verificò una massiccia immigrazione russa allo scopo di costituire un nucleo russofono delle strutture politico–economiche del Paese. Tali misure repressive provocarono conflitti tra le autorità e la popolazione: una testimonianza di tale periodo storico è il romanzo Avevano spento anche la luna di Ruta Sepetys.
L'invasione nazista
Il 22 giugno 1941 la Germania avviò l'operazione Barbarossa; la Lituania, in quanto regione limitrofa, fu immediatamente coinvolta nell'invasione. La regione comprendeva circa 2 milioni di abitanti di etnia autoctona e circa 250 000 persone di etnia ebraica, che nei secoli si erano integrati nel tessuto sociale ed economico del paese. Vilnius fu una delle prime città a essere conquistate: il 24 giugno 1941, le prime unità della Wehrmacht entrarono nella città. Nello stesso giorno, i tedeschi entrarono anche a Kaunas, da cui l'Armata Rossa si era ritirata il giorno precedente. Appena giunti, i tedeschi imposero immediate misure restrittive nei confronti della popolazione ebraica. Sui muri delle case apparve questa ordinanza:
Ai tedeschi si unirono gruppi militari lituani che rivendicavano l'autonomia del Paese baltico dall'URSS, e che si accanirono al pari dei tedeschi nei confronti degli ebrei. Tra il 25 e il 27 giugno i nazionalisti lituani, capeggiati da Algirdas Jonas Klimaitis, si macchiarono a Kaunas di alcune delle azioni più violente e brutali di tutta la storia della Shoah. A Ponary (oggi un quartiere occidentale di Vilnius) dal luglio 1941 sino al 1944 le truppe ausiliarie lituane, reclutate tra i volontari collaborazionisti, le Ypatingasis būrys (nome originale lituano della formazione), sotto sovrintendenza tedesca massacrarono, in fucilazioni di massa, circa 100 000 persone, di cui 60 000 o 70 000 erano ebrei, circa 20 000 erano esponenti della classe dirigente polacca. Le rimanenti vittime finirono a Ponary in quanto accusate di comunismo. Viceversa molti lituani invece rischiarono la vita o furono uccisi nel tentativo di aiutare gli ebrei come la dottoressa Elena Kutorgene-Buivydaite (proclamata nel dopoguerra Giusto tra le Nazioni) che mise a repentaglio la sua stessa vita per salvare molti ebrei.
Il 15 agosto 1941, i nazisti istituirono il ghetto di Kaunas: situato nel quartiere di Slobodka, ospitava circa 32 000 prigionieri. Il 6 settembre 1941, venne istituito un ghetto anche a Vilnius. Inizialmente, gli ebrei furono dislocati in due quartieri, chiamati rispettivamente Ghetto I e Ghetto II. Il primo conteneva circa 30 000 persone, mentre il secondo ne racchiudeva circa 10 000.
Durante l'occupazione tedesca, perirono circa 200 000 ebrei in parte fucilati e in parte uccisi nelle camere a gas dei campi di sterminio e fu quasi totalmente annientata la classe dirigente di Vilnius costituita sino ad allora dall'intellighenzia polacca. Alla sconfitta dei nazisti da parte dell'Armata Rossa centomila residenti di Vilnius, un terzo della popolazione della capitale, per la maggior parte ebrei, erano stati uccisi. Vilnius prima della guerra era detta la «Gerusalemme di Lituania» e si era trasformata in uno dei più importanti centri di cultura ebraica nel mondo. Anche tra i lituani non ebrei furono migliaia le uccisioni e decine di migliaia di giovani furono deportati in Germania per lavorare.
Periodo sovietico nel dopoguerra
Dal 1945 al 1956, piccole bande armate, aiutate dalla popolazione locale, proseguirono la guerriglia nei territori rurali contro le truppe regolari russe, in ottica indipendentista. Moltissimi cittadini baltici (nella fattispecie: 50 000 estoni, 60 000 lettoni e ben 120 000 lituani), ma anche ucraini, polacchi, ungheresi, romeni, bulgari, serbi e croati si diedero infatti alla macchia per cercare di combattere con le armi i nuovi regimi istituiti da Mosca nell'Europa dell'Est. Tali movimenti furono stroncati con interventi operativi del KGB e dell'NKVD: con il primo acronimo si fa riferimento alla polizia segreta sovietica, la quale continuò la sua attività fino al crollo dell'URSS nel 1991. Sulla base di statistiche molto parziali si calcola che nella sola Lituania, tra il primo gennaio e il 15 marzo 1945, siano state effettuate 2 257 «operazioni di pulizia».
Il risultato di tali operazioni fu la morte di oltre 6 000 «banditi» e l'arresto di oltre 75 000 fra «banditi, affiliati ai gruppi nazionalisti e disertori». In seguito alle torture, alle esecuzioni e alle deportazioni in Siberia, centinaia di intellettuali, ecclesiastici cattolici, funzionari e giovani studenti lituani sparirono; le autorità sovietiche avevano in tal modo decimato l'élite autoctona, facilitando la propria egemonia sul Paese.
Ritorno all'indipendenza lituana
Con l'inizio della glasnost l'11 marzo 1990, la RSS Lituana fu la prima repubblica baltica, occupata dai sovietici, a ritornare indipendente. Le truppe sovietiche tentarono di reprimere la ribellione, ma alla fine dovettero cedere. L'indipendenza lituana non venne ufficialmente riconosciuta sino al settembre 1991 (dopo il tentato colpo di Stato in Unione Sovietica). L'ultimo battaglione russo lasciò il Paese nel 1993.
Il 29 marzo 2004 la Lituania è entrata a far parte della NATO.
Relazioni con l'Unione europea
Il 12 giugno 1995 la Lituania firma l'accordo di associazione con la Comunità europea e i suoi Stati membri
L'8 dicembre 1995 presenta la domanda di adesione.
Il 1º febbraio 1998 entra in vigore l'accordo di associazione.
Il 10 dicembre 1998 apre i negoziati d'adesione, terminati il 13 dicembre 2002 a Copenaghen durante il Consiglio europeo.
Il 14 aprile 2003 a Bruxelles il Consiglio europeo approva l'adesione della Lituania all'Unione europea.
Il 16 aprile 2003 ad Atene la Lituania firma il trattato di adesione all'Unione europea, in vigore dal 1º maggio 2004.
L'11 settembre 2003 in un referendum popolare il 69% dei lituani approva il trattato di adesione.
Il 1º maggio 2004 entra a far parte dell'Unione europea.
Il 16 marzo 2006 la Lituania richiede che sia esaminata la sua subordinazione ai criteri di convergenza per l'adozione dell'euro.
Il 16 maggio 2006 la Banca centrale europea e la Commissione europea pubblicano le loro relazioni sul rispetto dei criteri di convergenza da parte della Lituania, nelle quali osservano che la Lituania rispetta tutti i criteri di convergenza escluso quello che riguarda la stabilità dei prezzi.
Il 21 dicembre 2007 la Lituania entra nell'area Schengen.
Il 1º gennaio 2015 la Lituania adotta l'euro come moneta nazionale.
Geografia
Morfologia
La Lituania è bagnata a ovest dal mar Baltico, dove si trova la città di Klaipėda. Lungo la costa si trovano spiagge sabbiose e dune di sabbia. Verso est il paese ha un aspetto collinare con estesi boschi; il patrimonio boschivo è però meno esteso di quello della Lettonia e dell'Estonia, essendo maggiore lo sfruttamento del suolo per le attività agricole.Il territorio Lituano è pianeggiante
Idrografia
Il fiume più lungo della Lituania è il Nemunas, il quale nasce in Bielorussia, a sud-ovest di Minsk, e dopo aver attraversato la parte meridionale della Lituania forma il confine con l'exclave russa dell'Oblast' di Kaliningrad, per poi gettarsi nella laguna di fronte all'istmo di Curlandia (Mar Baltico), anch'esso diviso politicamente tra la Lituania e la Russia.
La Lituania confina con la Polonia tra il lago di Galadusis.
Clima
Il clima in Lituania è di tipo continentale e freddo. Gli inverni sono generalmente rigidi, con temperature medie di -5 °C, che possono raggiungere facilmente i -20 °C. Gennaio e febbraio sono i mesi più freddi, mentre in estate la temperatura può raggiungere e spesso superare i 20 °C.
Le nevi sono abbondanti tra novembre e marzo e sono in genere piuttosto copiose soprattutto nella parte centrale e orientale del Paese.
Lungo la costa, presso la città di Klaipėda e sulla penisola di Neringa, gli inverni sono più miti, mentre le estati sono solitamente più fresche.
La Lituania è piuttosto piovosa. Le precipitazioni sono frequenti soprattutto in estate e lungo la costa. Raggiungono infatti i 720 mm durante l'anno sul litorale e i 500 mm nelle regioni interne.
Le ore di luce sono scarse in inverno, mentre in estate, in particolare tra maggio e giugno, il sole tramonta dopo le 22, lasciando alla notte il chiarore tipico delle zone boreali.
La giornata più lunga è quella della notte di San Giovanni, quando le città si svuotano e chi può si reca ai laghi a godere del chiarore della notte più breve dell'anno.
Nelle Repubbliche baltiche e in Finlandia, come in tutto il Nord Europa del resto, una delle feste più importanti dell'anno è proprio quella del solstizio d'estate (la notte di San Giovanni), quando la notte è brevissima e il cielo non diventa buio, ma appena blu.
Rispetto alla vicina Lettonia, all'Estonia e all'Europa scandinava, la Lituania gode tuttavia di maggiore equilibrio nell'alternanza di giorno e notte grazie alla sua posizione più meridionale. Le notti boreali sono dunque un po' più brevi rispetto a quelle dei Paesi a loro vicini, mentre in estate, la luce del giorno dura un po' meno a lungo.
Popolazione
Demografia
La popolazione lituana è scesa nel 2017 a soli 2 849 000 abitanti (da oltre 3,3 milioni nel 2006) in seguito alle emigrazioni massicce e senza sosta dagli anni 1990 e al tasso estremamente alto di suicidi, che raggiunse l'apice di 45 suicidi su 100.000 persone nel 1995. Anche se il tasso di suicidi è calato in modo costante con gli anni, è ancora il quindicesimo più alto del mondo e il più alto di tutta l'Unione Europea, con circa 20 suicidi su 100.000 persone nel 2019, che secondo diversi studi dovuto a molteplici motivi: la situazione di crisi economica dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica, alcolismo, mancanza di tolleranza dalla società, bullismo, scarsa disponibilità di servizi psicologici e psichiatrici e mancanza di una politica di prevenzione dei suicidi efficace. Il suicidio è inoltre una causa di morte elevatissima per prigionieri e arrestati secondo uno studio del 2017, diverse volte più alta della media.
Etnie
L'86,7% della popolazione è di etnia lituana e parla lituano (una delle due lingue baltiche ancora esistenti), unica lingua ufficiale dello Stato (ultimo sondaggio non riportato sopra del 2015). Esistono inoltre numerose altre minoranze come quella russa (4,8%), quella polacca (5,6%) e quella bielorussa (1,3%), tutte parlanti le loro rispettive lingue. La Lituania è lo Stato baltico con la minor presenza di popolazione di etnia russa, rispetto a Estonia (25% circa) e Lettonia (29,6%).
I polacchi sono la minoranza più consistente e si concentrano nel Sud-est (specialmente presso la regione di Vilnius). I russi si concentrano prevalentemente nelle città, in particolare a Vilnius, Klaipėda e Visaginas dove rappresentano rispettivamente il 14%, il 28% e il 52% della popolazione. In Lituania vivono anche circa 3 000 rom, specialmente nella capitale, a Kaunas e a Panevėžys.
Sono presenti anche i Caraimi, popolazione originaria della Crimea, ormai ridotta a poche centinaia di persone, che vive in caratteristiche case nella cittadina di Trakai, vicino all'omonimo lago. Seguono le percentuali dei gruppi etnici secondo i dati del censimento non riportato del 2015:
Lituani 86,7%
Polacchi 5,6%
Russi 4,8%
Bielorussi 1,3%
Ucraini 0,7%
Ebrei 0,1%
Tedeschi 0,1%
Tatari 0,1%
Lettoni 0,1%
Rom 0,1%
altri (armeni, estoni, altri) 0,4%
.
Religione
Ufficialmente si dichiarano cattolici il 79% dei lituani, atei e agnostici il 15%, ortodossi il 4%, protestanti il 2%.
La Lituania è stata l'ultimo Paese europeo a essersi convertito al cristianesimo nel 1387 e sono tuttora vive alcune tradizioni che risalgono al paganesimo. Per esempio, dopo aver festeggiato la vigilia di Natale il tavolo non va sparecchiato (fatta eccezione per i coltelli), per lasciare cibo agli spiriti dei parenti deceduti, e appena finita la cena si dovrebbero fare tre giri intorno al tavolo prima di posare il cucchiaio.
Nei pressi della città lituana di Šiauliai esiste un luogo di pellegrinaggio chiamato Collina delle Croci, meta di turisti.
Lingue
La lingua ufficiale è il lituano. Vi sono minoranze russe e polacche.
Ordinamento dello Stato
Il capo di Stato della Lituania è il Presidente della Repubblica, eletto direttamente dai cittadini per un mandato di 5 anni rinnovabile una volta. Il suo incarico è in gran parte rappresentativo, con però anche importanti funzioni negli affari esteri e nella sicurezza nazionale; il Presidente è infatti il Comandante in capo delle forze armate. Il Presidente, con l'approvazione del parlamento unicamerale lituano, Seimas, nomina il Primo ministro e, successivamente, il resto del Gabinetto di governo.
Il Presidente della Repubblica in carica è Gitanas Nausėda.
Il Parlamento lituano (Seimas) è formato da 141 deputati; circa metà dei membri (71) sono eletti nelle singole costituenti, mentre l'altra metà viene eletta a livello nazionale con sistema proporzionale. Per accedere al Parlamento, un partito deve ricevere almeno il 5% dei voti, e una coalizione multipartitica almeno il 7%.
La Costituzione della Lituania (Lietuvos Respublikos Konstitucija) è del 25 ottobre 1992.
Suddivisioni storiche e amministrative
La Lituania è costituita da 10 contee (apskritys, singolare - apskritis), ognuna è chiamata con il nome del proprio capoluogo. Le contee sono a loro volta suddivise in 60 comuni. Questa suddivisione amministrativa fu introdotta nel 1994.
Contea di Alytus (Alytaus apskritis)
Contea di Kaunas (Kauno apskritis)
Contea di Klaipėda (Klaipėdos apskritis)
Contea di Marijampolė (Marijampolės apskritis)
Contea di Panevėžys (Panevėžio apskritis)
Contea di Šiauliai (Šiaulių apskritis)
Contea di Tauragė (Tauragės apskritis)
Contea di Telšiai (Telšių apskritis)
Contea di Utena (Utenos apskritis)
Contea di Vilnius (Vilniaus apskritis)
Città principali
Le principali città sono:
Vilnius, capitale del paese (580 020 ab nel 2020), sorge alla confluenza dei fiumi Vilnia e Neris.
Kaunas (289 380 ab.), principale centro industriale del Paese e importante centro universitario, sorge sulle sponte dei fiumi Nemunas e Neris, a circa 100 km a ovest della capitale.
Klaipėda, in tedesco Memel (184 657 ab. nel 2010), importante porto sul breve canale che mette in comunicazione il Baltico con la laguna dei Curi, e separa la città dall'omonima penisola (o penisola di Neringa).
Šiauliai (133 900 ab. nel 2010), situata a nord del Paese, lungo l'autostrada E77 che collega Riga a Kaliningrad, e vicina alla Collina delle Croci, importante luogo di pellegrinaggio.
Panevėžys (113 653 ab. nel 2009), nella parte settentrionale del Paese, sulle rive del fiume Nevėžis, a metà strada (circa 130 km) fra Riga e Vilnius.
Alytus (65 524 ab. nel 2010), centro storico della regione della Dzūkija, sulle sponde del fiume Nemunas, si trova a 72 km a sud di Kaunas e 110 km a sud-ovest di Vilnius.
Marijampolė (47 244 ab. nel 2007), nella parte sud del Paese, 60 km a sud-ovest di Kaunas, verso il corridoio di Suwałki al confine con la Polonia.
Istituzioni
Il capo di Stato lituano è il presidente, che viene eletto direttamente con un mandato di cinque anni e ha la responsabilità della politica estera e della sicurezza. Il presidente, con l'approvazione del parlamento, nomina il primo ministro e il resto del governo, come anche numerose altre alte cariche pubbliche e i giudici di tutte le corti inclusa quella costituzionale (Konstitucinis Teismas).
Il parlamento unicamerale lituano (Seimas), ha 141 membri che vengono eletti con un mandato di quattro anni. Circa metà di essi vengono eletti in collegi elettorali (71), mentre l'altra metà (70) viene eletta a livello nazionale con un sistema proporzionale. Un partito deve ricevere almeno il 5% di voti nazionali per essere rappresentato nella Seimas.
Ordinamento scolastico e Università
Nel 1579 venne fondata da re Stefano I Báthory l'Università di Vilnius, la più antica università della Lituania. Nel territorio lituano è presente un numero elevato di università e si trovano in città come Vilnius, Kaunas, Klaipėda e Šiauliai.
Sistema sanitario
Il sistema sanitario in Lituania ė privato e pubblico. I maggiori ospedali sono presenti nelle città come Vilnius, Kaunas e Klaipėda. I medici offrono servizi di livello, ma l'unica problematica è legata alla scarsa conoscenza della lingua inglese.
Forze armate
Le Lietuvos kariuomenės Sausumos pajėgos costituiscono le forze armate della Lituania.
Politica
Diritti civili
Economia
L'economia lituana è cresciuta velocemente gli ultimi anni, tanto da meritare al Paese la nomea di "Tigre del Baltico".
Importanti settori economici sono i mobilifici, le industrie tessile e alimentare. Il recente ingresso del Paese nell'Unione europea (2004) ha contribuito ad accelerare questo processo, basato sulla privatizzazione delle aziende e la modernizzazione delle principali industrie. Superata la dipendenza commerciale ed energetica dell'URSS, oggi l'economia lituana punta molto sull'industria metallurgica, mineraria (torba, ferro e petrolio) e tessile, settori concentrati nei poli urbani di Vilnius e Kaunas. Molto importante l'industria alimentare (pesca) sviluppata nella città costiera di Klaipeda. L'economia agricola che ha caratterizzato il recente passato del Paese è ancora ben radicata nel territorio, rilevanti sono le produzioni di segale e lino, l'allevamento bovino, la produzione di latticini e la silvicoltura. Nel 2003 la Lituania ebbe il più alto tasso di crescita fra i Paesi candidati all'ingresso nell'Unione europea, arrivando a quota 8,8% nel terzo quadrimestre dell'anno. La valuta nazionale dal 2015 è l'Euro. La Lituania svolge inoltre un'importante funzione di Paese di transito per gli oleodotti.
I settori produttivi della Lituania sono così divisi: primario 5,3%; secondario 35,3%; terziario 59,4%.
Trasporti
Strade
Il Paese ha una rete stradale sviluppata e svolge un importante ruolo come Paese di transito tra l'Europa centrale e il Nord Europa e tra l'exclave russa di Kaliningrad e la Russia, nonché tra la Bielorussia e i Paesi scandinavi.
Viene attraversata dall'autostrada E67 "Via Baltica" che collega Varsavia con Helsinki via Kaunas, Riga e Tallinn, e dall'autostrada Vilnius-Kaunas-Klaipėda.
Ferrovie
La rete ferroviaria è gestita dalla Lietuvos geležinkeliai, compagnia nazionale di proprietà statale.
Il sistema ferroviario lituano adotta lo scartamento largo russo di 1 520 mm, in analogia con le altre Repubbliche baltiche. Nel periodo 2007-2020 è prevista la costruzione di una "ferrovia baltica" che interesserebbe le tre Repubbliche baltiche.
Per coprire le lunghe distanze le ferrovie rappresentano uno dei più importanti mezzi di trasporto in Lituania.
La rete ferroviaria con scartamento largo russo permette il collegamento con la Russia, Bielorussia e Lettonia. La principale linea di collegamento tra la Russia e l'exclave russa di Kaliningrad passa in territorio lituano Kybartai.
La lunghezza totale della linea è di 1 905 km, la densità è di 29,2 km per 1 000 km².
Nel 1993, grazie all'adattamento alle normative comunitarie delle ferrovie lituane, al confine polacco presso la città di Šeštokai è stato aperto uno snodo di interscambio e cambio di scartamento con quello a scartamento standard da 1 435 mm delle ferrovie polacche, e quindi con il resto dell'Europa. Quindi la Lituania ora conta 334 km di ferrovia sul cosiddetto "Corridoio di Creta" (Varsavia-Mockava-Šeštokai-Kaunas-Riga-Tallinn-Helsinki).
Questo punto di transito sta acquisendo importanza, anche grazie all'entrata di Polonia e Lituania nell'UE, rispetto alle rotte alternative che passano per la Bielorussia.
Le ferrovie lituane sono percorse da treni merci e passeggeri lettoni, estoni, russi, bielorussi e ucraini. La Lituania è collegata direttamente con la Russia, la Bielorussia, la Lettonia, la Polonia e la Germania. Gli scali maggiori sono Vilnius, Kaunas, Klaipėda, Šiaulai, Marijampolė, Ignalina, Varėna e Rukiškis.
Ambiente
Flora e fauna
In Lituania vivono 70 specie di mammiferi, tra cui alci, cinghiali e linci, e le zone umide del delta del Nemunas sono un'importante area di nidificazione di uccelli, come la cicogna. Il castoro, il bisonte e il cervo europeo sono stati reintrodotti. Nei parchi nazionali si riproduce il lupo; a Dzūkija è presente la biscia dal collare, mentre quasi dappertutto volano grandi comunità di pipistrelli. La rara tartaruga d'acqua dolce si riproduce in alcuni laghi della Lituania.
Il 30% del territorio nazionale è ricoperto da foreste, in cui predominano il pino, l'abete rosso e la betulla. Non stupisce che gli alberi costituiscano una fonte di grande orgoglio per i lituani, che trattano i più antichi con molto rispetto e danno loro nomi come Kapinių pušis (Pino del cimitero) e Ragaonos uosis (Frassino della strega). Nell'era pagana si diceva che gli alberi ospitassero le anime dei morti e che i soldati morti in battaglia si trasformassero in alberi. Un secolo fa furono intagliati degli alveari in cima ai tronchi di pino (in modo che gli orsi bruni non sottraessero il miele); se ne vedono ancora molti nel Parco Nazionale di Dzūkija.
I parchi di Dzūkija e Žemaitija sono ricchi di fauna e proteggono entrambi più di 1 000 specie animali. Nel Parco Nazionale di Aukštaitija si trovano fiori rari, tra cui la ninfea bianca, l'epipogio, l'hammarbia e l'astragalo peloso. La calcatreppola marittima è sempre più rara sulle dune della penisola curlandese a causa della raccolta incontrollata e non autorizzata.
Problemi ambientali
L'Unione europea sta investendo un'ingente quantità di denaro per la difesa dell'ambiente: tra il 2004 e il 2006 per la sola Lituania sono stati stanziati 307,05 milioni di euro in fondi di coesione e 32,8 milioni di euro in fondi strutturali.
Per anni la questione più scottante è stata quella della centrale nucleare di Ignalina, a 120 km a nord di Vilnius. Uno dei due reattori, simili nella progettazione a quello di Chernobyl in Ucraina, è stato disattivato nel dicembre del 2004; con la chiusura definitiva della centrale, nel 2009, si è posto il serio problema di come smantellare questa struttura con il minor costo per l'ambiente. L'operazione, tuttora in corso, costerà almeno 3,2 miliardi di euro, erogati in massima parte da Bruxelles.
Resta la fondamentale questione di come produrre energia. Ancora nel 2009 solo il 3,7% dell'elettricità veniva ricavata da fonti rinnovabili (tra cui centrali idroelettriche ed eoliche), ma attualmente tale quota è salita al 27,9%.
Le estrazioni petrolifere nel campo D-6 della regione di Kaliningrad, a 22 km dalla costa e 500 m a valle del confine tra la Lituania e la Russia, minacciano la penisola curlandese e il Mar Baltico. Alla fine degli anni 1980, grazie a proteste pubbliche, si è riusciti a evitare che l'URSS speculasse su questo giacimento, stimato in 24 milioni di tonnellate di petrolio. Ma nel giugno del 2004 il gigante petrolifero russo Lukoil ha dato avvio alle perforazioni. Grandi manifestazioni di protesta nel 2005 hanno indotto il Consiglio d'Europa a intervenire: l'organismo ha riconosciuto che le pratiche operative della trivellazione sono corrette ma ha posto l'accento sull'enorme rischio che la prossimità dell'impianto pone alla penisola e ha chiesto alla Lituania e alla Russia di cooperare con maggiore impegno nella protezione della sua linea costiera, divisa tra i due Paesi.
Anche il trasporto del petrolio, al pari della sua estrazione, costituisce una minaccia ambientale per tutti e tre i Paesi baltici.
Cultura
Letteratura
La pubblicazione del primo libro in lingua lituana risale al 1547 quando Martynas Mažvydas scrisse e pubblicò nell'attuale Karaliaučius (Kionigsberg) un catechismo (Catechismus prasti žadei). Nei secoli seguenti la letteratura lituana è soprattutto di carattere religioso.
Nel 1818 apparvero il poema nazionale lituano Le stagioni di Kristijonas Donelaitis e alcune liriche e poemi di Antanas Strazdas, divenuti in seguito canti popolari.
Nell'epoca della dominazione russa zarista fu chiusa l'università di Vilnius e lo zar Alessandro II proibì la pubblicazione di opere in caratteri latini. Ciò diede vita al fenomeno dei "portalibri", che importavano opere in lituano pubblicate nella vicina Prussia o negli Stati Uniti.
Il principale poeta dell'epoca del risorgimento lituano fu Jonas Mačiulis, più noto come Maironis, e vicino allo stesso movimento fu anche il poeta lituano-polacco Adam Mickiewicz, aderente a gruppi irredentisti e autore di diverse opere dedicate alla causa lituana. Sempre alla stessa corrente apparteneva Jonas Basanavičius. Contemporaneamente vi fu anche un movimento realista, il cui esponente più noto fu Vincas Kudirka, l'autore dell'inno nazionale.
Nell'epoca dell'indipendenza gli autori lituani si avvicinarono alle tendenze delle avanguardie europea (simbolismo, futurismo ed espressionismo) e Il fulcro della vita culturale si spostò a Kaunas. A questo periodo appartengono il poeta e traduttore Jurgis Baltrušaitis, che fu ambasciatore lituano a Mosca, il poeta Oskar Miłosz, che fu incaricato d'affari di Lituania in Francia e presso la Società delle Nazioni a Ginevra, e il romanziere e drammaturgo Vincas Mickevičius, autore di diversi drammi storici.
Nel secondo dopoguerra e con l'occupazione sovietica e l'avvento del realismo socialista, diversi scrittori e letterati emigrarono al fine di allontanarsi dagli argomenti dell'ortodossia sovietica. Destinazione principale furono gli Stati Uniti, e a Chicago venne costituita una società letteraria e diversi giornali. Tra gli esponenti più noti vi sono lo storico dell'arte Jurgis Baltrusaitis, figlio dell'omonimo poeta, il semiologo Algirdas Greimas, il drammaturgo Jonas Grinius e i poeti Tomas Venclova e Jonas Aistis.
Juozas Aputis, Birute Baltrušaityte, Marius Ivaskevicius, Saulius Tomas Kondrotas, Jurgis Kuncinas, Danielius Musinskas, Giedra Radvilaviciute, Bronius Radzevicius, Renata Serelyte sono solo alcuni degli scrittori più conosciuti del secondo Novecento, tradotti in italiano dalla Books & Company editore e raccolti nel libro Altre voci.
Teatro
In campo teatrale è da ricordare la figura del regista Eimuntas Nekrošius (1952-2018), autore di diverse produzioni teatrali.
Mitologia
La mitologia lituana presenta alcune similitudini con la mitologia baltica.
Musica
Come anche gli altri Stati baltici la Lituania ha una ricca tradizione di musiche popolari, la cui manifestazione più nota sono i dainos, canti popolari di diverso argomento, tradizionalmente cantati dalle donne, che sono il fulcro dei numerosi festival di canti tradizionali. Canti popolari polivocali caratteristici sono detti sutartine. Nel 2010, sono stati inseriti nella Lista dei patrimoni dell'umanità stilata dall'UNESCO.
La Lituania, insieme agli altri Paesi baltici, può essere considerata una delle culle della canto corale, in quanto vi si trovano numerosissimi cori polifonici di altissima levatura tecnico artistica.
Il compositore lituano classico più noto è Mikalojus Konstantinas Čiurlionis (1875-1911), autore di oltre duecento opere musicali nonché pittore. Il grande soprano e mezzosoprano Violeta Urmana (Marijampole) è un'icona nazionale e star internazionale dell'opera lirica. Il Paese ha dato inoltre i natali al gruppo rock Biplan. Da non dimenticare la nascita di uno dei più grandi violinisti del Novecento, Jascha Heifetz
Tra le musiciste lituane del XX secolo spicca Clara Rockmore, mentre per il genere pop spicca Monika Marija e ancora per il genere pop e art rock ricordiamo Jurga Šeduikytė.
Cinema
Tra i registi cinematografici spiccano Šarūnas Bartas e Gytis Lukšas.
Tra i film premiati ricordiamo Trys dienos (1991), di Šarūnas Bartas, premiato al Festival internazionale del cinema di Berlino e al Festival internazionale del cinema di Porto.
Pittura
Tra i pittori distintisi tra il XIX e il XX secolo ricordiamo Mikalojus Konstantinas Čiurlionis, anche noto compositore, esponente del simbolismo e creatore di opere astratte.
Architettura
Tra il XII e il XIII secolo la Lituania pagana subì l'influsso della cultura russo-bizantina. Castelli-fortezze a pianta poligonale furono costruiti dal XIII secolo (senza torri) al 14º-15º (con due o più torri) come difesa dai crociati e dai barbari. Con il cattolicesimo furono poi introdotti modi gotici nella costruzione delle chiese che pure mantennero caratteristiche locali (S. Anna a Vilnius, chiesa in «gotico lituano», XVI secolo). Elementi gotici si ritrovano anche in edifici privati e pubblici del XV-XVI secolo. L'architettura, la miniatura e l'incisione nel XVI secolo furono fortemente influenzate dal Rinascimento italiano, tedesco e dei Paesi Bassi. Tra le varie costruzioni barocche spicca la chiesa del monastero di Pažáislis (presso Kaunas), costruita dagli italiani L. Fredo e P. Puttini all'inizio del XVIII secolo, con affreschi dell'italiano Del Bene, primi esemplari pittorici di qualche rilievo (gli affreschi che ornavano le chiese ortodosse sono tutti andati perduti). L'architettura neoclassica (J.B. Knackfuss, L. Stuoka Gucevičius) dominò fino al primo quarto del XIX secolo. Pittura e scultura neoclassica ebbero il loro centro nella Scuola artistica di Vilnius con lo scultore K. Jelskis e il pittore P. Smuglevičius.
Nella seconda metà del XIX secolo, accanto all'eclettismo architettonico, pittura e scultura si svolsero in senso romantico e realistico. Dal 1907 furono organizzate dall'Associazione artistica lituana mostre di arte nazionale (pittore significativo fu M.K. Čiurlionis). Dopo la prima guerra mondiale il costruttivismo architettonico ebbe validi rappresentanti in V. Dubeneckis e V. Žemkalnis-Landsbergis, mentre la pittura continuava a seguire l'indirizzo realistico (scuola artistica di Kaunas, con J. Vienožinskis). Da ricordare poi il notevole sviluppo dell'arte popolare: croci di legno di tipo tutto particolare, cappelle votive, tessuti, ricami.
Dopo la seconda guerra mondiale un'intensa attività urbanistico-architettonica si è applicata in nuovi piani regolatori (Vilnius: arch. V. Mikučianis e K. Bučas; Klaipėda: arch. V.S. Revzin), in nuovi quartieri industriali, con case di abitazione di tipo intensivo, realizzati con largo impiego di elementi prefabbricati. L'architettura lituana del XX-XXI secolo è caratterizzata dall'attività di studi quali Paleko ARCH Studio o Vilnius Architectural Studio. Dagli anni 1950 molti artisti lituani si erano trasferiti negli Stati Uniti e in Europa; negli anni 1960 e 1970 erano emersi artisti formatisi all'estero, come il pittore K. Zapkus o lo scultore A. Brazdys, astrattisti. In relazione con le esperienze occidentali, si richiamano all'eredità culturale del Paese i pittori A. Savickas e V. Kisarauskas e gli scultori T.K. Valaitis e V. Vildžiunas; nell'ambito dell'astrattismo opera K. Zimblytė, suggestioni simboliste informano la pittura di L. Katinas. Negli anni 1980 si assiste a uno sviluppo della scultura (G. Karalius, S. Kuzma, P. Mazuras, M. Navakas, V. Urbanavičius, K. Jaroševaitė). Negli anni 1990 le giovani generazioni di artisti prediligono forme espressive diverse, come arte oggettuale, installazioni, video, performances e azioni (gruppi Foglia verde; Post-Ars, costituito da artisti come lo scultore R. Antinis e il pittore A. Andriuškevičius; Z. Kempinas; D. Liškevičius). Si ricordano ancora M. Navakas (sculture di matrice concettuale e monumentali sculture-oggetto in spazi pubblici); E. Rakauskaite (videoinstallazioni con interesse per l'arte femminile contemporanea); D. Narkevičius (film e video su temi storico-politici).
Patrimoni dell'umanità
Quattro siti della Lituania sono stati iscritti nella Lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
Ceramica
Tra i settori più sviluppati vi è senza dubbio quello della ceramica. In particolare, la Lituania è famosa in tutto il mondo per la produzione di ceramica nera, una tradizione che affonda le sue radici nell'età della pietra.
Scienza e tecnologia
Chimica
In ambito chimico ricordiamo la figura di Aaron Klug, premio Nobel per la chimica, nel 1982 per i suoi studi sullo sviluppo della microscopia elettronica cristallografica e il suo contributo nell'ambito della biologia molecolare.
La Lituania nello spazio
9 gennaio 2014: vengono lanciati i satelliti LituanicaSAT-1 e LitSat-1, i primi due satelliti lituani.
Sport
Pallacanestro
Normalmente, tra i vari sport, la pallacanestro (krepšinis) è considerato sport nazionale lituano. Infatti esso è popolare in Lituania tanto quanto nelle comunità lituane all'estero. Questo sport arrivò in Lituania attraverso le comunità lituano-americane negli anni 1930. Tale sport è praticato soprattutto in campo maschile: infatti, la nazionale di pallacanestro della Lituania ha vinto la medaglia di bronzo ai Giochi olimpici del 1992, del 1996 e del 2000 (quando la squadra lituana arrivò vicinissima a battere in semifinale gli Stati Uniti, fallendo il sorpasso all'ultimo secondo per un errore su un tiro da tre punti di Šarūnas Jasikevičius).
Atletica leggera
Anche l'atletica leggera è praticata discretamente nella Lituania, e ha raggiunto un discreto successo soprattutto grazie al lanciatore di disco Virgilijus Alekna, vincitore di due medaglie d'oro olimpiche, rispettivamente a Sydney 2000 e ad Atene 2004, di altrettante medaglie d'oro mondiali, rispettivamente ai Campionati di Parigi 2003 e Helsinki 2005 e dell'oro a Göteborg 2006. Oltre a Virgilijus Alekna, un altro atleta lituano importante, anch'egli specializzato nel lancio del disco, è stato Romas Ubartas, vincitore dell'oro olimpico in tale specialità a Barcellona 1992, oltre a un argento olimpico e un oro europeo conquistati sotto le insegne dell'Unione Sovietica.
Ciclismo
Il ciclismo su strada è discretamente praticato, soprattutto in ambito femminile. Protagoniste del ciclismo lituano tra anni 1990 e 2000 sono state Rasa Polikevičiūtė, Edita Pučinskaitė, Diana Žiliūtė (tutte e tre laureatesi campionesse del mondo), Jolanta Polikevičiūtė, sorella di Rasa, e la giovane Rasa Leleivytė. In campo maschile è invece Raimondas Rumšas ad aver ottenuto i principali risultati: terzo al Tour de France 2002 e primo al Giro di Lombardia 2000.
Nuoto
Ancor più sorprendente è la storia della nuotatrice Rūta Meilutytė che, a soli 15 anni, nell'edizione dei Giochi Olimpici di Londra 2012, si è laureata campionessa olimpica nella specialità dei 100 metri rana.
Calcio
La Nazionale di calcio della Lituania non ha ottenuto finora notevoli risultati in campo internazionale. In generale il calcio lituano deve confrontarsi spesso con la popolarità della pallacanestro, primo sport nazionale in Lituania.
Giochi olimpici
Il primo oro olimpico (e anche la prima medaglia olimpica) per la Lituania fu conquistata nel lancio del disco da Romas Ubartas, ai Giochi olimpici di Barcellona 1992.
Festività nazionali
Altre festività
La festività di Joninės (conosciuta anche come Rasos) è una festa nazionale tradizionale che si tiene il giorno del solstizio d'estate e ha origini pagane. Il Martedì grasso (Užgavėnės) si festeggia il giorno prima del Mercoledì delle ceneri, e ha lo scopo di sollecitare l'inverno ad andarsene. Ci sono tradizioni nazionali di origine pagana anche per feste attualmente cristiane come la Pasqua e il Natale. Venerato e protettore della popolo lituano è il gesuita polacco San Stanislao Kostka, e la sua memoria liturgica cade il 15 agosto.
Gastronomia
La cucina lituana prevede l'uso dei prodotti offerti dal suo clima settentrionale, fresco e umido: vengono coltivati orzo, patate, segale, barbabietole, ortaggi e funghi. I prodotti caseari sono una delle specialità del Paese.
Poiché condivide lo stesso clima e le stesse pratiche agricole dell'Europa orientale, la cucina lituana ha molto in comune con le cucine di questi paesi e con quella ebraica; tuttavia possiede proprie caratteristiche peculiari che hanno avuto origine da una grande varietà di influenze durante la sua storia. Avendo condiviso un lungo periodo con la Polonia, sono simili numerosi piatti e bevande: esistono versioni lituane e polacche simili di tortelli (pierogi o koldūnai), ciambelle (pączki o spurgos), e crêpe (blini o blynai).
Anche le tradizioni tedesche hanno influenzato la cucina lituana, introducendo pietanze a base di maiale e patate, come lo sformato di patate (kugelis) e le salsicce di patate (vėdarai), così come la torta conosciuta come šakotis.
Sono inoltre presenti influenze dalla cucina orientale (karaite), e i piatti kibinai e čeburekai sono piuttosto popolari in Lituania. La torta Napoleone fu introdotta durante il passaggio di Napoleone attraverso la Lituania nel XIX secolo.
L'occupazione sovietica ha sensibilmente alterato la cucina lituana. Come in qualsiasi altra zona dell'Unione Sovietica, per fortuna, alla popolazione fu concesso di mantenere i propri piccoli orti, che erano, e sono tuttora, amorevolmente curati. Dopo il riottenimento dell'indipendenza nel 1990, la valorizzazione dei cibi e della cucina tradizionale lituana è diventata uno dei modi di celebrare l'identità lituana.
I cepelinai, un piatto a base di patate grattugiate e poi cotte, è il più famoso piatto nazionale; è popolare fra i lituani in tutto il mondo. Altri piatti nazionali includono il pane nero di segale e la zuppa fredda di barbabietole (borscht o šaltibarščiai). La cucina lituana è generalmente sconosciuta al di fuori delle comunità lituane; la maggior parte dei ristoranti lituani al di fuori della Lituania è presente in aree con una consistente minoranza lituana.
I lituani, grazie alla loro dieta tradizionale, sono fra le popolazioni meno oppresse da problemi di obesità, e dalle complicazioni correlate, tra i Paesi sviluppati del mondo.
La birra prodotta localmente e il gira (una sorta di kvass), sono le bevande più popolari nel Paese. La starka (acquavite di segale) è parte del patrimonio culturale lituano, ma non viene di fatto più prodotta.
Note
Voci correlate
Contee della Lituania
Enciclopedie lituane
Karinės jūrų pajėgos
Paesi baltici
Prenomi lituani
Referendum in Lituania
Regioni della Lituania
Seniūnija
Targhe automobilistiche lituane
Trasporti in Lituania
Vilnius
Altri progetti
Collegamenti esterni
Scheda della Lituania dal sito "Viaggiare Sicuri" del Ministero italiano degli esteri e dell'ACI
Lithuanian Central Internet Gates - Portale internet ufficiale della Lituania |
2588 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lettonia | Lettonia | La Lettonia (), ufficialmente Repubblica di Lettonia (), è uno Stato membro dell'Unione europea (, abitanti secondo i dati del 2020, capitale Riga); situata nell'Europa nord-orientale, confina a nord con l'Estonia a est con la Russia (217 km), a sud-est con la Bielorussia (141 km) e a sud con la Lituania (453 km), ed è bagnata a ovest dal Mar Baltico.
La Lettonia è una repubblica parlamentare; la carica di primo ministro è attualmente ricoperta da Arturs Krišjānis Kariņš, dal 23 gennaio 2019, mentre l'attuale presidente è Egils Levits, dall'8 luglio 2019. La lingua ufficiale è il lettone.
Dal primo gennaio 2014 la nazione baltica ha adottato l'euro, divenendo il diciottesimo Stato dell'area euro. L'euro ha sostituito il lats, precedente valuta ufficiale dello Stato.
Etimologia
Il nome lettone Latvija deriva dal nome degli antichi Letgalli, una delle quattro tribù baltiche indoeuropee (insieme ai Curi, Selonici e Semigalli), che formavano il nucleo etnico dei moderni lettoni insieme ai Livoni finnici. Enrico di Lettonia coniò le latinizzazioni del nome del paese, "Lettigallia" e "Lethia", entrambi derivati da Latgalians. I termini ispirarono le variazioni del nome del paese nelle lingue romanze da "Letonia" e in diverse lingue germaniche da "Lettland". Lat- è una parte comune in molti idronimi baltici, e -gale, ossia "terra", di origine baltica.
Storia
Le origini livoniche
Terra anticamente abitata da popoli nomadi dediti alla pesca e alla caccia, il territorio fu colonizzato dai livoni, popolo di ceppo ugrofinnico, ai quali si aggiunsero i lettoni, una popolazione indoeuropea.
L'Ordine teutonico
L'Ordine teutonico iniziò la conversione delle popolazioni locali al cristianesimo agli inizi del XIII secolo.
Protagonista dell'evangelizzazione della Lettonia fu Alberto di Buxhövden, che fondò l'attuale capitale Riga insediando la sede vescovile e sottomettendo il popolo dei livoni con la collaborazione dei cavalieri dell'Ordine Teutonico.
Nel 1207 la Livonia fu riconosciuta come feudo dell'impero e spartita tra la città di Riga, il vescovato e l'Ordine Teutonico. Nel 1236 l'intera regione passò totalmente sotto l'autorità dei Cavalieri, rimanendo parte dell'impero fino al 1561, quando il regno di Polonia congiunse le province di Letgallia e Livonia a nord del fiume Daugava, mentre le province di Curlandia e Semigallia furono unite nel Ducato di Curlandia, Stato indipendente sotto la sfera d'influenza della Polonia.
Il dominio svedese
La Svezia nel 1621 conquistò Riga e la provincia di Livonia, perdendole nel 1721, durante le guerre del Nord. La Lettonia finì così nella sfera d'influenza dell'Impero russo, che la sottopose a un intenso processo di russificazione mantenendo nella capitale il tedesco come lingua ufficiale.
Impero russo
A partire dal 1721 la Lettonia apparteneva ai cosiddetti Governatorati baltici dell'impero russo.
Nel 1795, con la terza spartizione della Polonia, la Russia di Caterina II si assicurò il controllo dell'intero territorio dell'attuale Lettonia.
Durante la prima guerra mondiale il territorio della Lettonia, ceduto dai russi con la pace di Brest-Litovsk, venne temporaneamente occupato dalla Germania, raggiungendo i territori dell'Ober Ost amministrati da Paul von Hindenburg e dal suo capo di Stato maggiore Erich Ludendorff.
La guerra di indipendenza lettone e l'indipendenza nel 1918
Il 18 novembre 1918, poco dopo la resa della Germania, fu proclamata l'indipendenza. A questo punto i sovietici tentarono di riprendersi i territori ceduti con la loro resa durante la prima guerra mondiale, ma trovando una forte opposizione lettone ne scaturì la guerra d'indipendenza lettone. Dopo due anni di aspre battaglie per mantenere l'indipendenza, quest'ultima venne riconosciuta anche dalla Russia bolscevica l'11 agosto 1920.
Il regime di Ulmanis
In seguito all'indipendenza riconosciuta anche dalla Russia, il paese conobbe un periodo di democrazia che durò fino al 1934. In tale anno, Kārlis Ulmanis, che più volte aveva ricoperto la carica di Primo Ministro, sciolse il Saeima, il Parlamento lettone, e instaurò una dittatura.
L'occupazione durante la seconda guerra mondiale
Il 23 agosto 1939 la Germania nazista e l'URSS firmarono il patto Molotov-Ribbentrop, che poneva la Lettonia nella sfera d'influenza sovietica, mettendo fine alla dittatura di Ulmanis. Nell'agosto del 1940 il paese venne occupato dall'Armata rossa e la Lettonia, come gli altri Paesi baltici, divenne una delle repubbliche dell'Urss, la Repubblica socialista sovietica lettone. Gli Stati Uniti d'America, con la dichiarazione di Welles (23 luglio 1940), notificarono all'Unione Sovietica che essi non avrebbero mai riconosciuta come legittima tale annessione. L'anno successivo, Ulmanis venne arrestato dalle forze sovietiche, per poi morire in un carcere di Krasnovodsk.
Nel 1941, con l'operazione Barbarossa, la Germania invase l'URSS e occupò la Lettonia. Nei tre anni di occupazione, si susseguirono vari eccidi di ebrei e rom.
Il periodo sovietico (fino al 1991) e l'indipendenza
Alla fine della seconda guerra mondiale l'Unione Sovietica rioccupò la Lettonia, che, nei cinque anni successivi al conflitto, venne sottoposta alle purghe del regime staliniano, perdendo la propria indipendenza. Intensa fu la politica di "russificazione" imposta da parte dei sovietici, che mise quasi a rischio l'identità nazionale.
Il 4 maggio 1990 venne emanata una Dichiarazione di indipendenza transitoria, che divenne definitiva il 21 agosto 1991, data in cui il paese riconquistò la propria indipendenza dall'Unione Sovietica, al momento del suo crollo. L'URSS riconobbe la Lettonia come Stato indipendente il 6 settembre 1991.
Dopo l'indipendenza la Lettonia avviò il cammino di integrazione europea, culminato nell'adesione all'Unione europea il 1º maggio 2004; in precedenza, il 20 settembre 2003 il 66,9% dei lettoni in un referendum approvò l'adesione all'Unione europea. Pochi giorni prima, il 29 marzo 2004, la Lettonia era entrata a far parte della NATO.
Dal 1º gennaio 2014 la Lettonia ha adottato la moneta unica europea: l'euro, divenendo così il 18º paese dell'area euro.
Geografia
È compresa fra i 55°40' e i 58°05' latitudine Nord e i 20°58' e 28°14' longitudine Est, e si affaccia sulla parte orientale del Mar Baltico tra l'Estonia e la Lituania.
Fa parte della Regione biogeografica boreale.
La Lettonia è costituita da quattro regioni tradizionali: Curlandia (Kurzeme), Livonia (Vidzeme), Semigallia (Zemgale) e Letgallia (Latgale).
Morfologia
Il territorio lettone è ricoperto per lo più da boschi (40% della superficie), con numerosi laghi di origine glaciale, (più di 3 000), torbiere e zone paludose.
Il paese è bagnato dal Mar Baltico, la lunga costa (531 km) è prevalentemente sabbiosa e non possiede isole.
L'elemento caratterizzante del litorale lettone è il golfo di Riga (o baia di Riga, in lettone Rīgas Jūras līcis, in estone Liivi Laht).
L'area occupata dal golfo di Riga è di e la profondità massima è di .
Il territorio è formato da pianure interrotte da colline che non superano i 300 m d'altezza. Il punto più elevato del Paese è il Gaiziņkalns, che raggiunge i 311 m d'altezza.
Idrografia
Il fiume principale è la Daugava/Dvina Occidentale (1 020 km). Altri fiumi che scorrono sul territorio lettone sono:
Gauja: 452 km
Venta: 346 km
Lielupe: 129 km
Abava: 119 km
Clima
Il clima è di tipo temperato freddo, moderatamente influenzato dal Mar Baltico. La temperatura media annua si attesta intorno ai 5/6 °C. In inverno le temperature rimangono sotto lo zero anche per intere settimane (la media di Riga nel mese più freddo, solitamente gennaio, è di -4,7 °C). Le estati sono generalmente miti, la media di luglio a Riga è di 16,9 °C. Non mancano comunque giornate calde con temperature che possono sfiorare e raggiungere i 30 °C.
Popolazione
Etnie
I lettoni sono il principale e più numeroso gruppo etnico del paese.
Seconda etnia è quella russa, concentrata nei distretti orientali.
Seguono altre minoranze slave, quali i bielorussi, i polacchi, gli ucraini e quella baltica dei lituani.
Infine in Lettonia sono presenti anche altre etnie di piccola consistenza: ebrei, rom, tedeschi del Baltico, estoni, tatari e altri ancora.
I dati del 2011 (fonte: CIA Factbook) riportano le seguenti percentuali:
lettoni 62,1%;
russi 26,9%;
bielorussi 3,3%;
ucraini 2,2%;
polacchi 2,2%;
lituani 1,2%;
altri (ebrei, tedeschi, estoni, tatari, rom e altri) 2%.
Religione
La maggior parte dei credenti sono luterani (, secondo i dati del 2003, pari al 24,3% della popolazione), con più piccole percentuali di cattolici (, pari al 18,8%) (vedi Chiesa cattolica in Lettonia) e di ortodossi orientali (, pari al 15,3%) (vedi Chiesa ortodossa lettone).
In Lettonia c'è una comunità ebraica (9 883 aderenti, dati del 2005, pari allo 0,43% della popolazione) residua degli sterminii dell'occupazione nazista. La comunità ebraica lettone fu decimata durante la seconda guerra mondiale (secondo l'ultimo censimento ufficiale nel 1935 era formata da 93 479 ebrei, circa il 6,4% della popolazione totale)..
Altre religioni sono la Dievturi, e la Romuva, la prima tradizionale, duramente repressa dal sistema sovietico, la seconda di più recente costituzione; sono religioni pagane politeistiche che hanno radici storiche basate sulla celebrazione della cultura nazionale, sulla mitologia del periodo pre-cristiano, la relazione con la natura e la venerazione degli antenati.
Lingue
La lingua ufficiale della Lettonia è il lettone che, come il lituano e l'estinto antico prussiano, appartiene al gruppo baltico della famiglia delle lingue indoeuropee.
La lingua letgalla è diffusa nella Letgallia (Latgale; la maggior parte dei linguisti considera il letgallo un dialetto della lingua lettone).
La lingua livone è oggi quasi estinta. Appartiene alle lingue baltofinniche, una sottobranca delle lingue uraliche.
Il russo fu la lingua ufficiale imposta durante l'occupazione sovietica mentre durante l'impero russo la lingua ufficiale nella capitale Riga rimase il tedesco fino al 1891. Oggi la lingua russa è la lingua di minoranza più diffusa, parlata dal 40% della popolazione mentre il tedesco è praticamente scomparso.
Il 18 febbraio 2012 si è svolto un referendum sullo status della lingua russa: con un'ampia maggioranza i cittadini in possesso dei requisiti giuridici si sono espressi contro la proposta di considerare il russo lingua ufficiale accanto al lettone, mentre non hanno potuto esprimersi i moltissimi nepilsoņi in maggioranza russofoni (persone, letteralmente "non cittadini", che pur abitando in Lettonia non hanno i requisiti per essere considerati cittadini non essendo riusciti o non avendo voluto superare un esame di lingua e cultura lettone). La Russia ha apertamente criticato le procedure di naturalizzazione, considerate troppo complicate.
Ordinamento dello Stato
La Lettonia è una repubblica parlamentare.
Suddivisioni amministrative
La Lettonia è suddivisa amministrativamente in 109 comuni detti novads (plurale - novadi).
Nove città sono a statuto speciale dette lielpilsēta (al singolare) e al plurale lielpilsētas.
Perdite e rivendicazioni territoriali
Vi è poi la Regione di Abrene, che fa parte dell'area fisica lettone e fu parte dello Stato lettone fino al 1944, annessa unilateralmente dalla Russia durante la seconda guerra mondiale, venne poi rivendicata dalla Lettonia fin dal ritorno all'indipendenza nel 1991.
Nel 2007, attraverso un trattato russo-lettone fu definitivamente riconosciuto come territorio russo.
Città principali
La capitale è
Rīga (capitale 722 000 ab. - 01.01.2017);
Le altre principali città sono:
Daugavpils (104 870 ab. - 01.01.2009),
Liepāja (85 149 ab. - 01.01.2009),
Jelgava (65 630 ab.),
Jūrmala (56 069 ab.),
Ventspils (43 088 ab.),
Rēzekne (35 625 ab.),
Valmiera (27 453 ab.),
Jēkabpils (26 578 ab.),
Ķekava (20 945 ab.) e
Cēsis (18 171 ab.).
Le regioni portano lo stesso nome delle città.
Istituzioni
Università
Il 14 ottobre 1862 fu fondata la più antica università tecnica della Lettonia: l'Università tecnica di Riga: il Politecnico di Riga fu, tra l'altro, il primo istituto politecnico dell'Impero russo.
Ordinamento scolastico
La Lettonia ha riformato il sistema della pubblica istruzione nel 1989 prevedendo un primo ciclo obbligatorio della durata di nove anni seguita da un secondo ciclo di tre anni oppure da una formazione professionale della durata variabile da uno a sei anni.
Molta attenzione è rivolta allo studio della musica, soprattutto della musica corale e allo studio della lingua lettone.
Sistema sanitario
Nel 1992 nel paese vi erano 176 ospedali e 130 letti ogni 10 000 abitanti. La maggior parte degli ospedali è concentrata nelle aree urbane. Vi erano 41 medici per 10 000 abitanti, ma con scarsità di personale infermieristico e ausiliario.
Forze armate
Le forze armate nazionali sono costituite dalle Latvijas Sauszemes spēki e dalla Zemessardze (Guardia Nazionale). Dal 2007 sono organizzate come un esercito completamente professionale permanente.
Politica
Costituzione
La Costituzione della Lettonia è entrata in vigore il 7 novembre 1922.
Assetto istituzionale
La Lettonia è una Repubblica parlamentare.
Il parlamento unicamerale (Saeima) è formato da 100 deputati eletti ogni 4 anni con sistema elettorale proporzionale con soglia di sbarramento del 5%.
Il Presidente della repubblica di Lettonia viene eletto dal Parlamento ogni 4 anni, emendato da un mandato triennale il 4 dicembre 1997.
Il presidente viene eletto con ballottaggio segreto con una maggioranza di voti non inferiore al cinquanta più uno dei membri del Saeima.
Il Presidente è il rappresentante della Lettonia nelle relazioni internazionali, nomina i rappresentanti diplomatici della Lettonia, e riceve anche i rappresentanti diplomatici degli altri Stati; ratifica le decisioni del Saeima riguardo alla stipula di accordi internazionali. Ha il potere di concedere la grazia ai condannati dopo che la sentenza della corte abbia prodotto i suoi effetti legali; è il Comandante in capo delle forze armate della Lettonia. In tempo di guerra il Presidente assume la carica di Comandante supremo delle forze armate.
In base alle decisioni del Saeima, spetta al Presidente dichiarare guerra.
La residenza ufficiale del Presidente della Lettonia è situata nel Castello di Riga.
Il Primo ministro è nominato dal presidente della repubblica in base al risultato delle elezioni parlamentari.
Il Primo ministro in seguito sceglie il Consiglio dei ministri che deve essere approvato dal Parlamento tramite un voto di fiducia.
Le elezioni parlamentari si tengono il primo sabato di novembre.
In Lettonia i consigli comunali, che sono costituiti da 7 a 60 membri a seconda delle dimensioni della municipalità, sono eletti tramite la rappresentanza proporzionale per un mandato di sette anni.
Rapporti con l'Unione europea
La Lettonia il
12 giugno 1995, firma l'Accordo di Associazione, il quale entra in vigore solo il 1º febbraio 1998.
10 dicembre 1999 vengono aperti i negoziati di adesione. Circa tre anni dopo, il 13 dicembre 2002, durante il Consiglio europeo, i negoziati di adesione vengono chiusi.
14 aprile 2003, il Consiglio europeo approva l'adesione della Lettonia all'Unione europea.
16 aprile 2003, firma il trattato di adesione;
17 dicembre 2003, deposita presso il Ministero degli Affari Esteri della Repubblica Lettone i propri strumenti di ratifica del trattato di adesione.
1º maggio 2004, entrato in vigore il trattato, la nazione diventa membro dell'Unione europea.
21 dicembre 2007, entra nello spazio Schengen.
1º gennaio 2014 - a dieci anni dall'entrata nell'Unione europea, la nazione baltica, dimostrandosi virtuosa nonostante la pesante crisi economica europea, entra a far parte dell'area euro.
Diritti civili
Diritti LGBT
Economia
La valuta corrente è l'euro, che ha sostituito il lats il 1º gennaio 2014.
Il settore economico prevalente è l'industria meccanica e dei mezzi di trasporto.
Ha importanza pure il settore della pesca, la costruzione di mobili e il tessile.
Importanti partner commerciali sono gli altri paesi baltici.
La Lettonia è uno Stato molto importante per gli scambi commerciali tra i Paesi baltici.
Trasporti
La rete dei trasporti è ben sviluppata. Accanto alla strada e alla ferrovia ha importanza anche la navigazione sul Baltico. Porti importanti si trovano a Riga, Ventspils e Liepāja.
Il sistema ferroviario lettone ha ereditato dal periodo di occupazione militare sovietico (come le altre repubbliche baltiche) lo scartamento largo russo (1 520 mm), quindi la connessione con la rete della Polonia e del resto dell'Europa, che adotta quello standard di 1 435 mm, per il momento resta problematica.
Esistono tuttavia dei progetti di riqualificazione in corso, che vedrà la Lettonia unirsi al resto del sistema ferroviario dell'Unione europea; il complesso progetto prende il nome di Rail Baltica.
Turismo
Il turismo in Lettonia interessa soprattutto la capitale, Riga, capitale europea della cultura nel 2014 e famosa per il centro storico in stile Art Nouveau, nominato patrimonio dell'umanità dall'Unesco nel 1997. Un'altra zona ad interesse turistico è il parco nazionale del Gauja, che comprende tre poli abitativi: Sigulda, Cesis e Valmiera. Nella zona è possibile visitare alcuni castelli medioevali dei cavalieri dell'Ordine teutonico, che avevano funzione commerciale e difensiva per la lega anseatica. In Lettonia ci sono diverse postazioni per il birdwatching e molti appassionati raggiungono il paese per ammirare gli uccelli in migrazione e le specie che si riproducono grazie all'insuccesso della bonifica sovietica dei terreni paludosi e forestali della Lettonia.Il turismo non comprende una grossa risorsa economica per il paese, con soli 3,7 milioni di visitatori l'anno (2018) la Lettonia si colloca al terzultimo posto in Unione Europea. I trasporti di passeggeri nel paese sono avanzati ed efficienti.
Cultura
La cultura lettone, un tempo solo popolare e locale, si afferma tra il XIX e il XX secolo in campo internazionale, non solo nella letteratura ma anche nelle radici culturali proprie della cultura baltica di cui il paese lettone fa parte.
Patrimoni dell'umanità
La Lettonia possiede due siti che sono stati iscritti nella Lista dei patrimoni dell'umanità dell'UNESCO.
Letteratura
La letteratura lettone si afferma con la lirica religiosa nel XVII secolo con Juris Mancelis.
Nel XIX secolo si afferma il poema epico: lo scrittore Andrejs Pumpurs compone così il poema nazionale lettone Lacplesis di argomento mitico. Tra il XIX e il XX secolo spicca la figura dello scrittore e giornalista Rūdolfs Blaumanis e soprattutto dello scrittore e folklorista Krišjānis Barons (1835-1923), considerato in un recente sondaggio la più grande personalità lettone. Nel XX secolo il poeta Rainis, il più importante scrittore lettone, compone varie liriche sulla sua terra, mentre Vilis Plūdons si mette in risalto per il suo stile peculiare e per l'impegno sociopolitico.
Musica
Nel campo musicale, tra gli altri, possiamo ricordare Marija Naumova, vincitrice dell'Eurovision Song Contest 2002 con la canzone I Wanna, e Aisha.
Importante anche la figura di Andrejs Jurjāns (1856-1922), primo compositore professionista lettone.
Celebre violinista e direttore d'orchestra fu Gidon Kremer, Premio Imperiale per la musica nel 2016.
Tasso di alfabetizzazione
Il tasso di alfabetizzazione, al 2009, è del 99,7% della popolazione, registrando un calo dello 0,3% dal 2000.
Mezzi di comunicazione di massa più importanti
Quotidiani
I giornali maggiori della Lettonia sono "Diena", "Neatkarīgā Rīta avīze" e "Latvijas Avīze".
Radio
Le prime trasmissioni regolari della radio in Lettonia sono avvenute nel 1925 da parte della emittente nazionale Latvijas Radio.
Solo nel 1993 è nata la prima stazione privata Radio SWH.
Televisione
La Lettonia è stata la prima repubblica dei tre Paesi baltici nella quale è stata creata la televisione. Le trasmissioni regolari della televisione hanno avuto inizio nel 1954 e sono state trasmesse dal primo canale nazionale Latvijas Televīzija. Dopo la fine della occupazione sovietica nel 1991 sono nati i primi canali televisivi privati come LNT e TV3.
Internet
In Lettonia l'uso di internet raggiunge circa il 70% della totale popolazione, ed è uno dei più alti nell'Europa, secondo alcune statistiche è il mezzo di comunicazione più importante nel paese.
I portali con la maggiore popolarità sono Delfi.lv e Filebase.ws per le notizie e Draugiem.lv e Facebook come siti web di social network.
L'elevato utilizzo di internet ha contribuito alla creazione, alla diffusione e alla popolarità di diverse start-up innovative del mondo della finanza, tra cui le piattaforme di social lending Mintos e Twino, in grado di raccogliere, in breve tempo, centinaia di milioni di euro da investitori provenienti da tutte le parti del mondo.
Scienza e tecnologia
Lettonia nello spazio
23 giugno 2017: viene lanciato Venta-1, primo satellite artificiale terrestre lettone.
Ambiente
Flora e fauna
Il 44% del territorio della Lettonia è coperto di foreste. Le aree settentrionali del Vidzeme e del Kurzeme sono le parti più boscose del paese. La foresta più antica, nel Parco Nazionale di Slītere del Kurzeme, protetta fin dal 1921, è un bosco di latifoglie che ospita una torbiera eutrofica e diverse rare orchidee. Questo parco nazionale protegge da solo 23 tipi di foresta e tre tipi di zone umide. Anche il Parco Nazionale del Gauja ha un ricco ecosistema e ospita 900 specie diverse di piante.
La Lettonia, insieme agli altri paesi della regione baltica, ospita più grandi mammiferi selvatici di qualsiasi altra nazione europea. Alci, cervi, cinghiali, lupi e perfino alcuni orsi abitano i boschi del paese in numero più o meno cospicuo. Lungo i corsi d'acqua interni vi sono i castori, mentre le coste sono popolate da foche. La Lettonia ospita anche una grande popolazione di lontre. Il Parco Nazionale del Gauja vanta 48 specie di mammiferi. A sud di Liepāja, la sede lettone del Worldwide Fund for Nature ha reintrodotto i cavalli konik, discendenti dei cavalli selvatici che un tempo vivevano liberi in Europa, in una tenuta abbandonata intorno al lago Pape. La Lettonia ospita anche una grande popolazione di cicogne bianche. Insieme alla Lituania accoglie più cicogne bianche dell'intera Europa occidentale. La rara cicogna nera nidifica nel Parco Nazionale del Gauja.
Problemi ambientali
Il rapido processo di industrializzazione durante l'occupazione sovietica e il mancato controllo dell'impatto ambientale di imprese come la costruzione di centri manifatturieri, impianti idroelettrici e dighe hanno fatto aumentare a dismisura i livelli di inquinamento idrico e atmosferico. Dall'indipendenza, il governo lettone e diverse organizzazioni nazionali hanno fatto della tutela dell'ambiente una priorità e finalmente il problema dell'inquinamento del paese è stato affrontato. Stranamente, alcune zone sono minacciate oggi ancor più che durante il regime sovietico: ne è un esempio tipico il litorale lettone nel Kurzeme settentrionale, un tempo posto di frontiera off-limits per la gente del luogo, oggi minacciato dal disboscamento e dallo sfruttamento edilizio.
Il sostegno finanziario di Scandinavia e Germania ha contribuito a ridurre l'inquinamento prodotto da centri industriali come Daugavpils e Liepāja. Ventspils, che alla fine degli anni 1980 soffocava nelle polveri di carbonato di potassio, è stata oggetto di una vasta operazione di pulizia. Un nuovo sistema di alimentazione idrica finalizzato alla riduzione degli scarichi delle acque fognarie nel Mar Baltico, il monitoraggio dell'aria e la realizzazione di un nuovo sistema di riscaldamento per ridurre le emissioni di anidride solforosa e di biossido d'azoto sono tutte iniziative che fanno parte di un progetto ambientale della città a lungo termine del costo preventivo di 23 milioni di euro. Nonostante tutti questi sforzi, l'Agenzia Municipale per il Controllo della Qualità dell'Aria ha dichiarato che l'aria di Rīga è ancora poco salubre e che gli edifici storici della Città Vecchia continuano a subire danni a causa dell'inquinamento.
L'impianto di trattamento delle acque di Rīga è stato migliorato, riducendo così il flusso di liquami nel fiume Daugava e rendendo meno pericolosa la balneazione nel golfo di Rīga. La Bandiera blu europea è stata assegnata alle spiagge di Jūrmala, Ventspils e Liepāja, ma la sicurezza e la pulizia delle altre aree balneari è tutta da dimostrare.
La Lettonia si sta seriamente impegnando a utilizzare fonti di energia rinnovabili. Attualmente il 40% dell'energia del paese è ottenuto in questo modo, soprattutto grazie all'energia idroelettrica. L'ingresso della Lettonia nell'Unione europea nel 2004 ha comportato l'adesione a una serie di norme ambientali e il governo si è impegnato ad adeguarsi a tutte le direttive ambientali dell'Unione europea entro il 2010.
Gastronomia
La cucina lettone ha subito l'influenza, in particolare, tedesca e russa e si basa spesso sulla consumazione di tre pasti al giorno.
Festività e ricorrenze nazionali
Sport
Ciclismo
Nella disciplina del ciclismo ricordiamo l'affermazione di Romāns Vainšteins, campione mondiale della prova in linea su strada, nel 2000.
Giochi olimpici
La prima medaglia d'oro olimpica per la Lettonia venne conquistata da Igors Vihrovs, nella ginnastica artistica, ai Giochi olimpici di Sydney 2000.
Ma la prima medaglia olimpica per la Lettonia risale a Los Angeles 1932 e fu la medaglia d'argento vinta nell'atletica leggera da Jānis Daliņš.
Motocross
Nel 2017 il pilota lettone Pauls Jonass vince il titolo mondiale di motocross nella categoria MX2 (mondiale under 23), divenendo così il primo lettone a vincere un mondiale in questa disciplina.
Calcio
La Nazionale di calcio della Lettonia ha vinto ben 13 edizioni della Coppa del Baltico e ha come attuale capocannoniere con 29 reti Māris Verpakovskis.
Note
Bibliografia
Juris Dreifelds, Latvia in Transition. Cambridge University Press, 1996. ISBN 978-0-521-55537-1
Jānis Rutkis, Latvia: Country & People. Latvian National Foundation, Stoccolma, 1967.
Arveds Švābe, The Story of Latvia: A Historical Survey. Latvian National Foundation, Stoccolma, 1949.
These Names Accuse: Nominal List of Latvians Deported to Soviet Russia, second edition. Latvian National Foundation, Stoccolma.
L'enciclopedia geografica: Europa settentrionale. Corriere della Sera, Milano, 2005.
Tuchtenhagen Ralph, Storia dei paesi baltici. il Mulino, Bologna, 2008. ISBN 88-15-12452-7
Voci correlate
Riga
Città della Lettonia
Costituzione della Lettonia
Presidenti della Lettonia
Primi ministri della Lettonia
Paesi baltici
Prenomi lettoni
Aeroporti in Lettonia
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Collegamenti esterni |
2591 | https://it.wikipedia.org/wiki/Larix | Larix | Larix è un genere di conifere appartenenti alla famiglia delle Pinaceae.
Vi appartengono i larici, con l'unica specie europea presente in Italia: Larix decidua Miller.
Nella flora spontanea italiana ed europea i larici sono le uniche conifere le cui foglie non sono persistenti (non sono sempreverdi e quindi cadono in autunno e inverno), anche se nel mondo esistono altri generi di gimnosperme a foglie caduche.
Descrizione
Il genere comprende alberi decidui con un'altezza che può raggiungere anche i 50-60 metri (Larix occidentalis).
Le foglie sono aghi brevi di colore verde tenue che, come nel genere Cedrus, sono raccolti in gruppi di 20-40 individui e portati su brachiblasti. La chioma è piramidale e rada, con rami portati orizzontalmente al tronco, anche se alcune specie li hanno caratteristicamente penduli. I fiori maschili (microsporofilli) sono conetti arancio-giallastri e cadono dopo l'impollinazione.
I fiori femminili (macrosporofilli) sono coni sferici rosa-violacei articolati in squame e brattee e portati sullo stesso ramo dei fiori maschili, anche se in strutture diverse (piante monoiche a sessi separati sullo stesso individuo). Dopo la maturazione, che dura un anno, lignificano (e in questa fase sono chiamati strobili o pigne) e permangono sulla pianta attaccati ai rami per parecchi anni dopo aver disperso i semi alati. I larici sono alberi dal portamento snello, dall'ampio e profondo apparato radicale e dalla corteccia rugosa finemente screpolata in placche irregolari. Il legno è bicolore, con durame rosa salmone e alburno bianco giallastro.
Il numero cromosomico è 2n = 24, simile a quello della maggior parte degli altri alberi della famiglia delle Pinaceae.
Distribuzione e habitat
Il genere Larix è presente in tutte le zone temperato-fredde dell'emisfero boreale, dal Nordamerica alla Siberia settentrionale passando per Europa, Cina montuosa e Giappone. I larici sono importanti componenti delle foreste di Russia, Europa centrale, Stati Uniti e Canada. Richiedono un clima fresco e abbastanza umido e per questo motivo si trovano nelle montagne delle zone temperate, mentre nelle aree boreali vegetano anche nel piano. Al genere Larix appartengono gli alberi che si spingono più a nord di tutti arrivando a lambire, in Nordamerica e Siberia, la tundra e ghiacci polari. I larici sono specie ricolonizzatrici frugali, poco esigenti nei confronti del suolo e molto longevi. Vivono in foreste pure o miste, assieme ad altre conifere o più raramente latifoglie.
Sulle Alpi è diffuso il larice europeo o comune (Larix decidua Miller) che cresce spontaneo in alta quota.
Un'altra specie diffusa ma introdotta in Europa è il larice del Giappone (Larix kaempferi Sargent), utilizzato in selvicoltura perché resistente al fungo che causa il cancro del larice (Lachnellula willkommii). In Italia il larice europeo costituisce un relitto glaciale, essendo sceso verso sud durante le glaciazioni e poi risalito in altitudine sulle montagne invece che in latitudine durante il successivo periodo post-glaciale. Sulle Alpi, infatti, quest'albero predilige le alte quote, raggiungendo e superando i 2300 metri sopra il livello del mare. Essendo l'unica conifera dell'arco Alpino a foglie caduche, l'affermazione di questa specie richiede l'assenza di cormofite concorrenti, che costituirebbero un ostacolo all'approvvigionamento idrico e luminoso. I lariceti, infatti, sono la naturale evoluzione ecologica, nel loro ambiente, dei terreni da poco smossi a seguito di eventi perturbativi particolarmente intensi (disturbi). Per questo motivo, il larice è considerata specie pioniera e ricolonizzatrice nelle successioni ecologiche, anche se è possibile trovarla in boschi misti o puri stabili (le cosiddette "successioni bloccate").
Sistematica
A seconda degli studi sono riconosciute 10 o 11 (15 a volte) specie, di cui una (L. czekanowskii) incerta.
In passato la lunghezza delle brattee dei coni era considerata un buon criterio per dividere i larici in due sezioni (sect. Larix con brattee corte e sect. Multiserialis con brattee lunghe), ma recenti indagini genetiche non supportano questa divisione evidenziando piuttosto una rilevanza geografica in gruppi del Nuovo Mondo e del Vecchio Mondo che assume valore tassonomico. La lunghezza delle brattee dei coni costituirebbe semplicemente un adattamento alle condizioni climatiche. I più recenti studi molecolari hanno proposto tre gruppi all'interno del genere, con una prima divisione in specie nordamericane e specie euroasiatiche ed una seconda suddivisione all'interno delle specie di Europa e Asia. Rimane ancora incerta la posizione sistematica di Larix sibirica.
Di seguito l'elenco delle specie riconosciute attualmente a livello internazionale e suddivise secondo la più recente classificazione filogenetica:
Specie Nord Americane
Larix laricina (Du Roi) K. Koch - Originario del Nord America, detto Tamarack; larice diffusissimo nelle foreste del Nordamerica dall'Alaska a Terranova (Canada) e New England.
Larix lyallii Parl. – Larice subalpino; vive in zone d'alta quota degli Stati Uniti d'America nordoccidentali e del Canada sudoccidentale.
Larix occidentalis Nutt. – Larice occidentale o Larice del Pacifico; vive a quote più basse del precedente, raggiunge diametri e altezze considerevoli (fino a 65 m); si trova nel versante pacifico delle Montagne Rocciose e nella Catena delle Cascate dall'Oregon verso nord fino alla Columbia Britannica (Nord-ovest Pacifico).
Specie Euroasiatiche
Specie Euroasiatiche settentrionali con brattee corte
Larix decidua Mill. (syn. L. europaea D.C.) – Europa; il larice europeo, che presenta un ben definito areale con nuclei disgiunti sulle Alpi e in due piccole aree dell'Europa centrale fino ai Monti Tatra.
Larix sibirica Ledeb. – Il larice siberiano o russo, adattato a climi molto freddi; cresce nella parte occidentale della Siberia fino al fiume Enisej.
Larix gmelinii (Rupr.) Kuzen. (syn. L. dahurica) – Siberia orientale; popola le foreste siberiane a est del fiume Enisej fino all'Oceano Pacifico.
Larix kaempferi (Lamb.) Carr. (syn. L. leptolepis) - Larice giapponese.
Larix czekanowskii Szafer - Incerto. Di probabile origine ibrida ma attualmente accettato come specie a sé.
Specie Euroasiatiche meridionali con brattee lunghe
Larix potaninii Batalin – Cina (Sichuan, Yunnan settentrionale).
Larix mastersiana Rehder & E.H.Wilson – Cina occidentale.
Larix griffithii Hook.f. (syn. L. griffithiana) – Il più meridionale dei larici, si trova in zone montuose dell'Himalaya.
I larici inoltre si ibridano facilmente tra loro e attualmente sono stati accettati e riconosciuti i seguenti ibridi:
Larix × lubarskii Sukaczev
Larix × maritima Sukaczev
Larix × polonica Racib.
Un noto ibrido impiegato in selvicoltura è il larice di Dunkeld o Larix × marschlinsii (sin. L. × eurolepis ), sorto più o meno simultaneamente in Svizzera e Scozia quando individui intermedi tra L. decidua e L. kaempferi, contenenti le qualità di entrambi, furono notati a seguito dell’impiego delle due specie parentali in rimboschimenti promiscui. Quest’ibrido è stato largamente impiegato anche in Italia, sia sulle Alpi che in alcune zone dell'Appennino e delle Alpi Apuane. Larix x stenophylla Sukaczev è un altro probabile ibrido ancora tassonomicamente non definito.
Usi
Il larice possiede un legno bicolore (rosa salmone o rossastro nel durame e bianco-giallastro nell'alburno) particolarmente resistente alle intemperie. Viene utilizzato soprattutto per uso strutturale, per mobili, manufatti e in edilizia per costruire i tetti delle case di montagna. Risulta anche un buon combustibile.
Dalle radici si estrae il d-mannosio, un monosaccaride utilizzato in passato come rimedio naturale per combattere le cistiti da Escherichia coli, mentre dalla corteccia di larice occidentale si estraggono gli arabinogalattani, composti che hanno una funzione benefica sull'intestino e contro la tosse.
Galleria d'immagini
Note
Bibliografia
Gymnosperm Database: Larix
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Pinaceae |
2595 | https://it.wikipedia.org/wiki/Longitudine | Longitudine | La longitudine (dal latino longitudo, longitudĭnis; derivato di longus, "lungo") è la coordinata geografica che specifica quanto la posizione di un punto sulla superficie terrestre si trovi ad est oppure ad ovest rispetto al Meridiano di Greenwich assunto come riferimento.
Rispetto a quest'ultimo, esiste pertanto una longitudine orientale da 0° a 180° (Long E) e una longitudine occidentale da 0° a 180° (Long W).
In altri termini, la longitudine è la distanza angolare, misurata in gradi, lungo l'arco di parallelo compreso tra il Meridiano fondamentale di Greenwich e il meridiano passante per il punto considerato. Essa è definita in maniera analoga, ma riferita a differenti meridiani e piani di riferimento, anche in astronomia.
Descrizione
Talora la longitudine di un punto della superficie terrestre può essere espressa rispetto a un meridiano locale scelto come fondamentale, del quale però è perfettamente conosciuta a sua volta la longitudine rispetto al meridiano fondamentale, rendendo agevole il calcolo della longitudine del punto stesso rispetto a Greenwich.
Gli antichi fissarono come meridiano fondamentale quello passante dall'isola di Ferro nelle Canarie (situato a 20° a ovest di Parigi). Nel 1885 una commissione riunitasi a Washington convenne di adottare il meridiano di Greenwich (situato a 2° 20' 14" da Parigi). In Italia si è spesso usato, anche in tempi recenti, il Meridiano di Monte Mario (Roma), situato a 12° 27' 10",93 E in E.D. 1950'' da Greenwich; sovente si possono trovare indicazioni leggermente diverse a seconda dell'ellissoide usato, per esempio viene riferita a 12° 27' 08",40 secondo il sistema italiano chiamato Roma 40. Dal meridiano fondamentale deriva anche l'UTC, o tempo coordinato universale.
Misurazione
Una misura semplificata della longitudine si effettua con un orologio (o meglio un cronometro) e una meridiana. L'orologio deve segnare l'ora di Greenwich. Semplificando: leggendo l'ora locale dalla meridiana e calcolando la differenza con quella dell'orologio si trova la longitudine (15° per ogni ora). In realtà bisognerebbe correggere l'ora di osservazione della nostra meridiana con l'equazione del tempo ottenibile dalla consultazione delle Effemeridi cambiata di segno.
Bibliografia
Voci correlate
Coordinate geografiche
Coordinate celesti
John Harrison
Latitudine
Linea internazionale del cambio di data
Meridiano
Meridiano di Greenwich
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Cartografia
Longitudine |
2596 | https://it.wikipedia.org/wiki/Leonard%20Woolley | Leonard Woolley | Conosciuto per i suoi scavi a Ur, in Mesopotamia, Woolley è considerato uno dei primi archeologi moderni. Nel 1935 venne insignito del titolo di "Sir" per i suoi contributi all'archeologia.
Biografia
Woolley nacque ad Upper Clapton, nel moderno borough di Hackney, a Londra, e frequentò il New College di Oxford. Nel 1905 divenne assistente all'Ashmolean Museum.
Nel 1910 effettuò scavi a Karkemish, fra Siria e Turchia, dove sulle rive dell'Eufrate lavorò per conto del British Museum, avendo tra i propri collaboratori Lawrence d'Arabia. Nel 1914 esplorò Shivta.
Portò a termine i maggiori scavi a Karkemish anticipando appena l'inizio della Grande Guerra. Il suo lavoro a Ur iniziò nel 1922, dove fece importanti scoperte durante gli scavi nei cimiteri reali, come lo Stendardo di Ur e le arpe e lire di Ur.
Nel 1943 venne nominato Archaeological Adviser presso il War Office, responsabile della tutela dei monumenti nelle zone di guerra controllate dall'esercito britannico.
Onorificenze
Bibliografia
1930 Digging Up the Past, ed. Aris & Philips (1967).
1943 "German Vandalism in Naples", in The Times, 26 novembre 1943.
1944 "Our Troops saved Art Treasures", in Sunday Times, 27 agosto 1944.
1945 "Protection of Archives in Italy", in Antiquity, giugno 1945.
1945 "The preservation of historical architecture in the war zones: paper to RIBA on the work of the Civil Affairs Department of S. H. A. E. F.", in Journal of the Royal Institute of British Architects, vol. 53, dicembre 1945, pp. 35-42.
1947 A record of the work done by the military authorities for the protection of art and history in was areas, Londra, HMSO, 1947.
1957 Il mestiere dell'archeologo, Torino, Einaudi, 1957.
Voci correlate
Cimitero reale di Ur
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Knight Bachelor |
2598 | https://it.wikipedia.org/wiki/Litografia%20%28disambigua%29 | Litografia (disambigua) | Litografia – tecnica di stampa e per esteso lo stabilimento o reparto in cui si eseguono stampe di tipo litografico
Litografia – processo di fabbricazione utilizzato in elettronica
Litografia colloidale – tecnica di stampa 3D
Litografia bifotonica – Stampa 3D a livello nanoscopico |
2600 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua%20vallona | Lingua vallona | Il vallone (walon) è una lingua romanza parlata in Vallonia (nel sud del Belgio).
Altri luoghi in cui viene parlato il vallone sono:
in Francia nella zona denominata «Botte de Givet» (nel nord delle Ardenne), oltre a qualche piccolo centro del dipartimento del Nord (Cousolre);
negli Stati Uniti in una piccola zona del Wisconsin (Green Bay), in ragione di una corrente migratoria del XIX secolo;
sempre in Belgio, da residenti valloni di Bruxelles;
nel granducato del Lussemburgo, in alcuni borghi quali Doncols e Sonlez.
Storia
Parlare di un periodo di nascita per il vallone non è semplice; da uno stretto punto di vista linguistico, Louis Remacle ha mostrato che numerose evoluzioni che consideriamo oggi come tipiche del vallone sono apparse tra il 700 e il 1200. Il vallone «era chiaramente e definitivamente individualizzato fin dal 1200 oppure fin dall'inizio del XIII secolo».
Tuttavia, i testi "linguistici" dell'epoca non menzionano il vallone, mentre menzionano già, tra l'altro, il piccardo e il lorenese nello stesso campo linguistico d'oïl. Nel Quattrocento, gli scrittori della regione chiamano la loro lingua roman (romanza) quando vogliono distinguerla dalle altre. All'inizio del XVI secolo, troviamo la prima attestazione della parola "vallone" nel senso linguistico di oggi: nel 1510 o nel 1511 Jean Lemaire de Belges opera la transizione tra "rommand" (cioè romanza) e "vualon".
Il termine "vallone" acquista così un senso più prossimo all'attuale: la lingua regionale della parte romanza dei Paesi Bassi e della regione di Liegi. L'epoca in cui si stabilisce l'egemonia della Borgogna unificatrice nella regione vallona è un momento importantissimo della storia del vallone. La nascita visibile d'una certa identità vallona al contrario delle regioni "thioises" (fiamminghe) dei Paesi Bassi consacra la parola "Valloni" per designare le popolazioni francofone. Lo stesso, un po' più tardi, la loro lingua regionale è percepita più chiaramente come distinta dal francese centrale e dalle altre lingue d'oïl circostanti, ciò che comporta l'abbandono del termine "romanzo" in senso vago a beneficio della parola "vallone", in cui l'estensione linguistica è sovrapposta al senso etnico e politico. In questo periodo in cui il francese termina di sostituirsi al latino in tutte le funzioni (Ordinanza di Villers-Cotterêts, 1539), si stabilisce come lingua d'insegnamento ed è l'oggetto di un'intensa politica di normalizzazione (La Pléiade): in un contesto in cui vivono insieme due lingue della stessa famiglia, l'una può solo definirsi contro l'altra.
Attorno al 1600 vi è una conferma scritta dell'evoluzione del modo di esprimersi nel corso dei due secoli precedenti e si impone definitivamente il sistema grafico francese nella regione vallona. Risale a questo periodo la presa di coscienza della differenza tra una lingua vernacolare orale (il vallone) e la lingua scritta dei secoli precedenti, la "scripta", che era una lingua composta, tipicamente vallona, ma non riproduceva sistematicamente i tratti della parlata vernacolare dell'epoca. Il vallone scritto viene riservato alla letteratura satirica e buffonesca, mentre il francese rimane la lingua formale dei testi ufficiali.
Varietà geografiche del vallone
Ci sarebbero quattro grandi gruppi di dialetti:
vallone orientale;
vallone centrale;
vallone occidentale;
vallone meridionale.
Il vallone orientale è il dialetto che ha la maggior percentuale di caratteristiche proprie del vallone, seguito dal vallone centrale, mentre l'occidentale ed il meridionale hanno dialetti più misti, dove si trovano più numerose influenze francesi, a volte caratteristiche più antiche che negli altri dialetti, ma anche caratteristiche che si ritrovano nelle lingue regionali vicine (piccardo a ovest e lorenese a sud). Da qui viene l'uso a volte dei nomi "vallo-lorenese" e "vallo-piccardo", anche se questi nomi possono sembrare esagerati.
Solo i dialetti dell'estremo ovest (La Louvière ad esempio) e dell'estremo sud (Léglise ad esempio) possono essere considerati linguisticamente a cavallo tra due campi linguistici. Inoltre, molte caratteristiche del vallone occidentale non sono in comune con il piccardo in genere, ma più con i dialetti orientali del piccardo (il piccardo di Vallonia). Lo stesso ragionamento si può fare per il vallone meridionale, che ha caratteristiche comuni con i dialetti più settentrionali del lorenese (gomese) piuttosto che con il lorenese in generale.
Sono quindi più spesso considerazioni extra-linguistiche che fondano "l'unità" dei gruppi dialettali, ad esempio l'influenza di un centro come Liegi ad est oppure l'identificazione fra Ardenne e vallone meridionale. Le quattro grandi divisioni dialettali citate sopra non sono pertanto ben nette.
Esempi
Note
Bibliografia
Chantal Denis, Dictionnaire français-wallon d'après Nameur èt avaur-là, Namur, 2001.
Jean-Marie Pierret, Jean-Jacques Gaziaux et Jean Germain, Le wallon in Lîmês I. Les langues régionales romanes en Wallonie, Éd. Traditions et parlers populaires, Bruxelles, 1992 ISBN 978-2-930047-02-7.
Maurice Piron, Les lettres wallonnes contemporaines, Éd. Casterman, Tournai, 1944
Maurice Piron, Anthologie de la littérature wallonne, Éd. Mardaga, Liège, 1978.
Lein Geschiere, Éléments néerlandais du wallon liégeois, Noord-Hollandsche, Amsterdam, 1950
Hervé Hasquin, La Wallonie, son histoire, Éd. Luc Pire, Bruxelles, 1999 ISBN 2-930240-18-0
Rita Lejeune et Jacques Stiennon, La Wallonie, le Pays et les Hommes: lettres, arts, culture, 3 volumes, 1977-79.
Joseph Dejardin, Dictionnaire des spots ou proverbes wallons, 2 tomes, Bulletin de la Société Liégeoise de Littérature Wallonne, Éd. H. Vaillant-Carmanne, Liège, 1891.
Voci correlate
Ortografia vallona unificata
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Vallone
Vallone |
2601 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua%20sarda | Lingua sarda | Il sardo (nome nativo sardu /ˈsaɾdu/, lìngua sarda /ˈliŋɡwa ˈzaɾda/ nelle varietà campidanesi o limba sarda /ˈlimba ˈzaɾda/ nelle varietà logudoresi e in ortografia LSC) è una lingua parlata in Sardegna e appartenente alle lingue romanze del ramo indoeuropeo che, per differenziazione evidente sia ai parlanti nativi, sia ai non sardi, sia agli studiosi di ogni tempo, deve essere considerata autonoma dagli altri sistemi dialettali di area italica, gallica e iberica e pertanto classificata come idioma a sé stante nel panorama neolatino.
Dal 1997 la legge regionale riconosce alla lingua sarda pari dignità rispetto all'italiano. Dal 1999 la lingua sarda è anche tutelata dalla legge nazionale sulle minoranze linguistiche; fra i dodici gruppi in questione, quello sardo costituisce la comunità più robusta in termini assoluti benché in continua diminuzione nel numero di locutori e lingua minoritaria in pericolo di estinzione.
Situazione attuale
Per quanto la comunità di locutori possa definirsi come avente una "elevata coscienza linguistica", il sardo è attualmente classificato dall'UNESCO nei suoi principali dialetti come una lingua in serio pericolo di estinzione (definitely endangered), essendo gravemente minacciato dal processo di deriva linguistica verso l'italiano, il cui tasso di assimilazione, ingenerata dal diciottesimo secolo in poi, presso la popolazione sarda è ormai alquanto avanzato. Lo stato alquanto fragile e precario in cui ormai versa la lingua, in forte regresso finanche nell'ambito familiare, è illustrato dal rapporto Euromosaic, in cui, come riportato nel 2000 dal linguista Roberto Bolognesi, il sardo «è al 43º posto nella graduatoria delle 50 lingue prese in considerazione e delle quali sono stati analizzati (a) l’uso in famiglia, (b) la riproduzione culturale, (c) l’uso nella comunità, (d) il prestigio, (e) l’uso nelle istituzioni, (f) l’uso nell’istruzione».
I sociolinguisti hanno classificato il panorama linguistico della Sardegna come diglossico a partire dall'unità d'Italia nel 1861 fino agli anni Cinquanta del Novecento, in accordanza con la politica linguistica del paese che designava l'italiano come la sola lingua ufficiale da promuovere in ambiti quali l'amministrazione e istruzione, relegando di conseguenza il sardo e altre minoranze linguistiche a domini non ufficiali. A partire dalla seconda metà del ventesimo secolo, si assisterebbe all'emersione di un predominio totale dell'italiano, finanche nei domini casuali, facendo sorgere timori sulla futura estinzione della lingua sarda, riconosciuta solo allo scadere del secolo come minoranza linguistica della Repubblica.
La popolazione sarda in età adulta non sarebbe a oggi più capace di portare avanti una singola conversazione nella lingua etnica, essendo questa ormai relegata alla sola oralità e impiegata in via esclusiva solo dal 0,6% del totale, e meno del 15%, all'interno di quella giovanile, ne avrebbe ereditato competenze del tutto residuali nella forma deteriore descritta da Bolognesi come «un gergo sgrammaticato». Per le generazioni più giovani e, ad oggi, in predominanza monolingui in italiano, il sardo parrebbe essere diventato un ricordo e «poco più che la lingua dei loro nonni», nella quale non si identificherebbero più, essendone del tutto stata recisa la trasmissione intergenerazionale almeno dagli anni Sessanta.
Essendo il futuro prossimo della lingua sarda tutt'altro che sicuro, Martin Harris asseriva già nel 2003 che, qualora non si fosse riusciti a invertire la tendenza, essa si sarebbe del tutto estinta, lasciando meramente le sue tracce nell'idioma ora prevalente in Sardegna, ovvero l'italiano nella sua variante specificamente regionale, sotto forma di sostrato.
Quadro generale
Il sardo è classificato come lingua romanza e viene considerato da molti studiosi come la più conservativa delle lingue derivanti dal latino; a titolo di esempio, lo storico Manlio Brigaglia rileva che la frase in latino pronunciata da un romano di stanza a Forum Traiani Pone mihi tres panes in bertula ("Mettimi tre pani nella bisaccia") corrisponderebbe alla sua traduzione in sardo corrente Ponemi tres panes in sa bèrtula. La relativa prossimità della lingua sarda al latino era stata analizzata anche dal linguista italo-americano Mario Andrew Pei nel suo studio comparativo del 1949 e ancor prima notata, nel 1941, dal geografo francese Maurice Le Lannou nel corso del suo periodo di ricerca in Sardegna.
Sebbene la base lessicale sia quindi in massima misura di origine latina, il sardo conserva tuttavia diverse testimonianze del sostrato linguistico degli antichi Sardi prima della conquista romana: si evidenziano etimi protosardi e, in misura minore, anche fenicio-punici in diversi vocaboli e soprattutto toponimi, che in Sardegna si sarebbero preservati in percentuale maggiore rispetto al resto dell'Europa latina. Tali etimi riportano a un sostrato paleomediterraneo che rivelerebbe relazioni strette con il basco. In età medievale, moderna e contemporanea la lingua sarda ha ricevuto influenze di superstrato dal greco-bizantino, ligure, volgare toscano, catalano, castigliano e infine italiano.
Caratterizzato da una spiccata fisionomia che risalta dalle più antiche fonti disponibili, il sardo è ritenuto da vari autori come parte di un gruppo autonomo nell'ambito delle lingue romanze.
La lingua sarda è stata rapportata da Max Leopold Wagner e Benvenuto Aronne Terracini all'ormai estinto latino d'Africa, con le cui varietà condivide diversi parallelismi e un qual certo arcaismo linguistico, nonché un precoce distacco dal comune ceppo latino; il Wagner ascrive gli stretti rapporti tra l'ormai estinta latinità africana e quella sarda, inter alia, finanche alla comune esperienza storico-istituzionale nell'Esarcato d'Africa. A confortare tale teoria si menzionano le testimonianze di alcuni autori, quali l'umanista Paolo Pompilio e il geografo Muhammad al-Idrisi, che visse a Palermo nella corte del re Ruggero II.
La comunanza sarda e africana di diverse parole alquanto rare se non assenti nel resto del panorama romanzo, come acina (uva), pala (spalla), o anche spanus nel latino africano e il sardo spanu ("rossiccio"), costituirebbe la prova, per J. N. Adams, del fatto che una discreta quantità di vocabolario fosse un tempo condivisa tra Africa e Sardegna. Sempre con riguardo al lessico, Wagner osserva come la denominazione sarda per la Via Lattea (sa (b)ía de sa báza o (b)ía de sa bálla, letteralmente "la via o il cammino della paglia") si discosti dall'intero panorama romanzo e si ritrovi piuttosto nelle lingue berbere.
Ciononostante, una qual certa altra classificazione proposta da Giovan Battista Pellegrini associa, comunque, il sardo al ramo italoromanzo sulla base di correnti valutazioni sociolinguistiche a suo dire espresse dalla popolazione sarda, pur rilevandone le peculiarità tipologiche nell'intero panorama latino (Romània). Prima di lui, Bernardino Biondelli, nei suoi Studi linguistici del 1856, pur ammettendo per la "famiglia sarda" un'autonomia linguistica «in guisa da poter essere considerata come una lingua distinta dall'italiana, del pari che la spagnuola», la aveva comunque accorpata ai vari "dialetti italici" della penisola, stanti gli stretti rapporti della lingua con il progenitore latino e la dipendenza politica dell'isola dall'Italia.
Il Wagner (1951) annette il sardo alla Romània occidentale, mentre Matteo Bartoli (1903) e Pier Enea Guarnerio (1905) lo ascrivono a una posizione autonoma tra la Romània occidentale e quella orientale. Da altri autori ancora, il sardo è classificato come l'unico esponente ancora in vita di una branca un tempo comprensiva finanche della Corsica e della summenzionata sponda meridionale del Mediterraneo.
Thomas Krefeld descrive, in merito, la Sardegna linguistica come «una Romània in nuce» contraddistinta dalla «combinazione di tratti panromanzi, tratti macroregionali (iberoromanzi e italoromanzi) e perfino tratti microregionali ed esclusivamente sardi», la cui distribuzione spaziale varia in ragione della dialettica tra spinte innovatrici e altre tendenti alla conservatività.
Secondo Brenda Man Qing Ong e Francesco Perono Cacciafoco, la lingua sarda sarebbe un diasistema comprensivo di varietà e sottovarietà che non hanno subìto l'unificazione linguistica o nazionale, ma contengono comunque elementi linguistici, fonetici, grammaticali e lessicali simili.
Varietà linguistiche di tipo sardo
I dialetti della lingua sarda propriamente detta vengono convenzionalmente ricondotti a due ortografie standardizzate e reciprocamente comprensibili, l'una riferita ai dialetti centro-settentrionali (o "logudoresi") e l'altra a quelli centro-meridionali (o "campidanesi"). Le caratteristiche che vengono solitamente considerate dirimenti sono l'articolo determinativo plurale (is ambigenere in campidanese, sos / sas in logudorese) e il trattamento delle vocali etimologiche latine E e O, che rimangono tali nelle varietà centro-settentrionali e sono mutate in I e U in quelle centro-meridionali; esistono però numerosi dialetti detti di transizione, o Mesanía (es. arborense, barbaricino meridionale, ogliastrino, ecc.), che presentano i caratteri tipici ora dell'una, ora dell'altra varietà.
Tale percezione dualistica dei dialetti sardi, originariamente registrata in via esogena per la prima volta dal naturalista Francesco Cetti (1774) e riproposta in seguito da Matteo Madao (1782), Vincenzo Raimondo Porru (1832), Giovanni Spano (1840) e Vittorio Angius (1853), piuttosto che segnalare la presenza di effettive isoglosse, costituisce la prova di un'adesione psicologica dei Sardi alla suddivisione amministrativa dell'isola effettuata in epoca iberica tra un Caput Logudori (cabu de susu, "capo di sopra") e un Caput Calaris (cabu de jossu, "capo di sotto") ed estesa poi alla tradizione ortografica in una varietà logudorese e campidanese illustre.
Il fatto che tali varietà illustri astraggano dai dialetti effettivamente diffusi nel territorio, che invece si collocano lungo uno spettro interno o continuum di parlate reciprocamente intellegibili, fa sì che risulti difficile tracciare un confine reale tra le varietà interne di tipo "logudorese" e di tipo "campidanese", problematica comune nella distinzione dei dialetti delle lingue romanze. Dal punto di vista propriamente scientifico, tale classificazione binaria non è condivisa da alcuni autori, coesistendo proposte alternative di classificazione tripartita e quadripartita.
I vari dialetti sardi, pur accomunati da morfologia, lessico e sintassi fondamentalmente omogenei, presentano rilevanti differenze di carattere fonetico e talvolta anche lessicale, che non ne ostacolano comunque la mutua comprensibilità.
Distribuzione geografica
Viene tuttora parlata in quasi tutta l'isola di Sardegna da un numero di locutori variabile tra 1.000.000 e 1.350.000 unità, generalmente bilingue (sardo/italiano) in situazione di diglossia (la lingua sarda è utilizzata prevalentemente nell'ambito familiare e locale mentre quella italiana viene usata nelle occasioni pubbliche e per la quasi totalità della scrittura).
Più precisamente, da uno studio commissionato dalla Regione Sardegna nel 2006 risulta che ci siano 1.495.000 persone circa che capiscono la lingua sarda e 1.000.000 di persone circa in grado di parlarla. In modo approssimativo i locutori attivi del campidanese sarebbero 670.000 circa (il 68,9% dei residenti a fronte di 942.000 persone in grado di capirlo), mentre i parlanti delle varietà logudoresi-nuoresi sarebbero 330.000 circa (compresi i locutori residenti ad Alghero, nel Turritano e in Gallura) e 553.000 circa i sardi in grado di capirlo. Nel complesso solo meno del 3% dei residenti delle zone sardofone non avrebbe alcuna competenza della lingua sarda.
Il sardo è la lingua tradizionale nella maggior parte delle comunità sarde nelle quali complessivamente vive l'82% dei sardi (il 58% in comunità tradizionalmente campidanesi, il 23% in quelle logudoresi).
Aree non sardofone
In virtù delle emigrazioni dai centri sardofoni, principalmente logudoresi e nuoresi, verso le zone costiere e le città del nord Sardegna il sardo è, peraltro, parlato anche in aree non sardofone:
Nella città di Alghero, dove la lingua più diffusa, assieme all'italiano, è un dialetto del catalano (lingua che, oltre all'algherese, comprende tra le altre anche le parlate della Catalogna, del Rossiglione, delle Isole Baleari e di Valencia), il sardo è capito dal 49,8% degli abitanti e parlato dal 23,2%. Il mantenimento plurisecolare del catalano in questa zona è dato da un particolare episodio storico: le rivolte anticatalane da parte degli algheresi, con particolare riferimento a quella del 1353, furono infruttuose poiché la città fu alfine ceduta nel 1354 a Pietro IV il Cerimonioso. Questi, memore delle sollevazioni popolari, espulse tutti gli abitanti originari della città, ripopolandola dapprima con soli catalani di Tarragona, Valencia e delle Isole Baleari e, successivamente, con indigeni sardi che avessero però dato prova di piena fedeltà alla Corona di Aragona.
A Isili il romaniska è invece in via d'estinzione, parlato solo da un sempre più ristretto numero di individui. Tale idioma fu importato anch'esso in Sardegna nel corso della dominazione iberico-spagnola, a seguito di un massiccio afflusso di immigrati rom albanesi che, insediatisi nel suddetto paese, diedero origine a una piccola colonia di ramai ambulanti.
Nell'isola di San Pietro e parte di quella di Sant'Antioco, dove persiste il tabarchino, dialetto arcaizzante del ligure. Il tarbarchino fu importato dai discendenti di quei liguri che, nel Cinquecento, si erano trasferiti nell'isolotto tunisino di Tabarka e che, per via dell'esaurimento dei banchi corallini e del deterioramento dei rapporti con le popolazioni arabe, ebbero da Carlo Emanuele III di Savoia il permesso di colonizzare le due piccole e inabitate isole sarde nel 1738: il nome del comune appena fondato, Carloforte, sarebbe stato scelto dai coloni in onore del sovrano piemontese. La permanenza compatta in una sola locazione, unita ai processi proiettivi di auto-identificazione dati dalla percezione che i tabarchini avrebbero avuto di sé stessi in rapporto agli indigeni sardi, hanno comportato nella popolazione locale un alto tasso di lealtà linguistica a tale dialetto ligure, ritenuto un fattore necessario per l'integrazione sociale: difatti, la lingua sarda è compresa da solo il 15,6% della popolazione e parlata da un ancor più esiguo 12,2%.
Nel centro di Arborea (Campidano di Oristano) il veneto, trapiantato negli anni trenta del Novecento dagli immigrati veneti giunti a colonizzare il territorio ivi concesso dalle politiche fasciste, è oggigiorno in regresso, soppiantato sia dal sardo sia dall'italiano. Anche nella frazione algherese di Fertilia sono predominanti, accanto all'italiano, dialetti di tale famiglia (anch'essi in netto regresso) introdotti nell'immediato dopoguerra da gruppi di profughi istriani su un preesistente sostrato ferrarese.
Un discorso a parte va fatto per i due idiomi parlati nell'estremo nord dell'isola, linguisticamente gravitanti sulla Corsica e quindi la Toscana: l'uno a nord-est, sviluppatosi da una varietà del toscano (il còrso meridionale) e l'altro a nord-ovest, influenzato dal toscano/corso e genovese. Francesco Cetti, che per primo, come si è detto, operò la classificazione bipartita del sardo, aveva reputato l'idioma sardo-corso «che si parla in Sassari, Castelsardo e Tempio» come «straniero» e «non nazionale» (ovvero, "non sardo") al pari del dialetto catalano di Alghero, giacché sarebbe a suo dire «un dialetto italiano, assai più toscano, che non la maggior parte de’ medesimi dialetti d'Italia». La maggior parte degli studiosi li considera infatti come parlate geograficamente sarde ma tipologicamente facenti parte, assieme al corso, del sistema linguistico italiano per sintassi, grammatica e in buona parte anche lessico.
Secoli di contiguità hanno fatto sì che tra gli idiomi sardo-corsi, afferenti all'area italiana, e la lingua sarda vi fossero reciproche influenze sia fonetico-sintattiche sia lessicali, senza però comportarne l'annullamento delle differenze fondamentali tra i due sistemi linguistici. Nello specifico, i cosiddetti idiomi sardo-corsi sono:
il gallurese, parlato nella parte nord-orientale dell'isola, è di fatto una varietà del còrso meridionale. L'idioma sorse verosimilmente a seguito dei notevoli flussi migratori che, procedenti dalla Corsica, investirono la Gallura dalla seconda metà circa del XIV secolo o, secondo altri, invece, a partire dal XVI secolo. La causa di tali flussi andrebbe ricercata nello spopolamento della regione dovuto a pestilenze, incursioni e incendi.
il turritano o sassarese, parlato a Sassari, Porto Torres, Sorso, Castelsardo e nei loro dintorni, ebbe invece origine più antica (XII-XIII secolo). Esso conserva grammatica e struttura di base corso-toscana a riprova della sua origine comunale e mercantile, ma presenta profonde influenze del sardo logudorese in lessico e fonetica, oltre a quelle minori del ligure, del catalano e dello spagnolo.
Nelle zone di diffusione del gallurese e del sassarese, la lingua sarda è capita dalla massima parte della popolazione (il 73,6% in Gallura e il 67,8% nel Turritano), anche se è parlata da una minoranza di locutori: il 15,1% in Gallura (senza la città di Olbia, dove la sardofonia ha un notevole rilievo, ma comprese le piccole enclavi linguistiche come Luras) e il 40,5% nel Turritano, grazie alle numerose isole linguistiche in cui i due idiomi convivono.
Competenza del sardo all'interno delle diverse aree linguistiche
La presente tavola sinottica è contenuta nel già citato rapporto di Anna Oppo (curatrice), Le Lingue dei Sardi. Una Ricerca Sociolinguistica, commissionato dalla Regione Autonoma di Sardegna alle Università di Cagliari e di Sassari.
Storia
Preistoria e storia antica
Le origini e la classificazione della lingua protosarda o paleosarda non sono al momento note con certezza. Alcuni studiosi, tra cui il linguista svizzero esperto degli elementi di sostrato Johannes Hubschmid, hanno creduto di potere riconoscere diverse stratificazioni linguistiche nella Sardegna preistorica. Queste stratificazioni, cronologicamente collocabili in un periodo molto ampio che va dall'età della pietra a quella dei metalli, mostrerebbero, a seconda delle ricostruzioni proposte dai diversi autori, similitudini con le lingue paleoispaniche (proto-basco, iberico), lingue tirseniche e l'antico ligure.
Anche se la dominazione di Roma, iniziata nel 238 a.C., importò fin da subito nell'amministrazione locale la lingua latina attraverso il ruolo dei negotiatores di etnia strettamente italica, la romanizzazione dell'isola non procedette in maniera affatto spedita: si stima che i contatti linguistici con la metropoli continentale fossero probabilmente già cessati a partire dal I secolo a.C., e le lingue sarde, fra cui il punico, permasero nell'uso ancora per diverso tempo. Si reputa che il punico continuò a essere usato fino al IV secolo d.C., mentre il nuragico resistette fino al VII secolo d.C. presso le popolazioni dell'interno che, guidate dal capo tribale Ospitone, adottarono anch'esse il latino con la loro conversione al cristianesimo. La prossimità culturale della popolazione locale rispetto a quella cartaginese risaltava nel giudizio degli autori romani, in particolare presso Cicerone le cui invettive, nello schernire i sardi ribelli al potere romano, vertevano nel denunciarne la inaffidabilità per via della loro supposta origine africana avendone in odio i portamenti, la loro disposizione verso Cartagine piuttosto che Roma, nonché una lingua incomprensibile.
Diverse radici paleosarde rimasero invariate e in molti casi furono incamerate nel latino locale (come Nur, presumibilmente da Norace, che si ritrova in diversi toponimi quali Nurri, Nurra e molti altri); la regione dell'isola che avrebbe derivato il suo nome dal latino Barbaria (in italiano "paese dei Barbari", lemma comune all'ormai desueto "Barberia") si oppose all'assimilazione romana per un lungo periodo: vedasi, a titolo di esempio, il caso di Olzai, in cui circa il 50% dei toponimi è derivabile dal sostrato linguistico protosardo. Oltre ai nomi di luogo, sull'isola sono presenti diversi nomi di piante, animali e terminologia geomorfica direttamente riconducibili agli antichi idiomi indigeni. Anche nel suo fondo latino il sardo presenta diverse peculiarità, dovute all'adozione di vocaboli sconosciuti e/o da tempo caduti in disuso nel resto della Romània linguistica.
Per quanto lentamente, il latino sarebbe alla fine comunque diventato la lingua madre della maggior parte degli abitanti dell'isola. Come risultato di questo profondo processo di romanizzazione, l'odierna lingua sarda è oggi classificata come lingua romanza o neolatina, presentante caratteristiche fonetiche e morfologiche simili al latino classico. Alcuni linguisti sostengono che la lingua sarda moderna sia stata la prima lingua a dividersi dalle altre lingue che si stavano evolvendo dal latino.
Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente e una parentesi vandalica di 80 anni, la Sardegna fu riconquistata da Bisanzio e inclusa nell'Esarcato d'Africa. Il Casula è convinto che la dominazione vandalica procurò una «netta frattura con la tradizione redazionale romano-latina o, quantomeno, una sensibile strozzatura» così che il successivo governo bizantino poté impiantare «i propri istituti operativi» in un «territorio conteso tra la "grecìa" e la "romània"». Luigi Pinelli ritiene che la presenza vandala avesse «estraniato la Sardegna dall'Europa legando il suo destino al dominio africano» in un legame volto a rafforzarsi ulteriormente «sotto la dominazione bizantina non solo per aver l'impero romaico compreso l'isola all'Esarcato africano, ma per averne, sia pure indirettamente, sviluppata la comunità etnica facendo ad essa acquistare molte delle caratteristiche africane» che avrebbero permesso a etnologi e storici di elaborare la teoria dell'origine africana dei paleosardi, ormai deprecata.
Nonostante un periodo di quasi cinque secoli, la lingua greca dei bizantini non diede in prestito al sardo che alcune espressioni rituali e formali; significativo, d'altro canto, l'utilizzo dell'alfabeto greco per redigere testi in primo volgare sardo, ovvero una lingua neolatina.
Periodo giudicale
Quando gli omayyadi si impadronirono del Nordafrica, ai bizantini non rimasero dei precedenti territori che le Baleari e la Sardegna; Luigi Pinelli ritiene che tale evento abbia costituito uno spartiacque fondamentale nel percorso storico della Sardegna, determinando la definitiva recisione di quei legami culturali in precedenza assai stretti tra quest'ultima e la sponda meridionale del Mediterraneo: «le comunanze con le terre d'Africa si dileguarono, come nebbia al sole, per effetto della conquista islamita giacché questa, a causa dell'accanita resistenza dei sardi, non riuscì, come avvenuto in Africa, ad estendersi nell'isola». Nonostante le numerose spedizioni intraprese verso la Sardegna, infatti, gli arabi non sarebbero mai riusciti a conquistarla e a stabilirvisi, a differenza della Sicilia. Michele Amari, citato dal Pinelli, scrive che «i tentativi dei musulmani di Africa di conquistare la Sardegna e la Corsica furono frustrati per il valore inconcusso degli abitatori di quelle isole poveri e valorosi che si salvarono per due secoli dal giogo degli arabi».
Essendo Costantinopoli impegnata nella riconquista della Sicilia e del Meridione italiano, caduti anch'essi nelle mani degli arabi, questa distolse la propria attenzione dall'isola che, quindi, procedette a dotarsi di competenze via via maggiori fino all'indipendenza. Pinelli reputa che «la conquista araba separò la Sardegna da quel continente senza che, però, si verificasse una riunione all'Europa» e che detto evento «determina una svolta capitale per la Sardegna dando vita al governo nazionale di fatto indipendente», retto da una figura chiamata "giudice" (judike o juighe in sardo), intesa come autentico sovrano a capo di una statualità (Logu) sovrana, perfetta, non patrimoniale ma superindividuale (iudex sive rex, da cui il sardo judicadu e la resa italiana in "giudicato"), piuttosto che nel suo significato in italiano di comune "magistrato". Il Casula ritiene che, da un esame degli elementi diplomatistici e paleografici, l'isola emerga dal «black-out documentario» anteriore al Mille con un'assunzione di sovranità avvenuta, intorno al secolo IX, come «conseguenza marginale dell'occupazione della Sicilia da parte degli Arabi e dalla disgregazione dell'Impero carolingio»; una lettera di Brancaleone Doria, marito di Eleonora d'Arborea, recita che nell'ultimo decennio del secolo XIV il giudicato arborense avrebbe avuto già "cinquecento anni di vita" e fosse, perciò, nato verso la fine dell'800.
Il volgare sardo, sviluppando nel tempo le due varianti ortografiche logudoresi e campidanesi, costituì durante il periodo medioevale la lingua ufficiale e nazionale dei quattro Giudicati isolani, anticipando in emancipazione le altre lingue neolatine tra cui il volgare toscano, come riportava in guisa di esempio da seguire per gli italiani "sulla scorta dei vicini Sardi" lo storico e diplomatista Ludovico Antonio Muratori.
L'eccezionalità della situazione sarda, che costituisce in tal senso un caso unico nell'intero panorama romanzo, consiste nel fatto che tali testi ufficiali furono redatti fin dall'inizio in lingua sarda per comunicazioni interne ed escludessero del tutto il latino, a differenza di quanto accadeva nel periodo coevo nelle regioni geografico-culturali di Francia, Italia e Iberia; il latino in Sardegna era infatti impiegato solo nei documenti concernenti rapporti esterni con il continente europeo. La coscienza linguistica sulla dignità del sardo era tale da giungere, nelle parole di Livio Petrucci, a un suo impiego «in epoca per la quale nulla di simile è verificabile nella penisola» non solo «in campo giuridico» ma anche «in qualunque altro settore della scrittura». Il Casula riporta in merito che i «documenti "per l'interno", cioè destinati ai Sardi» fossero già in volgare sardo, laddove quelli «per l'esterno» fossero in «latino "quasi merovingico"».
La lingua sarda presentava allora un numero ancor maggiore di arcaismi e latinismi rispetto a quella attuale, l'utilizzo di caratteri oggi entrati in disuso nonché in diversi documenti una grafia della lingua scritta che risentiva degli influssi continentali degli scrivani, spesso toscani, genovesi o catalani. Scarsa la presenza di lemmi germanici, giunti perlopiù attraverso lo stesso latino, e degli arabismi, importati a loro volta dall'influsso iberico.
Dante Alighieri nel suo De vulgari eloquentia (1303-1305) ne riferisce ed espelle criticamente i sardi, a rigore "non italiani (Latii) per quanto a questi superficialmente accomunabili", in quanto agli occhi di Dante parlerebbero non una lingua neolatina, bensì in latino schietto imitandone la gramatica «come le scimmie imitano gli uomini: dicono infatti domus nova e dominus meus».
Tale asserzione è in realtà prova di quanto il sardo, ormai evolutosi autonomamente dal latino, fosse divenuto già in quell'epoca, nelle parole del Wagner, un'autentica e impenetrabile "sfinge", ovvero una lingua pressoché incomprensibile a tutti fuorché gli isolani. Famosi sono due versi del XII secolo attribuiti al trovatore provenzale Rambaldo di Vaqueiras, che nel suo poema Domna, tant vos ai preiada equipara il sardo per intelligibilità a due lingue del tutto escluse dallo spazio romanzo, quali il tedesco (un idioma germanico) e il berbero (un idioma afroasiatico): «No t'entend plui d'un Todesco / Sardesco o Barbarì» (lett. "Non ti capisco più di un tedesco / o sardo o berbero") e quelli del fiorentino Fazio degli Uberti (XIV secolo) il quale nel Dittamondo scrive dei sardi: «una gente che niuno non la intende / né essi sanno quel ch'altri pispiglia » (lett. "una gente che nessuno capisce / né essi capiscono quel che gli altri bisbigliano").
Il primo documento scritto in cui compaiono elementi della lingua sarda risale al 1065 e si tratta dell'atto di donazione da parte di Barisone I di Torres indirizzato all'abate Desiderio a favore dell'abbazia di Montecassino, noto anche come Carta di Nicita.
Altri documenti di grande rilevanza sono i Condaghi, la Carta di Orzocco (1066/1073), il Privilegio Logudorese (1080-1085) conservato presso l'Archivio di Stato di Pisa, la Prima Carta cagliaritana (1089 o 1103) proveniente dalla chiesa di San Saturnino nella diocesi di Cagliari e, assieme alla Seconda Carta Marsigliese, conservata negli Archivi Dipartimentali delle Bouches-du Rhone a Marsiglia, oltre a un particolare atto (1173) tra il Vescovo di Civita Bernardo e Benedetto, allor amministratore dell'Opera del Duomo di Pisa.
Gli Statuti Sassaresi (1316) e quelli di Castelgenovese (c. 1334), scritti in logudorese, sono un altro importante esempio di documentazione linguistica della Sardegna settentrionale e della Sassari comunale; è infine d'uopo menzionare la Carta de Logu del Regno di Arborea (1355-1376), che sarebbe rimasta in vigore fino al 1827.
Per quanto i testi a noi rimasti provenissero da zone alquanto lontane l'una dall'altra, quali il nord e il sud dell'isola, il sardo si presentava allora piuttosto omogeneo: benché le differenze ortografiche tra il logudorese e il campidanese cominciassero a intravedersi, il Wagner rinveniva in tale periodo «l'originaria unità della lingua sarda». Paolo Merci vi riscontra una «larga uniformità», così come Antonio Sanna e Ignazio Delogu, per il quale sarebbe stata la vita comunitaria a sottrarre l'ortografia sarda ai localismi. A detta di Carlo Tagliavini, nell'isola si andava formando una koinè illustre basata piuttosto sul modello ortografico logudorese.
In seguito alla scomparsa del giudicato di Cagliari e di quello di Gallura nella seconda metà del XIII secolo, sarebbe stato il dominio dei Gherardesca e della Repubblica di Pisa sugli ex-territori giudicali a provocare, secondo Eduardo Blasco Ferrer, una prima frammentazione del sardo, con un considerevole processo di toscanizzazione della lingua locale. Nel settentrione della Sardegna, invece, furono i genovesi a imporre la propria sfera di influenza, sia mediante la nobiltà sardo-genovese di Sassari, sia attraverso i membri della famiglia Doria che, anche dopo l'annessione dell'isola da parte dei catalano-aragonesi, conservarono i propri feudi di Castelsardo e Monteleone in qualità di vassalli dei sovrani della Corona d'Aragona.
Alla seconda metà del XIII secolo risale la prima cronaca redatta in lingua sive ydiomate sardo, seguendo gli stilemi tipici del periodo. Il manoscritto, redatto da un anonimo e oggi conservato presso l'Archivio di Stato di Torino, reca il titolo di Condagues de Sardina e traccia le vicende dei Giudici succedutisi nel Giudicato di Torres; l'ultima edizione critica della cronaca sarebbe stata ripubblicata nel 1957 da Antonio Sanna.
La politica estera del giudicato di Arborea, indirizzata a unificare il resto dell'isola sotto il suo regno e a preservare la propria indipendenza da ingerenze straniere, oscillò tra una posizione di alleanza con gli aragonesi in funzione antipisana a una, di senso contrario, antiaragonese, instaurando alcuni legami culturali con la tradizione italiana.
La contrapposizione politica fra il giudicato di Arborea e i sovrani aragonesi si manifestò anche con l'adozione di certe matrici culturali toscane, quali alcuni moduli linguistici nell'Oristanese. Ciononostante, in linea con la propria politica estera, il giudicato arborense si contraddistinse per diverse innovazioni, quali un proprio tipo di scrittura cancelleresca (la gotica cancelleresca arborense, derivata dalla triangolare italiana) e per una qual certa riluttanza a sottoporsi eccessivamente all'influsso di culture forestiere, maturata sulla consapevolezza di una propria identità autoctona, etnica, antropologica, culturale e linguistica. In merito a detta cancelleresca, sulla cui costituzione il Casula non ha dubbi, egli dice che «non parrà arbitrario, quindi, se cercheremo di spiegare il modello attraverso i campioni offertici dai documenti originali della curia giudicale dell'Arborea, la quale ci sembra facesse qualcosa di più che abbandonarsi all'esecuzione passiva e sciatta della grafia gotica appresa in Italia o importata dagli italiani, verosimilmente dai Pisani: i Sardi oristanesi, infatti, calligrafarono, caratterizzarono, collettivizzarono e conservarono questa scrittura fino alla fine del giudicato. In poche parole: con essa crearono la propria cancelleresca, che dopo il 1323 può essere contrapposta alla cancelleresca catalana delle scrivanie regie dell'isola.»
In ogni caso, una qual certa influenza italiana poté essere mantenuta nel giudicato arborense grazie alla presenza in loco di alcuni notai, giuristi e medici provenienti dalla suddetta penisola, nonché di alcuni uomini d'arme toscani a capo di milizie locali, fra cui Cicarello di Montepulciano e Giuliano di Massa: Mariano IV d'Arborea, che aveva trascorso parte della propria giovinezza in Catalogna, avrebbe impartito ordini ai propri comandanti in italiano o in sardo «secondo la loro nazionalità d'origine».
Periodo aragonese e spagnolo
L'infeudamento della Sardegna da parte di papa Bonifacio VIII nel 1297, senza che questi avesse tenuto conto delle realtà statuali già presenti al suo interno, portò alla fondazione nominale del Regno di Sardegna: ovvero, di uno stato che, per quanto privo di summa potestas, entrò di diritto quale membro in unione personale entro la compagine mediterranea della Corona di Aragona. Ebbe così inizio una lunga guerra tra quest'ultima e al grido di «Helis, Helis», dal 1353, il precedentemente alleato Giudicato di Arborea, in cui la lingua sarda avrebbe rivestito un ruolo di codice di contrassegno etnico.
La guerra aveva tra i suoi motivi un mai sopito e antico disegno arborense di instaurare «un grande Stato-Nazione isolano, tutto indigeno» assistito dalla partecipazione stavolta massiccia, per la prima e ultima volta nella loro storia, finanche del resto dei Sardi, ovvero non giudicali (Sardus de foras) e residenti nei possedimenti signorili o regnicoli, nonché una diffusa insofferenza per il trapiantamento di un regime feudale che minacciava la sopravvivenza di radicate istituzioni autoctone e, lungi dall'assicurare la riconduzione dell'isola a un regime unitario, vi aveva solo introdotto "tot reges quot sunt ville" ("tanti re-padroni quanti sono i paesi"). Il conflitto tra le due entità sovrane si concluse dopo sessantasette anni con la definitiva vittoria della "confederazione" aragonese nella storica battaglia di Sanluri nel 30 giugno 1409 e, infine, la rinuncia dei diritti di successione arborensi da parte di Guglielmo III di Narbona nel 1420. Tale evento, accompagnato alla scomparsa del re di Sicilia Martino il Giovane nel 1409, segnò per Francesco Cesare Casula l'uccisione reciproca delle due "nazioni", sarda e catalana, e per l'isola "l'inizio del vero medioevo feudale", terminato solo nel 1836: per il Casula, il predetto avvenimento, paragonato per rilevanza storica alla «fine del Messico azteco», dovrebbe ritenersi «né trionfo né sconfitta, ma la dolorosa nascita della Sardegna di oggi». Durante e dopo questo conflitto, sarebbe stato sistematicamente neutralizzato ogni focolaio di ribellione antiaragonese, quali la rivolta di Alghero nel 1353, quella di Uras del 1470 e infine quella di Macomer nel 1478, richiamata nel De bello et interitu marchionis Oristanei; da quel momento, «quedó de todo punto Sardeña por el rey».
Il Casula reputa che i vincitori emersi dal conflitto avessero poi proceduto a distruggere la preesistente produzione documentaria dell'età giudicale, redatta perlopiù in lingua sarda ma anche in altri idiomi che meglio si confacevano alle relazioni della sofisticata cancelleria arborense, non lasciando dietro di sé che «poche pietre» e, nel complesso, un «esiguo gruppo di documenti», molti dei quali sono infatti tuttora conservati e/o rimandano ad archivi fuori dell'isola. Nello specifico, la documentazione giudicale e il suo palazzo sarebbe stata data completamente alle fiamme il 21 maggio 1478, mentre il viceré faceva trionfalmente il proprio ingresso ad Oristano dopo aver domato la summenzionata ribellione marchionale, che minacciava la ripresa di una soggettività arborense de jure abolita nel 1420 ma ancora ben viva nella memoria popolare.
Il catalano, lingua egemonica della Corona d'Aragona, assunse anche nell'isola tale status, in una condizione diglossica in cui il sardo venne relegato a una posizione secondaria: emblematica era la situazione di Cagliari, città soggetta al ripopolamento aragonese e in cui, nella testimonianze di Giovanni Francesco Fara, per un tempo il catalano subentrò interamente al sardo come ad Alghero, tanto da generare espressioni idiomatiche quali no scit su catalanu ("non sa il catalano") per indicare una persona che non sapeva esprimersi "correttamente". Il Fara, nella medesima prima monografia di età moderna dedicata ai Sardi e la Sardegna, riporta anche il vivace plurilinguismo presso «un medesimo popolo», per via dei movimenti migratori «di spagnoli (tarragonesi o catalani) e di italiani» nell'isola, ivi giunti per praticarvi il commercio. Ciononostante, la lingua sarda non scomparve affatto dall'uso ufficiale: la tradizione giuridica nazionale dei catalani nelle città convisse con quella preesistente dei sardi, contrassegnata nel 1421 dalla conferma della stessa Carta de Logu arborense da parte del Parlamento del re Alfonso il Magnanimo, quale intelaiatura fondamentale di una rete di rapporti localmente stratificata nei vari capitoli di grazia. In ambito amministrativo ed ecclesiastico, si seguitò a impiegare il sardo fino al Seicento inoltrato.
L'avvocato Sigismondo Arquer, autore della Sardiniae brevis historia et descriptio (il cui paragrafo relativo alla lingua sarebbe stato grossomodo estrapolato anche da Conrad Gessner nel suo "Sulle differenti lingue in uso presso le varie nazioni del globo"), riferisce che in Sardegna fossero parlate due lingue, ovvero lo "spagnolo, tarragonese o catalano" appreso dagli elementi iberici nelle città, e il sardo nel resto del Regno: per quanto quest'ultimo fosse ormai frazionato a causa delle dominazioni straniere (ovvero "latini, pisani, genovesi, spagnoli e africani"), l'Arquer riporta come i sardi nondimeno "fra loro si comprendessero perfettamente".
I Gesuiti, che fondarono dei collegi a Sassari (1559), Cagliari (1564), Iglesias (1578) e Alghero (1588), inizialmente promossero una politica linguistica a favore del sardo, usandolo nell'esercizio del loro ministero con grande favore delle popolazioni che, per la prima volta, si sentivano rivolgere nella loro lingua, piuttosto che in quella catalana, spagnola o italiana; tuttavia, tale pratica fu ritenuta inopportuna dal nuovo generale dell'Ordine, Francesco Borgia, che nel 1567 impose per tutte le attività l'utilizzo esclusivo del castigliano.
L'influenza del toscano, fra il XIV e il XV secolo, si manifestò nel Logudoro, sia in alcuni documenti ufficiali, sia come lingua letteraria: l'internazionalizzazione del Rinascimento italiano, a partire dal XVI secolo, avrebbe infatti ravvivato in Europa l'interesse per la cultura italiana, manifestandosi anche in Sardegna soprattutto nell'impiego aggiuntivo di suddetta lingua presso alcuni autori, parallelamente al sardo e a quelle iberiche che, comunque, conservarono la loro preminenza. In questi stessi secoli o in epoca immediatamente successiva, anche a causa della progressiva diffusione del corso in Gallura nonché in ampie zone della Sardegna nord-occidentale, cui si è fatto accenno in precedenza, il logudorese settentrionale assunse talune caratteristiche fonetiche (palatalizzazione e suoni fricativi-palatalizzati) dovute al contatto con l'area linguistica toscana (sic). Come rileva Bruno Migliorini, la Sardegna ebbe con la penisola italiana complessivamente «scarsi rapporti». Nel Parlamento del 1565, lo stamento militare richiese, nella forma di una petizione da parte di Álvaro de Madrigal, che gli statuti di Iglesias, Bosa e Sassari, fino ad allora redatti "in lingua genovese, pisana o italiana", fossero tradotti "in lingua sarda o in quella catalana", giacché «non è opportuno né è giusto che delle leggi del Regno siano in lingua straniera».
In questo primo periodo iberico abbiamo una qual certa documentazione scritta della lingua sarda tanto in letteratura quanto in atti notarili, essendo l'idioma maggiormente diffuso e parlato, che però ben esplica l'influenza iberica. Antonio Cano (1400-1476) compose, nel XV secolo, il poema di carattere agiografico Sa Vitta et sa Morte, et Passione de sanctu Gavinu, Prothu et Januariu (pubbl. 1557); è una delle opere letterarie più antiche in lingua sarda, nonché più rilevanti sotto l'aspetto filologico del periodo.
Nel 1479 si ebbe l'unificazione fra il regno di Castiglia con quello di Aragona. Tale unificazione, di carattere esclusivamente dinastico, non comportò, sotto il profilo linguistico, cambiamenti di sorta. Il castigliano o spagnolo tardò infatti a imporsi come lingua ufficiale dell'isola e non oltrepassò i domini della letteratura e dell'istruzione: fino al 1600 i pregones si pubblicarono perlopiù in catalano e solo a partire dal 1602 si iniziò a utilizzare anche il castigliano, che per Giovanni Siotto Pintor sarebbe stato usato nelle leggi e decreti a partire dal 1643.
Nel XVI secolo, il sardo conobbe una prima rinascita letteraria. L'opera Rimas Spirituales del letterato sassarese Gerolamo Araolla, che scrisse in sardo, castigliano e italiano, si prefisse il compito di "magnificare et arrichire sa limba nostra sarda", allo stesso modo in cui i poeti spagnoli, francesi e italiani lo avevano fatto per la loro rispettiva lingua, seguendo schemi già collaudati (es. la Deffense et illustration de la langue françoyse, il Dialogo delle lingue): per la prima volta fu così posta la cosiddetta "questione della lingua sarda", poi approfondita da vari altri autori. L'Araolla è anche il primo autore sardo a stringere in nesso la parola "lingua" con "nazione", il cui riconoscimento non è direttamente espresso a chiare lettere ma dato per scontato, data la "naturalezza" con la quale gli autori di diverse nazioni si cimentano in una propria letteratura nazionale.
Antonio Lo Frasso, poeta nativo di Alghero (città che ricorda con affetto in vari versi) e vissuto a Barcellona, fu probabilmente il primo intellettuale di cui abbiamo testimonianza a comporre in sardo liriche amorose, benché abbia scritto maggiormente in un castigliano pregno di catalanismi; si tratta in particolare di due sonetti (Cando si det finire custu ardente fogu e Supremu gloriosu exelsadu) e di un poema in ottave reali, facenti parte della sua opera principale Los diez libros de Fortuna de Amor (1573).
Nel XVII secolo vi fu una produzione letteraria anche in italiano, per quanto limitata (nel complesso, secondo le stime della scuola di Bruno Anatra, circa l'87% dei libri stampati a Cagliari era in spagnolo); nello specifico si trattava di alcuni scrittori plurilingui, come Salvatore Vitale, nato a Maracalagonis nel 1581, che accanto all'italiano utilizzò anche lo spagnolo, il latino e il sardo, Efisio Soto-Real (il cui vero nome fu Giuseppe Siotto), Eusebio Soggia, Prospero Merlo e Carlo Buragna, il quale aveva vissuto lungamente nel Regno di Napoli. Nel complesso, gli istruiti e la classe dirigente sarda dell'epoca conoscevano assai bene lo spagnolo e avrebbero scritto tanto in spagnolo quanto in sardo fino al XIX secolo; Vicente Bacallar Sanna, per esempio, fu uno dei fondatori della Real Academia Española.
Lo spagnolo si affermò, pertanto, tardivamente ma riuscì a ritagliarsi, comunque, una posizione di eminente prestigio nei campi elitari della letteratura e dell'erudizione, rispetto al catalano, la cui forza di propagazione fu tale da entrare nella massima parte delle contrade della Sardegna centrale e meridionale e in alcune aree di quella settentrionale (ma non certamente nel capitolo di Sassari, dove i contratti d'appalto iniziarono a privilegiare lo spagnolo dal 1610, gli atti ufficiali vennero scritti in sardo logudorese fino al 1649 e gli statuti di alcune prestigiose confraternite sassaresi in italiano; in aree quali Macomer, gli archivi parrocchiali impiegarono il sardo fino al 1623), resistendo tenacemente negli atti pubblici e nei libri di battesimo. Il sardo resistette, inoltre, nella drammatica religiosa e nella redazione di atti notarili nelle aree interne.
Il sardo restò comunque l'unico e spontaneo codice della popolazione sarda, rispettato e anche appreso dai conquistatori. Il sardo era una delle lingue la cui conoscenza era richiesta per potere essere ufficiali dei tercios spagnoli, a pari merito rispetto al castigliano, catalano e portoghese; dal momento che potevano fare carriera e arrivare in posizione di comando solo coloro che parlassero almeno una di queste quattro lingue, Vicente G. Olaya sostiene che «gli italiani che parlavano male lo spagnolo cercavano di farsi passare per valenciani per provare a essere promossi».
La situazione sociolinguistica era caratterizzata da una competenza, sia attiva sia passiva, nelle città delle due lingue iberiche e del sardo nel resto dell'isola, come riportato da varie testimonianze coeve: Cristòfor Despuig, ne Los Colloquis de la Insigne Ciutat de Tortosa, sosteneva nel 1557 che, per quanto la lingua catalana si fosse ritagliata un posto di «cortesana», "non tutti la parlano, dal momento che in molte parti dell'isola si conserva ancora l'antica lingua del Regno" («llengua antigua del Regne»), tributando a quest'ultima un insigne riconoscimento; l'ambasciatore e visitador reial Martin Carillo (supposto autore dell'ironico giudizio sulla nobiltà sarda: pocos, locos y mal unidos) notò nel 1611 che le principali città parlavano il catalano e lo spagnolo, ma al di fuori di queste non si capiva altra lingua che il sardo, compresa da tutti nell'intero Regno; Joan Gaspar Roig i Jalpí, autore del Llibre dels feyts d'armes de Catalunya, riportava a metà del Seicento che in Sardegna «parlen la llengua catalana molt polidament, axì com fos a Catalunya»; Anselm Adorno, originario di Genova ma residente a Bruges, notò nei suoi pellegrinaggi come, nonostante una cospicua presenza di stranieri residenti nell'isola, i nativi di questa parlassero comunque la loro lingua («linguam propriam sardiniscam loquentes»); un'altra testimonianza è offerta dal rettore del collegio gesuita sassarese Baldassarre Pinyes che, a Roma, registrava la partizione etnica e linguistica del Regno, scrivendo: «per ciò che concerne la lingua sarda, sappia vostra paternità che essa non è parlata in questa città, né in Alghero, né a Cagliari: la parlano solo nelle ville».
La consistente presenza, nel capo di sopra, di feudatari valenzani e aragonesi, oltre che di soldati mercenari lì stanziati di guardia, rese i dialetti logudoresi più esposti alle influenze castigliane; inoltre, altri vettori di ingresso furono, per quanto concerne i prestiti linguistici, la poesia orale, le opere teatrali e i già menzionati gocius o gosos (vocabolo derivante da gozos, stante per "inni sacri"). La poesia popolare si arricchì di altri generi, quali le anninnias (ninne nanne), gli attitos (lamenti funebri), le batorinas (quartine narrative), i berbos e paraulas (malefici e scongiuri) e i mutos e mutetos. Si annoti che diverse testimonianze scritte del sardo permasero anche negli atti notarili, i quali pur subirono crudi castiglianismi e italianismi nel lessico e nella forma, e nell'allestimento di opere religiose a scopo di catechesi, quali Sa Dottrina et Declarassione pius abundante e Sa Breve Suma de sa Doctrina in duas maneras.
Frattanto il parroco orgolese Ioan Mattheu Garipa, nell'opera Legendariu de Santas Virgines, et Martires de Iesu Christu che provvedette a tradurre dall'italiano (il Leggendario delle Sante Vergini e Martiri di Gesù Cristo), pose in evidenza la nobiltà del sardo rapportandola al latino classico e attribuendole nel Prologo, come Araolla prima di lui, un'importante valenza etnico-nazionale.
Secondo il filologo Paolo Maninchedda, tali autori, a partire dall'Araolla, «non scrivono di Sardegna o in sardo inserirsi in un sistema isolano, ma per iscrivere la Sardegna e la sua lingua – e con esse, se stessi – in un sistema europeo. Elevare la Sardegna ad una dignità culturale pari a quella di altri paesi europei significava anche promuovere i sardi, e in particolare i sardi colti, che si sentivano privi di radici e di appartenenza nel sistema culturale continentale».
Nei primi anni del Settecento, nell'isola si impiantò l'Arcadia e si assistette a una grande varietà di generi poetici, che variavano dalla poesia epica di Raimondo Congiu a quella satirica di Gian Pietro Cubeddu e quella sacra di Giovanni Delogu Ibba.
Periodo sabaudo e italiano
L'esito della guerra di successione spagnola determinò la sovranità austriaca dell'isola, confermata poi dai trattati di Utrecht e Rastadt (1713-1714); pur tuttavia durò appena quattro anni giacché, nel 1717, una flotta spagnola rioccupò Cagliari e nell'anno successivo, per mezzo di un trattato poi ratificato all'Aia nel 1720, la Sardegna venne assegnata a Vittorio Amedeo II di Savoia in cambio della Sicilia; il rappresentante di quest'ultimo, il conte di Lucerna di Campiglione, ricevette infine, da parte del delegato austriaco don Giuseppe dei Medici, l'atto definitivo di cessione, a condizione che i "diritti, statuti, privilegi della nazione" oggetto della trattativa diplomatica fossero conservati. L'isola entrò così nell'orbita italiana dopo quella iberica, benché tale trasferimento di autorità, in un primo tempo, non implicasse per i sudditi isolani alcun cambiamento in fatto di lingua e costumi: i sardi seguitarono a usare il sardo e le lingue iberiche e persino i simboli dinastici aragonesi e castigliani sarebbero stati sostituiti dalla croce sabauda solo nel 1767. Fino al 1848, la Sardegna sarebbe infatti rimasta uno stato con le proprie tradizioni e istituzioni, per quanto senza summa potestas e in unione personale entro i domini perlopiù alpini di Casa Savoia.
La lingua sarda, benché praticata in condizione di diglossia, non era mai stata ridotta al rango sociolinguistico di "dialetto", essendone comunque universalmente percepita la indipendenza linguistica e parlata da tutte le classi sociali; lo spagnolo era invece il codice linguistico di prestigio conosciuto e adoperato dagli strati sociali di almeno media cultura, talché Joaquín Arce ne riferisce nei termini di un paradosso storico: il castigliano era ormai diventato lingua comune degli isolani nel secolo stesso in cui cessarono ufficialmente di essere spagnoli per diventare infine italiani. Constatata la situazione corrente, la classe dirigente piemontese, in questo primo periodo, si limitò a mantenere le istituzioni politico-sociali locali, avendo però cura di svuotarle allo stesso tempo di significato, nonché di trattare «egualmente li seguaci dell'uno e dell'altro partito, con lasciarli però divisi, ad evitare che si possino unire per ricavarne nell'occasione quel buon uso che la Rivalità può produrre».
Tale approccio, improntato al pragmatismo, era dovuto a tre motivi di ordine eminentemente politico: in primo luogo la necessità, nei primi tempi, di rispettare alla lettera le disposizioni del Trattato di Londra, firmato il 2 agosto 1718, il quale imponeva il rispetto delle leggi fondamentali e dei privilegi del Regno appena ceduto; in secondo luogo, l'esigenza di non generare attriti sul fronte interno dell'isola, in larga parte filospagnolo; in terzo e ultimo luogo la speranza, covata dai regnanti sabaudi per qualche tempo ancora, di potersi disfare della Sardegna e riacquisire la Sicilia. Dal momento che l'imposizione di una nuova lingua, quale l'italiano, in Sardegna avrebbe infranto una delle leggi fondamentali del Regno, Vittorio Amedeo II sottolineò nel 1721 come tale operazione dovesse essere portata a termine "insensibilmente", ovvero in modo relativamente furtivo. Tale prudenza si riscontra ancora nel giugno del 1726 e nel gennaio del 1728, allorquando il Re espresse l'intenzione non già di abolire il sardo e lo spagnolo, ma solo di diffondere maggiormente la conoscenza dell'italiano.
Lo smarrimento iniziale dei nuovi dominatori, subentrati ai precedenti, rispetto all'alterità culturale che riconoscevano al possedimento isolano è evinto da un apposito studio, da loro commissionato e pubblicato nel 1726 dal gesuita barolese Antonio Falletti, dal nome "Memoria dei mezzi che si propongono per introdurre l'uso della lingua italiana in questo Regno" in cui si raccomandava all'amministrazione sabauda di applicare il metodo di apprendimento "ignotam linguam per notam expōnĕre" ("presentare una lingua sconosciuta [l'italiano] attraverso una conosciuta [lo spagnolo]"). Nello stesso anno, Vittorio Amedeo II aveva manifestato la volontà di non poter più tollerare la mancata conoscenza dell'italiano presso gli isolani, dati i disagi che ciò stava comportando per i funzionari giunti in Sardegna dalla terraferma. Le restrizioni sui matrimoni misti tra donne sarde e ufficiali piemontesi, fino ad allora proibiti per legge, sarebbero state revocate e questi anzi incoraggiati allo scopo di meglio diffondere la lingua tra i nativi.
La relazione tra il nuovo idioma e quello nativo, inserendosi entro un contesto storicamente contrassegnato da una marcata percezione di alterità linguistica, si pose fin da subito nei termini di un rapporto (ancorché ineguale) tra lingue fortemente distinte, piuttosto che tra una lingua e un suo dialetto come invece avvenne poi in altre regioni italiane; gli stessi spagnoli, costituenti la classe dirigente aragonese e castigliana, solevano inquadrare il sardo come una lingua distinta sia rispetto alle proprie sia all'italiano. La percezione dell'alterità del sardo era, però, pienamente avvertita anche dagli italiani che si recavano nell'isola e ne riportavano la loro esperienza con i nativi.
L'italiano, nonostante venisse da taluni anche in Sardegna settentrionale ritenuto "non nativo" o "forestiero", aveva svolto in quell'angolo di Sardegna fino ad allora un proprio ruolo, provocando nelle parlate e nella tradizione scritta un processo di toscanizzazione iniziato nel XII secolo e consolidatosi successivamente; nelle zone sardofone, corrispondenti all'area centro-settentrionale e meridionale dell'isola, era invece pressoché sconosciuto alla grande maggioranza della popolazione, dotta e no.
Purtuttavia, la politica del governo sabaudo in Sardegna, allora diretta dal ministro Bogino, di alienare l'isola dalla sfera culturale e politica spagnola in modo da assimilarla all'italiano Piemonte, ebbe quale riflesso l'introduzione diretta dell'italiano per legge nel 1760 sulla scorta degli Stati di terraferma e in particolare del Piemonte, nei quali l'impiego dell'italiano era ufficialmente consolidato da secoli, nonché ulteriormente rinforzato dall'editto di Rivoli. Difatti, nel provvedimento in questione venne, tra le altre cose, «vietato senza riserve nello scrivere e nel dire l'uso della favella castigliana; il quale, a quarant'anni d'un dominio italiano, era siffattamente abbarbicato nel cuore degli anziani maestri di lettere». Nel 1764 l'imposizione esclusiva della lingua italiana fu infine estesa a tutti i settori della vita pubblica quali anche l'istruzione, parallelamente alla riorganizzazione delle Università di Cagliari e Sassari, le quali videro l'arrivo di personale continentale, e a quella dell'istruzione inferiore, in cui si stabiliva l'invio di insegnanti provenienti dal Piemonte per supplire all'assenza di insegnanti sardi italofoni: nello specifico, già nel 1763 si previde l'invio in Sardegna di «alcuni abili professori italiani» per «stenebrare i maestri sardi dai loro errori» e indirizzare «pel buon sentiero maestri e discepoli». Tale manovra ineriva soprattutto a un progetto di allacciamento della cultura sarda a quella della penisola italiana e di rafforzamento geopolitico del dominio savoiardo sulla classe colta isolana, ancora molto legata alla penisola iberica, attraverso lo spossessamento linguistico-culturale e la neutralizzazione degli elementi recanti memoria del precedente periodo; il proposito non sfuggì alla classe dirigente sarda, la quale deplorava il fatto che «i Vescovi piemontesi hanno introdotto el predicar in italiano» e, in un documento anonimo attribuito agli Stamenti ed eloquentemente chiamato Lamento del Regno, denunciò come «sonosi tolte le arme, i privilegi, le leggi, la lingua, l'Università, e la moneta d'Aragona, con disonore de la Spagna, con detrimento di tutti i particolari».
Ciò nonostante, Milà i Fontanals scriveva nel 1863 che, ancora nel 1780, si continuava a impiegare il catalano negli strumenti notarili, mentre in spagnolo furono redatti, fino al 1828, i registri parrocchiali e atti ufficiali; nel 2017 è stato rinvenuto un libro di gosos, originario di Ozieri, redatto in castigliano in onore di Sant'Efisio del 1850. L'effetto più immediato fu, così, l'emarginazione del sardo, dal momento che per la prima volta anche i ceti abbienti della Sardegna rurale (i printzipales) cominciarono a percepire la sardofonia come un concreto svantaggio. Girolamo Sotgiu asserisce in merito che «la classe dirigente sarda, così come si era spagnolizzata, ora si italianizzava senza mai essere riuscita a sardizzarsi, a riuscire a trarre, cioè, dall'esperienza e dalla cultura del popolo dal quale proveniva quegli elementi di concretezza senza i quali una cultura e una classe dirigente sembrano sempre stranieri anche nella loro patria. Questo d'altra parte era l'obiettivo che il governo sabaudo si era proposto e che, nella sostanza, riusciva anche a perseguire».
Il sistema amministrativo e penale di matrice francese introdotto dal governo sabaudo, capace di estendersi in maniera quanto mai articolata presso ogni villaggio della Sardegna, rappresentò per i sardi il principale canale di contatto diretto con la nuova lingua egemone; per le classi più elevate, la soppressione dell'ordine dei Gesuiti nel 1774 e la loro sostituzione con i filoitaliani Scolopi, nonché le opere di matrice illuministica, stampate nella terraferma in italiano, ricoprirono un ruolo considerevole nella loro italianizzazione primaria. Nello stesso periodo di tempo, vari cartografi piemontesi italianizzarono i toponimi dell'isola: benché qualcuno fosse rimasto inalterato, la maggior parte subì un processo di adattamento alla pronuncia italiana, se non di sostituzione con designazioni in italiano, che perdura tutt'oggi, spesso artificioso e figlio di un'erronea interpretazione del significato nell'idioma locale.
Francesco Gemelli, ne Il Rifiorimento della Sardegna proposto nel miglioramento di sua agricoltura, così ritrae il pluralismo linguistico dell'isola nel 1776, rinviando a I quadrupedi di Sardegna un migliore esame «dell'indole della lingua sarda, e delle precipue differenze tra 'l sassarese e 'l toscano»: «cinque linguaggi parlansi in Sardegna, lo spagnuolo, l'italiano, il sardo, l'algarese, e 'l sassarese. I primi due per ragione del passato e del presente dominio, e delle passate, e presenti scuole intendonsi e parlansi da tutte le pulite persone nelle città, e ancor ne' villaggi. Il sardo è comune a tutto il Regno, e dividesi in due precipui dialetti, sardo campidanese e sardo del capo di sopra. L'algarese è un dialetto del catalano, perché colonia di catalani è Algheri; e finalmente il sassarese che si parla in Sassari, in Tempio e in Castel sardo, è un dialetto del toscano, reliquia del dominio de' Pisani. Lo spagnuolo va perdendo terreno a misura che prende piede l'italiano, il quale ha dispossessato il primo delle scuole, e de' tribunali».
Il primo studio sistematico sulla lingua sarda fu redatto nel 1782 dal filologo Matteo Madao, con il titolo de Il ripulimento della lingua sarda lavorato sopra la sua antologia colle due matrici lingue, la greca e la latina. Lamentando egli in premessa il generale declino della lingua («La lingua della Sarda nostra nazione, comecchè venerabile per la sua antichità, pregevole per l'ottimo fondo de’ suoi dialetti, elegante per le bellezze, che aduna delle altre più nobili, eccellente per la sua analogia colla Greca, e colla Latina, e non solo giovevole, ma eziandio necessaria alla privata, e pubblica società de’ nostri compatrioti, e concittadini, giacque in somma dimenticanza in fino al dì d'oggi, dagli stessi abbandonata come incolta, e dagli stranieri negletta come inutile»), l'intenzione patriottica che animava Madau era quella di accreditare il sardo come lingua nazionale dell'isola, seguendo l'esempio di autori quali il già citato Araolla in periodo iberico; purtuttavia, il clima di repressione del governo sabaudo sulla cultura sarda avrebbe indotto il Madau a velare i suoi proponimenti con intenti letterari, rivelandosi alla fine incapace di tradurli in realtà.
Il primo volume di dialettologia comparata fu realizzato nel 1786 dal gesuita catalano Andres Febres, noto in Italia con il falso nome di Bonifacio d'Olmi, di ritorno da Lima in cui aveva pubblicato un libro di grammatica mapuche nel 1764. Trasferitosi a Cagliari, si appassionò al sardo e condusse un lavoro di ricerca su tre specifici dialetti; scopo dell'opera, intitolata Prima grammatica de' tre dialetti sardi, era «dare le regole della lingua sarda» e spronare i sardi a «cultivare ed avantaggiare l'idioma loro patrio, con l'italiano insieme». Il governo di Torino, esaminata l'opera, decise di non permetterne la pubblicazione: Vittorio Amedeo III considerò un affronto il fatto che il libro contenesse una dedica bilingue rivoltagli in italiano e sardo, un errore che i suoi successori, pur richiamandosi a una "patria sarda", avrebbero poi evitato, premurandosi di fare uso del solo italiano.
Sul finire del Settecento, sulla scia della rivoluzione francese, si formò un gruppo di piccolo-borghesi, chiamato "Partito Patriottico", che meditava l'instaurazione di una Repubblica Sarda svincolata dal giogo feudale e sotto la protezione francese; si diffusero così nell'isola numerosi pamphlet, stampati prevalentemente in Corsica e scritti in lingua sarda, il cui contenuto, ispirato ai valori dei Lumi e apostrofato dai vescovi sardi come "giacobino-massonico", incitava il popolo alla ribellione contro il dominio piemontese e i soprusi baronali nelle campagne. Il prodotto letterario più famoso di tale periodo di tensioni, scoppiate il 28 aprile 1794, fu il poema antifeudale de Su patriotu sardu a sos feudatarios di Francesco Ignazio Mannu, quale testamento morale e civile nutrito degli ideali democratici francesi e contrassegnato da un rinnovato sentimento patriottico.
Nel clima di restaurazione monarchica seguito alla rivoluzione angioiana, il cui sostanziale fallimento segnò per la Sardegna uno storico spartiacque sul suo futuro, l'intellettualità sarda, caratterizzata tanto da un atteggiamento di devozione nei confronti della propria isola quanto di comprovata fedeltà verso la Casa Savoia, pose in maniera ancora più esplicita la "questione della lingua sarda", usando però generalmente l'italiano quale lingua veicolare dei testi. Nel diciannovesimo secolo, in particolare, all'interno dell'intellettualità sarda si registrò una frattura tra l'aderenza a un sentimento "nazionale" sardo e la dimostrazione di lealtà nei confronti della loro nuova "nazionalità" italiana, per la quale infine la classe dirigente propendette come reazione alla minaccia rappresentata dalle forze sociali rivoluzionarie.
A breve distanza dalla rivolta antipiemontese, nel 1811, si rileva la pubblicazione del sacerdote Vincenzo Raimondo Porru, la quale era però riferita alla sola variante meridionale (da cui il titolo di Saggio di grammatica del dialetto sardo meridionale) e, per prudenza nei confronti dei regnanti, espressa soltanto in funzione dell'apprendimento dell'italiano, anziché di tutela del sardo. Degno di nota è il lavoro del canonico, professore e senatore Giovanni Spano, la Ortographia sarda nationale ("Ortografia nazionale sarda") del 1840; benché ufficialmente seguisse l'esempio del Porru, cui pure rinviava, esso elevò un dialetto del sardo su base logudorese a koinè illustre in virtù dei suoi stretti rapporti con il latino, in maniera analoga al modo in cui il dialetto fiorentino si era culturalmente imposto a suo tempo in Italia quale "lingua illustre".
A detta del giurista Carlo Baudi di Vesme, la proscrizione e lo sradicamento della lingua sarda da ogni profilo privato e sociale dell'isola sarebbe stato auspicabile nonché necessario, quale opera di "incivilimento" dell'isola, perché fosse così integrata nell'orbita ormai spiccatamente italiana del Regno; dato che la Sardegna «non è Spagnuola, ma non è Italiana: è e fu da secoli pretta Sarda», occorreva, a cavallo delle circostanze che «l'accesero dell'ambizione, del desiderio, dell'amore delle cose italiane», promuovere maggiormente tali tendenze per «trarne profitto nel comune interesse», in ragione del quale si dimostrava «quasi necessario» diffondere in Sardegna la lingua italiana "presentemente nell'interno sì poco conosciuta" in prospettiva della Fusione Perfetta: «la Sardegna sarà Piemonte, sarà Italia; ne riceverà e ci darà lustro, ricchezza e potenza!».
L'istruzione primaria, offerta solo in italiano, contribuì dunque a una pur lenta diffusione di tale lingua tra i nativi, innescando per la prima volta un processo di erosione ed estinzione linguistica; il sardo venne infatti presentato dal sistema educativo come la lingua dei socialmente emarginati, nonché come sa limba de su famine o sa lingua de su famini ("la lingua della fame"), corresponsabile endogeno dell'isolamento e miseria secolare dell'isola, e per converso l'italiano quale agente di emancipazione sociale attraverso l'integrazione socioculturale con la terraferma continentale. Nel 1827 venne infine abrogata per sempre la Carta de Logu, lo storico corpus giuridico tradizionalmente noto come «consuetud de la nació sardesca», in favore delle più moderne "Leggi civili e criminali del Regno di Sardegna", pubblicate in italiano per espresso ordine del re Carlo Felice di Savoia.
La fusione perfetta del 1847 con la terraferma sabauda, auspicata da Baudi di Vesme come l'inizio della «gloriosa rigenerazione della Sardegna» e nata sotto gli auspici, espressi da Pietro Martini, di un «trapiantamento in Sardegna, senza riserve e ostacoli, della civiltà e cultura continentale», avrebbe determinato la perdita della residuale autonomia politica sarda nonché il definitivo declassamento del sardo rispetto all'italiano, marcando così il momento storico in cui, convenzionalmente, nelle parole di Antonietta Dettori «la ‘lingua della sarda nazione’ perse il valore di strumento di identificazione etnica di un popolo e della sua cultura, da codificare e valorizzare, per diventare uno dei tanti dialetti regionali subordinati alla lingua nazionale». Nonostante queste politiche di acculturazione, l'inno del Regno di Sardegna sabaudo e del Regno d'Italia (composto da Vittorio Angius e musicato da Giovanni Gonella nel 1843) sarebbe stato S'hymnu sardu nationale ("l'inno nazionale sardo") finché nel 1861, anno della proclamazione del Regno d'Italia, non venne anch'esso del tutto sostituito dalla Marcia Reale.
Tra il 1848 e il 1861, l'isola sarebbe piombata in una crisi sociale ed economica destinata a durare fino al primo dopoguerra. Il canonico Salvatore Carboni pubblicò a Bologna, nel 1881, un'opera polemica intitolata Sos discursos sacros in limba sarda, nel quale egli lamentava che la Sardegna «hoe provinzia italiana non podet tenner sas lezzes e sos attos pubblicos in sa propia limba» ("oggi, da provincia italiana qual è, non può disporre di leggi e atti pubblici nella propria lingua") e, sostenendo che «sa limba sarda, totu chi non uffiziale, durat in su Populu Sardu cantu durat sa Sardigna» ("la lingua sarda, benché non ufficiale, durerà nel popolo sardo quanto la Sardegna"), si domandava alfine «Proite mai nos hamus a dispreziare cun d'unu totale abbandonu sa limba sarda, antiga et nobile cantu s'italiana, sa franzesa et s'ispagnola?» ("Perché mai dovremmo disprezzare con un totale abbandono la lingua sarda, antica e nobile quanto l'italiana, la francese e la spagnola?").
L'età contemporanea
All'alba del Novecento, il sardo era rimasto oggetto di ricerca pressoché solo tra gli eruditi isolani, faticando a entrare nel circuito d'interesse internazionale e ancor di più risentendo di una qual certa marginalizzazione in ambito strettamente nazionale: si osserva infatti «la prevalenza degli studiosi stranieri su quelli italiani e/o l'esistenza di fondamentali e tuttora insostituiti contributi ad opera di linguisti non italiani». In precedenza, il sardo aveva trovato menzione in un libro di August Fuchs sui verbi irregolari nelle lingue romanze (Über die sogennannten unregelmässigen Zeitwörter in den romanischen Sprachen, Berlin, 1840) e, in seguito, nella seconda edizione della Grammatik der romanischen Sprachen (1856-1860) redatta da Friedrich Christian Diez, accreditato come uno dei fondatori della filologia romanza; alle pioneristiche ricerche degli autori tedeschi seguì, nei confronti della lingua sarda, un qual certo interesse anche da parte di alcuni italiani, quali Graziadio Isaia Ascoli e, soprattutto, il suo discepolo Pier Enea Guarnerio, che per primo in Italia classificò il sardo come un membro a sé della famiglia linguistica romanza senza più, come si soleva in ambito nazionale, subordinarlo al gruppo dei dialetti italiani. Wilhelm Meyer-Lübke, autorità indiscussa in linguistica romanza, pubblicò nel 1902 un saggio sul sardo logudorese dall'indagine del condaghe di San Pietro di Silki (Zur Kenntnis des Altlogudoresischen, in "Sitzungsberichte der kaiserliche Akademie der Wissenschaft Wien", Phil. Hist. Kl., 145) dal cui studio avvenne la iniziazione alla linguistica sarda dell'allora studente universitario Max Leopold Wagner: all'attività di quest'ultimo si deve gran parte delle conoscenze novecentesche sul sardo in campo fonetico, morfologico e in parte anche sintattico.
Durante la mobilitazione per la prima guerra mondiale, l'esercito italiano arruolò la popolazione «di stirpe sarda» istituendo la Brigata di fanteria Sassari il 1º marzo 1915 a Tempio Pausania e a Sinnai. A differenza delle altre brigate di fanteria italiane, i coscritti della Sassari erano solo sardi (compresi molti ufficiali). Attualmente è l'unica unità in Italia avente un inno in una lingua diversa dall'italiano, che sarebbe stato scritto quasi alla fine del secolo, nel 1994, da Luciano Sechi: Dimonios ("diavoli"), derivando il suo titolo dal soprannome Rote Teufel (in tedesco "diavoli rossi"). Il servizio militare obbligatorio intorno a questo periodo ricoprì una qual certa rilevanza nel processo di deriva linguistica all'italiano ed è indicato dallo storico Manlio Brigaglia come «la prima grande "nazionalizzazione" di massa» dei sardi, «più che per altri popoli regionali». Tuttavia, analogamente ai membri del servizio di leva che parlavano Navajo negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, così come ai parlanti Quechua durante la guerra delle Falkland, ai nativi sardi madrelingua fu offerta la possibilità di essere reclutati come code talker per trasmettere, attraverso le comunicazioni radio, informazioni tattiche in sardo che altrimenti sarebbero state intercettate dall'esercito austro-ungarico, dal momento che alcune delle sue truppe provenivano da regioni di lingua italiana alle quali, perciò, quella sarda era del tutto estranea: Alfredo Graziani scrive nel suo diario di guerra che «avendo saputo che molti nostri fonogrammi venivano intercettati, si era adottato il sistema di comunicare al telefono soltanto in sardo, certi che a quel modo non avrebbero potuto mai capire quanto si diceva». Per evitare tentativi di infiltrazione da parte di dette truppe italofone, nelle postazioni presidiate da reclute sarde della Brigata Sassari si imponeva a chiunque si presentasse da loro di identificarsi dimostrando di parlare sardo: «si ses italianu, faedda in sardu!».
In coincidenza con l'anno dell'indipendenza irlandese, l'autonomismo sardo riemerse come espressione del movimento dei combattenti, coagulandosi nel Partito Sardo d'Azione (PsdAz) che, entro breve tempo, sarebbe assurto ad attore fra i più rilevanti nella vita politica isolana; ai primordi, il partito non avrebbe tuttavia avuto caratteri di rivendicazione strettamente etnica, essendo la lingua e cultura sarda ampiamente percepiti, nelle parole di Toso, come «simboli del sottosviluppo della regione».
La politica di assimilazione forzosa culminò nel ventennio del regime fascista, che avviò una campagna di compressione violenta delle istanze autonomistiche e determinò, infine, il decisivo ingresso dell'isola nel sistema culturale nazionale attraverso l'operato congiunto del sistema educativo e di quello monopartitico, in un crescendo di multe e divieti che condussero a un ulteriore decadimento sociolinguistico del sardo; fra le varie espressioni culturali sottoposte a censura, il regime era anche riuscito a bandire, dal 1932 al 1937 (1945 in alcuni casi), il sardo dalla chiesa e dalle manifestazioni del folklore isolano, quali le gare poetiche tenute nella suddetta lingua.
Paradigmatico fu l'alterco tra il poeta sardo Antioco Casula (noto come Montanaru) e l'allora giornalista fascista dell'Unione Sarda Gino Anchisi, durante il quale quest'ultimo, riuscendo a fare bandire la presenza del sardo dai giornali isolani, affermò che «morta o moribonda la regione», come d'altronde proclamava il regime, «morto o moribondo il dialetto (sic)» che della regione era d'altronde «l'elemento spirituale rivelatore»; le argomentazioni del Casula si prestavano, in effetti, a possibili temi eversivi, dal momento che questi pose, per la prima volta nel XX secolo, la questione della lingua come una pratica di resistenza culturale endogena, il cui repertorio linguistico nelle scuole sarebbe stato necessario per mantenere una "personalità sarda" e allo stesso tempo riconquistare una "dignità" percepita come perduta. Un altro poeta, Salvatore Poddighe, si sarebbe suicidato per depressione in seguito al sequestro del suo magnum opus, Sa Mundana Cummedia.
Nel complesso, a fronte di una parziale resistenza nelle zone interne, entro la fine del ventennio il regime era riuscito con successo a sradicare nell'isola i modelli culturali locali con altri impiantati per via esogena, provocando, nelle parole di Guido Melis, «la compressione della cultura regionale, la frattura sempre più netta tra il passato dei sardi e il loro futuro "italiano", la riduzione di modi di vita e di pensiero molto radicati a puro fatto di folclore», nonché uno strappo «non più rimarginabile tra le generazioni». Nel 1945, in seguito all'avvenuto ripristino delle libertà politiche, il Partito Sardo d'Azione avrebbe richiesto per l'isola l'autonomia come stato federale in seno alla nuova Italia sorta dalla Resistenza: fu nel contesto del secondo dopoguerra che, al crescere della sensibilità autonomista, il partito principiò a contrassegnarsi per desiderata impostati sulla specificità linguistica e culturale della Sardegna. Manlio Brigaglia parla del ventennio come di una seconda fase di "nazionalizzazione di massa" dei sardi e della Sardegna, in quanto caratterizzata da «una politica deliberatamente puntata alla sua "italianizzazione"» e da una «guerra dichiarata» dal regime e dalla Chiesa all'uso della lingua sarda.
Nel complesso, la consapevolezza del tema concernente l'erosione linguistica entrò più tardi, nell'agenda politica sarda, rispetto a quanto avvenuto in altre periferie europee contrassegnate da minoranze etnolinguistiche: al contrario, tale periodo fu contrassegnato dal rifiuto del sardo da parte dei ceti medi, essendo la lingua e cultura sarda ancora largamente inquadrate come "simboli del sottosviluppo regionale". Buona parte della classe dirigente e intellettuale sarda, particolarmente sensibile ai richiami egemonici di quelle continentali, reputava infatti che la "modernizzazione" dell'isola fosse attuabile solo in alternativa ai suoi contesti socioculturali di tipo "tradizionale", quando non attraverso il loro «seppellimento totale». Si è osservato, a livello istituzionale, un forte osteggiamento del sardo e nel circuito intellettuale italiano, concezione poi interiorizzata nell'immaginario comune nazionale, esso era (il più delle volte per ragioni ideologiche o come residuo, adottato per inerzia, di vecchie consuetudini date dalle prime) spesso ritenuto come una variante degenerata dell'italiano, contrariamente all'opinione degli studiosi e persino di alcuni nazionalisti italiani come Carlo Salvioni, subendo tutte le discriminazioni e i pregiudizi legati a una tale associazione, soprattutto l'essere ritenuto una forma bassa di espressione ed essere ricondotta a un certo "tradizionalismo". I sardi furono così indotti, come del resto avvenuto presso altre comunità di minoranza, a sbarazzarsi di quanto percepivano recasse il timbro di un'identità stigmatizzata.
Al momento della stesura dello statuto autonomistico, il legislatore decise di eludere a fondamento della "specialità" sarda riferimenti alla sua identità geografica e culturale che, pur facendo da colonna portante delle originarie argomentazioni giustificative a fondamento dell'autonomia, erano considerati pericolosi prodromi a rivendicazioni più estreme quando non di ordine indipendentista; Antonello Mattone sostiene al riguardo che in tale progetto erano rimasti «inspiegabilmente in ombra i problemi legati agli aspetti etnici e culturali della questione autonomistica, per i quali i consultori non mostrano alcuna sensibilità, a differenza di tutti quei teorici (da Angioy a Tuveri, da Asproni a Bellieni) che invece proprio in questo patrimonio avevano individuato il titolo primario per un reggimento autonomo». Il disegno dello Statuto, emerso in un quadro nazionale ormai mutato dalla rottura dell'unità antifascista, nonché in un contesto contrassegnato dalle croniche debolezze della classe dirigente sarda e dalla radicalizzazione tra le istanze federalistiche locali e quelle, per converso, più apertamente ostili all'idea di autonomia per l'isola, emerse infine come il risultato di un compromesso, limitandosi piuttosto al riconoscimento di alcune istanze socioeconomiche nei confronti della terraferma, quali la sollecitazione allo sviluppo industriale della Sardegna con uno specifico "piano di rinascita" approntato dal centro.
Lo statuto, infine redatto dalla Commissione dei 75 a Roma, trovava così per il legislatore una ragione giustificativa non tanto in circostanze geografiche e culturali, quanto nella cosiddetta "arretratezza" economica della regione, alla cui luce si auspicava il suddetto piano di industrializzazione per l'isola in tempi brevi: diversamente da altri statuti speciali, quello sardo non vi richiama la effettiva comunità destinataria nei suoi ambiti sociali e culturali, i quali erano piuttosto inquadrati, dall'anzidetta Commissione dei 75, all'interno di una sola collettività, ovvero quella nazionale italiana. Lungi dall'affermazione di un'autonomia sarda fondata sul riconoscimento di una specifica identità culturale, come avvenuto in Valle d'Aosta o Alto Adige, il risultato di tale stagione fu quindi «un autonomismo nettamente economicistico, perché non si volle o non si poté disegnare un’autonomia forte, culturalmente motivata, una specificità sarda che non si esaurisse nell’arretratezza e nella povertà economica». Emilio Lussu, che a Pietro Mastino confidò di aver votato a favore della bozza finale solamente «per evitare che per un solo voto lo Statuto non venisse approvato neppure così ridotto», fu l'unico esponente, nella seduta del 30 dicembre 1946, a rivendicare invano l'obbligo dell'insegnamento della lingua sarda, sostenendo che essa fosse «un patrimonio millenario che occorre conservare».
Nel mentre, ulteriori politiche di stampo assimilatore sarebbero state applicate anche nel secondo dopoguerra, con un'italianizzazione progressiva di siti storici e oggetti appartenenti alla vita quotidiana e un'istruzione obbligatoria che ha insegnato l'uso della lingua italiana, non prevedendo un parallelo insegnamento di quella sarda e, anzi, attivamente scoraggiandolo attraverso divieti e sorveglianza diffusa di chi lo promuovesse: i maestri disprezzavano infatti la lingua, ritenendola un rude dialetto e contribuendo a un ulteriore abbassamento del suo prestigio presso la comunità sardofona stessa. Secondo alcuni studiosi, i metodi adottati per promuovere l'uso dell'italiano, improntati a un'italofonia esclusiva e sottrattiva, avrebbero inciso negativamente sulle performance scolastiche degli studenti sardi. Fenomeni riscontrabili in maggiore concentrazione in Sardegna, quali i tassi di abbandono scolastico e delle ripetenze, analoghi a quelli di altre minoranze linguistiche, avrebbero solo negli anni Novanta messo in discussione la effettiva efficacia di un'istruzione strettamente monolingue, con nuove proposte volte a un approccio comparativo.
Le norme statutarie così delineate si rivelarono, nel complesso, uno strumento inadeguato per rispondere ai problemi dell'isola; a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta, inoltre, prese avvio il vero processo di sostituzione radicale e definitiva della lingua sarda con quella italiana, a causa della diffusione, sia sul territorio isolano sia nel resto del territorio italiano, dei mezzi di comunicazione di massa che trasmettevano nella sola lingua italiana. Soprattutto la televisione ha diffuso l'uso dell'italiano e ne ha facilitato la comprensione e l'utilizzo anche tra le persone che, fino a quel momento, si esprimevano esclusivamente in sardo.
A partire dalla fine degli anni Sessanta, in coincidenza con la rinascita di un sardismo declinato sotto il segno di un "revivalismo linguistico e culturale", cominciarono a essere avviate numerose campagne a favore di un bilinguismo effettivamente paritario quale elemento di salvaguardia dell'identità isolana: per quanto già nel 1955 fossero state stabilite cinque cattedre di linguistica sarda, una prima richiesta effettiva venne sporta per mezzo di una delibera adottata all'unanimità dall'Università di Cagliari nel 1971, in cui si richiedeva all'autorità politica regionale e nazionale il riconoscimento dei sardi come minoranza etnica e linguistica e del sardo come idioma coufficiale dell'isola. Una prima bozza di legge sul bilinguismo fu redatta dal Partito Sardo d'Azione nel 1975. Famoso il richiamo patriottico espresso qualche mese prima di morire, nel 1977, da parte del poeta Raimondo Piras, che in No sias isciau invitava al recupero della lingua per opporsi alla dissardizzazione culturale delle generazioni successive. Nel 1978 una legge di iniziativa popolare per il bilinguismo raccolse migliaia di firme, ma non fu mai implementata in quanto incontrò la ferma opposizione della sinistra e in particolare del Partito Comunista Italiano, che a sua volta procedette a proporre un proprio progetto di legge "per la tutela della lingua e della cultura del popolo sardo" due anni più tardi. Un rapporto della commissione parlamentare d'inchiesta sul banditismo avrebbe messo in guardia da «tendenze isolazioniste particolarmente dannose per lo sviluppo della società sarda, che di recente si sono manifestate con la proposta di considerare il sardo come una lingua di una minoranza etnica». Negli anni Ottanta, all'attenzione del Consiglio regionale furono presentati così tre progetti di legge aventi contenuto simile alla delibera adottata dall'Università di Cagliari.
Nel corso degli anni Settanta, si registrò nelle aree rurali un significativo processo di deriva linguistica verso l'italiano non solo nel Campidano, ma anche in aree geografiche un tempo reputate linguisticamente conservatrici, quali Macomer nella provincia di Nuoro (1979), ove si era costituita una classe operaia e una imprenditoriale di origine prevalentemente esogena; alla ridefinizione della struttura economico-sociale ancora in atto corrispose, infatti, un'accentuata mutazione del repertorio linguistico, che determinò a sua volta uno slittamento dei valori su cui si basavano l'identità etnica e culturale delle comunità sarde. Tale questione è stata oggetto di analisi sociologiche sui mutamenti occorsi nell'identità della comunità sarda, i cui atteggiamenti sfavorevoli nei confronti della sardofonia sarebbero significativamente influenzati da uno stigma di presunta "primitività" e "arretratezza" a lungo impressole dalle istituzioni, di ordine politico e sociale, favorevoli all'italianità linguistica. Il sardo avrebbe subito un arretramento senza sosta rispetto all'italiano, per via di un "complesso della minoranza" che spinse la comunità sarda a un atteggiamento fortemente svalutavivo nei confronti della propria lingua e cultura. Negli anni successivi, tuttavia, si sarebbe registrato un parziale cambio di atteggiamento: non solo la lingua sarebbe stata inquadrata come un positivo marcatore etnico/identitario, sarebbe anche stata il canale attraverso il quale avrebbe trovato espressione l'insoddisfazione sociale a fronte delle misure approntate a livello centrale, reputate incapaci di provvedere alla soddisfazione dei bisogni sociali ed economici dell'isola. Allo stesso tempo, però, si osservò come tale sentimento positivo nei confronti della lingua contrastasse con il suo uso effettivo, che procedette a calare sensibilmente.
Nel gennaio del 1981 il giornale bilingue "Nazione Sarda" pubblicò un'inchiesta la quale riportava che, nel 1976, il Ministero dell'Istruzione aveva pubblicato una nota per richiedere informazioni sugli insegnanti che utilizzavano la lingua sarda nelle scuole, e che il Provveditorato di Sassari aveva pubblicato una circolare con oggetto "Scuole della Sardegna - Introduzione della lingua sarda" nella quale chiedeva ai presidi e ai direttori scolastici di astenersi da iniziative di quel tipo e di informare il provveditorato a riguardo di qualunque attività legata all'introduzione del sardo nei loro istituti.
Nel 1981 il Consiglio Regionale dibatté e votò per l'introduzione del bilinguismo per la prima volta.
In risposta alle pressioni esercitate da una risoluzione del Consiglio d'Europa sulla tutela delle minoranze nazionali, nel 1982 fu creata dal governo italiano un'apposita commissione per meglio indagare la questione; l'anno successivo fu presentato un disegno di legge al Parlamento, ma senza successo. Una delle prime leggi definitivamente approvate dal legislatore regionale, la "Legge Quadro per la Tutela e Valorizzazione della Lingua e della Cultura della Sardegna" del 3 agosto 1993, fu subito bocciata dalla Corte costituzionale a seguito di un ricorso del governo centrale, che la riteneva "esorbitante per molteplici aspetti dalla competenza integrativa e attuativa posseduta dalla Regione in materia di istruzione". Come è noto, si sarebbero dovuti aspettare altri quattro anni perché la normativa regionale non fosse sottoposta a giudizio di costituzionalità, e altri due perché il sardo potesse trovare riconoscimento in Italia contemporaneamente ad altre undici minoranze etnolinguistiche. Infatti, la legge nazionale n.482/1999 sulle minoranze linguistiche storiche fu approvata solo in seguito alla ratifica, da parte italiana, della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali del Consiglio d'Europa nel 1998.
Una ricerca promossa da MAKNO nel 1984 rivelò che tre quarti dei sardi erano a favore tanto dell'educazione bilingue nelle scuole (il 22% del campione auspicava un'introduzione obbligatoria e il 54,7% una facoltativa) quanto di uno status di bilinguismo ufficiale come la Valle d'Aosta e l'Alto Adige (62,7% del campione a favore, 25,9% contrario e 11,4% incerto). Tali dati sono stati parzialmente corroborati da un'altra indagine demoscopica svolta nel 2008, in cui il 57,3% mostrava un atteggiamento favorevole verso la presenza del sardo in orario scolastico assieme all'italiano. Un'altra ricerca, condotta nel 2010, segnala un parere decisamente favorevole da parte della stragrande maggioranza dei genitori verso l'insegnamento della lingua a scuola, ma non il suo impiego come idioma veicolare.
Alcune personalità ritengono che il processo di assimilazione possa portare alla morte del popolo sardo diversamente da quanto avvenuto, per esempio, in Irlanda (isola in gran parte linguisticamente anglicizzata). Benché risultino in ordine alla lingua e cultura sarda profondi fermenti di matrice identitaria, ciò che si riscontra attraverso analisi pare sia una lenta ma costante regressione nella competenza sia attiva sia passiva di tale lingua, per motivi di natura principalmente politica e socioeconomica (l'uso dell'italiano presentato come una chiave di avanzamento e promozione sociale, stigma associato all'impiego del sardo, il progressivo spopolamento delle zone interne verso quelle costiere, l'afflusso di genti dalla penisola e i potenziali problemi di mutua comprensibilità fra le varie lingue parlate, ecc.): il numero di bambini che userebbe attivamente il sardo crolla a un dato inferiore al 13%, peraltro concentrato nelle zone interne quali il Goceano, l'alta Barbagia e le Baronie. Prendendo in esame la situazione di taluni centri logudoresi a economia tradizionale (come Laerru, Chiaramonti e Ploaghe) in cui il tasso di sardofonia dei bambini è comunque pari allo 0%, Mauro Maxia parla in merito di un autentico caso di "suicidio linguistico" in capo a ormai poche decine di anni.
Purtuttavia, secondo le suddette analisi sociolinguistiche, tale processo non risulta affatto omogeneo, presentandosi in maniera ben più evidente nelle città che non nei paesi. Al giorno d'oggi, il sardo è una lingua la cui vitalità è riconoscibile in un'instabile condizione di diglossia e commutazione di codice, e che non entra, o non vi ha ampia diffusione, nell'amministrazione, nel commercio, nella chiesa, nella scuola, nelle università locali di Sassari e di Cagliari e nei mass media. Seguendo la scala di vitalità linguistica proposta da un apposito pannello dell'UNESCO nel 2003, il sardo fluttuerebbe tra una condizione di "sicuramente in pericolo di estinzione" (definitely endangered: i bambini non apprendono più la lingua), attribuitogli anche nel Libro Rosso, e una di "serio pericolo di estinzione" (severely endangered: la lingua è perlopiù usata dalla generazione dei nonni in su); secondo il criterio EGIDS (Expanded Graded Intergenerational Disruption Scale) proposto da Lewis e Simons, il sardo sarebbe in bilico tra il livello 7 (Instabile: la lingua non è più trasmessa alla generazione successiva) e il livello 8 (Moribonda: gli unici parlanti attivi della lingua appartengono alla generazione dei nonni), corrispondenti rispettivamente ai due gradi della scala UNESCO sopramenzionati. Il grado di progressiva assimilazione e penetrazione dell'italiano tra i sardofoni è confermato dalle ricerche dell'ISTAT, secondo le quali il 52,1% della popolazione sarda impiega ormai esclusivamente l'italiano in ambito familiare, mentre il 31,5% pratica alternanza linguistica e solo il 15,6% riporta di usare il sardo o altre lingue non italiane; al di fuori dell'ambiente privato e amicale, le percentuali sanciscono in maniera ancora più schiacciante l'esclusiva predominanza raggiunta dall'italiano nell'isola (87,2%) alle spese del sardo e altre lingue, tutte ferme al 2,8%.
Gli anni '90 hanno conosciuto un rinnovamento delle forme espressive nel panorama musicale sardo: molti artisti, spaziando dai generi più tradizionali quali il canto (cantu a tenore, cantu a chiterra, gosos, ecc.) e il teatro (Mario Deiana) a quelli più moderni quale il rock (Kenze Neke, Askra e KNA, Tzoku, Tazenda, ecc.) e addirittura rap e hip hop (Dr. Drer & CRC posse, Quilo, Sa Razza, Malam, Su Akru, Menhir, Stranos Elementos, Randagiu Sardu, Futta, ecc.) utilizzano infatti la lingua per promuovere l'isola e riconoscere i suoi vecchi problemi e le nuove sfide. Vi sono anche dei film (come Su Re, parzialmente Bellas mariposas, Treulababbu, Sonetàula, ecc.) realizzati in sardo con i sottotitoli in italiano, e altri ancora con i sottotitoli in sardo.
A partire dalle sessioni d'esame tenute nel 2013, hanno suscitato sorpresa, data la mancata istituzionalizzazione de facto della lingua, dei tentativi da parte di alcuni allievi di presentare l'esame o parte di esso in lingua sarda. Sono inoltre sempre più frequenti anche le dichiarazioni di matrimonio in tale lingua su richiesta dei coniugi.
Ha suscitato particolare scalpore l'iniziativa virtuale di alcuni sardi su Google Maps, in risposta a un'ordinanza del Ministero delle Infrastrutture che ordinava a tutti i sindaci della regione di eliminare i cartelli in sardo piazzati all'ingresso dei centri abitati: tutti i comuni avevano infatti ripreso il loro nome originario per circa un mese, finché lo staff di Google non decise di riportare la toponomastica nel solo italiano.
Di rilevanza è l'impiego, da parte di alcune società sportive quali la Dinamo Basket Sassari e il Cagliari Calcio, della lingua nelle sue campagne promozionali. In seguito a una campagna di adesioni, è stata resa possibile l'inclusione del sardo fra le lingue selezionabili su Facebook. L'opzione di scelta è ora a tutti gli effetti attiva ed è possibile avere la pagina in lingua sarda; è anche possibile selezionare la lingua sarda su Telegram. Il sardo è presente quale lingua configurabile anche in altre applicazioni, quali F-Droid, Diaspora, OsmAnd, Notepad++, QGIS, Stellarium, Skype, ecc. Nel 2016 è stato inaugurato il primo traduttore automatico dall'italiano al sardo, VLC media player per Android, Linux Mint Debina Edition 2 "Betsy", Firefox, ecc. Anche il motore di ricerca DuckDuckGo è stato interamente tradotto in lingua sarda.
La comunità sardofona costituirebbe ancora, con circa 1,7 milioni di parlanti autodichiaratisi nativi (di cui 1.291.000 presenti in Sardegna), la più consistente minoranza linguistica riconosciuta in Italia benché sia paradossalmente, allo stesso tempo, quella cui è garantita meno tutela. Al di fuori dell'Italia, in cui al momento non è prevista pressoché alcuna possibilità di insegnamento strutturato della suddetta lingua minoritaria (l'Università di Cagliari si distingue per avere aperto per la prima volta un corso specifico nel 2017; quella di Sassari, di rimando, nel 2021 ha annunciato l'apertura di un curriculum parzialmente dedicato alla lingua sarda in filologia moderna), si tengono talvolta corsi specifici in paesi quali Germania (università di Stoccarda, Monaco, Tubinga, Mannheim, ecc.), Spagna (università di Gerona), Islanda e Repubblica Ceca (università di Brno); per un qual certo periodo di tempo, il prof. Sugeta ne teneva alcuni anche in Giappone all'università di Waseda (Tokyo).
La estrema fragilità sociolinguistica del sardo è stata valutata dal gruppo di ricerca Euromosaic, commissionato dalla Commissione europea con l'intenzione di tracciare un quadro delle minoranze etnolinguistiche nei territori europei; questi, posizionando il sardo al quarantunesimo posto su un totale di quarantotto lingue di minoranza europee, rilevando un punteggio pari al greco del sud Italia, conclude così il suo rapporto:
Come spiega Matteo Valdes, «la popolazione dell’isola constata, giorno dopo giorno, il declino delle proprie parlate originarie, si fa complice di questo declino trasmettendo ai figli la lingua del prestigio e del potere ma, contemporaneamente, sente che la perdita delle lingue locali è anche perdita di se stessi, della propria storia, della propria specifica identità o diversità». Roberto Bolognesi ritiene che la perdurante stigmatizzazione del sardo come la lingua dei ceti "socialmente e culturalmente svantaggiati" comporti l'alimentazione di un circolo vizioso che ulteriormente promuove il regresso della lingua, irrobustendone il giudizio negativo presso quelli che più si percepiscono come competitivi: difatti, «è chiaro come questa identificazione sia da sempre una self-fulfilling prophecy, una profezia che si conferma da sé: un meccanismo perverso che ha condannato e ancora condanna alla marginalità sociale i sardoparlanti, escludendoli sistematicamente da quelle interazioni linguistiche e culturali in cui si sviluppano i registri prestigiosi e lo stile alto della lingua, innanzitutto nella scuola».
Essendo il processo di assimilazione ormai giunto a compimento, il bilinguismo in gran parte sulla carta e mancando ancora misure concrete per un uso ufficiale anche solo all'interno della Sardegna, la lingua sarda continua dunque la sua agonia, seppur con minore velocità rispetto a qualche tempo fa, soprattutto grazie all'impegno di coloro che nei vari contesti ne promuovono la rivalutazione in un processo che, da alcuni studiosi, è stato definito come "risardizzazione linguistica". Nel mentre, l'italiano continua a erodere, nel tempo, sempre più spazi associati al sardo, ormai in stato di generale deperimento con la già menzionata eccezione di alcune "sacche linguistiche". In merito alla predominanza ormai completamente raggiunta dall'italiano, Telmon registra «l'atteggiamento fortemente utilitaristico che i sardi hanno assunto nei suoi confronti. Pur essendo sentito infatti come fondamentalmente estraneo alle tradizioni più autenticamente popolari, il suo possesso viene considerato necessario e, in ogni caso, simbolo potente di avanzamento sociale, anche nel caso di diglossia senza bilinguismo».
Laddove la pratica linguistica del sardo è ora per tutta l'isola in netto declino, è invece comune nelle nuove generazioni di qualunque estrazione sociale, ormai monolingui e monoculturali italiane, quella dell'italiano regionale di Sardegna o IrS (spesso chiamato dai sardofoni, in segno di ironico spregio, italiànu porcheddìnu, letteralmente "italiano maialesco"): si tratta di una parlata dialettale dell'italiano che, nelle sue espressioni diastratiche, risente grandemente degli influssi fonologici, morfologici e sintattici del sardo anche in quei parlanti che non hanno alcuna conoscenza di tale lingua. Roberto Bolognesi sostiene che, a fronte della persistente negazione e rifiuto della lingua sarda, è come se questa si sia vendicata sull'originaria comunità di parlanti «e continui a vendicarsi "inquinando" il sistema linguistico egemone», rievocando l'avvertimento gramsciano profferito all'alba del secolo precedente. Infatti, a fronte di un italiano regionale ormai prevalente che, per Bolognesi, «si tratta in effetti di una lingua ibrida sorta dal contatto fra due sistemi linguistici diversi», «il (poco) sardo usato dai giovani costituisce spesso un gergo sgrammaticato infarcito di oscenità e di costruzioni appartenenti all’italiano»; la popolazione padroneggerebbe dunque solo "due lingue zoppe" le cui manifestazioni non scaturirebbero da una norma riconoscibile, né costituirebbero una fonte di sicurezza linguistica chiara: Bolognesi ritiene che «per i parlanti sardi, quindi, il rifiuto della propria identità linguistica originaria non ha comportato la sperata e automatica omologazione ad un’identità socialmente più prestigiosa, ma l’acquisizione di un’identità di serie B (né veramente sarda, né veramente italiana), non più autocentrata ma bensì periferica rispetto alle fonti di norma linguistica e culturale, le quali rimangono ancora al di fuori della loro portata: sull’altra riva del Tirreno».
D'altra parte, Eduardo Blasco Ferrer riscontra una propensione dei sardofoni esclusivamente per la pratica di commutazione di codice, piuttosto che per quella di commistione o commutazione intrafrasale (code-mixing) tra le due diverse lingue.
Nel complesso, dinamiche quali il tardivo riconoscimento come minoranza linguistica, accompagnato da un'opera di graduale ma plurisecolare e pervasiva italianizzazione promossa dal sistema educativo e da quello amministrativo, cui seguì la recisione della trasmissione intergenerazionale, hanno fatto sì che la vitalità odierna del sardo possa definirsi come gravemente compromessa.
Vi è una sostanziale divisione tra chi crede che l'attuale normativa in tutela della lingua sia ormai giunta troppo tardi, ritenendo che il suo impiego sia stato oramai interamente sostituito dall'italiano, e chi invece asserisce che sia fondamentale per rafforzare l'uso corrente, per quanto debole, di questa lingua. Le considerazioni sulla frammentazione dialettale della lingua sono portate da alcuni come argomento contrario a un intervento istituzionale per il suo mantenimento e valorizzazione: altri rilevano che questo problema sia già stato affrontato in diversi altri casi, come per esempio il catalano, la cui piena introduzione nella vita pubblica dopo la repressione franchista è stata possibile solo grazie a un processo di standardizzazione dei suoi eterogenei dialetti. In generale, la standardizzazione della lingua sarda è argomento controverso. Fiorenzo Toso rileva, a paragone con l'attuale forza del catalano garantita dalla elaborazione di uno standard scritto a fronte di «sottovarietà dialettali anche molto differenziate tra loro», che «la debolezza del sardo risiede invece, tra gli altri elementi, nell'assenza di un tale standard, poiché i parlanti logudorese o campidanese non si riconoscono in una varietà sopradialettale comune». A oggi si ritiene improbabile il rinvenimento di una soluzione normativa alla questione linguistica sarda.
In conclusione, fattori fondamentali per la riproduzione nel tempo del gruppo etnolinguistico, quali la trasmissione intergenerazionale della lingua, rimangono ad oggi estremamente compromessi senza che se ne potesse frenare la progressiva perdita, in stadio ormai avanzato. Al di là dello strato sociale già interessato dal suddetto processo e che risulta quindi italofono monolingue, persino tra molti sardofoni si riscontra ora una "limitata padronanza attiva o anche solo esclusivamente passiva della loro lingua": l'attuale competenza comunicativa tra le coorti anagrafiche più giovani non andrebbe oltre la conoscenza di qualche formula stereotipata e neanche gli adulti sarebbero più in grado di portare avanti una conversazione nella lingua etnica. Le indagini demoscopiche finora effettuate sembrano indicare che il sardo venga ormai considerato dalla comunità come uno strumento di riappropriazione del proprio passato, piuttosto che di effettiva comunicazione per il presente e il futuro.
Riconoscimento istituzionale
Il sardo è riconosciuto come lingua dalla norma ISO 639 che le attribuisce i codici sc (ISO 639-1: Alpha-2 code) e srd (ISO 639-2: Alpha-3 code). I codici previsti per la norma ISO 639-3 ricalcano quelli utilizzati dal SIL per il progetto Ethnologue e sono:
sardo campidanese: "sro"
sardo logudorese: "src"
gallurese: "sdn"
sassarese: "sdc"
La lingua sarda è stata riconosciuta con legge regionale n. 26 del 15 ottobre 1997 "Promozione e valorizzazione della cultura e della lingua della Sardegna" come lingua della Regione autonoma della Sardegna dopo l'italiano (la legge regionale prevede la tutela e valorizzazione della lingua e della cultura, pari dignità rispetto alla lingua italiana con riferimento anche al catalano di Alghero, al tabarchino dell'isola di San Pietro, al sassarese e gallurese, la conservazione del patrimonio culturale/bibliotecario/museale, la creazione di Consulte Locali sulla lingua e la cultura, la catalogazione e il censimento del patrimonio culturale, concessione di contributi regionali ad attività culturali, programmazioni radiotelevisive e testate giornalistiche in lingua, uso della lingua sarda in fase di discussione negli organi degli enti locali e regionali con verbalizzazione degli interventi accompagnata dalla traduzione in italiano, uso nella corrispondenza e nelle comunicazioni orali, ripristino dei toponimi in lingua sarda e installazione di cartelli segnaletici stradali e urbani con la denominazione bilingue).
La legge regionale applica e regolamenta alcune norme dello Stato a tutela delle minoranze linguistiche.
Nessun riconoscimento è stato invece attribuito, nel 1948, alla lingua sarda dallo Statuto della Regione Autonoma, che è legge costituzionale: l'assenza di norme statutarie di tutela, a differenza degli storici Statuti della Valle d'Aosta e del Trentino-Alto Adige, fa sì che per la comunità sarda, nonostante rappresenti ex lege n. 482/1999 la più robusta minoranza linguistica in Italia, non si applichino le leggi elettorali per la rappresentanza politica delle liste in Parlamento, che pur tengono conto della specificità delle suddette minoranze.
Si applicano invece al sardo (come al catalano di Alghero) l'art. 6 della Costituzione (La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche) e la legge n. 482 del 15 dicembre 1999 "Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche" che prevede misure di tutela e valorizzazione (uso della lingua minoritaria nelle scuole materne, primarie e secondarie accanto alla lingua italiana, uso da parte degli organi di Comuni, Comunità Montane, Province e Regione, pubblicazione di atti nella lingua minoritaria fermo restando l'esclusivo valore legale della versione italiana, uso orale e scritto nelle pubbliche amministrazioni escluse forze armate e di polizia, adozione di toponimi aggiuntivi nella lingua minoritaria, ripristino su richiesta di nomi e cognomi nella forma originaria, convenzioni per il servizio pubblico radiotelevisivo) in ambiti definiti dai Consigli Provinciali su richiesta del 15% dei cittadini dei comuni interessati o di un terzo dei consiglieri comunali. Ai fini applicativi tale riconoscimento, che si applica alle "…popolazioni…parlanti…sardo", il che escluderebbe a rigore gallurese e sassarese in quanto geograficamente sardi ma linguisticamente di tipo còrso, e sicuramente il ligure-tabarchino dell'isola di San Pietro.
Il relativo Regolamento attuativo D.P.R. n. 345 del 2 maggio 2001 (Regolamento di attuazione della legge 15 dicembre 1999, n. 482, recante norme di tutela delle minoranze linguistiche storiche) detta regole sulla delimitazione degli ambiti territoriali delle minoranze linguistiche, sull'uso nelle scuole e nelle università, sull'uso nella pubblica amministrazione (da parte della Regione, delle Province, delle Comunità Montane e dei membri dei Consigli Comunali, sulla pubblicazione di atti ufficiali dello Stato, sull'uso orale e scritto delle lingue minoritarie negli uffici delle pubbliche amministrazioni con istituzione di uno sportello apposito e sull'utilizzo di indicazioni scritte bilingue …con pari dignità grafica, e sulla facoltà di pubblicazione bilingue degli atti previsti dalle leggi, ferma restando l'efficacia giuridica del solo testo in lingua italiana), sul ripristino dei nomi e dei cognomi originari, sulla toponomastica (…disciplinata dagli statuti e dai regolamenti degli enti locali interessati) e la segnaletica stradale (nel caso siano previsti segnali indicatori di località anche nella lingua ammessa a tutela, si applicano le normative del Codice della Strada, con pari dignità grafica delle due lingue), nonché sul servizio radiotelevisivo.
La bozza di atto di ratifica della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del Consiglio d'Europa del 5 novembre 1992 (già sottoscritta, ma mai ratificata, dalla Repubblica Italiana il 27 giugno 2000) all'esame del Senato prevede, senza escludere l'uso della lingua italiana, misure aggiuntive per la tutela della lingua sarda e per il catalano (istruzione prescolare in sardo, educazione primaria e secondaria agli allievi che lo richiedano, insegnamento della storia e della cultura, formazione degli insegnanti, diritto di esprimersi in lingua nelle procedure penali e civili senza spese aggiuntive, consentire l'esibizione di documenti e prove in lingua nelle procedure civili, uso negli uffici statali da parte dei funzionari in contatto con il pubblico e possibilità di presentare domande in lingua, uso nell'amministrazione locale e regionale con possibilità di presentare domande orali e scritte in lingua, pubblicazione di documenti ufficiali in lingua, formazione dei funzionari pubblici, uso congiunto della toponomastica nella lingua minoritaria e adozione dei cognomi in lingua, programmazioni radiotelevisive regolari nella lingua minoritaria, segnalazioni di sicurezza anche in lingua, promozione della cooperazione transfrontaliera tra amministrazioni in cui si parli la stessa lingua). Si noti che l'Italia, assieme alla Francia e a Malta, non ha ratificato il suddetto trattato internazionale.
In un caso presentato alla Commissione europea dal deputato Renato Soru in sede di parlamento europeo nel 2017, nel quale si denunciava la negligenza nazionale con riguardo alla sua stessa normativa rispetto alle altre minoranze linguistiche, la risposta della Commissione faceva presente all'Onorevole che le questioni di politica linguistica perseguita dai singoli stati membri non rientrano nelle sue competenze.
Le forme di tutela previste per la lingua sarda sono pressoché assimilabili a quelle riconosciute per quasi tutte le altre storiche minoranze etnico-linguistiche d'Italia (friulani, albanesi, catalane, greche, croate, franco-provenzali e occitane, etc.), ma di gran lunga inferiori a quelle assicurate, mediante specifici trattati internazionali, per le comunità francofone in Valle d'Aosta, a quelle slovene in Friuli-Venezia Giulia e, infine, a quelle ladine e germanofone in Alto-Adige.
Inoltre, le poche disposizioni legislative a tutela del bilinguismo sin qui menzionate non sono de facto ancora applicate o lo sono state solo parzialmente. In tal senso il Consiglio d'Europa, che nel 2015 aveva aperto un'indagine sull'Italia per la situazione delle sue minoranze etnico-linguistiche (considerate nell'ambito della Convenzione-quadro come "minoranze nazionali"), ha denunciato l'approccio à la carte da parte dello stato nei confronti di esse, con la eccezione del già menzionato caso tedesco, francese e sloveno (lingue per la cui tutela l'Italia ha dovuto sottoscrivere accordi internazionali). Nonostante il formale riconoscimento statale, infatti, non vi è pressoché alcuna esposizione mediatica nella lingua di minoranze politicamente o numericamente più deboli come quella sarda, e le risorse allocate per progetti di rivitalizzazione linguistica quali l'insegnamento bilingue, limitato a singoli casi e per di più sperimentali, sono di gran lunga insufficienti "addirittura per rispettare le più basiche aspettative". Il sardo non è stato, infatti, ancora oggi introdotto nei programmi ufficiali rientrando perlopiù in alcuni progetti scolastici (moduli di ventiquattr'ore) senza alcuna garanzia di continuità.
La revisione della spesa pubblica del governo Monti avrebbe abbassato ulteriormente il livello di tutela della lingua, già di per sé piuttosto basso se non nullo, attuando una distinzione fra le lingue soggette a tutela in base ad accordi internazionali e considerate minoranze nazionali perché "di lingua madre straniera" (tedesco, sloveno e francese) e quelle afferenti a comunità che non hanno una struttura statale straniera alle spalle, riconosciute semplicemente come "minoranze linguistiche". Tale disegno di legge, nonostante abbia destato una certa reazione da più parti del mondo politico e intellettuale isolano, è stato impugnato dal Friuli-Venezia Giulia ma non dalla Sardegna una volta tradotto in legge, la quale non riconosce alle minoranze linguistiche "senza Stato" i benefici previsti in tema di assegnazione degli organici per le scuole; con la sentenza numero 215, depositata il 18 luglio 2013, la Corte costituzionale ha però successivamente dichiarato incostituzionale tale trattamento differenziato.
La delibera della Giunta regionale del 26 giugno 2012 ha introdotto l'uso delle diciture ufficiali bilingui nello stemma della Regione Autonoma della Sardegna e in tutte le produzioni grafiche che contraddistinguono le sue attività di comunicazione istituzionale. Quindi, con la stessa evidenza grafica dell'italiano, viene riportata l'iscrizione equivalente a Regione Autonoma della Sardegna in sardo ovvero «Regione Autònoma de Sardigna».
Il 5 agosto 2015 la Commissione Paritetica Stato-Regione ha approvato una proposta, inoltrata dall'Assessorato della Pubblica Istruzione, che trasferirebbe alla Regione Sarda alcune competenze amministrative in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche, quali sardo e catalano algherese. Il 27 giugno 2018, il Consiglio Regionale ha infine varato il TU sulla disciplina della politica linguistica regionale. La Sardegna si sarebbe, in teoria, così dotata per la prima volta nella sua storia regionale di uno strumento regolatore in materia linguistica, con l'intento di sopperire all'originale lacuna del testo statutario: tuttavia, il fatto che la giunta regionale non abbia tuttora provveduto a emanare i necessari decreti attuativi fa sì che quanto è contenuto nella legge approvata non abbia ancora trovato alcuna applicazione reale.
Il 2021 vede l'apertura di uno sportello in lingua sarda per la Procura di Oristano, qualificandosi come la prima volta in Italia in cui tale servizio sia offerto a una lingua minoritaria.
Per l'elenco dei comuni riconosciuti ufficialmente minoritari ai sensi dell'art. 3 della legge n. 482/1999 e per i relativi toponimi ufficiali in lingua sarda ai sensi dell'art. 10 vedi Toponimi della Sardegna.
Fonetica, morfologia e sintassi
Fonetica
Vocali: /ĭ/ e /ŭ/ (brevi) latine hanno conservato i loro timbri originali e ; per esempio il latino siccus diventa siccu (e non come italiano secco, francese sec). Un'altra caratteristica è l'assenza della dittongazione delle vocali medie ( e ). Per esempio il latino potest diventa podet (pron. ), senza dittongo a differenza dell'italiano può, spagnolo puede, francese peut.
Le vocali Sarde sono soggette al processo di metafonesi dove [ɛ ɔ] sono alzate a [e o] se la sillaba seguente contiene vocali /i/ o /u/. Inoltre /fɛˈnɔmɛnu/, ad esempio, è realizzato come [feˈnoːmenu].
Nel gruppo di dialetti solitamente ricondotti alla grafia campidanese /ɛ ɔ/ sono state alzate a /i u/ nelle sillabe finale. Le nuove /i u/ non producono la metafonesi. In questi dialetti quindi [e o] possono comtrastare con [ɛ ɔ]. Per esempio i vecchi [ˈbɛːnɛ] 'bene' e [ˈbeːni] 'vieni' diventano [ˈbɛːni] e [ˈbeːni] come coppie minime distinte solo dalla vocale tonica. Il campidanese contiene quindi sette diverse vocali.
Esclusivi — per l'area romanza attuale — dei dialetti centro-settentrionali del sardo sono inoltre il mantenimento della e della velari davanti alle vocali palatali e (es.: chentu per l'italiano cento e il francese cent).
Una delle caratteristiche del sardo è l'evoluzione di nel fonema cacuminale (es. cuaddu o caddu per cavallo, anche se questo non avviene nel caso dei prestiti successivi alla latinizzazione dell'isola - cfr. bellu per bello - ). Questo fenomeno è presente anche nella Corsica del sud, in Sicilia, in Calabria, nella penisola Salentina e in alcune zone delle Alpi Apuane.
Fonosintassi
Una delle principali complicanze, sia per chi si approcci alla lingua sia per chi, pur sapendola parlare, non la sa scrivere, è la differenza fra scritto (qualora si voglia seguire un'unica forma grafica) e parlato data da specifiche regole, fra le quali è importante menzionare almeno qualcuna nei due diasistemi e in questa voce nella generalità dei casi.
Sistema vocalico
Vocale paragogica
Nel parlato generalmente non è tollerata la consonante finale di un vocabolo, quando però lasciata isolata in pausa o in chiusura di frase, altrimenti sì può essere presente anche nella pronuncia. La lingua sarda si caratterizza pertanto per la cosiddetta vocale paragogica o epitetica, cui si appoggia la suddetta consonante; questa vocale è generalmente la stessa che precede la consonante finale, ma in campidanese non mancano esempi discostanti da questa norma, dove la vocale paragogica è la "i" pur non essendo quella che precede l'ultima consonante, come il caso di cras (crasi, domani), tres (tresi, tre), ecc. In questi casi la vocale finale può anche essere riportata nella lingua scritta, essendo appunto diversa dall'ultima della parola. Quando invece è uguale a quella precedente di norma non va mai scritta; eccezioni possono essere rappresentate da alcuni termini di origine latina rimasti inalterati rispetto all'originale, eccettuando appunto la vocale paragogica, che però si sono diffusi nell'uso popolare anche nella loro variante sardizzata (sèmper o sèmpere, lùmen o lùmene) e, nel diasistema logudorese, dalle terminazioni dell'infinito presente della 2ª coniugazione (tènner o tènnere, pònner o pònnere). Per quanto riguarda i latinismi, nell'uso attuale si preferisce non scrivere la vocale paragogica, quindi sèmper, mentre nei verbi della seconda coniugazione è forse maggioritaria la grafia con la "e", seppur molto diffusa anche quella senza, perciò iscrìere piuttosto che iscrìer (scrivere), che peraltro è altresì corretto. I termini campidanesi vengono generalmente scritti con la "i" dai parlanti di questa variante, dunque crasi, mentre in logudorese avremo sempre e comunque cras, anche qualora nella pronuncia dovesse risultare crasa.
Così per esempio:
Si scrive semper ma si pronuncia generalmente sempere (LSC/log./nuo., in italiano "sempre")
Si scrive lùmen ma si pronuncia generalmente lumene (nuo., in LSC nùmene o nòmene, in italiano "nome")
Si scrive però e si pronuncia generalmente però o peroe (LSC/log./nug. /camp., in italiano "però")
Si scrive istèrrere (LSC e log.) o istèrrer (log.) e si pronuncia generalmente isterrere (in italiano "stendere")
Si scrive funt ma si pronuncia generalmente funti (LSC e camp., in italiano "essi sono")
Si scrive andant ma si pronuncia generalmente andanta (LSC, camp. e log. meridionale, in italiano "vanno").
In nuores/baroniese la consonante finale della terza plurale solitamente cade e si pronuncia la vocale paragogica: andan(t)a, cheren(t)e e ischin(t)i.
Vocale pretonica
Le vocali e e o stanti in posizione pretonica rispetto alla vocale i, diventano mobili potendosi trasformare in quest'ultima.
Così, per esempio, sarà corretto scrivere e dire:
erìtu o irìtu (log., in italiano "riccio"; in LSC, log. meridionale e camp. eritzu)
essìre (LSC), issìre (log. ), bessire (log. meridionale) o bessiri (camp.) (in italiano "uscire")
drumìre o dromìre (log., in italiano "dormire"; in LSC dormire; camp. dromìri)
godìre (LSC) o gudìre (log., in LSC e log. anche gosare, camp. gosai, in italiano "godere")
Vi sono delle rare eccezioni a questa regola, come dimostra l'esempio seguente: buddìre vuol dire "bollire", mentre boddìre vuol dire "raccogliere (frutti e fiori)".
Sistema consonantico
Posizione mediana intervocalica
Quando si trovano in posizione mediana intervocalica, o per effetto di particolari combinazioni sintattiche, le consonanti b, d, g diventano fricative; sono tali anche se si presenta, fra vocale e consonante, un'interposizione della r. In questo caso, la pronuncia della b è perfettamente uguale a quella della b/v spagnola in cabo, la d è uguale alla d spagnola in codo. Fra vocali, il dileguo della g è la norma.
Così per esempio:
baba si pronuncia ba[β]a (in italiano "bava")
sa baba si pronuncia sa [β]a[β]a (in italiano "la bava")
lardu si pronuncia lar[ð]u (in italiano "lardo")
gatu: in singolare la g cade (su gatu diventa su atu), mentre in plurale quando precede /s/, si mantiene come fricativa (sos gatos = so'/sor/sol [ɣ]àtoso)
Lenizione
Comune ai due diasistemi, cui fa eccezione la sottovarietà nuorese, è il fenomeno di sonorizzazione delle consonanti sorde c, p, t, f, qualora precedute da vocale o seguite da r; le prime tre diventano anche fricative.
/k/ → [ɣ]
/p/ → [β]
/t/ → [ð]
/f/ → [v]
Così per esempio:
Si scrive su cane (LSC e log.) o su cani (camp.) ma si pronuncia su [ɣ]ane/-i (in italiano "il cane")
Si scrive su frade (LSC e log.) o su fradi (camp.) ma si pronuncia su [v]rari (in italiano "il fratello")
Si scrive sa terra, ma si pronuncia sa [ð]erra (LSC/log./camp., in italiano "la terra")
Si scrive su pane (LSC e log.) o su pani (camp.) ma si pronuncia su [β]ane/-i (in italiano "il pane")
Incontro di consonanti fra due parole
Reindirizziamo alle voci cui pertengono le differenti ortografie.
Pronuncia rafforzata di consonanti iniziali
Sette particelle, aventi vario valore, provocano un rafforzamento della consonante che a esse segue: ciò accade per effetto di una sparizione, solamente virtuale, delle consonanti che tali monosillabi avevano per finale nel latino (una di esse è italianismo di recente acquisizione).
NE ← (lat.) NEC = né (congiunzione)
CHE ← (lat.) QUO+ET = come (comparativo)
TRA ← (it.) TRA = tra (preposizione)
A ← (lat.) AC = (comparativo)
A ← (lat.) AD = a (preposizione)
A ← (lat.) AUT = (interrogativo)
E ← (lat.) ET = e (congiunzione)
Perciò per esempio:
Nos ch'andamus a Nùgoro / nosi ch'andaus a Nùoro (pron. "noch'andammus a Nnugoro / nosi ch'andaus a Nnuoro") = Ce ne andiamo a Nuoro
Che a cussu maccu (pron. "che mmaccu") = Come quel matto
Intra Nugoro e S'Alighera (pron. "intra Nnugoro e SsAlighera") = Tra Nuoro e Alghero
A ti nde pesas? (pron. "a tti nde pesasa?") = Ti alzi? (esortativo)
Morfologia e sintassi
Nel suo insieme la morfosintassi del sardo si discosta dal sistema sintetico del latino classico e mostra un uso maggiore delle costruzioni analitiche rispetto ad altre lingue neolatine.
L'articolo determinativo caratteristico della lingua sarda è derivato dal latino ipse/ipsu(m) (mentre nelle altre lingue neolatine l'articolo è originato da ille/illu(m)) e si presenta nella forma su/sa al singolare e sos/sas al plurale (is nel campidanese e sia sos/sas sia is nella LSC). Forme di articolo con la medesima etimologia si ritrovano nel balearico (dialetto catalano delle Isole Baleari) e nel dialetto provenzale dell'occitano delle Alpi Marittime francesi (eccettuando il dialetto di Nizza): es/so/sa e es/sos/ses.
Il plurale è caratterizzato dal finale in -s, come in tutta la Romània occidentale (). Es.: sardu{sing.}-sardos/sardus{pl.}(sardo-sardi), puddu{sing.}/puddos/puddus{pl.}, pudda{sing.}/puddas{pl.} (pollo/polli, gallina/galline).
Il futuro viene costruito con la forma latina habeo ad. Es: apo a istàre, apu a abarrai o apu a atturai (io resterò). Il condizionale si forma in modo analogo: nei dialetti centro-meridionali usando il passato del verbo avere (ai) o una forma alternativa sempre di tale verbo (apia); nei dialetti centro-settentrionali usando il passato del verbo dovere (dia).
Il "perché" interrogativo è diverso dal "perché" responsivo: poita? o proite/poite? ca…, così come avviene in altre lingue romanze (francese: pourquoi? parce que…, portoghese: por que? porque…; spagnolo ¿por qué? porque…; catalano per què? perquè… Ma anche in Italiano perché/poiché).
Il pronome personale tonico di prima e seconda persona singolare, se preceduto dalla preposizione cun/chin (con), assume le forme cun megus (LSC, log.)/chin mecus (nug.) e cun tegus (LSC, log.)/chin tecus (nug.) (cfr. lo spagnolo conmigo e contigo e anche il portoghese comigo e contigo e il napoletano cu mmico e cu ttico), e questi dal latino cum e mecum/tecum.
Ortografia e pronuncia
Fino al 2001 non si disponeva di una standardizzazione ufficiale né scritta, né orale (quest'ultima non esiste ancor oggi) della lingua sarda. Dopo l'epoca medievale, nei documenti della quale si può osservare una certa uniformità nella scrittura, l'unica standardizzazione grafica, dovuta agli esperimenti dei letterati e dei poeti, era stata quella del cosiddetto "sardo illustre", sviluppato ispirandosi ai documenti protocollari medievali sardi, alle opere di Gerolamo Araolla, Giovanni Matteo Garipa e Matteo Madau e a quelle di una ricca serie di poeti. I tentativi di ufficializzare e diffondere tale norma erano però stati ostacolati dalle autorità iberiche e in seguito sabaude.
Da questi trascorsi deriva l'attuale adesione di una parte della popolazione all'idea che, per ragioni eminentemente storiche e politiche ma non linguistiche, la lingua sarda sia divisa in due gruppi dialettali distinti ("logudorese" e "campidanese" o "logudorese", "campidanese" e "nuorese", con chi cerca pure di includere nella categorizzazione lingue legate a quella sarda ma differenti, quali il gallurese o il sassarese), per scrivere le quali sono state sviluppate una serie di grafie tradizionali, anche se con molti cambiamenti lungo il passare del tempo. Oltre a quelle comunemente definite "logudorese" e "campidanese", come già detto, sono state sviluppate anche la grafia nuorese, la grafia arborense e quelle dei singoli paesi, a volte normata con regole generali e comuni a tutti, quali quelle richieste dal Premio Ozieri. Spesso, però, il sardo viene scritto dai parlanti cercando di trascriverne la pronuncia e seguendo le abitudini legate alla lingua italiana.
Per risolvere tale problema, e ai fini di consentire una effettiva applicazione di quanto previsto dalla Legge Regionale n. 26/1997 e dalla Legge n. 482/1999, nel 2001 la Regione Sardegna ha incaricato una commissione di esperti di elaborare una ipotesi di Norma di unificazione linguistica sovradialettale (la LSU: Limba Sarda Unificada, pubblicata il 28 febbraio 2001), che identificasse una lingua-modello di riferimento (basata sulla analisi delle varietà locali del sardo e sulla selezione dei modelli più rappresentativi e compatibili) al fine di garantire all'uso ufficiale del sardo le necessarie caratteristiche di certezza, coerenza, univocità, e diffusione sovralocale. Questo studio, pur scientificamente valido, non è mai stato adottato a livello istituzionale per vari contrasti locali (accusata di essere una lingua "imposta" e "artificiale" e di non avere risolto il problema del rapporto tra le varietà trattandosi di una mediazione tra le varietà scritte comunemente con una grafia logudorese, pertanto privilegiate, e non avendo proposto una valida grafia per le varietà solitamente scritte con la grafia campidanese) ma ha comunque, a distanza di anni, costituito la base di partenza per la redazione della proposta della LSC: Limba Sarda Comuna, pubblicata nel 2006, che partendo da una base di mesania, accoglie elementi propri delle parlate (e quindi "naturali" e non "artificiali") di quella zona, ovvero l'area grigia di transizione della Sardegna centrale tra le varietà scritte solitamente con la grafia logudorese e quelle scritte con la grafia campidanese, al fine di assicurare alla grafia comune il carattere di sovradialettalità e sovramunicipalità, pur lasciando la possibilità di rappresentare le particolarità di pronuncia delle varietà locali. Purtuttavia, anche a questo standard non sono mancate critiche, sia da chi ha proposto degli emendamenti per migliorarlo, sia da chi ha preferito insistere con l'idea di suddividere il sardo in macrovarianti da regolare con norme separate.
La Regione Sardegna, con delibera di Giunta regionale n. 16/14 del 18 aprile 2006 Limba Sarda Comuna. Adozione delle norme di riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta in uscita dell'Amministrazione regionale ha adottato sperimentalmente la LSC come lingua ufficiale per gli atti e i documenti emessi dalla Regione Sardegna (fermo restando che ai sensi dell'art. 8 della Legge n. 482/99 ha valore legale il solo testo redatto in lingua italiana), dando facoltà ai cittadini di scrivere all'Ente nella propria varietà e istituendo lo sportello linguistico regionale Ufitziu de sa limba sarda. Successivamente ha seguito la norma LSC nella traduzione di diversi documenti e delibere, dei nomi dei propri uffici ed assessorati, oltre al proprio stesso nome "Regione Autònoma de Sardigna", che figura oggi nello stemma ufficiale insieme alla dicitura in italiano.
Oltre a tale ente, lo standard sperimentale LSC è stato utilizzato come scelta volontaria da diversi altri, dalle scuole e da organi di stampa nella comunicazione scritta, spesso in maniera complementare con grafie più vicine alla pronuncia locale.
Per quanto riguarda tale utilizzo è stata fatta una stima percentuale, legata ai soli progetti finanziati o cofinanziati dalla Regione per l'utilizzo della lingua sarda negli sportelli linguistici comunali e sovracomunali, nella didattica nelle scuole e nei media dal 2007 al 2013. Il Monitoraggio sull'utilizzo sperimentale della Limba Sarda Comuna 2007-2013 è stato pubblicato sul sito della Regione Sardegna nell'aprile 2014 a cura del Servizio Lingua e Cultura Sarda dell'Assessorato della Pubblica Istruzione.
Da tale ricerca risulta ad esempio, riguardo ai progetti scolastici finanziati nell'anno 2013, una netta preferenza delle scuole nell'utilizzo della ortografia LSC insieme ad una grafia locale (51%) rispetto all'utilizzo esclusivo della LSC (11%) o all'utilizzo esclusivo di una grafia locale (33%)
Riguardo invece ai progetti finanziati nel 2012 dalla Regione, per la realizzazione di progetti editoriali in lingua sarda nei media regionali, si riscontra una presenza più ampia dell'utilizzo della LSC (probabilmente dovuto anche ad una premialità di 2 punti nella formazione delle graduatorie per accedere ai finanziamenti, assente invece dal bando per le scuole). Secondo tali dati risulta che la produzione testuale nei progetti dei media è stata per il 35% in LSC, per il 35% in LSC e in una grafia locale e per il 25% esclusivamente in una grafia locale.
Infine gli sportelli linguistici cofinanziati dalla Regione nel 2012 hanno utilizzato nella scrittura per il 50% la LSC, per il 9% la LSC insieme ad una grafia locale e per il 41% esclusivamente una grafia locale.
Una ricerca recente sull'utilizzo della LSC in ambito scolastico, svolta nel comune di Orosei, ha mostrato come gli studenti della scuola media locale non avessero alcun problema a utilizzare quella norma nonostante il fatto che il sardo da loro parlato fosse in parte differente. Nessun alunno ha rifiutato la norma o l'ha ritenuta "artificiale", il che ha dimostrato la sua validità come strumento didattico. I risultati sono stati presentati nel 2016 e pubblicati integralmente nel 2021.
Si indicano di seguito alcune delle differenze più rilevanti per la lingua scritta rispetto all'italiano:
, , , , , come -a-, -e-, -i-, -o-, -u-, come in italiano e spagnolo, senza segnare la differenza tra vocali aperte e chiuse; le vocali paragogiche o epitetica (che in pausa chiudono un vocabolo terminante in consonante e corrispondono alla vocale che precede la consonante finale) non si scrivono mai (feminasa>feminas, animasa>animas, bolede>bolet, cantanta>cantant, vrorese>frores).
semiconsonante come -j- all'interno di parola (maju, raju, ruju) o di un nome geografico (Jugoslavia); nella sola variante nuorese come -j- (corju, frearju) corrispondente al logudorese/LSU -z- (corzu, frearzu) e all'LSC -gi- (corgiu, freargiu); nelle varianti logudorese e nuorese in posizione iniziale (jughere, jana, janna) che nella LSC viene sostituita dal gruppo (giughere, giana, gianna);
, come -r- (caru, carru);
, come -p- (apo, troppu, pane, petza);
, come -b- in posizione iniziale (bentu, binu, boe) e intervocalica (abile); quando p>b si trascrive come p- a inizio parola (pane, petza) e -b- all'interno (abe, cabu, saba);
, come -bb- in posizione intervocalica (abba, ebba);
, come -t- (gattu, fattu, narat, tempus); quando th>t nella sola variante logudorese come -t- o -tt- (tiu, petta, puttu); Nella LSC e nella LSU viene sostituita dal gruppo (tziu, petza, putzu);
, come -d- in posizione iniziale (dente, die, domo) e intervocalica (ladu, meda, seda); quando t>d si trascrive come t- a inizio parola (tempus) e -d- all'interno (roda, bidru, pedra, pradu); la finale t della flessione del verbo può, a seconda della varietà, essere pronunciata d ma si trascrive t (narada>narat).
cacuminale, come -dd- (sedda); La d può avere suono cacuminale anche nel gruppo [nɖ] (cando).
velare, come -ca- (cane), -co- (coa), -cu- (coddu, cuadru), -che- (chessa), -chi- (chida), -c- (cresia); non si usa mai la -q-, sostituita dalla -c- (cuadru, camp.acua)
velare, come -ga- (gana), -go- (gosu), -gu- (agu, largu, longu, angulu, argumentu), -ghe- (lughe, aghedu, arghentu, pranghende), -ghi- (àghina, inghiriare), -g- (gloria, ingresu);
, come -f- (femina, unfrare);
, come -f- in posizione iniziale (femina) e come -v- intervocalica (avvisu) e nei cultismi (violentzia, violinu);
sorda o aspra (ital. pezzo), come -tz- (tziu, petza, putzu). Nella LSC e nella LSU sostituisce il gruppo nuorese e il corrispondente logudorese (thiu/tiu>tziu, petha/petta>petza, puthu/puttu>putzu); nella scrittura tradizionale il digramma tz- non compariva mai a inizio parola. Compare inoltre nei termini di influenza e derivazione italiana (per esempio tzitade da cittade) di cui sostituisce la c sonora (suono non presente nel sardo originario, ma già da tempo proprio di alcune varietà centrali e campidanesi) al posto del suono velare nativo ormai scomparso (ant.kitade). Anche il suono tz è proprio delle varietà centrali e campidanesi.
, come -z- (zeru, ordiminzare). Nella variante logudorese/nuorese e nella LSU come -z- (fizu, azu, zogu, binza, frearzu); nella LSC viene sostituita dal gruppo (figiu, agiu, giogu, bingia, freargiu), come nelle varietà centro-meridionali.
, nella sola variante nuorese come -th- (thiu, petha, puthu). Nella LSC e nella LSU viene sostituita dal gruppo (tziu, petza, putzu);
e , come -s- e -ss- (essire);
, come -s- (rosa, pesare);
, nella sola varietà campidanese come -ce- (celu, centu), -ci- (becciu, aici);
, come -gia-, -gio-, -giu-. Nella LSC sostituisce il gruppo logudorese-nuorese [ʣ] della LSU e il del nuorese (fizu>figiu, azu>agiu, zogu/jogu>giogu, zaganu/jaganu>giaganu, binza>bingia, anzone>angione, còrzu/còrju>còrgiu, frearzu/frearju>freargiu). Il suono come in bingia è proprio delle varietà centrali e campidanesi.
(franc. jour), nella sola variante campidanese, sempre come c- a inizio parola (celu, centu, cidru) e come -x- all'interno (luxi, nuraxi, Biddexidru).
Grammatica
La grammatica della lingua sarda si differenzia notevolmente da quella italiana e delle altre lingue neolatine, particolarmente nelle forme verbali.
Plurale
ll plurale viene ottenuto, come nelle lingue romanze occidentali, aggiungendo -s alla forma singolare.
Per esempio: [log.]òmine/òmines, [camp.]òmini/òminis (uomo/uomini).
Nel caso di parole terminanti in -u, il plurale viene formato nel logudorese in -os e nel camp. in -us.
Per esempio: [log.]caddu/caddos, [camp.]cuaddu/cuaddus (cavallo/cavalli).
Articoli
Determinativi
Gli articoli determinativi presentano la forma "salata" derivata dal latino IPSE/IPSUM/IPSA attraverso la fase intermedia issu (isse)/issa, issos/issas (per la LSC e il log./nuor.) e issu/issa, issus/issas (per il camp.). Sono anche usati con il pronome relativo chi (che) nelle espressioni sos chi / is chi… (quelli che…), su chi… (quello che…) similmente alle lingue romanze occidentali (cfr. lo spagnolo los que…, las que…, ecc.), ma anche come in sassarese e gallurese; un altro uso li vede in combinazione con la preposizione de (di) in espressioni quali sos de Nugoro (quelli di Nuoro) / is de Casteddu (quelli di Cagliari), ecc.
Indeterminativi
Pronomi
Pronomi personali soggetto (nominativo)
Nel complemento diretto riferito a persona, esiste il cosiddetto accusativo personale con l'uso della preposizione a: per esempio apu biu a Juanni (ho visto Giovanni) analogamente allo spagnolo (he visto a Juan).
Pronomi atoni indiretti e diretti (dativo e accusativo)
I pronomi atoni indiretti (in dativo) e diretti (in accusativo) si distinguono in sardo, come nelle altre lingue romanze, solo nella terza persona singolare e plurale. Nelle tabelle compare sempre prima la forma in LSC o nella grafia logudorese e poi quella campidanese. Per quanto riguarda la prima e la seconda persona plurale, le varianti nos e bos sono usate nella grafia logudorese, mentre quelle nosi e bosi nei dialetti centrali di transizione (Ghilarza, Seneghe, Paulilatino, Busachi, Sorgono, Milis, Samugheo, ecc.) e la forma si nel campidanese classico.
I pronomi atoni diretti e indiretti possono essere combinati tra loro in frasi dove è presente sia un complemento oggetto sia un complemento di termine dando origine ai pronomi doppi. In questo caso, il sardo segue la regola generale delle lingue romanze, dove il complemento di termine precede quello oggetto.
Se i pronomi doppi precedono il verbo (come è il caso con tutti i modi fatta eccezione per il gerundio e per la seconda persona sing. e plur. dell'imperativo, dove lo seguono sempre) in sardo vengono scritti sempre separatamente, come in spagnolo, in catalano e in italiano (fatta eccezione in questo caso per la terza persona sing. e plur. "glielo"):
nella prima e seconda persona singolare, a differenza dell'italiano, in sardo il pronome dativo non muta: mi lu das / mi ddu jas/donas = me lo dai; ti lu dao / ti ddu jao/donu = te lo do;
nella terza persona sing. il dativo li/ddi viene invece sostituito dalla forma bi in logudorese o da quella si in campidanese, similmente a quanto avviene in spagnolo con se: bi lu dao / si ddu jao/donu (a issu / a issa) = glielo do (a lui / a lei). A differenza dell'italiano, in sardo i due pronomi non possono essere uniti in un'unica parola, eccetto in nuorese, dove invece si usano le forme specifiche liu/lia/lios/lias;
per ciò che riguarda la prima e seconda persona plurale abbiamo: nos lu das / nosi/si ddu jas/donas = ce lo dai; bos lu dao / bosi/si ddu jao/donu = ve lo do. Nella pronuncia la "s" di nos e bos normalmente cade (nolu, bolu, ecc.)
la terza persona plur. è uguale alla terza sing., come in spagnolo, italiano, portoghese e catalano: bi lu dao / bosi/si ddu jao/donu (a issos / a issas) = glielo do (a loro).
Se seguono il verbo, quindi dopo un gerundio o alla seconda persona sing. e plur. dell'imperativo, i pronomi doppi possono essere scritti in sardo in tre modi:
direttamente uniti al verbo, come in spagnolo e in italiano: dandemilu / jandemiddu/donendimiddu (dandomelo / dándomelo), damilu / jamiddu/donamiddu (dammelo / dámelo);
separati mediante un trattino: dande-mi-lu / jande-mi-ddu, da-mi-lu / ja-mi-ddu. La forma con il trattino viene usata in catalano, portoghese e francese, ed è per questa ragione di facile apprendimento anche per molte persone non di madrelingua italiana che volessero studiare il sardo;
nella LSC è stato invece proposto di separarli mediante un puntino intermedio collocato alla stessa altezza del trattino. Questo sistema si trova anche nel catalano, per separare le due l della ela geminada (elle doppia). Ciò vuol dire che chi desidera scrivere al computer i pronomi doppi in sardo usando il puntino intermedio deve scaricarsi la tastiera catalana o creare un layout personalizzato, data l'assenza di una tastiera sarda, usare programmi appositi come ad es. Wincompose o utilizzare il codice ASCII (Alt+250, in Windows). Su Linux il puntino è ottenibile con "Altgr+.".
Si noti che in sardo i pronomi personali atoni indiretti e diretti precedono anche l'infinito; tra le lingue romanze ritroviamo questa costruzione in francese e nel portoghese brasiliano: seo bènniu po ti bìere (sono venuto per vederti; franc. je suis venu pour te voir; port. bras. vim para lhe ver (o para ver a você), t'apo tzerriau po ti nàrrer una cosa (ti ho chiamato per dirti una cosa; franc. j'ai appelé pour te dire quelque chose; port. bras. liguei para lhe dizer uma coisa).
Il pronome atono dativo in sardo viene usato anche per costruire la frase relativa. Nella lingua parlata la costruzione più frequente è infatti sa pitzoca chi ddi cherzo fàer s'arregalu est una cumpanza de Frantziscu (la ragazza a cui/alla quale (lett. che gli) voglio fare il regalo è una compagna di Francesco). Ci sono comunque altre due opzioni, meno frequenti ma altrettanto valide: sa pitzoca a chie/a sa cale (a chi/alla quale) cherzo fàer s'arregalu est un'amiga mea.
In sardo, come in spagnolo, portoghese, catalano e anche in italiano (in alcuni esempi anche nella lingua scritta, in altri in quella parlata), è possibile raddoppiare sia il dativo sia l'accusativo; in questo modo otteniamo una costruzione con un pronome e un sostantivo oppure con due pronomi, uno atono e l'altro tonico. La particolarità nel sardo è che il raddoppiamento è sempre possibile, anche in frasi relative e, per quanto riguarda il doppio accusativo, anche se il sostantivo viene posposto. Per via dell'influsso del sardo questo uso è particolarmente frequente nell'italiano regionale della Sardegna. Esempi di doppio dativo sono dd'apo iau su libru a Mario (a Mario gli ho dato il libro), a mie mi praghet su licore 'e murta (a me mi piace il liquore di mirto), sa pitzoca chi dd'apo presentau a Juanni est un'istranza (la ragazza che gli ho presentato a Giovanni è straniera); il doppio accusativo lo troviamo in frasi come su libru dd'apo giai leau (il libro l'ho già comprato), non d'apo 'idu a Bustianu (non l'ho visto a Sebastiano; quest'ultimo uso, con il sostantivo posposto, oltre al sardo è riscontrabile anche nello spagnolo d'Argentina, no lo vi a Sebastián; in altre lingue e nello spagnolo di Spagna si preferisce l'anteposizione del sostantivo, costruzione questa possibile anche in sardo: a Bustianu non d'apo 'idu, Sebastiano non l'ho visto, a Sebastián no lo he visto, ecc.).
Pronomi tonici
I pronomi tonici in sardo nella prima e seconda persona singolare hanno una forma speciale se preceduti dalla preposizione a, caso singolare tra le lingue romanze, e cun/chin (con), caratteristica che il sardo condivide con lo spagnolo, il portoghese e il napoletano.
Anche in queste tabelle viene riportata per prima la forma logudorese e poi quella campidanese. Le forme della terza persona singolare e delle tre persone del plurale coincidono e non vengono per questo ripetute. Inoltre, tali forme sono anche uguali a quelle dei corrispondenti pronomi soggetto, come succede anche in spagnolo, catalano, portoghese, italiano e, con l'eccezione di lui al posto di il, anche in francese.
La preposizione segundu può essere apostrofata se seguita da vocale: segund'issu o segundu issu.
Avverbi pronominali
Il sardo fa un uso molto abbondante di particelle pronominali in numerosi contesti: in alcuni casi questo uso è condiviso con il catalano, l'italiano e il francese, in altri casi è proprio del sardo, non ritrovandosi in queste lingue né, ovviamente, nello spagnolo o nel portoghese, visto che entrambe non fanno uso di avverbi pronominali.
Come succede specularmente in italiano, francese e catalano, la particella nde (in campidanese ndi) viene usata con verbi che, pur non essendo in sé riflessivi bensì transitivi, ammettono l'uso dei pronomi riflessivi in presenza di un complemento oggetto, come nell'esempio mi compro un paio di pantaloni. Se l'oggetto non viene menzionato esplicitamente ecco che vengono usati gli avverbi pronominali. Tipici esempi di questo uso sono "prendere" e appunto "comprare", ma anche "vedere", "guardare", "leggere", "mangiare", "bere" e tanti altri: mi nde pigo/mi nde leo, me ne prendo, je m'en prend, me n'agafo. Abbiamo quindi questa costruzione con tutti i pronomi riflessivi: mi nde pigo/leo, ti nde pigas/leas, si nde pigat/leat, nos nde pigamus/leamus, bos nde pigàis/leàis, si nde pigant/leant. Il verbo pigare viene usato in gran parte della Sardegna con il significato di "prendere", però in Logudoro si preferisce leare (in quanto nel settentrione dell'isola pigare significa anche salire), verosimilmente dallo spagnolo llevar, verbo che viceversa in altre parti significa "comprare". Ecco che quindi mi nde leo può essere "me ne prendo" o "me ne compro", ti nde leas "te ne prendi/compri", ecc. La combinazione pronome-avverbio pronominale va sempre scritta separata (eccetto se segue il verbo, caso possibile solo con gerundio e imperativo), anche nella prima e seconda persona plurale, nonostante in queste persone nella maggior parte delle varianti centro-settentrionali la "s" non si pronunci e risulti perciò "no'nde", "bo'nde". Nei dialetti centrali si pronuncia, e si può anche scrivere, nosi nde, bosi nde, mentre in quelli meridionali la differenza tra prima e seconda persona plurale può venire a cadere, risultando di conseguenza entrambi uguali alla terza singolare e plurale: si nde.
Anche l'uso degli avverbi pronominali con verbi intransitivi che denotano separazione da un luogo e che ammettono i pronomi riflessivi, come andare, partire, ecc., viene dal sardo condiviso con catalano, francese e italiano: mi nde ando, apostrofato in mi nd'ando (m'en vaig, je m'en vais, me ne vado), ti nd'andas, si nd'andat, nos nd'andamus, bos nd'andàis, si nd'andant. In questo caso, oltre a nde/ndi, in logudorese possiamo avere anche che (di cui è diffusa anche la grafia ke): mi k'ando (mi ke ando), ti k'andas, ecc.
Altrettanto frequente in queste quattro lingue è l'uso di queste particelle con verbi intransitivi che reggono il complemento di termine. Qui i pronomi con cui vengono combinati gli avverbi pronominali sono quelli atoni indiretti, in dativo, e in sardo alla terza persona singolare e plurale viene invertito il loro ordine, perciò l'avverbio pronominale precede il pronome dativo: nde ddi jao/nde li jao (gliene do). Le forme possibili sono: mi nde jas (me ne dai), ti nde jao, nde ddi/nde li jao, nos nde jas, bos nde jao, nde ddis/nde lis jao.
Il sardo usa però gli avverbi pronominali anche in altre due situazioni dove essi nelle maggiori lingue romanze non sono presenti:
con verbi riflessivi veri e propri. In questo caso i verbi che indicano separazione o distacco da un luogo usano nde: mi nde peso (me ne alzo = mi alzo), ti nde pesas, si nde pesat, ecc. La forma con ne è inoltre frequente nell'italiano regionale della Sardegna. I verbi che invece indicano avvicinamento a un certo luogo usano che (o ke, cioè it. ci): mi ke corco (mi ci corico = mi corico), ti ke corcas, si ke corcat, ecc.
con verbi transitivi, che reggono il complemento oggetto. In questo caso i pronomi di accompagnamento agli avverbi pronominali sono quelli atoni diretti, cioè in accusativo. Il verbo pigare può essere usato anche qui: mi nde pigas (me ne = mi prendi), ti nde pigo. Nella terza persona sing. e plur. l'ordine viene invertito esattamente come per i verbi intransitivi, e l'avverbio pronominale va prima del pronome: nde ddu o nde lu pigo, nde dda o nde la pigo; questa forma è particolarmente difficile da usare per persone che non abbiano una buona conoscenza della lingua ed è anche difficile da tradurre letteralmente in altre lingue, volendo significare "lo prendo da lì (dove si trova)". Le forme del plurale sono nos nde (nosi nde) pigas (ce ne = ci prendi), bos nde (bosi nde) pigo e, esattamente come nella terza sing., nde ddos (nde los) pigo, nde ddas (nde las) pigo.
In tutte queste combinazioni, sia con la particella nde/ndi sia con quella che, gli avverbi pronominali appaiono sempre prima del nome, eccezion fatta quando sono con il gerundio e l'imperativo, dove appaiono dopo. In quest'ultimo caso, come per i pronomi indiretti e diretti, possiamo scrivere la combinazione verbo-pronome dativo-avverbio pronominale in tre modi: separati da un trattino, jande-nde-ddi (dandogliene), da un puntino, oppure uniti, jandendeddi.
Altri avverbi pronominali usati in sardo sono quelli che sostituiscono l'indicazione di un determinato luogo, come in italiano ci per "qui" o "lì", in francese y e in catalano hi con gli stessi usi. Nelle varianti logudoresi e campidanesi classiche viene usata la stessa particella sia che il luogo in questione sia distante, sia che sia vicino, rispettivamente bi e ci, dove bi può essere apostrofata, mentre ci no: b'ando/ci andu (ci vado), b'enis (bi benis)/ci 'enis (ci vieni). Nelle varianti centrali o di mesania si usano però due forme, ddue per indicare un luogo lontano da chi parla, che (o ke) per indicarne uno vicino, ed entrambe possono essere apostrofate: ddu'ando, k'enis (ke benis). Ddue non deve essere confusa con il pronome atono diretto ddu (lo).
Relativi (forma valida in LSC in grassetto corsivo) chi (che)chie/chini (chi, colui che)
Interrogativi cale?/cali? (quale?)cantu? (quanto?)ite?/ita? (che?, che cosa?)chie?/chini? (chi?)
Pronomi e aggettivi possessivi meu/miu - mea o mia/miatuo o tou/tuu - tuasuo o sou/suu - sua; de vosté/fostei; bostru/bostu (de bos)nostru/nostubostru (nuor. brostu)/de boisàteros/bosàteros/bosatrus - de boisàteras/bosàteras/bosatras,issoro/insoruI pronomi possessivi vengono collocati sempre dopo il sostantivo di riferimento, caso questo piuttosto singolare nel panorama delle lingue romanze, slave o germaniche: sa màchina mia, sa busça tua, su traballu nostu (la mia macchina, la tua borsa, il nostro lavoro).
I nomi di parentela e altri sono usati senza l'articolo: babu tuo (tuo babbo/papà), tziu sou (suo zio), troga mea (mia suocera), ghermanu nostu (nostro cugino di secondo grado), ghermanitu 'e 'osàteros (vosto cugino in terzo grado), ma anche domo sua (casa sua), bidda nosta (il nostro paese), ecc. In sardo questo succede anche se tali sostantivi sono al plurale, uso che, in particolare se al femminile, è stato trasferito anche all'italiano regionale della Sardegna, fatta eccezione per il pronome loro, visto che questo è l'unico che in italiano va sempre con l'articolo: sorres tuas ( (le) tue sorelle), fradiles meos ( (i) miei cugini), tzias issoro (le loro zie).
In sardo, dopo alcune preposizioni, vengono normalmente usati i pronomi possessivi: dae in antis de mene, dae segus a mene, in fatu de mene, in antis de mene, a pustis de mene, in LSC e alcune grafie o, in altre, anche denanti meu, de fatu meu, innantis meu, apustis meu (davanti a me, dietro a me, prima di me, dopo di me; cfr. lo spagnolo delante mío, detrás mío). Le forme denanti de mene/a mie/mei, ecc., sono pure comuni, benché possano anche essere dovute a un calco dall'italiano.
Pronomi e aggettivi dimostrativi custu,custos/custus - custa,custas (questo, questi - questa, queste)cussu, cussos/cussus - cussa, cussas (codesto, codesti - codesta, codeste)cuddu, cuddos/cuddus - cudda, cuddas (quello, quelli - quella,quelle)
Avverbi interrogativi cando/candu? (quando?)comente/comenti? (come?)ue? o ube? in ue? o in ube?; a in ue o a in ube? (direzione)/aundi?, innui? (dove?; la forma sarda varia se si tratta di una direzione, cfr. lo spagnolo ¿adónde?)
Preposizioni
Semplici a (a,in; direzione)cun o chin (con)dae/de (da)de (di)in (in,a; situazione)pro/po (per)intra o tra (tra)segundu (secondo)de in antis/denanti (de) (davanti (a))dae segus/de fatu (de) (dietro (a))in antis (de) (prima (di))a pustis (de), a coa (dopo (di))
Il sardo, come lo spagnolo e il portoghese, distingue tra moto a luogo e stato in luogo: so'andande a Casteddu / a Ispagna; soe in Bartzelona / in Sardigna
Articolate
Nel parlato, quando in o cun si legano all'articolo indeterminativo unu / -a, si aggiunge per eufonia una -d epentetica. Così per esempio:
cantende ind unu tzilleri.
Verbi
I verbi hanno tre coniugazioni (-are, -ere / -i(ri), -ire / -i(ri)).
La morfologia verbale differisce notevolmente da quella italiana e conserva caratteristiche del tardo latino o delle lingue neolatine occidentali. I verbi sardi nel presente indicativo hanno le seguenti peculiarità: la prima persona singolare termina in -o nel logudorese (terminazione comune nell'italiano, nello spagnolo e nel portoghese; entrambe queste ultime due lingue hanno ciascuna quattro soli verbi con un'altra terminazione alla 1ª persona sing.) e in -u nel campidanese; la seconda persona sing. termina sempre in -s, come in spagnolo, catalano e portoghese, terminazione derivata dal latino; la terza persona singolare e plurale ha le caratteristiche terminazioni in -t, proprie del sardo tra le lingue romanze e provenienti direttamente dal latino; la prima persona plurale ha nel logudorese le terminazioni -amus, -imus, -imus, simili a quelle dello spagnolo e del portoghese -amos, -emos, -imos, che a loro volta sono uguali a quelle del latino; per quanto riguarda la seconda persona plurale, la variante logudorese ha nella seconda e terza declinazione la terminazione -ides (latino -itis), mentre le varianti centrali e meridionali hanno nelle tre declinazioni rispettivamente -àis, -èis, -is, terminazioni del tutto uguali a quelle spagnole -áis, -éis, -ís e a quelle portoghesi, lingua in cui la 2a persona pl. è però ormai in disuso.
L'interrogativa si forma generalmente in due modi:
con l'inversione dell'ausiliare: Juanni tzucadu/tucau est? (è partito Giovanni?), papadu/papau as? (hai mangiato?)
con l'inversione del verbo: un'arantzu/ aranzu lu cheres o un'arangiu ddu bolis? oppure con la particella interrogativa a: per esempio a lu cheres un'aranzu? (un arancio, lo vuoi?). La forma con la particella interrogativa è tipica dei dialetti centro-settentrionali.
Prendendo in considerazione i diversi tempi e modi, lindicativo passato remoto è quasi del tutto scomparso dall'uso comune (come nelle lingue romanze settentrionali della Gallia e del Nord Italia) sostituito dal passato prossimo, ma risulta attestato nei documenti medioevali e ancor'oggi nelle forme colte e letterarie in alternanza con l'imperfetto; la sua evoluzione storica nel tempo dal Medioevo alle forme colte attuali è stata rispettivamente per la terza persona singolare e plurale: ipsu cant-avit>-ait/-ayt>-isit/-esit>issu cant-esi/-eit; ipsos cant-arunt/-erunt>-aynt>-isin/-esin>issos cant-esi/-ein. In campidanese è stato completamente sostituito dal passato prossimo. Un uso ancora attuale del passato remoto si ha però nei dialetti centrali di transizione o "Mesanía", dove viene usato per il verbo èssere.
Parimenti scomparso è lindicativo piuccheperfetto, attestato in sardo antico (sc. derat dal lat. dederat, fekerat da fecerat, furarat dal lat. volgare *furaverat, etc.).
Lindicativo futuro semplice si forma mediante il verbo àere/ài(ri) (avere) al presente più la preposizione a e l'infinito del verbo in questione: es. deo apo a nàrrere/deu apu a na(rr)i(ri) (io dirò), tui as a na(rr)i(ri) (tu dirai) (cfr. tardo latino habere ad + infinito), ecc. Nella lingua parlata la prima persona apo/apu può essere apostrofata: "ap'a nàrrere".
Nei dialetti centro-settentrionali, il condizionale presente si forma utilizzando una forma modificata del verbo dèpere (dovere) più la preposizione a e l'infinito: per esempio deo dia nàrrere (io direi), tue dias nàrrere (tu diresti), ecc. Nei dialetti di transizione e in quelli centro-meridionali, anziché dèpere si usa invece la forma dell'imperfetto del verbo ài(ri) (avere) più la preposizione a e l'infinito: deu emu o apia a na(rr)i(ri), tui apias o íast a na(rr)i(ri), ecc.
Limperativo negativo si forma usando la negazione no/non e il congiuntivo: per esempio no andes/no andis (non andare), non còmpores (non comprare), analogamente alle lingue romanze iberiche.
Il gerundio ha in sardo numerose funzioni e diverse sfumature non presenti in italiano né in alcune altre lingue romanze; alcuni usi si rinvengono in spagnolo, catalano o portoghese, altri in inglese, altri ancora sono propri solo del sardo e si ritrovano anche nell'italiano regionale. Le sue funzioni principali sono:
condizionale: fininde oe, ando deretu a igue (lett. finendo oggi, vado diretto lì = se finisco oggi vado lì direttamente);
temporale: ghirande a Nùgoro apo bidu su fogu (tornando a Nuoro ho visto il fuoco = ho visto il fuoco mentre stavo tornando a Nuoro; cf. spagnolo regresando a Nuoro vi el fuego, inglese i saw the fire (as I was) coming back to Nuoro); quest'uso è possibile anche nel passato, seppure nella lingua parlata molto raro: essende essia dae 'omo, Maria est andada a bidda (essendo uscita da casa, Maria è andata in paese = dopo essere uscita da casa Maria è andata in paese);
concessiva: fintzas traballande meda non mi bastat (anche lavorando molto non mi basta = se pure lavoro tanto (i soldi) non mi bastano);
causale: sende tardu, non b'est chèrfiu andare (essendo tardi, non ci è voluto andare);
modale: at fatu tantu dinare traballande meda (ha fatto tanti soldi lavorando molto)
gerundio usato dopo i verbi di percezione sensoriale: apo bidu sa zente ballande (ho visto la gente ballare; lo stesso succede in inglese, I saw the people dancing, in spagnolo e in portoghese, vi la gente bailando/vi a gente dançando);
poiché il sardo non usa il participio presente, il gerundio può svolgere le sue funzioni. Per esempio abba buddinde può significare sia "acqua bollendo" sia "acqua bollente", come in spagnolo: dd'apo 'etau a s'abba 'uddinde (l'ho gettato nell'acqua bollente; spagn. lo eché al agua hirviendo).
La forma progressiva si forma con l'ausilare èssere più il gerundio: per esempio so andande/seu andendi (sto andando), fia faghende/fipo faghende/fui faende/femu faendi (stavo facendo), caratteristica comune alla lingua inglese, nonché al sassarese e al gallurese.
Il sardo ha però in aggiunta un uso del tutto particolare di questa forma, infatti la estende anche ad azioni che non sono state ancora cominciate, ma che (si suppone che) verranno portate a termine in breve. Questo uso è del tutto comune anche nell'italiano regionale della Sardegna, dove è molto diffuso in tutti gli strati sociali della popolazione sarda. In questo caso l'ausiliare che regge il gerundio, èssere in sardo, stare in italiano, può anche essere omesso: ma tando, andas a mi lu fàchere su cumandu o nono? (seo) andande (ma allora, vai a farmi la commissione oppure no? (sto) andando [italiano regionale della Sardegna ] / ora vado [italiano standard]). Nell'italiano regionale sardo è anche possibile usare giai (già) con funzione di futuro: già sto andando/già vado, quale calco del sardo giai seo andande; questo uso esiste anche in spagnolo e portoghese (ya voy/já vou).
L'uso del gerundio riferito a un'azione futura trova corrispondenza nell'inglese, ma non in altre lingue romanze né nel tedesco (ingl. I'm going now/I'm gonna go now; spagn. ya voy/ahora voy/voy a ir ahora (mismo); port. já vou/vou mesmo/vou ir agora; cat. ara vaig; fran. je vais maintenant; ted. ich gehe jetzt). Anche in sardo è possibile aggiungere un avverbio che rafforzi l'idea dell'immediatezza dell'azione, come in spagn. mismo o in port. mesmo (stesso), per esempio etotu o matessi, lasciandosi forse nell'uso comune preferire il primo giacché in sardo è specificamente "stesso" come avverbio, mentre il secondo lo è anche come aggettivo La frase risultante è difficilmente traducibile in italiano, quanto meno alla lettera: seo andande como etotu ("sto andando adesso stesso").
Verbo èssere/èssi(ri) (essere)
Indicativo presente: deo/deu so(e)/seo/seu ; tue/tui ses/sesi; issu/isse est/esti ; nos/nois/nosu semus/seus ; bois o bosàteros/bosàtrus sezis/seis ; issos/issus sunt o funt .
Indicativo imperfetto: deo/deu fi(p)o/fia o femu; tue/tui fis/fìas(t); issu/isse fìat/fit; nos/nois/nosu fimus/fia(m)us o femus ; bois o bosàteros/bosàtrus fizis/fia(z)is o festis ; issos/issus fint/fìant . In LSC: deo fia; tue fias; issu/isse fiat, nois fìamus; bois o boisàteros fiais; issos fiant.
Indicativo passato prossimo: deo/deu so(e)/seo ista(d)u o stètiu ; tue/tui ses ista(d)u o stètiu ; issu/isse est ista(d)u o stètiu ; nos/nois/nosu semus/seus ista(d)os o stètius ; bois/bosàteros/bosàtrus sezis/seis ista(d)os o stètius ; issos/issus sunt o funt ista(d)os o stètius . In LSC: deo so istadu; tue ses istadu; issu/isse est istadu; nois semus istados; bois seis istados; issos sunt istados.
Indicativo trapassato prossimo imperfetto: deo/deu fi(p)o/fia ista(d)u o femu stètiu ; tue fis/fìas ista(d)u o stètiu ; issu/isse fìat/fit ista(d)u o stètiu ; nos/nois/nosu fimus/fìa(m)us o femus ista(d)os o stètius ; bois o bosàteros/bosàtrus fizis/fia(z)is ista(d)os o stètius ; issos/issus fint/fìant ista(d)os o stètius . In LSC: deo fia istadu; tue fias istadu; issu/isse fiat istadu; nois fìamus istados; bois fiais istados; issos fiant istados.
Indicativo passato remoto: il passato remoto, escludendo gli usi colti, è generalmente in disuso; ciononostante, le forme del verbo essere sono usate normalmente, al posto di quelle dell'imperfetto, nel Montiferru, Guilcier, Barigadu e in alcune zone del campidanese rustico (Trexenta) e dell'Ogliastra: deo/deu fui ; tue/tui fusti/fustis ; issu fuit/fut ; nois/nosu fumos/fumis/fumos/fuaus ; bois/bosatrus fuzis/fustiais ; issos/issus funt o fuant .
Indicativo futuro: deo/deu apo/apu a èssere/essi ; tue/tui as a èssere/essi ; issu/isse at a èssere/essi ; nos/nois/nosu a(m)us/eus a èssere/essi ; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is/eis a èssere/essi ; issos/issus ant a èssere/essi . In LSC: deo apo a èssere; tue as a èssere; issu/isse at a èssere; nois amus a èssere; bois ais a èssere; issos ant a èssere.
Indicativo futuro anteriore: deo/deu apo/apu a èssere/essi ista(d)u o stètiu ; tue/tui as a èssere/essi ista(d)u o stètiu ; issu/isse at a èssere/essi ista(d)u o stètiu ; nos/nois a(m)us/eus a èssere/essi ista(d)os o stètius ; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is a èssere/essi ista(d)os o stètius ; issos/issus ant a èssere/essi ista(d)os o stètius . In LSC: deo apo a èssere istadu; tue as a èssere istadu; issu/isse at a èssere istadu; nois amus a èssere istados; bois ais a èssere istados; issos ant a èssere istados.
Congiuntivo presente: chi deo/deu sia; chi tue/tui sias ; chi issu/isse siat ; chi nos/nois sia(m)us ; chi bois o bosàteros/bosàtrus sia(z)is ; chi issos/issus sìant . In LSC: chi deo sia; chi tue sias; chi issu/isse siat; chi nois siamus; chi bois siais; chi issos siant.
Congiuntivo passato: chi deo/deu sia ista(d)u o stètiu ; chi tue/tui sias ista(d)u o stètiu ; chi issu/isse siat ista(d)u o stètiu ; chi nos/nois sia(m)us ista(d)os o stètius ; chi bois o bosàteros/bosàtrus sia(z)is ista(d)os o stètius ; chi issos/issus siant ista(d)os o stètius . In LSC: chi deo sia istadu; chi tue sias istadu; chi issu/isse siat istadu; chi nois siamus istados; chi bois siais istados; chi issos siant istados.
Condizionale presente: deo/deu dia o apia o emu a èssere/essi ; tue/tui dias o apias a èssere/essi ; issu/isse diat o apiat a èssere/essi ; nos/nois diamus o apiàus a èssere/essi ; bos o bosàteros/bosàtrus dia(z)is o apiàis a èssere/essi ; issos/issus diant o apiant a èssere/essi . In LSC: deo dia a èssere; tue dias a èssere; issu/isse diat a èssere; nois diamus a èssere; bois diais a èssere; issos diant a èssere.
Condizionale passato: deo/jeo dia o apia o emu a èssere/essi ista(d)u o stètiu ; tue dias o apias a èssere/essi ista(d)u o stètiu ; issu/isse diat o apiat a èssere/essi ista(d)u o stètiu ; nos/nois diamus o apiàus a èssere/essi ista(d)os o stètius ; bois o bosàteros/bosàtrus dia(z)is o apiàis a èssere/essi ista(d)os o stètius ; issos/issus diant o apiant a èssere ista(d)os o stètius . In LSC: deo dia a èssere istadu; tue dias a èssere istadu; issu/isse diat a èssere istadu; nois diamus a èssere istados; bois diais a èssere istados; issos diant a èssere istados.
Gerundio presente: (es)sende/(es)sendi . In LSC: essende.
Gerundio passato: (es)sende ista(d)u o (es)sendi stètiu . In LSC: essende istadu.
Verbo àere/ài(ri) (avere).
Il verbo àere/ài(ri) viene usato da solo unicamente nelle varianti centro-settentrionali; nelle varianti centro-meridionali è usato esclusivamente come ausiliare per formare i tempi composti, mentre con il significato dell'italiano avere viene sempre sostituito dal verbo tènnere/tènni(ri), esattamente come accade in spagnolo, catalano, portoghese (dove il verbo haver è quasi del tutto scomparso) e napoletano. Per questo motivo in questo schema vengono indicate unicamente le forme del presente e dell'imperfetto dei dialetti centro-meridionali, che sono le sole dove nei tempi composti appare il verbo àere/ài(ri).
Indicativo presente: deo/deu apo/apu ; tue/tui as ; issu/isse at ; nos/nois/nosu a(m)us/eus ; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is ; issos/issus ant ; In LSC: deo apo; tue as; issu/isse at; nois amus; bois ais; issos ant.
Indicativo imperfetto: deo/deu aìa o emu; tue/tui aìas ; issu/isse aìat ; nos/nois/nosu aia(m)us o abamus ; bois o bosàteros/bosàtrus aia(z)is o abazes ; issos/issus aiant ; In LSC: deo aia; tue aias; issu/isse aiat; nois aìamus; bois aìais; issos aiant.
Indicativo passato prossimo: deo/deu apo/apu api(d)u; tue/tui as api(d)u; issu/isse at api(d)u; nos/nois/nosu a(m)us/eus api(d)u; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is api(d)u; issos/issus ant api(d)u ; In LSC: deo apo àpidu; tue as àpidu; issu/isse at àpidu; nois amus àpidu; bois ais àpidu; issos ant àpidu.
Indicativo trapassato prossimo imperfetto: deo/deu aìa o emu api(d)u; tue/tui aìas api(d)u; issu/isse aìat api(d)u; nos/nois/nosu aiamus api(d)u; bois o bosàteros/bosàtrus aia(z)is api(d)u; issos/issus aiant api(d)u ; In LSC: deo aia àpidu; tue aias àpidu; issu/isse aiat àpidu; nois aìamus àpidu; bois aiais àpidu; issos aiant àpidu.
Indicativo passato remoto (in disuso nella lingua parlata e ormai presente solo nelle forme arcaiche e colte logudoresi): deo apesi; tue apestis; issu/isse apesit; nois apemus; bois apezis; issos apesint;
Indicativo futuro: deo/deu apo/apu a àere/ài(ri); tue/tui as a àere/ài(ri); issu/isse at a àere/ài(ri); nos/nois/nosu a(m)us/eus a àere/ài(ri); bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is a àere/ài(ri); issos/issus ant a àere/ài(ri) ; In LSC: deo apo a àere; tue as a àere; issu/isse at a àere; nois amus a àere; bois ais a àere; issos ant a àere.
Indicativo futuro anteriore: deo/deu apo/apu a àere/ài(ri) àpi(d)u; tue/tui as a àere/ài(ri) àpi(d)u; issu/isse at a àere/ài(ri) àpi(d)u; nos/nois/nosu a(m)us/eus a àere/ài(ri) àpi(d)u; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is a àere/ài(ri) àpi(d)u; issos/issus ant a àere/ài(ri) àpi(d)u ; In LSC: deo apo a àere àpidu; tue as a àere àpidu; issu/isse at a àere àpidu; nois amus a àere àpidu; bois ais a àere àpidu; issos ant a àere àpidu.
Congiuntivo presente: chi deo/deu apa; chi tue/tui apas; chi issu/isse apat; chi nos/nois/nosu apa(m)us; chi bois o bosàteros/bosàtrus apa(z)is; chi issos/issus apant ; In LSC: chi deo apa; chi tue apas; chi issu/isse apat; chi nois apamus; chi bois apais; chi issos apant.
Congiuntivo passato: chi deo/deu apa àpi(d)u; chi tue/tui apas àpi(d)u; chi issu/isse apat àpi(d)u; chi nos/nois/nosu apa(m)us àpi(d)u; chi bois o bosàteros/bosàtrus apa(z)is àpi(d)u; chi issos/issus apant àpi(d)u ; In LSC: chi deo apa àpidu; chi tue apas àpidu; chi issu/isse apat àpidu; chi nois apamus àpidu; chi bois apais àpidu; chi issos apant àpidu.
Condizionale presente: deo/deu dia o apia o emu a àere/ài(ri); tue/tui dias o apias a àere/ài(ri); issu/isse diat o apiat a àere/ài(ri); nos/nois/nosu diamus o apiàus a àere/ài(ri); bois o bosàteros/bosàtrus dia(z)is o apiàis a àere; issos/issus diant o apiant a àere ; In LSC: deo dia a àere, tue dias a àere, issu/isse diat a àere, nois diamus a àere, bois diais a àere; issos diant a àere.
Condizionale passato: deo/deu dia o apia o emu a àere/ài(ri) àpi(d)u; tue dias o apias a àere/ài(ri) àpi(d)u; issu/isse diat o apiat a àere/ài(ri) àpi(d)u; nos/nois/nosu diamus o apiàus a àere/ài(ri) àpi(d)u; bois o bosàteros/bosàtrus dia(z)is o apiàis a aère/ài(ri) àpi(d)u; issos/issus diant o apiant a àere/ài(ri) àpi(d)u ; In LSC: deo dia a àere àpidu, tue dias a àere àpidu, issu/isse diat a àere àpidu, nois diamus a àere àpidu, bois diais a àere àpidu; issos diant a àere àpidu.
Gerundio presente: aende/aendi ; In LSC: aende
Gerundio passato: aende/aendi àpi(d)u . In LSC: aende àpidu
Coniugazione in -are/-a(r)i : Verbo cantare/canta(r)i (cantare)
Indicativo presente: deo/deu canto/cantu; tue/tui cantas; issu/isse cantat; nos/nois/nosu canta(m)us; bois o bosàteros/bosàtrus canta(z)is; issos/issus cantant ; In LSC: deo canto; tue cantas; issu/isse cantat; nois cantamus; bois cantades; issos cantant.
Indicativo imperfetto: deo/deu cantaìa/cantamu; tue/tui cantaias; issu/isse cantaiat; nos/nois/nosu cantaia(m)us; bois o bosàteros/bosàtrus cantaia(z)is; issos/issus cantaiant ; In LSC: deo cantaia; tue cantaias, issu/isse cantaiat; nois cantaìamus; bois cantaiais; issos cantaiant.
Indicativo passato prossimo: deo/deu apo/apu canta(d)u; tue/tui as canta(d)u; issu/isse at canta(d)u; nos/nois/nosu a(m)us/eus canta(d)u; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is canta(d)u; issos/issus ant canta(d)u ; In LSC: deo apo cantadu; tue as cantadu; issu/isse at cantadu; nois amus cantadu; bois ais cantadu; issos ant cantadu.
Indicativo trapassato prossimo imperfetto: deo/deu aia o emu canta(d)u; tue/tui aias canta(d)u; issu/isse aiat canta(d)u; nos/nois/nosu aia(m)us canta(d)u; bois o bosàteros/bosàtrus aia(z)is canta(d)u; issos/issus aiant canta(d)u ; In LSC: deo aia cantadu; tue aias cantadu; issu/isse aia cantadu; nois aìamus cantadu; bois aiais cantadu; issos aiant cantadu.
Indicativo passato remoto (in disuso nella lingua parlata, presente solo nelle forme arcaiche e colte): deo cante(s)i; tue cantestis; issu/isse cante(s)it; nois cantèsimus; bois cantezis; issos cantesint o canterunt;
Indicativo futuro: deo/deu apo/apu a cantare/cantai; tue/tui as a cantare/canta(r)i; issu/isse at a cantare/canta(r)i; nos/nois/nosu a(m)us/eus a cantare/canta(r)i; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is a cantare/canta(r)i; issos/issus ant a cantare/canta(r)i ; In LSC: deo apo a cantare; tue as a cantare; issu/isse at a cantare; nois amus a cantare; bois ais a cantare; issos ant a cantare.
Indicativo futuro anteriore: deo/deu apo/apu a àere/ài(ri) canta(d)u; tue/tui as a àere/ài(ri) canta(d)u; issu/isse at a àere/ài(ri) canta(d)u; nos/nois/nosu a(m)us/eus a àere/ài(ri) canta(d)u; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is a àere/ài(ri) canta(d)u; issos/issus ant a àere/ài(ri) canta(d)u ; In LSC: deo apo a àere cantadu; tue as a àere cantadu; issu/isse at a àere cantadu; nois amus a àere cantadu; bois ais a àere cantadu; issos ant a àere cantadu.
Congiuntivo presente: chi deo/deu cante/canti; chi tue/tui cantes/cantis; chi issu/isse cantet/cantit; chi nos/nois/nosu cante(m)us; chi bois o bosàteros/bosàtrus cante(z)is; chi issos/issus cantent/cantint ; In LSC: chi deo cante; chi tue cantes; chi isse cantet; chi nois cantemus; chi bois canteis; chi issos cantent.
Congiuntivo passato: chi deo/deu apa canta(d)u; chi tue/tui apas canta(d)u; chi issu/isse apat canta(d)u; chi nos/nois/nosu apa(m)us canta(d)u; chi bois o bosàteros/bosàtrus apa(z)is canta(d)u; chi issos/issus apant canta(d)u ; In LSC: chi deo apa cantadu; chi tue apas cantadu; chi issu/isse apat cantadu; chi nois apamus cantadu; chi bois apais cantadu; chi issos apant cantadu.
Condizionale presente: deo/deu dia o apia o emu a cantare/canta(r)i; tue/tui dias o apias a cantare/canta(r)i; issu/isse diat o apiat a cantare/canta(r)i; nos/nois/nosu diamus o apiàus a cantare/canta(r)i; bois/bosàteros dia(z)is o apiàis a cantare/canta(r)i; issos/issus diant o apiant a cantare/canta(r)i ; In LSC: deo dia cantare, tue dias cantare; issu/isse diat a cantare; nois diamus a cantare; bois diais a cantare; issos diant a cantare.
Condizionale passato: deo/deu dia o apia o emu a àere/ài(ri) canta(d)u; tue/tui dias o apias a àere/ài(ri) canta(d)u; issu/isse diat o apiat a àere/ài(ri) canta(d)u; nos/nois/nosu diamus o apiàus a àere/ài(ri) canta(d)u; bois o bosàteros/bosàtrus dia(z)is o apiàis a àere/ài(ri) canta(d)u; issos/issus diant o apiant a àere canta(d)u ; In LSC: deo dia àere cantadu, tue dias àere cantadu; issu/isse diat àere cantadu; nois diamus àere cantadu; bois diais àere cantadu; issos diant àere cantadu.
Gerundio presente: cantande/cantende/cantendi ; In LSC: cantende.
Gerundio passato: aende/aendi canta(d)u . In LSC: aende cantadu.
Coniugazione in -ere/-i(ri) : Verbo tìmere/tìmi(ri) (temere)
Indicativo presente: deo/deu timo/timu ; tue/tui times/timis ; issu/isse timet/timit ; nos/nois/nosu timimus o timèus ; bois o bosàteros/bosàtrus timideso timèis ; issos/issus timent/timint ; In LSC: deo timo; tue times; issu/isse timet; nois timimus; bois timides; issos timent.
Indicativo imperfetto: deo/deu timia ; tue/tui timias ; issu/isse timiat ; nos/nois/nosu timia(m)us ; bois o bosàteros/bosàtrus timia(z)is ; issos/issus timiant ; In LSC: deo timia; tue timias; issu/isse timiat; nois timìamus; bois timiais; issos timiant.
Indicativo passato prossimo: deo/deu apo/apu tìmi(d)u ; tue/tui as tìmi(d)u ; issu/isse at tìmi(d)u ; nos/nois/nosu a(m)us/eus tìmi(d)u ; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is/ais tìmi(d)u ; issos/issus ant tìmi(d)u ; In LSC: deo apo timidu; tue as timidu; issu/isse at timidu; nois amus timidu; bois ais timidu; issos ant timidu.
Indicativo trapassato prossimo imperfetto: deo/deu aiao emu tìmi(d)u ; tue/tui aias tìmi(d)u ; issu/isse aiat tìmi(d)u ; nois/nos aia(m)us tìmi(d)u ; bois o bosàteros/bosàtrus aia(z)is tìmi(d)u ; issos/issus aiant tìmi(d)u ; In LSC: deo aia timidu; tue aias timidu; issu/isse aia timidu; nois aìamus timidu; bois aiais timidu; issos aiant timidu.
Indicativo passato remoto (in disuso nella lingua parlata, presente solo nelle forme arcaiche e colte): deo time(s)i ; tue timestis ; issu/isse time(s)it ; nois timè(si)mus ; bois timezis ; issos timèsint o timèrunt ; In LSC: deo timei; tue timeis; issu/isse timeit; nois timemus; bois timeis; issos timeint.
Indicativo futuro: deo/deu apo/apu a tìmere/tìmi(ri) ; tue/tui as a tìmere/timi(ri) ; issu/isse at a tìmere/timi(ri) ; nos/nois/nosu a(m)us/eus a tìmere/timi(ri) ; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is a tìmere/timi(ri) ; issos/issus ant a tìmere/timi(ri) ; In LSC: deo apo a tìmere; tue as a tìmere; issu/isse at a tìmere; nois amus a tìmere; bois ais a tìmere; issos ant a tìmere.
Indicativo futuro anteriore: deo/deu apo/apu a àere/ài(ri) tìmi(d)u ; tue/tui as a àere/ài(ri) tìmi(d)u ; issu/isse at a àere/ài(ri) tìmi(d)u ; nos/nois/nosu a(m)us/eus a àere/ài(ri) tìmi(d)u ; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is a àere/ài(ri) tìmi(d)u ; issos/issus ant a àere/ài(ri) tìmi(d)u ; In LSC: deo apo a àere tìmidu; tue as a àere tìmidu; issu/isse at a àere tìmidu; nois amus a àere tìmidu; bois ais a àere tìmidu; issos ant a àere tìmidu.
Congiuntivo presente: chi deo/deu tima ; chi tue/tui timas ; chi issu/isse timat ; chi nos/nois/nosu tima(m)us ; chi bois o bosàteros/bosàtrus tima(z)is ; chi issos/issus timant ; In LSC: chi deo tima; chi tue timas; chi issu/isse timat; chi nois timamus; chi bois timais; chi issos timant.
Congiuntivo passato: chi deo/deu apa tìmi(d)u ; chi tue/tui apas tìmi(d)u ; chi issu/isse apat tìmi(d)u ; chi nos/nois/nosu apa(m)us tìmi(d)u ; chi bois o bosàteros/bosàtrus apa(z)is tìmi(d)u ; chi issos/issus apant tìmi(d)u ; In LSC: chi deo apa tìmidu; chi tue apas tìmidu; chi issu/isse apat tìmidu; chi nois apamus tìmidu; chi bois apais tìmidu; chi issos apant tìmidu.
Condizionale presente: deo/deu dia o apia o emu a tìmere/tìmi(ri) ; tue dias o apias a tìmere/timi(ri) ; issu/isse diat o apiat a tìmere/timi(ri) ; nos/nois/nosu diamus o apiàus a tìmere/timi(ri) ; bois o bosàteros/bosàtrus dia(z)is o apiàis a tìmere/timi(ri) ; issos/issus diant o apiant a tìmere/timi(ri) ; In LSC: deo dia tìmere; tue dias tìmere; issu/isse diat tìmere; nois diamus tìmere; bois diais tìmere; issos diant tìmere.
Condizionale passato: deo/deu dia o apia o emu a àere/ài(ri) timi(d)u ; tue dias o apias a àere/ài(ri) timi(d)u ; issu/isse diat o apiat a àere/ài(ri) timi(d)u ; nos/nois/nosu diamus o apiàus a àere/ài(ri) timi(d)u ; bois o bosàteros/bosàtrus dia(z)is o apiàis a àere/ài(ri) timi(d)u ; issos/issus diant o apiant a àere/ài(ri) timi(d)u ; In LSC: deo dia àere tìmidu; tue dias àere tìmidu; issu/isse diat àere tìmidu; nois diamus àere tìmidu; bois diais àere tìmidu; issos diant àere tìmidu.
Gerundio presente: timende/timendi ; In LSC: timende.
Gerundio passato: aende/aendi tìmi(d)u ; In LSC: aende tìmidu
Coniugazione in -ire/-i(ri) : Verbo finire/fini(ri) (finire)
Indicativo presente: deo/deu fino/finu ; tue/tui finis ; issu/isse finit ; nos/nois/nosu fini(m)us ; bois o bosàteros/bosàtrus finides o fineis ; issos/issus finint ; In LSC: deo fino; tue finis; issu/isse finit; nois finimus; bois finides; issos finint.
Indicativo imperfetto: deo/deu finia ; tue/tui finias ; issu/isse finiat ; nos/nois/nosu finia(m)us ; bois o bosàteros/bosàtrus finia(z)is ; issos/issus finiant ; In LSC: deo finia; tue finias; issu/isse finiat; nois finìamus; bois finiais; issos finiant.
Indicativo passato prossimo: deo/deu apo/apu fini(d)u ; tue/tui as fini(d)u ; issu/isse at fini(d)u ; nos/nois/nosu a(m)us/eus fini(d)u ; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is fini(d)u ; issos/issus ant fini(d)u ; In LSC: deo apo finidu; tue as finidu; issu/isse at finidu; nois amus finidu; bois ais finidu; issos ant finidu.
Indicativo trapassato prossimo imperfetto: deo/deu aia o emu fini(d)u ; tue/tui aias fini(d)u ; issu/isse aiat fini(d)u ; nos/nois/nosu aia(m)us fini(d)u ; bois o bosàteros/bosàtrus aia(z)is fini(d)u ; issos/issus aiant fini(d)u ; In LSC: deo aia finidu; tue aias finidu; issu/isse aiat finidu; nois aìamus finidu; bois aiais finidu; issos aiant finidu.
Indicativo passato remoto (in disuso nella lingua parlata, presente solo nelle forme arcaiche e colte): deo/deu fine(s)i ; tue/tui finestis ; issu/isse fine(s)it ; nois finè(si)mus ; bois o bosàteros/bosàtrus finezis ; issos finesint o finerunt ; In LSC: deo finei; tue fineis; issu fineit; nois finemus; bois fineis; issos fineint.
Indicativo futuro: deo/deu apo/apu a finire/fini(ri) ; tue/tui as a finire/fini(ri) ; issu/isse at a finire/fini(ri) ; nos/nois/nosu a(m)us/eus a finire/fini(ri) ; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is a finire/fini(ri) ; issos/issus ant a finire/fini(ri) ; In LSC: deo apo a finire; tue as a finire; issu/isse at a finire; nois amus a finire; bois ais a finire; issos ant a finire.
Indicativo futuro anteriore: deo/deu apo/apu a àere/ài(ri) fini(d)u ; tue/tui as a àere/ài(ri) fini(d)u ; issu/isse at a àere/ài(ri) fini(d)u ; nos/nois/nosu a(m)us/eus a àere/ài(ri) fini(d)u ; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is a àere/ài(ri) fini(d)u ; issos/issus ant a àere/ài(ri) fini(d)u ; In LSC: deo apo a àere finidu; tue as a àere finidu; issu/isse at a àere finidu; nois amus a àere finidu; bois ais a àere finidu; issos ant a àere finidu.
Congiuntivo presente: chi deo/deu fina ; chi tue/tui finas ; chi issu/isse finat ; chi nos/nois/nosu fina(m)us ; chi bois o bosàteros/bosàtrus fina(z)is ; chi issos/issus finant ; In LSC: chi deo fina; chi tue finas; chi issu/isse finat; chi nois finamus; chi bois finais; chi issos finant.
Congiuntivo passato: chi deo/deu apa fini(d)u ; chi tue/tui apas fini(d)u ; chi issu/isse apat fini(d)u ; chi nos/nois/nosu apa(m)us fini(d)u ; chi bois o bosàteros/bosàtrus apa(z)is fini(d)u ; chi issos/issus apant fini(d)u ; In LSC: chi deo apa finidu; chi tue apas finidu; chi issu/isse apat finidu; chi nois apamus finidu; chi bois apais finidu; chi issos apant finidu.
Condizionale presente: deo/deu dia o apia o emu a finire/fini(ri) ; tue/tui dias o apias a finire/fini(ri) ; issu/isse diat o apiat a finire/fini(ri) ; nos/nois/nosu diamus o apiàus a finire/fini(ri) ; bois o bosàteros/bosàtrus dia(z)is o bosàteros/bosàtrus apiàis a finire/fini(ri) ; issos/issus diant o apiant a finire/fini(ri) ; In LSC: deo dia finire; tue dias finire; issu/isse diat finire; nois diamus finire; bois diais finire; issos diant finire.
Condizionale passato: deo/deu dia o apia o emu a àere/ài(ri) fini(d)u ; tue/tui dias o apias a àere/ài(ri) fini(d)u ; issu/isse diat o apiat a àere/ài(ri) fini(d)u ; nos/nois/nosu dia(m)us o apiàus a àere/ài(ri) fini(d)u ; issos/issus diant o apiant a àere/ài(ri) fini(d)u ;
Gerundio presente: fininde/finende/finendi ; In LSC: finende
Gerundio passato: aende/aendi fini(d)u ; In LSC: aende finidu
Verbi irregolari : Verbo fàghere/fàghiri/fàere/fai (fare)
Indicativo presente: deo/deu fago o fatzu ; tue/tui fa(gh)es/fa(gh)is ; issu/isse fa(gh)et/fa(gh)it ; nos/nois/nosu faghimus o f(agh)eus ; bois o bosàteros/bosàtrus faghides o f(agh)èis ; issos/issus fa(gh)ent/fa(gh)int ; In LSC: deo fatzo; tue faghes; issu faghet; nois faghimus; bois faghides; issos faghent.
Indicativo imperfetto: deo/deu fa(gh)ia ; tue/tui fa(gh)ias ; issu/isse fa(gh)iat ; nos/nois/nosu fa(gh)ia(m)us ; bois o bosàteros/bosàtrus fa(gh)ia(z)is ; issos/issus fa(gh)iant ; In LSC: deo faghia; tue faghias; issu/isse faghiat; nois faghìamus; bois faghiais; issos faghiant.
Indicativo passato prossimo: deo/deu apo/apu fatu ; tue/tui as fatu ; issu/isse at fatu ; nos/nois/nosu a(m)us/eus fatu ; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is fatu ; issos/issus ant fatu ; In LSC: deo apo fatu; tue as fatu; issu/isse at fatu, nois amus fatu; bois ais fatu; issos ant fatu.
Indicativo trapassato prossimo imperfetto: deo/deu aia o emu fatu ; tue/tui aias fatu ; issu/isse aiat fatu ; nos/nois/nosu aia(m)us fatu ; bois o bosàteros/bosàtrus aia(z)is fatu ; issos/issus aiant fatu ; In LSC: deo aia fatu; tue aias fatu; issu/isse aiat fatu; nois aìamus fatu; bois aiais fatu; issos aiant fatu.
Indicativo passato remoto (in disuso nella lingua parlata, presente solo nelle forme arcaiche e colte): deo faghe(s)i ; tue faghèstis ; issu/isse faghe(s)it ; nois faghè(si)mus ; bois faghezis ; issos faghesint o fagherunt ;
Indicativo futuro: deo/deu apo/apu a fà(gh)ere/fa(ghir)i ; tue/tui as a fà(gh)ere/fa(ghir)i ; issu/isse at a fà(gh)ere/fa(ghir)i ; nos/nois/nosu a(m)us/eus a fà(gh)ere/fa(ghir)i ; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is a fà(gh)ere/fa(ghir)i ; issos/issus ant a fà(gh)ere/fa(ghir)i ; In LSC: deo apo a fàghere; tue as a fàghere; issu/isse at a fàghere; nois amus a fàghere; bois ais a fàghere; issos ant a fàghere.
Indicativo futuro anteriore: deo/deu apo/apu a àere/ài(ri) fatu ; tue/tui as a àere/ài(ri) fatu ; issu/isse at a àere/ài(ri) fatu ; nos/nois/nosu a(m)us/eus a àere/ài(ri) fatu ; bois o bosàteros/bosàtrus a(z)is a àere/ài(ri) fatu ; issos/issus ant a àere/ài(ri) fatu ; In LSC: deo apo a àere fatu; tue as a àere fatu; nois amus a àere fatu; bois ais a àere fatu; issos ant a àere fatu.
Congiuntivo presente: chi deo/deu faga o fatza; chi tue/tui fagas o fatzas; chi issu/isse fagat o fatzat; chi nos/nois/nosu fagamus o fatza(m)us; chi bois o bosàteros/bosàtrus fagazis o fatzàis; chi issos fagant o fatzant ; In LSC: chi deo fatza; chi tue fatzas; chi issu/isse fatzat; chi nois fatzamus; chi bois fatzais; chi issos fatzant.
Congiuntivo passato: chi deo/deu apa fatu; chi tue/tui apas fatu ; chi issu/isse apat fatu ; chi nos/nois/nosu apa(m)us fatu ; chi bois o bosàteros/bosàtrus apa(z)is fatu ; chi issos/issus apant fatu ; In LSC: chi deo apa fatu; chi tue apas fatu; chi issu/isse apat fatu; chi nois apamus fatu; chi bois apais fatu; chi issos apant fatu.
Condizionale presente: deo/deu dia o apia o emu a fà(gh)ere/fa(ghir)i ; tue/tui dias o apias a fà(gh)ere/fa(ghir)i ; issu/isse diat o apiat a fà(gh)ere/fa(ghir)i ; nos/nois/nosu diamus o apiàus a fà(gh)ere/fa(ghir)i ; bois o bosàteros/bosàtrus dia(z)is o apiàis a fà(gh)ere/fa(ghir)i ; issos/issus diant o apiant a fà(gh)ere/fa(ghir)i ;In LSC: deo dia fàghere; tue dias fàghere; issu/isse diant fàghere; nois diamus fàghere; bois diais fàghere; issos diant fàghere.
Condizionale passato: deo/deu dia o apia o emu a àere/ài(ri) fatu ; tue/tui dias o apias a àere/ài(ri) fatu ; issu/isse diat o apiat a àere/ài(ri) fatu ; nos/nois/nosu diamus o apiàus a àere/ài(ri) fatu ; bois o bosàteros/bosàtrus dia(z)is o apiàis a àere/ài(ri) fatu ; issos/issus diant o apiant a àere/ài(ri) fatu ;In LSC: deo dia a àere fatu; tue dias a àere fatu; nois diamus a àere fatu; bois diais a àere fatu; issos diant a àere fatu.
Gerundio presente: fa(gh)ende/fendi ; In LSC: faghende
Gerundio passato: aende/aendi fatu ; In LSC: aende fatu
Particolarità
È presente una categoria particolare di verbi che in logudorese e nuorese hanno l'infinito proprio della seconda coniugazione in -ere, e che però secondo la loro origine appartengono alla terza, di cui hanno conservato alcune terminazioni nel presente indicativo. Appartiene a tale gruppo per esempio bènnere (venire), la cui coniugazione in presente è: bèngio/benzo, benis, benit, benimus/benius, benides/benies/benìs, benint; oppure apèrrere (aprire): apèrgio/aperjo/aperzo/apegio, aperis, aperit, aperimus/aperius, aperides/aperies/aperìs, aperint. Vengono coniugati allo stesso modo cumbènnere (convenire; 1a persona cumbèngio/cumbenzo), cobèrrere/nuor. copèrrere (coprire un oggetto, montare un animale a un altro, volg. fornicare; cobèrgio/coberjo/coberzo/crobegio), fèrrere (colpire; ferire; fèrgio/ferjo/ferzo/fegio), mòrrere (morire; mòrgio/morjo/morzo/mogio), iscobèrrere/iscrobèrrere/nuor. iscopèrrere (scroprire; iscobèrgio/iscoberjo/iscoberzo/iscrobegio).
Verbi irregolari alla prima persona singolare del presente
Numerosi verbi hanno una coniugazione generalmente regolare, mantenendo però irregolare la prima persona sing. del presente: bàlere (valere; bàgio/bazo), chèrrere (volere; chèrgio/cherjo/cherzo/chegio), dòlere (fare male, dolere; dògio/dozo), pàrrere (sembrare, parere; pàrgio/parjo/parzo/pagio), cumpàrrere (comparire; cumpàrgio/cumparjo/cumparzo/cumpagio), pòdere (potere; potzo/potho), pònnere (mettere; pòngio/ponzo), tènnere (avere; tèngio/tenzo), mantènnere (mantenere; mantèngio/mantenzo).
Lessico
Tabella di comparazione delle lingue neolatine
Alcuni vocaboli nella lingua sarda e in quelle alloglotte di Sardegna
I numeri - Sos nùmeros / Is nùmerus
Tra i numeri sardi troviamo due forme, maschile e femminile, per tutti i numeri che terminano con il numero uno, escludendo l'undici, il centoundici e così via, per il numero due e per tutte le centinaia escludendo i numeri cento, millecento, ecc. Questa caratteristica è presente tale quale sia nello spagnolo sia nel portoghese. Abbiamo quindi in sardo per esempio (gli esempi sono nel sardo centrale o di mesania) unu pipiu / una pipia (un bambino/una bambina), duos pitzinnos / duas pitzinnas (due bambini, ragazzini/due bambine, ragazzine), bintunu caddos/cuaddos (ventuno cavalli) / bintuna crabas (ventuno capre), barantunu libros (quarantuno libri) / barantuna cadiras (quarantuno sedie), chentu e unu rios (centouno fiumi), chentu e una biddas (centouno paesi), dughentos òmines (duecento uomini) / dughentas domos (duecento case).
In sardo abbiamo, come in italiano, due diverse forme per mille, milli, e duemila, duamiza/duamìgia/duamilla.
Tabella dei numeri basata sulle varianti logudoresi del Marghine e del Guilcer e del nuorese, su quelle di transizione del Barigadu e su quelle campidanesi della Marmilla
I numeri duecento, trecento e, unicamente in campidanese, seicento hanno una forma propria, dughentos e treghentos in LSC e in grafia logudorese, duxentus, trexentus e sexentus in campidanese, dove il due, il tre e il numero cento sono modificati; questo fenomeno è presente anche in portoghese (duzentos, trezentos); le altre centinaia invece vengono scritte senza modificare né il numero di base né chentu/centu, perciò bator(o) chentos/cuatrucentus, otochentos/otucentus, ecc. Il fonema "ch" di chentos in logudorese viene comunque sempre pronunciato g, a eccezione del numero seschentos, e la "c" del campidanese centus sempre come x (j francese di journal). In nuorese "ch" viene invece pronunciato sempre k, perciò tutti i numeri sono scritti con "ch" in questa variante.
I numeri 101, 102, così come 1001, 1002, ecc., vanno scritti separatamente chentu e unu, chentu e duos, milli e unu, milli e duos, ecc. Anche in questo caso, questa caratteristica è condivisa con il portoghese. Chentu viene spesso apostrofato, chent'e unu, chent'e duos, più raramente anche milli, mill'e unu, mill'e duos, ecc.
I numeri che terminano con uno, a eccezione di undici, centoundici, ecc., vengono spesso anch'essi apostrofati, sia nella loro forma maschile sia in quella femminile, se la parola seguente inizia per vocale o per h: bintun'òmines (ventuno uomini), bintun'amigas (ventuno amiche), ecc.
Le stagioni - Sas istajones / Is istajonis
I mesi - Sos meses / Is mesis
I giorni - Sas dies / Is diis
I colori - Sos colores / Is coloris biancu/ant. arbu [bianco], nieddu [nero], ruju/arrùbiu [rosso], grogu [giallo], biaitu/asulu [blu], birde/birdi/bildi [verde], arantzu/aranzu/colori de aranju [arancione], tanadu/viola/biola [Viola], castàngiu/castanzu/baju''' [marrone].
Etimologia
Nel presente paragrafo si elenca, senza alcuna pretesa di esaustività in merito, parte di quella mèsse lessicale facente parte sia del substrato, che dei vari superstrati. Nei nomi con due o più varianti viene prima riportato il logudorese, quindi il campidanese. Varie ricerche hanno messo in luce il fatto che la competenza dei parlanti adulti del sardo non ammette un numero di prestiti, provenienti dalle varie lingue dominanti nei secoli, superiore al 15,5% del lessico posseduto.
Substrato paleosardo o nuragico
CUC → cùcuru, cucurinu (cima di un monte, cocuzzolo; punta sporgente, come Cùcuru 'e Portu a Oristano; cfr. basco kukurr, cresta del gallo)
GON- → Gonone, Gologone, Goni, Gonnesa, Gonnosnò (altura, collina, montagna, cfr. greco eolico gonnos, colle)
NUR-/'UR- → ant. nurake → nuraghe/nuraxi, Nurra, Nora (mucchio cavo, ammasso), Noragugume
NUG: Nug-or; Nug-ulvi (cfr. slavo noga, piede o gamba; sia Nuoro sia Nulvi sono località ai piedi di un monte)
ASU-, BON-,
GAL → Gallura ant. Gallula, Garteddì (Galtellì), Galilenses, Galile
GEN-, GES- → Gesturi
GOL-/'OL → Gollei, Ollollai, Parti Olla (Parteolla), golostri/golostru/golóstiche/ golóstise/golóstiu/golosti/'olosti (agrifoglio, si confronti lo slavo ostrь, "spinoso"; il basco gorosti, a cui si associa, è d'origine oscura e probabilmente paleoeuropea, cfr. infatti greco kélastros, agrifoglio)
EKA-, KI-, KUR-,
KAL/KAR- → Karalis → ant. Calaris (Cagliari), Carale, Calallai
ENI → ogl. eni (albero del tasso, cfr. albanese enjë, albero del tasso);
MAS-, TUR-, MERRE (luogo sacro) → Macumere (Macomer);
GUS → Gusana, Guspini (cfr. serbo guša, gola);
ALTRI TERMINI → toneri (tacco, torrione), garroppu (canyon), chessa (lentischio)
THA-/THE-/THI-/TZI- (articolo) → thilipirche (cavalletta), thilicugu (geco), thiligherta (lucertola), tzinibiri (ginepro), Tamara (monte nel territorio del comune di Nuxis) thinniga/tzinniga(stipa tenacissima), thirulia (nibbio);
Origine punica
CHOURMÁ → kurma ‘ruta di Aleppo’
CUSMIN → guspinu, óspinu ‘nasturzio’
MS' → mitza/mintza ‘sorgente’
SIKKÍRIA → camp. tsikkirìa ‘aneto’
YAʿAR ‘bosca’ → camp. giara ‘altopiano’
ZERAʿ ‘seme’ → *zerula → camp. tseúrra ‘germoglio, piumetta embrionale del seme del grano’
ZIBBIR → camp. tsíppiri ‘rosmarino’
ZUNZUR ‘corregiola’ → camp. síntsiri ‘coda cavallina’
MAQOM-HADAS → Magomadas ‘luogo nuovo’
MAQOM-EL? ("luogo di dio")/MERRE? → Macumere (Macomer)
TAM-EL → Tumoele, Tamuli (luogo sacro);
Origine latina
ACCITUS → ant.kita → chida/cida (settimana, derivata dai turni settimanali delle guardie giudicali)
ACETU(M) → ant. aketu>aghedu/achetu/axedu (aceto)
ACIARIU(M) → atharzu/atzarzu/atzargiu/atzarju (acciaio)
ACINA → ant. àkina, àghina/àxina (uva)
ACRU(M) → agru, argu (aspro, acido)
ACUS → agu (ago)
AERA → aèra/àiri
AGNONE → anzone/angioni (agnello)
AGRESTIS → areste/aresti (selvatico)
ALBU(M) → ant. albu>arbu (bianco)
ALGA → arga/àliga (spazzatura; alga)
ALTU(M) → artu (alto)
AMICU(M) → ant.amicu → amigu (amico)
ANGELU(M) → anghelu/ànjulu (angelo)
AQUA(M) → abba/àcua (acqua)
AQUILA(M) → ave/àbbile/àchili (aquila)
ARBORE(M) → arbore/arvore/àrburi (albero)
ASINUS → àinu (asino)
ASPARAGUS → camp. sparau (asparago)
AUGUSTUS → austu (agosto)
BABBUS → babbu (padre, babbo)
BASIUM → basu, bàsidu (bacio)
BERBECE → berbeke/berbeghe/prebeghe/brebei (pecora)
BONUS → bonu (buono)
BOVE(M) → boe/boi (bue)
BUCCA → buca (bocca)
BURRICUS → burricu (asino)
CABALLUS → ant. cavallu/caballu → caddu/cuaddu/nuor. cabaddu (cavallo)
CANE(M) → cane/cani (cane)
CAPPELLUS → cappeddu, capeddu (cappello)
CAPRA(M) → cabra/craba (capra)
CARNE → carre/carri (carne umana, viva)
CARNEM SECARE → carrasegare/ nuor. carrasecare (carnevale; "tagliare la carne" nel senso di buttarla via, in quanto ormai prossimo l'inizio della Quaresima; l'etimologia del termine italiano carnevale ha lo stesso significato di origine, seppur una forma differente (da carnem levare); la forma latina è a sua volta un calco del greco apokreos)
CARRU(M) → carru (carro)
CASEUS → casu (formaggio)
CASTANEA → castanza/castanja (castagna)
CATTU(M) → gattu (gatto)
CENA PURA → chenàbura/chenàbara/cenàbara/nuor. chenàpura (venerdì; questo nome era originariamente una definizione diffusa tra gli ebrei dell'Africa settentrionale per indicare il venerdì sera, momento in cui veniva preparato il cibo per il sabato. Numerosi giudei nordafricani si insediarono in Sardegna dopo essere stati espulsi dalle loro terre da parte dei Romani. A loro si deve probabilmente la parola sarda per venerdì)
CENTUM → chentu/centu (cento)
CIBARIUS → civràxiu, civraxu (tipico pane sardo)
CINQUE → chimbe/cincu (cinque)
CIPULLA → chibudda/cibudda (cipolla)
CIRCARE → chircare/circai (cercare)
CLARU(M) → craru (chiaro)
COCINA → ant.cokina → coghina/coxina (cucina)
COELU(M) → chelu/celu (cielo)
COLUBER → colovra/colora/coloru (biscia)
CONCHA → conca (testa)
CONIUGARE → cojuare/coyai (sposare)
CONSILIU(M) → ant.consiliu → cunsizzucunsigiu/cunsillu (consiglio)
COOPERCULU(M) → cropettore/cobercu (coperchio)
CORIU(M) → corzu/corju/corgiu (cuoio)
CORTEX → ant. gortike/borticlu → ortighe/ortiju/ortigu (corteccia del sughero)
COXA(M) → cossa/cosça (coscia)
CRAS → cras/crasi (domani)
CREATIONE(M) → criatura/criathone/criadura (creatura)
CRUCE(M) → ant. cruke/ruke → rughe/(g)ruxi (croce)
CULPA(M) → curpa (colpa)
DECE → ant.deke → deghe/dexi (dieci)
DEORSUM → josso/jossu (giù)
DIANA → jana (fata)
DIE → die/dii (giorno)
DOMO/DOMUS → domo/domu (casa)
ECCLESIA → ant. clesia → cheja/crèsia (chiesa)
ECCU MODO/QUOMO(DO) → còmo/imoi (adesso)
ECCU MENTE/QUOMO(DO) MENTE → comente/comenti (come)
EGO → ant.ego → deo/eo/jeo/deu (io)
EPISCOPUS → ant. piscopu → pìscamu (vescovo)
EQUA(M) → ebba/ègua (giumenta)
ERICIUS → eritu (riccio)
ETIAM → eja (sì)
EX-CITARE → ischidare/scidai (svegliare)
FABA(M) → ava/faa (fava)
FABULARI → faeddare/foeddare/fueddai (parlare)
FACERE → ant. fakere → fàghere/fai (fare)
FALCE(M) → ant.falke → farche/farci (falce)
FEBRUARIU(M) → ant. frearju → frearzu/frearju/friarju (febbraio)
FEMINA → fèmina (donna)
FILIU(M) → ant. filiu/fiju/figiu → fizu/figiu/fillu (figlio)
FLORE(M) → frore/frori (fiore)
FLUMEN → ant.flume → frùmene/frùmini (fiume)
FOCU(M) → ant. focu → fogu (fuoco)
FOENICULU(M) → ant.fenuclu → fenugru/fenugu (finocchio)
FOLIA → fozza/folla (foglia)
FRATER → frade/fradi (fratello)
FUNE(M) → fune/funi
GELICIDIU(M) → ghilighia/chilighia/cilixia (gelo, brina)
GENERU(M)→ ghèneru/ènneru/gèneru (genero)
GENUCULUM → inucru/benugu/genugu (ginocchio)
GLAREA → giarra (ghiaia)
GRAVIS → grae/grai (pesante)
GUADU → ant.badu/vadu → badu/bau (guado)
HABERE → àere/ai (avere)
HOC ANNO → ocannu (quest'anno)
HODIE → oe/oje/oi (oggi)
HOMINE(M) → òmine/òmini (uomo)
HORTU(M) → ortu (orto)
IANUARIUS, IENARIU(M) → ant. jannarju> bennarzu/ghennarzu/jennarju/ghennargiu/gennarju (gennaio)
IANUA → janna/genna (porta)
ILEX → ant.elike → elighe/ìlixi (leccio)
IMMO → emmo (sì)
IN HOC → ant. inòke → inoghe/innoi (qui)
INFERNU(M) → inferru/ifferru (inferno)
I(N)SULA → ìsula/iscra (isola)
INIBI → inie/innia (là)
IOHANNES → Juanne/Zuanne/Juanni (Giovanni)
IOVIA → jòvia/jòbia (giovedì)
IPSU(M) → su (il)
IUDICE(M) → ant. iudike → juighe/zuighe (giudice)
IUNCU(M) → ant. juncu → zuncu/juncu (giunco)
IUNIPERUS → ghinìperu/inìbaru/tzinnìbiri (ginepro)
IUSTITIA → ant. justithia/justizia → justìtzia/zustìssia (giustizia)
LABRA → lavra/lara (labbra)
LACERTA → thiligherta/calixerta/caluxèrtula (lucertola)
LARGU(M) → largu (largo)
LATER → camp. làdiri (mattone crudo)
LIGNA → linna (legna)
LINGERE → lìnghere/lingi (leccare)
LINGUA(M) → limba/lìngua (lingua)
LOCU(M) → ant. locu → logu (luogo)
LUTU(M) → ludu (fango)
LUX → lughe/luxi (luce)
MACCUS → macu (matto)
MAGISTRU(M) → maìstu (maestro)
MAGNUS → mannu (grande)
MALUS → malu (cattivo)
MANUS → manu (mano)
MARTELLUS → martheddu/mateddu/martzeddu (martello)
MERIDIES → merie/merì (pomeriggio)
META → meda (molto)
MULIER → muzere/cmulleri (moglie)
NARRARE → nàrrere/nai (dire)
NEMO → nemos (nessuno)
NIX → nie/nii/nuor. nibe (neve)
NUBE(M) → nue/nui (nuvola)
NUCE → ant. nuke → nughe/nuxi (noce)
OCCIDERE → ochidere, bochire/bociri (uccidere)
OC(U)LU(M) → ogru/oju/ogu/nuor. ocru (occhio)
OLEASTER → ozzastru/ogiastru/ollastu (olivastro)
OLEUM → oliu → ozu/ogiu/ollu (olio)
OLIVA → olia (oliva)
ORIC(U)LA(M) → ant.oricla → origra/orija/origa/nuor. oricra (orecchio)
OVU(M) → ou(uovo)
PACE → ant.pake →paghe/paxi/nuor. pake (pace)
PALATIUM → palathu/palàtziu/palatzu (palazzo)
PALEA → paza/pagia/palla (paglia)
PANE(M) → pane/pani
PAPPARE → camp. papai (mangiare)
PARABOLA → paraula (parola)
PAUCUS → pagu (poco)
PECUS → pegus (capo di bestiame)
PEDIS → pe/pei/nuor. pede (piede)
PEIUS → pejus/peus (peggio)
PELLE(M) → pedde/peddi (pelle)
PERSICUS → pèrsighe/pèssighe (pesca)
PETRA(M) → pedra/perda/nuor. preda (pietra)
PETTIA(M) → petha/petza (carne)
PILUS → pilu (pelo), pilos/pius (capelli)
PIPER → pìbere/pìbiri (pepe)
PISCARE → piscare/piscai (pescare)
PISCE(M) → pische/pisci (pesce)
PISINNUS → pitzinnu (bambino, giovane, ragazzo)
PISUS → pisu (seme)
PLATEA → pratha/pratza (piazza)
PLACERE → piàghere/pràghere/praxi (piacere)
PLANGERE → prànghere/prangi (piangere)
PLENU(M) → prenu (pieno)
PLUS → prus (più)
POLYPUS → purpu/prupu (polpo)
POPULUS → pòpulu/pòbulu (popolo)
PORCU(M) → porcu/procu (maiale)
POST → pustis (dopo)
PULLUS → puddu (pollo)
PUPILLA → pobidda/pubidda (moglie)
PUTEUS → puthu/putzu (pozzo)
QUANDO → cando/candu (quando)
QUATTUOR → battor(o)/cuatru (quattro)
QUERCUS → chercu (quercia)
QUID DEUS? → ite/ita? (che/che cosa?)
RADIUS → raju (raggio)
RAMU(M) → ramu/arramu (ramo)
REGNU → rennu/urrennu (regno)
RIVUS → ant. ribu → riu/erriu/arriu (fiume)
ROSMARINUS → ramasinu/arromasinu (rosmarino)
RUBEU(M) → ant. rubiu → ruju/arrùbiu (rosso)
SALIX → salighe/sàlixi (salice)
SANGUEN → sàmbene/sànguni (sangue)
SAPA(M) → saba (sapa, vino cotto)
SCALA → iscala/scala (scala)
SCHOLA(M) → iscola/scola (scuola)
SCIRE → ischire/sciri (sapere)
SCRIBERE → iscrìere/scriri (scrivere)
SECARE → segare/segai (tagliare)
SECUS → dae segus/a-i segus (dopo)
SERO → sero/ant.camp. seru (sera)
SINE CUM → kene/kena/kentza/sena/setza (senza)
SOLE(M) → sole/soli (sole)
SOROR → sorre/sorri (sorella)
SPICA(M) → ispiga/spiga (spiga)
STARE → istare/stai (stare)
STRINCTU(M) → strintu (stretto)
SUBERU → suerzu/suerju (quercia da sughero)
SULPHUR → tùrfuru/tzùrfuru/tzrùfuru (zolfo)
SURDU(M) → surdu (sordo)
TEGULA → teula (tegola)
TEMPUS → tempus (tempo)
THIUS → thiu/tziu (zio)
TRITICUM → trigu/nuor. trìdicu (grano)
UMBRA → umbra (ombra)
UNDA → unda (onda)
UNG(U)LA(M) → unja/ungra/unga (unghia)
VACCA → baca (vacca)
VALLIS → badde/baddi (valle)
VENTU(M) → bentu (vento)
VERBU(M) → berbu (verbo, parola)
VESPA(M) → ghespe/bespe/ghespu/espi (vespa)
VECLUS(AGG.) → betzu/becciu (vecchio)
VECLUS(S) → ant. veclu → begru/begu (legno vecchio)
VIA → bia (via)
VICINUS → ant. ikinu → bighinu/bixinu (vicino)
VIDERE → bìdere/bìere/biri (vedere)
VILLA → ant. villa → billa → bidda (paese)
VINEA(M) → binza/bingia (vigna)
VINU(M) → binu (vino)
VOCE → ant. voke/boke → boghe/boxi (voce)
ZINZALA → thìnthula/tzìntzula/sìntzulu (zanzara);
Origine greca bizantina
AGROIKÓS → gr. biz. agrikó → gregori ‘terreno incolto’
FLASTIMAO → frastimare/frastimai ‘bestemmiare’
KAVURAS ‘granchio’ → camp. kavuru
KASKO → cascare ‘sbadigliare’
*KEROPÓLIDA → kera/cera óbida ‘cera che sigilla il favo’
KHÓNDROS ‘fiocchi d’avena; cartilagine’ → gr. biz. kontra → log. iskontryare
KLEISOÛRA ‘chiusa’ → krisura (krisayu, krisayone) ‘chiusa di un podere’
KONTAKION → ant. condake → condaghe/cundaxi ‘raccolta di atti’
KYÁNE(OS) ‘blu scuro’ → camp. ghyani ‘manto morello di cavallo (o di bue)’
LEPÍDA ‘lama di coltello’ → leppa ‘coltello’
Λουχὶα → ant. Lukìa → Lughìa/Luxia (Lucia)
MERDOUKOÚS, MERDEKOÚSE ‘maggiorana’ → centr. mathrikúsya, camp. martsigusa ‘ginestra’
NAKE → annaccare (cullare)
PSARÓS ‘grigio’ → *zaru → log. medioevale arzu
σαραχηνός → theraccu/tzeracu ‘servo’
Στέφανε → Istevane/Stèvini ‘Stefano’
Origine catalana
ACABAR → acabare/acabai (finire, smettere; cf. spa. acabar)
AIXÌ → camp.aici (così)
AIXETA → log. isceta (cannella della botte; rubinetto)
ALÈ → alenu (alito)
ARRACADA → arrecada (orecchino)
ARREU → arreu (di continuo)
AVALOT → avollotu (trambusto; cf. spa. alboroto (ant. alborote))
BANDA → banda (lato)
BANDOLER → banduleri (vagabondo; originariamente bandito; cf. spa. bandolero)
BARBER → barberi (barbiere; cf. spa. barbero)
BARRA → barra (mandibola; insolenza, testardaggine)
BARRAR → abbarrare (nell'odierno catalano significa però sbarrare, in sardo camp. rimanere)
BELLESA → bellesa (bellezza)
(AL)BERCOC → luog. barracoca (albicocca; da una termine balearico passato poi anche all'algherese barracoc)
BLAU → camp.brau (blu)
BRUT, -A → brutu, -a (sporco)
BURRO → burricu (asino; cf, spa. burro e borrico)
BURUMBALLA → burrumballa (segatura, truciolame, per est. cianfrusaglia)
BUTXACA → busciaca/buciaca (tasca, borsa)
CADIRA / CARIA (vocabolo ancor presente in algherese) → camp. cadira (sedia); Caría (cognome sardo)
CALAIX → camp. calaxu/calasciu (cassetto)
CALENT → caente/callenti (caldo; cf. spa. caliente)
CARRER → carrera/carrela (via)
CULLERA → cullera (cucchiaio)
CUITAR → coitare/coitai (sbrigarsi)
DESCLAVAMENT → iscravamentu (deposizione di Cristo dalla croce)
DESITJAR → disigiare/disigiai (desiderare)
ESTIU → istiu (estate; cf. spa. estío, lat. aestivum (tempus))
FALDILLA → faldeta (gonna)
FERRER → ferreri (fabbro)
GARRÓ → garrone, -i (garretto)
GOIGS → camp. gocius (composizioni poetiche sacre; cf. gosos)
GRIFÓ → grifone, -i (rubinetto)
GROC → grogo, -u (giallo)
ENHORABONA! → innorabona! (in buon'ora!; cf. spa. enhorabuena)
ENHORAMALA! → innoramala! (in mal'ora!)
ESMORZAR → ismurzare/ismurgiare/irmugiare/imrugiare (fare colazione)
ESTIMAR → istimare/stimai (amare, stimare)
FEINA → faina (lavoro, occupazione, daffare; già da una forma catalana medievale, da cui si è poi anche originato lo spagnolo faena)
FLASSADA → frassada (coperta; cf. spa. frazada)
GÍNJOL → gínjalu (giuggiola, giuggiolo)
IAIO, -A → jaju, -a (nonno, -a; cf. spa. yayo, -a)
JUTGE → camp. jugi/log. zuzze (giudice)
LLEIG → camp. léggiu/log. lezzu (brutto)
MANDRÓ → mandrone, -i (pigro, nullafacente)
MATEIX → matessi (stesso)
MITJA → mìgia, log. miza (calza)
MOCADOR → mucadore, -i (fazzoletto)
ORELLETA → orilletas (dolci fritti)
PAPER → paperi (carta)
PARAULA → paraula (parola)
PLANXA → prància (ferro da stiro; prestito di origine francese, anteriore allo spagnolo plancha)
PREMSA → prentza (torchio)
PRESÓ → presone, -i (prigione)
PRESSA → presse, -i (fretta)
PRÉSSEC → prèssiu (pesca)
PUNXA → camp. punça/log. puntza (chiodo)
QUIN, -A → camp. chini (in catalano significa "quale", in sardo "chi")
QUEIXAL → sardo centrale e camp. caxale/casciale, -i (dente molare)
RATAPINYADA → camp. ratapignata (pipistrello)
RETAULE → arretàulu (retablo, tavola dipinta)
ROMÀS → nuor. arrumasu (magro; originariamente in catalano "rimasto" → rimasto a letto → indebolito→ dimagrito, magro)
SABATA → camp.sabata (scarpa)
SABATER → sabateri (calzolaio)
SAFATA → safata (vassoio)
SEU → camp. seu (cattedrale, "sede del vescovo")
SÍNDIC → sìndigu (sindaco)
SíNDRIA → sìndria (anguria)
TANCAR → tancare/tancai (chiudere)
TINTER → tinteri (calamaio)
ULLERES → camp. ulleras (occhiali)
VOSTÈ → log. bostè/camp .fostei o fustei (lei, pronome di cortesia; da vostra merced, vostra mercede; cf. spa. usted)
Origine spagnola
Le voci di cui non viene indicata l'etimologia sono voci di origine latina di cui lo spagnolo ha modificato il significato originario che avevano in latino e il sardo ha preso il loro significato spagnolo; per le voci che lo spagnolo ha preso da altre lingue viene indicata la loro etimologia come riportata dalla Real Academia Española.
ADIÓS → adiosu (addio)
ANCHOA → ancioa (alice)
APOSENTO → aposentu (camera da letto)
APRETAR, APRIETO → apretare, apretu (mettere in difficoltà, costringere, opprimere; difficoltà, problema)
ARENA → arena (sabbia; cf. cat. arena)
ARRIENDO → arrendu (affitto)
ASCO → ascu (schifo)
ASUSTAR → assustare/assustai (spaventare; in camp. è più diffuso atziccai, che a sua volta viene dallo spagnolo ACHICAR)
ATOLONDRADO, TOLONDRO → istolondrau (stordito, confuso, sconcertato)
AZUL → camp. asulu (azzurro; parola arrivata allo spagnolo dall'arabo)
BARATO → baratu (economico)
BARRACHEL → barratzellu/barracellu (guardia campestre; parola questa che anche passata all'italiano regionale della Sardegna, dove la parola barracello indica appunto una guardia campestre facente parte della compagnia barracellare)
BÓVEDA → bòveda, bòvida (volta (nell'ambito della costruzione) )
BRAGUETA → bragheta (cerniera dei pantaloni; il termine "braghetta" o "brachetta" è presente anche in italiano, ma con altri significati; con questo significato è diffuso anche nell'italiano regionale della Sardegna: cf. cat. bragueta)
BRINCAR, BRINCO → brincare, brincu (saltare, salto; termine arrivato in spagnolo dal latino vinculum, legame, parola che è poi stata modificata e ha assunto un significato completamente differente in castigliano e che poi con questo è passata al sardo, fenomeno condiviso da molti altri spagnolismi)
BUSCAR → buscare/buscai (cercare, prendere; cf. cat. buscar)
CACHORRO → caciorru (cucciolo)
CALENTURA → calentura, callentura (febbre)
CALLAR → cagliare/chelare (tacere; cf. cat. callar)
CARA → cara (faccia; cf. cat. cara)
CARIÑO → carignu (manifestazione di affetto, carezza; affetto)
CERRAR → serrare/serrai (chiudere)
CHASCO → ciascu (burla)
CHE (esclamazione di sorpresa di origine onomatopeica usata in Argentina, Uruguay, Paraguay, Bolivia e in Spagna nella zona di Valencia) → cé (esclamazione di sorpresa usata in tutta la Sardegna)
CONTAR → contare/contai (raccontare; cf. cat. contar)
CUCHARA → log. cocciari (cucchiaio) / camp. coccerinu (cucchiaino), cocciaroni (cucchiaio grande)
DE BALDE → de badas (inutilmente; cf. cat. debades)
DÉBIL → dèbile, -i (debole; cf. cat. dèbil)
DENGOSO, -A, DENGUE → dengosu, -a, dengu (persona che si lamenta eccessivamente senza necessità, lamento esagerato e fittizio; voce di origine onomatopeica)
DESCANSAR, DESCANSO → discansare/discantzare, discansu/discantzu (riposare, riposo; cf. cat. descansar)
DESDICHA → disdìcia (sfortuna)
DESPEDIR → dispidire/dispidì (accomiatare, congedare)
DICHOSO, -A → diciosu, -a (felice, beato)
HERMOSO, -A → ermosu, -a / elmosu, -a (bello)
EMPLEO → impleu (carica, impiego)
ENFADAR, ENFADO → infadare/irfadare/iffadare, infadu/irfadu/iffadu (molestia, fastidio, rabbia; cf. cat. enfadar)
ENTERRAR, ENTIERRO → interrare, interru (seppellire, seppellimento; cf. cat. enterrar)
ESCARMENTAR → iscalmentare/iscrammentare/scramentai (apprendere dall'esperienza propria o altrui per evitare di commettere gli stessi errori; parola di etimologia originaria sconosciuta)
ESPANTAR → ispantare/spantai (spaventare; in campidanese, e in algherese, significa meravigliare; cf. cat. espantar)
FEO → log. feu (brutto)
GANA → gana (voglia; cf. cat. gana; parola di etimologia originaria incerta)
GARAPIÑA → carapigna (bibita rinfrescante)
GASTO → gastu (spesa, consumo)
GOZOS → log. gosos/gotzos (composizioni poetiche sacre; cf. gocius)
GREMIO → grèmiu (corporazione di diversi mestieri; anche questa parola fa parte dell'italiano parlato in Sardegna, dove i gremi sono per esempio le corporazioni di mestieri dei Candelieri di Sassari o della Sartiglia di Oristano; oltre che in Sardegna e in spagnolo, la parola si usa anche in portoghese, gremio, catalano, gremi, tedesco, Gremium, e nell'italiano parlato in Svizzera, nel Cantone Ticino)
GUISAR → ghisare (cucinare; cf.cat. guisar)
HACIENDA → sienda (proprietà)
HÓRREO → òrreu (granaio)
JÍCARA → cìchera, cìcara (tazza; parola originariamente proveniente dal náhuatl)
LÁSTIMA → làstima (peccato, danno, pena; qué lástima → ite làstima (che peccato), me da lástima → mi faet làstima (mi fa pena) )
LUEGO → luegus (subito, fra poco)
MANCHA → log. e camp. mància, nuor. mantza (macchia)
MANTA → manta (coperta; cf. cat. manta)
MARIPOSA → mariposa (farfalla)
MESA → mesa (tavolo)
MIENTRAS → camp. mentras (cf. cat. mentres)
MONTÓN → muntone (mucchio; cf. cat. munt)
OLVIDAR → olvidare (dimenticare)
PEDIR → pedire (chiedere, richiedere)
PELEA → pelea (lotta, lite)
PLATA → prata (argento)
PORFÍA → porfia (ostinazione, caparbietà, insistenza)
POSADA → posada (locanda, luogo di ristoro)
PREGUNTAR, PREGUNTA → preguntare/pregontare, pregunta/pregonta (domandare, domanda; cf. cat. preguntar, pregunta)
PUNTAPIÉ (s.m.) → puntepé/puntepei (s.f.) (calcio, colpo dato con la punta del piede)
PUNTERA → puntera (parte della calza o della scarpa che copre la punta del piede; colpo dato con la punta del piede)
QUERER → chèrrer(e) (volere)
RECREO → recreu (pausa, ricreazione; divertimento)
RESFRIARSE, RESFRÍO → s'arrefriare, arrefriu (raffreddarsi, raffreddore)
SEGUIR → sighire (continuare; seguire; cf. cat. seguir)
TAJA → tacca (pezzo)
TIRRIA, TIRRIOSO → tirria, tirriosu (cattivo sentimento; cf. cat. tírria)
TOMATE (s.m.) → nuor. e centrale tamata/camp. e gall. tumata (s.f.) (pomodoro; parola originariamente proveniente dal náhuatl)
TOPAR → atopare/atopai (incontrare, anche per caso, qualcuno; imbattersi in qualcosa; voce onomatopeica; cf. cat. topar)
VENTANA → log. e camp. ventana/log. bentana (finestra)
VERANO → log. beranu (estate)
Origine toscana/italiana
ARANCIO → aranzu/arangiu
AUTUNNO → atonzu/atongiu
BELLO/-A → bellu/-a
BIANCO → biancu
CERTO/-A → tzertu/-a
CINTA → tzinta
CITTADE → ant. kittade → tzitade/citade/tzitadi/citadi (città)
GENTE → zente/genti
INVECE → imbètzes/imbecis
MILLE → milli
OCCHIALI → otzales
SBAGLIO → irballu/isbàlliu/sbàlliu
VERUNO/-A → perunu/-a (alcuno/-a)
ZUCCHERO → thùccaru/tzùccaru/tzùcuru
Prenomi, cognomi e toponimi
Dalla lingua sarda derivano tanto i nomi storici di persona (nùmene / nomen / nomini-e / lumene o lomini) e i soprannomi (nomìngiu / nominzu / o paranùmene / paralumene / paranomen / paranomine-i), che i sardi avrebbero conferito l'un l'altro fino all'epoca contemporanea per poi cadere nell'attuale disuso, quanto buona parte dei cognomi tradizionali (sambenadu / sangunau), tuttora i più diffusi nell'isola. I toponimi della Sardegna possono vantare una storia antica, sorgendo in alcuni casi un significativo dibattito inerente alle loro origini.
Note
Esplicative
Bibliografiche e sitografiche
Bibliografia
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Voci correlate
Sardegna
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2602 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua%20corsa | Lingua corsa | Il còrso (corsu o lingua còrsa) è un idioma appartenente alla famiglia indoeuropea ed è costituito dall'insieme dei dialetti italo-romanzi parlati in Corsica e nella Sardegna settentrionale, nelle varianti galluresi e turritane.
Strettamente legato al toscano medievale e impiegato nei suoi dialetti come vernacolo locale nell'isola prima a fianco dell'italiano, lingua coufficiale in Corsica fino al 1859, e dalla metà dell'Ottocento in poi del francese, il corso era la parlata autoctona anche dell'isola di Capraia fino al XX secolo.
Classificazione del còrso
Il corso è una lingua neolatina e più precisamente una delle lingue italo-dalmate centro-meridionali ed è ritenuto imparentato al toscano, quando non parte integrante dello stesso idioma. Il dialetto cismontano (ossia del nord) si può considerare una continuazione insulare del toscano parlato a Capraia e ad Elba; condivide svariati aspetti col toscano medievale parlato ai tempi di Dante e Boccaccio, e ancor presente in aree della Toscana quali Lucca, la Garfagnana e il summenzionato arcipelago toscano.
Quanto al corso meridionale, l'idioma più vicino a questo non è affatto, a dispetto della prossimità geografica, il sardo, che si configura piuttosto come una lingua distinta e non reciprocamente comprensibile, bensì il complesso dei dialetti italiani meridionali estremi, appartenenti al ceppo linguistico siciliano e in particolar modo il calabrese centro-meridionale e il siciliano della Sicilia. Jacques Fusina e Fernand Ettori riportano che «a sud, può sembrare sorprendente constatare che la parentela linguistica più vicina non sia col sardo, nonostante la vicinanza geografica, ma coi dialetti dell'Italia meridionale, specialmente il calabrese. Un corso del sud che parli il corso in Toscana sarà identificato come calabrese; un corso del nord che parli il corso nell'interno della Sardegna sarà identificato come italiano; un sardo che parla il sardo nella penisola [italiana] non sarà capito». Solo in origine si ritiene che in Corsica, prima della sua toscanizzazione, si parlassero varietà riferibili al dominio linguistico sardoromanzo o comunque affini a tale lingua romanza insulare.
La corrispondenza tra corso moderno e i vernacoli toscani antichi, infatti, concerne ogni aspetto della lingua, dalla fonologia alla morfologia, lessico e sintassi. L'affinità fra italiano e còrso è maggiore rispetto a quella presente fra l'italiano e quelle lingue d'Italia non riconosciute e tradizionalmente chiamate "dialetti"; l'italiano e il còrso sono infatti così simili che generalmente chi conosce l'uno dovrebbe riuscire a capire anche l'altro pur non avendolo mai studiato. Tale parentela linguistica ha origini storiche, stanti i profondi legami intessuti tra "l'Isola della Bellezza" e la penisola italiana dall'epoca medievale al XIX secolo.
Diversamente dalla Sardegna, in Corsica si osservò infatti per secoli una situazione di diglossia tra l'italiano (in posizione di ufficialità e prestigio) e la lingua locale tanto profonda da indurre gli isolani a considerare quest'ultima un "diverso livello sociolinguistico della medesima lingua". Il corso e l'italiano agivano sulla struttura sociolinguistica dell'isola come un gradiente, la cui linea di demarcazione era talmente sfumata che occorreva poco più di un mutamento di registro perché gli isolani si rivolgessero in contesti ufficiali alle élite italofone; "toscanizzare" il corso o, come si soleva dire in ambiente urbano, "parlà in crusca" dava luogo a pratiche non già di commutazione di codice (code-switching), bensì di mistilinguismo (code-mixing) tuttora piuttosto comuni nei vari "dialetti" italiani continentali. Particolarmente citato è uno scambio tra Pasquale Paoli, allora in esilio a Londra, e Samuel Johnson; alle domande di quest'ultimo su una "lingua rustica, particolarmente diversa dall'italiano", Paoli ribatté che questa si trovava solo in Sardegna, essendo piuttosto l'italiano la lingua ufficiale della Corsica e il corso un suo vernacolo.
Anche dopo l'acquisizione dell'isola da parte di Luigi XV di Francia, l'italiano avrebbe continuato a ricoprire per qualche tempo ancora il ruolo di lingua d'istruzione, letteratura, religione e locale amministrazione. La benestante gioventù corsa, fra cui lo stesso futuro Imperatore dei Francesi, continuò a recarsi in Italia per i propri studi (si stima che la presenza corsa a Pisa, nel biennio 1829-1830, ammontasse a un quarto della popolazione studentesca nell'Università) e i registri civili continuarono a essere redatti in italiano fino al 1855; il 9 maggio 1859 è la data in cui quest'ultimo sarebbe stato infine rimpiazzato dalla lingua francese in via ufficiale, anche se questa cominciò a radicarsi saldamente presso la popolazione corsa a partire dal 1882, anno in cui furono promulgate le leggi di Jules Ferry per incentivare l'alfabetizzazione in tutte le province francesi. Una letteratura corsa autoctona piuttosto che italiana faticò a prendere piede e, inizialmente, non recava comunque istanze culturali autonome. I più rinomati scrittori corsi, quali il magistrato di Bastia Salvatore Viale, provavano orgoglio per la loro affiliazione alla sfera italiana, reputando anzi il loro idioma «uno dei meno impuri dialetti d'Italia».
La situazione cambiò radicalmente col fascismo italiano, le cui aggressive pretese territoriali sull'isola, seguite poi da un'invasione e un periodo di occupazione, provocarono una diffusa reazione di rigetto nei confronti della lingua e cultura italiana, rinsaldando al contrario i legami con la Francia continentale e accelerando ancor di più il passaggio degli isolani alla lingua nazionale francese. Al momento della Liberazione francese dall'occupante nazifascista, ogni legame preesistente tra le varianti linguistiche corse e l'italiano era ormai stato reciso; attività mirate alla promozione del corso, elemento precedentemente politicizzato dai collaboratori col regime fascista, incontravano l'indifferenza popolare, quando non diffidenza e finanche sospetto di simpatie irredentiste. Fu a partire da allora che il corso, smarcandosi definitivamente dall'italiano, cercò di elevarsi al rango di lingua autonoma; in tale direzione procedette, a partire dagli anni Settanta, il movimento politico nazionalista e soprattutto quello culturale del riacquistu, orientato alla progressiva riappropriazione della cultura regionale. Come riporta Fiorenzo Toso, «l'ipotesi di perseguire l'italianità culturale dell'isola appare oggi come oggi, all'assoluta maggioranza dei corsi, dotata di una limitata attrattiva».
Alla luce della storia linguistica corsa, la denominazione di "lingua romanza" nel senso di "autonomo gruppo linguistico" al pari di altri idiomi derivati direttamente dal latino volgare e non già da uno dei suoi discendenti potrebbe essere pertanto ritenuta controversa; nonostante tutto, il corso è tipologicamente un idioma italoromanzo. Giovanbattista Pellegrini, in merito, rilevò che «linguisticamente italiana è, senza ombra di dubbio, la Corsica, che appartiene politicamente alla Francia dal 1769. La lingua ufficiale è ivi il francese, mentre i dialetti locali sono prevalentemente di tipo toscano (e in parte vicini al sardo). Non si può invece affermare che la cultura sia in Corsica italiana. In questi ultimi anni, da parte di alcuni cultori locali di problemi linguistici e politici che fanno capo a movimenti autonomistici, si diffonde in Corsica la curiosa dizione di "lingua corsa"».
In effetti, nel momento in cui l'Assemblea Nazionale francese approvò la legge Deixonne del 1951 per la tutela delle lingue regionali e minoritarie, solo il bretone, il basco, il catalano e l'occitano furono riconosciuti, a differenza del corso, alsaziano e fiammingo che furono piuttosto considerati dialectes allogènes ("dialetti allogeni") di lingue straniere, rispettivamente dell'italiano, tedesco e olandese. Una sostenuta mobilitazione popolare portò l'Assemblea a riconoscere anch'essi come lingue regionali nel 1974, prevedendo a loro tutela l'insegnamento opzionale nelle scuole. Il còrso è allora stato eretto al rango di specifica lingua neolatina (codice ISO: co) come elemento di una "individualità corsa" in Francia, sorta da spinte sia centrali sia autonomistiche.
Area di diffusione del còrso
Il còrso è attualmente parlato in diverse varianti nell'isola di Corsica, con l'eccezione di Bonifacio, dove è parlata (da un numero sempre minore di locutori) una variante ligure bonifacina. Anche a Calvi, un tempo come Bonifacio quasi completamente abitata da una popolazione di origine genovese, si parlava una variante ligure che tuttavia è oggi estinta, mentre a Cargese (Καργκέζε), già colonia di esuli greci prima trapiantati in Paomia nella seconda metà del XVII secolo, si parla un còrso che ha assimilato alcuni termini greci e la lingua greca è ormai utilizzata ai soli fini liturgici.
Al di fuori dell'isola, a seguito di ingenti fenomeni di emigrazione e scambio iniziati fin dal Medioevo, nel nord della Sardegna si parlano varianti considerate da taluni come sarde, ma in maggioranza come còrse o afferenti a un gruppo linguistico di transizione:
il maddalenino: parlato esclusivamente nell'isola della Maddalena, presenta affinità con i dialetti di Bonifacio e Porto Vecchio, nonché un'importante influenza genovese;
il gallurese, parlato nella zona di Tempio Pausania in Gallura, particolarmente affine al còrso oltramontano;
il sassarese, parlato a Sassari, Porto Torres, pur accomunato nella struttura e grammatica al gallurese e al còrso oltramontano, deriverebbe direttamente dal toscano del XII secolo, e presenta diversi caratteri distintivi e autonomi, molti dei quali derivati dall'influenza del sardo logudorese nel lessico e nella pronuncia, più altre minori come quelle catalane, spagnole e liguri; (queste ultime più evidenti nel castellanese), la grande presenza di termini stranieri nei dialetti sassaresi è dovuta alla forte vocazione mercantile dell'area in cui essi si sono sviluppati.
Il castellanese, la cui estensione risulta limitata al territorio di Castelsardo, rappresenta una sorta di zona grigia di transizione tra gallurese e sassarese. Rispetto al sassarese presenta maggiore conservatività nella fonetica e nel lessico, mantenendo infatti una pronuncia più pura ed arcaica e più simile al gallurese comune; questa variante infatti si dimostra poco aperta ad innovazioni linguistiche, dimostrato dal fatto che molte parole e costruzioni proprie dell'antico còrso-toscano altrove perse nel borgo sono ancora in uso. Presenta interessanti similitudini con la variante della lingua còrsa parlata nella regione di Ajaccio. I dialetti di Valledoria, Tergu e Sedini, anche se inseriti nel gruppo castellanese, differiscono da esso in molti punti che li rendono più solidali ora con il gallurese ora col sassarese, oltre che presentare un maggior numero di sardismi.
Il dialetto ormai estinto della vicina isola di Capraia nell'arcipelago toscano presentava inoltre diversi punti di contatto col còrso, a causa della forte vicinanza geografica, storica e culturale fra le due isole. Caratteri solo parzialmente simili mostra invece la parlata dell'isola d'Elba occidentale, che si conserva soprattutto nel circondario di Chiessi e Pomonte.
Si stima che nel 2004 il còrso era parlato in Corsica da circa locutori su abitanti dell'isola, essendo molti di questi ultimi di madrelingua francese, ai quali devono comunque essere aggiunte le popolazioni emigrate nelle altre regioni della Francia continentale, per un totale di individui, nonché in altre nazioni. Il numero dei locutori stimati per il gallurese ammonta invece a circa unità, sui circa abitanti della Gallura. Dal momento che nel 2016 la popolazione dell'isola di Corsica ha superato quota , Ethnologue fornisce un dato complessivo da a locutori della lingua còrsa.
Evoluzione e letteratura del còrso
Non si hanno molte notizie su quale fosse stato il sostrato linguistico prelatino degli antichi abitanti della Corsica (le civiltà preistoriche e i torreani) antecedentemente alla conquista romana e alla sua latinizzazione. Quello che è noto sono alcune radici rimaste nei toponimi e nel lessico (KAL/KAR: Calanca, Calacuccia; KOR: Corsica, Corte; KUK: Calacuccia, TAL/TAR: Taravo, Tallano; TEP: teppa; TAV: Tavignano, Tavera) e che in periodo romano tribù còrse occupavano anche l'odierna Gallura nel nord della Sardegna (che presenta similitudini anche nei resti archeologici).
Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente e la formazione dei primi volgari, la Corsica presentava caratteristiche linguistiche di tipo conservativo simili al sardo, di cui è rimasto un retaggio nelle parlate della zona meridionale dell'isola.
Dall'XI secolo la situazione mutò fortemente, specie nella parte settentrionale dell'isola, per via del contatto diretto coi dialetti toscani, stabilito in seguito a ingenti tentativi di ripopolamento dei dominatori pisani, favoriti dalla notevole vicinanza geografica. Dal XIII al XVIII secolo i pisani vengono sostituiti dai genovesi, i quali insediano interi borghi di lingua ligure (Bonifacio e Calvi) ma, pur introducendo un notevole influsso genovese nei dialetti locali, di fatto proseguono nell'utilizzo del toscano illustre come lingua scritta e di cultura in Corsica. Questo spiega il motivo per cui, fino a quel momento, in Corsica l'unica lingua utilizzata nelle comunicazioni scritte è stata l'italiano, e prima di esso il latino.
Nel XIV e XV secolo comunque diversi atti e testi redatti apparentemente in volgare toscano da personalità e scrittori còrsi rivelano in realtà la situazione linguistica dell'isola nel periodo: si vedano i Cartolari della diocesi del Nebbio della metà del XIV secolo in dialetto toscano "corsizzato":
Anche la Deposizione del rettore della chiesa di San Nicolò di Spano di Iohanni Provintiale del 1400, uno dei più antichi testi in volgare còrso, la Lettera ai protettori delle compere del Banco di San Giorgio del vescovo di Ajaccio Jacopo Mancoso del 1480, la Lettera di prete Polino da Mela ai protettori del Banco di San Giorgio del 1489 e Lettera dall'esilio di Giovanpaolo Leca, conte di Cinarca, ai figli del 1506. Dal XIX secolo, a seguito dell'annessione alla Francia avvenuta nel 1769, sarebbe stato il francese a essere adottato come lingua ufficiale, spiazzando ufficialmente l'italiano nel 1859.
Il còrso ha sempre avuto fondamentalmente trasmissione orale; la codificazione della stessa come lingua scritta avviene pertanto solo in epoca recente e risente pertanto di forti influssi, provenienti dall'italiano standard e poi dal francese. Il primo testo pubblicato in còrso sono le strofe di U sirinatu di Scappinu nel testo Dionomachia (1817) di Salvatore Viale (1787-1861). Nella seconda metà dell'Ottocento si susseguono le opere del vescovo di Ajaccio Paul-Matthieu de La Foata (Poesie giocose, in lingua vernacola della Pieve d'Ornano), le Cummediôle di Petru Lucciana (1832-1909) tra cui In campagna, cummediôla in 2 atti, Francesco Domenico Falcucci con il Vocabolario dei dialetti della Corsica (pubblicato postumo solo nel 1915 e che introduce i gruppi ghj e chj a indicare le sonorità caratteristiche delle parlate còrse) e Santu Casanova (1850-1936) con la rivista A Tramuntana (1896-1914). Sorge evidente in questa fase il problema della normalizzazione dell'ortografia della lingua scritta che occuperà i linguisti còrsi per tutto il XX secolo. All'inizio del secolo le pubblicazioni periodiche A muvra (1920-39) e L'annu corsu (1923-36) poi rinominata L'Année Corse (1937-39) e dopo la metà del Novecento U Muntese (1955-72).
Tra gli scrittori del XX secolo che hanno maggiormente contribuito alla normalizzazione del còrso scritto si cita Pascal Marchetti (1925-2018) autore di Intricciate e cambiarine, del manuale di lingua corsa Le corse sans peine/U corsu senza straziu e del dizionario còrso-francese-italiano L'usu corsu.
Esempi di còrso letterario
Estratto da Serenata di Scappino (U sirinatu di Scappinu) (1817) di Salvatore Viale:
(IV-XL) O Specchiu d'e zitelle di la pieve,
O la miò chiara stella matuttina,
Più bianca di lu brocciu e di la neve,
Più rossa d'una rosa damaschina,
Più aspra d'a cipolla, e d'u stuppone,
Più dura d'una teppa, e d'un pentone.
(IV-L) Bulentier lascierie d'esse Scapinu,
Per esse u casacchin, ch'eo ti dunai,
E stringhje lu tò senu alabastrinu;
E or chi durmendu in lettu ti ne stai,
Oh fussi u cavizzale, o u cuscinettu,
O u lenzolu supranu d'u tò lettu!
Ninna Nanna di Sartene:
Quandu saréti majori
currareti par li piani
l'arbi turnarani fiori
l'oliu currarà à funtani
Turnarà bàlzamu fini
tutta l'acqua di u mari
Tutti li vostri antinati
erani omi famosi
erani lesti è gagliardi
sanguinarii è curaghjosi
M'aviani sempri all'appostu
cutràchini è beddi così.
Varianti
Il còrso propriamente detto presenta una qual certa omogeneità morfologica ma si suddivide essenzialmente in due macrovarianti, seguendo la catena centrale dei monti e in funzione della conformazione geografica dell'isola (con una dividente che passa, grosso modo, lungo la linea che unisce Ajaccio e Calcatoggio, a nord di Bocognano, il Col de Vizzavona, a sud di Ghisoni sul Col de Verde e a sud di Ghisonaccia). Solitamente, gli studiosi posizionano le varianti settentrionali vicino al toscano e quelle meridionali vicino ai dialetti siculo-calabresi
La discriminante è rappresentata fondamentalmente dal differente esito e/i intermedio (pelu/pilu, seccu/siccu, questu/quistu), e/i finale (duttore/duttori, oghje/oghji, pane/pani, cuntinentale/cuntinentali), dalla variazione cacuminale almeno a fine parola per -ll- in -dd- (fratellu/frateddu, bellu/beddu, ellu/eddu, elli/eddi, stalla/stadda), il plurale femminile (case/casi, pere/peri), dal comportamento verbale (esse/essa, cunnosce/cunnoscia, vene/vena, corre/corra, parlate/parleti), la mutazione fonetica nella pronuncia (gabu/capu, gane/cane, gorsu/corsu, cidà/cità, vragigu/fracicu) con la sonorizzazione o tensione delle consonanti (face-fage/facce-face), sulla nettezza della pronuncia dei gruppi -ghj- e -chj- (gattu/ghjattu, giurnale/ghjurnale, cullegiu/culleghju) sulla pronuncia della -v- (binu/vinu, bacca/vacca).
Còrso cismontano
Còrso del Nord o cismontano (cismontincu o supranu o supranacciu), parlato nella zona nordoccidentale nei distretti di Bastia (Bastia) e Corte (Corti). Il dialetto di Bastia e quello del Capo Corso, per le loro caratteristiche, potrebbero rientrare tra i dialetti toscani, rappresentando - tra l'altro - la parlata più vicina all'italiano standard rispetto a qualunque dialetto italiano, a parte, naturalmente, i vernacoli toscani. Sono indiscutibilmente cismontani i dialetti che oltre tutte le caratteristiche citate presentano, ad esempio, esito in chjamerebbe/i e quindi situati a nord di una linea che unisce Piana, Vico, Vizzavona, Ghisoni, Ghisonaccia (escludendole) e comprendono i sottogruppi del Capo Corso (Capicursinu) e di Bastia (Bastiacciu, i>e: destinu, ghjennaghju, secondu, bellezza; a>e: ferru, apertu, persona, numeru, mercuri, canteraghju) del dialetto di Cervioni (oltre a i>e ed a>e, u>o: ottanta, momentu, toccà, continentale; a>o: oliva, orechja, ocellu), nonché gli altri tra cui quello della Balagna (Balaninu) e di Corte (che mantengono le caratteristiche generali del còrso: distinu, ghjinnaghju, sicondu, billezza, apartu, farru, marcuri, cantaraghju, uttanta, mumentu, tuccà, cuntinentale, aliva, arechja, acellu), il Niulincu.
Zona di transizione
Ai margini (a nord e sud) di questa dividente vi è una zona intermedia di transizione nelle quali vi sono alcune caratteristiche assimilabili a ciascuno dei gruppi, nonché per altre particolarità locali. Sono di transizione tra quelli cismontani i dialetti della zona tra Piana a Calcatoggio e della Cinarca con Vizzavona (che presentano ad esempio esito verbale in chjamarìa come al sud), nonché quelli del Fiumorbo tra Ghisonaccia e Ghisoni (fiumorbacciu, che presenta la cacuminale) e tra quelli pomontinchi laiaccino (aiaccinu, vero crogiuolo di mescolanze, ma con una base pomontinca e il -ll→-dd- cacuminale in fine di parola, pronuncia netta di -ghj-, plurale femminile in -i, cane e accattà e non ghjacaru e cumprà, ellu/ella e non eddu/edda; piccole variazioni: sabbatu>sabbitu, u li dà>ghi lu dà; sillaba finale spesso troncata e accentata: marinari>marinà, panatteri>panattè, castellu>castè, cuchjari>cuchjà) e i dialetti della Gravona (che però almeno nella parte meridionale hanno carattere più spiccatamente pomontinco), il bastelicaccio (che sarebbe pomontinco ma presenta alcune particolarità con il suo tipico rotacismo: Basterga) e il dialetto di Solenzara (che non conserva le vocali -i- e -u- corte latine: seccu, peru, rossu, croci, pozzu).
Còrso oltramontano
Il còrso del Sud o oltramontano (pumontincu o suttanu o suttanacciu) è la variante più arcaica e conservativa, parlata nei distretti di Sartene (Sartè) e Porto-Vecchio (Portivechju). In analogia con il sardo ed a differenza del còrso cismontano, conserva la distinzione delle vocali brevi latine ĭ e ŭ (es. pilu, bucca). È caratterizzata inoltre dalla presenza di suoni cacuminali in -ll→-dd- [es. aceddu (uccello), beddu (bello), quiddu (quello), ziteddu (ragazzo)]. La lingua parlata ad Ajaccio (Aiacciu) presenta caratteristiche di transizione. Sono totalmente pomontinchi i dialetti del Taravese (Taravesu, -dd- cacuminale solo per -ll-: frateddu, suredda, beddu; ma conservazione di -gl-: piglià, famiglia, figliolu, vogliu; ma non conserva le vocali -i- e -u- corte latine: seccu, peru, rossu, croci, pozzu), del Sartenese (Sartinesu, conservativo, vocali -i- e -u- corte latine: siccu, piru, russu, cruci, puzzu; modificazione -rn→-rr-: forru, carri, corru; cacuminale anche per gl: piddà, famidda, fiddolu, voddu; forme verbali in cantàvami, cantàvani; plurale maschile in -i>-a: l'ochja, i poma; ma con esito in eddu/edda/eddi), dell'Alta Rocca (Rucchisgianu, tra i più conservativi e puri, con esito in iddu/idda/iddi, la cacuminale -dd- anche per -gl-: piddà, famidda, fiddolu, voddu, -i- e -u- corte latine e con altre particolarità che lo accostano notevolmente al gallurese), e della regione meridionale tra Porto Vecchio (Portivechjacciu) e l'entroterra di Bonifacio (cacuminale in -dd- anche per -gl- come nell'Alta Rocca ma con -u>-i: fiumu, paesu, patronu; evoluzione del plurale maschile -i>-a: i letta, i solda, i ponta, i foca, i mura, i loca, i balcona; forme verbali in cantàiami, cantàiani; -i- e -u- corte latine, esito eddu/edda/eddi a Porto Vecchio ma iddu/idda/iddi a Figari). I dialetti pomontinchi sono quindi delimitati da una linea che passa a sud di Porticcio, Bastelica, del Col di Verde e di Solenzara (escludendoli).
Gallurese
Il gallurese (gadduresu), parlato nella regione storico-geografica della Gallura (Sardegna), è molto simile ai dialetti dell'Alta Rocca per le seguenti caratteristiche :
Vocali -i- e -u- corte latine: siccu, piru, cruci, puzzu etc.;
Modificazione -rn→-rr-: forru, carri, corru etc.;
Cacuminale anche per gl: piddà, famidda, fiddolu, voddu etc.;
Castellanese
Parlato nel comune di Castelsardo in Sardegna, e come variante a Tergu e Sedini. L'origine dell'idioma risale all'incirca al XIII secolo in seguito all'arrivo di un grande numero di genti corse che finirono per rappresentare la maggioranza della popolazione, cui si aggiungevano liguri, toscani e sardi che insieme costituivano la variegata popolazione della città neo-fondata dai Doria.
Questa variante rappresenta un esempio di koinè in quanto, in un contesto linguistico prettamente toscano-corso (presenta analogie con il corso parlato nella conca di Ajaccio, e in particolare con la variante della lingua corsa detta "taravesu"), si aggiungono elementi galloromanzi (liguri-genovesi) e molti termini sardi e di derivazione catalana/aragonese. Il castellanese presenta notevoli concordanze con la variante del corso detto Taravesu con il quale condivide moltissimi fonemi: pronomi personali eddu/edda/eddi, cacuminali solo per -ll, conservazione del gruppo -GL, passaggio del gruppo -RN a -RR, mantenimento della v intervocalica, sviluppo in -e/-o delle vocali brevi latine, Le caratteristiche più importanti del castellanese possono essere individuate in:
nettezza della pronuncia dei gruppi -ghj- e -chj- (agghju, magghju)
pronuncia della -v- iniziale (vinu, vacca.)
pronuncia della -v- intervocalica (eva, etc.) caratteristica presente nel corso (Ajaccino, Travesu, etc.)
conservazione di vocali brevi latine in molti termini (mushca e non moshca, infriddà e non infreddà) caratteristica che lo affianca alla lingua corsa meridionale e al gallurese, mentre in molti si assite al singolare sviluppo in e/o come nel corso del nord e centro-meridionale e nel sopra citato "taravesu" e i dialetti della conca di Ajaccio.
cacuminali solo per -ll-
mutamento di -ce-,-ci- in -ge-,-gi-: lugi, vogi, pagi
Modificazione -rn→-rr-: forru, carri, corru etc.;
esiti eddu/edda/eddi
variegato lessico conservativo.
Sassarese
Il sassarese (sassaresu),
Esempi nelle principali varianti
Grammatica
Articoli determinativi (sing./plur.): u/i, a/i (ant. lu/li, la/li)
Articoli indeterminativi: unu, una
Pronomi personali: eiu/eo, tu, ellu/ella/eddu/edda/iddu/idda, noi, voi, elli/eddi/iddi
Pronomi e aggettivi possessivi: meiu/meo/mo/me, toiu/to, soiu/so, nostru, vostru, soiu/so
Pronomi e aggettivi dimostrativi: questu/quistu-questi/quisti (questo-questi), quessu/quissu-quessi/quissi (codesto-codesti), quellu/quiddu-quelli/quiddi (quello-quelli)
Verbi
I verbi hanno fondamentalmente quattro coniugazioni (-à, -é, -e/-a, -e/-ì) delle quali la seconda e la terza presentano alcune caratteristiche comuni.
Verbo esse/essa (essere):
Indicativo presente: eiu/eo sò/socu, tu sè/sì, ellu/eddu/iddu hè, noi simu/semu, voi site/sete/seti, elli/eddi/iddi sò;
Indicativo imperfetto: eiu/eo era/eru, tu ere/eri, ellu/eddu/iddu era, noi eramu/erami, voi erete/erate/erati, elli/eddi/iddi eranu/erani;
Indicativo passato remoto: eiu/eo fui/fubbi, tu fuste/fusti, ellu/eddu/iddu fu/fubbe, noi fuimu/fubbimu, voi fustete/fuste/fusti, elli/eddi/iddu funu/funi/fubbenu;
Indicativo futuro: eiu/eo seraghju/saraghju, tu serai/sarai/saré, ellu/eddu/iddu serà/sarà, noi seremu/saremu, voi serete/sarete/sareti, elli/eddi/iddi seranu/saranu/sarani;
Congiuntivo presente: chì eo/eiu sia/sii, chì tù sie/sia/sìi, chì ellu/eddu/iddu sia/sii, chì noi sìamu/sìami, chì voi siete/sìate/sìati, chì elli/eddi sìanu/sìani;
Congiuntivo imperfetto: chì eo/eiu fussi, chì tu fusse/fussi, chì ellu/eddu/iddu fussi, chì noi fussimu/fussimi, chì voi fussete/fussite/fussiti, chì elli/eddi/iddi fussinu/fussini;
Condizionale: eo/eiu serebbi/sarìa, tu sereste/sarìsti, ellu/eddu/iddu serebbe/sarìa, noi serebbimu/sarìamu/sarìami, voi serèstete/sarìate/sarìati, elli/eddi/iddi serebbenu/sarìanu/sarìani;
Gerundio presente: essendu;
Gerundio passato: essendu statu;
Verbo avè (avere):
Indicativo presente: eo/eiu aghju, tu ai, ellu/eddu/iddu hà, noi avèmu/èmu, voi avète/avèti/èti, elli/eddi/iddi anu/ani;
Indicativo imperfetto: eo/eiu avia/aviu, tu avie/avii, ellu/eddu/iddu avia, noi avìamu/avìami, voi avìete/avìate/avìati, elli/eddi/iddi avìanu/avìani;
Indicativo passato remoto: eo/eiu ebbi/abbi, tu aveste/avesti/avisti, ellu/eddu/iddu ebbe/abbe, noi ebbimu/avetimu, voi avestete/aviste/avetiti, elli/eddi/iddi ebbenu/abbenu/avetenu;
Indicativo futuro: eo/eiu averaghju/avaraghju, tu averai/avarai/avaré, ellu/eddu/iddu averà/avarà, noi averemu/avaremu, voi averete/avarete/avareti, elli/eddi/iddi averanu/avaranu/avarani;
Congiuntivo presente: chì eo/eiu appii/abbia/aghjia, chì tu appie/abbii/aghji, chì ellu/eddu/iddu appii/abbia/aghja, chì noi àppiimu/àbbiamu/àghjimi, chì voi àppiete/àbbiate/àghjiti, chì elli/eddi/iddi àppiinu/àbbianu/àghjini;
Congiuntivo imperfetto: chì eo/eiu avessi/avissi, chì tu avesse/avissi, chì ellu/eddu/iddu avessi/avissi, chì noi avèssimu/avissimu, chì voi avèssete/avissite/avissiti, chi elli/eddi/iddi avèssinu/avissinu/avissini;
Condizionale: eo/eiu averebbi/avaria, tu avereste/avarìsti, ellu/eddu averebbe/avarìa, noi averèbbimu/avarìamu/avarìami, voi averèstete/avarìate/avarìati, elli/eddi/iddi averèbbenu/avarìanu/avarìani;
Gerundio presente: avèndu;
Gerundio passato: avendu avùtu;
Coniugazione in -à – Verbo amà (amare):
Indicativo presente: eo/eiu amu, tu ami, ellu/eddu/iddu ama, noi amèmu, voi amate/amèti, elli/eddi amanu/amani;
Indicativo imperfetto: eo/eiu amàva/amaìa, tu amave/amàvi/amai, ellu/eddu/iddu amàva/amaìa, noi amavamu/amaìami, voi amavete/amavate/amaìati, elli/eddi/iddi amavanu/amaìani;
Indicativo passato remoto: eo/eiu amai/ameti, tu amaste/amesti, ellu/eddu/iddu amò/amete/ameti, noi amaimu/ametimu/ametimi, voi amastete/amesti/ametiti, elli/eddi/iddi amonu/ametenu/ametini;
Indicativo futuro: eo/eiu ameraghju/amaraghju, tu amerai/amarai/amaré, ellu/eddu/iddu amerà/amarà, noi ameremu/amaremu, voi amerete/amarete/amareti, elli/eddi/iddi ameranu/amaranu/amarani;
Gerundio presente: amèndu;
Gerundio passato: avendu amatu;
Coniugazione in -è – Verbo vulè (volere):
I rari verbi di questa coniugazione (aé, duvè, parè, pudè, sapé, valè, vulé) sono tutti irregolari.
Coniugazione in -e/-a – Verbo teme/tema (temere):
Comprende ad esempio i verbi crede/creda (credere), corre/corra (correre), rivede/riveda (rivedere);
Indicativo presente: eo/eiu temu, tu temi, ellu/eddu/iddu teme/temi, noi temimu/timimu, voi temite/timite/timiti, elli/eddi/iddi temenu/temini;
Indicativo imperfetto: eo/eiu temìa/timìa/timìu, tu temìe/timìi, ellu/eddu/iddu temìa/timìa, noi temìamu/timìamu/timiami, voi temìete/timìate/timìati, elli/eddi/iddi temìanu/timìanu/timìani;
Indicativo passato remoto: eo/eiu temìi/timiti, tu temiste/timisti, ellu/eddu/iddu temì/timite/timiti, noi temìimu/timitimu/timitimi, voi temìstete/timitete/timititi, elli/eddi/iddi temìnu/timitinu/timititi;
Indicativo futuro: eo/eiu temeraghju/timaraghju, tu temerai/timarai/timaré, ellu/eddu/iddu temerà/timarà, noi temeremu/timaremu, voi temerete/timarete/timareti, elli/eddi/iddi temeranu/timaranu/timarani;
Gerundio presente: temendu/timèndu/timèndi;
Gerundio passato: avendu temutu/timùtu;
Coniugazione in -e/-ì – Verbo finisce/finì (finire):
Comprende ad esempio i verbi dorme/durmì (dormire), copre/cuprì (coprire), dì (dire), scopre/scoprì (scoprire), more/morì (morire), vene/venì (venire), apparisce/apparì (apparire), costruisce/costruì (costruire), finisce/finì (finire);
Vocabolario
Tabella di comparazione delle lingue neolatine:
Diversi francesismi sono diffusamente presenti nel còrso (con l'ovvia esclusione di gallurese e sassarese, i quali invece hanno subìto vari sardismi e iberismi):
usina (fabbrica, da usine), caminu di farru (ferrovia, da chemin de fer), mèria/mèru (sindaco, da mairie/maire), nivellu (livello, da niveau).
Sempre nel còrso di Corsica sono impiegati - per lo più da giornalisti - termini creati artificialmente da alcuni professori dell'Università della Corsica. A volte tali termini tentano di sostituire parole esistenti e per questo non hanno successo presso i locutori comuni; uno degli esempi è costituito dalla parola scheleru che vorrebbe sostituire attentatu, partendo dal latino scelus, sceleris (crimine).
Va osservato che, oltretutto, la modifica di scelus, sceleris in scheleru non sembra rispettare la fonetica còrsa, che in perfetto accordo con quella italo-romanza ha generato tempu a partire da tempus, temporis.
Regole di ortografia e di pronuncia
Il còrso viene per quanto possibile scritto in maniera sovradialettale tralasciando le variazioni dialettali minori. Le regole generali di ortografia scritta non differiscono molto da quelle in uso nella lingua italiana (che del resto vi è stata per secoli l'unica lingua scritta), fatte salve alcune particolarità:
trascrizione raddoppiata delle consonanti rafforzate come in italiano: caru (caro) rispetto a carru (carro);
presenza del trittongo palato-linguale -ghj- che però non viene raddoppiato: aghju (ho), ghjesgia (chiesa), viaghju (viaggio), ghjuntu (giunto). Il gruppo iniziale spesso (dopo una vocale) non viene pronunciato (iesgia) ma viene comunque trascritto. In certe zone del nord dell'isola (Balagna), la forma -ghj- può virare a -gi- : ghjuventù/giuventù (gioventù) o sparire: ghjè/hè (è). In Gallura e a Castelsardo il suono viene invece usualmente trascritto raddoppiato quando rafforzato: agghju, viagghju, mentre nel Sassarese non è presente e vira a -g- (aggiu, gesgia, biaggiu, giuntu);
presenza del dittongo palato-linguale chj: chjodu (chiodo), ghjinochju (ginocchio). In Gallura e a Castelsardo il suono viene trascritto raddoppiato quando rafforzato (ghjinocchju) mentre nel Sassarese non è presente e vira a -c- (ciodu, ginocciu)
particolarità nell uso degli accenti e delle h, rispetto all'italiano: hè (è), hà (ha), à (a, al), è (e), hanu (hanno); in gallurese e sassarese si utilizza la grafia italiana;
articoli in u/ant. lu (il), a/ant. la (la). Le forme arcaiche sono ancora in uso nel gallurese, a Castelsardo, nel sassarese, nel Capocorsino e sporadicamente nelle zone interne;
scrittura della v- sovradialettale: viaghju (pronuncia: biadju al nord e viadju al sud, in Gallura e a Castelsardo) anche in caso di elisione nella pronuncia: sùvaru (pronuncia: suuaru o sùaru), ventu (pronuncia: uentu o entu); anche in questo caso solo il gallurese trascrive sùaru e entu.
Esempi
Poiché il còrso presenta diverse varianti, in alcuni casi le parole possono cambiare da zona a zona.
Frasi e parole base
Salutarsi
ciao: salutu
salve: salute
buongiorno: bonghjornu
buonasera: bonasera
buonanotte: bonanotte/bonanotti
come va?: cume/cumu site?/comu seti?
come stai?: cume/cumu/comu stai?
allora?: tandu?/allura?
di che (cosa) state parlando:?: a vi discurrite?
tutto bene?: a ti passi?
Scusarsi / Ringraziare:
mi scusi/per favore: mi scusu
scusatemi: scusatemi/scusetimi
grazie / vi ringrazio: grazia/a ringrazziavvi
mi fa molto piacere: mi face assai piacè
sono stato io: sò statu eiu
mi vergogno: mi vargognu
Conoscersi
di dove siete / da dove venite?: d'induve site/seti?/di quale ne site/seti?
sei bastiaccio?: site bastiacciu?
non sarete mica còrso?: ùn sariate micca Corsu?
sono ajaccino: eiù sò/socu Aiaccinu
dove sei nato?: induve si natu? / Induva sè natu ?
sono nato a Bonifacio: sò/socu natu in Bunifaziu
Accettare, suggerire e proporre
sono d'accordo: hè detta
va bene: va bè
faccio come dici: aghju da fà cum'è tù dici
facciamo una partita a dama?: a ci femu una dama?
Chiedere qualcosa
posso venire con voi?: possu vene incu voi? / possu vena cu' voscu ?
posso mangiare?: manghjà, possu?
Dare valutazioni
per quanto mi riguarda: in quant'è a mè...
(io) penso che...: pensu chì...
(io) credo che: credu chì...
(io) sono sicuro e certo che...: sò / socu sicuru è certu chi...
(io) sono convinto che: sò/ socu scunvintu chì...
Indicare qualcosa o qualcuno
miracolo! / per fortuna!: mirallu!
guarda!: feghja!/fideghjia! / fighjùla ! / guarda !
l'hai qui davanti!!: l'hai qui davanti!
la vedi questa donna?: a vedi sta donna?
lo vedi quest'uomo?: u vedi st'omu?
la vedi questa ragazza?: a vedi sta giuvanotta?/sta zitedda?
lo vedi questo ragazzo?: u vedi stu giuvanottu/stu ziteddu?
lo vedi questo/a bambino/a?: a/u vedi stu/a cininu/a/zitellucciu/a/zitedducciu/a?
Parole in còrso cismontano e in còrso oltramontano
Esempi
I numeri
I giorni della settimana
I mesi
In gallurese come anche in sassarese e castellanese, nel linguaggio comune, spesso le forme tradizionali làmpata/làmpada, agliola/triura/triula, capidannu/cabidanni, santigaini/santuaini, santandria e natali/naddari/naddali tendono a essere sostituite rispettivamente da ghjugnu/giugnu/ghjugnu, luddu/lugliu/lugliu, sittembri/settembre/sittembri, uttobri/ottobre/uttobri, nuembri/nubembri/nuvembri e dicembri/dizembri/dicembri.
Le stagioni
I pasti
La cucina
Nomi delle città corse
I nomi delle città corse sono praticamente tutti di origine italiana, poiché la lingua colta impiegata in Corsica era quella italiana sino all'imposizione per legge del francese nel 1859. Gran parte dei maggiori centri, inoltre, sono stati fondati o promossi al rango di città per iniziativa dei governi pisano e genovese. Anche dopo il passaggio sotto la sovranità francese solo pochi centri in Corsica hanno subito l'assimilazione nella lingua statale, la cosiddetta gallicizzazione, ovvero Isola Rossa diventata L'Île-Rousse e San Fiorenzo diventato Saint-Florent. Altre modifiche minori hanno riguardato Aiaccio, per la quale è stata utilizzata la forma italiana arcaica Ajaccio e Sartene, diventato Sartène, oltre all'aggiunta di un trattino tra tutti i nomi doppi, ad esempio Porto-Vecchio per Porto Vecchio. La denominazione di Tox è invece antecedente all'annessione francese in quanto era già utilizzata come variante alternativa a Tocchisu, identico ancora oggi come forma corsa. La versione corsa dei nomi delle città è comunque assai prossima a quella italiana.
Francesismi
Dall'annessione alla Francia nel 1768 la lingua corsa è stata influenzata dal francese nella terminologia, ecco alcuni esempi:
Utilizzo della lingua e riconoscimento istituzionale
Secondo un censimento dell'aprile del 2013 la lingua còrsa in Corsica ha un numero di locutori tra 86.800 e 130.200 su 309.693 abitanti, la fascia di popolazione che ha un livello buono di conoscenza della lingua oscilla tra un minimo del 25% nella fascia d'età tra i 25 e i 34 e il massimo del 65% nella fascia d'età oltre i 65 anni; quasi un quarto della popolazione tra i 25 e i 34 non capisce il corso mentre solo una ristrettissima minoranza di anziani non capisce il còrso, il 32% della popolazione della Corsica settentrionale lo parla abbastanza bene, come anche il 22% della popolazione della Corsica del Sud, mentre il 10% della popolazione della Corsica parla solo francese.
Il 62% parla sia francese che còrso, invece solo l'8% dei còrsi sa scrivere correttamente in lingua corsa mentre circa il 60% della popolazione non sa scrivere in còrso, il 90% della popolazione còrsa è favorevole a un bilinguismo còrso-francese, il 3% vorrebbe che il còrso fosse l'unica lingua ufficiale in Còrsica e il 7% solo il francese.
Il 17 maggio 2013 l'Assemblea della Corsica ha votato la co-ufficialità di còrso e francese con 36 voti a favore e 11 astenuti, mentre 4 erano assenti. Contro la co-ufficialità si è espresso il ministro degli interni Manuel Valls che ha affermato "il francese è la sola lingua ufficiale" e "nessuna co-ufficialità tra còrso e francese nell'isola", sostenendo che la norma verrà dichiarata anticostituzionale dal Consiglio costituzionale. Il presidente francese François Hollande durante la visita in occasione del 70º anniversario della liberazione dell'isola dai nazisti ha affermato "modificare la costituzione [per la co-ufficialità] è una cosa lunga", anche se non ha nascosto aperture future per cambiare la costituzione e rendere possibile il bilinguismo nelle varie regioni francesi.
Principali scrittori in lingua corsa
Guglielmu Guglielmi (1644-1728), primo scrittore in lingua còrsa, nativo di Piazzali.
Ugo Francesco Peretti della Rocca detto Ugu Francescu Peretti della Rocca (1747-1838), nativo di Figari.
Lisandru Ambrosi detto Lisandru di u Rustinu o U Ziu Lisandru (1798-1842), nativo di Castineta.
Salvatore Viale (1787-1861), nativo di Bastia, scrisse in còrso e in italiano.
Antone Leonardu Massiani (1816-1888), nativo di Novella.
Paul-Matthieu de La Foata detto Monsignori di la Fuata (1817-1899), nativo di Azilone-Ampaza, vescovo di Ajaccio dal 1877 al 1899.
Pierre Lucciana detto Vattelapesca (1832-1909), nativo di Bastia.
Natale Sarocchi detto Natalellu di Rusiu (1839-1916), nativo di Rusio.
Ghjacumu Santu Versini (1867-1922), nativo di Marignana.
Ghjuvan Petru Lucciardi (1862-1928), nativo di Santo Pietro di Tenda.
Santu Casanova (1850-1936), nativo di Azzana, scrisse in còrso e in italiano.
Francescu Piazzoli (1895-1937), nativo di Valle d'Orezza.
Saveriu Paoli (1886-1941), nativo di Letia.
Dumenicantone Versini (1872-1950), nativo di Marignana.
Petru Giovacchini (1910-1955), nativo di Canale di Verde, scrisse in còrso e in italiano.
Carulu Giovoni (1879-1963), nativo di Zonza.
Petru Rocca (1887-1966), nativo di Vico.
Jean-Joseph Flori detto Peppu Flori (1899-1972), nativo di Galeria.
Don-Joseph Giansily detto Pampasgiolu di l'Acquale (1901-1974), nativo di Lozzi.
Anton Francesco Filippini (1908-1985), nativo di San Nicolao, scrisse in còrso e in italiano.
Rinatu Coti (n. 1944), nativo di Ajaccio.
Ghjacumu Thiers (n. 1945), nativo di Bastia.
Marcu Biancarelli (n. 1968), nativo di Porto Vecchio.
Media in lingua corsa
Riviste e giornali
A Tramuntana, esistente dal 1896 al 1914, bilingue italiano-còrso
A Cispra, rivista letteraria còrsa fondata nel 1914
A Muvra, esistente dal 1920 al 1939, bilingue italiano-còrso
L'annu corsu, esistente dal 1923 al 1937 poi rinominata L'Année Corse dal 1937 al 1939
U Lariciu, stampata a Marsiglia e esistente negli anni '30, bilingue francese-còrso
U Muntese, esistente dal 1955 al 1972
U Ribombu, fondato a Nizza nel 1974, ora con sede a Bastia con posizioni vicine al nazionalismo corso, bilingue francese-còrso
A Spannata, fondata nel 1981
A Pian' d'Avretu, fondata nel 1991
Bonanova, rivista letteraria nata nel 1997 all'interno del Centro Culturale Universitario (Centru Culturali Universitariu) dell'Università della Corsica
U Taravu, fondata nel 2001 dallo scrittore ajaccino Rinatu Coti
U Scoddu, fondata nel 2005
A Nazione, fondato nel 2007
A Piazzetta, fondato nel 2009
U Vagabondu, rivista mensile studentesca nata grazie all'associazione Ghjuventù Vagabonda di Bastia nel novembre 2010
U Zazu, rivista mensile di enigmistica nata nel giugno 2011
Radio
Alta Frequenza dal 1981
Corsica Radio dal 2006
France Bleu Corse Frequenza Mora dal 2000, già Radio Corse Frequenza Mora dal 1984 al 2000, trasmette in còrso e francese
Frequenza Nostra dal 2006
Radio Calvi Citadelle, dal 1983, già Radio Tao Citadelle dal 1979 al 2003, trasmette in còrso e francese
Radio Pays dal 1981, trasmette in còrso e francese
Radio Voce Nustrale dal 1983
Programmi radiofonici
Mediterradio programma d'informazione settimanale di France Bleu Corse Frequenza Mora in collaborazione con le sedi RAI di Palermo e Cagliari, trasmette in italiano e còrso.
Televisione
France 3 Corse dal 1954, trasmette in còrso e francese
France 3 Via Stella, canale bilingue ricevibile via satellite, IPTV e sulla tv terrestre in Corsica
Télé Paese dal 2006, trasmette in còrso e francese
Istituzioni e associazioni per la protezione e il mantenimento della lingua corsa
Accademia Corsa, nata nel 1964 con sede a Nizza.
Association pour le Développement des Etudes Archéologiques, Historiques, linguistiques et Naturalistes du Centre-Est de la Corse (ADECEC), nata nel 1970 con sede a Cervione.
Associu di l'Insignanti di/in Lingua è Cultura Corsa (AILCC), associazione insegnanti di/in lingua corsa, nata nel 2009.
Cullettivu Parlemu Corsu con sede ad Ajaccio.
Film e serie televisive in lingua corsa
Questo è l'elenco dei film e serie televisive recitate in parte o completamente in lingua corsa:
Forza Bastia (1978), regia di Jacques Tati e Sophie Tatischeff
Il bandito corso (L'Enquête corse) (2004), regia di Alain Berberian
Liberata (2005), regia di Philippe Carrese
Mafiosa, le clan (dal 2006), serie diretta da Hugues Pagan in onda su Canal+
Sempre vivu! (2007), regia di Robin Renucci
Il profeta (Un prophète) (2009) di Jacques Audiard
I Tercani (2011), regia di Magà Ettori
Les Exilés (2014), regia di Renate Frassati
Premi letterari
Premio Paolo Zarzelli di letteratura di lingua corsa-gallurese (Premiu Paulu Zarzelli di litteratura di lingua corsa-gadduresa)
La prima edizione si è tenuta a Santa Teresa di Gallura il 12 agosto 2012 organizzata dalla Collettività territoriale della Corsica, dalla Provincia di Olbia-Tempio (oggi soppressa), dal Consiglio generale della Corsica del Sud, dal comune corso di Peri, dalle Edizioni Cismonte & Pumonti/Matina Latina e dall'associazione Filu d'Amparera – Casa Pumuntinca di a Lingua. I giurati sono stati i corsi Marceddu Jureczek, Lisandru Bassani, Lisandru Marcellesi, Lisandro Muzy e Patrick Salvatorini, i galluresi Piero Bardanzellu, Andrea Muzzeddu e Giancarlo Tusceri, mentre il presidente della Giuria era Renato Codi.
Note
Annotazioni
Fonti
Bibliografia
Voci correlate
Alfabeto corso
Lingua gallurese
Lingua sassarese
Ligure coloniale
Prenomi corsi
Pinzuto
Altri progetti
Collegamenti esterni
su sito della Collettività territoriale della Corsica
Corso |
2605 | https://it.wikipedia.org/wiki/Licio%20Gelli | Licio Gelli | È stato condannato per la bancarotta fraudolenta del Banco Ambrosiano e per depistaggio delle indagini della strage di Bologna del 1980; secondo le indagini della procura di Bologna conclusesi nel 2020, è ritenuto uno dei mandanti della strage stessa. Dopo essere stato detenuto in Svizzera e Francia, ha vissuto ad Arezzo, a Villa Wanda, fino al giorno della sua morte.
Biografia
Le origini e l'adesione al fascismo
Ultimo di quattro fratelli, Licio Gelli nacque a Pistoia il 21 aprile 1919 da Ettore, mugnaio montalese, e Maria Gori, vivendo con la famiglia in via Gorizia nº 7. Ancora studente diciassettenne del liceo classico di Pistoia, fu espulso da tutte le scuole d'Italia. Dopo aver raggiunto la maggiore età, Gelli partì volontario nel 735º battaglione Camicie Nere per partecipare alla Guerra civile spagnola in aiuto delle truppe nazionaliste del generale Francisco Franco. Proprio nei combattimenti di Malaga morì il fratello maggiore Raffaello. Recluta più giovane del suo contingente, fu decorato da Franco in persona.
Nel 1939 tornò a Pistoia e narrò a puntate la sua esperienza di guerra sul Ferruccio, il settimanale della locale federazione fascista. Puntate che poi raccolse in un volume (dodici lire il prezzo di copertina, cinquecento copie in tutto) dal titolo Fuoco! Cronache legionarie della insurrezione antibolscevica di Spagna.
Diventò quindi impiegato del GUF, ma all'università non approdò mai (all'età di 16 anni fu espulso dalle scuole del Regno d'Italia dopo aver preso a schiaffi un professore).
Nel luglio 1942, in qualità di ispettore del Partito Nazionale Fascista, gli fu affidato l'incarico di trasportare in Italia il tesoro di re Pietro II di Iugoslavia, requisito dal Servizio Informazioni Militare: in tutto, 60 tonnellate di lingotti d'oro, 2 di monete antiche, 6 milioni di dollari, 2 milioni di sterline. Nel 1947, quando il tesoro venne restituito alla Iugoslavia, mancavano 20 tonnellate di lingotti: è stata fatta l'ipotesi, sempre smentita da Gelli, che lui li avesse trasferiti al tempo in Argentina e che parte di queste 20 tonnellate sarebbero tra i preziosi ritrovati nelle fioriere di villa Wanda.
Dopo l'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana e conseguentemente divenne un ufficiale di collegamento fra il governo fascista e il Terzo Reich. Quando tuttavia la vittoria della guerra cominciò a rivelarsi impossibile per i nazi-fascisti, Gelli diede il via alla seconda fase della sua vita e cominciò a collaborare con i partigiani e fare il doppio-gioco, grazie ai contatti e alle conoscenze abilmente acquisite mentre militava tra i fascisti. Trafugò e distribuì di nascosto ai partigiani i lasciapassare rossi della Kommandatura, e fornì ai suoi superiori informazioni fuorvianti per i rastrellamenti che erano in corso sugli Appennini.
Insieme al partigiano pistoiese Silvano Fedi, che in seguito venne ucciso in circostanze poco chiare, partecipò alla liberazione di prigionieri politici dal carcere delle Ville Sbertoli, organizzata dal Fedi e dalla sua brigata (della quale facevano parte Enzo Capecchi e Artese Benesperi, che furono gli artefici dell'azione). Riguardo alla morte di Fedi, si sospettò che Gelli fosse stato in qualche modo responsabile del suo omicidio, avvenuto 29 luglio del 1944. Il 16 dicembre 1944 sposò Wanda Vannacci (nata a Pistoia il 31 gennaio 1926 e morta il 14 giugno 1993) dalla quale ebbe quattro figli, Raffaello (nato a Pistoia il 28 giugno 1947), Maria Rosa (nata a Pistoia il 22 dicembre 1952), Maria Grazia (nata a Pistoia il 9 settembre 1956 e deceduta a Firenze il 21 giugno 1988) e Maurizio (nato a Pistoia il 25 ottobre 1959).
Il secondo dopoguerra e l'adesione alla massoneria
In seguito, durante il dopoguerra, ha collaborato con le agenzie dell’intelligence britannica e americana.
Gelli, dopo aver gestito senza fortuna una libreria, diventò nel 1956 direttore commerciale della Permaflex di Frosinone, in area di Cassa per il Mezzogiorno. Durante la sua direzione lo stabilimento diviene un via vai di politici, ministri, vescovi e generali. Dal 1948 al 1958, Gelli fu autista-segretario del deputato democristiano Romolo Diecidue, eletto nel collegio di Firenze-Pistoia.
Iniziato in massoneria in Italia nel 1963, in breve tempo ne scalò i gradi principali, fino a diventare maestro venerabile della loggia Propaganda 2 (detta P2); tra il 1970 e il 1981 riuscì a iniziare alla P2 un consistente numero di soggetti titolari di cariche politiche ed amministrative, i nomi di alcuni dei quali sarebbero stati noti soltanto a («all'orecchio di») Gelli. Benché per molti si trattasse soltanto di un'ulteriore e ben frequentata sede di affarismo politico, nel corso degli anni settanta la P2 si sarebbe qualificata per aver concentrato i protagonisti di un disegno eversivo, di cui fu traccia il Piano di rinascita democratica redatto da Francesco Cosentino su istruzioni dello stesso Gelli.
Questi nel 1970 avrebbe dovuto arrestare il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, nell'ambito del fallito Golpe Borghese: Gelli ha sempre smentito questa ipotesi. Si è ipotizzato che Gelli avesse avuto un ruolo preminente nell'organizzazione Gladio, una struttura segreta di tipo Stay-behind, promossa dalla NATO e finanziata in parte dalla CIA allo scopo di contrastare l'influenza comunista in Italia, così come negli altri Stati europei. L'affaire Gladio è stato affrontato (anche giudizialmente) senza collegamenti diretti alla questione P2.
Gelli ripetutamente dichiarò in pubblico di essere stato uno stretto amico del leader argentino Juan Domingo Perón – e spesso ha affermato che tale amicizia è stata veramente importante per l'Italia, senza però aver mai spiegato perché – e proprio molti esponenti della camarilla di potere dell'ultimo peronismo, così come del golpismo uruguayano degli anni settanta, risultarono iscritti alla sua loggia massonica.
Gelli fu creato conte sul cognome dall'ex re Umberto II d'Italia, con Regie Lettere Patenti di concessione del 10 luglio 1980. Gli venne concesso altresì il seguente stemma: «Trinciato, alla catena d'oro sulla partizione; di rosso all'elmo piumato d'oro; d'azzurro alla croce latina d'oro, accompagnato da tre stelle d'argento a quattro raggi, male ordinate» con il motto «Virtute progredior».
Nel 1981 fu uno dei pochissimi italiani invitati al giuramento del presidente Ronald Reagan.
Lo scandalo della P2
Nel maggio del 1981, i giudici istruttori Gherardo Colombo e Giuliano Turone, nell'ambito di un'inchiesta sul finto rapimento del finanziere Michele Sindona, fecero perquisire la villa di Gelli ad Arezzo e la fabbrica di sua proprietà (la «Giole», a Castiglion Fibocchi), che portò alla scoperta di una lunga lista di alti ufficiali delle forze armate e di funzionari pubblici aderenti alla P2. La lista, la cui esistenza era presto divenuta celebre grazie agli organi d'informazione, includeva anche l'intero gruppo dirigente dei servizi segreti italiani, parlamentari, industriali, giornalisti e personaggi facoltosi come il più volte Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi (a quel tempo non ancora in politica), Vittorio Emanuele di Savoia, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Costanzo. Vi sono molti elementi, a partire dalla numerazione, che lasciano tuttavia ritenere che la lista rinvenuta fosse incompleta.
In fuga, Licio Gelli scappò in Svizzera, dove fu arrestato, il 13 settembre 1982, mentre cercava di ritirare decine di migliaia di dollari a Ginevra, ma, il 10 agosto 1983, riuscì ad evadere dalla prigione. Fuggì quindi in Sudamerica, prima di costituirsi in Svizzera nel 1987. Lo scandalo nazionale conseguente alla scoperta delle liste fu quasi drammatico, dato che molte delle più delicate cariche della Repubblica italiana erano occupate da affiliati all'organizzazione di Gelli. La corte centrale del Grande Oriente d'Italia, con una sentenza del 31 ottobre 1981, decretò l'espulsione del Gelli dall'Ordine massonico.
Il Parlamento italiano approvò in tempi rapidi una legge per mettere al bando le associazioni segrete in Italia e contemporaneamente (dicembre 1981), venne creata una commissione parlamentare d'inchiesta, presieduta dalla deputata Tina Anselmi (DC), che chiuse i lavori nel 1984.
Nelle conclusioni della relazione di maggioranza di questa commissione sulla P2 e su Gelli si legge:
L'8 maggio 2010 Licio Gelli diede mandato al direttore del periodico Il Piave, Alessandro Biz, di contattare Anselmi per organizzare un incontro al fine di «discutere in modo civile della loggia massonica P2» dopo quasi trent'anni, ma l'incontro non si rese possibile per le condizioni di salute della ex-parlamentare dello Scudo Crociato.
Il coinvolgimento nella strage di Bologna
Con Stefano Delle Chiaie ed altri imputati è stato coinvolto nel processo per la strage di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980, nella quale furono uccise 85 persone e 200 rimasero ferite. Imputato di associazione sovversiva e calunnia con finalità di depistaggio, fu condannato con sentenza definitiva dalla Cassazione il 23 novembre 1995 per calunnia aggravata a 10 anni di carcere, insieme al faccendiere Francesco Pazienza (anch'egli condannato a 10 anni), al generale Pietro Musumeci e al colonnello Giuseppe Belmonte (rispettivamente condannati a 8 anni e 5 mesi, e a 7 anni e 11 mesi), mentre fu assolto dall'accusa di associazione sovversiva già nel processo di primo grado.
L'11 febbraio 2020 la procura generale di Bologna lo ha indicato come uno dei 4 organizzatori e finanziatori della strage di Bologna insieme a Mario Tedeschi, Umberto Ortolani, e Federico Umberto D’Amato.
Lo scandalo del Banco Ambrosiano
Uno degli affiliati della P2 era il finanziere Michele Sindona, il quale nel 1972 aveva acquistato il controllo della Franklin National Bank di Long Island. Nel 1977, in seguito alla bancarotta delle sue banche, Sindona si rivolse a Gelli per elaborare piani di salvataggio della Banca Privata Italiana, la principale del gruppo Sindona; Gelli stesso interessò Giulio Andreotti, il quale gli riferì che «la cosa andava positivamente» e incaricò informalmente il senatore Gaetano Stammati (anch'egli affiliato alla loggia P2) e Franco Evangelisti di studiare il progetto di salvataggio della Banca Privata Italiana, il quale venne però rifiutato da Mario Sarcinelli, vice direttore generale della Banca d'Italia.
Nel 1979 Sindona attuò un tentativo estremo di salvataggio e si nascose in Sicilia, aiutato da esponenti massoni e mafiosi, simulando un rapimento: durante questo periodo mandò almeno due volte ad Arezzo il suo medico di fiducia Joseph Miceli Crimi (anch'egli affiliato alla P2) per convincere Gelli a continuare a fare pressioni ai suoi precedenti alleati politici, tra cui Giulio Andreotti, per portare a buon fine il salvataggio delle sue banche e recuperare il denaro sporco investito per conto dei boss mafiosi: in cambio Sindona avrebbe offerto a Gelli la cosiddetta «lista dei cinquecento», l'elenco di notabili che avevano esportato capitali illegalmente. Tuttavia tutti i tentativi di salvataggio fallirono. Nel 1986 morì due giorni dopo una sentenza di condanna a vita, in circostanze non del tutto chiare, anche se l'ipotesi del suicidio è quella più plausibile.
Qualche anno dopo molti sospetti si sono concentrati su Gelli in relazione al fallimento finanziario del Banco Ambrosiano e al suo eventuale coinvolgimento nell'omicidio del banchiere milanese Roberto Calvi (affiliato pure alla P2), che era stato in carcere proprio per il crack dell'Ambrosiano e, dopo essere tornato in libertà, venne ritrovato impiccato sotto il Blackfriars Bridge a Londra: infatti, secondo quanto riferisce il collaboratore di giustizia Francesco Marino Mannoia, Gelli e Calvi avevano investito denaro sporco nello IOR e nel Banco Ambrosiano per conto del boss mafioso Giuseppe Calò, che curava gli interessi finanziari del clan dei Corleonesi.
In ogni caso, Licio Gelli fu condannato nel 1994 a 12 anni di carcere, dopo essere stato riconosciuto colpevole della frode riguardante la bancarotta del Banco Ambrosiano nel 1982 (vi era stato trovato un buco di 1,3 miliardi di dollari) che era collegato alla banca del Vaticano, lo IOR. Affrontò inoltre una sentenza di tre anni relativa alla P2. Scomparve mentre era in libertà sulla parola, per essere infine arrestato sulla riviera francese a Villefranche sur Mer. La polizia rinvenne nella sua villa oltre 2 milioni di dollari in lingotti d'oro.
È indiscutibile che la P2 abbia avuto un certo potere in Italia, dato il «peso» pubblico dei suoi affiliati, e molti osservatori ritengono che ancora oggi esso sia forte. Numerosi personaggi ancora oggi famosi in Italia erano iscritti alla P2: tra questi, Silvio Berlusconi, Maurizio Costanzo, Vittorio Emanuele di Savoia, l'editore Angelo Rizzoli, il segretario del PSDI Pietro Longo ed altri esponenti della politica, della magistratura e della finanza.
Il 19 luglio 2005, Gelli è stato formalmente indiziato dai magistrati romani per la morte di Calvi. Gelli, nel suo discorso di fronte ai giudici, incolpò personaggi connessi con i finanziamenti di Roberto Calvi al movimento polacco Solidarność, presumibilmente per conto del Vaticano. Nel 2014 il GIP Simonetta D'Alessandro dispone l'archiviazione del procedimento per mancanza di prove, ma stabilisce che l'ipotesi storica dell’assassinio è difficilmente sormontabile.
I rapporti con la dittatura argentina
Licio Gelli era diventato consulente di Isabelita Perón ed era il principale consigliere economico-finanziario dell’ambasciata argentina di Roma.
Aveva coltivato buoni rapporti con il generale e Presidente argentino Roberto Eduardo Viola e l'ammiraglio Emilio Massera, durante il periodo della dittatura. Durante questo periodo che va dal 1976 al 1983 ci furono 2.300 omicidi politici e tra le 10.000 e le 30.000 persone vennero uccise o «scomparvero» (desaparecidos) e molte altre migliaia vennero imprigionate e torturate. Gelli riceverà pure un passaporto diplomatico dell'Argentina.
Massera pochi giorni dopo il golpe, il 28 marzo 1976, scrisse a Gelli per esprimere «la sua sincera allegria per come tutto si fosse sviluppato secondo i piani prestabiliti» e augurargli «un governo forte e fermo sulle sue posizioni e nei suoi propositi che sappia soffocare l'insurrezione dei dilaganti movimenti di ispirazione marxista». I rapporti con i militari continueranno dopo il ritorno della democrazia in Argentina, nel 1983.
Nel 1987 la tomba di Juan Perón fu profanata e furono asportate le mani dal corpo. Una ricerca giornalistica ha sostenuto che la P2 di Licio Gelli è stata coinvolta nella dissacrazione del corpo di Perón. Alcuni esponenti politici argentini sostennero che gli autori del gesto intendessero in tal modo prendere le impronte digitali di Perón, al fine di recuperare i valori depositati presso alcuni istituti bancari di Ginevra che il leader argentino avrebbe ottenuto dai militari nazisti in cambio di passaporti e visti. Lo stesso Gelli fu accusato di aver rubato venti tonnellate d'oro nel 1942, durante l'occupazione fascista della Jugoslavia, e che Gelli avrebbe più tardi trasferito in Argentina.
Gli ultimi anni e la morte
A seguito dell'assoluzione nel processo di Roma, nel 1994, Gelli provò ad accreditarsi come poeta, arrivando, nel 1996, a raccogliere 59 lettere di supporto per una sua candidatura al premio Nobel per la letteratura raccolte nel suo archivio e fra le quali spiccano quelle di Naguib Mahfouz e Madre Teresa di Calcutta.
Dal 2001 fino alla morte, Licio Gelli è stato in detenzione domiciliare nella sua Villa Wanda di Arezzo, ubicata sulla collina di Santa Maria delle Grazie a ridosso del centro storico, dove sconta la pena di 12 anni per la bancarotta fraudolenta dell'Ambrosiano. Di sé stesso nel 2003 disse:
In Arezzo il 2 agosto 2006 sposa in seconde nozze Gabriela Vasile, nata a Lupsa, in Romania, il 17 settembre 1958. Sempre nel 2006 la sua residenza Villa Wanda viene sequestrata e messa all'asta dallo Stato per il pagamento delle spese processuali del fallimento del Banco Ambrosiano (ammontanti a circa 1,5 milioni di euro); dopo vari tentativi d'asta andati deserti, l'immobile viene riacquistato dallo stesso Gelli ad un prezzo molto inferiore rispetto a quello di partenza.
Nel 2008 ha partecipato al programma Venerabile Italia su Odeon TV intervistato dalla giornalista esperta di massoneria Lucia Leonessi.
Nel febbraio 2011 ai giornalisti Raffaella Fanelli e Mauro Consilvio a Villa Wanda rivela di essere stato vicino a mettere in atto un golpe pacifico per eliminare il pericolo comunista a un anno dalla strage di Bologna aggiungendo: "Io avevo la P2, Francesco Cossiga aveva Gladio e Giulio Andreotti l'Anello [...] si chiamava così perché gli iscritti portavano un anello". Un anello a simboleggiare la sua funzione di collegamento fra i servizi segreti usati in funzione anticomunista e la società civile. Quella di un superservizio segreto alle dipendenze informali della presidenza del Consiglio, che avrebbe agito dal dopoguerra alla metà degli anni Ottanta. Andreotti, interpellato, non replicherà alle rivelazioni di Gelli. Quella fu l'unica conferma dell'esistenza di un'organizzazione segreta parallela a Gladio e P2 e formata da ex ufficiali badogliani, ex repubblichini, imprenditori, faccendieri, giornalisti in grado di reclutare uomini della malavita e della criminalità organizzata. Gelli sminuisce poi la strage di Bologna:
Ciò naturalmente constrasta con gli evidenti e numerosi depistaggi in relazione alle indagini sulla strage verificatisi negli anni successivi.
Gelli nega inoltre che ci possa essere stato un progetto di sequestro ai suoi danni nell'inverno del 1978 come invece rivelato da Paolo Aleandri dieci anni più tardi durante il processo a 149 terroristi neri:
Il 10 ottobre 2013 viene sequestrata Villa Wanda poiché Gelli è indagato dalla procura di Arezzo insieme ad alcuni familiari per reati fiscali per 17 milioni di euro.
Licio Gelli muore nella sua residenza, all'età di novantasei anni, il 15 dicembre 2015. Secondo quanto dichiarato dalla moglie poco dopo la sua scomparsa, le condizioni di salute sarebbero state precarie già da tempo.
Il decesso è avvenuto dopo un netto peggioramento delle sue condizioni di salute registrate il 13 dicembre, data in cui la famiglia ha scelto di trasferirlo dall'ospedale San Donato di Arezzo a Villa Wanda, per fargli trascorrere gli ultimi momenti di vita circondato dai suoi cari e familiari.
La camera ardente fu allestita a Villa Wanda. Gelli ricevette un funerale cattolico nella vicina Chiesa di Santa Maria delle Grazie in Arezzo, alla presenza dei parenti e curiosi e di relativamente pochi VIP.
Dopo la morte fu pubblicato un testamento col quale nominava come suo unico erede spirituale il generale romeno Bartolomeu Constantin Săvoiu, Gran maestro della Loggia nazionale romena.
Le vicende giudiziarie
Le condanne
Licio Gelli è stato condannato con sentenza definitiva per i seguenti reati:
Procacciamento di notizie contenenti segreti di Stato.
Calunnia nei confronti dei magistrati milanesi Gherardo Colombo, Giuliano Turone e Guido Viola (reato prescritto in Cassazione).
Calunnia aggravata dalla finalità di terrorismo per aver tentato di depistare le indagini sulla strage alla stazione di Bologna, vicenda per cui è stato condannato a 10 anni.
Bancarotta fraudolenta (Banco Ambrosiano).
Nel 1992 fu condannato per diffamazione nei confronti di Indro Montanelli: in un'intervista al periodico Gazzettino dell'Hinterland dichiarò di aver finanziato il quotidiano il Giornale con un finanziamento di 300 milioni, completamente gratuito, ma il direttore dimostrò, documenti bancari alla mano, che il finanziamento non fu gratuito (pagò il 22% di interessi) e avvenne senza la mediazione di Gelli, che fu condannato dal Tribunale di Monza a pagare 2 milioni di multa, 30 di risarcimento danni e 15 di riparazione pecuniaria. Per i giudici Gelli aveva «offeso dolosamente nella dignità professionale e nella reputazione» il giornalista.
Nel 1993 venne indagato per offesa all'onore dell'allora Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro per un articolo pubblicato sul mensile trevigiano Il Piave, e nel 1994 è stato condannato a 8 mesi: nell'articolo erano state fatte considerazioni sul passato di Scalfaro ed erano stati criticati alcuni suoi atteggiamenti di cattolico.
Le assoluzioni
La Procura di Roma iniziò un procedimento contro Licio Gelli e una ventina di altre persone, accusate di cospirazione politica, associazione per delinquere ed altri reati. Dopo un'inchiesta durata quasi dieci anni, nell'ottobre 1991, il giudice istruttore presso il Tribunale penale di Roma chiese il rinvio a giudizio. Il processo durò un anno e mezzo e con sentenza in data 16 aprile 1994, depositata il successivo 26 luglio, la Corte pronunciò una sentenza d'assoluzione di tutti gli imputati dal reato di attentato alla Costituzione mediante cospirazione politica perché il fatto non sussiste. L'appello, proposto, fu rigettato, e il 27 marzo 1996 la Corte d'appello confermò la sentenza assolutoria.
Nel dicembre 1991 Gelli fu indagato dalla Procura di Palmi per associazione a delinquere di stampo mafioso poiché da alcune testimonianze ed intercettazioni telefoniche risultava che avesse incontrato il boss pugliese Marino Pulito, il quale richiese un suo intervento per manipolare un processo penale pendente nei confronti dei fratelli Gianfranco e Riccardo Modeo, boss di Taranto. Rinviato a giudizio insieme ad altri 132 imputati, Gelli sarà assolto da ogni accusa dal Tribunale di Palmi nel 1995.
L'archivio di Gelli
L'11 febbraio 2006 Licio Gelli ha donato all'Archivio di Stato di Pistoia il proprio «archivio non segreto», nell'ambito di una cerimonia ufficiale, svolta sotto il patrocinio del Comune, ma alla quale gli amministratori comunali pistoiesi hanno preferito non prendere parte.
È rimasta invece segreta la cosiddetta «rubrica dei 500» (426 fascicoli da Gelli intestati a uomini d'affari, politici, società, banche, ecclesiastici ecc.). Guardia di Finanza ed inquirenti non sono mai riusciti a reperirne il contenuto.
Controversie
Gelli è stato uno dei personaggi più controversi del panorama politico-giudiziario italiano. Il dibattito intorno alla sua figura si è fatto ancor più arroventato in occasione di alcuni suoi articoli particolarmente pungenti pubblicati sul giornale mensile trevigiano Il Piave: uno sull'informazione in Italia, l'altro sulla democrazia italiana, un altro ancora sulla magistratura.
Dopo la seconda guerra mondiale, si ipotizza che Gelli si sia arruolato nella CIA, su raccomandazione dei servizi segreti italiani (ma tale ipotesi non è stata verificata). Contemporaneamente veniva sospettato dal SIFAR di essere un collaboratore del PCI e di svolgere attività di spionaggio a favore degli Stati dell'Europa orientale (venendo descritto come un «personaggio capace di compiere qualunque azione»). In ogni caso, fu messo in stretta relazione da Edward Herman con Michael Ledeen, che è da molti ritenuto uno stretto collaboratore o un agente della CIA. Fu un collaboratore delle agenzie di intelligence britanniche e statunitensi.
Nel 1993 in pieno svolgimento dell'inchiesta mani pulite attaccò Antonio Di Pietro, pur essendo questi l'unico pubblico ministero al quale abbia mai fatto ammissioni di responsabilità sul Conto protezione.
Opere
Fuoco! Cronache legionarie della insurrezione antibolscevica di Spagna, Pistoia, Tip. Commerciale, 1940.
Luce di stelle alpine, Milano, Sansoni, 1971.
La verità, Lugano, Demetra, 1989.
Come arrivare al successo, Modena, APS, 1990, ISBN 88-85205-27-5.
Poesie del silenzio, Marino Laziale, Flash, 1990.
L'albero delle poesie, Crescentino, La Rosa, 1991.
Racconti e storie, Crescentino, La Rosa, 1991.
A Wanda..., Crescentino, La Rosa, 1992.
Il mulino delle poesie, Crescentino, La Rosa, 1992.
Il ritorno di Gesù, San Donà di Piave, Rebellato, 1992.
Il cassetto delle poesie, Crescentino, La Rosa, 1993.
Incontri all'alba, Crescentino, La Rosa, 1993.
Pensieri poetici, Roma-Bari, Laterza, 1993.
Bagliori d'immagini, con Maria Nencioli, Crescentino, La Rosa, 1994.
Canzone per Wanda, Crescentino, La Rosa, 1994.
Conchiglie, Roma-Bari, Laterza, 1994, ISBN 88-86243-10-3.
Lo strizzacervelli, Crescentino, La Rosa, 1994.
Raggi di luce, Roma-Bari, Laterza, 1994, ISBN 88-86243-18-9.
Uomini dal cielo, Roma-Bari, Laterza, 1994, ISBN 88-86243-17-0.
Dossier Spagna. Gli italiani nella guerra civile, 1936-1939, con Antonio Lenoci, Roma-Bari, Laterza, 1995, ISBN 88-86243-32-4.
Farfalle, Roma-Bari, Laterza, 1995, ISBN 88-86243-41-3.
Gli ultimi cavalieri, Cavagnolo, La rosa, 1995.
Frammenti di stelle, Roma-Bari, Laterza, 1996, ISBN 88-86243-62-6.
Gocce di rugiada, Roma-Bari, Laterza, 1995, ISBN 88-86243-37-5.
Come bionde sirene, Cavagnolo, La Rosa, 1996.
Miti nella poesia, Roma-Bari, Laterza, 1996, ISBN 88-86243-80-4.
Nel nome del Padre, Bari, Laterza, 1996, ISBN 88-86243-70-7.
Perle del cielo, Roma-Bari, Laterza, 1996.
Riccioli d'oro nel vento, Roma-Bari, Laterza, 1996, ISBN 88-86243-72-3.
Trucioli di sogno, Roma-Bari, Laterza, 1996, ISBN 88-86243-51-0.
Raggi di sole, Caronno Pertusella, Solaris, 1996, ISBN 88-86436-11-4.
Canto dagli abissi, Roma-Bari, Laterza, 1997.
Il tempo felice di quando soffrivo, Roma-Bari, Laterza, 1997, ISBN 88-8231-014-0.
Miti nella poesia (Vol. II), Roma-Bari, Laterza, 1997, ISBN 88-86243-91-X.
Cantici, Roma-Bari, Laterza, 1998, ISBN 88-8231-028-0.
Il tempo dell'amore, Roma-Bari, Laterza, 1998, ISBN 88-8231-029-9.
Miti nella poesia (Vol. III), Roma-Bari, Laterza, 1998.
La linea de Il Piave, Roma-Bari, Laterza, 1999, ISBN 88-8231-079-5.
Al nome di donna. Una poesia, Roma-Bari, Laterza, 2000, ISBN 88-8231-114-7.
Lacrime d'oro, Roma-Bari, Laterza, 2000, ISBN 88-8231-113-9.
Luna a colori, Roma-Bari, Laterza, 2000, ISBN 88-8231-099-X.
Rose e spine, Roma-Bari, Laterza, 2000, ISBN 88-8231-095-7.
Petali di margherita, Roma-Bari, Laterza, 2001, ISBN 88-8231-148-1.
Poesie 1959-1999, Roma-Bari, Laterza, 2001, ISBN 88-8231-135-X.
Stelle filanti, Roma-Bari, Laterza, 2002, ISBN 88-8231-177-5.
Lacrime sofferte, Roma-Bari, Laterza, 2003, ISBN 88-8231-237-2.
Rimembranze di primavere perdute, Roma-Bari, Laterza, 2003, ISBN 88-8231-202-X.
Ho finito l'inchiostro, Roma-Bari, Laterza, 2004, ISBN 88-8231-292-5.
Catalogo della "donazione Licio Gelli" all'Archivio di Stato di Pistoia, Roma-Bari, Laterza, 2005, ISBN 88-8231-360-3; 2006, ISBN 88-8231-366-2.
Frutti della sofferenza, Roma, Pagine, 2005, ISBN 88-7557-101-5.
Il mio domani, Roma-Bari, Laterza, 2006, ISBN 88-8231-372-7.
Spremute... al tramonto, Roma-Bari, Laterza, 2007, ISBN 978-88-8231-406-4.
Dizionario poetico. Antologia composta da 2535 poesie. 1950-2008, Lainate, A. Car, 2008.
Licio Gelli poeta. Antologia critica, Montemerlo, Venilia, 2008, ISBN 978-88-87066-31-9.
Ricordi di memorie spente, Lainate, A. Car, 2008, ISBN 978-88-89079-52-2.
L'abito del dolore, Lainate, A. Car, 2009, ISBN 978-88-89079-97-3.
Le ultime poesie del maestro Licio Gelli, Lainate, A. Car, 2010, ISBN 978-88-6490-026-1.
Scenografia d'un sogno, Comiso, EventualMente, 2011, ISBN 978-88-96840-12-2.
Complessivamente, fu autore di più di 2.500 poesie.
Filmografia
Licio Gelli è stato impersonato dall'attore Camillo Milli nel film I banchieri di Dio - Il caso Calvi (2002) di Giuseppe Ferrara; il film narra le vicende dello scandalo del Banco Ambrosiano e gli ultimi mesi di vita di Roberto Calvi.
Licio Gelli è stato impersonato sotto lo pseudonimo di «Licio Belli» dall'attore Oreste Lionello nel film Attenti a quei P2, film di satira politica e commedia all'Italiana.
Dossier Argentina, (documentario TV) di Ruben H. Oliva, Enrico Deaglio.
Enzo Biagi: C'era una volta Licio Gelli (documentario) di Sarah Nicora.
Titoli e onorificenze
Onorificenze
Titoli
Maestro venerabile dirigente di una Loggia massonica (in questo caso la Loggia P2).
Professore h.c. delle Relazioni Umane dell'Istituto Superiore Internazionale Americano – Delegazione di Buenos Aires.
Accreditato presso l'Ambasciata argentina in Italia con le funzioni di Consigliere Economico e di Ministro Plenipotenziario per gli Affari Culturali Itinerante.
Conte con Regie Lettere Patenti di Umberto II di Savoia (10 luglio 1980).
Dottore h.c. in Scienze Finanziarie – Università Pro Deo di New York.
Professore Associato dell'Università di Oradea (Romania).
Cittadino Onorario della Città di Kudjianda (Tagikistan) ha ricoperto cariche diplomatiche internazionali.
Accademico Emerito dell'Accademia Città eterna (Roma).
Accademia letteraria Gli Incamminati (Modigliana).
Membro h.c. a vita dell'Unione Operatori Artisti Culturali (Marigliano).
Accademico dell'Accademia Il Richiamo (Foggia).
Accademia Oraziana di Lettere, Scienze ed Arti (Roma).
Presidente onorario dell'Accademia Il Tetradramma (Roma).
Accademico dell'Accademia Internazionale Pontzen (Roma).
Accademico Onorario dell'Accademia Artisti Europei (Salerno).
Note
Annotazioni
Fonti
Bibliografia
Dino P. Arrigo, Fratelli d'Italia. Cronache, storie, riti e personaggi (per capire la Massoneria), Soveria Mannelli, Rubbettino, 1994.
Giorgio Bocca, Gli anni del terrorismo, Roma, Armando Curcio, 1988.
David Cox e Damian Nabot, The Second Death. Licio Gelli, The P2 Masonic Lodge and The Plot to Destroy Juan Peron, Amazon, 2014.
Giorgio Galli, La venerabile trama. La vera storia di Licio Gelli e della P2, Torino, Lindau, 2007, ISBN 978-88-7180-658-7.
Mario Guarino e Feodora Raugei, Licio Gelli. Vita, misteri, scandali del capo della Loggia P2, Bari, Dedalo, 2016.
Raja Marazzini e Stefano Paiusco, 2otto80. Stazione di Bologna: omissis, Bologna, Pendragon, 2001, ISBN 88-8342-104-3.
Indro Montanelli e Mario Cervi, L'Italia degli anni di fango (1978-1993), Milano, Rizzoli, 1993.
Gianfranco Piazzesi, Gelli. La carriera di un eroe di questa Italia, Milano, Garzanti, 1983.
Sergio Zavoli, La notte della Repubblica, Roma, Nuova Eri, 1992.
Voci correlate
P2
Banco Ambrosiano
Strage di Bologna
Appartenenti alla P2
Altri progetti
Collegamenti esterni
Intervista a Licio Gelli pubblicata su La Repubblica il 28 settembre 2003
Appartenenti alla P2
Condannati per reati legati agli Anni di piombo
Strategia della tensione
Anticomunisti italiani
Nobili italiani del XX secolo |
2608 | https://it.wikipedia.org/wiki/La%20leggenda%20del%20pianista%20sull%27oceano | La leggenda del pianista sull'oceano | La leggenda del pianista sull'oceano è un film del 1998 scritto e diretto da Giuseppe Tornatore, direttamente tratto dal monologo teatrale Novecento di Alessandro Baricco.
Trama
Inghilterra, secondo dopoguerra. Max Tooney, un trombettista che ha lavorato sul Virginian, un transatlantico in regolare servizio di linea tra l'Europa e gli Stati Uniti, entra in un negozio di dischi e strumenti musicali poco prima dell'orario di chiusura e si accorda con l'anziano proprietario per vendere per pochi spiccioli la sua vecchia tromba di marca Conn; prima di separarsene, chiede ed ottiene il permesso di suonarla per l'ultima volta. Max suona quella che il negoziante, ascoltandolo, riconosce essere la melodia di un brano, eseguito al pianoforte, registrato su una vecchia matrice discografica da lui ritrovata, brano da cui è affascinato ma di cui non riesce ad identificare l'autore; si fa quindi raccontare da Max la storia di quel pianista, che Max definisce il suo più grande segreto, dicendo che in realtà è come se quel musicista non fosse mai esistito. Il brano è l'unico mai inciso da quello che fu il migliore amico di Max, Danny Boodman T.D. Lemon Novecento.
La storia inizia il 1º gennaio 1900, quando Danny Boodman, un fuochista nero del Virginian, trova un neonato abbandonato in una cassetta di limoni sul pianoforte nel salone di prima classe della nave e decide di allevarlo. Danny battezza il piccolo con il proprio nome (Danny Boodman appunto), a cui aggiunge la scritta presente sulla cassetta in cui lo ha trovato, T.D. Lemon (dicendo che il significato di "T.D." sarebbe "Thanks Danny", cioè "Grazie Danny", come ad indicare che proprio lui fosse destinato ad allevare il bambino), ed il nome del secolo appena iniziato, Novecento. Danny Boodman T.D. Lemon Novecento sarà poi chiamato solamente con l'ultimo dei suoi appellativi.
Danny alleva Novecento in segreto, per impedire che possano portarglielo via per motivi burocratici, e gli insegna a leggere utilizzando i resoconti delle corse di cavalli. Il bambino vive così i primi anni della sua infanzia nella sala macchine del piroscafo, dalla quale poi uscirà una volta cresciuto, conoscendo e conquistandosi la simpatia dei membri dell'equipaggio. Otto anni dopo Danny muore, rimanendo vittima di un incidente sul lavoro, quindi il comandante Smith richiede che il bambino venga affidato ad un orfanotrofio, ma Novecento riesce a nascondersi nei meandri della nave e a non farsi trovare dai poliziotti saliti a bordo per prelevarlo; dopo diversi giorni in cui nessuno l'aveva più visto, con grande sorpresa di tutti, ricompare in prima classe suonando il pianoforte con notevole bravura, senza che nessuno gli abbia mai insegnato nulla al riguardo.
Con il passare degli anni, Novecento continua ad eseguire al pianoforte brani molto difficili da lui ideati in modo totalmente spontaneo e, incredibilmente, dichiara di viaggiare mentre suona e dimostra di conoscere le caratteristiche di molti luoghi senza averli mai visitati, non mettendo mai piede sulla terraferma; diventato il pianista della nave, si esibisce con gli altri musicisti durante le serate in prima classe e per conto proprio, con un altro pianoforte, in terza classe, dove intrattiene i passeggeri, unica situazione in cui può dare il meglio di sé. Anni dopo, senza essere nel frattempo mai sceso dal transatlantico, conosce Max, da poco assunto come nuovo trombettista di bordo, con il quale suonerà per molti anni e stringerà una solida amicizia.
Grazie ai racconti dei passeggeri della nave, la notizia della bravura di Novecento come improvvisatore si diffonde, al punto che il celebre pianista jazz Jelly Roll Morton, il presunto inventore del jazz, noto per il proprio carattere arrogante ed esibizionista ed incapace di accettare il fatto che qualcuno sappia suonare meglio di lui, decide di imbarcarsi sulla nave e di sfidare il protagonista in una gara musicale: Novecento, dopo aver eseguito un paio di brani decisamente sotto tono rispetto ai suoi livelli abituali, suona un brano talmente complesso e veloce da far diventare incandescenti le corde del pianoforte (al punto tale da poter accendere una sigaretta avvicinandola), con il quale, ovviamente, batte ed umilia Morton. Max tenta continuamente e senza successo di convincere l'amico a scendere dalla nave, spiegandogli come la sua musica lo porterebbe ad avere grande successo; un discografico fa addirittura realizzare una sala di registrazione sulla nave e ciò porta all'incisione della matrice vista ad inizio film, che contiene un brano eseguito da Novecento mentre vedeva dal finestrino una passeggera di cui si era innamorato. Il pianista in seguito tenta senza successo di regalare alla ragazza il disco; provato dalla delusione d'amore e fortemente contrario all'ascolto della sua musica in qualsiasi situazione diversa dalle sue esecuzioni dal vivo sulla nave, distrugge la registrazione.
Una sera, mentre i due musicisti stanno cenando insieme, Novecento annuncia a Max che ha intenzione di scendere dalla nave all'arrivo a New York il giorno successivo. Max rimane stupito e Novecento spiega il motivo della sua decisione, all'apparenza decisamente assurdo: vuole semplicemente vedere il mare dalla terraferma (anche se Max capisce che, in realtà, probabilmente l'amico vuole ritrovare la ragazza amata), per poi allontanarsi e ritornare vicino al mare dopo molto tempo per "sentirne la voce"; questa idea gli è venuta dopo aver parlato con un anziano emigrante italiano che gli ha raccontato di aver vissuto la stessa esperienza e che si scoprirà essere il padre della ragazza amata da Novecento. Il giorno dopo il pianista si appresta a scendere, salutato solennemente da tutto l'equipaggio, ma mentre percorre la passerella di sbarco si ferma a metà e, dopo essere rimasto immobile per svariato tempo a fissare da lontano la città e la terraferma, lancia il cappello in acqua e risale sulla nave. Nei giorni successivi Novecento non si fa vedere, rimanendo nascosto nella propria cabina a guardare il mare dagli oblò; nessuno riesce a capire cosa gli stia succedendo tranne Max, che percepisce lo stato d'animo confuso dell'amico e comprende che per il momento è meglio non disturbarlo.
Alcuni giorni dopo Novecento si ripresenta, tornando a suonare con allegria e serenità, come se niente fosse successo, e rimane sempre a bordo del piroscafo, anche dopo che nel 1933 Max lascia il lavoro sul Virginian per andare a cercare fortuna altrove, benché riluttante ad allontanarsi dall'amico.
Nel presente, dopo che il negoziante aveva detto di aver trovato il disco all'interno di uno dei pianoforti recuperati dal Virginian, ormai in disarmo e prossimo a essere demolito con la dinamite, Max si era recato al relitto della nave, insistendo per salire a bordo, certo di ritrovarvi Novecento. Dopo alcune ricerche i due finalmente si incontrano di nuovo: Novecento, durante la guerra, era sempre rimasto sulla nave, trasformata in un ospedale militare, suonando per i soldati feriti che ne erano ospiti. Max tenta per l'ultima volta di convincere l'amico a scendere e magari a ricominciare a fare musica insieme a lui, ma Novecento, terrorizzato dal fatto che il mondo non è limitato come la tastiera di un pianoforte o gli spazi di bordo di una nave, è irremovibile e preferisce morire saltando in aria insieme al bastimento piuttosto che abbandonarlo, quindi i due si danno un commovente addio, prima che l'esplosione abbia luogo.
Alla fine Max ritorna al negozio di strumenti musicali, dove rivela all'anziano gestore che era stato lui a nascondere i pezzi del disco di Novecento nel pianoforte; il negoziante, commosso, gli restituisce la sua tromba senza pretendere di riavere i soldi con cui gliel'aveva pagata.
Produzione
Gran parte del film è stato girato nella città di Odessa, in Ucraina. Alcune scene sono state girate nell'ex mattatoio del rione Testaccio a Roma, dove la sagoma scenica della nave è rimasta per mesi visibile da molti punti della città.
Per realizzare il Virginian si è tratta ispirazione dalle navi RMS Lusitania e RMS Mauretania, due celebri transatlantici gemelli della compagnia di navigazione inglese Cunard Line. Il salone in cui Novecento suona il piano ha una cupola simile a quella del Mauretania. La progettazione degli arredamenti è stata affidata a Bruno Cesari, vincitore dell'Oscar per la scenografia de L'ultimo imperatore di Bernardo Bertolucci.
Nell'opera teatrale originale di Baricco, a differenza di quanto avviene nel film, il nome di battesimo del trombettista Tooney, co-protagonista e narratore della storia, non è Max ma Tim.
Legami con la realtà
Un piroscafo transatlantico chiamato RMS Virginian è realmente esistito: varato nel 1905, fu oggetto di due cambi di denominazione e di armatore a partire dal 1920 e venne smantellato intorno al 1954. Il vero Virginian, quando era chiamato con tale nome, era di proprietà della compagnia di navigazione Allan Line, presentava i colori sociali Allan sull'unico fumaiolo di cui era dotato (la cima nera con una striscia bianca, il resto rosso) e, curiosamente, tendeva ad essere vittima di forti movimenti di rollio quando navigava in acque agitate, proprio come la nave del film. Questa nave svolse anche un ruolo di primo piano nella vicenda dello storico affondamento del RMS Titanic, il 15 aprile 1912: stava infatti navigando in direzione opposta a circa 178 miglia nautiche (poco meno di 330 chilometri) a nord rispetto al disastro e, dopo aver ricevuto i segnali di emergenza del Titanic, modificò la rotta per raggiungerlo, ma ad arrivare per primo sul posto fu il RMS Carpathia, che trasse in salvo i 705 superstiti e lo comunicò via radio al Virginian.
Casting
Per interpretare Jelly Roll Morton è stato scelto Clarence Williams III, nipote di un altro famoso compositore jazz contemporaneo di Morton, Clarence Williams.
In una delle scene finali del film, nel negozio di musica, viene inquadrato un uomo che sta accordando un pianoforte: si tratta di Amedeo Tommasi, il jazzista che ha collaborato con Ennio Morricone alla realizzazione della colonna sonora del film, della quale ha composto il famoso Magic Waltz.
Colonna sonora
La colonna sonora del film, composta da Ennio Morricone nell'arco di tempo di quasi un anno, è composta da almeno trenta brani e nel 2000 è riuscita ad aggiudicarsi un Golden Globe per la migliore colonna sonora originale.
A differenza di quanto potrebbe sembrare nel film, gli attori Tim Roth e Clarence Williams III non hanno mai suonato veramente il pianoforte e l'attore Pruitt Taylor Vince non ha mai suonato davvero la tromba; ad aver eseguito tutti i brani al pianoforte è la pianista Gilda Buttà, mentre la tromba che suona il tema Playing Love nelle scene iniziali è di Francesco "Cicci" Santucci, già prima tromba della Rai e storico jazzista italiano. Gli assoli di chitarra elettrica nel brano Lost Boys Calling sono eseguiti da Eddie van Halen.
Una prima edizione estesa è stata pubblicata in Italia nel 1998. Brani registrati come Big Foot Ham e Fingerbreaker, composti originariamente da Jelly Roll Morton, non sono però inclusi nell'album.
Tracce (prima edizione)
La colonna sonora originale in CD per il mercato internazionale, uscita nel 1999, è tuttavia costituita da appena 21 brani.
Tracce (seconda edizione)
Riconoscimenti
2000 - Golden Globe
Miglior colonna sonora a Ennio Morricone
1999 - David di Donatello
Miglior regia a Giuseppe Tornatore
Miglior fotografia a Lajos Koltai
Miglior colonna sonora a Ennio Morricone
Miglior scenografia a Francesco Frigeri
Migliori costumi a Maurizio Millenotti
Premio David Scuola a Giuseppe Tornatore
Nomination Miglior film a Giuseppe Tornatore
Nomination Migliore sceneggiatura a Giuseppe Tornatore
Nomination Miglior montaggio a Massimo Quaglia
1999 - European Film Awards
Miglior fotografia a Lajos Koltai
1999 - Nastro d'argento
Regista del miglior film a Giuseppe Tornatore
Miglior produttore a Medusa Produzione
Migliore sceneggiatura a Giuseppe Tornatore
Miglior scenografia a Francesco Frigeri
Migliori costumi a Maurizio Millenotti
Nastro d'argento speciale a Ennio Morricone
1999 - Satellite Award
Nomination Miglior colonna sonora originale a Ennio Morricone
Nomination Miglior scenografia a Francesco Frigeri e Bruno Cesari
1999 - Ciak d'oro
Miglior film
Miglior regia a Giuseppe Tornatore
Miglior scenografia a Francesco Frigeri
Migliori costumi a Maurizio Millenotti
1999 - Globo d'oro
Miglior sceneggiatura a Giuseppe Tornatore
1999 - Camerimage
Nomination Rana d'oro a Lajos Koltai
1999 - Efebo d'oro
1999 - Toronto International Film Festival
Nomination Premio del Pubblico a Giuseppe Tornatore
2000 - Guild of German Art House Cinemas
Miglior film straniero a Giuseppe Tornatore
1999 - International Film Music Critics Award
Nomination Colonna sonora dell'anno a Ennio Morricone
2001 - Prêmio Guarani
Nomination Miglior film straniero a Giuseppe Tornatore
1999 - Sannio FilmFest
Miglior film a Giuseppe Tornatore
Migliori costumi a Maurizio Millenotti
Note
Altri progetti
Collegamenti esterni
Film drammatici
Film diretti da Giuseppe Tornatore
Film basati su opere teatrali
Film girati a Odessa
Film girati a Roma
Film sulle migrazioni umane
Ciak d'oro per il miglior film
Film ambientati sulle navi |
2610 | https://it.wikipedia.org/wiki/Ladan%20e%20Laleh%20Bijani | Ladan e Laleh Bijani | Le sorelle Bijani hanno affrontato numerose difficoltà a causa della loro natura: hanno dovuto scegliere una carriera che piacesse ad entrambe, e molte altre decisioni personali dovevano essere prese dopo l'approvazione l'una dell'altra. Sia per questa ragione che per altre, fin da quando erano molto giovani hanno sempre voluto separarsi.
Nel 1993, all'età di 19 anni, andarono in Germania, dove i medici rifiutarono di operarle, ritenendo che un intervento chirurgico sarebbe stato troppo pericoloso per entrambe.
Nel 2003 si recarono a Singapore per sottoporsi alla controversa operazione, pur essendo state avvertite che l'operazione chirurgica necessaria a separarle sarebbe stata ancora rischiosa per loro. La loro decisione di andare avanti ha scatenato l'interesse dei media. Dopo 29 giorni nel paese del sud est Asiatico, sono andate sul tavolo operatorio il 6 luglio, assistite da un'équipe di specialisti internazionali al Raffles Hospital.
Il tentativo di separare le gemelle ha incontrato grandi ostacoli fin dall'inizio dell'intervento: i loro cervelli, seppur separati, condividevano un'unica vena, e la separazione ha causato una copiosa emorragia. L'operazione si è conclusa tragicamente l'8 luglio 2003 con la morte di Ladan intorno alle 14:30, mentre la separazione era ancora in corso. Sua sorella Laleh è morta poco dopo, intorno alle 16:00.
Collegamenti esterni
"Surgeons' sorrow at death of twins" - BBC News article, July 8, 2003, containing an account by Dr. Loo of the operation. Last retrieved November 15, 2006.
"Till Death Do Us Part", from Wired, by Joshua Davis. October 2003. Last retrieved November 15, 2006.
Gemelli siamesi |
2612 | https://it.wikipedia.org/wiki/Laion | Laion | Laion (Lajen in tedesco, Laion/Laiun in ladino) è un comune italiano di abitanti della provincia autonoma di Bolzano in Trentino-Alto Adige.
Si trova su un altopiano a circa .
Geografia fisica
Il capoluogo, Laion, si trova a di altitudine. Il punto più basso è Novale di Sotto (Unterried), a , il più alto Raschötz, a .
Origini del nome
Il toponimo è attestato tra il 985 e il 1005 come Legian, nel 1142 come Laian e nel 1564 come Laien e deriva possibilmente dal nome di persona latino Lagius o Legius, col suffisso -anum e col significato di "terreno di Lagio". Il nome è anche incluso nel toponimo dell'insediamento antico Sublavione/Sublavio a Ponte Gardena.
Storia
Recenti sondaggi archeologici hanno permesso di individuare, nella zona Wasserbühel, tracce di epoca retica e romana. Il villaggio vero e proprio risulta comunque essere nato attorno alla proprietà medioevale della chiesa vescovile di Frisinga che qui possedeva un vasto latifondo. Non è un caso la prima menzione del paese è dovuta a una transazione fra il vescovo Gottschalk di Frisinga e il capitolo del suo domo, avvenuta nel 985-1005. Anche la chiesa vescovile di Ratisbona era proprietaria di beni a Laion nel 1005-1015. I vasti possedimenti di chiese vescovili bavaresi a Laion nel primo medioevo sono da ricondursi sia all'antica appartenenza della Valle Isarco al ducato baiuvaro degli Agilolfingi sia all'importanza geostrategica che la zona rivestì grazie alla sua posizione lunga la tratta del Brennero.
Nel XIX secolo, autorevoli esponenti della germanistica vollero vedere i natali del poeta Walther von der Vogelweide nel maso Vogelweider, posto nel Lajener Ried (Novale), e spinsero all'erezione di un monumento al poeta a Bolzano, ove questo fu inaugurato nel 1889. Fino al giorno d'oggi non è però chiara la vera origine del poeta.
Simboli
Lo stemma del paese riprende le armi partite d'argento e di nero dei signori di Lajen und Teiss, che risalgono al 1147, e raffigura nella prima partizione un uccello rosso in una gabbia dorata. Tale simbolo è quello che si osserva nell'insegna araldica di Walther von der Vogelweide, il più famoso e celebrato poeta medievale tirolese.
Monumenti e luoghi d'interesse
Chiesa di San Pietro, chiesa parrocchiale della frazione di San Pietro, consacrata nel 1767
Società
Ripartizione linguistica
La sua popolazione è in larga maggioranza di madrelingua tedesca:
Evoluzione demografica
Al 31 dicembre 2004 Laion contava 866 abitanti, Novale 711, San Pietro 318, Albions 267, Ceves 123, Tanurza 70 e Fraina 46.
Cultura
Infrastrutture e trasporti
Il comune è servito dalla stazione di Ponte Gardena-Laion, sita sulla ferrovia del Brennero. Tra il 1916 e il 1960 anche la ferrovia della Val Gardena effettuava due fermate nel territorio di Laion, precisamente nelle frazioni di Novale e San Pietro.
Amministrazione
Note
Bibliografia
Gemeindebuch Lajen - Raum und Mensch im Wandel der Zeit, Laion, Comune, 1993.
Stefano Marconi, Analisi dendrocronologica di reperti lignei provenienti dall'abitato della media età del Ferro di Lajen/Laion (Bolzano), «Annali del Museo Civico di Rovereto» 22, 2006, pp. 73–88.
Voci correlate
Stazione di Ponte Gardena-Laion
Altri progetti
Collegamenti esterni |
2613 | https://it.wikipedia.org/wiki/Ludwig%20Boltzmann | Ludwig Boltzmann | È stato uno dei più grandi fisici teorici di tutti i tempi. La sua fama è dovuta alle ricerche in termodinamica e meccanica statistica, ad esempio, l'equazione fondamentale della teoria cinetica dei gas e il secondo principio della termodinamica. Diede importanti contributi anche in meccanica, elettromagnetismo, matematica e filosofia.
Fu un personaggio controverso e le sue idee innovative (sull'atomismo, l'irreversibilità, ecc.) furono spesso fraintese e osteggiate. In particolare, il suo amore per la matematizzazione più estrema gli valse il soprannome di "terrorista algebrico". A Ludwig Eduard Boltzmann la UAI ha intitolato un cratere lunare.
Cronologia
1844 Nato a Vienna da un impiegato delle imposte e dalla figlia di un ricco mercante
1862 Ginnasio a Linz
1863 Università (fisica) a Vienna
1866 Dottorato con Josef Stefan
1867 Assistente di Josef Stefan
1869 Cattedra di Fisica a Graz
1873 Cattedra di Matematica a Vienna
1876 Matrimonio con Henriette von Aigentler (3 figlie + 2 figli)
1878 Preside di Facoltà
1885 Membro dell'Accademia Imperiale delle Scienze (Austria)
1887 Rettore a Graz
1888 Consigliere del Governo
1889 Consigliere di Corte
1890 Cattedra di Fisica Teorica a Monaco
1893 Cattedra di Fisica Vienna
1894 Dottore honoris causa a Oxford
1895 Socio straniero dell'Accademia dei Lincei
1899 Viaggio negli USA (laurea honoris causa nel Massachusetts)
1900 Cattedra di Fisica Teorica a Lipsia
1900 Cattedra di Fisica Teorica a Vienna
1901 Crociera nel Mediterraneo
1904 Visita l'Esposizione Internazionale di Saint Louis (USA)
1906 Si impicca a Duino (Trieste), mentre era in vacanza estiva con la famiglia. I motivi del suicidio sono incerti. Tra quelli ipotizzati: disturbo bipolare, malattie (quasi cecità, gastroenteriti, mal di testa, asma), morte prematura del primogenito, superlavoro, oppositori scientifici (Ernst Mach).
Fu sepolto a Vienna nel Zentralfriedhof. Sulla sua tomba è incisa l'epigrafe: "S = k log W " (con S entropia, k la costante di Boltzmann, e W la molteplicità dei microstati). Nel 2014, nella ricorrenza del 170º anniversario della sua nascita, è stata apposta una targa all'esterno dell'edificio Ples di Duino (ora sede del Collegio del Mondo Unito dell'Adriatico), dove il fisico si impiccò.
Tra le persone che hanno influenzato o che sono state influenzate da Boltzmann ricordiamo:
Maestri: Josef Stefan, James Clerk Maxwell (attraverso le opere)
Colleghi: Robert Wilhelm Bunsen, Gustav Robert Kirchhoff, Hermann von Helmholtz, Carl von Linde, Franz Brentano, Hendrik Antoon Lorentz
Critici: Ernst Mach, Wilhelm Ostwald, Max Planck, Ernst Zermelo, George Helm, Johann Josef Loschmidt, Lord Kelvin, Henri Poincaré, Karl Popper (postumo)
Allievi: Paul Ehrenfest, Julius Robert von Mayer, Lise Meitner, Svante Arrhenius, Walther Nernst, Gustav Herglotz
Risultati scientifici
Meccanica statistica
Equazione cinetica di Boltzmann (1872)
Teorema H di Boltzmann
Distribuzione di Maxwell-Boltzmann
Termodinamica
Legge di Stefan-Boltzmann
Elettromagnetismo
Misura della costante dielettrica nei gas
Anisotropia della costante dielettrica nei cristalli
Viscoelasticità
Principio di sovrapposizione di Boltzmann
Matematica
Della matematica, Boltzmann fu più un "utente" che un "creatore".
Pur padroneggiando il calcolo infinitesimale, preferiva ragionare in termini di differenze finite e sommatorie,
per poi usare derivate e integrali come strumenti tecnici.
Filosofia
In filosofia, Boltzmann si dichiarava un "materialista", nel senso che
L'idealismo asserisce che esistono solo l'«Io» e le varie idee, cercando di spiegare la materia a partire da queste.
Il materialismo parte dall'esistenza della materia e cerca di spiegare le sensazioni a partire da questa.
Ammirava Darwin, alle cui teorie evoluzioniste attribuiva una valenza filosofica.
Equazione di Boltzmann
L'equazione di Boltzmann è un'equazione della meccanica statistica che descrive il comportamento statistico, in particolare riguardo al trasporto, di un sistema in uno stato di non-equilibrio termodinamico:
Ove una funzione di densità di probabilità nello spazio di fase, ovvero il valore atteso di particelle a una data coppia di coordinate hamiltoniane. Il termine dipendente dai momenti coniugati descrive il trasposto convettivo, mentre il termine dipendente dalle forze esterne descrive il trasporto diffusivo.
Questa equazione descrive la variazione temporale e spaziale della distribuzione di probabilità della posizione e del momento della densità di distribuzione per un insieme di punti nello spazio di stato a particella singola. Molto spesso per la loro difficoltà di risoluzione si ricercano soluzioni approssimate all'equazione di Boltzmann che dipendono sia dall'ambito di utilizzo che dalle condizioni del sistema considerato. L'equazione fu concepita nel 1872 per descrivere le dinamiche di un gas ideale, tuttavia, una delle applicazioni più rilevanti sono le equazioni di bilancio, di cui un caso particolare senza sorgente sono le equazioni di conservazione.
Opere
Fisica e probabilità (a cura di Massimiliano Badino), Edizioni Melquìades, Milano 2005.
Scritti divulgativi (a cura di Carlo Cercignani), Universale Bollati Boringhieri, 1999.
Onorificenze
Note
Bibliografia
Carlo Cercignani, Ludwig Boltzmann e la meccanica statistica, La Goliardica Pavese, 1997, ISBN 8878302635.
David Lindley, Gli atomi di Boltzmann, Bollati Boringhieri, 2002.
G. Mussardo, E. Agapito, P. Scudo, Ludwig Boltzmann. Il genio del disordine, MediaScienza, 2007.
Voci correlate
Cervello di Boltzmann
Costante di Boltzmann
Metodi reticolari di Boltzmann
Altri progetti
Collegamenti esterni
Morti per suicidio
Morti a Duino-Aurisina
Professori dell'Università di Vienna
Sepolti nello Zentralfriedhof
Membri dell'Accademia delle Scienze di Torino |
2614 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lev%20Davidovi%C4%8D%20Landau | Lev Davidovič Landau |
Biografia
Nacque in una famiglia ebraica. Il padre, ingegnere, era dirigente di un'importante azienda petrolifera e la madre era medico. Fin da giovanissimo fu considerato un bambino prodigio: a 12 anni imparò da solo l'analisi matematica.
A 14 anni si iscrisse alle facoltà di fisica e chimica, optando poi per la prima, e a 16 anni affrontò la fisica teorica.
Ottenne la laurea nel 1927, anno in cui pubblicò un suo lavoro sull'irraggiamento nella meccanica quantistica, nel quale usò per primo la matrice densità per la descrizione degli stati.
Nel 1929 si recò a Copenaghen, dove Niels Bohr era solito tenere incontri nei quali si discuteva della fisica teorica del periodo, e questo fu un punto importante per la sua definitiva formazione di fisico.
Dal 1931 al 1934 fu a Leningrado, mentre dal 1935 fu a Charkiv, alla cattedra di fisica generale, dove, oltre a molteplici lavori, si dedicò all'organizzazione di una scuola speciale, pensando a un rinnovamento globale dell'insegnamento della fisica. Per questo motivo iniziò a lavorare a un corso di Fisica Teorica, in collaborazione con Evgenij Lifšic, che doveva poi rivelarsi come il più completo della fisica moderna, partendo dalla meccanica classica alla fisica statistica all'elettrodinamica dei continui, fino alla cinetica chimica.
Landau pensava che i metodi di insegnamento non fornissero sufficienti mezzi matematici ai fisici, per cui l'accesso alla sua scuola era regolato da un esame di ammissione, chiamato minimo teorico, nel quale veniva richiesta una perfetta conoscenza dell'analisi vettoriale, dell'algebra tensoriale e almeno dei presupposti delle funzioni a variabile complessa; argomenti più specifici sarebbero poi stati introdotti dove necessari.
Dal 1934 al 1961 solo 43 fisici furono in grado di superare tale esame (tra i quali Aleksej Abrikosov, premio Nobel per la Fisica nel 2003), ma uno dei risultati di questa scuola fu l'alto livello generale della fisica sovietica.
Nel 1937 si trasferì definitivamente a Mosca all'Istituto di Problemi Fisici. Nel 1938 Landau fu arrestato come "nemico del popolo", servo della fisica "borghese", e spia tedesca: trascorse un anno in carcere alla Lubjanka, dopo di che fu reintegrato presso lo stesso istituto grazie all'intervento del futuro Premio Nobel Pëtr Kapica, che chiese a Stalin la scarcerazione.
In seguito ottenne vari riconoscimenti anche esteri e nel 1962 gli fu conferito il Premio Nobel per "la ricerca pionieristica nella teoria dello stato condensato della materia e in particolare dell'elio liquido".
Il 7 gennaio 1962 fu vittima di un grave incidente stradale, quando, a causa della strada ghiacciata, l'autovettura su cui viaggiava, guidata dal fisico Vladimir Sudakov, con a bordo anche sua moglie, si scontrò con un autocarro. Landau rimase tra la vita e la morte per diverso tempo e diede i primi segni di coscienza solo il 27 febbraio; non superò mai veramente l'incidente, e morì il 1º aprile 1968 per un'improvvisa embolia polmonare.
Produzione scientifica
Dare un quadro completo della sua produzione scientifica è pressoché impossibile. Alcuni tra i suoi più importanti contributi sono:
nel 1937, interpretò il nucleo atomico come una goccia di liquido quantistico, senza supposizioni sui parametri che intervenivano nel modello;
nel 1956, alla scoperta della non conservazione della parità nelle interazioni deboli, propose il principio della parità combinata (trasformazione CP), trasferendo l'asimmetria sulle particelle, invece che allo spazio;
elaborazione della teoria degli sciami elettronici nei raggi cosmici, dove fornì i fondamenti matematici;
applicazione dell'idrodinamica relativistica nella produzione multipla di particelle nelle collisioni;
studio del diamagnetismo del gas di elettroni liberi;
studio dello smorzamento delle oscillazioni ad alta frequenza di un plasma;
transizioni di fase di seconda specie;
teoria della trivialità quantistica
teoria della superconduttività;
teoria dei liquidi quantistici e in particolare della superfluidità, legata all'elio-4.
Era tipico di Landau non riportare nelle pubblicazioni i riferimenti necessari, da un lato perché li giudicava banali, dall'altro perché agli stessi risultati egli era arrivato in altro modo, di solito più semplice ed elegante.
Il corso di fisica teorica
Una delle principali opere di Landau è il monumentale Corso di Fisica Teorica in dieci volumi, scritto insieme a Evgenij Lifšic, L. P. Pitaevskij e V. B. Beresteckij, una delle opere più sistematiche ed esaustive di fisica teorica finora scritte, che costituisce un punto di riferimento per tutti gli studenti universitari della materia, celebre peraltro per la chiarezza dell'esposizione e il rigore della trattazione. In realtà Landau non amava scrivere e si limitava a dare l'impostazione dei testi e a discuterli con i suoi collaboratori; la redazione diretta avveniva ad opera di questi ultimi.
Il corso si compone dei volumi:
vol. 1: Meccanica
vol. 2: Teoria dei campi
vol. 3: Meccanica quantistica: teoria non relativistica
vol. 4: Teoria quantistica relativistica (Lifšic, Beresteckij e Pitaevskij)
vol. 5: Fisica statistica
vol. 6: Meccanica dei fluidi
vol. 7: Teoria dell'elasticità
vol. 8: Elettrodinamica dei mezzi continui
vol. 9: Fisica statistica 2. Teoria dello stato condensato
vol. 10: Fisica cinetica
Tutti i volumi del trattato sono pubblicati in italiano dalla casa editrice Editori Riuniti.
Il suo corso ha esercitato una profonda influenza su chi ha studiato fisica in Italia negli anni settanta e ottanta, sia per l'effettiva consistenza di alcuni degli argomenti, sia per la facile reperibilità e il basso costo: rispetto ad altri testi di livello universitario, furono distribuiti anche in molte librerie non universitarie e quindi molti ebbero occasione di conoscerlo al di fuori del circuito accademico: erano rari gli studenti di fisica che non avessero acquistato almeno i primi tre volumi. Il quarto volume, scritto senza la supervisione di Landau, ha avuto in genere minori apprezzamenti, anche se ha conosciuto una buona diffusione. Gli altri erano relativi a corsi più specialistici, non sempre inclusi nei piani di studio.
Per molto tempo ciò che si seppe della biografia di Landau era riportato nell'introduzione al primo volume del corso, tradotta dal russo, abbastanza dettagliata su alcuni aspetti ma reticente su altri. Essa glissava, ad esempio, sull'arresto e sull'incarcerazione.
Curiosità
Si racconta che una targa sulla porta del suo ufficio di Charkiv dicesse: "Lev Landau. Attenzione, morde!" (Лев in russo sta per leone quindi la frase si poteva leggere come: "Leone Landau. Attenzione, morde!").
Landau era solito classificare tutto, anche i contributi che i fisici avevano dato allo sviluppo della propria disciplina. La classifica numerica andava da 0 (migliore) a 5 secondo una scala logaritmica, in cui si sottintendeva che il contributo di un fisico di una classe era di 10 volte superiore a quello di un fisico della classe successiva. Nella quinta classe andavano a finire i "patologici". Secondo questa classificazione Isaac Newton era classificato 0, Albert Einstein 0,5; Niels Bohr, Werner Karl Heisenberg, Paul Dirac, Erwin Schrödinger e gli altri fondatori della fisica quantistica erano nella prima classe. Per un lungo periodo Landau si classificò nella 2,5 per promuoversi in seguito alla 2. Il fisico David Mermin (classificato 4,5) ha menzionato la scala di Landau e le relative classificazioni in un articolo: "My Life with Landau: Homage of a 4.5 to a 2".
Note
Bibliografia
Fabio Toscano. Il fisico che visse due volte: i giorni straordinari di Lev Landau, genio sovietico. Milano, Sironi, 2008. ISBN 978-88-518-0096-3.
Altri progetti
Collegamenti esterni
Ebrei russi
Professori dell'Istituto di fisica e tecnologia di Mosca
Membri dell'Accademia delle scienze dell'URSS
Bambini prodigio
Sepolti nel cimitero di Novodevičij
Uomini universali |
2617 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lotta | Lotta | La lotta (anticamente "lutta", dal latino lŭcta) consiste nel combattimento corpo a corpo tra due avversari o anche la fase del combattimento in cui i due contendenti finiscono avvinghiati in contatto diretto. Il termine si riferisce in particolare a tecniche, movimenti e contromosse applicate al fine di ottenere un vantaggio fisico, come posizioni di dominanza, uscite e sottomissioni, o per infortunare un avversario. Viene studiata e praticata soprattutto per sport e competizioni agonistiche, ma anche nelle arti marziali, per difesa personale o per addestramento militare. Esistono molti stili di lotta ognuno con regole diverse sia tra gli sport tradizionali (la lotta popolare) che tra le discipline di combattimento moderne; ognuna adotta un vocabolario ed una terminologia diversa anche in occasione delle stesse tecniche ed azioni, questo perché ognuno di essi possiede una propria storia ed ha risentito del condizionamento culturale della società in cui si è evoluto.
Storia
La lotta è una delle più antiche forme di combattimento. Reperti archeologici babilonesi e egizi mostrano lottatori utilizzare gran parte delle tecniche note nelle competizioni sportive. Nell'antica Grecia, la lotta occupava un posto rilevante nella leggenda e nella letteratura; vi sono riferimenti già nell'Iliade, nella quale Omero racconta di scontri di lotta avvenuti nel contesto della guerra di Troia fra il XIII e il XII secolo a.C. Sotto certi aspetti brutali, la lotta greca era la disciplina principale negli antichi giochi olimpici. L'antica Roma attinse pesantemente dalla lotta greca, ma ne eliminò parte della sua brutalità e del suo carattere "sportivo" a favore di un approccio più orientato alla formazione psicofisica dei cittadini e dei soldati.
Durante il Medioevo, la lotta rimase popolare a livello regionale e venne patrocinata da molte famiglie reali, incluse quelle francesi, giapponesi ed inglesi. Tecniche lottatorie sono descritte nei manuali di arti marziali europee del Rinascimento, come mezzo di difesa personale integrante l'uso di tecniche di scherma. In questo periodo si ha anche notizia di lotte al femminile, come nel 1491 quando, nel corso di una lotta disputata con le braccia, la duchessa Beatrice d'Este gettò a terra la cugina Isabella d'Aragona, salendole poi addosso.
In oriente, invece, l'addestramento militare, come per esempio quello delle guardie imperiali cinesi o dei samurai, comprendeva l'uso di tecniche corpo a corpo in caso si fosse perduta l'arma, come nello shuai jiao o nel jujutsu. Forme di lotta tradizionale si sviluppano in numerose parti del mondo, dalla Scandinavia all'India.
Le prime colonie americane importarono una forte tradizione lottatoria dall'Inghilterra. I coloni trovarono forme di lotta anche fra i nativi americani. La lotta amatoriale fiorì attraverso i primi anni degli Stati Uniti e divenne un'attività popolare in fiere, festività, celebrazioni ed esercitazioni militari.
Il primo torneo nazionale organizzato di lotta fu tenuto a New York nel 1888, mentre la prima competizione di lotta nei moderni Giochi Olimpici si tenne nel 1904 a Saint Louis.
Nel 1912 viene fondata la Federazione Internazionale delle Lotte Associate (FILA), ad Anversa. Recentemente è stata rinominata in United World Wrestling. Nel corso del XX secolo si sono differenziate numerose nuove discipline sportive lottatorie (sia di tradizione occidentale, che orientale), come anche spettacoli puramente d'intrattenimento confluiti nel pro wrestling. La United World Wrestling, sotto la giurisdizione del Comitato Olimpico Internazionale, ha riconosciuto nell'ambito sportivo le seguenti specialità come stili internazionali ufficiali, stabilendone regole uniche e gestendone incontri sportivi a livello mondiale:
Lotta greco-romana;
Lotta stile libero;
Lotta femminile;
Lotta sulla spiaggia;
Pancrazio;
Grappling;
Belt wrestling.
Esistono comunque numerosi stili folkloristici tradizionali che fanno parte della lotta popolare, nonché alcune arti marziali e sport da combattimento vari basati sulla lotta.
Tipi di lotta
Ci sono molti differenti stili regionali di lotta sparsi nel mondo che sono praticati in una ristretta area geografica o nazione, come la malla-yuddha indiana o la s'istrumpa sarda. Altri stili di lotta come lo shoot wrestling, il catch wrestling, il submission grappling, il Brazilian jiu-jitsu, il judo, il sambo, la lotta libera e la lotta greco-romana hanno invece ottenuto popolarità a livello globale. Il judo, la lotta libera e la greco-romana hanno ottenuto lo status di sport olimpici, mentre il jiu-jitsu brasiliano e il sambo hanno i loro campionati mondiali.
Altri tipi di lotta conosciuti sono la luta livre, lo shuai jiao, l'aikidō, l'hapkido e la lotta sulla spiaggia.
In queste discipline, l'obiettivo è o di portare al suolo l'avversario e bloccarlo, oppure di afferrarlo con una presa specializzata per sottometterlo e costringerlo ad arrendersi mediante un segnale (in genere, battere una mano).
Sostanzialmente le tecniche utilizzate sono le stesse (con eventuali varianti nelle prese a seconda dell'indumento usato), poiché il corpo umano rimane lo stesso così come i modi di manipolarlo, a differenziare le varie discipline è più che altro il regolamento nelle competizioni che influisce su quali utilizzare e su come giungere ad esse.
Oltre che per l'eventuale fine (autodifesa o agonismo) gli stili di lotta trovano numerosi distinguo: i combattimenti si possono focalizzare sul controllo diretto e fisico dell'avversario, sul suo atterramento, ma possono essere specializzate in tecniche di sottomissione, o per il fatto che vengono combattute prevalentemente in piedi o a terra. Un'ulteriore differenziazione viene fatta in base all'abbigliamento con cui vengono praticate: la lotta olimpica viene praticata con uno specifico costumino o singlet, mentre le lotte provenienti dall'oriente si catalogano in "gi" o "no-gi" (se si veste o meno il budogi), ma ovviamente ogni altro stile di lotta possiede un abbigliamento proprio, caratteristico del folklore e della società di appartenenza.
Abbigliamento per lottare
Esistono grosso modo due modi per vestirsi nel praticare lotta, che possono influenzare la gamma di tecniche utilizzabili e il modo di esecuzione del confronto: in un caso si pratica con una giacca apposita, come per esempio il keikogi nelle discipline orientali o la kurtka nel sambo, o un pantaloncino in juta con le gambe arrotolate su cui si effettuano le prese nello Schwingen svizzero, un gilèt variopinto nella boke mongola, un particolare perizoma detto mawashi nel sumo, specifici bermuda in pelle nella lotta all'olio turca Kırkpınar e così via. In alternativa si può non utilizzare tale indumento per consentire prese.
In questi casi l'abbigliamento viene utilizzato per eseguire le prese, mentre nelle discipline olimpiche che si rifanno alle lotte antiche (che venivano praticate nudi), si indossano costumi attillati (troppo leggeri per effettuarci delle tecniche) che quindi enfatizzano il controllo diretto del corpo usando solo le prese e gli agganci naturali; è chiaro che non esiste una regola univoca e in alcune forme di lotta si combatte a petto nudo. Anche le calzature comunque fanno parte delle "divise" dei lottatori si svaria dalla pratica a piede nudo, all'utilizzo di stivali, scarponi o scarpette sportive specifiche.
La forma comprensiva di un giacchetto, spesso detta "gi" per estensione del termine usato nelle discipline di origine orientale, spesso utilizza prese sugli indumenti (in alcuni casi anche sulle cinture) per controllare il corpo dell'avversario, mentre le forme "no-gi", più proprie della tradizione occidentale, enfatizzano il controllo diretto di torso e testa usando solo le prese naturali del proprio corpo.
Anche se l'uso di un giacchetto è obbligatorio nelle competizioni di judo, di sambo e gran parte di quelle di BJJ, così come in molte varietà di lotta popolare (o "folk wrestling") nel mondo, molti atleti si allenano anche senza, in genere per affinare la capacità di presa non avendo un indumento da afferrare.
Non viene usato invece in discipline come la lotta olimpica o il submission grappling no-gi, dove gli atleti indossano al massimo tute aderenti come la rash guard o il singlet, che non consentano di essere sfruttati per applicare tecniche. In alcune forme di wrestling si compete addirittura a petto nudo, indossando solo dei pantaloncini; nel sumo, si indossa solo un perizoma, detto mawashi.
Lotta in piedi e al suolo
La distinzione più ricorrente per la lotta è relativa al suo essere applicata in piedi o a terra.
Più specificatamente la lotta in piedi, spesso impropriamente indicata con il termine inglese di clinching (che è un'azione che fa parte invece della lotta in piedi), è parte integrante di qualsiasi arte di lotta, considerando che di solito i due combattenti iniziano l'incontro da una posizione in piedi. L'obbiettivo della lotta in piedi varia quindi a seconda dell'arte marziale o dello sport da combattimento di riferimento. Una lotta in piedi difensiva concerne di per sé con l'applicazione di prese dolorose o lo scappare da esse, mentre una lotta in piedi offensiva include trapping, proiezioni, lanci, intesi per infliggere seri danni o per spostare il combattimento al suolo.
La lotta in piedi può essere anche impiegata sia offensivamente che difensivamente in combinazione con lo scambio di colpi, o per impedire all'avversario di ottenere una distanza sufficiente per poter lui stesso usare le percussioni.
La lotta a terra si riferisce a tutte le tecniche di lotta applicate quando i due lottatori non si trovano più in una posizione in piedi. Gran parte di molte arti marziali e sport da combattimento che includono la lotta al suolo consiste nel posizionamento e nell'ottenere una dominanza sull'avversario. Questa situazione (di solito al di sopra di esso) consente al lottatore in posizione di vantaggio una vasta gamma di opzioni, come: cercare di fuggire rialzandosi, ottenere un'immobilizzazione per controllare e sfiancare l'opponente, eseguire una tecnica di sottomissione come una leva, o colpirlo velocemente. Il lottatore a terra, d'altra parte, si concentra principalmente nell'uscire dalla situazione e migliorare la sua posizione, di solito con un ribaltamento. In alcune discipline, in particolare quelle che utilizzano una posizione cosiddetta di guardia, il lottatore a terra può riuscire ad applicare una sottomissione a chi è situato sopra di lui.
In ambito sportivo, la lotta in piedi di solito riguarda il proiettare efficacemente l'avversario. In alcune specialità come la glíma, il combattimento finisce appena l'avversario è caduto. In altre, l'incontro può continuare al suolo finché non vengono incontrate alcune condizioni (come una sottomissione o un'immobilizzazione): Per esempio, nella lotta olimpica si cerca di far poggiare l'avversario con la schiena a contatto con la superficie del tappeto o proiettarlo con grande ampiezza per vincere; nel judo lo scontro in piedi detto randori cerca una proiezione perfetta sull'avversario per ottenere la vittoria o ippon, qualora egli finisca a terra ma senza schienata si può passare ad un lavoro a terra detto ne-waza in cui si cerca di immobilizzarlo schiena a terra per un determinato periodo di tempo o sottometterlo.
Sportivamente esistono anche discipline di sola lotta a terra, o nelle quali si può ottenere la vittoria solo a terra, è il caso per esempio del Submission Grappling e del Brazilian jiu-jitsu, che si concentrano su tecniche di sottomissione. Per contro, la lotta greco-romana è la disciplina del clinching per eccellenza.
Lotta come dominio fisico o come sottomissione
La lotta può essere categorizzata anche in base al suo concentrarsi sul controllo fisico oppure sulla sottomissione. Questa distinzione era già nota nell'antichità, in epoca classica per esempio venivano definite come lotta canonica oppure pancreatoria. Fra le discipline appartenenti al primo ambito ci sono il sumo, la lotta libera o la sua meno nota variante lotta sulla spiaggia (uno stile basato sulle tecniche della lotta libera ma a differenza di quest'ultima è vietato il combattimento a terra, l'intento delle federazioni che organizzano i tornei di lotta sulla spiaggia è quello di promuovere e diffondere il wrestling anche al di fuori delle palestre, sfruttando un ambiente di gara naturale e molto popolato). Sono competizioni in cui si ottiene la vittoria in genere schienando l'avversario o facendolo uscire da un'area delimitata, incoraggiando in genere proiezioni e lavoro di controllo.
Fra le discipline appartenenti al secondo ambito, vi sono il Brazilian jiu-jitsu, la luta livre e il submission grappling, nei quali la vittoria è invece data dalla resa dell'avversario che subisce una sottomissione e incoraggiano un tipo di lavoro (soprattutto a terra, ma non necessariamente) finalizzato a conseguire ciò.
Il sambo cerca di esplorare entrambi gli ambiti con diverse gradazioni, a seconda della specialità di sambo.
Questa appena descritta si tratta di una distinzione che nella lingua italiana non viene definita, dato che si utilizza generalmente per tutto il solo termine "lotta" proveniente dal latino lucta.
Ma nei paesi anglosassoni (soprattutto Regno Unito e Stati Uniti), dove esiste una florida e datata tradizione di lotta, e dai quali provengono i principali atleti e campionati, si impiegano diversi termini utilizzati anche nei circuiti internazionali e che a volte possono generare confusione.
Nella lingua inglese si utilizza in genere il famoso termine "wrestling" per definire quella parte della lotta consistente in clinching, proiezioni, lanci, prese ed immobilizzazioni, dove due avversari ingaggiano una competizione fisica in cui cercano di ottenere e mantenere una posizione di dominanza. La parola si riferisce soprattutto alla lotta olimpica, che viene definita in genere "amateur wrestling", in Italia il termine viene associato in genere solo agli spettacoli del "professional wrestling" che sono una forma di show che non va confuso con le competizioni lottatorie propriamente dette.
Il termine proviene dall'Inglese antico ed è una delle parole inglesi più remote nel tempo per descrivere il combattimento corpo-a-corpo. Il dizionario Merriam-Webster lo definisce come "uno sport o competizione in cui due individui disarmati combattono corpo-a-corpo per soggiogare o sbilanciare l'altro".
Esiste però anche il termine "grappling", che in inglese indica la lotta in generale in ogni suo aspetto, ma che a volte (e soprattutto in Italia) viene inteso riferendosi alla sola parte della lotta consistente in tecniche di sottomissione (strangolamenti, soffocamenti, leve, chiavi e torsioni) e in tecniche operanti per poter applicare le prime (che non sono invece parte delle discipline di wrestling, a parte alcune eccezioni come il catch wrestling che ne ha adottate alcune nelle proprie regole).
A volte si associa impropriamente il termine wrestling alla lotta in piedi e erroneamente grappling a quella a terra, ma in realtà è possibile effettuare un "lavoro di wrestling" anche a terra così come leve o strangolamenti sono applicabili anche in piedi.
Tecniche di lotta
Le tecniche di lotta possono essere suddivise in queste categorie:
lavoro in piedi: ha luogo quando entrambi i competitori sono in piedi ed utilizzano prese applicate alla parte superiore del corpo dell'avversario, per condizionarne il comportamento o effettuare determinate altre tecniche. Consiste in prese e controlli di polsi, gomiti, e nuca, opposizioni con il petto, cintamenti e così via. Il lavoro in clinch è generalmente usato per preparare o per difendersi da proiezioni, ma in certe specialità anche per poter colpire l'avversario più efficacemente, oppure per cercare poi di afferrare l'avversario in una sottomissione. La lotta greco-romana è la disciplina del clinch per eccellenza.
Proiezioni: una proiezione è utilizzata dal lottatore per manipolare l'avversario (sbilanciandolo o sollevandolo) generalmente da una posizione in cui sono entrambi in piedi ad una al suolo, tutte prevedono comunque che l'esecutore mantenga una posizione di vantaggio o relativo controllo rispetto all'avversario. Lo scopo delle proiezioni varia a seconda delle discipline a volte enfatizzando il potenziale di incapacitare direttamente l'avversario con la caduta (in questo caso la schienata viene considerata KO e determina la fine dell'incontro), oppure indirizzando verso la possibilità di ottenere una posizione di controllo, per esempio per applicare una sottomissione. Si considera una proiezione anche quando il lottatore solleva il suo avversario e lo manovra forzatamente in aria verso il suolo, anche lanciandolo; se l'esecutore rimane in piedi e non segue l'avversario a terra, il lancio viene di solito definito slam, altrimenti throw secondo la terminologia inglese ma per la sua pericolosità è vietato in alcune discipline. Esistono anche sollevamenti e proiezioni applicabili da una posizione al suolo.
Immobilizzazioni e controlli: con questi termini si definiscono aspetti notevolmente differenti da disciplina a disciplina perché sono influenzate dalle finalità di ciascuna di esse in alcune un'immobilizzazione implica il trattenere un avversario da una posizione in cui non può attaccare, in altre comporta una vittoria immediata se mantenuta per un certo periodo di tempo, in altri invece è considerata inattività e può comportare la ripresa dell'incontro da una posizione libera (con eventuale sanzione per chi manteneva la staticità) ma può anche essere considerata una posizione di dominanza ricompensata con punti. Altre tecniche di controllo sono utilizzate per mettere faccia a terra l'avversario di modo da evitare che possa scappare o attaccare, oppure per mantenere una posizione di guardia da una situazione svantaggiosa come quando si è al di sotto dell'avversario. In questo senso un tipo di controllo viene detto turnover e viene usato per muovere e spostare un avversario che è pancia a terra o chiuso su sé stesso al fine di ottenere punti, preparare una presa o ottenere una posizione di maggior vantaggio.
Sottomissione: ne esistono di due tipi, le costrizioni e le manipolazioni. Alle prime appartengono tutte quelle tecniche che possono potenzialmente strangolare o soffocare l'avversario, le compressioni di muscoli o tendini sulle ossa, oppure in generale ogni tecnica che penetra o schiaccia punti sensibili (muscoli, organi, ghiandole). Alle seconde appartengono quelle tecniche che possono potenzialmente arrecare danno ad una giuntura o ad un'articolazione come torsioni, chiavi e soprattutto leve. In competizioni sportive, ci si aspetta che chi subisce una sottomissione tramite segnali verbali o gestuali (come il battere con la mano) si arrenda, ammettendo così la sconfitta poiché trattenuto in una presa da cui non può scappare. Chi viene sottomesso e si rifiuta di "battere" rischia la perdita di sensi o un serio infortunio. In ambito di polizia o di difesa personale, si possono applicare prese di sottomissione per bloccare un soggetto pericoloso o impedire la fuga di un criminale; in questo caso, più che di sottomissione, si parla in genere di controllo doloroso o presa da capacitanza dolorosa ("pain compliance hold"). Queste tecniche possono causare dislocamenti, strappi, fratture, perdita di sensi e persino morte.
Fughe: in senso generale, una fuga si ottiene muovendosi fuori da una situazione di rischio o da una posizione di inferiorità; per esempio quando un lottatore si trova al di sotto del suo avversario ma riesce ad uscire dalla posizione, oppure quando da terra riesce a rialzarsi, o quando sta per subire una sottomissione ma riesce a prevenirla e ad evitare la presa.
Ribaltamenti e spazzate: in genere occorrono quando un lottatore che si trova al suolo al di sotto di un altro riesce ad eseguire una mossa che gli consente di ottenere una posizione di vantaggio sull'avversario.
Aspetti fisiologici
Le discriminanti nell'approccio alla lotta è ciò che gli studiosi definiscono “intelligenza cinestetica” e capacità propriocettiva. L'intelligenza cinestetica consiste nella capacità di un individuo di saper gestire il proprio corpo e di controllarne i movimenti, manipolare oggetti trasformarli e riorganizzarli, o nel caso della lotta controllare il corpo di coloro con cui si entra in relazione, osservare situazioni e riprodurle, programmare sequenze di azioni anche a livello astratto. È un'intelligenza che permette l'apprendimento attraverso il movimento (toccando oggetti, muovendosi, interagendo con lo spazio). La propriocezione è la capacità di percepire e riconoscere la posizione del proprio corpo nello spazio e lo stato di contrazione dei propri muscoli, anche senza il supporto della vista.
La propriocezione assume un'importanza fondamentale nel complesso meccanismo di controllo del movimento.
La natura stessa impone dei tempi di apprendimento di queste due capacità che rientrano in quei processi fondamentali dell'età evolutiva e che quindi rimangono più ostiche nell'età adulta, ma soprattutto la natura ci impone la metodica di apprendimento che in tutti i mammiferi è la lotta (la principale attività dei cuccioli per lo sviluppo psico-motorio).
È quindi sulla base di quanto scritto che in tutte le scuole professionistiche di sport di combattimento comprese quelle di MMA si attribuisce uno spazio molto ampio all'apprendimento delle tecniche lottatorie sia tra i professionisti che soprattutto nell'ambito giovanile ed infantile, come dichiarato poi dallo stesso Alessio Sakara in un suo intervento “consiglio ai giovani” (youtube).
La Lotta intesa come la Lotta Olimpica risulta essere la disciplina più utile all'apprendimento in sicurezza di queste abilità che poi saranno indispensabili nella pratica anche di discipline più cruente. Lungi questo dal voler sostenere che la lotta sia la più efficace tra le discipline di combattimento, ma soltanto che i fondamentali inerenti a questa specialità sono oltre che fondamentali anche più complessi e quindi da apprendere prematuramente.
Uso
Il grado con cui le tecniche di lotta sono utilizzate nei differenti sistemi di combattimento varia. Alcune discipline, come il catch wrestling, il submission wrestling, il judo, il sumo, e il Brazilian jiu-jitsu sono esclusivamente arti di lotta e non contemplano l'esecuzione di colpi.
Nel pancrazio antico invece la lotta era un tutt'uno con lo scambio di colpi e l'utilizzo delle mosse più efferate, comprese lo spezzamento delle dita o la possibilità di mordere. Odierni sport da combattimento come le arti marziali miste ed il Pancrazio moderno, sono le discipline che più si avvicinano a questa totalità consentendo agli atleti partecipanti di usare sia tecniche di lotta che percussioni, utilizzando l'una per poter applicare meglio le altre o viceversa le altre per giungere facilmente alla prima. I lottatori di lotta libera hanno conquistato il maggior numero di titoli in questa disciplina ibrida.
La lotta non è comunque consentita in tutte le arti marziali e gli sport da combattimento; di solito allo scopo di concentrarsi su altri aspetti del combattimento come le tecniche pugilistiche, i calci o l'uso di armi. Gli avversari in questi tipi di incontro, tuttavia, possono ancora entrare brevemente in una fase di lotta o comunque di contatto diretto per fatica fisica o dolore; quando ciò avviene, l'arbitro può intervenire per separarli e far ripartire lo scontro, a volte dando un avvertimento ad uno o entrambi i competitori. Ciò avviene per esempio nel pugilato, nella kickboxing, nel taekwondo, nel karate e nella scherma. Una fase di grappling prolungata nella muay Thai comporterà anch'essa la separazione dei combattenti, ma l'arte studia intensamente l'utilizzo di tecniche di clinching attorno al collo.
Le tecniche di lotta e la difesa dalle tecniche di lotta sono anche considerati importanti nella difesa personale e nelle applicazioni di polizia. Le più comuni tecniche insegnate hanno lo scopo di difendersi da prese o applicare prese dolorose.
D'altra parte, la lotta consente di controllare un avversario senza arrecargli danno. Per questo motivo, molte forze di polizia ricevono un certo grado di addestramento nella lotta.
A maggior ragione, gli sport di lotta sono stati regolamentati di modo da permettere ai partecipanti di competere con tutti i loro sforzi fisici senza dover infortunare gli avversari.
La lotta viene chiamata dumog nell'eskrima. Il termine chin na nelle arti marziali cinesi ha a che fare con l'uso della lotta per ottenere una sottomissione o incapacitare l'avversario (ciò può implicare l'uso dei punti di agopuntura). Alcun arti marziali cinesi, l'aikidō e diversi sistemi di eskrima, così come molte arti marziali europee medievali e rinascimentali, contemplano la lotta quando uno o entrambi i contendenti sono armati e ne studiano l'applicazione in sinergia con l'uso di armi. Per esempio, un bastone può essere impiegato anche per effettuare uno strangolamento dopo una fase di scambio di colpi. Questa pratica è significativamente più pericolosa della lotta disarmata e richiede generalmente un alto livello di allenamento.
Alcuni artisti marziali, come i Dog Brothers, combinano la lotta con l'uso di armi.
Lotta "shoot" o "show"
Nei paesi anglosassoni, si distingue in genere fra la lotta praticata a livello agonistico, spesso identificata col collegiate wrestling e l'amateur wrestling (e che ricadono nell'ambito della lotta olimpica), e il "professional wrestling", che consiste in realtà in spettacoli d'intrattenimento, a volte seguenti anche un copione prestabilito. La lotta come "show" si è sviluppata in particolare nelle forme del pro wrestling, del puroresu e della lucha libre.
Note
Bibliografia
Voci correlate
Arti marziali
Lotta tradizionale
Lotta con cintura
Lotta nell'olio
Lotta nel fango
Lotta sulla spiaggia
Lotta femminile
Lotta ai Giochi olimpici
Sport da combattimento
Altri progetti
Collegamenti esterni
Sport individuali |
2618 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lingue%20d%27Italia | Lingue d'Italia | Le lingue dell'Italia costituiscono uno dei più ricchi e variegati patrimoni linguistici all'interno del panorama europeo.
Ad eccezione di taluni idiomi stranieri legati ai moderni flussi migratori, le lingue che vi si parlano comunemente sono in via esclusiva di ceppo indoeuropeo e appartenenti in larga prevalenza alla famiglia delle lingue romanze; sono presenti, altresì, varietà albanesi, germaniche, greche e slave.
La lingua ufficiale (de facto) della Repubblica Italiana, l'italiano, discende storicamente dalla variante letteraria del volgare toscano, il cui uso in letteratura è iniziato con le cosiddette "Tre Corone" (Dante, Petrarca e Boccaccio) verso il XIII secolo, e si è in seguito evoluto storicamente nella lingua italiana moderna; questa, con l'eccezione di alcune aree di più tarda italianizzazione, sarebbe stata ufficialmente adottata come codice linguistico di prestigio presso i vari Stati preunitari a partire dal XVI secolo.
Ciononostante, la lingua italiana – utilizzata in letteratura e nell'amministrazione in maniera principalmente scritta, e di conseguenza coesistente in diglossia con i differenti vernacoli locali utilizzati nel parlato – al momento dell'unificazione politica di gran parte dell'Italia nel Regno sabaudo, nel 1860, era parlata da una minoranza della popolazione costituita fondamentalmente dalle classi colte o semplicemente istruite, ma poté in seguito diffondersi tra le masse popolari mediante l'istruzione obbligatoria, nonché grazie al contributo, non meno determinante e più recente, della televisione. Sino all'emanazione della legge 482/99, l'avvento della televisione vide escluso l'uso dei dialetti e delle lingue di minoranza, salvo quanto previsto dagli accordi internazionali sottoscritti dall'Italia dopo la seconda guerra mondiale a favore delle minoranze linguistiche tedesca della provincia di Bolzano, slovena della regione Friuli-Venezia Giulia e francese della Valle d'Aosta.
Dal punto di vista degli idiomi locali preesistenti esclusivamente nel parlato, ne consegue un processo di erosione linguistica e di minorizzazione, processo accelerato sensibilmente dall'ampia disponibilità di mezzi di comunicazione di massa in lingua italiana e dalla mobilità della popolazione, oltre ad una scarsa volontà politica di riconoscere una valenza culturale ai dialetti. Questo tipo di cambiamenti ha ridotto sensibilmente l'uso degli idiomi locali, molti dei quali sono ormai considerati in pericolo di estinzione, principalmente a causa dell'avanzare della lingua italiana anche nell'ambito strettamente sociale e relazionale.
La normativa tutela invece le minoranze linguistiche, soprattutto attraverso l'articolo 6 della Costituzione (La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.) e la legge 482/1999 (... la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l'occitano e il sardo). La stessa legge 482/99 prevede anche l'obbligo, in capo alla RAI, di trasmettere anche nelle lingue delle dodici minoranze linguistiche.
Secondo Tullio De Mauro, il plurilinguismo "italiano più dialetti o una delle tredici lingue di minoranza" (egli vi includeva anche il romaní, poi escluso dall'art. 2 della L. 482/1999 perché privo dell'elemento della "territorialità") gioca un ruolo positivo in quanto «i ragazzi che parlano costantemente e solo italiano hanno punteggi meno brillanti di ragazzi che hanno anche qualche rapporto con la realtà dialettale».
Lingue territoriali
Lingue non territoriali
Esistono poi «lingue non territoriali», parlate in Italia ma non in un territorio definito: come gli idiomi dei nomadi Rom e Sinti, e la lingua dei segni italiana (LIS). Quest'ultima è parlata dalla comunità di persone sorde, diffusa in tutto il territorio italiano, e ha radici culturali, grammatica, movimento e morfologia, movimento spazio-tempo. La popolazione italiana dei sordi è composta da circa persone che utilizzano la LIS e degli Assistenti alla Comunicazione e degli Interpreti, ed è riconosciuta dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata in Italia nel 2009. Spesso queste lingue trovano tutela solo nella legislazione regionale, come altre regioni tra cui la Sicilia che ha promosso la diffusione della LIS, con la L.R. 23/2011, in Piemonte la L.R. 31/2012, in Basilicata la LR 30/2017, in Lombardia la LR 20/2016, in Lazio con la LR 6/2015. Esiste infine il metodo Malossi, una lingua tattile utilizzata dalle persone sordo-cieche e dai loro assistenti in varie parti d'Italia.
Lingue romanze nella Repubblica Italiana
Gran parte delle lingue romanze e le loro varietà parlate entro i confini italiani – ad esclusione della lingua italiana e degli italiani regionali – sono indicate dalla letteratura specialistica italiana come dialetti italo-romanzi, in senso sociolinguistico, in quanto dialetti romanzi che convivono con l'italiano quale lingua tetto.
I dialetti italo-romanzi sono anche descritti come lingue sorelle dell'italiano, essendo dialetti romanzi primari, ossia varietà indipendenti e coeve alla lingua italiana, sviluppatesi autonomamente a partire dal latino; vanno perciò distinti dagli italiani regionali, che sono le varietà locali della lingua italiana, da cui derivano, e che costituiscono dei dialetti romanzi secondari.
Va notato che la categoria "dialetti italiani", come gruppo omogeneo che racchiude le lingue italo-romanze, ha poca rilevanza da un punto di vista strettamente linguistico, data la grande differenza che può sussistere tra un dialetto e l'altro; tuttavia, la dicitura dialetto milanese, dialetto napoletano, ecc. non è scorretta, data la diffusa accezione del termine in Italia nel senso sociolinguistico di "lingua sociolinguisticamente subordinata a quella nazionale" o "lingua contrapposta a quella nazionale".
Lingua sarda
La lingua sarda è costituita da un continuum di dialetti interni reciprocamente comprensibili e solitamente ricompresi in due norme ortografiche: quella logudorese, nella zona centro-settentrionale, e quella campidanese, in quella centro-meridionale.
Attualmente la lingua sarda è co-ufficiale (insieme all'italiano) nella Regione Autonoma della Sardegna ed è ufficialmente riconosciuta dalla Repubblica come una delle dodici minoranze linguistiche storicamente parlate nel suo territorio. Nel periodo corrente, il sardo è una lingua in pericolo di estinzione, minacciata dal processo di deriva linguistica verso l'italiano ufficialmente avviato nel diciottesimo secolo e ora in stadio piuttosto avanzato.
Si caratterizza in quanto estremamente conservativa, tanto da essere considerata la lingua che nei secoli si sia meno discostata dal latino. La maggior parte degli studiosi ritiene che il gruppo sardo sia da considerarsi autonomo nell'ambito delle lingue romanze. Si ritiene che il sardo costituisca l'unico esponente ancora in vita di in un sistema linguistico romanzo "meridionale", insieme agli ormai estinti dialetti corsi cronologicamente precedenti alla toscanizzazione dell'isola e all'altrettanto estinta parlata latina dell'Africa settentrionale che, fino all'invasione araba, coesistette col berbero e il punico.
Lingue retoromanze
Questo gruppo linguistico, identificato nel suo insieme per la prima volta da Graziadio Isaia Ascoli, fu per molto tempo considerato un sottogruppo del gruppo italoromanzo; attualmente, però, è generalmente considerato un sistema autonomo nell'ambito delle lingue romanze.
Le lingue riconosciute che ne fanno parte sono il romancio (parlato in Svizzera nel cantone Grigioni), il ladino ed il friulano; nel complesso queste tre lingue esauriscono l'intero gruppo.
La lingua friulana è parlata nelle province di Gorizia, Pordenone, Udine e in alcuni comuni di quella di Venezia. Oltre alla tutela statale, è riconosciuta ufficialmente dalla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia quale "lingua della comunità regionale".
La lingua ladina è parlata nell'area dolomitica (ladinia). È lingua coufficiale nella provincia autonoma di Bolzano, ha riconoscimento nella provincia autonoma di Trento e ne è stata recentemente introdotta la tutela anche nei comuni ladini della provincia di Belluno. Varie influenze linguistiche ladine sono presenti anche nel nones, parlato in Val di Non nella provincia autonoma di Trento, tanto che alcuni linguisti considerano questa parlata appartenente al gruppo linguistico ladino.
Lingue settentrionali
Altrimenti dette "altoitaliane" o "padane".
Nella prima metà del Novecento i gruppi galloitalico e veneto erano considerati romanzi orientali, ora sono unanimemente considerati romanzi occidentali.
È stata ipotizzata l'esistenza di una koiné lombardo-veneta, una lingua comune che nel Medioevo sarebbe arrivata ad un certo grado di assestamento, prima di retrocedere di fronte al toscano; con il quale, pare, competesse per il ruolo di lingua letteraria.
Tra i tratti linguistici identificati come comuni nel diasistema italoromanzo Meyer-Lübke indica il passaggio da "cl" a "chi"; ma questo, come fa notare lo stesso Tagliavini, è valido solo per toscano e centromeridionale, mentre le lingue settentrionali palatizzano (cioè passano a "ci"), anche davanti ad "a".
Gruppo galloitalico
Il gruppo galloitalico presenta affinità con le lingue romanze occidentali ma per molti versi se ne discosta. Infatti alcuni tratti sono italoromanzi: nel gallo-italico e nel veneto è assente il plurale sigmatico, cioè terminante in -s (il plurale è vocalico al femminile, mentre al maschile è vocalico o adesinenziale), sono assenti le s come desinenze verbali (eccetto nel piemontese occidentale nella seconda persona singolare dei verbi ausiliari e del futuro), sono pressoché assenti le "s" come desinenze pronominali ed i nessi consonantici sono semplificati (ad esempio piassa per piazza, mentre le lingue neolatine occidentali ed in misura minore le lingue neolatine orientali balcanoromanze mantengono i nessi consonantici).
Caratteristiche che si riconducono alla Galloromania presenti negli idiomi gallo-italici sono l'indebolimento delle sillabe atone (fortissimo soprattutto nell'emiliano), la sonorizzazione delle consonanti occlusive intervocaliche e la riduzione delle geminate nella stessa posizione (lenizione), la caduta in molti casi delle consonanti finali e la presenza in molte varianti di fonemi vocalici anteriori arrotondati (/y, ø/, in passato dette "vocali turbate"). Vari linguisti hanno messo in relazione la similarità con gli idiomi gallo-romanzi con il comune sostrato storico celtico, questa ipotesi è ancora materia di discussione e alcuni linguisti attribuiscono l'indebolimento sillabico e i fonemi /y, ø/ ad un'evoluzione locale indipendente.
Altre caratteristiche proprie di questo sistema sono la risoluzione palatale del gruppo cl-, gl- e, per alcuni autori, il mantenimento di ca- e ga- (caratteristica tipica dell'italoromanzo); altri autori, e fra questi il Pellegrini, sostengono che però anticamente vi fosse palatalizzazione di ca- e ga-, tratto questo rapidamente retrocesso ed infine, per influenza toscana, andato perduto.
All'interno del gruppo gallo-italico possiamo riconoscere, grazie a più o meno rilevanti omogeneità linguistiche, sistemi più ristretti e distinti fra loro: ligure, piemontese, lombardo, emiliano, romagnolo, galloitalico marchigiano, galloitalico di Sicilia, galloitalico di Basilicata.
Gruppo veneto
Il veneto presenta generalmente meno innovazioni dal latino, rispetto ai dialetti galloitalici: non ha l'indebolimento delle sillabe atone e anche le vocali finali reggono abbastanza bene, fuorché dopo sonorante. Le varianti principali sono il veneto centrale o meridionale (Padova, Vicenza, Rovigo), il veneto lagunare (Laguna di Venezia), il veneto orientale (Trieste, Venezia Giulia, Istria e Fiume), il veneto occidentale (Verona, Trento) che ha alcuni caratteri in comune con le parlate orobiche, il veneto centro-settentrionale (Treviso), il veneto settentrionale (Belluno), il veneto dalmata (Dalmazia) e i dialetti di valle e pedemontani, come il feltrino.
La caratteristica più vistosa è la struttura sillabica che non tollera geminate in nessuna posizione.
Lingue meridionali
Gruppo meridionale
Il gruppo italiano meridionale, o alto-meridionale, è caratterizzato dall'indebolimento delle vocali non accentate (atone) e la loro riduzione alla vocale indistinta (rappresentata dai linguisti come ə o talvolta come ë). A nord della linea Circeo-Sora-Avezzano-L'Aquila-Accumoli-fiume Aso, le vocali atone sono pronunciate chiaramente; a sud di questa linea già si presenta il suono ə, che si ritrova poi fino ai confini meridionali con le aree in cui i dialetti sono classificati come meridionali estremi, ossia alla linea Cetraro-Bisignano-Melissa.
Gruppo meridionale estremo
Il gruppo meridionale estremo comprende il siciliano, il calabrese centro-meridionale ed il salentino.
La caratteristica fonetica che accomuna i dialetti del gruppo siciliano è l'esito delle vocali finali che presenta una costante territoriale fortemente caratterizzata e assente nelle altre lingue e dialetti italiani:
da -A finale latina > -a
da -E, -I finali latine > -i
da -O, -Ọ finali preromanze > -u
da -LL- latina o altra > -ḍḍ- (trascritto nella letteratura come ḍḍ, dd, ddh, o ddr). In alcune zone della Calabria però, dal suono di una singola d, o una j (letta come semivocale i oppure come la j francese a seconda delle località).
Assenza totale delle mute e dello scevà.
È inoltre caratteristica principale e singolarità di molte varianti (ma non tutte), la presenza dei fonemi tr, str, e dd, i quali possiedono un suono retroflesso probabilmente derivante da un sostrato linguistico probabilmente pre-indeuropeo. Il siciliano non è attualmente riconosciuto come lingua a livello nazionale.
Toscano
Il toscano è costituito dalle varietà toscane e da quelle più o meno affini parlate in Corsica e nella Sardegna settentrionale. Nonostante non sia una lingua appartenente alla Romània occidentale, presenta molti caratteri tipici della zona altoitaliana. L'italiano letterario è da considerarsi un'altra variante (sebbene molto influenzata da altri idiomi italoromanzi) del dialetto toscano. Il còrso settentrionale o di Cismonte e, in particolare, quello parlato nella regione storica del Capo Corso, è affine al toscano occidentale, dal quale però si differenzia per alcune forme lessicali e le finali in /u/.
Il gallurese, parlato nel nord-est della Sardegna, presenta notevoli influenze della lingua sarda a livello di morfologia e sintassi, ma è strettamente imparentato col còrso meridionale o di Pumonte, nello specifico con quello sartenese che si presenta praticamente identico nell'arcipelago di La Maddalena. Il sassarese condivide un'origine simile al còrso, ma è distinta da quest'ultimo: è patrimonio delle popolazioni mercantili di differente origine (sarde, còrse, toscane e liguri) che nel XII secolo diedero impulso alla neonata città di Sassari, creando un dialetto mercantile che nel corso dei secoli si è esteso a diverse città limitrofe (tutta la costa del Golfo dell'Asinara da Stintino a Castelsardo), subendo inevitabilmente una profonda influenza da parte del sardo logudorese, dal catalano e dallo spagnolo.
Lungo il crinale appenninico tra la Toscana e l'Emilia (Sambuca Pistoiese, Fiumalbo, Garfagnana e altre località) le persone più anziane usano ancora delle parlate di transizione tra il sistema toscano e il sistema gallo-italico dette parlate gallo-toscane. Tali parlate sono di grandissimo interesse per i linguisti perché formano un sistema linguistico di transizione sia tra la Romània orientale e quella occidentale, sia tra le parlate altoitaliane e quelle tosco-meridionali.
Lingue e dialetti centrali
Appartengono al gruppo delle lingue centrali tutti i dialetti parlati in gran parte del Lazio (ad esclusione delle regioni più meridionali, dove i dialetti appartengono al gruppo meridionale intermedio), in Umbria, in alcune zone della provincia di Grosseto (in Toscana), e nelle province di Ancona, Macerata e Fermo nelle Marche.
Gruppo mediano
Il gruppo italiano mediano è quello di più difficile classificazione. Infatti le parlate si sono influenzate tra di loro in maniera considerevole e non lineare. Si distinguono i seguenti idiomi o sottogruppi:
Dialetti umbri, di difficile sistematizzazione perché completamente privi di koiné. I dialetti dell'Umbria, tutti appartenenti al gruppo mediano, vengono generalmente catalogati per area geografica anche se, all'interno di una stessa area, le differenze, non solo lessicali, sono spesso notevoli.
Dialetti marchigiani centrali; nelle Marche la frammentazione dialettale è ancor più accentuata che in Umbria. In regione sono infatti diffuse parlate riconducibili a tutti e tre i principali in cui si divide, sotto il profilo dialettale, l'Italia. Al gruppo mediano appartengono i dialetti marchigiani centrali, (nelle province di Ancona, di Macerata e di Fermo); nella rimanente parte della regione i dialetti non appartengono al gruppo mediano: a nord a quello gallo-italico (il dialetto gallo-italico marchigiano, nella Provincia di Pesaro e Urbino), e a sud quello meridionale (il marchigiano meridionale, nella Provincia di Ascoli Piceno).
Dialetti della Tuscia viterbese con elementi di influsso del dialetto della Toscana meridionale e quelli mediani veri e propri. Questi dialetti, pur essendo molto simili tra di loro, presentano alcune classificazioni interne.
Cicolano-aquilano-reatino che presenta alcune influenze dei dialetti del gruppo meridionale.
Dialetto laziale centro-settentrionale, anch'esso influenzato da alcuni dialetti di tipo meridionale.
I gruppi toscano e mediano sono comunque gruppi abbastanza conservativi: nel còrso non esiste nessun tipo di indebolimento consonantico, nel toscano e in parte dei dialetti umbri e marchigiani c'è la gorgia, altrove una lenizione non fonologica. Comune è la realizzazione fricativa delle affricate mediopalatali e nelle zone meridionali i raddoppiamenti di /b dZ/ semplici intervocalici.
Romanesco
Il dialetto romanesco risulta aver subito una considerevole influenza da parte del toscano diffusa in molti ambienti capitolini (legati in particolare alla Curia) nel XVI secolo e XVII secolo; è quindi molto diverso dall'antico dialetto di Roma, che era invece «sottoposto a influenze meridionali e orientali».
Lingue non romanze
Idiomi albanesi
In numerosi centri dell'Italia meridionale (continentale e insulare) esistono isole linguistiche storiche dove si parla l'albanese (arbërisht). Parlato in 50 comunità sparse in sette regioni italiane dai discendenti dai profughi albanesi dal XV secolo, e già diffuso in altrettante altre 50, per almeno 100 colonie originarie albanesi, la loro parlata è prettamente quella albanese nel variante tosco diffuso nel sud dell'Albania e nella regione dell’Epiro (Ciamuria).
Queste comunità sono così diffuse in: Abruzzo, Campania, Puglia, Basilicata, Molise, Calabria e Sicilia.
Le comunità albanofone più numerose si trovano in Calabria (in provincia di Cosenza, Catanzaro, Crotone) e in Sicilia (in provincia di Palermo).
Si stima che i parlanti albanofoni siano 100.000 circa.
Idiomi germanici
Oltre alla provincia autonoma di Bolzano, nei cui comuni vige il bilinguismo italiano-tedesco, in tutto il Triveneto sussistono alcune isole linguistiche germanofone, sparse nelle regioni prealpine e alpine.
La lingua cimbra è un idioma di tipo bavarese, portato da un gruppo di migranti tedeschi che nel medioevo colonizzarono le zone al confine tra le provincie di Trento, Verona (Tredici Comuni) e Vicenza (Sette Comuni). Incalzato dai dialetti della lingua veneta, il cimbro è entrato in crisi già secoli fa e attualmente è parlato soltanto da poche centinaia di persone. La comunità più vivace è quella di Luserna (Lusern, TN), mentre sono ridotti a poche decine i parlanti di Giazza (Ljetzan, VR) e Roana (Robaan, VI). Praticamente scomparsa l'isola cimbra del Cansiglio (provincie di Belluno e Treviso), fondata all'inizio dell'Ottocento da un gruppo di roanesi.
La lingua mochena è ancora parlata nei villaggi della Val Fersina (collaterale alla Valsugana) e ha origini affini al cimbro, ovvero deriva da uno stanziamento di coloni tedeschi in epoca antica.
Isole germanofone si trovano anche in Carnia (Sauris, Zahre, Timau, Tischlbong e Sappada, Plodn) e hanno un'origine simile alle precedenti. Infine, il tedesco è diffuso su buona parte della Val Canale (Kanaltal), al confine con l'Austria.
In Piemonte e Valle d'Aosta, al gruppo tedesco (precisamente alemanno) appartengono le parlate walser presenti in alcuni comuni e imparentate con quelle del vicino cantone svizzero del Vallese.
Idiomi greci
In alcuni centri dell'Italia meridionale esistono isole linguistiche dove si parla il greco antico. In particolare le comunità grecofone o grecaniche sono presenti in Salento ed in Calabria.
Nel gennaio 2012 il Comune e la Provincia di Messina riconoscono ufficialmente la lingua greca moderna e grecanica di Calabria.
Idiomi indo-arii
Il romaní è parlato dai sinti e dai rom d'Italia in diverse forme dialettali influenzate dalle lingue dei paesi attraversati in passato, nonché dalle parlate regionali italiane con cui esse sono in contatto.
Idiomi slavi
In Friuli-Venezia Giulia esiste una comunità che parla lo sloveno in tutta la fascia confinaria delle province di Trieste, Gorizia e Udine. In provincia di Udine esiste inoltre la comunità slovena nella Val di Resia, parlante, secondo alcuni studiosi, una variante dialettale distinta dello sloveno: il resiano. Il dialetto resiano, molto simile ai dialetti sloveni della vicina Carinzia (Austria), è ritenuto a livello internazionale , un dialetto della lingua slovena e il comune di Resia si è dichiarato, ai sensi della L. 482/99, di lingua slovena, ottenendo annualmente i fondi per la tutela come "minoranza linguistica slovena".
In Molise in alcuni centri esistono ancora comunità parlanti il ("na-našu"), antico dialetto slavo originario dell'entroterra dalmata, che discendono dagli slavi che arrivarono in Italia tra il XV-XVI secolo per sfuggire all'avanzata ottomana nei Balcani e si stanziarono nei paesi di Acquaviva Collecroce (Kruč), San Felice del Molise (Sti Filić) e Montemitro (Mundimitar) nell'attuale provincia di Campobasso; . Questi profughi e i loro discendenti venivano e vengono chiamati con la denominazione antica di Schiavoni (dal latino Sclaveni ovvero Slavi, da cui deriva anche sclavus ovvero schiavo), nome che è rimasto anche nella toponomastica del territorio.
Pregiudizi linguistici
Stante la difficoltà di definire il confine tra dialetto e lingua, al primo gli studiosi di linguistica alternano anche l'espressione "varietà linguistiche", che assieme alla "varietà standard" formano un sistema linguistico (varietà + standard). Qualsiasi idioma ha una grammatica e un lessico, perché senza grammatica e lessico non esisterebbe alcun linguaggio umano comprensibile.
I dialetti neolatini, nati dalla disgregazione del latino a partire dal V secolo d.C., dopo secoli di contributi letterari si sono dotati di una o più forme standard di riferimento. La "varietà standard" è il dialetto che di norma per prestigio letterario diventa in un territorio l'idioma di riferimento anche per i migliori letterati parlanti gli altri dialetti.
Nonostante la mancata tutela dei "dialetti" da parte dello Stato (che anzi attuò diverse iniziative di contrasto verso manifestazioni linguistiche derubricate a "malerba dialettale") si è assistito a una rivalutazione di tali idiomi sul piano culturale.
Dal punto di vista della linguistica, la discriminazione dei cosiddetti "dialetti" è ingiustificata, così come la presunzione di superiorità di alcune varietà rispetto ad altre. I dialetti presenti in Italia hanno infatti una loro grammatica, un loro lessico e spesso una letteratura. La stessa lingua italiana deriva dal dialetto toscano letterario di base fiorentina del XIV secolo, che dal XVI secolo venne progressivamente impiegato nella penisola italiana e in Sicilia come modello linguistico esemplare.
Poiché per la linguistica tutti i dialetti e le lingue sono pertanto insiemi di segni e regole ordinati e funzionanti analogamente, secondo alcuni studiosi la distinzione avviene esclusivamente a livello politico e storico: ricorrendo al termine "lingua" molte culture fanno riferimento all'esistenza di un sistema riconosciuto dalle istituzioni, codificato e con a disposizione testi letterari e/o ufficiali scritti in quella lingua. È questo il caso del sardo e del friulano, che hanno anche ottenuto il riconoscimento statale di minoranze linguistiche per i propri parlanti. La minoranza linguistica friulana e quella sarda parlano due lingue che verosimilmente non appartengono al gruppo italo-romanzo e che sono generalmente classificate in maniera autonoma nell'ambito delle lingue romanze. Lo stesso Tullio De Mauro in un suo libro considera sardo, ladino e friulano come "formazioni autonome rispetto al complesso dei dialetti italoromanzi". Secondo Sergio Salvi, ascrivere la lingua friulana, come fanno alcuni linguisti italiani, al sistema dell'italiano "tout court" «è possibile soltanto allargando talmente la definizione della lingua italiana da trasformarla, più o meno, in... lingua romanza. Se il friulano è un dialetto italiano, non si vede perché non lo debba essere, per esempio, anche l'occitanico». Nel caso della lingua sarda e di quelle retoromanze (ladino e friulano), il legislatore italiano, con la legge 482/99 che riconosce lo status di minoranze linguistiche a ladini, friulani e sardi, ha preso atto di quanto già ampiamente postulato dalla linguistica, cui si aggiungono riconosciuti requisiti storici, antropologici e identitari.
A prescindere dal loro riconoscimento politico, la maggioranza dei dialetti d'Italia non è comunque costituita da "corruzioni", deviazioni o alterazioni della lingua nazionale di base toscana, bensì da parallele continuazioni del latino e pertanto lingue “sorelle” dell'italiano. In questo senso, è improprio parlare di "dialetto della lingua ufficiale" in riferimento, ad esempio, al piemontese o al napoletano: essendo sì idiomi sviluppatisi dal latino, ma in modo indipendente dal toscano, non possono essere considerati varietà locali della lingua italiana. Più opportuno è allora parlare di dialetti italiani o dialetti d'Italia in riferimento alle varianti italo-romanze diffuse presso una regione, zona o città e non invece dialetti dell'italiano (ad esempio, si può affermare che il lombardo occidentale è un dialetto italiano perché parlato all'interno dei confini italiani, ma non è corretto dire che sia un dialetto dell'italiano, poiché è un dialetto della lingua lombarda). Tali parlate sono considerate dialetti romanzi primari, storicamente subordinate all'italiano solo da un punto di vista sociolinguistico a fronte di un'origine latina comune. Inoltre, per definire queste parlate si può fare ricorso appunto al termine varietà, che indica un sistema linguistico indipendentemente da riferimenti legati al prestigio, alla diffusione geografica e a tutte le equivocità veicolate dalla parola dialetto nell'uso comune. O ancora, in gergo scientifico, è possibile riferirsi ai singoli dialetti locali utilizzati in condizione di diglossia o di bilinguismo con la lingua ufficiale.
Al contrario, si parla di "dialetti secondari" in riferimento alle manifestazioni linguistiche generate dalla diversificazione di un'unica lingua in vari territori, come nel caso dello spagnolo in America latina, dei vari dialetti arabi o del già citato inglese americano: non si tratta quindi di dialetti originati autonomamente dal latino o dal proto-germanico, ma varianti dello stesso sistema. I dialetti secondari dell'italiano sono quelli noti come "italiani regionali", cioè le varietà intermedie tra lingua standard nazionale e le altre varietà autonome.
Tuttavia, l'accezione di dialetto inteso come "varietà della lingua nazionale" è ancora radicata, con ambiguità e relativismo semantici. In particolare dal punto di vista politico, legislativo e giurisprudenziale, il termine "dialetto" è usato in questa accezione per definire qualsiasi idioma storico, romanzo e talvolta anche non-romanzo, parlato in un'area geografica del paese e che non goda dello status di "lingua" in regime di ufficialità, coufficialità e/o bilinguismo. Nella categoria ricadono numerosi idiomi italiani dotati di storia propria, non intercomprensibili e spesso fregiati di una propria tradizione letteraria di rilievo, come, ad esempio, il veneto e tanti altri. Eppure, nonostante la presenza di un corpus letterario, essi continuano ad essere percepiti come "dialetti" o lingue orali dalla popolazione, gran parte della quale - compreso chi li parla - non è in grado di scriverli. Ciò è anche dovuto all'abitudine di ricorrere ad un'incompatibile ortografia italiana, che genera sistemi di scrittura variabili laddove questi idiomi vengano usati in forma scritta (internet, segnaletica e cartellonistica, messaggi).
L'opinione alternativa, che sta incominciando a farsi strada anche tra alcuni linguisti di lingua italiana, rifiuta l'accezione di dialetto inteso come varietà della lingua nazionale preferendo quella di sistema linguistico indipendente dalla lingua nazionale. Ciò ha portato dunque a utilizzare il termine "lingua" in luogo di "dialetto" (ad esempio, lingua siciliana o lingua romagnola); questa posizione è stata condivisa, nel Parlamento Europeo, dal gruppo Verdi/ALE, in un convegno internazionale che ha avuto luogo nel 1999. Il Consiglio d'Europa nei suoi trattati non indica le lingue (e relative popolazione) da tutelare, né indica i criteri per distinguere una lingua da un dialetto, né riconosce ad alcun idioma lo status di lingua; tale competenza è sempre degli Stati, i quali hanno firmato e ratificato il trattato internazionale europeo.
Valore culturale dei dialetti in Italia
Forti di una radicata tradizione verbale ma anche letteraria, le lingue italo-romanze non riconosciute, tradizionalmente chiamate dialetti, in Italia sono servite nel tempo da spunto per la realizzazione di molti lavori teatrali entrati poi stabilmente nel repertorio di uno specifico genere chiamato teatro dialettale.
Un valore particolare ai dialetti è stato attribuito specialmente in tempi relativamente recenti, da quando si è avuta piena consapevolezza dell'ormai predominanza nella comunicazione della lingua nazionale sulle parlate regionali. Affinché i dialetti non scompaiano diventando lingue morte, si è tentato e si tenta di studiare e recuperare appieno il significato storico e il senso culturale della parlata locale, anche in chiave di un recupero delle radici e dell'identità propri di ogni regione. All'interno di queste dinamiche si assiste recentemente ad un uso del dialetto nelle tifoserie di calcio, specie con l'esposizione di striscioni in dialetto che evidenziano un recupero dei dialetti con finalità di rivendicazione identitaria.
Secondo l'Istat, nel 2015 il 45,9% degli italiani parla in modo esclusivo o prevalente l'italiano, il 32,2% lo alterna con un dialetto o lingua locale, il 14% si esprime esclusivamente nell'idioma locale, mentre il resto ricorre a un'altra lingua. Il linguista Tullio De Mauro, intervistato dal quotidiano La Repubblica il 29 settembre 2014, affermava che l'uso alternante di italiano e dialetto (con riferimento ai dialetti dell'Italia, non ai dialetti dell'italiano) arrivava allora al 44,1% e coloro che adoperano solo l'italiano erano il 45,5%.
L'utilizzo frequente dei cosiddetti dialettismi, ovvero espressioni derivate da una lingua locale, sarebbe piuttosto diffuso anche nel linguaggio giovanile; tra i vari motivi, i più importanti sono: il desiderio di creare un legame forte con la propria famiglia (67%), volontà di conoscere la storia di determinati termini ed espressioni (59%) o possibilità di arricchire il proprio parlato con espressioni colloquiali (52%) e lo spirito di appartenenza alla propria terra.
Situazione giuridica
Legislazione statale
Lingua ufficiale
Nella Repubblica Italiana la lingua ufficiale è l'italiano. Oltre alla consuetudine, il riconoscimento si può ricavare indirettamente dal fatto che la Costituzione è redatta solo in italiano, mentre un riconoscimento espresso si trova nello statuto del Trentino-Alto Adige, che è una legge costituzionale della Repubblica:
Ulteriori riconoscimenti sono presenti nell'articolo 122 del codice di procedura civile, nell'articolo 109 del codice di procedura penale, e nell'articolo 1 della legge 482/1999.
Minoranze linguistiche
La Costituzione prevede all'articolo 6 la tutela delle minoranze linguistiche, che ne riconosce i diritti linguistici. Per due minoranze in particolare delle dodici, la tutela della lingua e della cultura sono esplicitate negli statuti di autonomia del Trentino-Alto Adige e della Valle d'Aosta.
In seguito a un assai travagliato processo normativo, la Legge 482/1999 ha infine dato applicazione all'Art. 6 della Costituzione, riconoscendo la tutela della lingua e della cultura di dodici popolazioni autoctone storicamente parlanti idiomi diversi dall'italiano (oltre ad avere altre caratteristiche che le distinguono) e elencate in due gruppi di sei: nel primo albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate, nel secondo francesi, francoprovenzali, friulane, ladine, occitane e sarde. La Repubblica ha inoltre firmato e ratificato nel 1997 la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, e ha firmato la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie il 27 giugno del 2000, ma non l'ha ratificata per cui non trova applicazione nel territorio della Repubblica.
Nella quotidianità non tutte le dodici lingue riconosciute a livello nazionale godono della stessa considerazione: ad esempio, l'Agenzia delle Entrate mette a disposizione il modello 730 e le relative istruzioni, oltre che in italiano, solo in tedesco e in sloveno. I siti governativi e parlamentari non hanno una versione, nemmeno ridotta, in queste lingue, salvo rare eccezioni come la versione in francese del sito della Camera dei deputati. Pur essendo vietato discriminare tra le dodici minoranze linguistiche che hanno pari diritti linguistici e costituzionali, solo tre di queste (minoranza francese della Valle d'Aosta; minoranza germanofona della provincia di Bolzano; minoranza slovena della provincia di Trieste) godono di una maggiore tutela, grazie a trattati internazionali stipulati prima della approvazione della L. 482/1999 e ratificati dal Parlamento italiano, avendo scuole pubbliche statali in cui la lingua curriculare è quella propria della minoranza, nonché un canale televisivo nella sola lingua della minoranza.
Legislazione regionale
Diverse regioni italiane hanno prodotto nel corso degli anni ulteriori leggi regionali a riconoscimento e tutela di vari idiomi, fra cui in ordine cronologico:
la regione Piemonte con la L.R. 26/1990, integrata dalla L.R. 37/1997, e con la legge statutaria del 7 marzo 2005, piemontese, occitano, franco provenzale e walser; la successiva L.r. nr. 11 del 7 aprile 2009 della regione Piemonte (che supera tutte le precedenti leggi Piemonte in materia) è stata dichiarata parzialmente incostituzionale dalla Consulta e l'idioma piemontese può essere solo valorizzato sul piano culturale mentre l'occitano, il franco-provenzale e il walser hanno anche tutela linguistica essendo tutelati dalla L. 482/99.
la regione Friuli-Venezia Giulia con la L.R. 15/1996 e L.R. 29/2007 il friulano, con la legge statale 38/2001 e la L.r. 26/2007 lo sloveno, con la L.R. 20/2009 il tedesco e infine con la L.R. 5/2010 la "valorizzazione dei dialetti di origine veneta parlati nella regione Friuli Venezia Giulia";
la regione Sardegna assume l'identità culturale e linguistica del popolo sardo come bene primario da valorizzare (L.R. 26/1997, L.R. 22/18), in conformità ai principi della pari dignità e del pluralismo linguistico sanciti dalla Costituzione e dagli atti internazionali in materia, con particolare riguardo nei confronti della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie e della Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali. Pertanto la Regione riconosce i quattro idiomi autoctoni dell'isola (lingua sarda, catalano di Alghero, gallurese, sassarese), nonché il ligure tabarchino, "patrimonio immateriale della Regione" e garantisce la tutela linguistica alla minoranza sarda e a quella catalana di Alghero.
la regione Veneto con la L.R. 8/2007 il veneto; la legge regione Veneto 13 dicembre 2016 nr. 28 (applicazione della convenzione quadro per la protezione delle minoranze nazionali) è stata dichiarata interamente incostituzionale con la Sentenza della Consulta nr. 81/2018.
la regione Siciliana con la L.R. 9/2011 il siciliano;
la regione Puglia con la L.R. 5/2012 il greco salentino, arbëreshë e francoprovenzale.
la regione Lombardia con la L.R. 25/2016 la lingua lombarda.
Tutti gli idiomi diversi dalle lingue parlate dalle "minoranze linguistiche storiche" riconosciute e tutelate ai sensi dell'art. 6 della Costituzione italiana, elencate nell'art. 2 della legge 482/99, possono essere esclusivamente valorizzati sul solo piano culturale ai sensi dell'art. 9 della Costituzione italiana, quale patrimonio culturale immateriale regionale.
Atlante
Evoluzione dal Latino
Ortografie e fonetica
Alcuni fonemi, pur non disponendo di un grafema univoco in una certa grafia, possono essere comunque presenti nei dialetti che, nella tabella qui di seguito, non hanno tali suoni raffigurati.
Lingue non riconosciute come lingue minoritarie in Italia, ma riconosciute dall'Unesco.
Vocali
Consonanti
Note
Bibliografia
Classificazione proposta dall'UNESCO
Lexikon der Romanistischen Linguistik, Tübingen 1989.
Classificazione proposta dal SIL international
Ethnologue: Languages of the World, 15th Edition, edited by Raymond G. Gordon, Jr., SIL International, 2005.
Classificazione proposta nelle università italiane
Ilaria Bonomi, Andrea Masini, Silvia Morgana, Mario Piotti, Elementi di Linguistica italiana, edizioni Carocci 2006.
Arrigo Castellani, Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza, Roma, Salerno editrice, 1980.
Arrigo Castellani, Grammatica storica della lingua italiana, Bologna, Il Mulino, 2000.
Manlio Cortelazzo, Carla Marcato, Dizionario etimologico dei dialetti italiani, Torino, UTET, 1992.
Paolo d'Achille, Breve grammatica storica dell'italiano, Roma, Carocci, 2001.
Maurizio Dardano, Nuovo manualetto di linguistica italiana, Bologna, Editore Zanichelli, 2005.
Maurizio Dardano, Gianluca Frenguelli (a cura di), La sintassi dell'italiano antico, atti del convegno internazionale di studi (Università di "Roma tre", 18-21 settembre 2002), Roma, Aracne, 2004.
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Karl Jaberg, Jakob Jud, Atlante linguistico ed etnografico dell'Italia e della Svizzera Italiana, Milano, Unicopli, 1987.
Lorenzo Renzi, Alvise Andreose, Manuale di linguistica e filologia romanza, Bologna, Il Mulino, 2003 (prima edizione); 2015 nuova edizione aggiornata e riveduta.
Giuseppe Patota, Lineamenti di grammatica storica dell'italiano, Bologna, Il Mulino, 2002.
Gerhard Rohlfs, Grammatica storica della lingua italiana e dei suoi dialetti, Torino, Einaudi, 1970.
Alberto Zamboni, I dialetti e le loro origini, in ItaDial (periodico specialistico), Bologna, Clueb.
Quarta classificazione proposta
Geoffrey Hull, "La lingua padanese: Corollario dell’unità dei dialetti reto-cisalpini". Etnie: Scienze politica e cultura dei popoli minoritari, 13 (1987), pp. 50–53; 14 (1988), pp. 66–70.
Geoffrey Hull, The Linguistic Unity of Northern Italy and Rhaetia: Historical Grammar of the Padanian Language, 2 volumi. Sydney: Beta Crucis, 2017.
Pierre Bec, Manuel pratique de philologie romane (II, 472), Editions Picard, 1971.
G.B. Pellegrini, Il cisalpino ed il retoromanzo, 1993.
G.B. Pellegrini, Delle varie accezioni ed estensioni di "ladino".
Altre opere
Maurizio Tani, La legislazione regionale in Italia in materia di tutela linguistica dal 1975 ad oggi, in LIDI-Lingue e Idiomi d'Italia (Lecce), I/1 (2006), pp. 115–158 Accademia.edu: La legislazione regionale in Italia in materia di tutela linguistica dal 1975 ad oggi
Voci correlate
Italiano regionale
Geografia linguistica
Legislazione italiana a tutela delle minoranze linguistiche
Bilinguismo amministrativo in Italia
Segnaletica bilingue
Altri progetti
Collegamenti esterni
Karl Jaberg, Jakob Jud, Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz (AIS) (NavigAIS-web Versione online navigabile)
Carta dei Dialetti d'Italia di Giovan Battista Pellegrini (Pisa, Pacini editore 1977), da Rai International Online
Lista delle lingue parlate in Italia, Patrimonilinguistici.it. |
2620 | https://it.wikipedia.org/wiki/Linee%20pure | Linee pure | Le linee pure sono degli stipiti (linee di discendenza) di organismi al cui interno la riproduzione sessuale dà lo stesso risultato di quella asessuale; praticamente sono gli individui che conservano gli stessi caratteri da una generazione all'altra. I membri della stessa linea pura sono quindi identici nelle loro caratteristiche ereditarie.
Gregor Mendel (1822-1884) ottenne linee pure lasciando autofecondare piante di pisello.
Nelle cavie di laboratorio si ottengono linee quasi pure incrociando ripetutamente fratelli e sorelle per parecchie generazioni.
In termini genetici, una linea pura è costituita da individui omozigoti in tutti i loci. Presentano lo stesso genoma.
Voci correlate
Genetica formale
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Genetica formale |
2621 | https://it.wikipedia.org/wiki/L%27albero%20delle%20pere | L'albero delle pere | L'albero delle pere è un film del 1998 diretto da Francesca Archibugi.
Trama
Siddharta è un quattordicenne che proviene da una famiglia problematica: la madre Silvia è una donna fragile che dipende da sostanze stupefacenti e si prostituisce, mentre il padre Massimo è un regista sperimentale da cui la madre si è separata per convivere col giovane avvocato Roberto. Inoltre ha una sorella più piccola, Domitilla, frutto della relazione tra la madre e Roberto. Un giorno la sorellina si punge con una siringa trovata nella borsa della madre: Siddharta decide allora di affrontare la cosa senza rivolgersi ai deboli e problematici adulti che gli stanno attorno. All'insaputa dei suoi genitori, prenota degli esami del sangue per la positività all'HIV e all'epatite dicendo che sono per sé. Al momento di ritirarli, l'addetta dell'ospedale si rifiuta di consegnare l'esito al ragazzo in assenza di un adulto, così Siddharta le strappa la busta di mano e fugge gettandosi attraverso una vetrata. Viene però rintracciato e condotto al commissariato, dove è raggiunto da Massimo e da Roberto, che fa sì che venga rilasciato.
Gli esami per l'HIV e per l'epatite B hanno esito negativo; non così quello per l'epatite C. Siddharta affronta queste preoccupazioni negli incontri che ha con una psicologa, mentre la madre sembra essere inconsapevole di tutto.
Silvia perde poi la vita in un incidente stradale, quando la sua auto viene investita da un tram. Siddharta e Domitilla vanno a vivere ciascuno con il rispettivo padre.
Riconoscimenti
55ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia: Premio Marcello Mastroianni a Niccolò Senni
Collegamenti esterni
Film drammatici
Film diretti da Francesca Archibugi
Film ambientati a Roma
Film sull'adolescenza |
2622 | https://it.wikipedia.org/wiki/La%20grande%20guerra | La grande guerra | La grande guerra è una commedia drammatica del 1959 diretto da Mario Monicelli, prodotto da Dino De Laurentiis e interpretato da Alberto Sordi e Vittorio Gassman.
È considerato uno dei migliori film sulla guerra italiani e uno dei capolavori della storia del cinema. Vincitore del Leone d'oro al Festival del Cinema di Venezia ex aequo con Il generale Della Rovere di Roberto Rossellini e candidato all'Oscar quale miglior pellicola straniera, si aggiudicò inoltre tre David di Donatello e due Nastri d'argento. Ottenne un enorme successo anche all'estero, soprattutto in Francia.
Nel settembre 2009 il film è stato scelto per la pre-apertura della 66ª edizione del Festival del Cinema di Venezia. Nel gennaio 2011, come omaggio a Monicelli scomparso da poco, la Cineteca di Bologna organizzò una retrospettiva in suo ricordo, proiettando nel cinema Lumière La grande guerra e altri lavori del regista. È stato successivamente inserito nella lista dei 100 film italiani da salvare, "100 pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese tra il 1942 e il 1978".
Trama
1916. Il romano Oreste Jacovacci e il milanese Giovanni Busacca si incontrano presso un distretto militare durante la chiamata alle armi. Il primo promette con l'inganno di far riformare l'altro in cambio di denaro. I due si incontrano nuovamente su una tradotta per il fronte: dopo l'ira iniziale di Giovanni, finiscono per simpatizzare e divenire amici. Seppure di carattere completamente diverso sono uniti dalla mancanza di qualsiasi ideale e dalla volontà di evitare ogni pericolo pur di uscire indenni dalla guerra. Attraversate numerose peripezie durante l'addestramento, i combattimenti e i rari momenti di congedo, in seguito alla disfatta di Caporetto vengono comandati come staffette portaordini, mansione molto pericolosa, che viene loro affidata perché considerati come i "meno efficienti".
Una sera, dopo aver svolto la loro missione, si coricano nella stalla di un avamposto poco lontano dalla prima linea, ma una repentina avanzata degli austriaci li fa svegliare in territorio nemico. Sorpresi ad indossare cappotti dell'esercito austro-ungarico nel tentativo di fuga, vengono catturati, accusati di spionaggio e minacciati di fucilazione. Sopraffatti dalla paura ammettono di essere in possesso di informazioni cruciali sul contrattacco italiano sul Piave, e pur di salvarsi decidono di passarle al nemico. L'arroganza dell'ufficiale austriaco ed una battuta di disprezzo verso gli italiani ("fegato? questi conoscono solo quello alla veneziana con le cipolle") ridà però forza alla loro dignità, portandoli a mantenere il segreto fino all'esecuzione capitale, l'uno insultando spavaldamente il capitano nemico e l'altro che, dopo la fucilazione del compagno, finge di non essere a conoscenza delle informazioni e viene così fucilato poco dopo l'amico.
La battaglia si conclude poco tempo dopo, con la vittoria dell'esercito italiano e la riconquista della postazione caduta in mano agli Austriaci, ignorando il sacrificio nobile di Busacca e Jacovacci, ritenuti fuggiaschi, i quali hanno optato per la fucilazione pur di non tradire i propri connazionali.
Descrizione
Felice connubio di tragedia e commedia, l'opera è un affresco corale, ironico, struggente e toccante (in alcune scene), della vita di trincea durante la prima guerra mondiale. Le vicissitudini di un gruppo di commilitoni sul fronte italiano nel 1916 sono narrate con un linguaggio neorealista e romantico al tempo stesso, abbinando scansioni tipiche della commedia all'italiana ad una notevole attenzione verso i particolari storici. Le pregevoli scene di massa si accompagnano ad acute caratterizzazioni dei numerosi personaggi, antieroi umani ed impauriti, rassegnati e solidali, accomunati dalla partecipazione forzata ad una catastrofe che li travolgerà.
Monicelli e gli sceneggiatori Age & Scarpelli e Vincenzoni raggiungono l'apice artistico della loro carriera combinando, con impareggiabile fluidità di racconto, comicità e toni drammatici, ed aprendo la strada ad un nuovo stile cinematografico nelle vicende di guerra. Memorabile il piano sequenza finale nel quale i due pavidi protagonisti si riscattano con un gesto coraggioso, sacrificandosi l'uno da “eroe spavaldo” e l'altro da “eroe vigliacco”. Quest'ultima figura viene qui concepita in maniera assai originale ed interpretata da un ispirato Alberto Sordi (vincitore del Nastro d'argento come miglior attore protagonista).
Aspetti storici
La ricostruzione bellica dell'opera è, da un punto di vista storico, uno dei migliori contributi del cinema italiano allo studio del primo conflitto mondiale.
Per la prima volta la sua rappresentazione venne depurata dalla propaganda retorica divulgata durante il fascismo e nel secondo dopoguerra, in cui persisteva il mito di una guerra favolosa ed eroica dell'Italia, e per questo la pellicola ebbe problemi di censura al momento dell'uscita nelle sale cinematografiche in Italia, e fu vietata ai minori di 16 anni. Fino a quel momento infatti i soldati italiani erano stati continuamente ritratti come valorosi disposti ad immolarsi per la patria. Emblematica ed indimenticabile in questo senso la scena dei festeggiamenti nel paese (subito trasformatisi in silenzioso dolore) e della retorica ostentata da autorità ed intellettuali al rientro delle truppe immediatamente prima della sconfitta di Caporetto.
Il film denunciò inoltre l'assurdità e la violenza del conflitto, le condizioni di vita miserevoli della gente e dei militari, ma anche i forti legami di amicizia nati nonostante le differenze di estrazione culturale e geografica. La convivenza obbligata di questi regionalismi (e provincialismi), mai venuti a contatto in modo così prolungato, contribuì a formare in parte uno spirito nazionale fino ad allora quasi inesistente, in forte contrasto con i comandi e le istituzioni, percepite come le principali responsabili di quel massacro.
In alcuni dialoghi del film, vengono usate per la prima volta nel cinema italiano, alcune parole definite "volgari" che passarono la censura dell'epoca.
Molti reduci che si recarono nei cinema per vedere il film, ne uscirono prima piangendo senza riuscire a finire di vederlo perché, secondo loro, alcune scene rappresentavano fedelmente ciò che avevano vissuto durante la guerra.
Durante il film, ci sono vari riferimenti puntuali alla cultura dell'Italia della fine dell'Ottocento e dell'inizio del Novecento. Uno dei soldati nel plotone dei protagonisti è innamorato di Francesca Bertini, celebre diva del cinema muto dell'epoca. Poco prima della famosa scena in cui la trincea italiana e quella austriaca si contendono una gallina, Alberto Sordi cita, come improbabile cuoco reggimentale, Pellegrino Artusi, il cui manuale di cucina era diffusissimo tra fine Ottocento e inizio Novecento. Nella scena in cui i soldati si riposano in paese dopo un violento attacco nemico, una ragazza recita Saluto italico, una poesia patriottica di Giosuè Carducci raccolta nelle Odi barbare.
Produzione
La grande guerra nacque da un'idea di Luciano Vincenzoni, influenzato dal racconto Due amici di Guy de Maupassant. Quando Monicelli portò il soggetto a Dino De Laurentiis, il produttore dimostrò subito grande interesse e accettò con l'idea di mettere insieme Vittorio Gassman (reduce dal grande successo de I soliti ignoti) e Alberto Sordi. Anche se il regista dovette faticare prima di affidare il compito di scrivere la sceneggiatura ad Age & Scarpelli, perché De Laurentiis li riteneva legati alle commedie di Totò, e quindi poco adatti al film.
La sceneggiatura integrava figure e situazioni provenienti da due libri famosi: Un anno sull'Altipiano di Emilio Lussu, e Con me e con gli alpini di Piero Jahier. Tra questi l'episodio della gallina, tratto dal libro di Lussu, che venne in origine tagliato dal regista, e incluso nel film nel 1964.
Il giornalista e scrittore Carlo Salsa, che aveva combattuto realmente in quei luoghi, prestò la sua opera di consulente, arricchendo la trama, i dialoghi e lo sfondo di particolari vividi ed originali.
Inizialmente Monicelli voleva dare l'idea di «una specie di grossa pentola in ebollizione, da cui ogni tanto veniva fuori un personaggio; una massa amorfa di umanità, di soldati, di operai, di braccianti, sbattuti nelle trincee in mezzo al fango, lungo i tratturi, da cui uscissero fuori qua e là dei tipi, dei momenti». Alla fine la presenza di Gassman e Sordi fece sì che questo non avvenisse. In effetti, anche scrivendo la sceneggiatura si diede ai due protagonisti un'importanza maggiore del previsto.
Ci fu una polemica sulla parte finale del film, riguardante la fucilazione dei due protagonisti: De Laurentiis e i distributori avrebbero voluto un finale meno drammatico, più gioioso, avrebbero preferito che finisse con la loro liberazione, perché quel finale sembrava che in qualche modo rompesse gli schemi del film comico. Furono le associazioni d'arma a pretendere il finale drammatico che riscattasse la vigliaccheria dei due protagonisti con l'eroismo finale.
Riprese
Le prime riprese del film furono effettuate in Friuli: vennero scavate delle trincee e ricostruite le retrovie. Dopo alcuni giorni di riprese, Monicelli ricevette una telefonata da De Laurentiis che aveva visto i giornalieri della pellicola, dove i soldati e gli ufficiali apparivano laceri, sporchi (Monicelli faceva bagnare con delle pompe un largo tratto di terra, e poi diceva alle comparse di rotolarsi nel fango). Il produttore ritenne la rappresentazione esagerata e tentò in tutti i modi di dissuadere il regista, sostenendo che non poteva far vedere l'esercito in quelle condizioni e che il pubblico non avrebbe accettato. Ma, dopo varie discussioni, De Laurentiis alla fine diede ragione a Monicelli.
Le scene per la maggior parte vennero girate in provincia di Udine, a Gemona del Friuli, a Venzone, a Sella Sant'Agnese, nei fossati delle mura di Palmanova e a Nespoledo di Lestizza, dal 25 maggio a metà giugno del 1959. Altre scene vennero girate a Civita di Bagnoregio e a San Pietro Infine. Lungo il torrente Galantina, tra i Comuni di Forano e Poggio Mirteto, vennero girate tutte le scene della distruzione del ponte. La truppa, veri soldati di leva, erano ospitati nell'edificio scolastico di Poggio Mirteto. La scena della fucilazione e quella finale si svolsero presso il Castellaccio dei Monteroni a Ladispoli.
Doppiaggio
Silvana Mangano recitò in romano e successivamente si doppiò in veneto.
Colonna sonora
Le musiche del film furono composte da Nino Rota, di seguito sono riportate le varie tracce:
La grande guerra - Titoli di testa (02:55)
Di qua, di là del Piave 1 (00:53)
Reticolati (01:35)
Giovanni e Oreste (03:35)
Costantina e Giovanni (01:55)
Vita di trincea (02:35)
La moglie di Bordin (01:02)
Libera uscita (01:20)
Di qua, di là del Piave 2 (00:52)
Le voci della guerra (08:41)
Finale (00:55)
Distribuzione
Presentato al Festival di Venezia il 5 settembre 1959, venne poi distribuito nelle sale il 28 ottobre dello stesso anno. Fu in seguito esportato nei seguenti paesi:
Francia: La grande guerre, 4 maggio 1960 (Parigi)
Germania Ovest: Man nannte es den großen Krieg, 2 agosto 1960
Spagna: La gran guerra, 24 novembre 1960 (Madrid)
Portogallo: A Grande Guerra, 26 aprile 1961
USA: The Great War, 30 agosto 1961 (New York)
Danimarca: Den store krig, 2 febbraio 1962
Polonia: Wielka wojna
Finlandia: Suuri sota
Grecia: O megalos polemos
Argentina: La gran guerra
Brasile: A Grande Guerra
Ungheria: A nagy háború
Accoglienza
Il film fu al centro di un'accesa polemica da parte di Goffredo Lombardo e Franco Cristaldi, che contestarono il fatto che fosse stato selezionato come film in concorso al Festival di Venezia con le riprese ancora in corso.
Alla prima proiezione per la critica, alla Mostra di Venezia, . Anche altri registi, come Elio Petri, contestarono l'opera di Monicelli, che restò infatti molto amareggiato. Mentre alla seconda proiezione per il pubblico ottenne un successo strepitoso e ci fu un ripensamento anche da parte dei critici: tra i quali Maurizio Liverani (critico del "Paese Sera") che disse a Monicelli: «Ho rivisto il film, ci ho ripensato, avevo avuto un'impressione diversa...»
Anche Sergio Amidei, amico del regista, si ricredette sulla pellicola, dichiarando però che era già stabilito che il vincitore del Leone d'oro fosse Il generale Della Rovere di Rossellini (di cui Amidei era co-sceneggiatore). Tutto si rovesciò negli ultimi due giorni, grazie anche all'intervento di René Clair (che disse a Monicelli che era un film straordinario), così nonostante il parere riluttante del presidente della giuria Luigi Chiarini, il quale aveva sempre avuto poca simpatia per il regista, i giurati furono costretti a dare il Leone d'oro ex aequo a quello di Rossellini.
Ricordò Monicelli, a proposito della proiezione per il pubblico al Festival di Venezia: "Ci fu a Venezia, alla fine della proiezione, un applauso così lungo che lasciò esterrefatti gli attori, tutti quanti noi. Non pensavamo che il film avesse questo esito. Speravamo che andasse bene, ma che avesse un esito talmente trionfale... che poi evidentemente costrinse la giuria a darlo ex aequo a quello di Rossellini...".
Incassi
Il film fu il terzo maggior incasso in Italia della stagione cinematografica 1959-60 (superato solo da La dolce vita e A qualcuno piace caldo), con un introito di 1.500.000.000 di lire dell'epoca.
La grande guerra detiene ad oggi il diciottesimo posto nella classifica dei film italiani più visti di sempre con spettatori paganti.
Critica
Riconoscimenti
1960 - Premio Oscar
Candidatura per il miglior film straniero (Italia)
1959 - Festival di Venezia
Leone d'oro al miglior film a Mario Monicelli
Premio speciale "Per la sua interpretazione" a Alberto Sordi
1960 - David di Donatello
Miglior produttore a Dino De Laurentiis
Migliore attore protagonista a Vittorio Gassman
Migliore attore protagonista a Alberto Sordi
1960 - Globo d'oro
Candidatura per il miglior film a Mario Monicelli
1960 - Nastro d'argento
Miglior attore protagonista a Alberto Sordi
Migliore scenografia a Mario Garbuglia
Candidatura per il regista del miglior film a Mario Monicelli
Candidatura per il miglior produttore a Dino De Laurentiis
Candidatura per il migliore soggetto a Mario Monicelli, Agenore Incrocci, Furio Scarpelli e Luciano Vincenzoni
Candidatura per la migliore sceneggiatura a Mario Monicelli, Agenore Incrocci, Furio Scarpelli e Luciano Vincenzoni
Candidatura per il miglior attore protagonista a Vittorio Gassman
Candidatura per i migliori costumi a Danilo Donati
Candidatura per la migliore fotografia a Giuseppe Rotunno
Note
Bibliografia
Voci correlate
Prima guerra mondiale
Commedia all'italiana
Film sulla prima guerra mondiale
Altri progetti
Collegamenti esterni
Film commedia drammatica
Leone d'oro al miglior film
Film sulla prima guerra mondiale
Film sugli alpini
Film commedia all'italiana
Film ambientati in Friuli-Venezia Giulia
Film diretti da Mario Monicelli
Film girati in Friuli-Venezia Giulia
Film girati nel Lazio
Film sceneggiati da Luciano Vincenzoni |
2623 | https://it.wikipedia.org/wiki/Litio | Litio | Il litio (dal greco , líthos, "pietra") è l'elemento chimico della tavola periodica degli elementi che ha numero atomico 3 e simbolo Li. È il secondo elemento del primo gruppo, ma è il primo degli elementi metallici e il capostipite dei metalli alcalini. Tra questi, l'energia di ionizzazione (5,39 eV) e l'affinità elettronica (0,618 eV) del litio sono le più alte; di conseguenza, ha anche la più alta elettronegatività (0,98, scala Pauling).
Il litio è un metallo tenero, duttile e malleabile, di color grigio argenteo, che però a contatto con l'aria e l'umidità si ossida molto facilmente, inscurendosi progressivamente. È anche il più leggero dei metalli, con una densità (/cm³) pari a circa metà di quella dell'acqua. Per la sua elevata reattività e come gli altri metalli alcalini, il litio non si trova in natura allo stato elementare. È usato principalmente nelle leghe conduttrici di calore, nelle batterie e come componente in alcuni medicinali.
Caratteristiche
Il punto di fusione del litio è basso (180,54 °C) rispetto a molti metalli, ma è il più alto tra quelli alcalini. Per le sue ridotte dimensioni atomiche (ratomico = 145 pm) ha un comportamento che a volte è riportato come anomalo; con il sodio mostra solubilità completa solo al di sopra di 380 °C e non è miscibile con il potassio e i successivi metalli alcalini, che invece tra loro sono miscibili. Lo ione litio, più piccolo di quello degli altri alcalini, in soluzione acquosa preferisce coordinarsi tipicamente con sole 4 molecole di acqua, dando lo ione complesso [Li(H2O)4]+, approssimativamente tetraedrico, invece che con 6 o più degli altri alcalini.
Lo ione Li+ ha inoltre il potenziale di elettrodo più negativo [E°(Li+ / Li) = -3,040 V] di ogni altro elemento metallico ed è perciò l'elemento più riducente; questo comporta la massima energia ottenibile per reazione con un dato ossidante; tale massima energia e la ridotta massa atomica del litio (6,94 u), che comporta minor peso, rendono finora difficilmente sostituibile il suo uso come materiale anodico (e sali di litio come elettrolita) nelle batterie per un efficiente accumulo energetico (batterie al litio).
Litio metallico
A temperatura e pressione ambiente Il litio allo stato metallico cristallizza con la struttura del reticolo cubico a corpo centrato (β-Li), la stessa degli altri metalli alcalini: ogni atomo Li è al centro di un cubo ed è circondato da 8 altri atomi posti ai vertici del cubo stesso; il lato del cubo è la costante a del reticolo, che è pari a 351,0 pm e ogni atomo di litio dista dal primo vicino di 304 pm, da cui il raggio metallico del litio risulta 152 pm. Il gruppo spaziale è Im-3m (N° 229). Per estrarre un elettrone da una superficie di litio metallico occorrono 2,95 eV ed è quindi necessaria una radiazione elettromagnetica nella regione dell'ultravioletto; per confronto, ne servono 5,11 per la molecola Li2 (vide infra) e 5,39 per un atomo di litio isolato.
Dilitio
Il dilitio Li2 è conosciuto soltanto in fase gassosa nel vapore di litio, dove si trova in miscela, in percentuale molto piccola, con il litio atomico. Il dilitio è una molecola biatomica (Li–Li) formata da due atomi di litio uniti da un legame covalente. La molecola ha ordine di legame di 1 (2 elettroni leganti in un orbitale molecolare di tipo sigma), la distanza di legame è di , distanza notevolmente minore di quella tra gli atomi Li nel litio allo stato metallico (304 pm). L'energia di legame di , ovvero 1,06 eV.
Per la specie Li2 l'entalpia di formazione standard è ΔHƒ° = 215,90 kJ/mol e l'entropia standard è S° = 197,01 J/(mol·K). Il suo potenziale di ionizzazione è di 5,11 eV, un valore un po' minore rispetto a quello dell'atomo di Li isolato (5,39 eV). L'affinità protonica di Li2 ammonta a 1.162 kJ/mol.
Proprietà chimiche
Come tutti i metalli alcalini, il litio reagisce vigorosamente con l'ossigeno formando l'ossido Li2O (che si idrata facilmente con l'acqua formando l'idrossido LiOH) e direttamente con l'acqua spostando l'idrogeno, che si svolge come gas dalla soluzione, formando l'idrossido LiOH, avente comportamento di base forte, che è in grado di catturare l'anidride carbonica dall'aria formando il carbonato:
4 Li + O2 → 2 Li2O (Li2O + H2O → 2 LiOH)
2 Li + 2 H2O → 2 LiOH + H2↑ (2 LiOH + CO2 → Li2CO3 + H2O)
Entrambi sono composti di tipo salino, incolori o bianchi se in forma suddivisa, molto avidi di acqua e fortemente esotermici, ΔHƒ° = -553,25 kJ/mol e ΔHƒ° = -474,42 kJ/mol, rispettivamente. Inoltre, il litio è l'unico tra i metalli alcalini a reagire spontaneamente con l'azoto dell'aria a temperatura ambiente per dare il corrispondente nitruro di litio, che è esotermico (ΔHƒ° = -164,56 kJ/mol):
6 Li + N2 → 2 Li3N
Ciononostante, è meno reattivo già rispetto al sodio e, a dispetto della stretta similitudine chimica con esso e il resto dei metalli alcalini, condivide qualche proprietà con il magnesio, come il raggio ionico non tanto dissimile (76 pm contro 72 pm) e la scarsa solubilità dei loro fluoruri (LiF e MgF2) e del carbonati (Li2CO3 e MgCO3); aspetti questi che si inquadrano nella relazione diagonale.
Oltre 400 °C reagisce con l'idrogeno per dare l'idruro di litio, anch'esso esotermico (ΔHƒ° = -90,63 kJ/mol), che è il più stabile tra gli idruri dei metalli alcalini e che arriva al punto di fusione (692 °C) senza decomporsi:
2 Li + H2 → 2 LiH
Nelle sue reazioni con gli alogeni si formano i corrispondenti alogenuri salini (LiF, LiCl, LiBr e LiI, tutti cristallini incolori con la struttura cubica di NaCl), ma le reazioni sono molto violente e quindi non pratiche per il loro ottenimento; si preferisce prepararli, ad esempio, dalle reazioni dell'idrossido (o anche del carbonato) con i corrispondenti acidi alogenidrici HX (X = F, Cl, Br, I):
LiOH + HX → LiX + LiX
Li2CO3 + 2 HX → 2 LiX + H2O + CO2↑
Con reazioni del tutto analoghe con altri acidi si possono preparare praticamente tutti gli sali di litio (LiNO3, Li3PO4, Li2SO4, LiClO4, etc.).
I suoi sali nei saggi alla fiamma conferiscono ad essa color cremisi, ma quando brucia come polvere metallica, la fiamma diventa bianco brillante. È un elemento univalente.
Il litio può formare inoltre dei cluster molecolari, come ad esempio nelle molecole di Li6.
Isotopi
In natura il litio è presente con due isotopi stabili: il 6Li e il 7Li; quest'ultimo ammonta al 92,5% del totale. Sono stati ottenuti sette radioisotopi, dei quali i più longevi sono 8Li con un tempo di dimezzamento di e il 9Li con 178,3 ms.
Il Li-8 (spin 2) decade β- per dare Be-8, il quale si spezza in 2 particelle α (fissione), emettendo 16,079 MeV di energia.
Il Li-9 (spin 3/2-) decade β- dando Be-9 (stabile) sviluppando 11,941 MeV ma, nel 50,8% dei casi, espelle anche un neutrone [decadimento (β- + n)], per dare Be-8, che poi si spezza in 2 particelle α (Q = 13,607 MeV).
Il Li-10 (spin incerto) decade per emissione di neutrone dando il Li-9 (T1/2 = 2×10-12 s, Q = 25 keV), il quale poi decade come sopra.
Il Li-3, con 3 protoni nel nucleo - senza neutroni - è praticamente sconosciuto, pur se riportato in qualche tabella, ma senza ulteriori particolari.
Il Li-4 (spin 2-) decade per emissione di protone (Q = 3,103 MeV) dando He-3, stabile; l'emivita è di 7,57×10-23 s. L'unico nuclide non radioattivo avente A = 4 è quello di elio 4He.
Il Li-5 (spin 3/2-), come qualsiasi nuclide avente A = 5, è estremamente instabile; decade per emissione di protone (Q = 1,965 MeV) dando 4He, con un'emivita di 3,04×10-22 s.
Proprietà
Il 6Li è uno dei pochi nuclidi non radioattivi aventi un numero dispari sia di protoni (Z), che di neutroni (N), (3 e 3): questa è una condizione generale di scarsa stabilità nucleare che tende ad essere evitata; oltre che nel caso del deuterio, è tuttavia condivisa nel secondo periodo con i nuclidi 10B (5 e 5) e 14N (7 e 7) ma, arrivati al fluoro, si ha che il 18F (9 e 9) è radioattivo e anche più in avanti non ci sono altri casi.
Il 6Li trova vantaggiosa applicazione nella produzione di trizio attraverso bombardamento con neutroni prodotti da reattori nucleari:
6Li + n → 4He + T
Il 7Li è uno degli elementi primordiali (che si ritiene sia stato prodotto nella nucleosintesi del Big Bang). Una piccola quantità di entrambi, 6Li e 7Li, è prodotta nelle stelle, ma si pensa che vengano consumati/bruciati tanto velocemente quanto più rapidamente si formano. Altre piccole quantità di litio sia 6Li che 7Li possono essere generate dal vento solare, dai raggi cosmici che colpiscono gli atomi più pesanti e dal decadimento di 7Be e 10Be.
Gli isotopi di litio si frazionano durante un'ampia gamma di processi naturali, che includono: la formazione di minerali (precipitazione chimica), metabolismo, scambio ionico. Inoltre, gli ioni litio possono a volte sostituire, per il raggio ionico non molto diverso, il magnesio e il ferro in siti ottaedrici di minerali argillosi, dove il 6Li e il 7Li portano ad un arricchimento dell'isotopo leggero nei processi di iperfiltrazione e alterazione delle rocce.
Storia e produzione
Nel 1800, in una miniera sull'isola di Uto in Svezia, fu scoperto dal chimico e statista brasiliano José Bonifácio de Andrada e Silva un minerale chiamato petalite (LiAlSi4O10). Inizialmente non si sapeva che tale minerale contenesse litio. Nel 1817 Johan August Arfwedson, mentre lavorava nel laboratorio del chimico Jöns Jakob Berzelius, analizzando attentamente un campione di tale minerale rilevò la presenza di un nuovo elemento che formava composti simili a quelli del sodio e del potassio, sebbene il suo carbonato e il suo idrossido fossero meno solubili in acqua e meno alcalini. Berzelius diede a tale elemento il nome di lithion, dalla parola greca λίθoς (traslitterato come líthos, che significa "pietra"), per evidenziare il fatto che era stato scoperto all'interno di un minerale al contrario del potassio, che era stato scoperto in ceneri vegetali, e del sodio, del quale era nota la sua abbondanza nel sangue animale.
In seguito Arfwedson dimostrò che questo stesso elemento era presente nei minerali spodumene e lepidolite. Nel 1818, Christian Gmelin fu il primo ad osservare che i sali di litio danno un colore rosso acceso al fuoco (saggio alla fiamma). Tuttavia, sia Arfwedson e Gmelin provarono a lungo e invano ad isolare l'elemento puro dai suoi sali. Nel 1821 William Thomas Brande isolò il litio ottenendolo per elettrolisi dall'ossido di litio, un processo che era stato precedentemente impiegato dal chimico Sir Humphry Davy per isolare i metalli alcalini potassio e sodio. Brande descrisse anche alcuni sali puri di litio, quali cloruro, e, stimando che la lithia (ossido di litio) conteneva circa il 55% metallo, stimò il peso atomico del litio intorno a 9,8 (il valore riconosciuto è ~6,94). Nel 1855, grandi quantità di litio furono prodotte attraverso l'elettrolisi di cloruro di litio da Robert Bunsen e Augustus Matthiessen. La scoperta di questa procedura portò inevitabilmente alla produzione commerciale del litio, a partire dal 1923, dalla società tedesca Metallgesellschaft AG, che eseguiva l'elettrolisi di una miscela liquida di cloruro di litio e cloruro di potassio per isolare l'elemento allo stato puro.
La produzione e l'uso di litio hanno subito nel tempo diversi drastici cambiamenti. La prima grande applicazione del litio è stata la produzione di lubrificanti e saponi per motori aeronautici o simili nella seconda guerra mondiale e subito dopo. Quest'uso era dovuto al fatto che i saponi al litio hanno un punto di fusione superiore ad altri saponi alcalini e sono meno corrosivi dei saponi a base di calcio. Il modesto mercato di saponi di litio e grassi lubrificanti basati su di essi è stato sostenuto grazie a piccole miniere disseminate per lo più negli Stati Uniti.
La domanda di litio aumentò notevolmente durante la guerra fredda, con la produzione di armi di fusione nucleare. Sia il litio-6 sia il litio-7 producevano trizio quando venivano bombardati con neutroni e sono pertanto utili per la produzione di trizio a sé, nonché una forma di combustibile solido usato all'interno bombe all'idrogeno in forma di deuteruro di litio. Gli Stati Uniti sono diventati il primo produttore di litio al mondo nel periodo compreso tra la fine degli anni cinquanta e la metà degli anni ottanta. Alla fine, le scorte di litio erano di circa di idrossido di litio. Il litio è stato accumulato impoverito in litio-6 del 75%, che è stato sufficiente a influenzare il peso atomico misurato di litio in molte sostanze chimiche standard, ed anche il peso atomico del litio in alcune "fonti naturali" di ioni di litio, che erano state invece "contaminate" in sali di litio, a rapporto isotopico alterato, scaricati dagli impianti di separazione degli isotopi che avevano raggiunto le acque sotterranee.
Il litio è stato utilizzato per diminuire la temperatura di fusione del vetro e per migliorare il comportamento alla fusione di ossido di alluminio quando si utilizza il processo Hall-Héroult. Questi due usi hanno dominato il mercato fino alla metà degli anni novanta. Dopo la fine della corsa agli armamenti la domanda di litio è diminuita e la vendita di scorte sul mercato da parte del Dipartimento di Energia statunitense ha visto un dimezzamento dei prezzi. Ma a metà degli anni '90, diverse aziende hanno iniziato a estrarre litio dalle soluzioni, un metodo che si è rivelato meno costoso e più rapido delle miniere sotterranee o anche a cielo aperto. La maggior parte delle miniere sono state chiuse o hanno spostato l'attenzione sull'estrazione di altri materiali. Ad esempio, le principali miniere degli Stati Uniti vicino a Kings Mountain, Carolina del Nord, furono chiuse prima della fine del XX secolo.
L'utilizzo di batterie agli ioni di litio ha aumentato la domanda di litio ed è diventato l'uso dominante a partire dal 2007. Con l'aumento della domanda di litio nelle batterie del 2000, nuove società hanno ampliato gli sforzi di estrazione salina per soddisfare la crescente domanda internazionale.
Il litio è prodotto per elettrolisi da una miscela di cloruro di litio e cloruro di potassio fusi (i rispettivi punti di fusione sono e circa 350 °C). Per questo processo si sfruttano delle celle in acciaio rivestito da materiale refrattario (cioè resistente alle alte temperature), con un anodo in grafite — dove si sviluppa il cloro — e un catodo in acciaio, dove si accumula il litio fuso.
Il costo di questo metallo nel 1997 era di circa /kg.
Applicazioni
Vetri e materiali ceramici
L'ossido di dilitio (Li2O) è un fondente ampiamente utilizzato per il trattamento di silice, in grado di ridurre il punto di fusione e la viscosità del materiale risultante e di portare gli smalti ad avere coefficienti di dilatazione termica più bassi. Gli ossidi di litio sono una componente di stoviglie. In tutto il mondo questo è l'uso più ampio di composti di litio. Per questa applicazione si può partire dal carbonato di litio (Li2CO3) che, per riscaldamento, si converte nell'ossido.
Il niobato di litio (LiNbO3) è un sale di litio ma anche un materiale ceramico con notevoli proprietà ottiche ed elettriche: il cristallo è piezoelettrico e ferroelettrico ed è molto usato sin dagli anni '80 per i filtri ad onda acustica superficiale (SAW) con un grande mercato in quelli di media frequenza dei televisori analogici. Anche il tantalato di litio (LiTaO3) ha proprietà simili e a volte è usato in associazione al niobato, anche se quest'ultimo viene quasi sempre preferito.
Batterie
Negli ultimi anni del XX secolo, a causa del suo elevato potenziale di elettrodo [E°(Li+ / Li) = -3,040 V], il litio divenne una componente importante degli elettrodi (anodi) nelle batterie e, come ione, del loro elettrolita. A causa della sua bassa massa atomica, conferisce una densità di carica elevata e quindi poi un rapporto potenza-peso alto. Una tipica batteria agli ioni di litio è in grado di generare circa per cella, contro i 2,1 V della batteria al piombo o gli 1,5 V per celle zinco-carbone. Le batterie a ioni di litio, ricaricabili e con un'alta densità di energia, non devono essere confuse con le batterie al litio, che sono usa e getta (pile primarie) con litio o suoi composti come anodo. Altre batterie ricaricabili che utilizzano litio includono la batteria ai polimeri di ioni litio, la batteria al fosfato di litio ferroso e la batteria a nanofili.
A causa del suo calore specifico (il più alto tra i solidi), il litio è usato in applicazioni per il trasferimento di calore. Grazie al suo alto potenziale elettrochimico il litio è inoltre un importante materiale anodico delle batterie agli ioni di litio nelle quali in genere compare, oltre che in forma metallica all'anodo, sotto forma di sali disciolti, quali il carbonato di litio (Li2CO3) e il perclorato di litio (LiClO4).
Grassi lubrificanti
Riguardano il terzo maggiore impiego del litio su vasta scala. L'idrossido di litio (LiOH) è una base forte e, riscaldato insieme ad un grasso, lo saponifica e, dopo allontanamento del glicerolo, viene prodotto quindi un sapone, come ad esempio lo stearato di litio. Questo sapone viene impiegato come addensante per oli e come lubrificante generico ad alte temperature.
Leghe
Il litio metallico viene usato in leghe con alluminio e magnesio, migliorandone la resistenza e rendendole più leggere. Una lega con il magnesio viene utilizzata per la corazzatura. Le leghe con l'alluminio sono utilizzate in aerei, telai di biciclette e treni ad alta velocità.
Metallurgia
Quando viene utilizzato come un fondente per saldatura o brasatura, il litio metallico promuove la fusione dei metalli durante il processo ed elimina la formazione di ossidi assorbendo le impurità. La sua qualità di fusione è importante anche come un flusso per la produzione di ceramiche, smalti e vetro. Le leghe di metallo con alluminio, cadmio, rame e manganese sono usate come componenti di aeromobili ad alte prestazioni (vedi anche le leghe litio-alluminio).
Applicazioni in campo militare
In campo bellico
Il litio metallico e i suoi idruri complessi, come LiAlH4, sono utilizzati come additivi ad alta energia per i propellenti dei razzi. L'idruro di alluminio-litio può essere utilizzato anche da solo in veste di combustibile solido.
Il sistema di propulsione ad energia chimica immagazzinata Mark 50 Torpedo (SCEPS) utilizza un piccolo serbatoio di gas esafluoruro di zolfo, che viene spruzzato su un blocco di litio solido. La reazione genera calore, a sua volta usato per generare vapore. Il vapore spinge il siluro in un ciclo Rankine chiuso.
L'idruro di litio contenente litio-6 è usato nelle bombe all'idrogeno. Nella bomba è collocato intorno al nucleo (core) di una bomba nucleare.
Nucleare
Il litio-6 è valutato come materiale di base per la produzione di trizio e come assorbitore di neutroni durante un processo di fusione nucleare. Il litio naturale contiene circa il 7,5% di litio-6 di cui grandi quantità sono state prodotte dalla separazione isotopica per l'uso di armi nucleari. L'isotopo litio-7 ha guadagnato interesse per l'uso nei refrigeranti dei reattori nucleari. Un uso per la produzione di trizio in futuro si potrebbe avere nell'impianto sperimentale DEMO.
Il deuteruro di litio era il materiale di fusione principalmente utilizzato nelle prime versioni della bomba all'idrogeno. Quando bombardati da neutroni, sia 6Li che 7Li producono trizio (questa reazione, che non era del tutto chiara quando le bombe all'idrogeno sono state ideate per la prima volta, è stata responsabile dell'inaspettato incremento nella resa del test nucleare Castle Bravo). Il trizio fonde con il deuterio in una reazione di fusione che è relativamente facile da realizzare. Anche se i dettagli rimangono segreti, il deuteruro di litio-6 evidentemente gioca ancora un ruolo decisivo nelle armi nucleari moderne, come materiale di fusione soprattutto.
Il fluoruro di litio (LiF), quando altamente arricchito con isotopo 7 di litio, costituisce la base costituente della miscela del sale fluoruro LiF-BeF2 utilizzato nei reattori nucleari a fluoruro liquido. Il fluoruro di litio è eccezionalmente stabile e le miscele di LiF-BeF2 hanno un basso punto di fusione. Inoltre, 7Li, Be, e F sono tra i pochi nuclidi in grado di non inquinare le reazioni di fissione all'interno di un reattore a fissione nucleare.
In impianti di fusione nucleare in progettazione e/o in costruzione, il litio sarà utilizzato per produrre trizio nei reattori confinati magneticamente con deuterio e trizio come combustibile. In natura il trizio è estremamente raro e deve essere prodotto sinteticamente circondando il plasma reagente con una 'coperta' contenente litio, dove i neutroni, provenienti dalla reazione deuterio-trizio nel plasma, fissionino il litio per produrre altro trizio:
6Li + n → 4He + 3T
7Li + n → 4He + 3T + n
Il litio è usato anche come fonte di particelle alfa, cioè nuclei di 4He. Quando il 7Li è bombardato da protoni accelerati si forma 8Be, che subisce fissione e va a formare due particelle alfa, cioè due nuclei di elio. Questa impresa, denominata "scissione dell'atomo", al momento è stata la prima reazione nucleare pienamente gestita dall'uomo. È stato ideata e condotta per la prima volta da Cockroft e Walton nel 1932. A dire il vero, alcune reazioni nucleari e la trasmutazione nucleare direttamente controllata dagli esseri umani erano già state compiute nel 1917, ma utilizzando il bombardamento radioattivo naturale con particelle alfa.
Nel 2013 il Government Accountability Office ha detto che il litio-7 è fondamentale per il funzionamento di 65 reattori nucleari statunitensi su 100; tuttavia «sottopone la loro capacità di continuare a fornire energia elettrica a qualche rischio». Il problema deriva dal decadimento di infrastrutture nucleari degli Stati Uniti. Questi spensero la maggior parte dei propri impianti nel 1963, a causa di un surplus enorme. Il rapporto disse che ci sarebbero voluti cinque anni e tra i 10 e il 12 milioni di dollari per completare il processo di disattivazione di tali strutture.
I reattori usano il litio per contrastare gli effetti corrosivi dell'acido borico, che viene aggiunto all'acqua per assorbire i neutroni in eccesso.
Medicina
Il litio è particolarmente utile per la cura del disturbo bipolare dell'umore, specialmente sotto forma di carbonato di litio o il citrato di litio. Essendo in grado di stabilizzare l'umore del soggetto, questi composti hanno impiego nella prevenzione della fase maniacale del disturbo, tanto da divenire il farmaco d'elezione nella cura del disturbo bipolare di tipo I. Ad ogni modo, il litio presenta anche delle controindicazioni, dovute alla tossicità dei sali in base al grado di concentrazione nel sangue. Devono quindi essere somministrati sotto attenta prescrizione medica specialistica. Si ritiene inoltre che possa contribuire all'insorgere della anomalia cardiaca di Ebstein nei bambini nati da donne che assumono litio durante il primo trimestre delle gravidanza (ulteriori complicazioni si hanno se l'assunzione di litio è prolungata nel tempo).
Secondo alcune ricerche recenti, il litio potrebbe essere efficace nel trattare le cefalee a grappolo e l'ideazione suicidaria.
Purificazione dell'aria
Il cloruro di litio (LiCl) e il bromuro di litio (LiBr) sono igroscopici e sono utilizzati come disidratanti per i flussi di gas. L'idrossido di litio (LiOH, base forte) e il perossido di litio sono i sali più utilizzati in spazi confinati, come ad esempio a bordo di veicoli spaziali e sottomarini, per la rimozione di anidride carbonica e la purificazione dell'aria. L'idrossido di litio assorbe anidride carbonica dall'aria formando carbonato di litio ed è preferito rispetto ad altri idrossidi alcalini per il suo peso ridotto.
Il perossido di litio (Li2O2) in presenza di umidità non solo reagisce con l'anidride carbonica per formare carbonato di litio (Li2CO3), ma rilascia anche ossigeno. La reazione è la seguente:
2 Li2O2 + 2 CO2 -> 2 Li2CO3 + O2.
Alcuni dei composti sopra citati, così come il perclorato di litio, sono utilizzati in candele ad ossigeno che riforniscono sottomarini di ossigeno. Queste possono includere anche piccole quantità di boro, magnesio, alluminio, silicio, titanio, manganese e ferro.
Ottica
Il fluoruro di litio, artificialmente coltivato come cristallo, è chiaro e trasparente e spesso utilizzato in ottica specializzati per applicazioni VUV (UV sottovuoto), IR e UV. Esso ha uno dei più bassi indici di rifrazione e la più lontana portata di trasmissione tra i materiali più comuni nel profondo UV. Finemente divisa, la polvere di fluoruro di litio è stata usata per i dosimetri a termoluminescenza (DTL in italiano, TDL in inglese che sta per thermoluminescent radiation dosimetry). Quando un campione di tale composto viene esposto alle radiazioni, si accumula sotto forma di difetti di cristallo che, se riscaldati, si risolvono tramite un rilascio di luce bluastra la cui intensità è proporzionale alla dose assorbita, permettendo così di quantificare quest'ultima. Il fluoruro di litio è usato a volte nelle lenti focali dei telescopi.
L'elevata non-linearità del niobato di litio lo rende utile in applicazioni ottiche. È ampiamente utilizzato in prodotti di telecomunicazione come telefoni cellulari e modulatori ottici, in componenti come i cristalli di risonanza. Il litio viene dunque adoperato in oltre il 60% dei telefoni cellulari in circolazione.
Chimica organica e chimica dei polimeri
I composti dell'organo-litio sono ampiamente utilizzati nella produzione di polimeri e di prodotti chimici raffinati. Nel settore dei polimeri, che è il consumatore dominante di questi reagenti, i composti alchili di litio sono catalizzatori/iniziatori nella polimerizzazione anionica di alcheni non-funzionali. Per la produzione di prodotti dei prodotti chimici raffinati, i composti dell'organo-litio funzionano da basi forti e come reagenti per la formazione di legami carbonio-carbonio e vengono preparati dal litio metallico e da alogenuri alchili.
Molti altri composti di litio sono usati come reagenti per preparare i composti organici. Alcuni composti popolari includono l'idruro di litio alluminio (LiAlH4) e l'n-butillitio (n-C4H9Li), comunemente usati come basi estremamente forti chiamate superbasi.
Altri usi
I composti del litio sono adoperati come coloranti pirotecnici e quindi usati per i fuochi d'artificio.
L'idruro di litio può essere usato come accumulatore termico nelle batterie a fissione spontanea per applicazioni su cuore artificiale.
Disponibilità
Astronomica
Secondo la teoria cosmologica moderna il litio — sotto forma dei suoi due isotopi più stabili litio-6 e litio-7 — era fra i 3 elementi sintetizzati nel Big Bang. Sebbene la quantità di litio prodotta dalla nucleosintesi del Big Bang dipenda dal numero di fotoni per barione, è possibile calcolare con una buona approssimazione l'abbondanza di tale elemento nell'universo. Sorprendentemente ci si rende conto che vi è una sorta di "discrepanza cosmologica" riguardo al litio: stelle più vecchie sembrano avere meno litio di quanto dovrebbero averne mentre le stelle più giovani ne presentano quantità superiori rispetto a quanto ci si aspetterebbe da loro. La mancanza di litio nelle stelle più anziane è apparentemente causata dal "mescolamento" continuo del litio nel nucleo stellare, dove alla fine viene trasformato in altro. Come già anticipato, inoltre, le stelle di generazione recente hanno livelli di litio più alti del normale, sebbene questo eccesso si tramuti facilmente in due atomi di elio a causa della collisione con un protone a temperature superiori ai 2,4 milioni di gradi Celsius, temperatura tipica dei nuclei stellari. Ad oggi non sono state ancora ben chiarite le cause di questo anomalo aumento di litio.
Nonostante sia stato il terzo elemento (insieme a idrogeno ed elio) ad essere stato sintetizzato nel Big Bang, il litio, come anche il berillio e il boro, è nettamente meno abbondante rispetto agli altri elementi in posizioni vicine. Ciò si spiega considerando che bastano temperature relativamente basse per distruggere gli atomi di litio e mancano processi comuni in grado di riprodurlo.
Il litio si trova anche in alcune nane brune e in stelle arancioni anomale. Poiché il litio è presente nelle più fredde e meno massicce nane brune ma è distrutto nelle più calde nane rosse, la sua presenza negli spettri delle stelle può essere utilizzata nel lithium test ("test al litio") per differenziare i due tipi di stella, in quanto entrambi più piccoli del Sole. Le stelle arancioni talvolta hanno un'elevata concentrazione di litio (come Centaurus X-4). Questo genere di stelle spesso orbita nei pressi di un corpo celeste con un intenso campo gravitazionale (stella di neutroni o buco nero) in grado di attirare in superficie il litio più pesante, permettendo agli astronomi di osservarne di più e di ottenere spettri diversi.
Terrestre
Il litio è il 25º elemento più abbondante nella crosta terrestre, con una concentrazione di per kg di crosta. Sebbene tale elemento sia largamente disponibile, non si trova in natura allo stato metallico: a causa della sua reattività, infatti, si presenta sempre legato ad altri elementi o composti. È presente in minima parte in quasi tutte le rocce ignee (specialmente il granito) ed anche in molte salamoie naturali.
Negli ultimi anni si è iniziato a pianificare e progettare il Litio dalle "salamoie geotermali",attraverso una centrale geotermica che estrae anche la salamoia oltre che produrre energia elettrica e trasformando il cloruro di litio all'idrossido di litio.
Il contenuto totale di litio nell'acqua di mare è molto grande ed è stimato intorno ai 230 miliardi di tonnellate, con una concentrazione relativamente costante di 0,14-0,25 ppm. Le concentrazioni più alte si avvicinano 7 ppm e si trovano nei pressi di sorgenti idrotermali.
I minerali più ricchi di litio sono spodumene e petalite, le fonti più valide dal punto vista commerciale e la cui lavorazione è cominciata a seguito della Seconda guerra mondiale. Un altro minerale significativo di litio è la lepidolite, mentre più recentemente l'argilla hectorite e l'ambligonite sono state riconosciute come risorse di litio altrettanto importanti.
La maggior parte delle riserve disponibili di litio e commercialmente sfruttabili si trova in Bolivia nella zona di Salar de Uyuni, con i suoi 5,4 milioni di tonnellate di litio. Lo US Geological Survey ha stimato, nel 2010, che il Cile ha riserve di gran lunga più elevate (circa 7,5 milioni di tonnellate) con una produzione annuale di circa 8 800 tonnellate. Altri fornitori principali a livello mondiale sono l'Australia, l'Argentina e la Cina.
Un quadro diverso emerge analizzando le aziende che gestiscono miniere di litio. Secondo un reportage pubblicato dalla rivista specializzata illuminem, investitori cinesi controllano diverse compagnie minerarie, che rappresentano il 33,1% della produzione totale (e la metà della produzione delle grandi imprese) di litio al mondo .
Nell'UE sono in corso quattro progetti per l'estrazione «sostenibile» del litio, per un totale di due miliardi di EUR, progetti che dovrebbero essere operativi tra il 2022 e il 2024 e che dovrebbero soddisfare fino all'80 % del fabbisogno di litio dell'UE nel settore delle batterie entro il 2025.
Biologica
Il litio si trova in tracce in numerose piante, plancton ed invertebrati, a concentrazioni da 69 a 5 760 ppb. Nei vertebrati la concentrazione è leggermente inferiore e quasi tutti i vertebrati hanno una concentrazione di litio tra le 21 e le 763 ppb nei tessuti e nei liquidi corporei. Gli organismi marini tendono al bioaccumulo di litio più di quelli terrestri. Non è noto se il litio abbia un ruolo fisiologico in uno qualsiasi di questi organismi, ma studi nutrizionali nei mammiferi hanno indicato la sua importanza per la salute, che porta a suggerire che debba essere classificato come un elemento essenziale di una RDA di /giorno. Studi condotti in Giappone, riportati nel 2011, hanno suggerito che il litio naturalmente presente in acque potabili può aumentare la durata della vita umana.
Precauzioni
Come gli altri metalli alcalini, il litio nella sua forma pura è altamente infiammabile e leggermente esplosivo se esposto all'aria e soprattutto all'acqua, con la quale reagisce in maniera violenta (produzione di idrogeno).
Questo metallo è anche corrosivo e deve essere maneggiato evitando il contatto con la pelle.
Per quanto riguarda lo stoccaggio, deve essere conservato immerso in idrocarburi liquidi, come la nafta.
Il litio è considerato leggermente tossico; lo ione litio è coinvolto negli equilibri elettrochimici delle cellule del sistema nervoso e viene spesso prescritto come farmaco nelle terapie per il trattamento di sindromi maniaco-depressive.
L'intossicazione da sali di litio, più grave e frequente nei pazienti con compromissione della funzione renale, si tratta efficacemente con infusione di cloruro di sodio, urea ed acetazolamide o, in alternativa, con l'emodialisi.
Note
Bibliografia
Voci correlate
Esafluoroarsenato di litio
Idruro di litio
Solfato di litio
Solfuro di litio
Tetraborato di dilitio
Triflato di litio
Sali di litio
Grasso al litio
Avvelenamento da litio
Altri progetti
Collegamenti esterni
Elementi chimici
Combustibili per la fusione nucleare
Metalli |
2624 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lantanio | Lantanio | Il lantanio è l'elemento chimico di numero atomico 57 e il suo simbolo è La.
Caratteristiche
Il lantanio è un elemento leggero, metallico, di colore bianco-argento, malleabile e duttile: è anche molto tenero, tanto che si può tagliare con un coltello. In reazione con l'acqua rilascia idrogeno gassoso. Ignifugo. Reagisce con gli ossidanti.
Appartiene al gruppo 3 della tavola periodica e spesso viene considerato uno dei lantanoidi. Si trova in alcuni minerali di terre rare, di solito in combinazione con il cerio e altri lantanoidi. È uno dei più reattivi metalli delle terre rare: reagisce direttamente con carbonio, azoto, boro, selenio, silicio, fosforo, zolfo e con gli alogeni. Si ossida rapidamente se esposto all'aria o all'acqua calda, mentre in acqua fredda il processo è molto rallentato.
Applicazioni
Usi del lantanio:
Illuminazione a carboni, soprattutto nell'industria cinematografica per l'illuminazione di teatri di posa e proiezione di pellicole.
L'ossido di lantanio (La2O3) migliora la resistenza del vetro all'attacco degli alcali ed è usato nella manifattura di speciali vetri ottici, come:
Vetro che assorbe la radiazione infrarossa.
Lenti per occhiali, fotocamere e telescopi, per via dell'alto indice rifrattivo e della bassa dispersione dei vetri alle terre rare.
Piccole quantità di lantanio aggiunte all'acciaio ne migliorano la malleabilità, la duttilità e la resilienza.
Piccole quantità di lantanio aggiunte al ferro aiutano a produrre perlite.
Piccole quantità di lantanio aggiunte al molibdeno diminuiscono la durezza e la fragilità di questo metallo e la sua sensibilità agli sbalzi di temperatura.
Il mischmetal, una lega piroforica usata per esempio nelle pietre per accendini, contiene dal 25% al 45% di lantanio.
L'ossido e l'esaboruro sono usati nelle valvole in elettronica, in particolare l'esaboruro per la sua intensa emissione di elettroni al calore.
La produzione di leghe che fungono da "spugne di idrogeno"; sono leghe capaci di adsorbire reversibilmente fino a 400 volte il loro volume di idrogeno gassoso (ad esempio LaNi5 e derivati)
Catalizzatori per il cracking del petrolio.
mantelli per lanterne a gas.
Composti per la lucidatura di vetri e marmi.
Datazione (lantanio-bario) di rocce e minerali.
Il nitrato di lantanio trova uso in vetri speciali, catalizzatori e trattamento delle acque.
Il lantanio è presente in misura dell'1,5% (giallo) e 2,0% (blu) in alcuni tipi di elettrodo al tungsteno per la saldatura TIG. Il lantanio in sostituzione del torio (elettrodi "toriati") riduce i rischi presenti nelle operazioni di saldatura legati all'emissione di radiazioni ionizzanti e nelle operazioni di affilatura degli elettrodi poiché il lantanio è meno pesante del torio.
Storia
L'elemento chimico lantanio è stato scoperto dallo svedese Carl Gustav Mosander nel 1839, quando decompose parzialmente un campione di nitrato di cerio riscaldandolo e trattando il sale risultante con acido nitrico diluito. Dalla soluzione risultante isolò una nuova terra rara che battezzò lantana. Il lantanio fu isolato in forma relativamente pura nel 1923. L'origine del nome viene dal greco λανθάνειν, lanthànein, il cui significato è "tenersi nascosto", "nascondersi".
Ruolo biologico
Analogamente ad altri lantanoidi di inizio serie quali cerio, praseodimio e neodimio, il lantanio ha un ruolo biologico essenziale nell'ambito del metabolismo di alcuni batteri. Non ha alcun ruolo noto nella biochimica degli eucarioti e quindi anche dell'uomo.
Questo elemento non viene assorbito dal sistema digerente e se iniettato nel sangue la sua eliminazione è molto lenta. In medicina viene molto usato il carbonato di lantanio ed il cloruro di sodio per la sua praticità (Foznol) nell'assorbire il fosfato nei casi di iperfosfatemia in pazienti con insufficienza renale all'ultimo stadio. Il cloruro di lantanio (LaCl3), come i cloruri di altre terre rare, ha proprietà anticoagulanti.
Disponibilità
La monazite (Ce, La, Th, Nd, Y)PO4, e la bastnasite (Ce, La, Y)CO3F, sono i principali minerali da cui si ricava il lantanio: vi si trova dal 25% al 38% di lantanio rispettivamente.
Isotopi
Il lantanio in natura è composto principalmente (99,91%) di un isotopo stabile, il 139La e, per il restante 0,09%, da uno debolmente radioattivo, il 138La, avente emivita di anni. Questo nuclide decade, per il 65,5% degli eventi di decadimento, con emissione di positrone (726,4 keV) e cattura elettronica (β+, ε; 1748,4 keV) per dare il 138Ba (isotopo stabile del bario) e, per il restante 34,5% dei casi, decade con emissione di elettrone (β-; 1052,5 keV) per dare il 138Ce, un isotopo del cerio a sua volta soggetto a doppio decadimento β+ per dare il 138Ba, stabile.Sono stati creati altri 38 radioisotopi, con numeri di massa che vanno da 117 (117La) a 155 (155La). Di questi, il più stabile è il 137La, che decade solo per cattura elettronica (620,6 keV) a dare il 137Ba (stabile), con emivita di 60 250 anni. Il 140La decade β- (3762,2 keV) a dare 140Ce (stabile) con emivita di 1,679 giorni. Tutti gli altri isotopi sono radioattivi, con emivite di meno di 24 ore, e anzi la maggioranza di questi hanno emivite di meno di un minuto. Di questo elemento sono noti anche tre stati metastabili.
Idruri di lantanio
Ricercatori del Max Planck Institute di Magonza hanno sviluppato sette idruri di lantanio (LaH10+δ, LaH3, LaH~4, LaH4+δ, La4H23, LaH6+δ e LaH9+δ) a partire da una miscela di lantanio e paraffina (miscela di idrocarburi saturi, ricca di idrogeno) che è stata portata a una pressione tra 96 e 170 gigapascal e a una temperatura di 2.200°C. Il materiale così ottenuto presentava una superconduttività a una temperatura di transizione di appena -23°C.
Precauzioni
Il lantanio ha una tossicità che va da bassa a moderata e dovrebbe essere maneggiato con cura. Negli animali, l'iniezione di soluzioni di lantanio provoca un aumento della glicemia, un abbassamento della pressione sanguigna, degenerazione della milza e alterazioni epatiche.
Note
Bibliografia
Voci correlate
Lantanoidi
Fluoruro di lantanio
Ossido di lantanio
Altri progetti
Collegamenti esterni
Elementi chimici |
2629 | https://it.wikipedia.org/wiki/Le%20vacanze%20di%20Monsieur%20Hulot | Le vacanze di Monsieur Hulot | Le vacanze di Monsieur Hulot (Les vacances de M. Hulot) è un film del 1953 diretto da Jacques Tati, presentato in concorso al 6º Festival di Cannes.
Trama
Monsieur Hulot, a bordo del suo scoppiettante macinino (una Salmson AL3 del 1924), arriva in un villaggio balneare della costa bretone per trascorrere le sue vacanze in una pensione. Non essendoci una trama vera e propria, il film si svolge tra piccole gags in cui sono coinvolti i personaggi che popolano la spiaggia e la pensione: francesi, americani, giovani, anziani, bambini e camerieri. Hulot, con la sua mimica un po' goffa, i suoi pantaloni dall'orlo troppo corto, il suo cappelluccio e la sua pipa, borbotta in un linguaggio buffo.
Alcune gags: un frustino nella mano di Hulot diventa una spada; mentre cambia la ruota di scorta alla sua auto sgangherata, le signore sedute nell'abitacolo si alzano in corrispondenza del movimento del crick; la camera d'aria della ruota, a cui si sono attaccate delle foglie, diventa una corona da morto ad un funerale; Hulot esce in barca a pescare e la sua canoa si spezza in due, "divorandolo"; Hulot partecipa a una partita di tennis e la sua mimica nel maneggiare la racchetta porta scompiglio nel gioco; situazioni tipiche di convivenza nella pensione vengono sconvolte da Hulot, che lascia le porte aperte e gli ospiti rimangono in balìa delle correnti d'aria, ed ascolta ad alto volume il giradischi, disturbando i presenti.
Le giornate vengono scandite dalla mattina alla sera dal ciclico ripetersi di situazioni... la campana del gelataio... l'altoparlante della spiaggia.
Produzione
Gli esterni del film sono stati girati nel 1951 nella stazione balneare di Saint-Marc-sur-Mer, comune di Saint-Nazaire (dipartimento francese della Loira Atlantica). Tati ha filmato diversi luoghi del paese: la spiaggia, l'"Hôtel de la plage" (il cui ingresso è stato però modificato), il cimitero e la villa "Le Château", dove si svolge la partita di tennis. Anche gli abitanti di Saint-Marc-sur-mer hanno partecipato al film. Il nome del paese compare solo nel timbro postale dell'inquadratura finale del film.
Nel 1963 Tati ha realizzato una diversa versione del film con un nuovo montaggio e una nuova colonna sonora; nel 1975 ha aggiunto una nuova sequenza di quattro minuti.
Analisi
È un film delicato, dai toni garbati, pieno di serenità ma anche di un pizzico di malinconia da sabato del villaggio, allorché la vacanza termina e gli ospiti si salutano. È fatto di suoni, rumori e gesti che sono gli elementi con cui la trama viene narrata. Hulot, nel rito delle ferie e della spiaggia, è figura poetica, anarchica, ribelle nei confronti di riti collettivi e cose. Sconvolge ritmi, tempi, consuetudini, facendo riscoprire luoghi ed umanità: la poesia vera di chi sa fischiettare per la via.
La mimica di Tati, basata sulla tecnica recitativa del Gramelot, trae la sua origine dai grandi del passato Buster Keaton e Charlie Chaplin ed è fonte d'ispirazione dei futuri Jerry Lewis, Peter Sellers, Mr. Bean (per quest'ultimo anche nell'idioma buffo) e anche l'italiano Dario Fo.
Riconoscimenti
Nomination ai Premi Oscar 1956 per il miglior soggetto e sceneggiatura
Premio Louis-Delluc (1953)
Premio della critica internazionale al Festival di Cannes (1953)
Prix Femina, Bruxelles (1953)
Premio al Festival di Berlino (1953)
Golden Laurel Award al Festival di Edimburgo (1955)
Premio come miglior film dell'anno, Cuba (1956)
Nel 1954 il National Board of Review of Motion Pictures l'ha inserito nella lista dei migliori film stranieri dell'anno.
Note
Collegamenti esterni
Film commedia
Film diretti da Jacques Tati |
2630 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lira | Lira |
Astronomia
Lira – Costellazione
Codici
LIRA – Codice aeroportuale ICAO dell'aeroporto civile Roma Ciampino, (Italia)
Economia
Lira – Unità monetaria.
Monete pre-unità d'Italia
Lira delle Due Sicilie
Lira genovese
Lira austriaca
Lira pontificia
Lira reggiana
Lira parmense
Lira sarda – antenata della lira italiana
Lira toscana
Lira veneziana
Lira italiana – Italia (ITL) (sostituita dall'euro il 1º gennaio 2002)
Am-lira – emissione cartacea durante l'occupazione militare USA nella Seconda guerra mondiale
Lira dell'Africa Orientale Italiana – conio locale per l'Africa Orientale Italiana
Lira sammarinese – conio locale per San Marino
Lira somala – conio locale per la Somalia italiana
Lira tripolitana – Libia, moneta della Libia (Tripolitania e Cirenaica) sotto occupazione britannica nel 1943-1951, sostituita dalla sterlina libica
Lira triestina o lira del Litorale – circolò nella zona B del TLT.
Lira vaticana – conio locale per la Città del Vaticano
Lira britannica – Gran Bretagna (GBP)
Lira delle Falkland – Isole Falkland (FKP)
Lira di Gibilterra – Gibilterra (GIP)
Lira di Sant'Elena – Sant'Elena (SHP)
Lira cipriota – Cipro (CYP)
Lira egiziana – Egitto (EGP)
Lira libanese – Libano (LBP)
Lira maltese – Malta (MTL)
Lira siriana – Siria (SYP)
Lira sudanese – Sudan (SDG)
Lira turca – Turchia (TRL)
Nuova lira turca – Turchia (TRY)
Geografia
Lira – città dell'Uganda
Musica
Lira – Strumento musicale a corde pizzicate
Lira calabrese – Strumento musicale ad arco
Lira bizantina – Strumento musicale ad arco
Lira cretese – Strumento musicale ad arco
Lira da braccio – Strumento musicale ad arco rinascimentale, antenato del violino
Nautica
Lira – torpediniera della Regia Marina
Classe Lira – nome in codice NATO della classe di navi per sorveglianza elettronica sovietiche Progetto 1826 Balzam
Zoologia
Lira – Nome comune di alcune specie di uccelli.
Pagine correlate
Lyra
Altri progetti |
2631 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lava | Lava | Lava è il nome che viene dato al magma vulcanico dopo che ha perso i gas e gli altri componenti volatili sotto pressione che lo permeavano. Il termine "lava" si riferisce sia alla roccia allo stato fuso che fuoriesce in seguito ad una eruzione, che alla stessa roccia una volta che si è solidificata dopo il raffreddamento.
Descrizione
La brusca diminuzione della pressione, al passaggio in ambiente esterno alla crosta terrestre, provoca un degassamento del magma: i gas, disciolti inizialmente in soluzione, subiscono una repentina evaporazione, separandosi dal fuso magmatico che, conseguentemente alla variazione della composizione chimica, si trasforma in lava.
I gas liberati dal processo di degassamento sono il vapore acqueo (che genera l'acqua juvenile), CO2, CO, SO2, SO3, Cl2, N2 e gli elementi rari.
La lava ha una temperatura che va dagli 800 ai 1200 °C. Sebbene sia abbastanza viscosa, fino a 100.000 volte la viscosità dell'acqua a seconda della composizione, può scorrere per grandi distanze prima di raffreddarsi e solidificarsi, in funzione delle sue proprietà tissotropiche e reologiche. La lava, solidificandosi, forma rocce ignee effusive.
Suddivisione chimica delle lave
Le lave possono avere composizioni chimiche molto differenti tra loro. Si possono distinguere, sulla base del loro tenore in silice, tre classi fondamentali:
Lave acide o sialiche, nel caso abbiano un elevato tenore di silice (e.g.: Riolite, Dacite);
Lave intermedie, nel caso abbiano un tenore medio di silice (e.g.: Fonolite, Andesite, Hawaiite);
Lave ultrabasiche, nel caso abbiano un basso tenore di silice (e.g.: Tefrite, Basanite)
La viscosità della lava è influenzata dal tenore in silice. Le lave basiche tendono ad essere meno viscose delle acide ma la viscosità è determinata anche dal tenore in cristalli e in xenoliti. Quando raggiungono la superficie, quelle viscose tendono a stazionare in loco o a formare piccole colate generando duomi o piccole colate. Le lave meno viscose fluiscono facilmente in superficie formando delle colate laviche più o meno estese. Nel caso la lava non riesca a raggiungere la superficie e stazionando si raffredda e degassa sotto la superficie terrestre si può formare un criptoduomo.
La solidificazione delle lave
Le lave possono, solidificando, portare a molteplici strutture a seconda della velocità con cui si raffreddano e delle caratteristiche dell'ambiente:
Colate laviche a corda, dette anche Pahoehoe (ossia "pietre su cui si può camminare") dalle popolazioni hawaiane. Si tratta di lave poco viscose che scorrono facilmente.
Colate laviche aa (ossia "pietre su cui non si può camminare") dalle popolazioni hawaiane. Si tratta di lave più viscose rispetto a quelle a corda e si riconoscono facilmente per la presenza di uno strato di breccia alla base, generato sul fronte della colata.
I duomi sono forme localizzate, dell'ordine del centinaio di metri di spessore e larghezza. La lava che li genera è generalmente ad alta viscosità.
I dicchi sono forme tabulari, profonde, molto estese in lunghezza e poco estese in larghezza. Rappresentano le aree in cui la lava scorreva nel suo percorso di risalita verso la superficie.
Lave a cuscino (pillow-lavas), quando la lava fuoriesce in condizioni subacque, raffredda velocemente formando ialoclastiti. Il corpo lavico assume una caratteristica forma a cerchi concentrici, detta "a cuscino".
Durante il raffreddamento possono generarsi delle fratture che sono visibili come colonne in sezione verticale e come prismi esagonali o pentagonali sulla superficie della colata. Un esempio tipico sono i basalto colonnari ma sono forme che si possono verificare con lave di ogni composizione chimica.
Origine del termine
La parola "lava" ha origine dal latino "labes" che significa caduta, scivolamento. Il suo primo uso, collegato con la fuoriuscita di magma, probabilmente è quello che si trova in un breve scritto di Francesco Serao, che riguarda l'eruzione del Vesuvio avvenuta fra il 14 maggio ed il 4 giugno 1737.
Note
Voci correlate
Duomo di lava
Spirale di lava
Magma
Altri progetti
Collegamenti esterni
Rocce magmatiche
Vulcanologia |
2632 | https://it.wikipedia.org/wiki/L%27amore%20fugge | L'amore fugge | L'amore fugge (L'amour en fuite) è un film del 1978 diretto da François Truffaut.
Si tratta del film che chiude la serie che ha per protagonista Antoine Doinel.
Le riprese furono effettuate a Parigi dal 9 maggio al 5 luglio 1978.
Trama
Il film si collega al precedente capitolo in cui il matrimonio tra Antoine Doinel e Christine era sopravvissuto all'infedeltà di Antoine. Dopo sette anni Antoine e Christine divorziano, pur rimanendo buoni amici. Antoine ha una relazione con Liliane, amica di Christine, ha pubblicato un'autobiografia che parla dei suoi amori e trova lavoro come correttore di bozze ed inizia anche un'allegra, anche se tumultuosa relazione, con Sabine, commessa in un negozio di dischi. Incontra anche Colette, una sua ex-fidanzata apparsa anche in un altro capitolo della storia: Antoine e Colette. La vede in stazione e non riesce a fare a meno di salire sul suo treno per parlare dei tempi passati. Essendo salito senza biglietto e avendo avuto un diverbio con lei organizza una rocambolesca fuga dal convoglio. Colette scoprirà poi di essere innamorata del fratello di Sabine, proprietario di una libreria. Avrà poi un incontro amichevole con Christine, dove discuteranno del carattere tormentato di Antoine.
Riconoscimenti
Premi César 1980:
miglior musica
Collegamenti con altre pellicole
Il film contiene numerose scene o frammenti tratti dai quattro precedenti capitoli del ciclo Doinel (I quattrocento colpi, Antoine e Colette, Baci rubati, Non drammatizziamo... è solo questione di corna).
Il film a cui assistono Sabine e Xavier Barnerias in una delle ultime scene, e della cui trama Sabine dice di non capire nulla, è invece Mica scema la ragazza!.
Bibliografia
Sceneggiatura pubblicata su "l'Avant-Scène du Cinéma", n. 215, 1978.
Paola Malanga, Tutto il cinema di Truffaut, Baldini & Castoldi, Milano 1996, pp. 444–454
Anne Gillain (a cura di), Tutte le interviste di François Truffaut sul cinema, Gremese Editore, Roma 1990 (prima edizione francese 1988), pp. 244–249
Alberto Barbera – Umberto Mosca, François Truffaut, Il Castoro, Milano, pp. 137–141
Collegamenti esterni
Film commedia
Film diretti da François Truffaut
Film ambientati a Parigi |
2636 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lutezio | Lutezio | Il lutezio (fino al 1949 lutecio) è l'elemento chimico di numero atomico 71 e il suo simbolo è Lu.
È un elemento metallico del gruppo delle cosiddette terre rare; il lutezio compare solitamente associato all'ittrio e si usa a volte in leghe metalliche e come catalizzatore in vari processi chimici.
Caratteristiche e applicazioni
Il lutezio è un metallo trivalente bianco-argenteo resistente alla corrosione e relativamente stabile all'aria ed è il più pesante degli elementi delle terre rare.
Per via del suo elevato costo di preparazione in quantità consistenti, ha pochi usi commerciali. Trova principalmente impiego in catalizzatori per il cracking del petrolio e per reazioni di alchilazione, idrogenazione e polimerizzazione.
Nel 2023 un team di ricercatori dell'Università di Rochester ha dimostrato davanti a una platea di scienziati che l'idruro di lutezio mostra la superconduttività a una temperatura ambiente di 20.5° C e a una pressione di 10 chilobar (145.000 psi). Tale proprietà è stata raggiunta facendo reagire per due o tre giorni a 392° F (200° C) l'azoto puro con una miscela di gas al 99% di idrogeno e all'1% di azoto.
Storia
Il lutezio, dal latino Lutetia che era il nome dell'odierna Parigi, fu scoperto indipendentemente nel 1907 dallo scienziato francese Georges Urbain e dal mineralogista austriaco Carl Auer von Welsbach. Entrambi trovarono il lutezio come impurità del minerale gadolinite che il chimico svizzero Jean Charles Galissard de Marignac e molti altri ritenevano consistesse interamente dell'elemento itterbio.
Il processo di separazione del lutezio dall'itterbio di Marignac fu descritto per primo da Urbain e perciò andò a lui l'onore di battezzare il nuovo elemento. Egli scelse il nome di neoitterbio e lutecium, ma col tempo il nome neoitterbio cadde in disuso, sostituito da lutecio, e nel 1949 l'ortografia dell'elemento 71 fu modificata in lutezio.
Welsbach propose i nomi cassiopio per l'elemento 71, in onore della costellazione Cassiopea, e aldebaranio come nuovo nome per l'itterbio, ma queste proposte furono rifiutate sebbene alcuni scienziati tedeschi ancora chiamino "cassiopio" l'elemento 71.
Disponibilità
Si trova associato a quasi tutti gli altri metalli delle terre rare, ma mai da solo: il lutezio è particolarmente difficile da separare dagli altri elementi ed è il meno abbondante di tutti i 92 elementi in natura. Per questo è anche uno dei più costosi: un grammo di lutezio vale circa sei volte un grammo d'oro.
Il più importante minerale di lutezio sfruttato commercialmente è la monazite [(Ce, La, ecc.)PO4] che contiene lo 0,003% di questo elemento. Il lutezio puro metallico è stato isolato solo recentemente ed è molto difficile da preparare. Si separa dagli altri lantanidi per scambio ionico: riduzione di LuCl3 anidro o LuF3 con un metallo alcalino o alcalino-terroso.
Isotopi
Il lutezio naturale è composto di due isotopi di cui solo uno è stabile, 175Lu (abbondanza naturale 97,41%) mentre l'altro, il 176Lu ha un'emivita di anni (2,59% abbondanza naturale). Sono stati catalogati altri 32 radioisotopi di cui i più stabili sono 174Lu con emivita di 3,31 anni e 173Lu con emivita di 1,37 anni. Tutti gli altri suoi isotopi radioattivi hanno emivite di meno di 9 giorni e la maggioranza non arriva a mezz'ora. Questo elemento ha anche 18 stati metastabili di cui i meno instabili sono 177mLu (t½ 160,4 giorni), 174mLu (t½ 142 giorni) e 178mLu (t½ 23,1 minuti).
Gli isotopi di lutezio hanno peso atomico che va da 149,973 (150Lu) a 183,961 (184Lu). Il principale modo di decadimento prima dell'isotopo stabile più abbondante (175Lu) è la cattura elettronica (con una lieve emissione di raggi alfa e positroni), mentre il modo principale dopo di esso è l'emissione beta. I più comuni prodotti di decadimento prima del 175Lu sono isotopi dell'elemento 70 (itterbio), e i prodotti principali dopo di esso sono isotopi dell'elemento 72 (afnio).
Composti
Come quasi tutti gli altri elementi del suo gruppo, anche il lutezio è in genere trivalente. Fluoruro: LuF3, Cloruro: LuCl3, Bromuro: LuBr3, Ioduro: LuI3, ossido: Lu2O3, Solfuro: Lu2S3, Tellururo: Lu2Te3, Nitruro: LuN
Precauzioni
Come tutti gli altri lantanidi, anche il lutezio è leggermente tossico e soprattutto i suoi composti dovrebbero essere maneggiati con attenzione. La polvere metallica di lutezio può incendiarsi ed esplodere se riscaldata. Il lutezio non ha alcun ruolo biologico nel corpo umano, il metabolismo.
Note
Bibliografia
Voci correlate
Ossido di lutezio
Altri progetti
Collegamenti esterni
Elementi chimici
Metalli |
2639 | https://it.wikipedia.org/wiki/La%20maledizione%20della%20prima%20luna | La maledizione della prima luna | La maledizione della Perla Nera (Pirates of the Caribbean: The Curse of the Black Pearl), in seguito rinominato Pirati dei Caraibi - La maledizione della prima luna, è un film del 2003 diretto da Gore Verbinski; prodotto da Walt Disney Pictures e Jerry Bruckheimer Films e distribuito da Buena Vista International.
Ideato e scritto da Ted Elliot e Terry Rossio, il film è il primo capitolo della serie di Pirati dei Caraibi e ispirato all'omonima attrazione dei Parchi Disney. Il cast principale comprende Johnny Depp nei panni di Jack Sparrow, Geoffrey Rush, Keira Knightley, Orlando Bloom, Kevin McNally, Jack Davenport e Jonathan Pryce.
Accolto positivamente dalla critica e ancor di più dal pubblico che ne loda l'interpretazione di Depp, gli effetti speciali e la colonna sonora, la pellicola ha ottenuto diversi riconoscimenti e cinque candidature agli Oscar 2004 (miglior attore protagonista, miglior trucco, miglior sonoro, miglior montaggio sonoro e migliori effetti speciali).
Trama
Caraibi, 1720. La piccola Elizabeth Swann e suo padre, il Governatore Weatherby Swann, sono sulla nave inglese HMS Dauntless che li porta a Port Royal, quando un ragazzino di nome Will Turner viene portato a bordo. Quando Elizabeth si accorge che Will ha al collo un medaglione d'oro con inciso un teschio, lei glielo sottrae e lo nasconde perché può essere la prova dell'appartenenza di Will alla pirateria. Nel frattempo, tra la nebbia, gli inglesi vedono allontanarsi una nave dalle vele nere.
Otto anni dopo, Will ha trovato impiego presso il fabbro della città, mentre Elizabeth vive ancora col padre, il quale la vorrebbe sposa del commodoro James Norrington. Nel giorno della sua investitura, Norrington si dichiara a Elizabeth, la quale però, soffocata per il corsetto troppo stretto, cade dagli spalti del forte finendo in mare; così facendo attiva il medaglione, che attrae la Perla Nera, ossia la nave vista otto anni prima. Intanto, Elizabeth viene salvata da uno strampalato personaggio appena arrivato in città, il capitano pirata Jack Sparrow, che inseguito dalle guardie riesce a fuggire facendosi scudo con Elizabeth ma poi, trovato riparo nella bottega del fabbro Will, si scontra con lui finendo imprigionato. Quella stessa notte, l'equipaggio della Perla Nera attacca Port Royal, alla ricerca del medaglione d'oro di Elizabeth; quest'ultima viene catturata e portata a bordo della nave per incontrare Capitan Barbossa. Tramite il parlè, Elizabeth chiede ai pirati di lasciare la città in cambio del medaglione e si presenta come Elizabeth Turner, volendo nascondere la sua identità di figlia del governatore. Barbossa, appreso il suo cognome, decide di abbandonare il saccheggio di Port Royal portandosi dietro la ragazza.
Nel frattempo Will convince Jack ad aiutarlo dopo averlo liberato dalla prigione. Grazie ad un piano geniale, Jack riesce a prendere lInterceptor sotto il naso del commodoro, veleggiando alla volta di Tortuga per arruolare una ciurma. A bordo, il pirata rivela che egli conosceva molto bene il padre di Will, un pirata noto come "Sputafuoco Bill", lasciando il giovane sconvolto.
A Tortuga, Jack contatta un vecchio amico, Mastro Gibbs, che gli procura una ciurma. Durante il viaggio per l'isola, in prossimità di un cimitero di navi, Gibbs si lascia scappare la verità su Jack: quando arrivò la prima volta a Tortuga e creò una ciurma per recarsi a Isla de Muerta, egli era l'ex capitano della Perla Nera, ma a pochi giorni di navigazione il primo ufficiale Barbossa pretese di sapere la destinazione. Jack gliela rivelò, ma il gesto gli costò caro perché subì un ammutinamento, e fu lasciato su un'isola deserta; il pirata riuscì però a fuggire, e ora vuole riprendersi la sua nave e vendicarsi di Barbossa.
A bordo della Perla Nera, Elizabeth scopre che il capitan Barbossa e la sua ciurma sono perseguitati da un'orrenda maledizione: quando Hernán Cortés e i conquistadores spagnoli commisero il genocidio nelle Americhe nel 1521, gli Aztechi consegnarono a Cortès un forziere di pietra con 882 pezzi d'oro, sui quali le divinità scagliarono una maledizione che fa diventare gli esseri umani né vivi né morti: costoro sembrano vivi, ma quando arriva la luna piena svelano la loro identità; inoltre, chiunque abbia sottratto un medaglione del tesoro di Cortès, per spezzare la maledizione e tornare vivo, deve restituirlo con il proprio sangue. Quando la ciurma di Barbossa arrivò sull'Isla de Muerta prese il tesoro, ma presto i pirati si accorsero che non provavano più sensazioni e che non sentivano più niente, cosicché restituirono tutti i singoli pezzi, tranne il medaglione d'oro ora posseduto da Elizabeth.
Nel frattempo, Jack e Will arrivano sull'Isla de Muerta e si dirigono verso la grotta che nasconde il tesoro. Qui Barbossa sta celebrando assieme alla ciurma il rito che servirà a spezzare la maledizione, ma purtroppo non succede niente. I pirati si rendono conto che la ragazza non ha il sangue di Turner e iniziano a litigare; così, approfittando della confusione, Will riesce a raggiungere Elizabeth e a portarla via insieme al medaglione. Nella grotta resta però Jack, catturato da Barbossa che non crede ai suoi occhi, vedendolo davanti a sé ancora vivo e vegeto.
Ora Jack, attraverso il parlè, inganna il suo vecchio equipaggio: gli mente dicendogli che darà loro la possibilità di tornare vivi perché, al contrario di loro, conosce l'identità del vero figlio di Turner. Poco dopo l'''Interceptor raggiunge la Perla Nera e, dopo un furibondo cannoneggiamento in cui il primo vascello viene distrutto, i superstiti vengono portati sulla nave pirata. Will stringe un ingenuo patto con Barbossa per salvare Elizabeth, confessando di essere lui l'erede di Sputafuoco, mandando così a monte i piani di Jack, che voleva ingannare Barbossa per riprendersi la Perla Nera e salvare Elizabeth e Will.
Sia Jack che Elizabeth vengono abbandonati su un'isola deserta, mentre la Perla Nera riguadagna il mare aperto verso l'Isla de Muerta. Sull'isola la ragazza brucia tutto il rum insieme a piccoli alberi creando un'enorme nuvola di fumo, sperando di farsi notare e riuscendovi: il commodoro Norrigton a bordo della Dauntless li salva e Elizabeth convince la marina britannica a salvare Will in cambio dell'accettazione della proposta del commodoro. Nel mentre i pirati rivelano a Will che il padre di lui era un uomo fedele a Jack, che egli non prese parte all'ammutinamento né prese uno dei pezzi d'oro dal forziere, ma volle sottrarne uno dalla ciurma e spedirlo al figlio per assicurarsi che la maledizione non si spezzasse mai; questo per punire la ciurma proprio di avere ammutinato. Di conseguenza, Barbossa uccise il padre di Will e lo gettò in mare, ma poi scoprì che, per ironia della sorte, per tornare vivi sarebbe servito il sangue di costui.
Arrivati sull'Isla de Muerta, Jack convince Norrington e la marina britannica a restare sulla Dauntless e sparare cannonate ai pirati che usciranno dalla grotta a bordo di scialuppe. Ma così non è: la marina britannica rimane sulle scialuppe mentre la ciurma di Barbossa, che Jack ha ingannato facendoli andare dove si aspettava che la Marina avrebbe teso loro l'imboscata come gli avevano promesso, sale sulla Dauntless e comincia a sparare ai britannici che intraprendono una furiosa lotta per riprendersi la loro nave. Nella grotta Jack rivela di aver ingannato Barbossa per salvare Will ed Elizabeth, e di volerlo uccidere una volta per tutte, per poi salvare Port Royal e riprendersi la nave. Jack e Barbossa sono però entrambi immortali e non possono uccidersi a vicenda, perché Jack aveva sottratto un pezzo dal forziere all'insaputa di tutti, finché Will restituisce i due medaglioni: la maledizione scompare e Jack può finalmente vendicarsi di Barbossa con il colpo che si era conservato da dieci anni.
Benché Jack abbia vinto e salvato tutti, ora è condannato all'impiccagione perché la sua ciurma ha rubato la Perla Nera; per fortuna, Jack riesce a riparare a Port Royal con Will ed Elizabeth e proprio lì Will dichiara i suoi sentimenti a Elizabeth, per poi salvare Jack riportandolo a bordo della sua amata Perla Nera guidata dalla sua ciurma che aveva già deciso di salvarlo. Così Will ed Elizabeth si vogliono sposare mentre Jack ha finalmente la sua Perla Nera.
Nel mentre, la scimmia domestica di Barbossa si avvicina a nuoto al mucchio di ricchezze nella grotta dell'Isla de Muerta. Arrampicatasi sul forziere di pietra, ruba uno degli 882 pezzi d'oro e ritorna ad essere non-morta.
Produzione
Durante gli anni novanta, gli sceneggiatori Ted Elliott e Terry Rossio iniziarono a lavorare su un nuovo film sui pirati dove a farla da padrone vi erano diversi elementi fantasy e soprannaturali. A marzo del 2001 Jay Wolpert e Stuart Beattie vengono incaricati di riscrivere la sceneggiatura. Il produttore Jerry Bruckheimer, convinto da Dick Cook, si unì al progetto. Nel maggio del 2002 Gore Verbinski venne ingaggiato come regista. Le riprese iniziarono ufficialmente il 28 ottobre del 2002 e terminarono il 7 marzo 2003. Il budget della pellicola era di 140 milioni di dollari. Inizialmente nel progetto venne coinvolto Alan Silvestri, poiché già collaboratore di Verbinski per Un topolino sotto sfratto e The Mexican - Amore senza la sicura; tuttavia, a causa di differenze stilistiche tra Bruckheimer e Silvestri, il compositore venne poi sostituito da Klaus Badelt. Il tema principale del film, tuttavia, è stato composto da Hans Zimmer,mentore di Badelt.
Distribuzione
Data di uscita
Il film è uscito negli Stati Uniti il 4 luglio 2003, mentre in Italia il 5 settembre 2003, dopo un'anteprima nazionale il 27 agosto.
Doppiaggio italiano
La direzione del doppiaggio e i dialoghi italiani sono a cura di Carlo Cosolo, per conto della Cast Doppiaggio S.r.l. Curiosamente, per l'edizione italiana, è stato tolto il riferimento a Davy Jones, nemico principale dei due film successivi, detto da Will Turner a bordo della Perla Nera, e anche il titolo del film è stato modificato.
Edizioni home video
Il film è stato distribuito in DVD e VHS nel mercato italiano il 29 gennaio 2004, disponibile in edizione disco singolo e disco doppio. Nel 2007 è stata messa in vendita la versione del film ad alta definizione Blu-ray Disc.
Accoglienza
Incassi
Il film, realizzato con un budget di , ha incassato nel primo giorno di proiezione. Alla fine è arrivato a incassare in tutto il mondo ( a livello nazionale e all'estero), diventando il quarto film con il maggior incasso del 2003. Box Office Mojo stima che il film abbia venduto oltre 50 milioni di biglietti negli Stati Uniti d'America Al botteghino italiano, il film ha incassato .
A febbraio 2021, La maledizione della prima luna è il 141º film con il maggior incasso di tutti i tempi.
Critica
Il film è stato accolto positivamente dalla critica cinematografica.
Su Rotten Tomatoes ha un punteggio di approvazione dell'80%, basato su 220 recensioni e una valutazione media di 7,1/10. Su Metacritic ha una valutazione media ponderata di 63 su 100, basata sulle recensioni di 40 critici, indicando "recensioni generalmente favorevoli".
Alan Morrison di Empire ha ritenuto che fosse "il miglior blockbuster dell'estate", acclamando tutte le interpretazioni comiche nonostante la sua delusione per le sequenze di cappa e spada.
La performance di Johnny Depp è stata particolarmente elogiata dalla critica e dal pubblico. Il sito di recensioni PopMatters applaude la sua performance dicendo: "Ingegnoso e affascinante, Johnny Depp incarna la fantasia essenziale del film, che la vita di un pirata sia eccitante e libera". Anche James Berardinelli di ReelViews applaude la performance di Depp dicendo: "Pirati dei Caraibi appartiene a Johnny Depp... Porta via Depp e ti ritroverai con un film derivato e noioso".
Roger Ebert ha acclamato le esibizioni di Depp e Rush, e in particolare che "Si può dire che la performance [di Depp] è originale in ogni suo atomo. Non c'è mai stato un pirata, o del resto un essere umano, come questo in nessun altro film... il suo comportamento mostra una vita di prove". Tuttavia, sentiva che il film sarebbe durato troppo a lungo, una critica condivisa dalla recensione negativa di Kenneth Turan, che riteneva che "passasse troppo tempo sul suo enorme cast di supporto di pirati (non così divertente come tutti suppongono) e su pezzi gonfiati di avventura", nonostante abbia apprezzato anche la performance di Depp.
Riconoscimenti
2004 - Premio Oscar Nomination Miglior attore protagonista a Johnny Depp
Nomination Miglior trucco a Ve Neill e Martin Samuel
Nomination Miglior sonoro a Christopher Boyes, David Parker, David E. Campbell e Lee Orloff
Nomination Miglior montaggio sonoro a Christopher Boyes e George Watters II
Nomination Migliori effetti speciali a John Knoll, Hal T. Hickel, Charles Gibson e Terry D. Frazee
2004 - Golden Globe Nomination Miglior attore in un film commedia o musicale a Johnny Depp
2004 - Premio BAFTA Miglior trucco a Ve Neill e Martin Samuel
Nomination Miglior attore protagonista a Johnny Depp
Nomination Migliori costumi a Penny Rose
Nomination Miglior sonoro a Christopher Boyes, David Parker, David E. Campbell e Lee Orloff
Nomination Migliori effetti speciali a John Knoll, Hal T. Hickel, Charles Gibson e Terry D. Frazee
2004 - Screen Actors Guild Award Miglior attore protagonista a Johnny Depp
2003 - Chicago Film Critics Association Award Nomination Miglior attore protagonista a Johnny Depp
2004 - Empire Award Miglior attore a Johnny Depp
Nomination Miglior film
Nomination Miglior attrice britannica a Keira Knightley
Nomination Miglior scena (Scena del rhum)
Nomination Miglior debutto a Mackenzie Crook
2003 - Las Vegas Film Critics Society Awards Nomination Miglior attore protagonista a Johnny Depp
2004 - MTV Movie Award Miglior performance maschile a Johnny Depp
Nomination Miglior film
Nomination Miglior coppia a Johnny Depp e Orlando Bloom
Nomination Miglior performance comica a Johnny Depp
Nomination Miglior performance rivelazione a Keira Knightley
Nomination Miglior cattivo a Geoffrey Rush
2003 - Satellite Award Nomination Miglior film commedia o musicale
Nomination Miglior attore in un film commedia o musicale a Johnny Depp
Nomination Miglior attore non protagonista in un film commedia o musicale a Geoffrey Rush
Nomination Migliori costumi a Penny Rose
Nomination Migliori effetti speciali a John Knoll
2004 - Saturn Award Migliori costumi a Penny Rose
Nomination Miglior film fantasy
Nomination Miglior regia a Gore Verbinski
Nomination Miglior attore protagonista a Johnny Depp
Nomination Miglior attore non protagonista a Geoffrey Rush
Nomination Miglior attrice non protagonista a Keira Knightley
Nomination Cinescape Genre Face of the Future Award a Keira Knightley
Nomination Miglior colonna sonora a Klaus Badelt
Nomination Miglior trucco a Ve Neill e Martin Samuel
Nomination Migliori effetti speciali a John Knoll, Hal T. Hickel, Terry D. Frazee e Charles Gibson
2004 - Premio Amanda Nomination Miglior film straniero a Gore Verbinski
2004 - Premio Bram Stoker Nomination Miglior sceneggiatura a Ted Elliott e Terry Rossio
2004 - Critics' Choice Movie Award Miglior film per famiglie
Nomination Miglior attore protagonista a Johnny Depp
2004 - Premio Hugo Nomination Miglior rappresentazione drammatica (forma lunga) a Gore Verbinski, Ted Elliott, Terry Rossio, Stuart Beattie e Jay Wolpert
2004 - Golden Reel Award Miglior montaggio sonoro (Dialoghi e ADR)
Nomination Miglior montaggio sonoro (Effetti sonori)
Nomination Miglior montaggio sonoro (Colonna sonora) a Jeanette Surga, Christopher Brooks e Kenneth Karman
2004 - MTV Movie Awards México Eroe più sexy a Orlando Bloom
Miglior look a Johnny Depp
2013 - People's Choice Award Nomination Miglior saga
2004 - People's Choice Award Miglior film
2003 - Phoenix Film Critics Society Awards Nomination Miglior film
Nomination Miglior regia a Gore Verbinski
Nomination Miglior attore protagonista a Johnny Depp
Nomination Miglior performance rivelazione a Keira Knightley
Nomination Miglior scenografia a Brian Morris
Nomination Migliori costumi a Penny Rose
Nomination Miglior trucco a Ve Neill e Martin Samuel
Nomination Migliori effetti visivi a John Knoll, Hal T. Hickel, Charles Gibson e Terry D. Frazee
2003 - Teen Choice Award Miglior film dell'estate
2004 - Teen Choice Award Miglior bugiardo a Johnny Depp
Miglior bacio a Keira Knightley e Orlando Bloom
Miglior alchimia a Keira Knightley e Orlando Bloom
Miglior combattimento/sequenza d'azione a Orlando Bloom e Johnny Depp
Nomination Miglior rivelazione a Keira Knightley
2003 - Visual Effects Society Migliori effetti visivi a Geoff Heron, Robbie Clot, Jason Brackett e John McLeod
Migliori pitture di sfondo a Yanick Dusseault, Susumu Yukuhiro e Jonathan Harb
Nomination Miglior performance in un film con effetti speciali a Keira Knightley
Nomination Migliori movimenti a John Knoll, Patrick T. Myers, Hal T. Hickel e Jill Brooks
Nomination Migliori personaggi animati a Sue Campbell, James Tooley, Geoff Campbell e Dugan Beach
Nomination Migliori modelli e miniature (l'intercettatore) a Charles Bailey, Peter Bailey, Robert Edwards e Don Bies
Nomination Migliori modelli e miniature (Hector Barbossa) a Geoff Campbell, James Tooley, Steve Walton e Dugan Beach
Nomination Miglior fotografia a Carl Miller, Michael Conte e Tami Carter
2004 - Eddie Award Miglior montaggio in un film commedia o musicale a Craig Wood, Stephen E. Rivkin e Arthur Schmidt
2004 - ASCAP Award Top Box Office Films a Klaus Badelt
2004 - Artios Award Nomination Miglior casting per un film commedia a Ronna Kress
2004 - Dallas-Fort Worth Film Critics Association Awards Nomination Miglior attore protagonista a Johnny Depp
2004 - Golden Trailer Awards Nomination Miglior film d'azione
2003 - Hollywood Film Award Miglior film a Gore Verbinski
2004 - Irish Film and Television Award Miglior attore internazionale a Johnny Depp
Miglior attrice internazionale a Keira Knightley
2004 - Taurus World Stunt Awards Miglior combattimento a Tony Angelotti e Mark Aaron Wagner
2004 - Young Artist Awards Nomination Miglior film commedia o musicale per la famiglia
2004 - American Choreography Awards Miglior coreografia nei combattimenti a George Marshall Ruge
2004 - Art Directors Guild Nomination Miglior scenografia in un film periodico o fantasy
2003 - Awards Circuit Community Awards Miglior attore protagonista a Johnny Depp
Nomination Miglior colonna sonora originale a Klaus Badelt
Nomination Menzioni onorevoli
2004 - Cinema Audio Society Nomination Miglior montaggio sonoro a Christopher Boyes, David Parker, David E. Campbell e Lee Orloff
2004 - Costume Designers Guild Awards Nomination Migliori costumi in un film periodico o fantasy a Penny Rose
2010 - Gold Derby Film Awards Nomination Miglior attore del decennio a Johnny Depp
2004 - Gold Derby Film Awards Nomination Miglior attore protagonista a Johnny Depp
Nomination Migliori costumi a Penny Rose
Nomination Migliori effetti visivi a John Knoll, Hal T. Hickel, Charles Gibson e Terry D. Frazee
2004 - Hollywood Makeup Artist and Hair Stylist Guild Awards Miglior trucco periodico
Migliori acconciature caratteristiche a Martin Samuel e Lucia Mace
Nomination Miglior trucco caratteristico a Ve Neill e Joel Harlow
Nomination Migliori acconciature periodiche a Martin Samuel, Lucia Mace e Nina Paskowitz
2004 - Italian Online Movie Awards Nomination Miglior attore protagonista a Johnny Depp
2003 - Jupiter Award Miglior attore internazionale a Johnny Depp
2004 - Online Film & Television Association Nomination Miglior attore a Johnny Depp
Nomination Migliori costumi a Penny Rose
Nomination Miglior trucco e acconciature
Nomination Migliori effetti visivi a John Knoll, Hal T. Hickel, Charles Gibson e Terry D. Frazee
2004 - Online Film Critics Society Awards Nomination Miglior attore a Johnny Depp
Nomination Miglior colonna sonora originale a Klaus Badelt
Nomination Migliori effetti visivi
Nomination Migliori costumi
Nomination Miglior sonoro
2004 - Publicists Guild of America Maxwell Weinberg Award
2004 - SFX Awards Miglior attore a Johnny Depp
Miglior attrice a Keira Knightley
2003 - Village Voice Film Poll Nomination Miglior performance a Johnny Depp
2003 - Washington DC Area Film Critics Association Awards Nomination Miglior attore a Johnny Depp
2004 - World Soundtrack Awards' Nomination Colonna sonora originale dell'anno a Klaus Badelt
Sequel
Il film ha avuto quattro seguiti:
Pirati dei Caraibi - La maledizione del forziere fantasma (2006)
Pirati dei Caraibi - Ai confini del mondo (2007)
Pirati dei Caraibi - Oltre i confini del mare (2011)
Pirati dei Caraibi - La vendetta di Salazar'' (2017)
Note
Altri progetti
Collegamenti esterni
Film diretti da Gore Verbinski
Film commedia d'avventura
Film fantastici
Film di Pirati dei Caraibi
Film ambientati in Giamaica
Film sui pirati
Film ambientati nel XVIII secolo
Film in motion capture |
2641 | https://it.wikipedia.org/wiki/La%20ragazza%20di%20via%20Condotti | La ragazza di via Condotti | La ragazza di via Condotti è un film del 1974 diretto da Germán Lorente.
Trama
Durante un rapporto, un uomo mette le mani al collo di una bella signora iniziando lo strangolamento. Il giovane detective Sandro Mattei, nel rientrare a casa, scopre il cadavere della moglie, psicopatica e ninfomane oltre che dedita all'alcool.
Sandro cerca l'assassino di sua moglie, uccisa mentre si trovava con l'amante. Prima dell'arrivo della polizia, effettuando ricerche sul luogo del delitto, si accorge di una foto che ritrae un uomo a cavallo di una potente moto di grossa cilindrata e, sullo sfondo, un'indistinta e sfocata figura femminile.
Appropriatosi del prezioso reperto, il vedovo si getta a capofitto nelle indagini private, aiutato dalla fedele Tiffany, giovane fotoreporter americana a Roma per lavoro che riconosce nella misteriosa signora della foto la proprietaria di un'elegante boutique di Via Condotti, una certa Laura Damiani, da tempo legata sentimentalmente all'avvocato Giorgio Russo, noto esponente dell'alta borghesia capitolina nonché stimatissimo e affermato professionista. A Russo, Mattei affida la parte legale del caso mentre per conto suo, tra una sosta e l'altra nelle braccia della collaboratrice Tiffany e poi della stessa Laura e scampando a sanguinosi agguati, si adopera a dipanare la matassa sempre più ingarbugliata.
Colonna sonora
Nella colonna sonora compare la canzone Una ragazza come tante, interpretata da Augusto Daolio, cantante dei Nomadi.
Accoglienza
Critica
All'epoca il film venne universalmente stroncato e bollato come "melenso" e "insipido" nonostante le ottime prestazioni di Frederick Stafford di Michel Constantin della bellissima Claude Jade e le grazie di Femi Benussi generosamente esibite. (Mondo Culto)
Collegamenti esterni
Film thriller
Film ambientati a Roma |
2642 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lavoro | Lavoro | Il lavoro è un'attività produttiva, che implica la messa in atto di conoscenze rigorose e metodiche, intellettuali e/o manuali, per produrre e dispensare beni e servizi in cambio di compenso, monetario o meno.
Si tratta di un servizio utile che si rende alla società, e prevede la concessione sistematica al pubblico di un bene in cambio di un altro, in forma di compenso non sempre monetario. Nel mondo moderno l'attività lavorativa viene esplicata con l'esercizio di un mestiere o di una professione e ha come scopo la soddisfazione dei bisogni individuali e collettivi. Dal punto di vista giuridico si distingue il lavoro subordinato da quello autonomo e parasubordinato con caratteristiche intermedie tra i primi due.
Etimologia
Il termine lavoro deriva dal latino labor con il significato di fatica. Sono noti i detti della letteratura classica durar fatica e operar faticando. Altro termine di parlate italiane per "lavoro" è travaglio, che deriva dal latino tripalium (strumento di tortura), ad esempio in siciliano "lavorare" si dice travagghiari e in piemontese travajè e così via. Ancora oggi in alcuni dialetti regionali si usano i termini faticare, andare a faticare (per dire lavorare, andare a lavorare).
Ambiti
Ambito economico e sociale
Lavorare significa occupare il tempo nel fare qualcosa di produttivo, traendone un vantaggio generalmente economico. Infatti con il termine occupato si definisce lo status del lavoratore e, con il suo opposto, disoccupato, si definisce lo status di chi non ha un lavoro come un soggetto in cerca di una prima occupazione. Il lavoratore dipendente ha generalmente una controparte, con la quale instaura un rapporto di lavoro regolamentato tipicamente da un contratto di lavoro.
Ambito spirituale
Il lavoro è quella forza, unita alla consapevolezza di sé, che permette di realizzare la propria natura potenziale, portando a termine compiti etici che possano fornire un beneficio spirituale e morale a se stessi, all'ambiente sociale e naturale. Può anche essere definito come Karma Yoga, ossia essere in connessione o mantenere una determinata consapevolezza, fondata su principi etici, nelle azioni che si stanno svolgendo.
In quest'ambito rientra la teoria del lavoro affettivo sviluppata dal filosofo italiano Toni Negri e dallo statunitense Michael Hardt.
Il lavoro nella legislazione italiana
Il codice del 1865
In riferimento al vecchio Codice civile italiano del 1865, sulle orme della tradizione giuridica romana, si usava definire con l'espressione locatio il lavoro come locazione di opere accanto alla locazione delle cose. La locatio operis aveva ad oggetto uno specifico risultato e si distingueva dalla locatio operarum riguardante un'attività lavorativa avulsa dal rischio del risultato. In tal modo si distingueva tra lavoro autonomo comprendendo le professioni intellettuali e il lavoro subordinato.
Nel caso di lavoro autonomo e libera professione l'altra parte è il cliente. Nel lavoro autonomo il contratto d'opera non si svolge alle dirette dipendenze dell'imprenditore. Differenziato dal lavoro subordinato, come si è accennato, era distinto con l'espressione locatio operis. Il rapporto è regolato da accordi di fornitura di beni o servizi. Alla fine, in mancanza di una definizione omnicomprensiva di subordinazione, la dottrina ha fatto riferimento alla giurisprudenza che ha elaborato vecchi e nuovi concetti pervenendo alla distinzione, non solo generale e astratta, tra lavoro dipendente e autonomo ma alla loro qualificazione riguardo al concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro.
Quale che sia la controparte il rapporto di lavoro deve rispondere alle norme più alte e generali del diritto privato, in particolare il diritto commerciale e il diritto del lavoro. Nel rapporto di lavoro subordinato una forte valenza assume il diritto sindacale. Si comprendono gli elevati risvolti pubblici del lavoro con ricadute sociali anche sul piano delle tutele giuridiche e sindacali.
La Costituzione repubblicana
Il lavoro è il pilastro fondamentale su cui si basano le nazioni e le società. In Italia la Carta fondamentale tutela una serie di diritti dei lavoratori garantendo in particolare quelli delle fasce più deboli, infatti l'articolo 1 della Costituzione della Repubblica Italiana recita:
Il legislatore nell'enucleare l'articolo dunque ha voluto dar grande risalto al concetto di lavoro quale elemento fondante dello Stato. Altre importanti disposizioni costituzionali sono:
L'art. 4 sancisce che " La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società".
L'art. 31 La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose.
L'art. 35 tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni curandone anche la formazione e l'elevazione professionale.
L'art. 36 sancisce il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.
L'art. 37 estende alla donna gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Il codice civile all'art. 2110 tutela anche il periodo di gravidanza e di puerperio
L'art. 38 tutela l'assistenza sociale e le forme di previdenza.
Il diritto di sciopero è garantito dall'art. 40 ed è regolato dalle leggi.
L'art. 41 è un crocevia nel quale si incontrano le esigenze del capitale e la sicurezza nel lavoro: l'iniziativa economica privata è libera, ma non può recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. L'art. 2087 del codice civile stabiliva già l'obbligo di sicurezza del datore di lavoro.
L'art. 46 prevede, ai fini dell'elevazione economica e sociale del lavoro, il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende secondo quanto stabilito dalle leggi.
La Costituzione demanda inoltre la possibilità ai sindacati dei lavoratori di stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. (Art. 39)
La disciplina generale del lavoro oggi
La disciplina fondamentale del lavoro è contenuta nel codice civile italiano, ad esempio ai sensi dell'art. 2094 c.c. è prestatore del lavoro subordinato chi si obbliga dietro retribuzione a prestare nell'impresa il proprio lavoro che può essere intellettuale o manuale. In altre parole nel lavoro subordinato è presente una soggezione del lavoratore alle decisioni e agli ordini del datore di lavoro. Tuttavia la nozione codicistica non basta da sola a qualificare e circoscrivere il rapporto subordinato nel suo concreto atteggiarsi. In dottrina si fa rilevare l'allargamento dell'area riconosciuta come subordinata da parte della giurisprudenza come fenomeno socio-economico.
Altre norme importanti sono:
La legge n. 604 del 15 luglio 1966 sulla disciplina dei licenziamenti individuali la cui validità è subordinata all'esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo.
Con una normativa organica è entrato in vigore il cosiddetto Statuto dei lavoratori con la legge n. 300 del 1970.
Legge n.1204 del 30 dicembre 1971 sancisce la "Tutela delle lavoratrici madri"
La legge n. 533 dell'11 agosto 1973 ha introdotto la disciplina delle controversie individuali in materia di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatoria. La procedura per rivendicare davanti all'autorità giudiziaria il riconoscimento di un diritto è stata costruita con il rito del lavoro e il Giudice specializzato del lavoro.
La legge n. 125 del 10 aprile 1991 stabilisce le "azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro".(art.1,co.1)
I provvedimenti che introducono una disciplina speciale per il lavoro a distanza, detto anche smart working (espressione che in inglese non esiste).
I lavori atipici
Con l'entrata in vigore della cosiddetta legge Biagi sono stati disciplinati i lavori atipici e la flessibilità nel lavoro. In realtà la legge è impropriamente così definita in quanto si tratta solo di una legge delega al governo, il D. Lgs. n. 276 del 2003.
In particolare nelle forme di flessibilità introdotte dalla nuova normativa trovano applicazione:
il lavoro a tempo parziale (artt. 46 e 85 comma 2 del decreto n. 276)
la somministrazione di lavoro (artt. 20-28)
il lavoro intermittente (artt. 33-40)
il lavoro ripartito (artt. 41-45)
il contratto di inserimento
il contratto a progetto (art. 69) forma particolare della Collaborazione coordinata e continuativa
Il lavoro accessorio
Altri lavori
Altre forme di lavoro, alcune molto più diffuse di quello che si pensa superficialmente, sono:
associazione in partecipazione
socio lavoratore presso una cooperativa
lavoro e formazione congiunta: stage, tirocinio, praticantato, apprendistato
amministratore (operativo) di società
prestazione occasionale
Sinonimi, derivati e classificazioni
Il lavoro subordinato è anche denominato impiego, da cui discende il termine impiegato. Quest'ultimo termine, tuttavia è spesso utilizzato per indicare una specifica categoria di lavoratore che generalmente include lavori d'ufficio (contabilità, fatturazione, amministrazione, design, pianificazione, inserimento dati e così via), spesso in contrapposizione a quella di operaio (lavori quasi sempre legati alla manualità). Altre categorie, pressoché legate alla gerarchia, responsabilità e retribuzione sono i quadri e i dirigenti.
Una vecchia consuetudine, che prevedeva la trascrizione nel libretto di lavoro, distingueva l'impiegato di concetto dall'impiegato di complemento. Un'altra consuetudine, tipica di ambienti industriali, distingue il lavoro intellettuale, dove prevale la capacità mentale, dal lavoro fisico, dove prevale la capacità fisica. Ancora nella terminologia industriale, quando ci si riferisce al lavoro come tempo e costo impiegato dai lavoratori per le attività produttive si utilizza il termine manodopera. Nella moderna terminologia aziendale, in ottica di gestione per processi in cui si contrappongono le risorse in entrata, con i risultati in uscita, per riferirsi ai lavoratori, si utilizza il termine risorse umane (pur restando in auge l'altisonante termine "maestranze" utilizzato spesso nelle comunicazioni dalle aziende alla totalità dei lavoratori). In tal modo si distinguono dalle risorse materiali e immateriali.
Estensione del termine nell'uso comune
L'opera che si sta creando, costruendo o eseguendo. Può essere un'opera d'arte, un brano musicale, un testo scritto, ecc.
Il luogo dove si svolge l'attività di lavoro.
Al plurale, la locuzione lavori pubblici indica opere di pubblica utilità finanziate e gestite dallo Stato o da enti pubblici territoriali.
Il lavoro in Italia
Note
Bibliografia
Dizionario Enciclopedico Italiano. Istituto della Enciclopedia Italiana, Vol. VI, Voci Lavoratore, Lavoro
Il lavoro parasubordinato, Santoro Passarelli G., Franco Angeli, 1979
Diritto del lavoro. 2. Il rapporto di lavoro subordinato, Carinci F., De Luca Tamajo R., Tosi P., Treu T., UTET, Quarta edizione 1998, Ristampa 2000
Il lavoro autonomo. Contratto d'opera e professioni intellettuali, Perulli A., Giuffré, 1996
L'uomo e il lavoro nella nuova società, Zampetti P.L., Rusconi, 1984
Subordinazione e diritto del lavoro. Problemi storico-critici, Spagnuolo Vigorita L., Morano, 1967
Accornero A., Lavoro flessibile: cosa pensano davvero imprenditori e manager, Ediesse, Roma, 2001
La tutela dei diritti nel processo del lavoro, I. I diritti individuali nel processo di cognizione, AA. VV., dell'Olio M. (a cura di), contributi di Ferrari P. e Piccinini I., Giappichelli, 2006, Terza edizione
Angioni, G., Il sapere della mano. Saggi di antropologia del lavoro, Sellerio, Palermo, 1986
Leroi-Gourhan, A., Ambiente e tecniche, Jaka Book, Milano, 1994
Voci correlate
Bossing
Colletto bianco
Colletto blu
Contratto di lavoro
Datore di lavoro
Diritto del lavoro
Diritto sindacale
Dipendenza dal lavoro
Disoccupazione
Divisione del lavoro
Ergofobia (paura del lavoro)
Impiegato
Ispettore del lavoro
Lavoratore
Lavoro forzato
Lavoro nero
Libera professione
Mansioni
Mercato del lavoro
Medicina del lavoro
Morti bianche
Mobbing
Operaio
Orario di lavoro
Orologio marcatempo
Psicologia del lavoro
Rapporto di lavoro
Ricerca del lavoro
RSPP
Sindacato
Sociologia del lavoro
Salaryman
Selezione del personale
Stress lavoro correlato
Tasso di occupazione
Terzo settore
24 ore su 24
Altri progetti
Collegamenti esterni
libro manoscritto http://www.shorterworkweek.com/SWW1980sf.html una settimana lavorativa più breve nel 1980 multilingue, con 50 tabelle statistiche |
2648 | https://it.wikipedia.org/wiki/Laurenzio | Laurenzio | Il laurenzio o laurencio è l'elemento chimico della tavola periodica che ha come simbolo Lr e come numero atomico il 103. È un elemento sintetico, radioattivo, a vita breve, transuranico, appartenente alle terre rare. Il laurenzio viene sintetizzato dal californio e non possiede applicazioni pratiche.
Caratteristiche
L'aspetto del laurenzio è sconosciuto, ma è probabilmente metallico e di colore bianco-argenteo o grigio. Si sa poco delle proprietà chimiche del laurenzio, ma un lavoro preliminare su pochi atomi ha indicato che ha comportamenti simili a quelli degli attinidi.
Il laurenzio è ancora spesso associato alla serie chimica degli attinidi nella tavola periodica. Comunque, contrariamente alle altre terre rare, l'elemento 103 è un elemento del blocco d, e si tende a posizionarlo in questa serie chimica.
Storia
Il laurenzio venne sintetizzato per la prima volta da Albert Ghiorso, Torbjorn Sikkeland, Almon Larsh e Robert M. Latimer il 14 febbraio 1961 ai Berkeley Radiation Laboratory (oggi chiamati Lawrence Berkeley National Laboratory) dell'Università di Berkeley in California. Fu prodotto bombardando di materia composta da 3 isotopi del californio, con ioni di boro-10 e boro-11, all'interno dell'Acceleratore Lineare di Ioni Pesanti (HILAC).
I nuclei trasmutati, divenuti elettricamente carichi, vennero richiamati con un'atmosfera di elio e raccolti su un nastro conduttore di rame. Questo nastro venne poi spostato per posizionare gli atomi raccolti davanti a una serie di rilevatori a stato solido. Il gruppo di Berkeley riportò che l'isotopo 103-257 venne rivelato in questo modo e decadde emettendo una particella alfa a con una emivita di 4,2 secondi.
Nel 1967 i ricercatori di Dubna, in Russia riportarono che non furono in grado di confermare l'emettitore della particella alfa con emivita di 4,2 secondi, come 103-257. Questa assegnazione è stata cambiata in 258Lr o 259Lr. Dodici isotopi dell'elemento 103 sono stati sintetizzati, con il 266Lr come più longevo, avendo un'emivita di 11 ore. L'isotopo 266Lr è stato ottenuto come prodotto di decadimento del tennesso. Gli isotopi del laurenzio decadono tramite emissione alfa, fissione nucleare spontanea o cattura di elettrone (in ordine dal più al meno comune).
L'origine del nome, preferito dalla American Chemical Society, fa riferimento a Ernest Lawrence, l'inventore del ciclotrone. Il simbolo Lw usato originariamente venne cambiato in Lr nel 1963. Nell'agosto del 1997 l'Unione internazionale di chimica pura e applicata (IUPAC) ratificò il nome laurenzio e il simbolo Lr durante un meeting a Ginevra.
Note
Bibliografia
Altri progetti
Collegamenti esterni
Metalli |
2654 | https://it.wikipedia.org/wiki/Liechtenstein | Liechtenstein | Il Liechtenstein (pronuncia tedesca: ), ufficialmente Principato del Liechtenstein (in tedesco Fürstentum Liechtenstein, in alemanno Förschtatum Liachtaschta), è uno Stato dell'Europa centrale. Racchiuso tra Svizzera e Austria, è uno dei due soli Paesi al mondo doppiamente senza sbocchi sul mare insieme all'Uzbekistan, e l'unico Stato del Sacro Romano Impero oggi sopravvissuto. La lingua ufficiale è il tedesco (e il walser nella municipalità di Triesenberg). La capitale è Vaduz.
Segue una politica di neutralità ed è uno degli Stati senza forze armate.
Storia
Dal "Sacro Romano Impero" all'età moderna
Anticamente il territorio del Liechtenstein era parte del Sacro Romano Impero. Si costituì come feudo statale autonomo intorno al 1714 quando l'imperatore lo concesse alla famiglia principesca che ancora lo detiene. Per secoli questo territorio, geograficamente lontano dagli interessi strategici dell'Europa, ebbe poco impatto sulla storia del continente. L'attuale dinastia prende il nome dall'omonimo castello di Liechtenstein nella Bassa Austria, di cui la famiglia fu in possesso dal 1140 circa al XIII secolo e dal 1807 in poi. Attraverso i secoli, la famiglia acquisì nuovi territori, soprattutto in Moravia, nella Bassa Austria, in Slesia e in Stiria e ottenne il titolo principesco ereditario nel 1608. Pur essendo una delle maggiori famiglie di tutti i domini asburgici non aveva però titolo per sedere nella Dieta Imperiale. Solo nel 1699 e nel 1712 la famiglia ottenne due Herrschaft ("Signorie") di modesta importanza ma feudi imperiali diretti: rispettivamente Schellenberg e la contea di Vaduz. Il 23 gennaio 1719 Carlo VI d'Asburgo decretò l'unione tra Vaduz e Schellenberg, ed elevò la locale contea a Fürstentum ("Principato") con il nome di "Liechtenstein" in onore di Antonio Floriano del Liechtenstein. È in questa data che il Liechtenstein entrò ufficialmente a fare parte degli Stati del Sacro Romano Impero.
Il XIX secolo e l'indipendenza
Nel 1806 gran parte del Sacro Romano Impero fu invaso dalle truppe della quarta coalizione. Durante le operazioni militari l'Imperatore Francesco II abdicò e l'Impero fu sciolto, così il principato divenne uno Stato sovrano, che entrò a fare parte della Confederazione del Reno. Durante le guerre napoleoniche il principe del Liechtenstein ne fu membro, vassallo de facto, come tutti gli altri Stati aderenti, dell'imperatore Napoleone Bonaparte, sino alla dissoluzione della Confederazione il 19 ottobre 1813.
Due anni dopo il Liechtenstein aderì alla Confederazione tedesca (20 giugno 1815 – 24 agosto 1866), presieduta dall'imperatore d'Austria. Nel 1818 Giovanni I garantì una costituzione allo Stato. Nel 1836 fu aperta la prima fabbrica dello Stato, con l'avviamento della produzione di ceramiche.
Allo scoppio della guerra austro-prussiana nel 1866 furono fatte pressioni sul Liechtenstein e quando la pace fu firmata la Prussia accusò il Liechtenstein di essere stato la causa dello scoppio della guerra con l'Austria (il suo status avrebbe conseguito che, alla pari di tutti gli altri principati tedeschi non asburgici, partecipasse alla fondazione della nuova confederazione ovvero divenisse parte integrante della futura Germania, ma in questa ipotesi la sua caratteristica di exclave trovò l'ostacolo dell'Impero Asburgico).
L'esercito fu abolito nel 1868, subito dopo la guerra austro-prussiana in cui il Liechtenstein schierò un esercito di ottanta uomini, che, sebbene non venissero coinvolti in alcun combattimento, tornarono in ottantuno in quanto un italiano si aggiunse a loro per abbandonare la zona di guerra.. Tuttavia, il Liechtenstein ha la facoltà di ripristinare le sue forze armate se lo ritenesse necessario, sebbene ciò sia molto improbabile.
Le guerre mondiali
Fino al termine della prima guerra mondiale il Liechtenstein fu sempre socialmente ed economicamente legato all'Impero austriaco prima e a quello austro-ungarico poi. La devastazione economica subita durante il primo conflitto mondiale portò però il piccolo Stato a concludere accordi monetari con la confinante Svizzera (che già ne curava la difesa dei confini). Al crollo dell'Impero austro-ungarico, lo Stato venne sciolto da ogni residuo obbligo verso l'Austria.
Gli anni seguenti la prima guerra mondiale furono importanti per il Liechtenstein:
nel 1921 fu varata la nuova Costituzione;
nel 1923 il Paese entrò in Unione Doganale con la Svizzera;
nel 1924 il Paese adottò come propria valuta il Franco svizzero.
Questo periodo fu marcato da due gravi eventi:
nel 1927 una terribile inondazione mise a dura prova l'economia del Paese;
nel 1928 il fallimento della Sparkasse (Cassa di Risparmio) del Liechtenstein azzerò le riserve del locale Ministero del Tesoro.
Il Liechtenstein fu finanziariamente rovinato e pesantemente indebitato con la Svizzera. Subito dopo fu varata una legislazione che permise il segreto sui clienti e sui conti bancari. In Liechtenstein sorsero aziende private che, cavalcando il periodo d'incertezza che caratterizzò il periodo del dopoguerra, diedero spazio a una moltitudine di avventurieri finanziari.
Nel corso della seconda guerra mondiale, il Liechtenstein rimase neutrale: è l'epoca del principe Francesco Giuseppe II del Liechtenstein: egli assicurò la neutralità e la inviolabilità del principato di fronte alla Seconda guerra mondiale e oggi la sua figura è celebrata con la festa nazionale del Liechtenstein. I tesori del Principato e quelli della famiglia del principe vennero tratti in salvo a Londra. I principi del Liechtenstein vissero a Vienna sino all'Anschluss del 1938; l'annessione dell'Austria rappresentò un grave pericolo per il principato, dato che la condizione che ne aveva originato l'indipendenza era stata la rivalità tra Germania e Austria; venendo a mancare questa, veniva a mancare un prezioso bilanciamento di interessi esterni. L'espansionismo hitleriano rappresentò quindi un grave rischio, in quanto il Liechtenstein dal 1866 non aveva mai firmato un trattato di pace con la Prussia, e di conseguenza poteva considerarsi ancora in guerra con lo Stato suo erede, ovvero la Germania. Il più recente legame con la Svizzera scongiurò tale prospettiva.
Dal secondo dopoguerra a oggi
Dopo la seconda guerra mondiale la Cecoslovacchia, predecessore della Repubblica Ceca e della Slovacchia, agendo per sequestrare quelli che considerava possedimenti tedeschi, espropriò la totalità dei territori e dei possedimenti ereditari della dinastia dei Liechtenstein in Boemia, Moravia e Slesia. Queste espropriazioni a cui fu soggetta la famiglia sono ancora oggi discusse presso la Corte internazionale di giustizia, e includevano oltre 1.600 chilometri quadrati (dieci volte la dimensione del Liechtenstein) di terreno agricolo e foreste, oltre a svariati castelli e palazzi. Durante la guerra fredda, ai cittadini del Liechtenstein fu proibito di entrare nella Cecoslovacchia. Il conflitto diplomatico riguardo ai contestati decreti Beneš del dopoguerra ha prodotto la non condivisione delle relazioni internazionali da parte del Liechtenstein con la Repubblica Ceca e la Slovacchia, stabilite tra Liechtenstein e la Repubblica Ceca solo il 13 luglio 2009, e con la Slovacchia il 9 dicembre 2009.
Al termine del conflitto, per risanare le casse dello Stato, i principi del Liechtenstein furono costretti a vendere alcune delle loro preziose opere d'arte.
Un altro contenzioso si ebbe nel 1955 con il Guatemala a proposito di un tedesco cresciuto in Guatemala e divenuto cittadino del Liechtenstein, che fu arrestato come nemico al suo rientro in Guatemala.
In seguito a oculate iniziative di natura economica fu favorito l'insediamento nel territorio di imprese finanziarie, commerciali e industriali. Le iniziative, favorite da tutela legislativa e da tassazioni favorevoli, ebbero grande successo, con l'insediamento nel principato di molte aziende, soprattutto finanziarie.
Oggi, il principe del Liechtenstein è uno degli uomini più ricchi del mondo, con un patrimonio stimato in circa 4 miliardi di dollari. Il popolo del principato detiene il più alto reddito pro capite del mondo.
Geografia
Il Liechtenstein, quarto Stato più piccolo d'Europa, è situato nella valle del Reno, nelle Alpi, tra la Svizzera e l'Austria. Tutto il confine occidentale del Liechtenstein è formato da questo fiume. In Europa è uno dei soli tre Stati (gli altri due sono Andorra e Moldavia) che hanno una doppia triplice frontiera con le stesse due nazioni.
La parte orientale del Paese è completamente montuosa, il punto più alto è il Grauspitz, con un'altezza di 2.599 m. Nonostante la collocazione alpina, il clima del Liechtenstein è abbastanza mite, grazie ai venti che soffiano da meridione. Durante l'inverno, le montagne offrono una serie di ottime stazioni per gli sport invernali.
Popolazione
La popolazione residente in Liechtenstein è composta da liechtensteiniani al 66% (due terzi della popolazione complessiva), da svizzeri al 9.6%, da austriaci al 5.8%, da tedeschi al 4.3% e da italiani al 3.1%.
La lingua ufficiale è il tedesco, anche se molti parlano il walser, un dialetto alemanno.
Densità: 230 ab. per km².
Numero di abitanti: 38.557 (al 30 giugno 2019).
Demografia
Distribuzione per municipalità (a giugno 2019):
Etnie
Un terzo degli abitanti del Liechtenstein è costituito da stranieri provenienti soprattutto dalla Svizzera e dall'Austria. Un'altra importante componente etnica del principato è composta dai lavoratori italiani, che formano il 3,1% del totale.
Religione
Il 73% circa della popolazione è cattolico, il 6% è protestante, il 6% è musulmano, il 7% è non affiliato e il restante 8% comprende altre religioni.
Lingue
La lingua ufficiale è il tedesco, nella sua versione svizzera. Come nella vicina Svizzera tedesca e nel Vorarlberg la popolazione locale comunica in stragrande maggioranza attraverso dialetti tedeschi alemanni, strettamente correlati allo svizzero tedesco. A Triesenberg il dialetto è di tipo walser. Il secondo idioma più parlato è l'italiano.
Ordinamento dello Stato
Suddivisioni storiche e amministrative
Il Liechtenstein è diviso in undici comuni (Gemeinden, Gemeinde al singolare), la maggior parte dei quali consiste di un unico centro abitato.
I comuni sono i seguenti:
Vaduz (comprende tutto il territorio circostante alla capitale);
Schaan;
Balzers (comprende l'abitato di Mäls);
Triesen;
Eschen (comprende l'abitato di Nendeln);
Mauren (comprende l'abitato di Schaanwald dove c'è la dogana con l'Austria / UE);
Triesenberg (comprende gli abitati di Steg e Malbun);
Ruggell;
Gamprin;
Schellenberg;
Planken.
Città principali
Le città principali, oltre alla capitale Vaduz, sono Nendeln, Balzers, Schaan e Malbun.
Istituzioni
Università
All'interno del Liechtenstein ci sono quattro centri universitari e/o accademici principali: l'Università del Liechtenstein, l'Università privata nel Principato del Liechtenstein, il Liechtenstein Institute e l'Accademia Internazionale di Filosofia del Liechtenstein.
Ordinamento scolastico
Il tasso di alfabetizzazione del Liechtenstein è del 100%. Nel 2006 il rapporto del Programma per la valutazione internazionale degli studenti (PISA), coordinato dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ha classificato l'istruzione del Liechtenstein come la decima migliore al mondo. Nel 2012 il Liechtenstein ha ottenuto il punteggio PISA più alto d'Europa.
La spesa pubblica per l'istruzione è il 2,6% del PIL.
Ci sono nove scuole superiori pubbliche nel Paese.
Sistema sanitario
Il sistema sanitario del Liechtenstein comprende un'assicurazione obbligatoria e gli assicurati sono tenuti a pagare il 20% delle prestazioni sanitarie ricevute, fino ai cinquemila franchi. I minori di 16 anni, i malati cronici e coloro che ricevono un sussidio di cassa malati sono esentati dal pagamento. I disoccupati e coloro che hanno un reddito medio-basso ricevono sussidi e gli anziani pagano la metà. Per ricevere assistenza sanitaria in Liechtenstein basta avere la tessera europea di assicurazione malattia.
Forze armate e polizia
Il Liechtenstein è privo di vere e proprie forze armate in base all'accordo bilaterale sancito con la Svizzera in rinuncia a un esercito proprio. Vi è invece una forza di polizia, la Landespolizei, che al 2011 comprendeva 91 agenti, 34 civili e 38 paramilitari.
Politica
Il Liechtenstein è una monarchia costituzionale, guidata dal principe (in tedesco Fürst). L'attuale principe è Giovanni Adamo II di Liechtenstein, che succedette al padre, morto nel 1989. Il Parlamento del Liechtenstein, il Landtag, è composto da 25 rappresentanti, eletti dal popolo. Un gabinetto di cinque persone è responsabile delle questioni politiche quotidiane. Diversamente da molte altre monarchie costituzionali la Costituzione del Liechtenstein (Verfassung des Fürstentums Liechtenstein), risalente al 5 ottobre 1921, dà forti poteri al principe, il quale ne fa uso. Questo fatto ha sollevato qualche controversia.
Nonostante ciò, con un recente referendum, la grande maggioranza della popolazione ha accordato un ulteriore aumento di poteri al principe (nomina dei giudici, possibilità di veto contro qualunque legge del Parlamento, possibilità in casi particolari di nominare personalmente un governo).
A norma di Costituzione, tuttavia, in qualunque momento il popolo può indire un referendum con il quale destituire il Principe, che lascerebbe a un consiglio composto dai parenti maschi del Principe la decisione di nominare un sostituto o trasformare il Paese in una Repubblica.
Il Parlamento viene eletto da tutti i cittadini che abbiano compiuto la maggiore età. Il Liechtenstein è stato l'ultimo Paese europeo ad ammettere le donne al voto, a seguito di un referendum svoltosi nel 1984.
Difesa
La difesa dei confini e la tutela dell'indipendenza del Liechtenstein sono assicurate, tramite accordi bilaterali, dalla Svizzera dal 1868 in rinuncia di un esercito proprio, visti gli alti costi, figurando come Paese demilitarizzato.
Nel 2017 il Liechtenstein ha firmato il Trattato per la proibizione delle armi nucleari.
Diritti civili
Economia
Nonostante le sue limitate risorse naturali, il Liechtenstein è uno dei pochi Paesi al mondo con più aziende registrate che cittadini; ha sviluppato un'economia prospera e altamente industrializzata di libera impresa e vanta un settore dei servizi finanziari e uno standard di vita spesso superiore a quelli delle aree urbane dei Paesi confinanti europei.
Il Liechtenstein partecipa a un'unione doganale con la Svizzera e impiega il franco svizzero come valuta nazionale. Il Paese importa circa l'85% della sua energia. Il Liechtenstein è membro dello Spazio economico europeo (organizzazione che funge da ponte tra l'Associazione europea di libero scambio (EFTA) e l'Unione europea) dal maggio 1995.
Il governo sta lavorando per armonizzare le sue politiche economiche con quelle europee. Nel 2008 il tasso di disoccupazione si è attestato all'1,5%. Il Liechtenstein ha un solo ospedale pubblico, il Liechtensteinisches Landesspital a Vaduz. A partire dal 2014, il CIA World Factbook ha stimato che il prodotto interno lordo (PIL) a parità di potere d'acquisto è di 4,978 miliardi di dollari. A partire dal 2009 la stima del PIL pro capite era di 139.100 dollari, la più alta quotata al mondo.
Le industrie includono produzione elettronica, di tessuti, di strumenti di precisione, produzione di metallo, di utensili elettrici, di bulloni di ancoraggio, di calcolatrici, di prodotti farmaceutici e di prodotti alimentari. La multinazionale liechtensteiniana più riconosciuta e il più grande datore di lavoro è Hilti, produttore di sistemi di fissaggio diretto e altri utensili elettrici di fascia alta. Molti campi coltivati e piccole fattorie si trovano sia nellOberland (parte superiore del Paese) che nellUnterland (inferiore). Il Liechtenstein produce grano, orzo, mais, patate, latticini, prodotti da bestiame e vino. Il turismo rappresenta gran parte della sua economia.
Nel 2010 Snoop Dogg ha richiesto di affittare l'intero Paese e la richiesta è stata rifiutata. L'anno dopo, tuttavia, il governo del Liechtenstein cambiò idea e rese possibile affittare l'intero Paese per un massimo di 250 persone, per 70.000 dollari a notte.
Tassazione
Il governo del Liechtenstein tassa il reddito personale, il reddito d'impresa e il capitale (ricchezza). L'aliquota base dell'imposta sul reddito delle persone fisiche è dell'1,2%. Se combinato con l'imposta sul reddito aggiuntiva imposta dai comuni, l'aliquota dell'imposta sul reddito combinata è del 17,82%. Un'imposta sul reddito aggiuntiva del 4,3% è riscossa su tutti i dipendenti nell'ambito del programma di sicurezza sociale del Paese. Questa aliquota è più elevata per i lavoratori autonomi, fino a un massimo dell'11%, rendendo l'aliquota massima possibile di imposta sul reddito circa il 29% in totale. L'aliquota fiscale di base sul capitale è dello 0,06% annuo e l'aliquota totale combinata è dello 0,89%. L'aliquota fiscale sugli utili aziendali è del 12,5%.
Le tasse sulla donazione e sulla proprietà del Liechtenstein variano a seconda del rapporto che il destinatario ha con il donatore e dell'importo dell'eredità. L'imposta varia dallo 0,5% allo 0,75% per coniugi e figli e dal 18% al 27% per i destinatari non collegati. L'imposta sulla proprietà è progressiva.
In passato il Liechtenstein ha ricevuto entrate significative da Stiftungen ("fondazioni"), entità finanziarie create per nascondere il vero proprietario di partecipazioni finanziarie di stranieri non residenti. La fondazione era registrata a nome di un liechtensteiniano, spesso di un avvocato. Questo insieme di leggi rendeva il Liechtenstein un popolare paradiso fiscale per individui e aziende estremamente ricchi che tentavano di evitare o eludere le tasse nei loro Paesi d'origine. Negli ultimi anni, il Liechtenstein ha mostrato una maggiore determinazione a perseguire i riciclatori di denaro internazionali e ha lavorato per promuovere una sua immagine di legittimo centro finanziario. Nel febbraio 2008, la LGT Bank del Paese è stata coinvolta in uno scandalo di frodi fiscali in Germania, il che ha messo a dura prova i rapporti della famiglia regnante con il governo tedesco. Il principe ereditario Alois ha accusato il governo tedesco di traffico di beni rubati, facendo riferimento al suo acquisto, per il valore di 7,3 milioni di dollari, di informazioni di private banking offerte da un ex dipendente del gruppo LGT. Il sotto-commissario del Senato degli Stati Uniti sulle banche del paradiso fiscale ha affermato che la banca LGT, di proprietà della famiglia del principe, "è un partner disponibile, e aiutante e promotore di clienti che cercano di eludere le tasse, schivare i creditori o sfidare ordinanze del tribunale".
Nell'ottobre 2015, l'Unione europea e il Liechtenstein hanno firmato un accordo fiscale per garantire lo scambio automatico di informazioni finanziarie in caso di controversie fiscali. La raccolta di dati è iniziata nel 2016 ed è un passo necessario ad allineare il principato con gli altri Paesi europei per quanto riguarda la tassazione dei privati e dei beni aziendali.
Trasporti
Ci sono circa 250 km di strada asfaltata e 90 km di piste ciclabili segnalate all'interno del Liechtenstein.
La ferrovia Buchs-Feldkirch, di 9,5 km, collega l'Austria e la Svizzera attraverso il Liechtenstein. La parte di ferrovia nel Paese è gestita dalla Österreichische Bundesbahnen. Il Liechtenstein è nominalmente nella regione tariffaria austriaca del Verkehrsverbund Vorarlberg.
Ci sono quattro stazioni ferroviarie nel Liechtenstein, ossia Schaan-Vaduz, Forst Hilti, Nendeln e Schaanwald, servite dalla linea precedentemente citata che ferma tra Feldkirch e Buchs.
Liechtenstein Bus è una filiale del sistema AutoPostale Svizzera, ma gestita separatamente e si collega alla rete di autobus svizzera a Buchs e Sargans. Gli autobus collegano anche la città austriaca di Feldkirch.
Il Liechtenstein non ha aeroporti. Gli aeroporti più vicini sono l'aeroporto di San Gallo, l'aeroporto di Friedrichshafen e l'aeroporto di Zurigo. Vi è un eliporto, a Balzers, disponibile per voli charter.
Cultura
Arte
Il Liechtenstein è caratterizzato da una coesistenza di vive tradizioni locali e intensi scambi internazionali, che costituiscono la base di una vita culturale molto varia. Concerti, teatro, danza e cabaret, musei, gallerie e atelier costituiscono un'importante attrattiva per chi è interessato alla cultura e all'arte.
Un emblema architettonico è rappresentato dal Museo d'arte del Liechtenstein (Kunstmuseum Liechtenstein) degli architetti svizzeri Morger, Degelo e Kerez, museo inaugurato nel 2000. La facciata è stata realizzata con materiali quali il cemento - colato senza fughe e colorato di nero - il basalto e ciottoli di fiume colorati. Grazie alla particolare lavorazione, le superfici generano un vivace gioco di riflessi. In quanto museo d'arte moderna e contemporanea, esso ospita la collezione nazionale del Liechtenstein ed è noto per le mostre itineranti di livello internazionale.
Architettura
Pittura e scultura
Letteratura
Romanzo
Tra i romanzieri del XXI secolo in Liechtenstein si è distinto Armin Öhri, autore del romanzo La Musa Oscura (Premio letterario dell'Unione europea, nel 2014).
Poesia
Nel XX secolo si è distinta la figura di Michael Donhauser, pluripremiato poeta e autore di liriche, le quali rispecchiano il paesaggio della sua terra.
Teatro
Storia
In campo storico si distinse nel XIX secolo l'importante figura dello statista e storico del Liechtenstein Peter Kaiser, autore del libro Storia del Principato del Liechtenstein (1846).
Oltre al Museo d'arte già citato, la capitale Vaduz ospita anche il Museo nazionale del Liechtenstein, in cui sono esposti la storia, la cultura e le tradizioni del Paese, e il Museo postale, in cui è esposto l'enorme patrimonio postale e filatelico del Principato. Il Museo nazionale e il Museo postale sono affiliati dal 2006.
Musica
Il Liechtenstein è rappresentato musicalmente dal noto compositore e organista Joseph Gabriel Rheinberger. Per quanto riguarda l'heavy metal il Liechtenstein è conosciuto per il gruppo musicale gothic metal Elis, formatosi nel 2003, e per il brano "Hail To Liechtenstein", dei Nanowar Of Steel
Sport
Sci alpino
Il principale sport del principato è lo sci alpino, nel quale il Liechtenstein ha potuto vantare alcuni buoni atleti: tra questi Paul Frommelt, i fratelli di origine tedesca Andreas e Hanni Wenzel, che ha vinto due medaglie olimpiche nel 1980: Andreas Wenzel, in particolare, si aggiudicò la Coppa del Mondo di sci alpino nel 1979/1980. E ancora ricordiamo Marco Büchel e Tina Weirather. In generale, visto il suo territorio, il Paese è rinomato per gli sport invernali.
Calcio
Sul piano calcistico, il Liechtenstein è membro della UEFA, pur non possedendo un proprio campionato di calcio nazionale: le sette squadre ufficiali del Principato partecipano infatti al campionato svizzero. La nazionale di calcio non ha mai superato le qualificazioni della Coppa del Mondo; la sua gestione è affidata alla Federazione calcistica del Liechtenstein (Liechtensteiner FussballVerband, LFV) che si occupa inoltre di organizzare l'unico torneo calcistico del Paese, la Liechtensteiner-Cup (Coppa del Liechtenstein), la cui vittoria dà accesso alla UEFA Conference League. La più importante squadra del Paese è il Fussball Club Vaduz (Società Calcistica Vaduz), che milita in Super League svizzera. Due calciatori liechtensteiniani hanno giocato in Serie A: Mario Frick, ex attaccante del Siena e dell'Hellas Verona, e Marcel Büchel, centrocampista dell'Ascoli, dell'Empoli e dell'Hellas Verona.
Giochi olimpici
Sono ben dieci le medaglie vinte dal Liechtenstein ai Giochi olimpici, tutte conquistate ai Giochi invernali e tutte nello sci alpino.
Le uniche medaglie d'oro olimpiche del Liechtenstein sono state vinte da Hanni Wenzel, nello sci alpino ai XIII Giochi olimpici invernali.
La prima medaglia olimpica per il Liechtenstein fu la medaglia di bronzo vinta nello sci alpino (slalom Femminile) da Hanni Wenzel, ai Giochi olimpici di Innsbruck 1976.
Altri sport
Praticata anche la pallavolo con le nazionali maschile e femminile che partecipano al campionato europeo dei piccoli stati.
Il Liechtenstein partecipa inoltre ai Giochi dei piccoli stati d'Europa, che si svolgono con cadenza biennale sotto il patrocinio del CIO. Il Principato ne ha ospitato le edizioni del 1999 e del 2011. ottenendo a oggi 64 medaglie d'oro, 73 medaglie d'argento e 94 medaglie di bronzo.
Il Liechtenstein è anche l'unica nazione ad avere partecipato a Giochi senza frontiere per un'unica puntata (a Groninga nel 1976).
Tradizioni
In primavera nella capitale si festeggia la festa dei fiori
Cucina
La cucina del Liechtenstein, influenzata da quella dei Paesi vicini, risulta varia.
Ricorrenze nazionali
Note
Voci correlate
Banche del Liechtenstein
Bandiera del Liechtenstein
Casato di Liechtenstein
Contenzioso tra Liechtenstein e Guatemala
Comuni del Liechtenstein
Codici postali del Liechtenstein
Corona del principe del Liechtenstein
Festa nazionale del Liechtenstein
Franco del Liechtenstein
Geografia del Liechtenstein
ISO 3166-2:LI
Landespolizei (Liechtenstein)
Linea di successione al trono del Liechtenstein
Montagne del Liechtenstein
Storia del Liechtenstein
Targhe d'immatricolazione del Liechtenstein
Università del Liechtenstein
Altri progetti
Collegamenti esterni
Scheda del Liechtenstein dal sito Viaggiare Sicuri - Sito curato dal Ministero degli Esteri e dall'ACI.
Sito ufficiale |
2664 | https://it.wikipedia.org/wiki/Laghi%20dell%27Argentina | Laghi dell'Argentina | Lista di laghi dell'Argentina
Argentino
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Lago Buenos Aires (Lago General Carrera in Cile)
Cardiel
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Colhué Huapi
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Fagnano
Florentino Ameghino (artificiale)
Mar Chiquita (Laguna)
Gualicho (Salina)
Menéndez
Musters
Nahuel Huapi
Nihuil (artificiale)
Lago Quiroga
Lago San Roque
Lago Strobel
San Martín (chiamato lago O'Higgins in Cile)
Viedma
Altri progetti
Argentina |
2666 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua%20slovena | Lingua slovena | Lo sloveno o lingua slovena (rispettivamente slovenščina e slovenski jezik) è una lingua slava meridionale parlata in Slovenia e nelle zone di confine degli stati limitrofi.
Distribuzione geografica
Lo sloveno è parlato come lingua-madre da poco più di 2 milioni di persone, stanziate principalmente in Slovenia, ed è diffuso come idioma autoctono in alcune zone di Italia, Austria, Ungheria e Croazia. È parlato anche in altri Paesi in cui sono presenti colonie di immigrati sloveni di una certa consistenza (le più numerose sono quelle residenti in Germania e negli Stati Uniti d'America).
In Slovenia è parlato da circa 1,9 milioni di persone. È considerato lingua autoctona in alcune zone di frontiera di Italia dove gode di un regime di particolare tutela (circa parlanti nella zona orientale del Friuli - Venezia Giulia, secondo alcune stime non ufficiali), Austria (fra i i parlanti, concentrati soprattutto in Carinzia) e Ungheria (- parlanti, per la maggior parte residenti nella contea di Vas). Lo sloveno è presente storicamente anche in una zona molto circoscritta della Croazia, a ridosso della frontiera nord-occidentale con la Slovenia.
Altre presenze esterne ai paesi summenzionati, sono, come abbiamo già indicato, quelle relative alle colonie di immigrati sloveni sparse per il mondo, in particolare in molti Paesi di Europa, America ed Oceania: Germania, Croazia (- parlanti, comprendenti anche la minoranza autoctona), Stati Uniti d'America (soprattutto nella città di Cleveland, in Ohio), Canada, Argentina, Australia, ecc.
Lingua ufficiale
È la lingua ufficiale della Slovenia e coufficiale del Friuli-Venezia Giulia.
Dialetti e lingue derivate
La lingua slovena comprende sette gruppi di dialetti molto diversi: il carinziano (koroščina), il litoraneo (primorščina), l'interno (notranjščina), il meridionale (dolenjščina), il centrale, lo stiriano (štajerščina) ed il pannonico. La notevole diversità tra i dialetti si deve innanzitutto al carattere montuoso della regione e alla diversa provenienza delle antiche tribù protoslave che si insediarono in questi luoghi.
Classificazione
Secondo Ethnologue, la classificazione della lingua slovena è la seguente:
Lingue indoeuropee
Lingue slave
Lingue slave meridionali
Lingue slave sud-occidentali
Lingua slovena
La lingua slovena è classificata come una delle lingue slave meridionali, ma ha varie caratteristiche delle lingue slave occidentali, perciò costituisce un punto di transizione tra questi due gruppi. Le lingue più simili allo sloveno sono infatti il croato nella sua variante ecavo (ekavščina), il ceco e lo slovacco.
Una curiosità è che la lingua slovena in sloveno si chiama slovenščina, mentre quella slovacca in slovacco si chiama slovenčina (le due parole si pronunciano quasi nello stesso modo). Vice versa, in sloveno il nome della lingua slovacca è slovaščina, mentre in slovacco il nome della lingua slovena è slovinčina. Per una spiegazione esauriente bisognerebbe riferirsi al protoslavo ed allo sviluppo storico delle radici slov- e slav-.
Storia
Lo sloveno appartiene al gruppo delle lingue slave meridionali la cui distinzione dalla lingua proto-slava risale alla seconda metà del X secolo. I primi documenti scritti in sloveno sono contenuti nei Manoscritti di Frisinga (Brižinski spomeniki), risalenti alla seconda metà del X secolo e scoperti nel XIX secolo. Essi contengono frasi rituali di confessioni, annotazioni su prediche riguardanti il peccato e la penitenza e formule di abiura (... Etjè bi det naš ne səgréšil, tè u weki jèmu bè žíti, ...).
Tranne rare eccezioni, la lingua slovena venne tramandata solo oralmente fino al secolo XVI. Allora, in seno ad un più vasto movimento europeo, anche gli sloveni iniziarono ad usare la propria lingua nella forma scritta, inizialmente solo in testi religiosi. Le regole grammaticali fondamentali della lingua furono fissate dagli studiosi protestanti. È proprio grazie agli scrittori della riforma (Primož Trubar, Adam Bohorič, Jurij Dalmatin) che lo sloveno si affermò anche come lingua letteraria.
In tempi più recenti è poi da considerare l'influenza che ha avuto sulla lingua la vicinanza di popoli di diversa origine linguistica che circondano l'odierna Slovenia: veneti, friulani, tedeschi, ungheresi, croati.
Sistema di scrittura
L'alfabeto ha 25 lettere: a b c č d e f g h i j k l m n o p r s š t u v z ž.
Come in italiano, le vocali sono a e i o u, tutte le altre sono consonanti.ovvero tutte le altre lettere dell'alfabeto
È invece ritenuta "semivocale" la lettera "r" e questa particolarità si nota nelle molte parole slovene prive di vocali. Si tratta solitamente di monosillabi dove la "r" assume, appunto, il ruolo di vocale scevà. Anche nella divisione in sillabe, peraltro molto simile a quella italiana, è prevista l'esistenza di sillabe prive di vocali scritte se la "r" ne fa le veci (es. trd /tərd/ (duro), dove la forma femminile trda (dura) si sillaba tr-da) o vrh (cima), rt (capo (geografia)), krt (talpa), etc.).
Fonologia
I suoni della lingua slovena non sono troppo differenti da quelli italiani. I suoni delle vocali sono come quelli in italiano; uno dei suoni della "e" si pronuncia [ə] e in sloveno si definisce semi-suono. Due consonanti slovene non esistono in italiano: [x] (scritta "h") e [ʒ] (scritta "ž"). La consonante [j] (scritta "j") ha un suono anche nella lingua italiana, dove viene però considerata vocale. Il gruppo "lj" si pronuncia [λ] (come l'italiano "gli" di aglio), il gruppo "nj" si pronuncia [ɲ] (come l'italiano "gn" di gnomo), il gruppo "dž" si pronuncia come l'italiano "g" di gioco; non esiste, infine, il suono [d͡z] (come "z" di zanzara). In sloveno non esistono consonanti geminate (ovvero doppie).
Ecco un prospetto completo delle consonanti slovene:
b [] si legge come "b" in bene
c [] si legge come "z" in spazio
č [] si legge come "c" in cena
d [] si legge come "d" in dado
f [] si legge come "f" in fare
g [] si legge come "g" in gatto
h [] si legge come "ch" nel tedesco Bach
j [] si legge come "i" in iato
k [] si legge come "c" in casa
l [] si legge come "l" in lode tranne in fine di sillaba o parola dove si legge come "u" in uovo (es. volk, govoril)
m [] si legge come "m" in mare
n [] si legge come "n" in nota
p [] si legge come "p" in piatto
r [] si legge come "r" in raro
s [] si legge come "s" in sole
š [] si legge come "sc" in sciabola
t [] si legge come "t" in tutto
v [] si legge come "v" in vedo tranne in fine di sillaba dove si comporta in maniera analoga a l (es. vse, stavka, restavracija)
z [] si legge come "s" in rosa
ž [] si legge come "j" in francese (es. journal, jaune, jeu)
lj si legge come "gl" in aglio (es. Ljubljana)
nj si legge come "gn" in gnomo (es. njiva)
dž si legge come "g" in giallo (es. nindža)
ks si legge come "cs" in fucsia (es. taksi)
Accenti
L'accento non ha una posizione fissa e può cadere su sillabe differenti in forme differenti della stessa parola. L'accento è dinamico, ma in alcuni dialetti sloveni esiste anche un accento musicale. Non si usano segni grafici per indicare la sillaba tonica.
Grammatica
La lingua slovena distingue cinque parti del discorso variabili (sostantivo, aggettivo, verbo, pronome e numerale) e quattro invariabili (avverbio, preposizione, congiunzione e interiezione).
Nella lingua slovena non ci sono articoli (roka può significare mano, una mano o la mano a seconda del contesto).
Sostantivo
Il sostantivo si declina, cioè cambia forma tramite suffissi a seconda del genere, del numero e del caso. Ci sono tre generi grammaticali (maschile, femminile, neutro), tre numeri (singolare, duale, plurale) e sei casi (nominativo, genitivo, dativo, accusativo, locativo, strumentale). Il numero duale viene usato quando ci si riferisce a due oggetti o persone: ena riba (un pesce), dve ribi (due pesci), tri ribe (tre pesci).
Le declinazioni sono quattro: la prima comprende i sostantivi in –a (maschili e femminili), la seconda i sostantivi in consonante femminili, la terza i sostantivi in consonante maschili e la quarta i sostantivi in –e/o (neutri).
Aggettivo
Viene definito aggettivo soltanto l'aggettivo qualificativo italiano. Le sue desinenze sono uguali a quelle del sostantivo, con la differenza che ha solo tre declinazioni (maschile, femminile e neutra). In più l'aggettivo maschile singolare ha due forme: determinata e indeterminata, per cui il bel giovane = lepi fant, ma un bel giovane = lep fant.
Il comparativo si forma con un suffisso proprio. Il superlativo assoluto si forma con il prefisso naj- e il suffisso del comparativo. Il superlativo relativo si forma solo premettendo la parola "zelo" (molto) o altra simile. Anche il comparativo e il superlativo si declinano. Non tutti gli aggettivi hanno il comparativo ed il superlativo (ad esempio i colori non ce li hanno mai). Alcuni aggettivi non hanno il suffisso per il comparativo, perciò vengono preceduti dalla parola "bolj" (più), e non utilizzano il prefisso "naj-", perciò vengono preceduti da "najbolj" (il più) e "zelo" (molto): es. lačen (affamato), bolj lačen (più affamato), najbolj lačen (il più affamato), zelo lačen (molto affamato).
Es.: lep (bello), lepši (più bello), najlepši (il più bello), zelo lep (bellissimo);dober (buono), boljši (migliore), najboljši (il migliore), zelo dober (buonissimo);visok (alto), višji (più alto), najvišji (il più alto), zelo visok (altissimo);nizek (basso), nižji (più basso); najnižji (il più basso), zelo nizek (bassissimo).
Verbo
Il verbo si coniuga in persona (1ª, 2ª, 3ª), numero (singolare, duale, plurale), genere (maschile, femminile, neutro), modo (indicativo, condizionale, imperativo, infinito, participio, nome verbale), tempo (presente, passato, futuro; si può esprimere anche il trapassato, che tuttavia si usa raramente), aspetto (imperfettivo, perfettivo) e diatesi (attiva, passiva, riflessiva).
Pronome
I pronomi, a differenza dall'italiano, includono anche gli aggettivi non qualificativi e si classificano in personali, possessivi, dimostrativi, interrogativi, relativi e indefiniti. I pronomi personali e possessivi conoscono anche la categoria dei riflessivi.
Numerale
I numerali si declinano con regole specifiche e si classificano in cardinali («n»), ordinali («n-esimo»), moltiplicativi («n volte tanto») e distintivi («moltiplicato n volte»).
cardinali: ena (1), dva (2), tri (3), štiri (4), pet (5), etc.
ordinali: prvi (femm. prva; neutro prvo) (1. o I.), drugi (2. o II.), tretji (3. o III.), četrti (4. o IV.), peti (5. o V.), etc.
moltiplicativi: enkraten (femm. enkratna; neutro enkratno)/enojen (femm. enojna; neutro enojno), dvakraten/dvojen, trikraten/trojen, štirikraten, petkraten, etc.
distintivi: enkrat (krat significa volta; una volta), dvakrat, trikrat, štirikrat, petkrat, etc.
Parti del discorso invariabili
L'uso di avverbi, congiunzioni e interiezioni non differisce in modo sostanziale dall'italiano.
Le preposizioni di luogo richiedono il caso locativo se indicanti lo stato in luogo e il caso accusativo se indicanti il moto a luogo:
«siamo in casa» (stato in luogo) = smo v hiši (preposizione v «in» + locativo di hiša «casa»);
«entriamo in casa» (moto a luogo) = gremo v hišo (preposizione v «in» + accusativo di hiša «casa»).
Vocabolario
Nel vocabolario e nella fraseologia c'è un grande influsso della lingua tedesca. In alcuni dialetti sloveni "treno" si dice "cug" (tsug), che deriva dal tedesco "Zug" (tsug), invece nello sloveno standard si dice "vlak"; stessa cosa con "cuker" (tsuker), sempre dal tedesco "Zucker" (tsuker), che nello sloveno standard è "sladkor".
Anche la lingua italiana ha esercitato un influsso importante sullo sloveno. Il verbo manjkati (mancare), ad esempio, potrebbe essere il caso, sebbene si discute molto circa l'origine del verbo perché potrebbe derivare dalla parola "manj" che significa "meno".
Lo sloveno negli ultimi anni ha assimilato moltissimi neologismi di origine straniera, che spesso vengono usati al posto dei termini sloveni. Ad esempio la parola "zgradba" (struttura) viene sostituita con "struktura" o "Sredozemlje" (Mediterraneo) con "Mediteran".
La maggior parte delle volte in sloveno i neologismi stranieri si slovenizzano.Es.: ketchup-kečap, hacker-heker, cocktail-koktejl, taxi-taksi, rugby-ragbi, etc.
Note
Voci correlate
Dialetto prekmuro
Diffusione dello sloveno in Italia
Trieste
Gorizia
Slavia friulana
Carinzia
Provincia di Vas
Altri progetti
Collegamenti esterni
Sloveno |
2667 | https://it.wikipedia.org/wiki/Limes%20%28storia%20romana%29 | Limes (storia romana) | {{struttura militare
|Nome = Limes romano
|Nome originale = Limes
|Parte di =
|Posizione geografica =
|Struttura = Strada militare
|Immagine = Roman Empire Trajan 117AD.png
|Didascalia = Il limes romano nel 117 d.C. sotto l'imperatore Traiano.
|Larghezzaimmagine=300px
|Stato =
|Stato attuale = attorno al bacino del Mediterraneo
|Suddivisione = Limes settentrionale:
in Britannia dal 43 al 410 d.C.
in Germania tra Reno ed Elba:
Gallia Belgica dal 16 a.C.
Germania inferiore dal 90 d.C.
Germania superiore dal 90 d.C.
Germania Magna dal 9 a.C. al 9 d.C.
in Spagna Tarraconensis dal 27 a.C.
lungo il Danubio:
agri decumates dal 73 al 260 d.C.
Rezia dal 15 a.C.
Norico dal 17-16 a.C.
Pannonie dal 9 d.C.
Illirico e poi Dalmazia dal 9 d.C.
Mesie dall'1-6 d.C.,
Dacie dal 106 al 274 d.C.
Macedonia dal 146 a.C.
Tracia dal 46 d.C.Limes orientale:
Galazia dal 25 a.C.
Cappadocia dal 17 d.C.
Armenia vari periodi dal 34 a.C.
Siria dal 64-63 a.C.
Giudea dal 44 d.C. definitivamente
Arabia dal 106 d.C.
Assiria 115-116 d.C.
Mesopotamia vari periodiLimes africano:
Mauretania Cesariense dal 40-44 d.C.
Mauretania Tingitana dal 40-44 d.C.
Numidia dal 46 a.C.
Africa proconsolare dal 146 a.C.
Cirenaica dal 74 a.C.
Egitto dal 30 a.C.
|Tipologia = strade militari romane affiancate da valli, corsi di fiumi, fortezze legionarie, forti e fortini ausiliari, burgi, ecc.
|Utilizzatore = Impero romano
|Lunghezza = oltre 10.000 km
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|Funzione strategica = protezione delle frontiere del Mondo romano
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|Sito web =
|Ref = vedi bibliografia sotto
}}
Il limes (in latino, 'limite', 'confine') era la linea artificiale che segnava il confine dell'Impero romano.
Originariamente la parola limes indicava le strade che si spingevano all'interno di territori di recente conquista (o ancora da conquistare), come nel caso del limes germanico augusteo (vedi Occupazione romana della Germania sotto Augusto), che correva lungo le rive del fiume Lippe, presidiato da numerosi forti ausiliari e fortezze legionarie, nella costituenda provincia romana di Germania.
Fu alla fine del I secolo d.C. che il termine prese a indicare la linea di confine dell'Impero (così in Frontino e in Tacito): le strade limitanee collegavano gli accampamenti fortificati, posti lungo il limes.
Il limes germanico-retico è incluso dal 1987 nella lista dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO. Stessa cosa per il Vallo di Adriano e il Vallo Antonino nel Regno Unito.
Significato di limes come forma di barriera
Esso formava l'insieme delle frontiere dell'Impero romano, classificate in base al loro modo di essere barriera: naturale o artificiale.
Barriere naturali
Nel primo caso le barriere, che dividevano il mondo romano dai barbari o dagli altri stati stranieri, potevano essere:
di tipo fluviale (come Reno, Danubio ed Eufrate) e chiamato ripa (nel significato di riva di un fiume);
montuoso (come la catena dei Carpazi in Dacia o dell'Atlante in Mauretania);
o desertico (come lungo il fronte meridionale dell'Egitto e delle province di Arabia e Siria).
Barriere artificiali
Nel secondo caso le barriere erano costruite, in modo artificiale, dal lavoro dell'uomo, con un agger di terra, una palizzata o un muro in pietra (a partire soprattutto da Adriano), ed un fossato antistante, come nel caso del vallo di Adriano, di Antonino, del Porolissensis o del limes germanico-retico. Ogni frontiera era, inoltre, seguita parallelamente per tutta la sua estensione, da una strada presidiata ad intervalli regolari oltre che da fortezze legionarie (castra), anche da forti (castella) e fortini (burgi) ausiliari, oltre a torrette (turris) e stazioni di avvistamento (stationes).
Raffigurazioni del limes romano si possono scorgere nei fregi della Colonna Traiana e di quella di Antonina, dove le scene iniziali rappresentano la riva destra del Danubio, con tutta una serie di posti di guardia, forti, fortezze, difesi da palizzate, cataste di legna e covoni di paglia che, se incendiati, servivano come segnalazione.
Aree interne
Il terzo caso è molto particolare. Si tratta della cosiddetta praetentura, ovvero di una zona interna all'impero stesso (come fu la praetentura Italiae et Alpium al tempo delle guerre marcomanniche) affidata ad un comando militare speciale (in questo particolare caso a Quinto Antistio Advento), che servisse a prevenire e bloccare eventuali invasioni barbariche. Alle sue dipendenze potevano esserci anche intere legioni.
Principali settori strategico-territoriali del limes romano
Tre furono i principali settori strategici a protezione dell'Impero romano:
il primo e più importante, che decretò poi la caduta dell'Impero romano d'Occidente nel V secolo, fu il fronte settentrionale, a sua volta formato da:
il limes Britannicus, il più settentrionale dell'intero Impero, con i suoi valli (vallo di Adriano e vallo Antonino);
il limes renano lungo il fiume Reno, che per quasi un ventennio comportò la penetrazione nella Germania Magna fino al fiume Elba;
il limes danubiano, il più importante dell'intero sistema difensivo imperiale, a protezione di tutte le province che dalla Rezia percorrevano il grande fiume fino alla sua foce, con la Mesia inferiore.
il limes a nord del Danubio, comprendente le province daciche, la Sarmazia e le coste settentrionali del Ponto Eusino (delle città greche di Tyras ed Olbia, del regno del Bosforo, tutte località presidiate dai tempi di Nerone con installazioni militari romane, fino all'arrivo dei Goti della prima metà del III secolo).
il secondo per importanza, ovvero il limes orientale, a protezione dei confini orientali dell'Impero romano, era organizzato in quattro sub-settori:
il limes cappadocico e del Ponto Eusino creato dall'imperatore Tiberio a partire dal 17 con l'annessione della provincia romana di Cappadocia;
il limes armeno, spesso al centro di guerre tra Romani e Persiani per numerosi secoli;
il limes mesopotamico creato in modo discontinuo a partire dalle campagne partiche di Traiano degli anni 114-117;
il cosiddetto Limes arabicus che collegava l'Eufrate al Mar Rosso dopo circa 1.000 km, a sua volta diviso in due sub-limes, a difesa delle province di Siria, Arabia e Giudea/Palestina.
il terzo per importanza, sebbene fosse il più lungo da difendere, era il limes africano a protezione dei confini meridionali. Era a sua volta diviso in due macro-settori:
il fronte occidentale, comprendente le province mauretane, la Numidia e l'Africa proconsolare;
il fronte orientale, formato dalle province della Cirenaica ed Egitto.
Frontiera settentrionale
Limes Britannicus: il più a nord
La conquista della Britannia cominciò sotto l'imperatore Claudio nel 43 con 4 legioni e fu graduale. Dalla zona del Tamigi gli eserciti romani avanzarono in più direzioni verso ovest e nord, occupando alla morte dell'imperatore, avvenuta nel 54, tutti i territori ad est della cosiddetta Fosse way: la prima forma di limes della Britannia, una strada militare sorvegliata da torrette, forti e fortini per il pattugliamento della nuova zona di confine.
Negli anni che seguirono ebbe nuovi impulsi sia sotto Nerone sia sotto la dinastia dei Flavi, ma l'apice si ebbe sotto Domiziano con le campagne in Caledonia da parte di Giulio Agricola negli anni dal 77 all'83 e l'inizio di un primo sistema di fortificazioni in Scozia con il sistema difensivo del Gask Ridge. Il progetto di occupare interamente l'isola britannica svanì in seguito alla richiesta di invio di contingenti legionari dalla Britannia nell'Europa continentale, in vista di nuove campagne contro i germani Catti della zona del Taunus.
Di Antonino Pio è famoso il vallo che porta il suo nome e che fu fatto da lui costruire nel 142 tra i fiumi Forth e Clyde a difesa dalle invasioni scozzesi. Ancor più noto è il Vallo di Adriano, situato sempre nell'Inghilterra settentrionale, del quale molti resti sono ancor oggi visibili. Era stato fatto erigere da Adriano intorno al 122 a difesa della Britannia romana ed era arricchito di castelli, torri e fossati.
Limes renano: tra Reno ed Elba
La conquista della Gallia da parte di Gaio Giulio Cesare (negli anni 58-51 a.C.), aveva decretato un nuovo confine dei territori della Repubblica romana: il fiume Reno, al di là del quale si estendevano i territori dei Germani. Con l'avvento di Augusto, i progetti del primo imperatore romano mutarono. Egli voleva portare il Limes più ad est, oltre il Reno fino al fiume Elba. A partire dal 12 a.C. furono lanciate in Germania tutta una serie di campagne, attraverso 3-4 differenti linee di penetrazione.
L'occupazione da parte delle armate romane portò sotto il dominio di Roma, prima i territori germani tra Reno e Weser (anche con la costruzione di strade e di ponti, i cosiddetti pontes longi), dal 5 in poi anche quelli più ad est, tra Weser ed Elba. È solo in seguito alla disfatta di Teutoburgo del 9 che i piani del Princeps, Augusto, mutarono e le armate romane furono ritirate definitivamente, riportando il Limes, ancora una volta, al fiume Reno. La Germania era definitivamente perduta. Nessun altro imperatore successivo avrebbe avuto in futuro piani di conquista. Ancora oggi il fiume Reno sancisce la linea di demarcazione tra due differenti lingue europee: quella neo-latina e quella germanica.
Sotto Domiziano, a causa delle continue guerre contro i Daci di Decebalo, il Reno perdeva il primato di settore strategico più importante, a vantaggio del settore danubiano, a cui seguì la conquista della Dacia da parte di Traiano (101-106). Il secolo successivo vide una continua manutenzione di questo tratto di frontiera fluviale di Reno. Sappiamo che attorno al 170-172 vi furono degli attacchi da parte della tribù germanica dei Cauci, lungo le rive della Gallia Belgica nel periodo delle guerre marcomanniche. Le prime vere incursioni di massa cominciarono nel III secolo, tanto che Gallieno fu costretto ad abbandonare attorno al 260 i cosiddetti Agri Decumates, ovvero il settore più settentrionale del limes della Germania inferiore. Ogni forte compreso tra la foce del Reno e l'affluente Waal fu abbandonato. L'errore strategico fu grande, poiché una volta che ai Germani si permise di penetrare al di qua del Reno, si dimostrò quanto la frontiera della Gallia fosse troppo vulnerabile per essere difesa dai ripetuti attacchi dei barbari.
In seguito alle devastanti invasioni dei Franchi del 275 e 276, si provvide alla costruzione di un nuovo limes fortificato, che congiungeva la costa gallica, via Bavai e Tongres, a Nimega sul Reno. La Gallia in seguito a questi ultimi eventi godette di un relativo periodo di pace, almeno fino all'usurpazione di Magnenzio del 350. Il ritiro di buona parte delle truppe romane lungo il Reno da parte di Stilicone nel 401, al fine di respingere le orde dei Visigoti di Alarico dall'Italia, permisero nuove e devastanti invasioni barbariche da parte di Suebi, Vandali, Burgundi ed Alani, con la conseguente perdita di gran parte dei territori gallici (406). Ad alcuni invasori, infatti, fu permesso di rimanere all'interno dei confini imperiali con lo status di Foederati, come i Visigoti in Aquitania o i Burgundi in Borgogna, ecc. L'integrità delle frontiere si era definitivamente spezzata ed il settore renano era ormai al collasso.
Limes Germanicus-Raeticus: tra alto-Reno ed alto-Danubio
Prima di cominciare le conquiste a nord dei fiumi Danubio e ad est del Reno, Augusto diede incarico ai suoi due figliastri di conquistare l'intero arco alpino, occupando inizialmente Rezia e Vindelicia, e negli anni successivi anche il regno del Norico. È proprio attorno al 15 a.C., al termine della prima serie di campagne militari, che furono fondati i castra legionari di Dangstetten e Augusta Vindelicorum oltre a tutta una serie di forti ausiliari e torri di avvistamento/segnalazione lungo il limes. Il successivo ritiro delle armate dalla Germania, portò le armate romane ad attestarsi lungo il Reno almeno fino ai Flavi. Grazie a Vespasiano e poi al figlio Domiziano, cominciò l'occupazione dell'area del Taunus (83-85) collegando Mogontiacum ad Augusta Vindelicorum, riducendo drasticamente i confini tra Reno e Danubio. Così facendo si andavano ad includere all'Impero aree che, pur fittamente boscose e scarsamente popolate, miglioravano le comunicazioni tra Germania superiore e Rezia e la difendibilità dei confini imperiali.
La frontiera continuò a svilupparsi anche negli anni successivi fino ad Antonino Pio, sotto il quale molte delle torri e dei forti costruiti in precedenza in legno, furono ricostruiti interamente in pietra (a volte in siti differenti) e soprattutto si ebbe la definitiva espansione ed evoluzione di questo tratto di limes tra Germania superiore e Rezia. Egli, infatti, già a partire dal 145-146 promosse l'abbandono della precedente linea di difesa dell'Odenwald-Neckar a favore di una posizione più avanzata di 30 km, ma non sappiamo se ciò comportò notevoli operazioni di guerra nell'area.
Sotto Caracalla si ebbero le prime invasioni degli Alemanni (dal 213), i quali continuarono a guerreggiare con i successori, da Alessandro Severo a Massimino il Trace, fino a Gallieno, tanto che quest'ultimo decise il definitivo abbandono ed evacuazione di tutti i territori ad est del Reno ed a nord del Danubio, a causa delle continue invasioni delle tribù germaniche limitrofe degli Alemanni. Era il 260 circa.
Dopo il 275 ci fu un timido tentativo di recupero della zona del Taunus da parte dell'imperatore Probo, ma nulla di più. Le terre al di là di Reno e Danubio erano andate ormai perdute per sempre.
Limes danubiano
Il settore danubiano risulta essere più complesso da difendere, rispetto a quello renano, considerata anche la lunghezza dei due fiumi: il primo di 2.888 km, il secondo di 1.326 km, pari a poco meno della metà. Non a caso da Domiziano-Traiano in poi, il settore renano fu ridotto da 8 a 4 legioni, mentre quello danubiano fu aumentato da 6 a 12 (compresa la provincia della Dacia).
Se la repubblica romana ai tempi di Cesare si era fermata alle Alpi, alla costa illirica ed alla Macedonia, a partire dalla seconda decade del principato di Augusto, i Romani raggiunsero ed occuparono stabilmente molte regioni a sud del Danubio. L'occupazione dell'intera area a sud del grande fiume, dalla Rezia alla Pannonia, avveniva, però, gradualmente durante i regni di Tiberio e Claudio.
Dai Flavi in poi, il settore strategico dell'alto-medio corso del Danubio fu costantemente rafforzato e diventò il settore più importante dell'intero sistema strategico imperiale. Al termine delle guerre contro i Daci del 101-106 ed a seguito dell'annessione della nuova provincia di Dacia, l'intero assetto danubiano mutò ed una provincia così importante come quella pannonica fu divisa in due nuove: quelle di Pannonia superior e di inferior. Con lo scoppio delle guerre marcomanniche nel 166-167, i progetti mutarono per un quindicennio, poiché Marco Aurelio era intenzionato ad annettere i territori a nord della Pannonia, inglobandone i relativi popoli: dai Marcomanni, a Quadi e Naristi, e formando la nuova provincia di Marcomannia. Il figlio Commodo, alla morte del padre nel 180, ritirava, però, tutte le truppe dai nuovi territori appena occupati, e riportava definitivamente il Limes all'alto-medio corso del Danubio, rafforzandone e moltiplicando i presidi lungo il grande fiume.
In seguito alle prime grandi invasioni barbariche del III secolo fu istituito a Sirmio, un comando militare generale dell'intera area danubiana, mentre si provvedette a sbarrare la strada a possibili e future invasioni barbariche, fortificando il corridoio che dalla Pannonia e dalla Dalmazia immette in Italia attraverso le Alpi Giulie. Si trattava del cosiddetto Claustra Alpium Iuliarum.
Sembra che sotto Costantino I, o forse anche un secolo e mezzo prima, si provvide alla costruzione di tutta una serie di terrapieni al di là del Danubio, nella pianura ungherese, per allentare la pressione di Goti e Gepidi lungo i territori degli alleati Iazigi, "appoggiati" alla vicina frontiera pannonica. Questo sistema di fortificazioni viene oggi comunemente chiamato: "Diga del Diavolo" e partiva di fronte ad Aquincum per poi seguire parallelamente il fiume Tisza, alla sua sinistra, e raggiungere la fortezza legionaria di Viminacium. Fu un'illusione durata pochi anni, poiché i Goti, sconfitto Valente ad Adrianopoli nel 378, si stanziarono definitivamente in Pannonia come foederati dell'impero romano, decretando la definitiva "rottura" ed abbandono del Limes danubiano. Nel 395 la Pannonia era nuovamente invasa da orde di Goti ed Alani, mentre nel 433 l'invasione degli Unni sanciva la fine della Pannonia romana.
Sotto Augusto, iniziò l'occupazione graduale dell'area basso danubiana. Tra il 6 ed il 9, in seguito alle operazioni di Tiberio nell'area illirica e dei suoi successori, veniva costituito il distretto militare di Mesia e Macedonia, presidiato da un paio di legioni, mentre la Tracia continuava a costituire un regno indipendente, cliente e quindi alleato del popolo romano. Quarant'anni più tardi, sotto Claudio la Tracia era annessa (nel 46), mentre nuove basi legionarie erano dislocate sul Danubio in Mesia. La grande crisi del fronte del basso Danubio scoppiò nell'85, quando i Daci, tornati uniti sotto il nuovo re, Decebalo, passarono il grande fiume distruggendo un esercito romano accorrente ed uccidendo lo stesso governatore di Mesia. La controffensiva romana non si fece attendere, tanto che lo stesso imperatore Domiziano fu costretto ad intervenire (tra l'86 e l'88). A questa crisi succedette una nuova serie di campagne contro le popolazioni suebo-sarmatiche degli anni 89-97, che portarono ad un nuovo trattato di pace che durò per oltre sessant'anni.
L'ascesa al trono di Traiano portò alla revoca del vecchio trattato siglato da Domiziano e Decebalo ed all'assorbimento del regno dacico. La provincia dacica comprendeva i territori compresi all'interno della catena di monti dei Carpazi. Una volta conclusa la pace con le genti sarmatiche degli Iazigi ad ovest, e dei Roxolani ad est, Adriano divise la nuova provincia dacica in Superior ed Inferior.
Fu sotto Antonino Pio che nel 158 circa, fu operata l'ultima divisione della provincia dacica, prima del definitivo abbandono dei suoi territori da parte di Aureliano attorno agli anni 271-273. Il saliente dacico fu definitivamente abbandonato in seguito ai continui e martellanti attacchi da parte dei Goti, fissando nuovamente la frontiera dell'impero sul Danubio. La nuova riorganizzazione della Dacia comportò, oltre all'abbandono dei territori della riva destra del Danubio lungo la pianura moldava e valacca, con l'arretramento del Limes al fiume Olt (al cosiddetto Limes Alutanus), anche la trasformazione di parte della Mesia superiore ed inferiore, da frontiera esterna in interna. Le conseguenze furono: il potenziamento delle difese lungo il basso corso del Danubio, con la costruzione di nuovi forti ausiliari negli anni che seguirono.
Con la salita al trono di Diocleziano nel 284 l'esercito e le frontiere subirono un forte e rinnovato programma di riforma strategico-militare, per interrompere un processo, ormai avviato da almeno un cinquantennio, di disgregazione degli equilibri interni ed esterni all'impero romano. I forti esistenti furono rimodellati con torri aggettanti, porte strette, mentre se ne costruivano di nuovi infittendo le linee difensive. Teste di ponte erano, infine, costruite o ricostruite lungo la riva sinistra del Danubio. Il successore, Costantino I, provvide anche alla costruzione di tutta una serie di terrapieni al di là del Danubio, in Oltenia e nella pianura valacca, per allentare la pressione sulla frontiera stessa. Questo sistema di fortificazioni, lungo 300 km e costruito tra il 330 ed il 340, viene oggi comunemente chiamato: "Brazda lui Novac du Nord". La Mesia inferiore subì nuovi e ripetuti attacchi ad opera degli Unni di Attila nel 447, e poi nel VI secolo ad opera di Slavi, Bulgari ed Avari, ma la sua vicinanza alla capitale dell'impero romano d'Oriente, Costantinopoli, ne preservò ancora per qualche secolo le sue frontiere.
Frontiera orientale
Limes dell'alto Eufrate
Il primo intervento in Asia Minore da parte dei Romani era avvenuto nel corso della guerra contro Antioco III degli anni 192-188 a.C. Oltre cinquant'anni più tardi veniva creata la prima provincia asiatica (Asia, tra il 132 ed il 129 a.C.), in seguito alla morte di Attalo III di Pergamo (avvenuta nel 133 a.C.), il quale aveva lasciato in eredità allo stato romano il suo regno, ampliato con i territori ceduti dai Seleucidi dopo la pace di Apamea (188 a.C.).
Pochi anni più tardi (nel 111 a.C.), salì al trono del regno del Ponto, Mitridate VI, figlio dello scomparso omonimo V. Il nuovo sovrano mise subito in atto (fin dal 110 a.C.) una politica espansionistica nell'area del Mar Nero, conquistando tutte le regioni da Sinope alle foci del Danubio. Il giovane re volse, quindi, il suo interesse verso la penisola anatolica, dove la potenza romana era, però, in costante crescita. Sapeva che uno scontro con quest'ultima sarebbe risultato mortale per una delle due parti. Al termine di tre durissime guerre (dall'89 al 63 a.C.), Roma ebbe la meglio ed ottenne di annettere buona parte dei territori della penisola anatolica, fino alla Siria ed alla Giudea.
Un decennio più tardi, però, il console romano, Marco Licinio Crasso, fu sconfitto pesantemente a Carre nel 53 a.C., mentre il regno d'Armenia divenne teatro della contesa tra Roma e l'Impero dei Parti. Questi ultimi, infatti, costrinsero il regno d'Armenia alla sottomissione dal 47 a.C. al 37 a.C. E seppure le successive campagne in Partia si rivelarono fallimentari (con 30.000 armati lasciati sul campo), il regno d'Armenia tornò ad essere regno cliente di Roma a partire dal 34/33 a.C.
Ad occidente dell'Eufrate, Augusto provò a riorganizzare l'Oriente romano, sia stringendo un patto di non belligeranza con il vicino regno dei Parti ed ottenendo la restituzione delle insegne di Crasso a Carre, sia inglobando alcuni stati vassalli e trasformandoli in province romane, come la Galazia di Aminta nel 25 a.C., sia rafforzando vecchie alleanze con re locali, divenuti "re clienti di Roma", come accadde ad Archelao, re di Cappadocia, ad Asandro re del Bosforo Cimmerio e a Polemone I re del Ponto, oltre ai sovrani di Iberia, Colchide e Albania.
A turbare la situazione orientale intervennero le morti del re della Cappadocia Archelao, che era venuto a Roma a rendere omaggio al nuovo princeps, Tiberio, di Antioco III, re di Commagene, e di Filopatore, re di Cilicia. La difficile situazione orientale rese così necessario un nuovo intervento romano, e Tiberio nel 18 inviò il figlio adottivo, Germanico, il quale, con il consenso dei Parti, incoronò ad Artaxata come nuovo sovrano d'Armenia il giovane Zenone, figlio del sovrano del Ponto Polemone I e soprattutto filoromano. Stabilì, inoltre, che la Cappadocia fosse istituita come provincia a sé stante, e che la Cilicia entrasse invece a far parte della provincia di Siria. In seguito all'annessione della provincia di Cappadocia sotto Tiberio (nel 17/18), furono posti lungo il fiume Eufrate alcuni forti militari a presidio del settore settentrionale del limes settentrionale orientale.
Morto Tiberio nel 37, i Parti costrinsero l'Armenia a sottomettersi, anche se sembra che i Romani nel 47 abbiano ottenuto nuovamente il controllo del regno, a cui offrirono lo status di cliente. La situazione era in continuo divenire. Nerone, preoccupato dal fatto che il re della Partia, Vologese I, avesse posto sul trono del regno d'Armenia il proprio fratello Tiridate, decise di inviare un suo valente generale, Gneo Domizio Corbulone, a capo delle operazioni orientali. Quest'ultimo raggiunse un accordo definitivo con il "re dei re" nel 63, restaurando il prestigio di Roma, e concludendo con Tiridate I di Armenia (sostituitosi a Tigrane V) un accordo che riconosceva nell'Armenia un protettorato romano, che rimase pressoché invariato fino al principato di Traiano.
L'area fu poco dopo sconvolta dallo scoppio della prima guerra giudaica e dalla quasi contemporanea guerra civile romana che vide una nuova riorganizzazione di tutto il limes orientale, tanto che due legioni, la legio XII Fulminata e la XVI Flavia Firma, furono destinate alla provincia di Cappadocia dal 72/73.
Nel 113, Traiano decise di procedere all'invasione del regno dei Parti. Il motivo era la necessità di ripristinare sul trono d'Armenia un re che non fosse un fantoccio nelle mani del re parto. E così l'Armenia fu invasa dall'esercito comandato dallo stesso imperatore Traiano nel 114, il quale ne conquistò la sua capitale Artaxata. Deposto il suo re, un certo Partamasiri, annesse i suoi territori all'Impero romano, facendone per la prima volta, una nuova provincia. Il suo successore, Adriano, adottò una politica di rafforzamento dei vecchi confini ad occidente dell'Eufrate, mentre le conquiste ad oriente del grande fiume furono abbandonate. Negli anni che seguirono, attorno al 141-143, l'imperatore Antonino Pio, padre adottivo dei futuri imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero, pose sul trono d'Armenia un nuovo re filo-romano, Soemo.
Il nuovo sovrano partico Vologase IV, poiché nel 161 il trono del Regno di Armenia era divenuto vacante ed era stato reclamato da un certo Soemo, un principe di Emesa (che era pure senatore romano), reagì inviando in Armenia la propria cavalleria al comando del generale Osroe (Osrow), il quale inflisse una dura sconfitta ai Romani. Soemo fu deposto e dovette fuggire, mentre l'Armenia, in mano partica, ebbe un nuovo sovrano, di nome Pacoro. Il governatore della Cappadocia, Severiano, si mosse allora con l'esercito in Armenia, ma fu sconfitto ad Elegeia poco ad est dell'Eufrate. Le campagne militari che seguirono, condotte dal fratello di Marco Aurelio, Lucio Vero, portarono però all'annessione del regno all'impero romano insieme alla Mesopotamia settentrionale (162-166).
Dal 230 al 260, la nuova dinastia dei Sasanidi, che si sostituì a quella dei Parti arsacidi, mise a dura prova la frontiera romana lungo l'alto Eufrate, tanto che il regno d'Armenia passò sotto l'influenza persiana. I Romani riuscirono a riconquistare il regno d'Armenia al termine di alcuni anni di guerra (296-298) ai tempi di Diocleziano (augusto) e Galerio (cesare). La Mesopotamia tornò, anch'essa, sotto il controllo romano. Ma nel 334 il re armeno fu fatto prigioniero e condotto in Persia, costringendo gli Armeni ad invocare l'aiuto di Costantino I. Quest'ultimo scrisse al grande re Sapore II, il quale al termine di una lunga trattativa, decise di annettere l'Armenia e mise sotto minaccia la vicina provincia romana di Mesopotamia. Costantino, però, poco dopo morì (nel 337) e il suo ruolo fu preso dal figlio Costanzo II che fu costretto a combattere ripetutamente e continuativamente contro i Sasanidi per circa un venticinquennio, fino alla disastrosa campagna sasanide di Giuliano del 363.
Il nuovo imperatore, Gioviano, fu costretto a firmare con Sapore II (nel 364) un trattato che garantì ai Sasanidi forti guadagni territoriali, ed il ritorno alle basi orientali dell'armata romana senza ulteriori rischi di essere distrutta. Poco dopo lo stesso Sapore rivolse la propria attenzione al regno d'Armenia, riuscendo a catturare il suo re, Arsace II, fedele alleato dei Romani, costringendolo poi al suicidio. Nel 384 il regno d'Armenia venne alla fine separato in due regioni, quella occidentale sotto l'Impero romano d'Oriente, e quella orientale, affidata ai Sasanidi. La regione occidentale divenne una provincia dell'Impero Romano con il nome di Armenia Minor, mentre la parte orientale rimase un regno all'interno della Persia fino al 428 quando i Sasanidi deposero il sovrano legittimo instaurando una loro dinastia. I confini lungo l'Eufrate rimasero pressoché invariati fino all'invasione araba, a partire dal VII secolo.
Limes ad est dell'Eufrate: Mesopotamia ed Osroene
Le terre al di là dell'Eufrate furono conquistate per la prima volta da Traiano nel 115 durante le campagne contro i Parti. I territori di Mesopotamia ed Osroene furono, però, abbandonati pochi anni più tardi dal suo successore, Adriano, nel 117. La Mesopotamia settentrionale tornò di nuovo sotto il controllo romano in seguito alle campagne partiche di Lucio Vero del 163-166, almeno fino al regno di Commodo. Perduta attorno al 192, fu riconquistata da Settimio Severo nel 197 e posta sotto l'autorità del neocostituito praefectus Mesopotamiae.
Tra il 224 e il 226/227 avvenne un episodio importante, che cambiò le sorti dei rapporti tra Impero romano e Impero persiano: in Oriente l'ultimo imperatore dei Parti, Artabano IV, fu rovesciato dopo essere stato sconfitto in "tre battaglie" e il rivoltoso, Ardashir I, fondò la dinastia sasanide, destinata a essere avversaria orientale dei Romani fino al VII secolo.
Ad un iniziale sfondamento del fronte mesopotamico romano a più riprese, da parte delle armate, prima di Ardashir I (dal 229 al 241) e poi del figlio Sapore I (dal 241 al 260), si susseguirono controffensive romane guidate dai suoi imperatori, come accadde nel caso di Alessandro Severo, Gordiano III e Valeriano. Quest'ultimo però fu sconfitto in battaglia nel 260 e fatto prigioniero dal "Re dei Re", permettendo che ancora una volta i territori romani di Mesopotamia, Siria e Cappadocia fossero razziati dalle armate sasanidi invasori, con conseguente demolizione del limes orientale in numerose sue postazioni (da forti e fortini a fortezze legionarie).
Con la morte di Valeriano, l'Impero romano, sebbene fosse sotto la costante pressione delle armate germano-sarmatiche del fronte settentrionale, fu costretto a reagire alla terribile disfatta subita nel 260, che aveva portato alla successiva occupazione di Antiochia, terza città romana per numero di abitanti (dopo Roma ed Alessandria d'Egitto). Da questo momento in poi, per i quarant'anni successivi, le armate romane si spinsero, in almeno tre circostanze, "in profondità" nei territori sasanidi, conquistando altrettante volte la loro capitale Ctesifonte: prima con il "rector totius Orientis", Odenato, poi con gli imperatori Caro e Numeriano, ed infine con Galerio, sotto la supervisione dell'Augusto, Diocleziano (fautore del progetto tetrarchico).
Al termine di queste ultime campagne militari, la Mesopotamia ritornò sotto il controllo romano, l'Armenia fu riconosciuta protettorato romano, mentre a Nisibi furono accentrate le vie carovaniere dei commerci con l'estremo Oriente (Cina e India). Con il controllo di alcuni territori ad est del fiume Tigri, fu raggiunta la massima espansione dell'impero verso est (298). Fu, quindi, potenziato l'intero sistema di frontiere orientali, a partire dalla costruzione della Strata Diocletiana in Siria, e di nuove postazioni fortificate in tutta la Mesopotamia-Osroene.
Il trattato di pace tra Diocleziano ed il re sasanide Narsete durò quasi 40 anni. La sconfitta dei Sasanidi ad opera di Diocleziano e Galerio (pace del 298), aveva garantito all'Impero romano oltre un trentennio di relativa pace (fino al 334) e la Mesopotamia settentrionale tornava sotto il controllo romano. La frontiera fu, infatti, spostata fino al Khabur ed al Tigri settentrionale, passando per il Jebel Sinjar.
Gli anni successivi alla morte di Costantino I (337), furono estremamente difficili per i due Imperi, coinvolti in una guerra di costante logoramento tra di loro, senza vinti, né vincitori: da una parte Costanzo II (che trascorse la maggior parte del suo tempo, tra il 337 ed il 350, ad Antiochia, trasformato per l'occasione in "quartier generale" delle armate orientali), dall'altra, Sapore II (nel tentativo assai improbabile di cacciare i Romani da tutti i territori asiatici ad occidente dell'Eufrate). I confini alla fine rimasero sostanzialmente stabili, con avanzate e ritirate, ora dell'uno ora dell'altro, almeno fino alla campagna sasanide di Giuliano del 363, quando le armate romane furono costrette a cedere buona parte dei territori ad est dell'Eufrate, rinunciando così a quasi due secoli e mezzo di conquiste.
Limes Arabicus e la strata Diocletiana
Nel 67 a.C., Gneo Pompeo Magno fu nominato comandante di una flotta speciale per condurre una campagna contro i pirati che infestavano il Mar Mediterraneo, con un ampio potere che gli assicurava il controllo assoluto sul mare ed anche sulle coste per 50 miglia all'interno, ponendolo al di sopra di ogni capo militare in oriente. In soli tre brevi mesi (67 a.C.), le forze di Pompeo ripulirono letteralmente il Mediterraneo dai pirati, strappando loro l'isola di Creta e le coste della Licia, della Panfilia e della Cilicia, e dimostrando una straordinaria precisione, disciplina ed abilità organizzativa.
Fu allora incaricato di portare a termine la guerra contro Mitridate VI re del Ponto. Questo comando affidava essenzialmente a Pompeo la conquista e la riorganizzazione dell'intero Mediterraneo orientale. Egli condusse le campagne dal 65 a.C., riuscendo a distruggere le armate di Mitridate e Tigrane il Grande, re d'Armenia, con i quali concluse poi una pace favorevole ai Romani. Occupò, quindi, la Siria, allora sotto il dominio di Antioco XIII (ultimo della dinastia dei Seleucidi), per poi muovere verso Gerusalemme, che occupò in breve tempo. Pompeo impose una riorganizzazione generale dell'Oriente, istituendo nuove province e protettorati romani, tenendo conto sia dei fattori geografici sia di quelli politici, legati alla creazione di una nuova frontiera orientale, che vedeva in Tigrane un nuovo fondamentale punto di appoggio per vedere l'area di influenza romana estendersi ad est, fino al Mar Nero ed al Caucaso.
La presenza di Augusto in Oriente subito dopo la battaglia di Azio, nel 30-29 a.C. poi dal 22 al 19 a.C., oltre a quella di Agrippa fra il 23-21 a.C. e ancora tra il 16-13 a.C., dimostrava l'importanza di questo settore strategico. Fu necessario raggiungere un modus vivendi con la Partia, l'unica potenza in grado di creare problemi a Roma lungo i confini orientali. Di fatto entrambi gli imperi avevano più da perdere da una sconfitta, di quanto potessero realisticamente sperare di guadagnare da una vittoria. E così la Partia accettò di fatto che ad ovest dell'Eufrate Roma organizzasse gli stati a suo piacimento: Augusto inglobò così alcuni stati vassalli, trasformandoli in province romane (come la Giudea di Erode Archelao nel 6, dopo che vi erano stati dei primi disordini nel 4 a.C. alla morte di Erode il Grande) e rafforzò vecchie alleanze con re locali, divenuti ora "re clienti di Roma" (come accadde per i sovrani di Emesa, Iturea, Commagene, Cilicia e Nabatea).
Al termine della prima guerra giudaica degli anni 66-74, portata a termine dal figlio del nuovo Imperatore Vespasiano, Tito, fu lasciata per la prima volta nell'area giudea una legione, la X Fretensis a Gerusalemme.
Traiano, mentre era ancora in procinto di conquistare la Dacia, dispose l'annessione dell'Arabia Nabatea (nel 105-106), disponendo negli anni successivi la costruzione di un'importante via militare limitanea: la Via Traiana Nova (tra il 111 ed il 114), che collegava Aelana sul Mar Rosso con la fortezza legionaria di Bostra, distante 267 miglia romane. Il suo proseguimento naturale fu dalla fine del III secolo, la Strata Diocletiana, che congiungeva Bostra con il fiume Eufrate.
Vent'anni di guerre giudaiche (dal 115 al 135) portarono inevitabilmente ad insediare in tutta l'area giudea forti contingenti militari, per scongiurarne nuove ed eventuali. La seconda aveva costretto lo stesso Traiano, nel pieno della sua campagna militare contro i Parti a rivedere i piani di annessione delle nuove province d'oltre Eufrate, quali l'Armenia, l'Assiria e la Mesopotamia da parte del suo successore, Adriano. La terza, a riorganizzare l'intera area.
A partire dal 230 e per i trent'anni successivi, le armate sasanidi avanzarono nella Mesopotamia romana ponendo sotto assedio non solo le numerose guarnigioni romane lungo l'Eufrate, ma anche di conquistare la Mesopotamia romana ed invadendo la provincia romana di Siria, e la sua capitale Antiochia.
Al termine delle campagne sasanidi di Galerio del 293-298, fu costruita una nuova linea di fortificazioni: la strata Diocletiana. Si trattava di una via militaris, lungo il cosiddetto tratto di limes arabicus, e quindi comprendente forti, fortini e torri di avvistamento, e che rimase in uso fino al VI secolo.
La strada era munita di una lunga serie di fortificazioni, costruite tutte allo stesso modo: si trattava di castra rettangolari con mura molto spesse e con torri sporgenti verso l'esterno. Erano situate normalmente ad un giorno di marcia (ca. 20 miglia romane) le une dalle altre. Il percorso cominciava presso l'Eufrate a Sura, lungo il confine prospiciente il nemico sasanide, e continuava verso sud-ovest, passando prima per Palmira e poi per Damasco e congiungendosi, quindi, con la Via Traiana Nova. Vi era poi una diramazione che si spingeva ad est dell'Hauran, per Imtan, fino all'oasi di Qasr Azraq. Si trattava in sostanza di un sistema continuo di fortificazioni che dall'Eufrate collegava il Mar Rosso presso Aila.
Frontiera meridionale
Delle tre frontiere terrestri dell'Impero romano, la meridionale era la più lunga. Da Rabat in Marocco a Suez sul Mar Rosso in Egitto misurava in linea d'aria 4.000 km. Ma la frontiera romana passava ad un migliaio di km a sud de Il Cairo, ed il suo percorso da qui fino all'Oceano Atlantico non era per nulla rettilineo.
Limes occidentale africano
Il primo limes africano ad essere costituito fu quando nel 146 a.C., al termine della terza guerra punica con la distruzione di Cartagine, Scipione Emiliano costruì la cosiddetta fossa Regia a protezione dei confini meridionali della provincia d'Africa appena costituita.
Alla morte di Micipsa, figlio di Massinissa, una disputa per la successione oppose i suoi figli Aderbale e Iempsale al nipote e figlio adottivo Giugurta. Questa disputa sfociò nelle guerre giugurtine in cui Roma intervenne schierandosi contro Giugurta, riuscendo a catturare quest'ultimo nel 105 a.C. Solo le zone orientali e meridionali della Numidia vennero annesse alla provincia.
Nel corso della guerra civile tra Cesare e Pompeo, il dittatore romano sbarcò nel 47 a.C. e l'anno seguente (nel 46 a.C.), Numidi e pompeiani furono presi tra due fuochi e vennero sconfitti nella battaglia di Tapso. Il re Giuba si suicidò, così come Catone Uticense, capo del partito pompeiano. Cesare poté così riorganizzare i territori africani: il regno della Numidia occidentale fu annesso per metà al regno di Mauretania e per l'altra metà assegnato ad un certo Sittio; il regno di Numidia orientale divenne invece una nuova provincia romana: lAfrica Nova.
Numerosi popoli furono combattuti ed inglobati all'interno dell'Impero romano all'epoca di Ottaviano Augusto, in un periodo compreso tra il 35 a.C. ed il 6 d.C., come è bene evidenziato nei Fasti triumphales del periodo. Sotto il suo successore, Tiberio, tra il 17 e il 24, un certo Tacfarinas, che aveva militato per alcuni anni nelle truppe ausiliarie romane, riuscì a riunire intorno a sé una confederazione tribale, i Musulami, alla quale si unirono anche i Getuli stanziati a sud della Proconsolare e a ribellarsi al potere imperiale di Roma. I Romani ebbero la meglio sugli insorti solo dopo lunghi anni di guerra (nel 24).
L'imperatore Caligola, in seguito alla morte, del figlio di Giuba II, Tolomeo, nel 40 la Mauretania passò sotto il controllo diretto di Roma. Dopo aver domato una rivolta delle locali tribù berbere Claudio nel 42 istituì le due nuove province della Mauretania Caesariensis (con capitale Iol-Caesarea, oggi Cherchell) e della Mauretania Tingitana (con capitale prima, probabilmente Volubilis e quindi Tingis, oggi Tangeri). La difesa delle due nuove province fu assicurata dagli auxilia, nell'ordine di diverse migliaia. Quando le tribù dell'interno creavano situazioni militari difficoltose per le forze romane in campo, giungevano dalla vicina Numidia distaccamenti della legio III Augusta, detti vexillationes.
A partire da Traiano i confini dell'Africa proconsolare si spinsero verso sud ed occidente occupando sempre più quei territori che erano appartenuti ai re di Numidia, fino alle alture dei monti dell'Aurès. Furono così costituite due linee fortificate, una a nord ed una a sud delle montagne dell'Aurès, presidiate da numerosi forti e fortini (oltre alla fortezza legionaria di Lambaesis) integrata da un fossatum lungo l'intero fronte, con avamposti nel deserto stesso.
L'ultima avanzata di questo tratto di limes occidentale avvenne sia in Numidia (in direzione sud ed ovest, in combinazione con un'avanzata di quello della vicina Mauretania Caesariensis verso meridione) sia in Tripolitania. In entrambi i casi fu operato dall'imperatore africano, originario di Leptis Magna, Settimio Severo. Anche i suoi successori, durante il difficile periodo dell'anarchia militare e poi Diocleziano, aggiunsero ulteriori postazioni fortificate al sistema difensivo di questo tratto di limes africano, raggiungendo così nel III secolo la massima espansione romana verso sud.
Per quanto riguarda il limes Tripolitanus, fu l'ultimo tratto di limes africanus ad essere organizzato grazie ancora a Settimio Severo, colui che riuscì a portare l'Impero romano alla sua massima espansione in Africa settentrionale ed a rivolgere particolare attenzione al limes di questo settore.
Identica sorte toccò al tratto di limes della Mauretania, sempre sotto Settimio Severo, sotto il quale fu compiuta un'ulteriore avanzata verso sud nella Caesariensis con la costruzione di una nuova strada militare munita di forti, fortini e torri di avvistamento. Andava così creandosi una zona compresa tra le due strade (quella di Traiano ed Adriano; e quest'ultima di Settimio Severo), chiamata Nova Praetentura, in cui si realizzava una forma di difesa "in profondità", i cui territori costituivano una zona d'attesa per le popolazioni nomadi o semi-nomadi che si trovavano a sud di questa fascia. Si trattava di un sistema di difesa molto similare, nella sua funzionalità, a quello della Dacia Malvensis del limes Alutanus e Transalutanus.
Nel corso del III secolo l'intero fronte meridionale fu posto sotto la costante pressione delle popolazioni semi-nomadi africane, soprattutto a partire dalla sua metà. Il settore occidentale, sebbene protetto a sud dalla barriera naturale del deserto del Sahara, fu costretto a difendersi dalla crescente pressione delle genti berbere, per lo più indebolito dalle continue usurpazioni del periodo dell'anarchia militare.
Con l'avvento di Diocleziano al potere, l'impero subì una radicale trasformazione interna, soprattutto a livello militare. Diviso in quattro parti (tra due Augusti e due Cesari), fu a sua volta diviso in 12 diocesi, affidate ciascuna ad un pretore vicario o semplicemente vicario (vicarius), sottoposto ad uno dei quattro prefetti del pretorio. Il vicario controllava a sua volta tutti i governatori delle province (variamente denominati: proconsules, consulares, correctores, praesides). Le truppe stanziate nelle singole diocesi erano, infine, poste sotto il comando di un comes rei militaris, che dipendeva direttamente dal magister militum e aveva alle sue dipendenze i duces ai quali era affidato il comando militare nelle singole province. Con la fine del 297 l'augusto Massimiano, partito per la Mauretania, riuscì a debellare una tribù della zona, i Quinquegentiani, che erano penetrati anche in Numidia. L'anno successivo (298) rinforzò le difese della frontiera africana dalle Mauritanie alla provincia d'Africa.
A questa prima riorganizzazione furono apportate nuove modifiche con Costantino I ed i suoi successori fino a Teodosio I, quando avvenne la definitiva divisione dell'Impero romano in pars Occidentalis e pars Orientalis (nel 395) e come ci conferma la Notitia Dignitatum (del 400 circa). Questa struttura amministrativo-militare rimase pressoché invariata fino all'invasione delle truppe vandale del 429, quando le orde barbariche si riversarono in Mauritania e conquistarono per prima Caesarea (l'attuale Cherchel). Da qui occuparono la Tunisia e l'Africa proconsolare fino alla Tripolitania. Il dominio di questa stirpe germanica durò per tutto il V secolo fino a quando il generale bizantino, Belisario, nel 533 riconquistò il Nord Africa ai Vandali.
Limes orientale africano
La difesa della regione orientale africana, interessò principalmente la valle del fiume Nilo (esigua striscia di terra fertile, rispetto all'area circostante desertica, importante per l'approvvigionamento di grano per la città di Roma), le coste mediterranee che dall'Egitto conducevano a quelle della Cirenaica, alcuni punti d'approdo sul Mar Rosso (come ad es. Berenice), per il commercio con l'estremo Oriente (da cui si importavano spezie e prodotti di lusso) o l'Etiopia (con le sue bestie feroci per i giochi circensi a Roma e nelle province) ed infine l'area montuosa del deserto orientale, ricco di miniere d'oro, smeraldi, granito pregiato e porfido.
Nel 96 a.C. Tolomeo Apione appartenente alla dinastia tolemaica, fu l'ultimo sovrano ellenico della Cirenaica. Alla propria morte decise di lasciare il suo regno in eredità a Roma. I nuovi territori furono però organizzati in provincia solo nel 74 a.C. con l'arrivo del primo legato di rango pretorio (legatus pro praetore), affiancato da un questore (quaestor pro praetore). Si componeva di cinque città, tutte di origine greca, costituenti la cosiddetta Pentapoli cirenaica.
Dopo la battaglia di Filippi fu assegnata a Marco Antonio, il quale la assegnò nel 36 a.C. a Cleopatra Selene, la figlia avuta da Cleopatra e tale situazione si protrasse fino alla battaglia di Azio. Una volta ottenuto il successo determinante, Ottaviano, rimase il padrone incontrastato di Roma. Egli istituì la provincia d'Egitto nel 30 a.C. L'Egitto divenne così parte dell'Impero romano, in qualità di provincia imperiale. Pochi anni più tardi (nel 27 a.C.), nell'ambito della riforma dell'amministrazione provinciale, Ottaviano (ora Augusto) riunì Creta e Cirene, in un'unica provincia senatoria, governata da un proconsole di rango pretorio, con capitale Gortina, nell'isola di Creta.
A questi eventi seguirono numerose campagne militari di pacificazione del fronte africano orientale, attraverso le quali furono combattute ed inglobate numerose popolazioni all'interno dell'Impero romano, in un periodo compreso tra il 29 a.C. e l'1 d.C., come è ricordato anche nei Fasti triumphales del periodo.
I maggiori problemi incontrati nell'area, riguardarono i conflitti religiosi sorti tra Greci ed Ebrei, in particolar modo ad Alessandria, che in seguito alla distruzione di Gerusalemme nel 70 divenne il centro mondiale della religione e della cultura ebraica. Sotto Traiano vi fu una seconda rivolta ebraica, sfociata nella repressione degli Ebrei di Alessandria.
Al tempo dell'imperatore Domiziano (attorno all'85-86), il popolo tributario dei Nasamoni (che si trovava a sud della costa africana tra la Cirenaica e Leptis Magna) si ribellò, ma poco dopo fu letteralmente annientato, tanto che Domiziano, esaltato da ciò, poté dire davanti al Senato: "Ho impedito ai Nasamoni di esistere".
Vi fu poi una riduzione graduale delle legioni nell'area (da tre ad una sola), che però non deve trarre in inganno: alla diminuzione di forze legionarie corrispose un aumento di forze ausiliarie. Se infatti reali pericoli esterni non ve ne furono, la situazione interna vide al contrario il progressivo aumento di tensioni sociali, dal brigantaggio nella chora, sino ad aperte ribellioni, come nel caso della rivolta giudaica del 115-117 o della sommossa dei Bukoloi del 172, durante il principato di Marco Aurelio, a causa dell'eccessiva tassazione.
Sotto Diocleziano, nel 290 vengono menzionati per la prima volta i Saraceni, tribù araba, stanziata nella penisola del Sinai che aveva tentato di invadere la Siria. Con la fine del 297 l'augusto Massimiano, partito per la Mauretania, riuscì a debellare una tribù della zona, i Quinquegentiani, che erano penetrati anche in Numidia. L'anno successivo (298) rinforzò le difese della frontiera africana dalle Mauritanie alla provincia d'Africa. Nel 298 furono abbandonati i territori del Dodecascheno ed affidati ai Nobati, come federati contro i Blemmi.
Con l'avvento di Diocleziano al potere, anche il fronte orientale africano subì una radicale riorganizzazione. Questo fronte rimase unita e posta sotto il vicarius della Diocesi d'Oriente, che a sua volta dipendeva dall'Augusto d'Oriente e comprendeva cinque province: lAegyptus Herculia, lAegyptus Iovi, la Tebaide, la Libia superiore e la Libia inferiore.
A questa prima riorganizzazione furono apportate alcune modifiche da Costantino I e dai suoi successori fino a Teodosio I, quando avvenne la definitiva divisione dell'Impero romano in pars Occidentalis e pars Orientalis (nel 395) e come ci conferma la Notitia Dignitatum (del 400 circa). L'area rimase annessa all'impero bizantino fino alla conquista araba del VII secolo.
Note
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Voci correlate
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2674 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lawrence%20d%27Arabia%20%28film%29 | Lawrence d'Arabia (film) | Lawrence d'Arabia (Lawrence of Arabia) è un film colossal del 1962 diretto da David Lean, vincitore di sette Premi Oscar, tra cui quelli per il miglior film e la miglior regia.
Trama
In Gran Bretagna, nel 1935, un uomo esce di casa e a bordo di una motocicletta, percorre una strada della campagna inglese, procedendo a velocità sempre maggiore, con suo divertimento. All'improvviso si trova di fronte alcuni ciclisti che procedono in senso contrario; frena bruscamente per evitarli, ma la moto s'impenna su un dosso uscendo di strada e la caduta gli causa la morte. Una numerosa folla composta da importanti personalità militari, della politica e della stampa, unita alla gente comune, partecipa commossa ai suoi funerali che si tengono nella Cattedrale di Saint Paul, a Londra: l'uomo perito nell'incidente è Thomas Edward Lawrence e un giovane giornalista chiede ai presenti notizie su di lui. Tutti gli intervistati concordano sulla straordinarietà del personaggio, ma nessuno osa sbilanciarsi sulle sue qualità umane e sulla sua interiorità.
La storia prende a quel punto il via al Cairo, in Egitto, dove, durante la prima guerra mondiale, il tenente Lawrence ricopre l'incarico di cartografo e corrispondente nello Stato maggiore del generale Archibald Murray, in quel periodo a capo dell'Ufficio Arabo. Egli è molto interessato ai movimenti delle tribù arabe, tanto da riportare sulla rivista dell'Esercito il loro tentativo di attacco alla città di Medina, occupata dai turchi ottomani, che è passato quasi del tutto inosservato al comando britannico. È inoltre un uomo dotato di una grande preparazione umanistica, ottimo esperto di architettura dei palazzi omayyadi della badiya siro-palestinese e affascinato dalla cultura e dalla civiltà arabo-islamica, tanto da ritenere che le tribù, se accorpate, possano costituire un prezioso alleato nella guerra contro l'Impero ottomano.
L'occasione arriva nel momento in cui, su richiesta di Mr. Dryden, consulente politico e diplomatico dei britannici, Lawrence è convocato dal generale Murray, il quale, non senza reticenze e con un certo scetticismo, gli affida l'incarico di raggiungere il colonnello Harry Brighton, che in quel momento sta svolgendo l'incarico di consulente dell'Emiro arabo Fayṣal, per capire e valutare le sue intenzioni sul ruolo degli arabi nella guerra e nel quadro politico che potrebbe delinearsi in futuro. Dryden, al pari di Lawrence, ha ricevuto le stesse impressioni dal loro tentativo di attacco a Medina, e intende scoprire se, e in che modo, essi possano essere utilizzati contro i turchi, alleati degli Imperi centrali.
Lawrence, in sella a un dromedario, intraprende il viaggio nel deserto, accompagnato da un beduino che gli funge da guida, e insieme attraversano le terre delle varie tribù, che sembrano vivere ancora secondo la loro plurisecolare consuetudine. Durante la traversata stringono amicizia, ma durante la sosta presso un pozzo d'acqua il nomade viene ucciso dallo Sharīf ʿAlī ibn al-Kharīsh, in quanto aveva attinto acqua senza permesso dal pozzo di proprietà della sua tribù. Il duro scambio di opinioni che segue tra i due fa capire in modo vivido al tenente quanto vivi siano ancora le consuetudini e gli attriti tribali in Arabia e lo induce a proseguire da solo. Per sua fortuna l'accampamento di Faysal è però ormai vicino e, dopo avere incontrato il colonnello Brighton, che, avvertito, gli era andato incontro, è testimone di un attacco aereo turco.
La sera stessa ʿAlī raggiunge Lawrence, il colonnello britannico e l'Emiro Fayṣal nella tenda di questi e tutti espongono le loro valutazioni sulle possibilità degli arabi di condurre una guerra contro un esercito moderno: il colonnello insiste perché l'armata araba ripieghi a Yanbuʿ, al riparo dalle incursioni turche, mentre Lawrence suggerisce, suscitando i rimproveri di Brighton, la creazione di unità mobili che possano colpire velocemente nel deserto, utilizzando la tattica che i beduini da sempre conoscono, rendendo loro possibile la conquista di Damasco, antica capitale omayyade, argomento questo che è carico di suggestioni per un discendente del profeta Maometto qual era l'Emiro. Il principe rimane favorevolmente impressionato sia dalle parole del giovane ufficiale sia dal suo atteggiamento apertamente filo-arabo, nonché dalla sua conoscenza del Corano, ma prudentemente accoglie il consiglio del colonnello.
Dopo un breve ritiro solitario nel deserto, Lawrence ha un lampo di genio: bisogna prendere Aqaba, la celebre roccaforte marittima degli Ottomani, imprendibile dal mare a causa dei cannoni costieri da 305 mm montati a sua difesa, ma non facilmente riposizionabili; lo comunica ad ʿAlī, ma questi sa bene che per raggiungerla via terra l'unica strada è il deserto del Nefud e gli fa presente che l'impresa sarebbe in ogni caso impossibile con i soli 50 uomini che il principe è disposto a concedere al tenente. Questo tuttavia non scoraggia Lawrence, che è disponibile a rischiare contando sul fatto che, al di là del deserto, si estende il territorio degli Howeytat, una tribù che spesso ricorreva alla razzia per sopravvivere ma, allo stesso tempo, è composta da guerrieri di grande valore e coraggio, che certamente si uniranno a loro per la conquista della città.
L'attraversamento del Nefud, a fronte di enormi difficoltà, è un successo, e Lawrence, divenuto agli occhi di chi ha condiviso l'impresa con lui un mito, con il nome di El Orens o semplicemente Orens, trova in Awda Abu Tayi, indomabile guerriero e condottiero degli Howeytat, il proprio cavaliere ideale. Aqaba viene conquistata con un attacco a sorpresa da terra, ma la sera prima accade un fatto che segnerà profondamente Lawrence: un appartenente alla tribù degli Arif uccide un uomo appartenente agli Howeytat e, per evitare uno scontro ma soprattutto per evitare l'affossamento del piano per conquistare la città, egli si offre di giustiziare il colpevole scoprendo all'ultimo che l'uomo è il medesimo che lui aveva in precedenza salvato nel deserto durante la traversata, dopo aver ignorato il pessimistico parere di tutti di abbandonare il disperso alla sua inevitabile sorte.
Per portare la notizia della conquista di Aqaba a conoscenza del comando britannico al Cairo, Lawrence fa velocemente ritorno nella capitale egiziana, attraversando il deserto del Sinai, in modo da dare ai superiori il tempo di studiare una nuova strategia e di corrispondere ad Awda il premio che gli aveva promesso per la conquista di Aqaba. Durante il viaggio accade un altro fatto che lo segnerà: uno dei suoi due giovani servi che lo accompagnano perde la vita sprofondando nelle sabbie mobili. Quando, stremato e ormai senza forze, Lawrence arriva al Canale di Suez, raggiunge il Quartier Generale britannico e viene ricevuto dal nuovo comandante dell'Ufficio arabo, il generale Allenby, che si mostra entusiasta per la sua impresa, lo promuove al grado di maggiore ed acconsente a fornirgli tutto l'equipaggiamento necessario per formare un'armata araba che affiancherà le forze regolari di Sua Maestà britannica nella guerra per la conquista dell'Arabia. A sua insaputa però il generale è al corrente, informato da Dryden, che il governo di Londra ha già deciso che l'Arabia diverrà un protettorato britannico appena i turchi saranno scacciati.
Tornato tra gli arabi, Lawrence è ormai una figura altamente carismatica e alla loro guida intraprende la lotta con i metodi che aveva in precedenza suggerito all'Emiro, dimostrandosi particolarmente efficiente ed efficace nel colpire la ferrovia turca, costruita a suo tempo dalla Germania, che collega Medina a Damasco, fondamentale per il trasporto nelle zone desertiche. Lawrence è sempre più conquistato dallo spirito di indipendenza arabo e dal fascino di quella terra. Le tribù arabe sono unite saldamente a lui nel nome dell'Emiro Faysal e combattono sempre più tenacemente per la propria indipendenza, tanto che le sue gesta attirano l'attenzione della stampa mondiale, affascinata dall'idea di un eroe romantico alla guida di un popolo che sta insorgendo. È infatti da quel momento che Lawrence sarà seguito dal reporter del Chicago Tribune Jackson Bentley, il quale è in cerca di un personaggio suggestivo capace di convincere gli Stati Uniti d'America, fino a quel momento tendenti ad una politica di non-intervento, a scendere in guerra.
Le azioni proseguono con successo, ma l'armata lentamente inizia a dissolversi poiché le tribù, terminata la loro "stagione" di caccia, rientrano una dopo l'altra ai loro campi invernali e Lawrence, rimasto con una ventina di uomini, punta verso Dar'a, anche se i pochi rimasti sono logicamente scettici sulla possibilità di conquistarla. Egli, solo in compagnia di ʿAlī, vi si reca con l'intenzione di suscitare una rivolta tra gli abitanti, ma viene fermato da una pattuglia di soldati turchi e condotto al comando locale. Non viene riconosciuto ma, tentando di ribellarsi alle lusinghe sessuali del comandante, viene dapprima frustato e successivamente subisce comunque la violenza, pur non esplicitata nella pellicola. Rilasciato durante la notte Lawrence è ora un uomo distrutto e umiliato e abbandona ʿAlī e i suoi seguaci per fare ritorno al Cairo, coltivando la speranza di ricevere un altro incarico che non lo ponga più all'attenzione dei suoi superiori e dell'opinione pubblica.
Rientrato in Egitto, apprende che il governo britannico e quello francese, tramite i ministri Sykes e Picot, hanno stipulato un accordo per spartirsi l'impero turco alla sua caduta e l'Arabia è compresa in quell'accordo. Sdegnato dalle rivelazioni di Dryden, e ancora sconvolto per quanto gli è successo durante la breve prigionia, richiede l'assegnazione ad altro incarico, chiedendo addirittura il trasferimento, ma il generale Allenby, dopo averlo persuaso ad aprirsi su quanto gli è accaduto, lo convince a rimanere in zona di operazioni in quanto è prevista a breve l'offensiva contro Damasco e un'armata araba che tenga impegnati i turchi è assolutamente preziosa per la riuscita del piano, tanto che egli è disponibile a fornire a Lawrence qualsiasi somma di denaro occorra per riunire tutte le tribù per realizzare l'impresa.
Lawrence, tornato tra gli arabi, riesce nel tentativo di radunarli, promettendo loro Damasco, ma il suo atteggiamento è ora differente: crea una sua guardia del corpo, composta da fuorilegge e assassini, suscitando le perplessità di ʿAlī e degli altri capi. La sua offensiva è tanto brutale quanto veloce, tanto da suscitare la preoccupazione nel comando britannico che l'armata araba possa arrivare a Damasco prima dell'esercito. Allenby, conscio del nuovo modo di combattere di Lawrence, per cercare di rallentarlo gli fornisce informazioni su una brigata turca in ritirata e infatti, nonostante le suppliche di ʿAlī per proseguire verso Damasco, Lawrence attaccherà le truppe turche non facendo prigionieri; tuttavia, nonostante il ritardo, riuscirà comunque ad arrivare a Damasco per primo.
Allenby e Dryden raggiungono dopo pochi giorni la città, dove nel frattempo Lawrence, insieme ai capi tribù, ha costituito un Consiglio arabo che governi in nome di Faysal, in attesa della sua incoronazione quale primo re arabo; la politica tuttavia è purtroppo ancora sconosciuta ai seppur valorosi beduini e gli antichi odi tribali, mai sopiti, hanno la meglio tanto che, impossibilitati a gestire una città in preda al caos dopo la fine della battaglia, la abbandonano, gettando Lawrence nello sconforto. Sconforto che diventa crisi nel momento in cui si reca in un ospedale militare, dove si trovano migliaia di soldati turchi feriti, senza acqua e senza assistenza, e dove viene anche schiaffeggiato da un ufficiale medico britannico che non lo ha riconosciuto.
Il colpo di grazia avviene nella riunione tra Allenby, Dryden e l'Emiro Faysal, nel frattempo sopraggiunto. L'azione di Lawrence, promosso al grado di tenente-colonnello, viene sacrificata alla politica ed egli stesso viene abbandonato anche dall'Emiro, che ne sospetta una doppiezza nei suoi confronti e un pedissequo allineamento ai non più tanto segreti intenti del Regno Unito. Faysal sembra ritenerlo un personaggio ormai scomodo per le trattative che seguiranno, suscitando una silenziosa ma ferma reazione da parte del colonnello Brighton, che ne ha seguito e stimato le gesta e che non condivide l'atteggiamento ipocritamente accondiscendente dei militari e dei politici. Abbandonata frettolosamente la riunione, corre cercando di raggiungere Lawrence, ma egli si è già allontanato e, accompagnato da un autista, percorre in auto a ritroso la strada che lo aveva visto dirigersi verso la vittoria a dorso di cammello e con sguardo assente osserva per l'ultima volta il deserto.
Musica
La colonna sonora di Maurice Jarre è eseguita dalla London Philharmonic Orchestra ed è stata premiata con il Premio Oscar.
Cast e personaggi
Thomas Edward Lawrence: interpretato dall'allora poco conosciuto (per il cinema, ma non per il teatro) Peter O'Toole; personaggio enigmatico e dotato di grande carisma presso la popolazione araba; vedrà frustrato il suo sogno dell'Arabia agli arabi.
Principe Faysal: interpretato da Alec Guinness; personaggio dotato di grande lungimiranza politica e di una sapiente e moderna visione dei media che saprà utilizzare al fine dell'ottenimento dei suoi scopi.
Sceriffo ʿAlī: interpretato da Omar Sharif; nobile profondamente legato alla sua terra ed alle sue tradizioni, ma desideroso di conoscere il "mondo moderno"; seguirà Lawrence in tutta la sua epopea diventandone profondamente amico e condividendone il successo militare e la frustrazione politica.
Awda Abu Tayy: interpretato da Anthony Quinn; guerriero beduino di grande valore, seguirà Lawrence nella conquista dell'Arabia, ma si rifiuterà di "imparare" la politica preferendo, dopo la conquista di Damasco, tornare alla sua tribù per continuare a vivere come aveva sempre fatto fino ad allora.
Generale Allenby: interpretato da Jack Hawkins; pragmatico militare dotato di grande intelligenza strategica, capace di trovare una sintesi tra l'illusione del mondo arabo ed il progetto politico che vedrà la luce dopo la conquista di Damasco.
Colonnello Brighton: interpretato da Anthony Quayle; militare ligio al dovere, eseguirà fedelmente tutti gli ordini provenienti dal suo Stato Maggiore, ma non rimarrà indifferente al trattamento ed alla ingratitudine subiti da Lawrence.
Mr. Dryden: interpretato da Claude Rains; politico e diplomatico che svolge la sua missione utilizzando e muovendo le persone in un disegno prestabilito che lui e pochi altri conoscono e che si rivelerà solo alla fine delle ostilità.
Jackson Bentley: interpretato da Arthur Kennedy; giornalista americano, ambizioso ma allo stesso tempo ingenuo; farà conoscere al mondo le gesta di Lawrence, creandone il grande personaggio ma non condividendone, non riuscendo a comprenderli, la crudeltà e l'istrionismo di cui è testimone.
Degna di nota è la mancanza totale nel cast di personaggi femminili per tutta la durata del film, a parte una scena nella tenda di Awda Abu Tayy il cui si intravede una ragazza, e la scena di massa in cui si vede da lontano un gran numero di donne sulle colline accompagnare con cori la partenza dei guerrieri arabi uniti verso la conquista di Aqaba.
Restauro della pellicola originale
Nel 1989 Steven Spielberg e Martin Scorsese collaborarono con il regista David Lean al restauro cromatico della pellicola, con il tempo virata ad una vistosissima dominante gialla, ed al ripristino dei minuti mancanti, con l'integrazione di parti originariamente tagliate per motivi di durata.
Riconoscimenti
1963 - Premio Oscar
Miglior film a Sam Spiegel
Migliore regia a David Lean
Migliore fotografia a Freddie Young
Migliore scenografia a John Box, John Stoll e Dario Simoni
Miglior montaggio a Anne V. Coates
Miglior sonoro a John Cox
Miglior colonna sonora a Maurice Jarre
Candidatura Miglior attore protagonista a Peter O'Toole
Candidatura Miglior attore non protagonista a Omar Sharif
Candidatura Migliore sceneggiatura non originale a Robert Bolt e Michael Wilson
1963 - Golden Globe
Miglior film drammatico
Migliore regia a David Lean
Miglior attore non protagonista a Omar Sharif
Miglior attore debuttante a Peter O'Toole e Omar Sharif
Migliore fotografia a Freddie Young
Candidatura Miglior attore in un film drammatico a Peter O'Toole
Candidatura Miglior attore in un film drammatico a Anthony Quinn
Candidatura Miglior colonna sonora a Maurice Jarre
1963 - Premio BAFTA
Miglior film
Miglior film britannico
Miglior attore britannico a Peter O'Toole
Migliore sceneggiatura britannica a Robert Bolt
Candidatura Miglior attore straniero a Anthony Quinn
1962 - National Board of Review Award
Migliori dieci film
Migliore regia a David Lean
1964 - David di Donatello
Miglior film straniero a Sam Spiegel
Miglior attore straniero a Peter O'Toole
1964 - Nastro d'argento
Regista del miglior film straniero a David Lean
1963 - American Cinema Editors
Candidatura Miglior montaggio a Anne V. Coates
1962 - British Society of Cinematographers
Migliore fotografia a Freddie Young
1963 - Directors Guild of America
Migliore regia a David Lean e Roy Stevens (Assistente Regista)
1964 - Grammy Award
Candidatura Miglior colonna sonora a Maurice Jarre
1964 - Kinema Junpo Awards
Miglior film straniero a David Lean
1963 - Laurel Award
Top Road Show
Candidatura Miglior performance maschile a Peter O'Toole
Candidatura Miglior attore non protagonista a Omar Sharif
Candidatura Miglior tema della colonna sonora a Maurice Jarre
1963 - Writers' Guild of Great Britain
Migliore sceneggiatura a Robert Bolt e Michael Wilson
Nel 1962 il National Board of Review of Motion Pictures l'ha inserito nella lista dei migliori dieci film dell'anno e ha premiato David Lean come miglior regista.
Nel 1991 è stato scelto per la conservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti.
Nel 1998 l'American Film Institute l'ha inserito al quinto posto della classifica dei migliori cento film statunitensi di tutti i tempi, mentre dieci anni dopo, nella lista aggiornata, è sceso al settimo posto.
Nel 1999 il British Film Institute l'ha inserito al terzo posto della lista dei migliori cento film britannici del XX secolo.
Note
Bibliografia
AA.VV., La prima guerra mondiale, 1997, Giunti
Ilaria Nannini, in Istituto Niels Stensen - Istituto Culturale, Firenze
Paolo Mereghetti, Dizionario dei film 2008, Lawrence d'Arabia, 2008, Baldini e Castoldi
Voci correlate
Thomas Edward Lawrence
Faysal I re d'Iraq
Teatro mediorientale della prima guerra mondiale
Altri progetti
Collegamenti esterni
Film biografici sui militari
Film drammatici
Film d'avventura
Film ambientati nell'impero ottomano
Premi Oscar al miglior film
Golden Globe per il miglior film drammatico
Premi BAFTA al miglior film
Film sulla prima guerra mondiale
David di Donatello per il miglior film straniero
Film conservati nel National Film Registry
Film basati su eventi reali
Film diretti da David Lean
Film girati in Giordania
Film girati in Marocco
Film girati in Spagna
Film girati a Londra |
2676 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua%20svedese | Lingua svedese | La lingua svedese () è una lingua germanica settentrionale parlata prevalentemente in Svezia (come unica lingua ufficiale, dal 1º luglio 2009) e in alcune zone della Finlandia (circa il 6% della popolazione soprattutto lungo le coste e nelle isole Åland), dove ha pari diritti legali insieme al finlandese. In gran parte è mutuamente intelligibile con il norvegese, mentre minore è l'intelligibilità reciproca con il danese. Discendente del norreno, lo svedese è attualmente la più parlata delle lingue germaniche settentrionali.
Al 2022, è parlata da 13,1 milioni di parlanti totali.
Lo svedese standard, parlato dalla maggior parte degli svedesi, è la lingua nazionale evolutasi a partire dai dialetti svedesi centrali nel XIX secolo. Malgrado esistano ancora distinte varietà regionali discendenti dai vecchi dialetti rurali, la lingua parlata e scritta è uniforme e standardizzata.
Alcuni di questi dialetti differiscono considerevolmente dalla lingua standard nella grammatica e nel vocabolario, e non sempre sono mutuamente intelligibili con lo svedese standard. Sebbene non siano in pericolo di un'imminente estinzione, simili dialetti sono stati in declino durante il secolo scorso, nonostante siano ben studiati e il loro uso sia spesso incoraggiato dalle autorità locali.
L'ordine standard delle parole nella frase è Soggetto Verbo Oggetto, sebbene possa essere spesso modificato per sottolineare alcune parole o frasi. La morfologia svedese è simile a quella inglese; le parole subiscono una minima flessione, ci sono due generi grammaticali, c'è distinzione tra singolare e plurale e non ci sono casi (sebbene vecchie analisi postulino due casi, nominativo e genitivo). Gli aggettivi conoscono una costruzione dei gradi di comparazione analoga a quella dell'inglese ma sono anche flessi secondo genere, numero e determinazione. La determinazione dei sostantivi è indicata principalmente attraverso suffissi (uscite), alle quali si affiancano anche alcune forme vere e proprie di articolo. La prosodia evidenzia la presenza sia dell'accento, sia, in molti dialetti, di qualità tonali. Lo svedese è foneticamente interessante anche per la presenza di una fricativa dorsopalatale velare sorda, un fonema consonantico altamente instabile.
Classificazione
Lo svedese è una lingua indoeuropea appartenente al ramo settentrionale delle lingue germaniche. Più precisamente, nella classificazione standard appartiene al gruppo scandinavo orientale come il danese, di fatto separato dal gruppo occidentale (Faroese, islandese e norvegese). Comunque, analisi più recenti dividono le lingue del germanico settentrionale in due gruppi: scandinavo insulare, faroese e islandese, e scandinavo continentale, danese, norvegese e svedese, basandosi sulla reciproca intelligibilità dovuta a pesanti influenze dello scandinavo orientale (in particolare del danese) sul norvegese durante l'ultimo millennio e sulla divergenza dal faroese e dall'islandese.
Grazie ai criteri generali di reciproca intelligibilità, le lingue dello scandinavo continentale potrebbero essere di fatto considerate dialetti di una comune lingua scandinava. Comunque, a causa di parecchi secoli di rivalità a volte intensa tra Danimarca e Svezia, inclusa una lunga serie di guerre nel XVI e XVII secolo e delle idee nazionaliste che emersero durante la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, le lingue hanno ortografie, dizionari, grammatiche ed entità regolatrici separati. Danese, norvegese e svedese sono perciò da una prospettiva linguistica descritte più accuratamente come un continuum dialettale dello scandinavo di ascendenza germanica settentrionale e alcuni dialetti, come quelli al confine tra Norvegia e Svezia – specialmente quelli del Bohuslän, Dalsland, Värmland occidentale, Dalarna occidentale, Härjedalen e Jämtland – occupano uno spazio intermedio tra le lingue standard nazionali.
Storia
Nel IX secolo il norreno cominciò a differenziarsi in scandinavo occidentale (Norvegia e Islanda) e scandinavo orientale (Svezia e Danimarca). Nel XII secolo i dialetti di Danimarca e Svezia cominciarono a differenziarsi, diventando antico danese e antico svedese nel XIII secolo. Questi furono pesantemente influenzati dal basso tedesco medio durante il Medioevo. Sebbene gli stadi dello sviluppo linguistico non siano mai delimitati così nettamente come riportato e non dovrebbero essere presi troppo alla lettera, il sistema di suddivisioni usato in questo articolo è il più usato comunemente dai linguisti svedesi ed è usato per praticità.
Norreno
Nell'VIII secolo la lingua germanica comune della Scandinavia, il proto-norreno, aveva subito alcune trasformazioni ed evolse in norreno. Questa lingua cominciò a subire nuove trasformazioni che non si diffusero in tutta la Scandinavia, il risultato di ciò fu la comparsa di due dialetti simili, norreno occidentale (Norvegia e Islanda) e norreno orientale (Danimarca e Svezia).
Il subdialetto del norreno orientale parlato in Svezia è chiamato svedese runico e quello parlato in Danimarca danese runico (c'era anche un subdialetto parlato in Gotland, il gutnico antico), ma fino al XII secolo il dialetto era lo stesso nei due Paesi con l'eccezione principale della monottongazione del danese runico (vedi sotto). I dialetti sono chiamati runici perché il corpo principale del testo appare in alfabeto runico. Diversamente dal proto-norreno, che era scritto con l'alfabeto chiamato fuþark antico, il norreno era scritto con il fuþark recente che aveva solo 16 lettere. Visto che il numero di rune era limitato, alcune rune erano usate per una serie di fonemi, come la runa per la vocale u che era anche usata per le vocali o, ø e y, e la runa per i che era usata anche per e.
Dal 1100 in poi il dialetto di Danimarca cominciò a differenziarsi da quello della Svezia. Le innovazioni si diffusero inegualmente dalla Danimarca e crearono una serie di confini dialettali minori, isoglosse, che si estendevano dalla Selandia al Norrland verso sud, e a Ostrobotnia e alla Finlandia sudorientale verso nord.
Un primo cambiamento che separò il danese runico dagli altri dialetti del norreno orientale fu il passaggio dal dittongo æi al monottongo é, come in stæinn che divenne sténn "pietra". Ciò si riflette nelle iscrizioni runiche dove le più antiche mostrano stain e le successive stin. Ci fu anche il passaggio da au come in dauðr a una ø lunga e aperta di døðr "morto". Questo mutamento si nota nelle iscrizioni runiche perché a un più antico tauþr subentra un nuovo tuþr. Inoltre il dittongo øy evolse in una ø lunga e chiusa, come nella parola per "isola" del norreno. Queste innovazioni avevano toccato anche una gran parte dell'area che parlava svedese runico alla fine di quel periodo, con l'eccezione dei dialetti parlati a nord ed est di Mälardalen dove i dittonghi esistono ancora oggi in aree piuttosto remote.
Svedese antico
Svedese antico è il termine usato per indicare la lingua svedese medioevale a partire dal 1225. Tra i più importanti documenti del periodo scritti in alfabeto latino si trova il più antico dei codici di leggi provinciali, il codice di Västgöta o Västgötalagen, del quale si sono ritrovati frammenti datati 1250. Le principali influenze durante questo periodo furono portate dalla risoluta affermazione della Chiesa cattolica e di vari ordini monastici, che introdussero molti prestiti greci e latini. Con l'ascesa del potere anseatico tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo, l'influenza del basso-tedesco divenne sempre più presente. La lega anseatica, favorendo il commercio, fece sì che un gran numero di parlanti tedesco e olandese immigrassero in Svezia. Molti di essi divennero membri abbastanza influenti della società svedese medioevale e il vocabolario svedese finì con l'aggiungere alcuni termini della loro madre lingua. Accanto a un gran numero di prestiti per aree come quella bellica, commerciale e amministrativa, furono importati suffissi grammaticali generali e anche congiunzioni. Anche quasi tutti i termini navali furono prestati dall'olandese.
Il primo svedese medioevale era marcatamente diverso dalla lingua moderna, in quanto presentava una struttura più complessa per quanto riguarda i casi e non aveva ancora sperimentato una riduzione del sistema dei generi. I sostantivi, gli aggettivi, i pronomi e alcuni numerali erano declinati secondo quattro casi; accanto al moderno nominativo c'erano anche il genitivo, il dativo e l'accusativo. Il sistema dei generi era simile a quello del tedesco moderno: aveva i generi maschile, femminile e neutro. Gran parte dei sostantivi maschili e femminili furono più tardi raggruppati in un genere comune. Il sistema verbale era anch'esso più complesso: includeva i modi congiuntivo e imperativo e i verbi erano coniugati secondo persona e numero. Dal XVI secolo i sistemi di caso e genere della lingua colloquiale e della letteratura profana si ridussero drasticamente ai due casi e due generi dello svedese moderno. Le antiche declinazioni rimasero comuni nello stile aulico della prosa fino al XVIII secolo e in alcuni dialetti fino agli inizi del XX.
Un cambiamento di transizione dell'alfabeto latino nelle terre nordiche fu quello di indicare la combinazione di lettere "ae" come æ – e a volte come a' – sebbene esso variasse a seconda delle persone e delle regioni. La combinazione "ao" fu similarmente resa ao e "oe" divenne oe. Queste tre evolsero più tardi nelle lettere indipendenti ä, å e ö.
Svedese moderno
Lo svedese moderno (svedese: nysvenska) nasce con l'avvento della stampa e della Riforma protestante. Dopo avere assunto il potere il nuovo monarca Gustav Vasa ordinò una traduzione svedese della Bibbia. Il Nuovo Testamento fu pubblicato nel 1526, seguito da una traduzione completa della Bibbia nel 1541 che di solito è chiamata Bibbia di Gustav Vasa, una traduzione ritenuta così riuscita e autorevole che, con le revisioni incorporate nelle successive edizioni, rimase la più comune traduzione della Bibbia fino al 1917. I traduttori principali furono Laurentius Andreae e i fratelli Laurentius e Olaus Petri.
La Bibbia di Vasa è spesso considerata un compromesso ragionevole tra antico e nuovo; se da un lato non è aderente al linguaggio colloquiale parlato a quei tempi, non presenta un eccessivo uso di forme arcaiche. Quest'opera fu un passo in più verso un'ortografia svedese più coerente: definì l'uso delle vocali "å", "ä" e "ö", e la forma "ck" invece di "kk", distinguendosi chiaramente dalla Bibbia danese, forse intenzionalmente, data la continua rivalità tra queste nazioni. Tutti e tre i traduttori venivano dalla Svezia centrale e ciò è generalmente visto come l'aggiunta di specifiche caratteristiche dello svedese centrale alla nuova Bibbia.
Sebbene possa sembrare che la traduzione della Bibbia avesse fissato un autorevole standard ortografico, l'ortografia divenne in realtà meno coerente durante il resto del secolo. Di ortografia si cominciò a discutere solo verso il XVII secolo, periodo in cui furono scritte le prime grammatiche. Il dibattito sull'ortografia infuriò senza sosta fino agli inizi del XIX secolo e gli standard generalmente riconosciuti furono raggiunti solo nell'ultima metà dello stesso secolo.
L'uso del maiuscolo non fu standardizzato durante questo periodo: dipese dagli autori e dal loro ambiente. Quelli influenzati dal tedesco scrivevano con il maiuscolo tutti i sostantivi, altri usavano le maiuscole più di rado. Inoltre non sempre è facile notare quali lettere siano in maiuscolo, dato che per stampare la Bibbia si usò la scrittura gotica. Questo carattere rimase in uso fino alla metà del XVIII secolo, quando fu gradualmente sostituito dai caratteri latini (spesso antiqua).
Alcuni cambiamenti fonetici importanti nel periodo dello svedese moderno furono la graduale assimilazione di diverse combinazioni consonantiche nella fricativa e più tardi in . Si verificò anche il graduale ammorbidimento di e in e nella fricativa davanti a una vocale anteriore. La fricativa velare sonora si trasformò nella corrispondente occlusiva velare sonora .
Svedese contemporaneo
Lo svedese parlato attualmente viene definito nusvenska (lett. "svedese di adesso") dalla terminologia linguistica e comincia a essere usato negli ultimi decenni del XIX secolo. Il periodo vide una democratizzazione della lingua con una lingua scritta meno formale che si avvicinò al parlato. La crescita di un sistema scolastico pubblico ha portato all'evoluzione del cosiddetto boksvenska (letteralmente "svedese dei libri"), specialmente tra le classi lavorative, dove l'ortografia per certi versi influenza la pronuncia, particolarmente in contesti ufficiali. Con l'industrializzazione e l'urbanizzazione della Svezia abbastanza avanzate negli ultimi decenni del XIX secolo, una nuova generazione di autori ha lasciato la propria impronta nella letteratura svedese. Molti studenti, politici e altre figure pubbliche hanno avuto una grande influenza sulla nuova lingua nazionale emergente e tra di loro ci sono stati autori prolifici come il poeta Gustaf Fröding, la vincitrice del premio Nobel Selma Lagerlöf e lo scrittore e drammaturgo radicale August Strindberg.
È stato durante il XX secolo che una lingua nazionale standardizzata si è diffusa tra tutti gli svedesi. L'ortografia è stata stabilizzata definitivamente ed è stata uniformata completamente, con alcune piccole eccezioni, dopo l'ultima e lontana riforma ortografica del 1906. Con l'eccezione delle forme plurali dei verbi e di una sintassi leggermente diversa, in particolare nello scritto, la lingua è rimasta la stessa fino a oggi. Le forme verbali plurali sono rimaste, in un uso sempre più rado, nella lingua formale (e particolarmente nello scritto) fino agli anni cinquanta, quando furono ufficialmente abolite.
Un cambiamento davvero significativo in svedese è avvenuto negli anni sessanta con la cosiddetta du-reformen, "la riforma del tu". Precedentemente il modo corretto di rivolgersi a persone dello stesso o di un più alto status sociale era quello di usare il titolo e il cognome. L'uso di herr ("Sig."), fru ("Sig.ra") o fröken ("Sig.ina") era considerato il solo modo accettabile in conversazioni iniziali con estranei di professione sconosciuta, con chi aveva un titolo accademico o un grado militare. Il fatto che ci si dovesse riferire all'interlocutore preferibilmente usando la terza persona complicava ulteriormente la comunicazione parlata tra i membri della società. Agli inizi del XX secolo ci fu un tentativo infruttuoso di sostituire l'insistenza sui titoli con ni (il pronome standard della seconda persona plurale), analogo al francese vous. Ni veniva usato come forma leggermente meno familiare di du (pronome della seconda persona singolare) usato per rivolgersi a persona di status sociale inferiore. Con la liberalizzazione e radicalizzazione della società svedese degli anni cinquanta e sessanta, queste distinzioni di classe prima significative divennero meno importanti e du divenne lo standard, anche in contesti formali e ufficiali. Sebbene la riforma non fosse un atto di alcun decreto politico centralizzato, ma piuttosto un generico cambiamento nell'atteggiamento della società, divenne generale in pochi anni tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta.
Prime minoranze linguistiche
Dal XIII al XX secolo ci furono comunità di parlanti svedese in Estonia, particolarmente sulle isole (per esempio: Hiiumaa, Vormsi, Ruhnu in svedese: Dagö, Ormsö, Runö, rispettivamente) lungo la costa del Mar Baltico, che oggi sono scomparse completamente. La minoranza che parlava svedese era rappresentata in Parlamento e aveva diritto di usare la propria lingua nativa nei dibattiti parlamentari. Dopo la presa dell'Estonia da parte dell'impero russo agli inizi del XVIII secolo, circa mille estoni che parlavano svedese furono forzatamente spinti in Ucraina del sud, dove fondarono un villaggio, Gammalsvenskby ("il Vecchio Villaggio Svedese"). Alcune persone anziane nel villaggio parlano ancora svedese e osservano le festività del calendario svedese, sebbene il dialetto probabilmente sia votato all'estinzione.
Dal 1918 al 1940, quando l'Estonia era indipendente, la piccola comunità svedese fu trattata bene. Le municipalità con una maggioranza svedese, principalmente localizzate lungo la costa, usarono lo svedese come lingua amministrativa e la cultura estone-svedese vide una ripresa. Comunque, moltissime persone che parlavano svedese fuggirono in Svezia prima della fine della seconda guerra mondiale, cioè, prima dell'invasione dell'Estonia da parte dell'esercito sovietico nel 1944. Oggi resta ne solo una manciata di parlanti anziani.
Distribuzione geografica
Lo svedese è la lingua nazionale della Svezia e la prima lingua della stragrande maggioranza dei circa otto milioni di abitanti svedesi di nascita ed è usato da un milione di immigrati. Nel 2007 circa il 5,5% della popolazione della Finlandia parlava svedese, sebbene la percentuale sia diminuita costantemente negli ultimi 400 anni. La minoranza svedese della Finlandia è concentrata nelle aree costiere e negli arcipelaghi della Finlandia meridionale e occidentale. In alcune di queste aree lo svedese è la lingua predominante. In 19 municipalità, 16 delle quali si trovano nello Åland, lo svedese è la sola lingua ufficiale. In molte altre è la lingua della maggioranza ed è una lingua ufficiale della minoranza in altre ancora.
Ci sono considerevoli flussi migratori tra gli Stati del Nord, ma a causa delle somiglianze tra le loro lingue e culture (con l'eccezione del finlandese), gli emigrati generalmente si assimilano velocemente e non restano come gruppo separato. Secondo il censimento degli Stati Uniti del 2000 circa persone oltre i cinque anni sono registrate come parlanti svedese, sebbene senza alcuna informazione sulla reale competenza nel parlarlo. Allo stesso modo, ci sono parlanti svedese registrati in Canada dal censimento del 2001. Fuori dalla Svezia e dalla Finlandia ci sono circa studiosi attivi iscritti a corsi di svedese.
Status ufficiale
Lo svedese è lingua ufficiale in Svezia e Finlandia. In Svezia è la lingua principale ed è usata nel governo locale e statale oltre che nella maggior parte del sistema educativo, tuttavia il riconoscimento legale come lingua ufficiale avvenne solo il 1º luglio 2009. Un progetto di legge per rendere lo svedese lingua ufficiale era già stato proposto nel 2005, ma non passò per pochissimi voti (145–147) e ciò fu dovuto al fallimento di un'alleanza parlamentare.
Lo svedese è la sola lingua ufficiale di Åland (una provincia autonoma sotto la sovranità della Finlandia) dove la stragrande maggioranza dei abitanti parla svedese come prima lingua. In Finlandia è una delle due lingue ufficiali ma è utilizzata in maniera maggioritaria solo in alcune municipalità rurali e costiere. Tre municipalità (Korsnäs, Närpes e Larsmo) nell'entroterra finlandese riconoscono lo svedese come loro unica lingua ufficiale. Lo svedese è anche una delle lingue ufficiali dell'Unione europea e una delle lingue del Consiglio nordico. Grazie alla Convenzione linguistica dei Paesi nordici, i cittadini di tali paesi che parlano svedese hanno l'opportunità di usare la loro lingua nativa quando interagiscono con organismi ufficiali in altre nazioni del Nord senza dovere sottostare ad alcun costo di interpretazione o traduzione.
Organismi regolatori
Il Concilio della lingua svedese (Språkrådet) è il regolatore ufficiale della lingua svedese, , come per esempio fa l'Académie française per il francese. Comunque, molte organizzazioni e agenzie si rifanno alla pubblicazione del consiglio Svenska skrivregler in contesti ufficiali, dato che esso viene visto come uno standard ortografico de facto. Tra le varie organizzazioni che formano il Consiglio della lingua svedese, l'Accademia svedese (fondata nel 1786) è probabilmente la più autorevole. I suoi strumenti primari sono i dizionari Svenska Akademiens Ordlista (SAOL, attualmente alla sua tredicesima edizione) e Svenska Akademiens Ordbok, in aggiunta a vari libri di grammatica, ortografia e manuali di stile. Anche se i dizionari sono usati a volte come decreti ufficiali della lingua, il loro scopo principale è descriverne l'uso corrente.
In Finlandia un ramo specifico dell'Istituto di ricerca per le lingue della Finlandia ha lo status officiale di organismo regolatore dello svedese in Finlandia. Tra le sue più alte priorità c'è quella di mantenere l'intelligibilità con la lingua parlata in Svezia. Ha pubblicato il Finlandssvensk ordbok, un dizionario che spiega le differenze tra lo svedese di Finlandia e quello di Svezia.
Dialetti
La definizione tradizionale di un dialetto svedese è quella di una variante locale che non è stata influenzata pesantemente dalla lingua standard e della quale si può tracciare uno sviluppo separato fino ad arrivare all'antico nordico. Molti dialetti rurali autentici, come quelli di Orsa in Dalarna o Närpes in Ostrobotnia, hanno una fonetica e delle caratteristiche grammaticali molto diverse, come forme plurali nei verbi o arcaiche declinazioni. Questi dialetti possono essere quasi incomprensibili alla maggioranza degli svedesi e gran parte di coloro che li parlano sono fluenti anche in svedese standard. I diversi dialetti sono spesso così localizzati che sono limitati alle singole parrocchie e sono chiamati dai linguisti svedesi sockenmål (lett. "linguaggio delle parrocchie"). In genere sono separati in sei gruppi maggiori, con caratteristiche comuni di prosodia, grammatica e vocabolario. Più in là si potranno trovare alcuni esempi di ognuno dei gruppi qui citati. Sebbene ogni esempio sia inteso come rappresentativo dei dialetti vicini, il numero reale di dialetti è di qualche centinaio se si considera separatamente ogni singola comunità.
Questa classificazione, comunque, si basa su una visione etnica e linguistica nazionalista piuttosto romanticizzata. L'idea che solo le varianti rurali dello svedese debbano essere considerate "autentiche" non è generalmente accettata dagli studiosi moderni. Nessun dialetto, non importa quanto remoto od oscuro, è rimasto invariato o indisturbato da minime influenze dei dialetti vicini o della lingua standard, specialmente dalla fine dell'Ottocento in poi con l'avvento dei mass media e delle forme avanzate di trasporto. Le differenze sono oggi descritte più accuratamente da una scala di valori che va dalla "lingua standard" al "dialetto rurale" dove il linguaggio anche della stessa persona può variare da un estremo all'altro dipendentemente dalla situazione. Tutti i dialetti svedesi con l'eccezione delle forme altamente divergenti del linguaggio in Dalarna, Norrbotten e, per certi versi, Gotland possono essere considerati parte di un comune continuum dialettale mutualmente intelligibile. Questo continuum può anche includere alcuni dialetti norvegesi e alcuni dialetti danesi.
Gli esempi di cui sotto sono offerti i collegamenti sono stati presi da SweDia, un progetto di ricerca sui dialetti svedesi moderni disponibile per il download (sebbene con informazioni solo in lingua svedese), con esempi diversi di più di 100 dialetti differenti con registrazioni di quattro parlanti; una donna anziana, un uomo anziano, una giovane ragazza e un ragazzo. I gruppi dialettali sono quelli tradizionalmente usati dai dialettologi.
1. Överkalix, Norrbotten; giovane donna
2. Burträsk, Västerbotten; donna anziana
3. Aspås, Jämtland; giovane donna
4. Färila, Hälsingland; uomo anziano
5. Älvdalen, Dalarna; donna anziana
6. Gräsö, Uppland; uomo anziano
7. Sorunda, Södermanland; giovane ragazzo
8. Köla, Värmland giovane donna
9. Viby, Närke; uomo anziano
10. Sproge, Gotland; giovane donna
11. Närpes, Ostrobotnia; giovane donna
12. Dragsfjärd, Finlandia; uomo anziano
13. Borgå, Uusimaa Orientale; giovane ragazzo
14. Orust, Bohuslän; uomo anziano
15. Floby, Västergötland; donna anziana
16. Rimforsa, Östergötland; donna anziana
17. Årstad-Heberg, Halland; giovane uomo
18. Stenberga, Småland; giovane donna
19. Jämshög, Blekinge; donna anziana
20. Bara, Scania; uomo anziano
Svedese standard
Lo svedese standard, che deriva principalmente dai dialetti parlati nella regione attorno alla capitale Stoccolma, è la lingua usata sostanzialmente da tutti gli svedesi e da gran parte dei finlandesi che parlano svedese. Il termine svedese usato più spesso per la lingua standard è rikssvenska ("svedese nazionale") e in altre occasioni högsvenska ("alto svedese"); l'ultimo termine è limitato allo svedese parlato in Finlandia ed è raramente usato in Svezia. Ci sono più varietà regionali di lingua standard che sono specifiche di alcune aree geografiche di diversa estensione (regioni, province, città, paesi, ecc.). Mentre queste varietà sono spesso influenzate dai dialetti autentici, la loro struttura grammaticale e fonologica aderisce strettamente a quelle dei dialetti dello svedese centrale. Nei mass media non è più così strano che i giornalisti parlino con un accento regionale distinto, ma la pronuncia più comune e quella percepita come la più formale è ancora lo svedese centrale standard.
Sebbene questa terminologia e le sue definizioni siano da tempo già state decise tra i linguisti, molti svedesi sono inconsapevoli della distinzione e del suo retroterra storico e spesso si riferiscono alle varietà regionali chiamandole "dialetti". In un sondaggio condotto nel 2005 dall'Istituto svedese della vendita al dettaglio (Handelns Utredningsinstitut), gli atteggiamenti degli svedesi nell'uso di alcuni dialetti da parte dei venditori ha rivelato che il 54% credeva che il rikssvenska fosse la varietà che si preferirebbe ascoltare quando si parla al telefono con i venditori anche se molti dialetti come il gotländska o lo skånska sono stati forniti come alternative nel sondaggio.
Svedese di Finlandia
La Finlandia fu una parte della Svezia dal XIII secolo fino alla conquista dei territori finlandesi da parte della Russia nel 1809. Lo svedese è rimasta l'unica lingua amministrativa fino al 1902 e anche la lingua dominante della cultura e dell'istruzione fino all'indipendenza finnica del 1917 e oltre. La percentuale di parlanti svedese come prima lingua in Finlandia è gradualmente decresciuta da allora.
I dialetti svedesi parlati dagli svedesi di Finlandia sono equiparabili allo svedese parlato in Svezia e perfettamente e mutualmente comprensibili. Una differenza più marcata per intonazione e pronuncia si riscontra tra le varianti parlate nell'area geografica dell'Ostrobotnia.
Varianti degli immigranti
Lo svedese di Rinkeby (un sobborgo a nord di Stoccolma con una cospicua parte della popolazione costituita da immigranti) è un nome comune tra i linguisti per indicare le varietà di svedese parlate dai giovani di discendenza straniera nei sobborghi di Stoccolma, Göteborg e Malmö. Queste varietà potrebbero in alternativa essere classificate come socioletti, perché i dialetti degli immigranti condividono tratti comuni indipendenti dalla loro diffusione geografica o dalla terra nativa dei parlanti. Alcuni studi hanno comunque trovato caratteristiche distintive e portato alla classificazione dello svedese di Rosengård (da Rosengård a Malmö). Un'indagine fatta dalla linguista svedese Ulla-Britt Kotsinas ha mostrato come gli stranieri avessero difficoltà nell'indovinare le origini dei parlanti di svedese di Rinkeby a Stoccolma. La più grande difficoltà è stata quella di identificare il linguaggio di un ragazzo i cui genitori erano entrambi svedesi; solo l'1,8% ha indovinato la sua lingua nativa.
Grammatica
Alfabeto
L'alfabeto svedese è composto da 29 lettere: Aa, Bb, Cc, Dd, Ee, Ff, Gg, Hh, Ii, Jj, Kk, Ll, Mm, Nn, Oo, Pp, Qq, Rr, Ss, Tt, Uu, Vv, Ww, Xx, Yy, Zz, Åå, Ää, Öö.
Sostantivi
Come molte lingue germaniche, lo svedese mantiene il genere neutro; al contrario però, per esempio, del tedesco, non distingue più il maschile dal femminile (salvo in alcune espressioni desuete o idiomatiche). Il genere "maschile + femminile" è spesso chiamato genere comune o non-neutro.
Più dell'80% dei sostantivi svedesi sono comuni, anche se sono neutri molti dei sostantivi più utilizzati.
La formazione regolare del plurale avviene in modi diversi
sostantivi di genere comune:
aggiunta di -er: vän → vänner (amico – amici)
aggiunta di -ar: häst → hästar (cavallo – cavalli); pojke → pojkar (ragazzo – ragazzi)
aggiunta di -or (vale per sostantivi che terminano in -a): matta → mattor (tappeto – tappeti)
cambio della vocale radicale (con o senza desinenza plurale): hand → händer (mano – mani); man → män (uomo – uomini); bror → bröder (fratello – fratelli)
sostantivi di genere neutro:
nessuna desinenza: bord → bord (tavolo – tavoli)
aggiunta di -n (vale per sostantivi che terminano in vocale): äpple → äpplen (mela – mele)
Articoli
Come articolo indeterminativo, in svedese si usa en sempre con i nomi singolari comuni, e ett con i nomi singolari neutri.
L'articolo indeterminativo viene messo prima del sostantivo:
Es. En bok (un libro), ett hus (una casa).
L'articolo determinativo viene aggiunto come suffisso al sostantivo:
Es. boken (il libro), huset (la casa).
Per il plurale: i sostantivi di genere comune aggiungono il suffisso -na. Es.: vännerna, hästarna, mattorna, händerna (gli amici, i cavalli, i tappeti, le mani). I sostantivi di genere neutro aggiungono il suffisso -en: borden (i tavoli), o -a: äpplena (le mele).
Se invece sono presenti aggettivi, il suffisso rimane, ma si ha anche un articolo vero e proprio (prima degli aggettivi, che sono obbligatoriamente prima del sostantivo), che è den per il comune singolare, det per il neutro singolare, de per tutti i nomi plurali. Esempi: den nya boken («il nuovo libro»), det stora huset («la grande casa»), de nya böckerna som talar om de stora husen («i nuovi libri che parlano delle grandi case» - il plurale di bok è irregolare).
Verbi
Insieme ad altre lingue scandinave, lo svedese (moderno) è una delle poche lingue indoeuropee che non coniuga i verbi secondo la persona e il numero. Tutti i tempi di tutti i verbi (inclusi tutti i verbi irregolari) rimangono invariati quale che sia il soggetto: per esempio, il presente indicativo del verbo essere, che in italiano ha cinque forme diverse, in svedese rimane sempre är.
I verbi non possono essere coniugati secondo la persona, ma solo secondo tempi, modi e diatesi. Dato che si usano sempre le stesse forme per tutte le persone, in mancanza di un soggetto esplicito bisogna sempre avere il pronome soggetto:
Per (att) prata (I coniugazione), si ha "radice + -ar"
parlo – jag pratar
parli – du pratar
parla – han/hon/den/det pratar (lui/lei, esso)
parliamo – vi pratar
parlate – ni pratar
parlano – de pratar
Per (att) leka (II coniugazione), si ha "radice + -er"
gioco – jag leker
giochi – du leker
gioca – han/hon/den/det leker
giochiamo – vi leker
giocate – ni leker
giocano – de leker
Come verbo ausiliare temporale per il passato si usa solamente ha (avere)
ho parlato – jag har pratat
sono stato – jag har varit (i.e. io *ho stato)
sono venuto – jag har kommit (i.e. io *ho venuto)
Il congiuntivo non si usa più o, per meglio dire, le sue forme sono indistinguibili da quelle dell'indicativo. L'unica forma a essere morfologicamente distinguibile e che viene usata con una certa frequenza anche nel parlato è il congiuntivo imperfetto di att vara (essere): vore. Per esempio: Det vore kul att gå på bio ikväll (Sarebbe bello andare al cinema stasera).
Verbi irregolari
Naturalmente ci sono verbi irregolari anche in svedese. Vara, ha, måste, kunna, vilja (essere, avere, dovere, potere, volere) sono irregolari come in italiano:
vara – essere
varit – stato
varande – essendo
varande – essente
Il verbo "måste" (dovere), viene quasi sempre sostituito con "vara tvungen" (essere forzato) nell'imperfetto: ho dovuto parlare con lui = jag var tvungen att prata med honom = sono stato forzato a parlare con lui. Si fa nello stesso modo nel passato prossimo.
Il verbo "att kunna" (potere) può anche significare "sapere", come nel seguente esempio: Kan du italienska? (Sai l'italiano?).
Il condizionale si crea con l'ausiliare "skulle": avrei parlato con lui – jag skulle ha talat med honom.
Non va però dimenticato che skulle può anche avere un altro valore modale, dato che etimologicamente viene da un verbo con il significato di "dovere". Per questo una frase come Jag skulle vara där klockan 8, men jag var försenad, deve essere tradotta con "Sarei dovuto essere lì alle 8, ma ero in ritardo".
Il futuro si crea in due modi: 1) con l'ausiliare "att komma" (venire): Parlerò con lui – Jag kommer att tala med honom (questo ausiliare vuole la forma completa dell'infinito "att + verbo", anche se nella lingua parlata informale si tende spesso alla soppressione di att);2) con l'ausiliare ska: Parlerò con lui – Jag ska tala med honom. Come abbiamo visto per skulle a proposito del condizionale, anche ska può avere un ulteriore valore modale (quello di "dovere"), e le due forme di futuro non sono perciò sempre intercambiabili. Un esempio: Guarda "La vita è bella" di Benigni, ti piacerà – Titta på Benignis "Livet är underbart", du kommer att gilla den. In questo caso, l'uso di ska come ausiliare per il futuro sarebbe erroneo, a causa del suo senso secondario di "obbligatorietà". Un altro esempio è la frase Så ska man göra! - Così si fa/deve fare!. Infine, va notato che ska si usa molto frequentemente per introdurre proposizioni interrogative in cui l'azione espressa dal verbo è situata nel futuro, ma che in italiano suonerebbe piuttosto strano esprimere con un futuro (a causa della prossimità dell'azione con il presente). Esempi: Ska vi gå? - Andiamo? | Ska vi vänta eller ska vi dra? - Aspettiamo o ce ne andiamo?.
L'imperativo dei verbi regolari si crea in due modi diversi, a seconda della coniugazione. L'imperativo di un verbo regolare della prima coniugazione è sempre l'infinito, mentre di un verbo regolare della seconda e terza coniugazione è l'infinito senza la -a finale (non si fa differenza tra singolare e plurale):
I coniugazione:
(att) prata – parlare; prata! - parla!
(att) lyssna – ascoltare; lyssna! - ascolta!
(att) titta – guardare; titta! - guarda!
II e III coniugazione
(att) släppa – mollare; släpp! - molla!
(att) sänka – abbassare; sänk! - abbassa!
(att) höra – sentire; hör! - senti!
(att) göra – fare; gör! - fai!
Verbi irregolari:
(att) ge – dare; ge mig det! - dammelo!
(att) gå – andare; gå! - vai!
(att) tro – credere; tro på mig! - credimi!
La particella (att) rappresenta il prefisso dell'infinito, corrispondente all'inglese to.
Lo svedese è una delle poche lingue indoeuropee moderne che mantengono un passivo sintetico, ottenuto cioè attraverso la flessione morfologica del verbo, anziché per mezzo di verbi ausiliari. In breve, la formazione del passivo può avvenire in tre modi:
coniugando il verbo con il suffisso del passivo -s; es.: Polisen förhörde honom – La polizia l'ha interrogato | Han förhördes av polisen – È stato interrogato dalla polizia
con l'ausiliare (att) vara (essere), come in italiano; Han var vald av folket – È stato eletto dal popolo
con l'ausiliare (att) bli (diventare); Han blev stoppad av polisen – È stato fermato dalla polizia
Fonetica
Lo svedese è una lingua tonale, seppur debolmente: a un accento d'intensità (come in italiano) si oppone una combinazione d'accento principale e secondario con variazioni tonali che permettono di distinguere parole tra loro omografe e, per il resto, omofone.
Per esempio anden, con un solo accento d'intensità sulla prima sillaba, significa «l'anatra» mentre pronunciata con un accento principale e un tono abbastanza alto leggermente discendente sulla prima sillaba e sulla seconda un accento secondario il cui tono abbastanza basso risale leggermente significa «lo spirito». È possibile ascoltare .
La differenza tra i due accenti, chiamati in svedese accent I (quello "piatto") e accent II (quello con variazione tonale), dipende dal fatto che il secondo si può usare solo in parole con almeno due sillabe e mai in parole con accento sull'ultima sillaba. In effetti, l'accento tonale (ordaccent) è spesso predicibile, se si conosce il morfema della sillaba postonica: in questo modo, si ha una distinzione basica tra gli affissi che cambiano l'accento della parola (accent II-affix, per esempio il plurale e l'infinito) e quelli che non lo influenzano (accentneutrala affix, per esempio l'articolo determinativo e il presente). Inoltre, la grandissima maggioranza delle parole composte ha accent II indipendentemente dal fatto che le singole componenti abbiano accent I o accent II come parole singole. Un esempio è tàxichaufför (tassista), che ha accent II benché sia taxi che chaufför abbiano accent I quando usate da sole.
Quelle poi che nella scrittura sono consonanti doppie (nonché ck intervocalico) sono effettivamente geminate nella pronuncia, ma non esattamente come in italiano: vissa («certi, -e») è distinguibile da visa («mostrare»). Abbiamo /'visa/ ['vissa] e /'vi:sa/ ['viisa] mentre in italiano avremmo /'vissa/ ['vis:sa] e /'visa/ ['vi:sa].
Nello svedese scritto sono presenti ben nove vocali (a, e, i, o, u, y, å, ä, ö), ognuna delle quali può essere lunga o breve nella pronuncia, per formare un totale che varia a seconda del dialetto specifico.
Sono praticamente sconosciuti i dittonghi fonologici, che anche quando sussistono tendono spesso a essere ridotti a una vocale singola. Foneticamente, però, le vocali «lunghe» sono dittonghi ristretti (cfr. visa).
Esempi
Svedese: svenska
Ciao: hej //
arrivederci: hej då //
per favore: snälla //
grazie: tack //
prego: varsågod //
quello: den där //
quanto?: hur mycket? //
Italiano: italienska //
sì: ja //
no: nej //
cin cin: skål //
Italia: Italien //
Svezia: Sverige //
Numeri da 0 a 10: noll (zero), en/ett (uno), två (due), tre, fyra (quattro), fem (cinque), sex (sei), sju [hu(parte meridionale)] (sette), åtta (otto), nio (nove), tio (dieci).
Premi Nobel per la letteratura di lingua svedese
Selma Lagerlöf (1909, )
Carl Gustaf Verner von Heidenstam (1916, )
Erik Axel Karlfeldt (1931, , postumo)
Pär Fabian Lagerkvist (1951, )
Eyvind Johnson e Harry Martinson (1974, )
Tomas Tranströmer (2011, )
Note
Voci correlate
Fonologia della lingua svedese
Swenglish
Altri progetti
Collegamenti esterni
Swedish 101 Learn Swedish online |
2679 | https://it.wikipedia.org/wiki/Limes | Limes | Limes – barriere costruite dall'Impero romano per difendere i propri confini e i propri territori
Limes danubiano – sistema di fortificazioni fluviali a difesa dei territori a sud del Danubio
Limes – rivista italiana di geopolitica del Gruppo Editoriale L'Espresso |
2680 | https://it.wikipedia.org/wiki/Latona | Latona | Leto () o Latona () è un personaggio della mitologia greca, è una Titanide di seconda generazione, figlia dei titani Febe e Ceo.
Era legata alla maternità e insieme ai suoi figli Apollo e Artemide protettrice dei giovani. La sua iconografia la collega anche alla modestia e alle arti femminili. Insieme alla sorella Asteria, potrebbe essere legata alla notte o alla luce del giorno.
Genealogia
Sorella della titanide Asteria, fu madre dei gemelli Apollo e Artemide avuti da Zeus.
Mitologia
Esiodo narra che Zeus, temendo le ire e la gelosia della moglie Era, l'allontanò poco prima che essa partorisse e che nessuno voleva darle ospitalità poiché temeva le ritorsioni di Era. Così Latona, inseguita dal serpente Pitone e vagando attraverso il Mar Egeo trovò rifugio presso l'isola egea di Delo dove nacquero Artemide e Apollo.
Altri narrano che Latona, in forma di lupa, si era recata a Delo dal paese degli Iperborei, e parlano del suo soggiorno in Licia, dove i pastori, che avevano voluto impedire alla dea di bagnare nello stagno i figli, erano stati mutati in rane.
In seguito Apollo uccise Pitone sul monte Parnaso per vendicare le sofferenze inflitte alla madre il quale l'aveva perseguitata quando era incinta.
Leggermente diversa la versione fornita da Igino secondo cui Orione, accorso in difesa di Latona, ebbe la peggio e morì in uno scontro con Scorpione, avverso alla dea. Resta il fatto che, partoriti Apollo e Artemide, quest'ultima chiese a Zeus un segno di gratitudine e così la costellazione fu stabilita in modo tale che quando Scorpione si alza, Orione tramonta.
A Delo esisteva un santuario dedicato a lei dove una palma di bronzo ricordava l'albero a cui si era aggrappata al momento di partorire i due gemelli e la loro nascita era celebrata il sesto e il diciassettesimo giorno del Targelione.
Genealogia (Esiodo)
Dediche
Gli asteroidi 68 Leto e 639 Latona prendono il loro nome da questo personaggio.
Note
Voci correlate
Niobe
Pelope
Amicla
Clori (figlia di Anfione)
Altri progetti
Collegamenti esterni
Titani
Amori di Zeus |
2681 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lira%20italiana | Lira italiana | La lira italiana (simbolo: L.; codice ITL; abbreviata anche come ₤ o Lit.) è stata la valuta ufficiale dell'Italia dal 1861 al 2002, quando, con l'introduzione dell'euro, ha definitivamente cessato di avere corso legale; una lira era suddivisa in 100 centesimi.
Utilizzata come unità di conto già nell'VIII secolo la lira fu coniata per la prima volta in Italia nel 1472 dalla Repubblica di Venezia. Entrata poi in uso nella gran parte degli Stati preunitari, continuò ad essere coniata in varie forme, fino a quando, nel 1806, il Regno d'Italia napoleonico adottò come valuta ufficiale la lira italiana secondo un sistema decimale bimetallico. Con la caduta di Napoleone e l'inizio della Restaurazione, la lira continuò ad essere emessa e, in particolare, gli Stati nati durante il processo risorgimentale adottarono come moneta corrente la lira italiana. Alla nascita del Regno d'Italia nel 1861, la lira italiana divenne la valuta ufficiale dello Stato, proseguendo la sua storia anche dopo la proclamazione della Repubblica, quindi valuta ufficiale italiana nell'ultimo quarantennio del XIX secolo e nel XX secolo rimanendo con l’euro parte della doppia valuta degli anni 1999-2002.
Etimologia del nome
Il termine "lira" deriva originariamente dalla parola litra (), un'unità di misura ponderale e monetale in uso agli Italioti e ai Sicelioti già dal V secolo a.C. La litra nacque con lo scopo di facilitare gli scambi commerciali con le popolazioni indigene, fu quindi adottato il rapporto di scambio locale di 1:125 tra argento e bronzo e fu coniata la litra d'argento (), una moneta di piccole dimensioni dal peso di circa e che costituiva la decima parte dello statere, la moneta in uso in Grecia.
Tra il IV e il III secolo a.C. la litra entrò in uso nella civiltà romana, che adeguò al latino il termine greco trasformandolo in libra e attribuendole nel 293 a.C. un peso pari a poco più di (tradizionalmente ). Oltre alla libbra romana in Italia convissero almeno altre otto diverse libbre, che ad eccezione delle libbre leggere e pesanti di origine etrusca, avevano un peso compreso tra i e i che coincideva, almeno alle origini, al peso dell'asse una delle più importanti monete romane.
Successivamente l'influenza delle lingue galloromanze sul latino provocò la lenizione della b nella parola libra e la conseguente nascita del termine "lira". Sul finire dell'VIII secolo, nell'ambito della riforma monetaria voluta da Carlo Magno, la libbra divenne l'unità ponderale fondamentale del nuovo sistema monetario basato sul denaro d'argento. In seguito alla riforma, le zecche furono obbligate a ricavare da una libbra d'argento, il cui peso variava tra i e i , ben 240 denari, che a loro volta avevano un peso compreso tra e o successivamente 20 soldi, il cui valore era pari a 12 denari. A differenza di quanto enunciato nella riforma carolingia, con il passare del tempo la libbra si trasformò in un'unità monetale, la lira che indipendentemente dal peso di argento contenuto indicava una quantità pari a 240 denari.
Origine
La lira come unità di conto
Il sistema monetario carolingio rimase in vigore in Italia per molti secoli, ma già dal X secolo la quantità di argento contenuta nei denari e quindi il loro valore diminuì progressivamente. Sul finire del medioevo la svalutazione provocò la fine del denaro, che fu rimpiazzato dal quattrino, una moneta spicciola dal valore di 4 denari. Questo processo di svalutazione permise alla Repubblica di Venezia di coniare nel 1472 per la prima volta una moneta dal valore di 240 denari, la lira Tron, così chiamata in onore del doge Nicolò Tron. Le lire, ognuna con il relativo peso, iniziarono a diffondersi in tutti i maggiori stati italiani e furono emesse nel 1474 dal Ducato di Milano, nel 1498 dalla Repubblica di Genova, nel 1539 dal Ducato di Firenze e nel 1561 dal Ducato di Savoia, ma la continua svalutazione modificò in poco tempo il loro valore. Le prime banconote italiane furono emesse in lire nel Regno di Sardegna il 26 settembre 1745 per decreto di Carlo Emanuele III di Savoia. Nonostante la sua emissione la lira continuò ad essere utilizzata essenzialmente come unità di conto in quanto ancora nel XVIII secolo in Italia continuavano a coesistere due diversi sistemi tra loro incompatibili: la moneta grossa, con un valore stabile nel tempo e utilizzata principalmente negli scambi commerciali come ad esempio lo zecchino, il fiorino e il grosso e la moneta piccola, in perenne svalutazione e usata nel commercio minuto come il denaro. Una volta emessa infatti la lira divenne a tutti gli effetti una moneta grossa, condizione incompatibile con il valore tradizionalmente assegnatole di 240 denari.
La lira italiana napoleonica
Analogamente all'Italia anche in Francia fino al XVIII secolo rimase in uso la monetazione basata sul denaro, il soldo e la lira (in francese: livre tournois). Con il successo della rivoluzione francese e la nascita della prima repubblica il 7 ottobre 1793 si tentò di introdurre una nuova monetazione su base decimale che avrebbe avuto come riferimento la repubblicana, una moneta contenente d'argento fino. La Francia cambiò la valuta nazionale dalla livre tournois al franco francese il 7 aprile 1795, la nuova valuta fu poi definitivamente normata con la legge del 7 aprile 1803. Il franco doveva pesare ed essere costituito da argento 900‰, parallelamente furono coniate monete d'oro 900‰ da 20 franchi dal peso teorico di dando così vita a un sistema bimetallico il cui il rapporto tra oro e argento di 1:15,5.
Nel 1796 con l'inizio della campagna d'Italia guidata da Napoleone Bonaparte, la nascita delle repubbliche sorelle e la conquista dell'Italia, la monetazione utilizzata nella penisola subì uno stravolgimento. Nel Regno di Sardegna, in età napoleonica sostituito dalla Repubblica Subalpina, lo scudo piemontese fu sostituito dal franco e con un decreto datato 13 marzo 1801 furono coniate probabilmente alla zecca di Parigi le monete da 5 e 20 franchi. Quella da 5 franchi seguì le prescrizioni già adottate in Francia nel 1795 mentre quella da 20 franchi, coniata in memoria della battaglia di Marengo e quindi denominata "marengo", fu coniata seguendo i parametri le dimensioni che saranno due anni dopo ufficializzati dalla legge del 1803. Nella Repubblica Ligure la monetazione fu ordinata con l'introduzione di un sistema basto sulla lira genovese, nel Regno d'Etruria la situazione rimase confusionaria e radicata alla monetazione in fiorini del Granducato di Toscana, infine nel Regno delle Due Sicilie fu mantenuta la piastra fino al 1812 quando Gioacchino Murat introdusse la lira delle Due Sicilie, una moneta pari al franco e rimasta in circolazione per tre anni.
Nell'Italia nord-occidentale Napoleone nel 1805 diede vita al Regno d'Italia, che con decreto del 21 marzo 1806 si dotò di una nuova moneta intercambiabile con il franco, la lira italiana. In rame 950‰ furono coniate le monete da 1, 3 e 5 centesimi (un soldo), in biglione in argento al 200‰ il 10 centesimi, le monete da 25, 50, 75 centesimi e 1, 2 e 5 lire in argento 900‰ e infine le monete da 20 e 40 lire in oro 900‰, tutte con i pesi e le dimensioni stabilite dalla legge del 1803.
La lira tra Restaurazione e Risorgimento
Dopo la fine del Regno d'Italia nel 1814, la lira rimase presente solo nel Ducato di Parma e nel Regno di Sardegna. La lira di Parma venne introdotta dalla duchessa Maria Luisa d'Asburgo-Lorena, seconda moglie di Napoleone, che emise tagli delle monete da 1, 3, 5, 25, 50 centesimi e 1, 2, 5, 20 e 40 lire, mentre della lira sabauda introdotta da Vittorio Emanuele I di Savoia vennero coniate anche monete d'oro da 10, 50, 80 e 100 lire.
Sulla scia della primavera dei popoli il 18 marzo 1848 ebbero luogo nel Regno Lombardo-Veneto le cinque giornate di Milano che si conclusero il 22 marzo 1848 con la costituzione del Governo provvisorio di Milano, poi trasformato nel Governo provvisorio di Lombardia. Il nuovo governo lombardo il 27 maggio 1848 emise un decreto con il quale autorizzava la coniazione di una serie di monete dal valore di 5, 20 e 40 lire italiane che per composizione, peso e diametro erano uguali alle lire sabaude. Le 5 lire italiane vennero coniate nella zecca di Milano con una tiratura di pezzi ed erano composte da argento 900‰, mentre le 20 e le 40 lire, coniate rispettivamente in e esemplari, erano in oro 900‰. Oltre a queste monete furono anche sviluppati dei progetti riguardanti le monete da 1 e 2 lire delle quali furono coniati pochi esemplari in stagno, zinco, rame e mistura d'argento. Il 6 agosto dello stesso anno, una volta caduto il governo provvisorio, le autorità austriache dichiararono queste monete fuori legge e molte di esse, in particolar modo le 5 lire vennero intagliate in modo da crearne delle piccole scatole.
Come la Lombardia anche il Veneto insorse contro l'Impero austriaco e il 22 marzo 1848 venne costituita la Repubblica di San Marco e come in Lombardia anche qui si decise di coniare delle lire basate sulla lira sabauda, ma a differenza di quelle lombarde queste riportavano semplicemente la dicitura lira (lira corrente sui centesimi) invece di lira italiana. La prima moneta di cui fu decisa la coniazione fu il marengo da 20 lire, il cui decreto venne emesso il 14 gennaio 1848, anche se probabilmente la moneta venne coniata dalla zecca di Venezia solo nel 1849 in pezzi. Il 28 giugno e il 27 novembre 1848 venne emesso il decreto per la coniazione di due diverse tipologia di monete da 5 lire in argento 900‰, che come il marengo rispecchiavano il formato delle lire sabaude. Dopo queste monete vennero coniati dei centesimi con standard differenti da quelli del Regno di Sardegna e quindi il 10 dicembre 1848 fu la volta dei 15 centesimi in mistura d'argento, coniati in ben pezzi e infine il 15 gennaio 1849 venne ordinata la produzione di circa cinque milioni di monete da 1, 3 e 5 centesimi di rame. Il governo cadde il 24 agosto 1849 e da quella data le autorità austriache dichiararono illegali le monete del governo provvisorio.
Durante il risorgimento le ultime monete coniate sulla base di quelle che saranno poi le lire del Regno d'Italia sono state quelle prodotte dal Governo provvisorio della Toscana e dalle Regie province dell'Emilia che costituivano quella che era la Legazione delle Romagne. Il 17 gennaio 1860 il governo emiliano decise di coniare nella zecca di Bologna le monete da 50 centesimi, 1, 2, 5, 10 e 20 lire, la cui coniazione cominciò di fatto solo nel 1860; vennero poi usati i coni sabaudi del 1826 per produrre monete di rame da 1, 3 e 5 centesimi, richieste dalla popolazione che non voleva più usare lo scudo pontificio. Queste monete però riportavano solo la scritta lira a differenza di quelle coniate nella zecca di Firenze, che come le lombarde del 1848, riportavano per esteso la dicitura lira italiana. È quindi fiorentina la prima moneta dal valore di 1 lira italiana e oltre a questa moneta il Governo Provvisorio della Toscana con due decreti datati 29 settembre 1859 e 1º novembre 1860, decise la coniazione delle monete da 2 lire italiane e da 50 centesimi e con l'ordinanza del 2 dicembre 1859 coniò le monete di rame da 5, 2 e 1 centesimo; tutte queste monete riportano la dicitura Vittorio Emanuele II re eletto.
Storia
Il Regno d'Italia
Nei mesi che precedettero la proclamazione del Regno d'Italia Camillo Benso, conte di Cavour, all'epoca presidente del consiglio del Regno di Sardegna, si adoperò per la creazione di un'unica banca centrale nazionale in modo da rendere il passaggio alla moneta fiduciaria legittimato e garantito da un forte istituto bancario. All'epoca il sistema bancario italiano era sostanzialmente dominato dalla Banca Nazionale negli Stati Sardi e dalla Banca Nazionale Toscana, a queste due però si affiancavano anche altri istituti minori: la Banca degli Stati parmensi, lo Stabilimento mercantile di Venezia, la Banca dello Stato Pontificio e la Banca delle Quattro Legazioni, riunite nel 1870 nella Banca Romana e poi vi erano anche il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia e la Banca Toscana di Credito che non avevano la possibilità di emettere titoli al portatore. La riforma voluta da Cavour si sposava perfettamente con quanto stava già accadendo in Francia, in Regno Unito, in Germania e in altri stati europei dove le banche centrali generalmente controllavano il tasso ufficiale di sconto, le operazioni finanziarie sui titoli di stato, gestivano le riserve auree e vigilavano sul sistema bancario nazionale. Il 6 giugno 1861, a poco meno di tre mesi dalla nascita del Regno d'Italia, Cavour morì e i governi che lo seguirono decisero di non portare avanti il progetto di unificazione bancaria ostacolando il tentativo della Banca Nazionale negli Stati Sardi di diventare egemone nel panorama nazionale. In Italia non fu quindi possibile emettere una serie di banconote uniforme su tutto il territorio nazionale, ad opporsi alla creazione di un'unica banca centrale fu in particolare Francesco Ferrara, ministro delle finanze del governo Rattazzi II, che per la sua convinzione liberista riteneva più vantaggioso lasciare il mercato libero e autorizzare qualsiasi operatore finanziario alla creazione di cartamoneta.
L'unificazione italiana mise in luce anche la confusione del sistema monetario italiano preunitario che era per lo più basato sul monometallismo argenteo e quindi in contrapposizione con il monometallismo aureo in vigore nel Regno di Sardegna e nelle maggiori nazioni europee. Per conciliare i vari sistemi monetari si decise di optare per il bimetallismo ispirandosi modello del franco francese, da cui furono riprese le dimensioni delle monete e il cambio di 1 a 15,50 tra oro e argento. Il sistema monetario italiano però differiva da quello francese per due aspetti: le monete d'argento potevano essere scambiate in quantità illimitate con lo Stato, ma limitate tra privati e si decise di coniare monete che avessero nominalmente il 900‰ di argento fino, ma che di fatto ne contenevano l'835‰ in modo da avvicinarsi al reale cambio tra oro e argento che era di circa 1 a 14,38. A esattamente quattro mesi di distanza dalla proclamazione del Regno d'Italia, il governo introdusse la nuova valuta nazionale, la lira italiana. Il corso legale della nuova moneta fu stabilito dal Regio Decreto del 17 luglio 1861 nel quale si specificava il cambio in lire delle monete preunitarie e il fatto che le monete locali continuassero ad avere corso legale nelle rispettive province di origine.
Il 24 agosto 1862 venne emanato il decreto che stabilì la messa fuori corso di tutte le altre monete circolanti nei vari stati preunitari entro la fine dell'anno: 1 lira da di argento al titolo 900/ corrispondeva a d'oro fino, oppure a d'argento fino (scesi a 4,459 nel 1863), cioè allo stesso valore della vecchia lira napoleonica e del contemporaneo franco francese. Con quest'ultimo c'era una totale intercambiabilità, che permise la creazione dell'Unione monetaria latina e la libera circolazione del franco francese, del franco svizzero e del franco belga sul territorio nazionale italiano.
Nel 1866, a causa della crescita della spesa pubblica, in parte dovuta ai costi della Terza guerra d'indipendenza, fu stabilito il corso forzoso, che durò fino al 1881 (con effetto dal 1883). Già dalla fine del 1887 si dovette però sospendere di fatto la convertibilità dei biglietti, pur senza dichiararlo apertamente. Nel 1893 venne messa in liquidazione la Banca Romana, colpita da un grave scandalo, e creata la Banca d'Italia, con una copertura aurea di almeno il 40% delle lire in circolazione.
Re Vittorio Emanuele III di Savoia, che successe sul trono d'Italia al padre Umberto I nel 1900, fu studioso di numismatica e grande collezionista di monete; pubblicò il Corpus Nummorum Italicorum (1909-1943), opera in 20 volumi in cui sono descritte e classificate le monete italiane. Durante il suo regno venne coniata una monetazione circolante ricca e variegata. All'atto dell'abdicazione, donò la sua collezione di monete allo Stato italiano: questa raccolta è parzialmente esposta nel museo nazionale romano di palazzo Massimo a Roma.
L'ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale (1915), che portò alla penuria di metallo, fece ripristinare il corso forzoso, già abolito nel 1909. Il corso forzoso durò fino al 1927, quando 1 lira corrispondeva a di oro fino. L'obbligo della copertura in oro venne abolito nel 1935 e nel 1936 la valutazione venne portata a .
L'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale nel 1940 provocò nel 1943 il crollo dell'apparato politico-militare nazionale, il paese fu infatti occupato a nord dalla Germania nazista e dallo stato fantoccio della Repubblica Sociale Italiana, mentre il sud venne posto sotto il controllo dagli Alleati e del governo Badoglio. In questa difficile situazione la Banca d'Italia, nonostante i continui tentativi, non fu in grado di mantenere la stabilità della lira che andò incontro a iperinflazione accelerando in questo modo il disfacimento del tessuto economico italiano. Per sostentare le ingenti spese militari il governò costrinse la banca centrale nazionale ad emettere nuove banconote, portando la quantità di circolante dai 16,5 miliardi di lire del 1936 ai 156,6 miliardi del dicembre del 1943.
La Repubblica Italiana
L'Italia aderì al Fondo Monetario Internazionale il 27 marzo 1947. Il 30 marzo 1960 l'Italia ripristinò la convertibilità aurea della lira comunicando al Fondo Monetario Internazionale un rapporto di conversione di d'oro per lira, equivalente a 625 lire per dollaro, e impegnandosi a intervenire in caso la differenza del tasso di cambio fosse stata maggiore o minore dell'1%; con questo provvedimento l'Italia aderì ufficialmente agli accordi di Bretton Woods.
Il D.P.R. del 31 marzo 1966, n. 171 del Governo Moro III, autorizzò il Tesoro a emettere biglietti di Stato a corso legale da 500 lire in sostituzione delle monete d'argento tesaurizzate di ugual valore. Si trattava di una moneta non convertibile in una qualche riserva metallica, dei biglietti appunto, a fronte della quale fu istituita la Cassa Speciale per il Servizio dei Biglietti a Debito dello Stato. La norma fu seguita dai D.P.R. 14 febbraio 1974 e D.M. 2 aprile 1979, fra gli altri provvedimenti normativi.
Nel dicembre del 1973 alcuni dei maggiori paesi dell'OPEC decisero di aumentare bruscamente il prezzo del greggio innescando così una crisi petrolifera che colpì duramente l'economia italiana. L'aumento del prezzo del petrolio provocò un repentino rialzo del costo del denaro che nella primavera del 1974 fece arrivare il tasso di sconto della Banca d'Italia al 9%; inoltre, per combattere la crisi fu emesso parecchio debito che nel 1975 espose la lira a intensi fenomeni speculativi. L'aumento del debito innescato dalla crisi petrolifera, provocò una forte svalutazione rispetto alle altre valute europee e per il suo risanamento la Banca d'Italia rialzò il tasso di sconto fino al 15% nell'autunno del 1976.
Per ridurre l'eccessiva variabilità del tasso di cambio tra le valute europee, a cui la lira era molto esposta negli anni delle crisi petrolifere, alcuni paesi della Comunità economica europea (CEE) decisero di introdurre gli accordi europei di cambio. Gli otto paesi partecipanti (Italia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Belgio, Irlanda e Lussemburgo) diedero così vita il 13 marzo 1979 al sistema monetario europeo (SME) e all'unità di conto europea (ECU) una valuta virtuale composta da un paniere delle valute dei paesi aderenti pesate in base al potere economico della rispettiva nazione di appartenenza. La fluttuazione delle monete venne limitata al 2,25% con l'eccezione della lira che beneficiò della banda allargata al 6%. La lira rimase nello SME fino al 1992, quando una gravissima crisi finanziaria in Europa costrinsero la sterlina britannica e la lira a uscire dallo SME. La lira rientrò nello SME il 25 novembre 1996, col cambio di 990 Lire per un marco tedesco.
L'entrata in vigore dell'euro
Il 1º gennaio 1999 in Italia entrò ufficialmente in vigore l'euro al tasso di cambio fissato il giorno precedente di 1 ECU per lire italiane, che dal giorno dopo sarebbe stato cambiato in Euro con cambio 1:1. Da quel momento la lira rimase in vigore solo come espressione non decimale dell'euro, anche se monete e banconote continuavano a essere denominate in lire. Da quella data, invece, per tutte le forme di pagamento "non-fisiche" (trasferimenti elettronici, titoli, ecc.), si adottò solo l'euro. Il 1999 fu anche l'ultimo anno in cui la zecca coniò ed emise le monete per la comune circolazione in lire.
In realtà, l'art. 109 del Trattato di Maastricht prescriveva come già due anni prima dell'ingresso nella Unione Monetaria, fissato per il 1º gennaio 1999, i paesi candidati non avrebbero più potuto svalutare la propria moneta rispetto all'ECU. Nel 1992 la svalutazione della lira (allora con un ECU si compravano lire, oppure 2,02 marchi tedeschi), nel 1997 per acquistare un ECU ne occorrevano , molto vicino al futuro cambio fisso di .
Il 1º gennaio 2002, con l'entrata in circolazione delle monete e banconote in euro, si aprì una fase di doppia circolazione: le monete e banconote in lire vennero ritirate definitivamente il 1º marzo 2002. Nel 2002 terminò l'emissione delle serie divisionali in lire di monete proof e fior di conio e successivamente furono emesse serie commemorative a memoria della lira.
Inizialmente era stato fissato in dieci anni il termine per la prescrizione; di conseguenza le monete e banconote ancora in corso legale all'introduzione dell'euro potevano essere ancora cambiate presso le filiali della Banca d'Italia fino al 29 febbraio 2012. Tuttavia, la manovra del governo Monti decretò la prescrizione immediata delle monete e banconote al 7 dicembre 2011 (art. 26 del D.L. n. 201/2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 284 del 6 dicembre 2011). Tale norma è stata poi dichiarata incostituzionale dalla sentenza n. 216 del 7 ottobre 2015 della Corte Costituzionale, riaprendo di fatto i termini per il cambio.
Monete
Le monete della lira italiana più diffuse rimaste in circolazione fino al 2002, con l'entrata in vigore dell'euro.
Le date si riferiscono alle ordinarie emissioni per la circolazione; si badi tuttavia che a partire dalla fine degli anni sessanta la zecca italiana, onde sfruttare il mercato numismatico, cominciò a produrre fino al 2001 confezioni contenenti anche i pezzi non più circolanti. Sono escluse anche le date delle monete di prova.
Dal 1861 al 1943 nel Regno d'Italia furono emesse le monete centesimali della lira, poi non più emesse in seguito alla svalutazione post bellica. Sono:
1 centesimo: 1861–1918 ritiro nel 1924
2 centesimi: 1861–1917 ritiro nel 1924
5 centesimi: 1861–1943 ritiro nel 1947
10 centesimi: 1862–1943 ritiro nel 1947
20 centesimi: 1863–1943 ritiro nel 1947
25 centesimi: 1902–1903 ritiro nel 1908
50 centesimi: 1861–1943 ritiro nel 1947
La prima serie di monete della Repubblica Italiana dal valore di 1 lire, 2 lire, 5 lire e 10 lire fu emessa dal 1946 al 1950, ma a causa della svalutazione fu ritirata nel 1954. Tra il 1958 e il 1967 furono emesse monete da 500 lire d'argento 835‰ destinate alla circolazione. Furono emesse anche numerose monete commemorative.
Anche il gettone telefonico è stato a lungo utilizzato come moneta, pur non avendo alcun valore ufficiale di conio statale; il valore, che nel 1959 era di 45 lire, divenne di 50 lire negli anni settanta, di 100 lire dal 1980 e, infine, di 200 lire a partire dal 1984 e fino al ritiro definitivo nel 2001.
Banconote
Le banconote della lira italiana in circolazione fino al 2002, con l'entrata in vigore dell'euro (Serie 1983-2001).
Valute agganciate alla lira italiana
Occupazioni italiane
Tallero d'Eritrea
Coniato per l'Eritrea Italiana a partire dal 10 agosto 1890 il tallero conteneva la medesima quantità di argento delle 5 lire italiane, ma aveva dimensioni maggiori dato che era di argento 800‰. Il cambio quindi era di 1 tallero = 5 lire e suoi sottomultipli valevano: 5, 10, 50 centesimi e 1 e 2 lire. Nella colonia ebbero corso la lira italiana, le monete dell'Unione monetaria latina, il tallero di Maria Teresa, il tallero d'Italia e le monete coloniali inglesi, quando nel 1921 la valuta ufficiale divenne la lira dell'Africa Orientale Italiana.
Lira dell'Africa Orientale Italiana
Fu una serie speciale di banconote della lira italiana stampate per la circolazione nell'Africa Orientale Italiana tra il 1937 e il 1941. Il regio decreto-legge 2 luglio 1936, n. 1371, poi convertito nella legge 11 gennaio 1937, n. 260, aveva introdotto la lira italiana come unica valuta avente corso legale in Etiopia, contestualmente mettendo fine al regime derogatorio vigente in Eritrea. Il periodo di transizione fu stabilito per le banconote in tre mesi, dal 15 luglio al 15 ottobre 1936, e in un solo mese per le monete, da convertirsi entro il 15 agosto.
Rupia somala
Fu la moneta della Somalia italiana dal 1909 al 1925. Era suddivisa in 100 bese (singolare: besa, in arabo: بيزا). La rupia fu introdotta tra il 1909 e il 1910. Prima, furono introdotte monete in bronzo chiamate besa, seguite da monete d'argento col nome di rupia nel 1910. La rupia rimpiazzò sia il tallero di Maria Teresa sia la rupia indiana, che avevano lo stesso valore. La rupia fu sostituita dalla lira somala durante il periodo di transizione dal 1º luglio 1925 al 30 giugno 1926, al valore di 8 lire = 1 rupia. Dopo la sostituzione della rupia, circolarono altre monete nella Somalia italiana, tra cui la lira dell'Africa Orientale Italiana, dallo scellino dell'Africa orientale, il somalo e infine lo scellino somalo.
Lira somala
Emessa per la Somalia italiana tra il 1925 e il 1926 dopo l'abrogazione della rupia somala; la valuta era divisa in monete da 5 e 10 lire scambiate alla pari con la lira italiana in quanto le monete contenevano la stessa quantità di argento. Contemporaneamente a questa valuta nella Somalia italiana venivano utilizzate le monete e le banconote della lira italiana.
Lek albanese
Ebbe corso tra il 1939 e 1943 durante l'occupazione italiana dell'Albania; era diviso in monete da 0,05, 0,10, 0,20, 0,50, 1, 2, 5 e 10 lek e il cambio era fissato a 1 lek = 1,25 lire.
Yuan italiano
Lo Yuan italiano fu una serie di banconote emessa per la Concessione italiana di Tientsin dalla "The chinese italian banking corporation" a partire dall'aprile del 1921 sino all'occupazione giapponese della concessione nel settembre del 1943. Esistevano cinque tagli: 1 yuan, 5 yuan, 10 yuan, 50 yuan e 100 yuan
Occupazioni straniere
Am-lira
Tra il 1943 e il 1944 nei territori sotto il governo militare alleato fu coniata la valuta Am-lira. L'emissione delle banconote in Am-lire si interruppe per le proteste del governo italiano, in quanto l'eccessiva emissione provocò una forte inflazione.
Marco di occupazione
Con l'occupazione tedesca dell'Italia settentrionale e la nascita della Repubblica Sociale Italiana il 15 settembre 1943, furono introdotti a Verona e Vicenza, e poi nel resto del territorio, i biglietti della casse di credito germaniche (Reichskreditkassenscheine, abbreviato con RKK) con lo scopo di pagare le truppe tedesche in suolo italiano. Il cambio fu inizialmente impostato a 7,6 lire per Reichsmark, ma già il 25 settembre fu portato a 10 lire. La validità dei RKK fu di breve durata cessando il 1º novembre e rendendo i biglietti cambiabili in lire italiane entro il 13 novembre 1943.
Lira di Lubiana
Nel 1943 le province italiane di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana finirono sotto l'occupazione tedesca rientrando nella Zona d'operazioni del Litorale adriatico. L'anno seguente le autorità militari tedesche per aumentare la liquidità della provincia misero in circolo nella provincia di Lubiana la lira di Lubiana, che rimase in corso fino all'arrivo dei partigiani jugoslavi nel maggio 1945.
Lira tripolitana
Durante l'occupazione inglese della Libia italiana, le autorità britanniche emanarono una valuta denominata lira tripolitana. Circolò dal 1942 insieme alle svalutate banconote italiane con un cambio alla pari, finché nel 1951 il Regno Unito concesse l'indipendenza al Regno di Libia, che coniò la propria sterlina libica.
Lira triestina
Nel 1945 nei territori della Venezia Giulia occupati dall'esercito jugoslavo venne introdotta una valuta definita "Jugolira" a pari valore con la lira italiana. Nel 1947, col Trattato di Parigi, tali territori passarono sotto la Jugoslavia o nella Zona B del Territorio Libero di Trieste. Il dinaro jugoslavo rimpiazzò immediatamente la lira nei territori annessi, mentre nella zona B il passaggio fu effettuato nel 1949. La zona A del Territorio Libero di Trieste continuò invece a utilizzare la lira italiana in tutti i suoi coni, comprese le Am-lire.
Enclavi
Con la fondazione del Regno d'Italia e l'adozione della lira italiana anche le due enclavi del regno si adattarono alla nuova valuta e di conseguenza, San Marino prima e la Città del Vaticano poi, stipularono accordi bilaterali con l'Italia per avere il permesso di coniare una propria monetazione agganciata alla pari alla lira italiana. Le due valute coniate furono:
Lira sammarinese: fu coniata a partire dal 1864 grazie all'accordo bilaterale del 22 marzo 1862 che permetteva l'emissione di monete, ma non di banconote, di titolo pari a quelle italiane, le prime monete furono quelle da 5 e 10 centesimi di rame e vennero coniate nella zecca di Milano. L'accordo fu poi ratificato il 28 giugno 1897 dove fu concessa esclusivamente la coniazione di monete d'argento alla zecca di Roma per la quantità di lire, poi ridotta a il 16 febbraio 1906. Con l'accordo del 10 febbraio 1914 fu concessa allo stato anche la coniazione di monete di rame per un valore totale di lire e il valore delle monete d'argento fu aumentato a lire. Il 23 ottobre 1931 fu poi concessa anche la coniazione illimitata di monete d'oro che rimase attiva anche nel 1953 quando la Repubblica Italiana non concesse l'emissione di moneta da parte di San Marino. La coniazione riprese a seguito dell'accordo del 10 settembre 1971, rinnovati fino al 21 luglio 1991 e poi decaduto con l'entrata in vigore dell'euro.
Lira vaticana: valuta (solo con valori metallici) dalla Città del Vaticano dal 1929 al 2002.
Valore
Nel 1861, subito dopo la proclamazione del Regno d'Italia, per iniziare la coniazione della lira italiana, si decise di cambiare le monete degli stati preunitari in base al loro contenuto d'argento. Le varie monete furono quindi cambiate con i seguenti tassi di conversione. Questi dati però non si riferiscono alla circolazione monetaria. Il rapporto dipendeva semplicemente dalle dimensioni della moneta e dalla quantità e tipo di metallo che conteneva. In realtà le Due Sicilie, che erano lo stato più esteso, avevano minore circolazione monetaria del resto d'Italia.
Nel 1865 l'Italia insieme a Francia, Belgio e Svizzera fondò l'Unione monetaria latina, che basava il valore delle monete rispetto alla quantità di argento e oro contenuta. Nel 1914 con lo scoppio della prima guerra mondiale l'unione si dissolse e nel 1918 alla fine della guerra le potenze vincitrici, tra le quali l'Italia, uscirono economicamente rafforzate rispetto agli Imperi centrali. Negli anni venti con l'avvento del fascismo e la promulgazione delle leggi fascistissime del 1926 la lira cominciò a svalutarsi, ma nel 1927 dopo l'introduzione della quota 90 la lira si rivalutò fino a raggiungere il cambio di novanta lire per una sterlina britannica. Con la crisi del 1929 la lira mantenne il suo valore piuttosto stabile rispetto a quello delle altre valute, ma perse nuovamente valore nel 1935 con lo scoppio della guerra di Etiopia per poi tornare nuovamente stabile fino allo scoppio della seconda guerra mondiale. Nel corso del conflitto, la lira perse continuamente valore tanto che nel 1945, a guerra conclusa, valeva circa cinque volte meno del dollaro e della sterlina rispetto al 1939. La svalutazione continuò anche dopo la nascita della Repubblica Italiana (1946) e l'adesione dell'Italia al piano Marshall (1947). Negli anni cinquanta il miracolo economico italiano portò a una rivalutazione della lira; nel 1951 l'Italia aderì alla Comunità europea del carbone e dell'acciaio e questo comportò una stabilizzazione del valore della lira che durò fino al 1973, quando iniziò la prima crisi energetica. Nel 1979 l'Italia entrò nel Sistema monetario europeo e nello stesso anno esplose la seconda crisi energetica che portò a una più netta svalutazione della lira (questa volta anche nei confronti del Dollaro statunitense); a partire dalla seconda metà degli anni '80 la Lira si stabilizzò di nuovo con il Marco e giunse a rivalutarsi nettamente anche sul Dollaro. Nel 1992, quando la Lira sul Dollaro stava tornando ai livelli pre-crisi del 1979, a causa degli attacchi speculativi l'Italia fu costretta a uscire dallo SME per poi rientrarci nel 1996 (con cambio con il Marco fissato a 990 Lire). A causa di queste vicende la lira si svalutò molto rispetto alle altre valute e questa tendenza continuò fino all'entrata in vigore dell'euro nel 2002 (con particolare svalutazione nei confronti del Dollaro dal 1999, proprio a causa dell'aggancio all'Euro).
Tassi di cambio
Note
Esplicative
Bibliografiche
Bibliografia
Carlo Maria Cipolla, Le avventure della lira, Il Mulino, Bologna, 1975
Stefano Poddi, La lunga storia della lira, Difesa e Lavoro, settembre 2008
Natale Rauty, Libbra, lira, lira nuova: vicende di una moneta attraverso dodici secoli, Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia, Pistoia, 1987
Voci correlate
Banca d'Italia
Centesimo di lira italiana
Euro
Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato
Lira (moneta)
Lira pesante
Monete commemorative (lira italiana)
Monete euro italiane
Quota 90
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2682 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lufthansa | Lufthansa | Deutsche Lufthansa AG, o più semplicemente Lufthansa, è la principale compagnia aerea tedesca e terza compagnia aerea del mondo (prima in Europa, seguita dalla compagnia di bandiera britannica British Airways) per passeggeri per chilometro trasportati nel 2014 secondo la IATA.
Lufthansa è parte e membro fondatore di Star Alliance, una delle più importanti alleanze globali tra compagnie aeree. Il Gruppo Lufthansa, possiede una flotta di oltre 340 aerei e circa 117.000 persone in tutto il mondo, ha per hub principale l'Aeroporto di Francoforte sul Meno e per hub secondario l'aeroporto di Monaco di Baviera.
Storia
Dopoguerra e anni '50
Lufthansa fa risalire le sue origini al 1926, quando la Deutsche Luft Hansa A.G. (designata come Deutsche Lufthansa dal 1933 in poi) si formò a Berlino. DLH, come era nota, era la compagnia di bandiera della Germania fino al 1945 quando tutti i servizi furono terminati in seguito alla sconfitta della Germania nazista; era stato dimostrato che la Deutsche Luft Hansa faceva affidamento sull'uso del lavoro forzato e ospitava lavoratori forzati sul sito dell'aeroporto di Tempelhof. Nel tentativo di creare una nuova compagnia aerea nazionale, la Aktiengesellschaft für Luftverkehrsbedarf (Luftag), venne fondata a Colonia il 6 gennaio 1953, con molti dei suoi dipendenti che avevano lavorato per la Lufthansa prebellica; questi includevano Kurt Weigelt, un nazista condannato per crimini di guerra che prestava servizio nel consiglio della nuova Lufthansa, e Kurt Knipfer, un membro del partito nazista dal 1929 che guidò Luft Hansa dal 1933 al 1945.
Alla Germania Ovest non era stata ancora concessa la sovranità sul suo spazio aereo, quindi non si sapeva quando la nuova compagnia aerea sarebbe diventata operativa. Tuttavia, nel 1953, Luftag ordinò quattro Convair CV-340 e quattro Lockheed L-1049 Super Constellation e istituì una base di manutenzione all'aeroporto di Amburgo. Il 6 agosto 1954, Luftag acquisì il nome e il logo della liquidata Deutsche Lufthansa per DM 30.000 (equivalenti a oggi), continuando così la tradizione.
Il 1º aprile 1955 Lufthansa ottenne l'approvazione per avviare voli interni di linea, collegando Amburgo, Düsseldorf, Francoforte sul Meno, Colonia e Monaco. I voli internazionali iniziarono il 15 maggio 1955 per Londra, Parigi e Madrid, seguiti dai voli per New York dal 1º giugno di quell'anno e attraverso l'Atlantico meridionale dall'agosto 1956. Nell'agosto 1958, quindici 1049G e 1649 di Lufthansa decollavano dalla Germania ogni settimana per il Canada e gli Stati Uniti, tre 1049G per il Sud America, tre per Teheran e uno per Baghdad. Parallelamente, la compagnia aerea avviò anche una campagna di marketing. Le sfide consistevano nell'incoraggiare i viaggiatori a considerare di visitare il paese sulla scia della seconda guerra mondiale, oltre a offrire servizi ad altre nazioni tramite l'hub dell'aeroporto di Francoforte. Più specificamente, gli sforzi di Lufthansa riflettevano lo sviluppo di una forma moderna di consumismo e pubblicità attraverso la vendita di viaggi aerei. Nel 1963, la compagnia aerea, inizialmente limitata nei suoi sforzi di pubbliche relazioni, era diventata un'importante immagine della Germania Ovest all'estero.
Lo status speciale di Berlino significava che Lufthansa non poté volare verso nessuna delle due parti di Berlino fino alla riunificazione tedesca nel 1990. Inizialmente si pensava fosse solo una questione temporanea (e con l'intenzione di spostare la sede della compagnia aerea e la base principale lì una volta che la situazione politica fosse cambiata ); la divisione tedesca si rivelò più lunga del previsto, il che portò gradualmente l'aeroporto di Francoforte a diventare l'hub principale di Lufthansa.
La Germania Est cercò di stabilire la sua compagnia aerea nel 1955 utilizzando il nome Lufthansa, ma questo provocò una controversia legale con la Germania Ovest, dove operava Lufthansa. La Germania dell'Est fondò quindi Interflug come sua compagnia aerea nazionale nel 1963, che coincise con la chiusura della Lufthansa della Germania dell'Est.
Anni '60: l'era dei jet
Nel 1958 Lufthansa ordinò quattro Boeing 707 e iniziò i voli da Francoforte a New York nel marzo 1960. Successivamente furono acquistati alcuni Boeing 720B. Nel febbraio 1961, le rotte dell'Estremo Oriente furono estese oltre Bangkok, Thailandia, fino a Hong Kong e Tokyo. Lagos, Nigeria, e Johannesburg, Sudafrica, furono aggiunte nel 1962.
Lufthansa introdusse i Boeing 727 nel 1964 e nel maggio dello stesso anno iniziò la rotta da Francoforte a Tokyo via Anchorage. Nel febbraio 1965 la società ordinò ventuno Boeing 737 che entrarono in servizio nel 1968. Lufthansa fu il primo cliente del Boeing 737 ed era uno dei quattro acquirenti dei 737-100 (gli altri erano la NASA, Malaysia-Singapore Airlines e Avianca). Lufthansa fu il primo cliente straniero di un aereo di linea della Boeing.
Anni '70 e '80: l'era dei wide body
L'era dei wide body per Lufthansa iniziò con il primo volo di un Boeing 747 il 26 aprile 1970. Fu seguita dall'introduzione del DC-10-30 il 12 novembre 1973 e del primo Airbus A300 nel 1976. Nel 1979 Lufthansa e Swissair divennero clienti di lancio per l'Airbus A310 con un ordine per venticinque aeromobili.
Il programma di modernizzazione della flotta della compagnia per gli anni novanta iniziò il 29 giugno 1985, con un ordine per quindici Airbus A320 e sette Airbus A300-600. Dieci Boeing 737-300 furono ordinati pochi giorni dopo. Tutti vennero consegnati tra il 1987 e il 1992. Lufthansa acquisì anche Airbus A321, Airbus A340 e Boeing 747-400.
Anni '90 e 2000: ulteriore espansione
Il 28 ottobre 1990, 25 giorni dopo la riunificazione, Berlino divenne di nuovo una destinazione di Lufthansa. Il 18 maggio 1997, Lufthansa, Air Canada, Scandinavian Airlines, Thai Airways International e United Airlines fondarono la Star Alliance, la prima alleanza multilaterale di compagnie aeree al mondo.
Nel 1999, Lufthansa partecipò all'iniziativa della German Business Foundation che affrontava azioni legali collettive contro le società tedesche per misfatti dell'era della seconda guerra mondiale, compreso l'uso del lavoro forzato, pagando, secondo quanto riferito, 10 milioni di marchi tedeschi. Lo stesso anno, Lufthansa incaricò lo studioso Lutz Budrass di indagare sull'uso del lavoro forzato da parte della sua società predecessore, Deutsche Luft Hansa, durante la seconda guerra mondiale; la compagnia rifiutò di pubblicare lo studio risultante del Dr. Budrass per più di un decennio.
Nel 2000, Air One divenne una compagnia aerea partner di Lufthansa e quasi tutti i voli della Air One venivano condivisi con Lufthansa fino all'acquisizione della compagnia italiana da parte di Alitalia. Mentre molte altre compagnie aeree avevano annunciato licenziamenti (in genere il 20% della loro forza lavoro), Lufthansa mantenne la sua forza lavoro anche dopo gli attentati dell'11 settembre 2001.
Il 6 dicembre 2001, Lufthansa ha annunciato un ordine per 15 Airbus A380 con altri 10 in opzioni, confermato poi il 20 dicembre. La flotta di A380 sarebbe stata utilizzata esclusivamente per voli a lungo raggio a partire da Francoforte.
Nel giugno 2003, Lufthansa aprì il Terminal 2 dell'aeroporto Franz Josef Strauß di Monaco per aiutare il suo hub principale, Francoforte, che soffriva di limitazioni di capacità. È uno dei primi terminal in Europa parzialmente di proprietà di una compagnia aerea.
Nell'autunno 2003, l'attuazione di una nuova strategia di vendita avviata dall'allora vicepresidente esecutivo in carica Thierry Antinori per adeguare l'azienda all'era digitale, portò all'abolizione del pagamento delle commissioni per le agenzie di viaggio. Questo portò a una rivoluzione nel settore dei viaggi tedesco con la scomparsa di molte agenzie di viaggio dal mercato da un lato e l'ascesa di nuove piattaforme di distribuzione digitale dall'altro.
Il 22 marzo 2005, Swiss International Air Lines venne acquistata dalla holding di Lufthansa. L'acquisizione includeva la clausola in base alla quale agli azionisti di maggioranza (il governo svizzero e le grandi società svizzere) sarebbe stato offerto un pagamento se il prezzo delle azioni di Lufthansa avesse sovraperformato un indice di una compagnia aerea negli anni successivi alla fusione. Le due società avrebbero continuato ad essere gestite separatamente.
Il 6 dicembre 2006, Lufthansa ha effettuato un ordine per 20 Boeing 747-8, diventando il cliente di lancio del modello passeggeri. La compagnia aerea è anche la seconda europea a gestire l'Airbus A380 (dopo Air France). Il primo A380 è stato consegnato il 19 maggio 2010, mentre il primo 747-8 è entrato in servizio nel 2012.
Nel settembre 2008, Lufthansa Group ha annunciato l'intenzione di acquistare una partecipazione in Brussels Airlines (SN). Nel giugno 2009, la Commissione europea ha concesso l'approvazione e Lufthansa ha acquisito il 45% di SN. Nel settembre 2016, Lufthansa ha annunciato che avrebbe acquistato il resto di Brussels Airlines per 2,6 milioni di euro. La transazione è stata completata all'inizio di gennaio 2017. La decisione è stata parzialmente presa dopo l'attentato all'aeroporto di Bruxelles del marzo 2016, che ha fatto perdere a SN quasi 5 milioni di euro al giorno fino al 3 aprile.
Nel settembre 2009, Lufthansa ha acquistato Austrian Airlines con l'approvazione della Commissione europea.
L'11 giugno 2010 è iniziato il servizio tra Francoforte e Tokyo con gli A380.
Anni 2010: crisi e ristrutturazione
Dopo una perdita di 381 milioni di euro nel primo trimestre del 2010 e un'altra perdita di 13 milioni nel 2011 a causa della recessione economica e dei costi di ristrutturazione, Deutsche Lufthansa AG ha tagliato 3.500 posizioni amministrative o circa il 20% del totale impiegatizio di 16.800. Nel 2012, Lufthansa ha annunciato un programma di ristrutturazione chiamato SCORE per migliorare il proprio profitto operativo. Come parte del piano di ristrutturazione, la compagnia ha iniziato a trasferire tutti i voli a corto raggio al di fuori dei suoi hub di Francoforte, Monaco e Düsseldorf alla compagnia aerea ribattezzata Germanwings.
Nel settembre 2013, Lufthansa Group ha annunciato il suo ordine per 59 aeromobili a fusoliera larga per un valore di oltre 14 miliardi di euro a prezzi di listino. All'inizio dello stesso anno, Lufthansa ha effettuato un ordine per 100 velivoli a fusoliera stretta di nuova generazione.
Il gruppo ha avuto una disputa con il sindacato Vereinigung Cockpit che richiedeva un programma in cui i piloti avrebbero potuto ritirarsi all'età di 55 anni, con il 60% della loro paga trattenuto, cosa che Lufthansa insisteva non fosse accessibile. I piloti della Lufthansa, insieme a quelli della Germanwings, organizzarono uno sciopero nazionale a sostegno delle loro richieste nell'aprile 2014 che durò tre giorni, e uno sciopero di sei ore alla fine delle vacanze estive nel settembre 2014, che causò la cancellazione di 200 voli della Lufthansa e 100 voli della Germanwings.
Nel novembre 2014, Lufthansa ha firmato un accordo di esternalizzazione del valore di 1,25 miliardi di dollari con IBM che ha visto la società statunitense rilevare la divisione dei servizi di infrastruttura IT e il personale della compagnia aerea.
Nel giugno 2015, Lufthansa ha annunciato l'intenzione di chiudere la sua piccola base a lungo raggio all'aeroporto di Düsseldorf per motivi economici entro ottobre 2015. All'epoca, la base era composta da due Airbus A340-300 che ruotavano tra Newark e Chicago. Di conseguenza, il servizio per Chicago da Düsseldorf è stato dapprima reso stagionale, sospeso per la stagione invernale 2015 e poi annullato del tutto. La rotta Düsseldorf-Newark si è conclusa il 30 novembre 2018, operata con un Airbus A330-300.
Il 22 marzo 2016 Lufthansa ha concluso le operazioni dei suoi Boeing 737-500. L'ultimo Boeing 737 della compagnia aerea (un 737-300) è stato ritirato il 29 ottobre 2016, dopo un volo da Milano a Francoforte. Lufthansa ha operato il 737 in diverse varianti per quasi 50 anni; il primo aereo era stato consegnato il 27 dicembre 1967.
Il 4 dicembre 2017, Lufthansa è diventata la prima compagnia aerea europea a ricevere la certificazione Skytrax a 5 stelle. Come affermato da Skytrax, un fattore chiave nel rating positivo è stato l'annuncio di una nuova cabina e posti a sedere in Business Class che avrebbe dovuto essere introdotta nel 2020. Mentre questo fa di Lufthansa la decima compagnia aerea a detenere questo premio, in realtà la quinta stella è stata assegnata a un prodotto che avrebbe dovuto essere introdotto due anni dopo la valutazione. Per festeggiare, Lufthansa ha dipinto un Airbus A320 e un Boeing 747-8 nella livrea "5 Starhansa".
Nel marzo 2018, Lufthansa e altre compagnie aeree come British Airways e American Airlines hanno accettato una richiesta da Pechino di inserire Taiwan come parte della Cina.
Nel marzo 2019, Lufthansa ha ordinato 20 Boeing 787-9 e altri 20 Airbus A350-900 per la sostituzione e l'espansione della flotta propria e del gruppo. Inoltre, la compagnia aerea ha annunciato che rivenderà sei A380 ad Airbus, a partire dal 2022.
Anni 2020: pandemia e ripresa
Il 19 marzo 2020, Lufthansa ha cancellato il 95% di tutti i voli a causa dei divieti di viaggio causati dalla pandemia di COVID-19. Di conseguenza, la compagnia aerea ha subito perdite di un milione di euro l'ora fino ad aprile 2020. Sebbene Lufthansa abbia ridotto i costi per tutto il 2020, i continui rischi per la salute e le restrizioni di viaggio hanno comunque causato perdite orarie di circa 500.000 euro in media fino all'inizio del 2021.
Il 14 maggio, Hans DeHaan di Lufthansa aveva dichiarato che la compagnia aerea avrebbe ripreso i voli tra Toronto e Francoforte a partire dal 3 giugno; tutti i viaggi internazionali non essenziali erano stati precedentemente vietati. Prima della pandemia, Lufthansa operava 64 voli settimanali tra i due paesi. I piani di recupero della compagnia prevedevano voli cargo ad alta densità per sostituire i clienti paganti. Le compagnie aeree del Lufthansa Group richiedono a tutti i passeggeri di indossare una mascherina mentre sono a bordo.
Il 26 giugno, gli azionisti di Deutsche Lufthansa AG hanno votato a favore dell'accettazione delle misure di capitale e della partecipazione del Fondo di stabilizzazione economica (WSF) della Repubblica federale di Germania a Deutsche Lufthansa AG. In totale, quell'estate Lufthansa ha ricevuto circa 9 miliardi di euro di assistenza governativa.
Nel gennaio 2021, il CEO di Lufthansa Carsten Spohr ha annunciato che l'intera flotta di Airbus A340-600 attualmente in storage sarebbe stata ritirata con effetto immediato e non sarebbe più tornata in servizio. Sempre a causa della pandemia, DLH ha deciso di ritirare la metà dei suoi A380, ovvero 7 dei 14 esemplari posseduti.
Nel settembre 2022, Spohr ha comunicato che la compagnia di volo tedesca è tornata in mani private come prima della pandemia. Lo Stato tedesco è intervenuto per il salvataggio della compagnia tramite l'acquisto di una serie di pacchetti azionari del gruppo; infine è stato ripagato con una plusvalenza di 760 milioni di Euro, pari al 248% della quota da 306 milioni acquistata nel 2021, ovvero, poco meno di due volte e mezzo tanto.
Identità aziendale
Proprietà
Lufthansa era un'impresa statale (e compagnia di bandiera) fino al 1994. Le azioni di Deutsche Lufthansa AG sono quotate in tutte le borse tedesche dal 1966. Oltre al trading di base, vengono negoziate anche elettronicamente utilizzando il sistema Xetra. Alla fine del 2019, il registro degli azionisti mostrava che gli investitori tedeschi detenevano il 67,3% delle azioni (anno precedente: 72,1%). Il secondo gruppo più grande, con il 10,4%, era costituito da azionisti lussemburghesi. Gli investitori statunitensi rappresentavano l'8,1%, seguiti da Irlanda e Regno Unito, ciascuno con il 3,6%. Alla data del bilancio, il 58% delle azioni era detenuto da investitori istituzionali (anno precedente: 53%) e il 42% da privati (anno precedente: 47%). Lansdowne Partners International Ltd. e BlackRock, Inc. erano i maggiori azionisti del Gruppo Lufthansa a fine anno, con il 4,9% e il 3,1% rispettivamente. Durante la crisi dovuta alla pandemia di COVID del 2020, Heinz Hermann Thiele ha aumentato la sua quota a oltre il 12%. Il flottante per le azioni Lufthansa è stato del 67% nel 2020, come da definizione della Deutsche Börse.
Salvataggio del governo tedesco
Il governo tedesco ha offerto un salvataggio di 9 miliardi di euro per sostenere la compagnia aerea attraverso problemi economici indotti dalla pandemia di COVID-19. Con questo piano di salvataggio, la partecipazione del governo nella compagnia aerea è aumentata al 20%, diluendo le quote di azionisti esistenti. Gli azionisti della compagnia hanno approvato il piano di salvataggio giovedì 26 giugno, offrendo alla compagnia aerea una nuova prospettiva di vita.
Nel 2022 Klaus-Michael Kühne diventa il maggior azionista con una quota del 15,01 % con al secondo posto il governo tedesco con il 14,09% .
Quartier generale
La sede aziendale di Lufthansa è a Colonia. Nel 1971, Lawrence Fellows del New York Times descrisse l'allora nuovo quartier generale che Lufthansa occupava a Colonia come "scintillante". Nel 1986, i terroristi bombardarono l'edificio; nessuno rimase ferito. Nel 2006, i muratori hanno posato la prima pietra della nuova sede Lufthansa a Deutz, Colonia. Entro la fine del 2007, Lufthansa prevedeva di trasferire 800 dipendenti, compreso il dipartimento finanziario dell'azienda, nel nuovo edificio. Tuttavia, all'inizio del 2013, Lufthansa ha rivelato l'intenzione di trasferire la sua sede centrale da Colonia a Francoforte entro il 2017.
Diversi reparti Lufthansa non si trovano nella sede centrale; invece si trovano nel Lufthansa Aviation Center dell'aeroporto di Francoforte. Questi dipartimenti includono Corporate Communications, Investor Relations e Media Relations.
Sussidiarie
Interamente controllate
Lufthansa Regional – compagnia aerea regionale
Lufthansa CityLine – compagnia aerea regionale tedesca con sede a Monaco e parte di Lufthansa Regional.
Air Dolomiti – compagnia aerea regionale italiana con sede a Villafranca di Verona e parte di Lufthansa Regional.
Austrian Airlines – la compagnia di bandiera austriaca con base all'aeroporto di Vienna-Schwechat
Swiss International Air Lines – la compagnia di bandiera svizzera con base all'aeroporto di Zurigo.
Edelweiss Air – compagnia aerea charter.
Brussels Airlines – la compagnia di bandiera belga con base all'aeroporto di Bruxelles.
Gruppo Eurowings
Eurowings – compagnia aerea low-cost con base a Düsseldorf.
Eurowings Europe – compagnia aerea low-cost austriaca.
Lufthansa Cargo – compagnia aerea cargo con base a Francoforte, precedentemente German Cargo.
Parzialmente controllate
AeroLogic – compagnia aerea cargo tedesca di proprietà di una joint venture tra Lufthansa (50%) e DHL (50%).
SunExpress – compagnia aerea turca di proprietà di Lufthansa (50%) e Turkish Airlines (50%).
Controllate in precedenza
British Midland International (2009-2011) – compagnia aerea britannica venduta all'International Airlines Group e confluita in British Airways nel 2012
Condor Flugdienst (1959-2004) – acquisita gradualmente dal Thomas Cook Group.
German Cargo (1977-1993) – compagnia aerea cargo, riorganizzata in Lufthansa Cargo
Luftfahrtgesellschaft Walter – compagnia aerea tedesca regionale a basso costo confluita in Eurowings nell'ottobre 2017, venduta a Zeitfracht nel 2019.
Lufthansa Italia (2009-2011) – sussidiaria italiana che condivideva i codici IATA e ICAO e l'indicativo di chiamata con Lufthansa.
SunExpress Deutschland (2011–2020) – sussidiaria tedesca di SunExpress.
Altre sussidiarie
Oltre alle compagnie aeree sopra menzionate, Lufthansa mantiene altre controllate affiliate al trasporto aereo:
Global Load Control, leader mondiale nei servizi di pesatura e bilanciamento a distanza.
LSG Sky Chefs, il più grande fornitore di servizi di catering per compagnie aeree del mondo, che rappresenta un terzo dei pasti delle compagnie aeree del mondo.
Lufthansa Consulting, una società di consulenza aeronautica internazionale per compagnie aeree, aeroporti e industrie correlate.
Lufthansa Flight Training, un fornitore di servizi di formazione per gli equipaggi di varie compagnie aeree e il principale braccio di addestramento per i piloti della compagnia.
Lufthansa Systems, il più grande provider IT europeo per l'aviazione.
Lufthansa Technik, fornitori di servizi di manutenzione per gli aeromobili.
Lufthansa City Center International, una rete di agenti di viaggio indipendenti affiliati a Lufthansa.
Lufthansa AirPlus Servicekarten GMBH, (AirPlus International) società di pagamento viaggi tramite UATP e Mastercard.
Storia del marchio
Il logo di Lufthansa, una gru stilizzata in volo, venne creato nel 1918 da Otto Firle. Faceva parte della livrea della prima compagnia aerea tedesca, la Deutsche Luft-Reederei (abbreviata DLR), che iniziò i servizi il 5 febbraio 1919. Nel 1926, la Deutsche Luft Hansa adottò questo simbolo e nel 1954 Lufthansa espresse continuità adottandolo.
Si ritiene che il creatore originale del nome Lufthansa sia F.A. Fischer von Puturzyn. Nel 1925 pubblicò un libro intitolato "Luft-Hansa" che esaminava le opzioni a disposizione dei responsabili delle politiche aeronautiche in quel momento. Luft Hansa era il nome dato alla nuova compagnia aerea, risultato della fusione della Junkers (Luftverkehr AG) e Deutscher Aero Lloyd.
Dopo la seconda guerra mondiale, l'azienda mantenne il blu e il giallo come colori principali e il logo della gru. Dall'inizio degli anni sessanta, Helvetica viene utilizzato per il nome dell'azienda sulla livrea, che in quegli anni presentava la metà superiore della fusoliera dipinta di bianco e la fusoliera inferiore (metà inferiore, compresi i motori) era in alluminio grigio/argento, sotto la fascia dei finestrini in blu e un muso dipinto di nero. Il logo della gru era dipinto di blu sui motori, sulla metà inferiore della fusoliera appena sotto i finestrini e su un cerchio giallo all'interno di una fascia blu sulla coda.
Il tedesco Otl Aicher creò un design aziendale completo per la compagnia aerea nel 1967. Il logo della gru era ora sempre visualizzato in un cerchio che, sulla livrea, era giallo su una coda altrimenti blu. Helvetica continuò a essere utilizzato come carattere tipografico principale sia per la livrea che per le pubblicazioni. La banda blu e lo schema di verniciatura generale del velivolo sono stati mantenuti dalla livrea precedente.
Il concetto di Aicher venne mantenuto nel progetto del 1988. La fascia dei finestrini venne rimossa e la fusoliera dipinta di grigio.
Nel 2018, Lufthansa ha rinnovato la propria livrea. La gru è stata mantenuta, tuttavia, lo sfondo è stato cambiato da giallo a blu scuro. Lo stabilizzatore verticale e la fusoliera posteriore sono dipinti in blu scuro, con il cono di coda bianco. La fusoliera principale è dipinta di bianco e il marchio "Lufthansa" è dipinto sopra i finestrini, anch'esso in blu scuro.
Cabina
Prima classe
La prima classe è offerta sulla maggior parte degli aeromobili a lungo raggio (la parte anteriore del ponte superiore di tutti gli Airbus A380 e la parte anteriore del ponte principale di tutti i Boeing 747-8I). Ogni posto può essere convertito in un letto da 2 metri, include prese di corrente per laptop e strutture per l'intrattenimento. I pasti sono disponibili su richiesta. Lufthansa offre banchi per il check-in di prima classe dedicati nella maggior parte degli aeroporti e offre lounge dedicate a Francoforte e Monaco, nonché un terminal di prima classe a Francoforte. I passeggeri in arrivo hanno la possibilità di utilizzare le strutture di arrivo di prima classe di Lufthansa, nonché la nuova Welcome Lounge. Lufthansa ha introdotto un nuovo prodotto di prima classe a bordo dell'Airbus A380 e prevede di introdurlo gradualmente su tutti i suoi aerei a lungo raggio. Con il nuovo programma SCORE, introdotto per aumentare i profitti di 1,5 miliardi di euro negli anni successivi, LH ha interrotto l'espansione delle rotte e ridotto notevolmente le sue offerte di First Class sulla maggior parte delle rotte.
Business class
La Business Class è offerta su tutti gli aeromobili. I sedili possono essere convertiti in letti reclinabili da 2 metri (6 piedi 7 pollici) e includono prese di corrente per laptop e strutture per l'intrattenimento. Lufthansa offre banchi check-in Business Class dedicati in tutti gli aeroporti, nonché lounge Business Class dedicate nella maggior parte degli aeroporti, o lounge convenzionate in altri aeroporti, nonché la Lufthansa Welcome Lounge all'arrivo a Francoforte. A partire dal 2014, la Business Class su tutti gli aeromobili a fusoliera larga è dotata di sedili reclinabili. Lufthansa ha rilasciato i piani per una nuova business class che verrà rilasciata sul Boeing 777-9X nel 2024.
Premium economy
Introdotta nel 2014, la Premium Economy di Lufthansa è presente su tutti gli aeromobili a lungo raggio. Simile nel design alle cabine Premium Economy di Air Canada o World Traveller Plus di British Airways, la Premium Economy presenta un passo di 38 pollici (970 mm) e una larghezza fino a 3 pollici (76 mm) in più rispetto alla classe economy, a seconda dell'aeromobile. I sedili sono inoltre dotati di uno schermo di intrattenimento personale sullo schienale da 11 o 12 pollici (280 o 300 mm) e di un bracciolo più grande che separa i sedili. Insieme alla prevista introduzione del Boeing 777-9X, la compagnia prevede di aggiungere una nuova cabina Premium Economy con un design "a guscio". Questi sedili verranno installati anche sui Boeing 777-300ER e sugli Airbus A340-300 di Swiss rispettivamente dal primo e dal secondo trimestre del 2021.
Economy
La classe Economy di lungo raggio di Lufthansa è offerta su tutti gli aeromobili. Tutti i sedili hanno un passo di 31 pollici (790 mm) tranne gli Airbus A380, che hanno un passo di 33 pollici (840 mm). I passeggeri ricevono pasti e bevande gratuite. L'intera flotta offre schermi Audio-Video-On-Demand (AVOD).
Servizi
Lounge e terminal
Lufthansa gestisce quattro tipi di lounge all'interno della sua rete di destinazione: First Class, Senator, Business e Welcome Lounge. Ciascuna lounge di partenza è accessibile sia tramite classe di viaggio, sia tramite lo stato Miles & More/Star Alliance; la Welcome Lounge è riservata ai passeggeri premium del Gruppo Lufthansa e United Airlines.
Lufthansa gestisce anche un terminal dedicato di prima classe all'aeroporto di Francoforte. Primo terminal del suo genere, l'accesso è limitato solo ai membri Lufthansa First Class in partenza. Circa 200 dipendenti si prendono cura di circa 300 passeggeri al giorno nel terminal, che dispone di un ristorante a servizio completo, bar completo, cigar lounge, sale relax e uffici, nonché bagni. Gli ospiti vengono portati direttamente al volo in partenza da Mercedes-Benz Classe S, Porsche Cayenne, Porsche Panamera o Mercedes-Benz Classe V.
Miles & More
Miles & More è il programma frequent flyer del gruppo Lufthansa che premia i passeggeri più fedeli attribuendo un numero di punti/miglia per ogni viaggio effettuato con Adria Airways, Air Dolomiti, Air One (fino a marzo 2009), Austrian, Croatia Airlines, Polskie Linie Lotnicze LOT, Lufthansa, Lufthansa Private Jet, Lufthansa Regional, Swiss.
Si possono accumulare punti anche volando con i partner aerei di Star Alliance, con altri partner aerei (Aegean Airlines, Air Astana, Air India, Air Malta, Condor, Ethiopian Airlines, Air Serbia, Luxair, Qatar Airways, TAM) e vari altri partner (alberghi, autonoleggi, telecomunicazioni, servizi finanziari, ed altri ancora), grazie ai quali – raggiunto un certo numero – si possono richiedere viaggi premio, usufruire di sconti e promozioni, accedere ai club esclusivi e godere di vantaggi e servizi.
Destinazioni
Al 2022, Lufthansa opera voli di linea verso Algeria, Angola, Argentina, Armenia, Azerbaijan, Bahrein, Brasile, Canada, Cina, Colombia, Corea del Sud, Costa Rica, EAU, Egitto, Europa, Georgia, Guinea Equatoriale, Hong Kong, India, Iran, Iraq, Israele, Giappone, Giordania, Kazakhstan, Kenya, Kuwait, Libano, Maldive, Marocco, Messico, Nigeria, Singapore, Sud Africa, Tanzania, Thailandia e Stati Uniti, oltre a voli verso le destinazioni domestiche.
Accordi commerciali
Al 2022 Lufthansa ha accordi di code-share con le seguenti compagnie:
Aegean Airlines
Air Astana
airBaltic
Air Canada
Air China
Air Dolomiti
Air India
Air Malta
Air New Zealand
All Nippon Airways
Asiana Airlines
Austrian Airlines
Avianca
Brussels Airlines
Cathay Pacific
Copa Airlines
Croatia Airlines
EgyptAir
Ethiopian Airlines
Etihad Airways
Eurowings
Iran Air
ITA Airways
LATAM Airlines
LOT Polish Airlines
Luxair
Scandinavian Airlines
Shenzhen Airlines
Singapore Airlines
South African Airways
SunExpress
Swiss International Air Lines
TAP Air Portugal
Thai Airways International
Turkish Airlines
United Airlines
Vistara
Alleanze
Il 14 maggio 1997 Lufthansa è entrata a far parte di Star Alliance.
Flotta
Flotta attuale
A dicembre 2022 la flotta di Lufthansa è così composta:
Flotta storica
Lufthansa operava in precedenza con i seguenti aeromobili:
Incidenti
L'11 gennaio 1959, il volo Lufthansa 502, un Lockheed Super Constellation, mentre operava la tratta tra il Senegal e il Brasile, si schiantò vicino alla spiaggia di Flecheiras, poco prima della pista. Tutti i 29 passeggeri e sette dei dieci membri dell'equipaggio rimasero uccisi. Fu il primo incidente mortale che coinvolse Lufthansa da quando si era formata nel 1955.
Il 28 gennaio 1966, il volo Lufthansa 005, un Convair CV-440, subì uno stallo aerodinamico durante l'avvicinamento a Brema. Nell'incidente persero la vita tutti i 46 passeggeri. A bordo dell'aereo, partito da Francoforte, vi era una selezione della nazionale italiana di nuoto, accompagnata dallo staff tecnico e dal giornalista RAI Nico Sapio, diretta al meeting di Brema, uno dei più prestigiosi eventi della stagione.
Tra il 22 e il 23 febbraio 1972, il volo Lufthansa 649, un Boeing 747-200B, venne dirottato da un gruppo palestinese. Alla fine, tutti gli ostaggi furono rilasciati quando il governo della Germania Ovest pagò un riscatto di 5 milioni di dollari.
Il 29 ottobre 1972, il volo Lufthansa 615, un Boeing 727-100, venne dirottato da un gruppo palestinese allo scopo di richiedere la liberazione dei tre autori sopravvissuti del massacro di Monaco da una prigione della Germania Ovest.
Il 20 novembre 1974, il volo Lufthansa 540, un Boeing 747-100, precipitò e prese fuoco poco dopo il decollo dall'aeroporto internazionale Jomo Kenyatta di Nairobi. Questo fu il primo incidente con vittime per famiglia dei Boeing 747. Persero la vita 59 dei 157 a bordo.
Tra il 13 e il 18 ottobre 1977, il volo Lufthansa 181, un Boeing 737-200, venne dirottato da quattro membri del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina che formarono il "Commando Martyr Halima". L'obiettivo del dirottamento era di assicurare il rilascio dei leader della Rote Armee Fraktion, rinchiusi nelle carceri tedesche. Nelle prime ore del 18 ottobre, subito dopo la mezzanotte, il gruppo antiterrorismo della Germania Ovest, il GSG 9, sostenuto dalle forze armate somale, prese d'assalto l'aereo a Mogadiscio, in Somalia, che si concluse con il salvataggio di 90 passeggeri.
Il 26 luglio 1979, il volo Lufthansa 527, un Boeing 707-330C operante un volo cargo, colpì una montagna poco dopo il decollo da Rio de Janeiro, in Brasile. Tutti i tre occupanti persero la vita.
L'11 febbraio 1993, il volo Lufthansa 592, un Airbus A310-300, venne dirottato da Nebiu Demeke, un uomo etiope in cerca di asilo che costrinse il pilota a volare verso l'aeroporto internazionale John F. Kennedy di New York City. L'aereo atterrò in sicurezza e l'uomo, armato, si arrese pacificamente e senza incidenti. Fu accusato di dirottamento aereo da un tribunale distrettuale degli Stati Uniti e condannato a 20 anni di reclusione.
Il 14 settembre 1993, il volo Lufthansa 2904, un Airbus A320-200, uscì di pista durante l'atterraggio all'aeroporto di Varsavia-Chopin, provocando la morte di due occupanti. La causa principale dell'incidente furono le decisioni e le azioni errate dell'equipaggio. Alcune di queste furono prese dopo la ricezione delle informazioni meteorologiche relative ai wind shear, prodotti dal fronte sopra l'aeroporto, accompagnato da un'intensa variazione dei parametri del vento e da forti piogge sulla pista stessa.
L'11 giugno 2018, un Airbus A340-300, marche D-AIFA, veniva rimorchiato all'aeroporto di Francoforte, in Germania, quando scoppiò un incendio nel veicolo che lo stava trainando. L'aereo subì danni sostanziali al muso e alla sezione della cabina di pilotaggio. Dieci membri del personale dell'aeroporto, composto da personale di terra e soccorritori, riportarono ferite lievi a causa dell'inalazione di fumo. L'A340, ormai danneggiato irreparabilmente, venne ritirato dal servizio.
Note
Bibliografia
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Compagnie aeree tedesche
Compagnie aeree di bandiera
Membri di Star Alliance |
2683 | https://it.wikipedia.org/wiki/La%20vita%2C%20l%27universo%20e%20tutto%20quanto | La vita, l'universo e tutto quanto | La vita, l'universo e tutto quanto (Life, the Universe and Everything) è un romanzo di fantascienza umoristica del 1982 scritto da Douglas Adams, terzo libro della serie della Guida galattica per gli autostoppisti.
Trama
Arthur Dent vaga impazzito sulla Terra preistorica, dove era naufragato al termine del precedente romanzo insieme al suo amico Ford Prefect. Ad un certo punto inseguendo la visione di un divano che cammina si ritrova ai nostri giorni nel bel mezzo di una partita di cricket. Mentre la partita è al culmine un'astronave atterra sul campo ed un esercito di robot assale i giocatori. Da questa introduzione si dipana una storia che porterà i protagonisti sulle tracce della Porta Wikkit, un congegno che era stato messo anticamente in opera per suggellare la fine delle Guerre di Krikkit, un pianeta arretrato dove l'improvvisa apparizione di una astronave (che risulterà poi essere finta) aveva scatenato una reazione xenofoba negli abitanti i quali si erano quindi lanciati in una guerra senza quartiere per distruggere tutte le altre forme di vita dell'Universo.
Alla fine si scopre che all'origine di tutto c'era Hactar, un antico computer frustrato dal fatto di non aver obbedito all'ordine che i suoi antichi padroni, i demoniazzi dilastici, gli avevano impartito. Arthur e compagni riescono a far desistere gli abitanti di Krikkit dal loro progetto e salvano così la galassia. Sul finale torna il tema della risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto, quando i protagonisti incontrano e salvano Prak, un uomo che, per essere stato sottoposto ad una dose eccessiva di siero della verità durante un processo conosce "solo la verità, tutta la verità, nient'altro che la verità". La rivelazione di Prak ad Arthur è che domanda e risposta non possono convivere nello stesso universo. Prak rivela però che il senso della vita e la verità assoluta possono essere trovati nel cosiddetto Messaggio Finale di Dio al Creato, il messaggio che, secondo Prak, Dio ha lasciato agli esseri viventi prima di scomparire. Arthur decide quindi di partire per leggere questo Messaggio.
Edizioni
I romanzi della Guida
Guida galattica per gli autostoppisti, Urania N. 843, 1980 (The Hitchhiker's Guide to the Galaxy, 1979).
Ristorante al termine dell'Universo, Urania N. 968, 1984 (The Restaurant at the End of the Universe, 1980).
La vita, l'universo e tutto quanto, Urania N. 973, 1984 (Life, the Universe and Everything, 1982).
Addio, e grazie per tutto il pesce, Urania N. 1028, 1986 (So Long, and Thanks for All the Fish, 1984).
Praticamente innocuo, Urania N. 1209 (Mostly Harmless, 1992).
E un'altra cosa..., Strade Blu, 2010 (And An Other Thing..., 2009).
Voci correlate
Personaggi della Guida galattica per gli autostoppisti
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Romanzi di Guida galattica per gli autostoppisti
Romanzi umoristici |
2690 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lirica | Lirica | Poesia lirica – un genere letterario o un'opera di tale genere letterario
Opera – un genere teatrale e musicale o un'opera di tale genere teatrale e musicale
Sinonimo di Aria da camera – composizione musicale per voce su un testo poetico.
Lirica – rivista di contenuto letterario
Lirica – nome croato dell'isola di Alessandria, in Dalmazia
Lirica – Strumento musicale ad arco, chiamato anche lijerica |
2692 | https://it.wikipedia.org/wiki/Lipogramma | Lipogramma | Un lipogramma () è costituito da un testo in cui non può essere usata una determinata lettera. In pratica, si prende un testo normale e lo si riscrive sostituendo ogni parola che contiene la lettera proibita con un suo sinonimo che non la contiene.
Il lipogramma nell'antichità
Sono da ricordare gli esempi di Nestore di Laranda (III secolo d.C.) e Trifiodoro (III secolo d.C.), che rielaborarono, in forma di lipogramma, rispettivamente l'Iliade e l'Odissea. Ad essi va aggiunto il grammatico Fabio Planciade Fulgenzio (V-VI secolo d.C.), autore di un De aetatibus mundi et hominis. In ogni canto non veniva usata la lettera corrispondente nell'ordine alfabetico.
Esempi letterari moderni
Lo scrittore Georges Perec (membro dell'OuLiPo) è riuscito a scrivere un intero romanzo, La scomparsa (La Disparition), senza mai usare la lettera "e". Ad esso ha fatto seguito un secondo lipogramma, in forma di specchio del precedente, intitolato Le ripetizioni (Les revenentes), nel quale lo scrittore utilizza come unica vocale, in tutto il testo, proprio la lettera "e". Si tratta dunque di un lipogramma, o una sua variante (vedi oltre), in "a", "i", "o", "u" ed "y" (anche quest'ultima lettera rientrante tra le vocali in francese).
Umberto Eco, ne Il secondo diario minimo (Bompiani, 1992), propone "Undici nuove danze per Montale". Partendo dalla poesia di Montale Addio, fischi nel buio, cenni, tosse, crea undici varianti che escludono via via le vocali. Le ultime due varianti (quella in "solo U" e quella "Pangramma eteroletterale (vengono usate una sola volta tutte le 26 lettere dell'alfabeto)" sono spiegate e completate da chiose.
Lo scrittore statunitense Mark Dunn ha pubblicato un romanzo in lipogrammi progressivi intitolato Ella Minnow Pea (in italiano: "Lettere. Fiaba epistolare in lipogrammi progressivi". Traduzione a cura di Daniele Petruccioli). Man mano che il racconto procede, l'autore smette di utilizzare una ad una le lettere dell'alfabeto, fino a giungere ad interi capitoli scritti utilizzandone solo tre o quattro.
La storia "Sfida a Topolinia", scritta da Tito Faraci e disegnata da Giorgio Cavazzano, non contiene mai la lettera "E". Pubblicata originariamente su Topolino 2174, era accompagnata da un concorso in cui si chiedeva ai lettori di scoprire cosa mancasse nella storia.
Paolo Albani ha composto il primo libro lipogrammato in "a", cioè interamente scritto senza usare la lettera "a", in Italia pubblicato nelle edizioni Oplepo nel 2021, intitolato Foglietti di bordo (giugno-dicembre 20**).
Nella musica
È stato sperimentato il lipogramma anche in musica nella Canzone senza R, scritta da Stefano Calabrese nel 1997. Il testo scherza proprio sulla lettera R che non viene mai pronunciata salvo nell'intenzionale "Urrà!" finale. L'inciso del brano è una chiara dedica a chi ha la caratteristica del rotacismo:
Varianti
Oltre ai lipogrammi ufficiali si possono includere quindi nella categoria anche altri testi con vincoli (in questo caso lipogrammi solo per estensione). Ad esempio, un testo monovocalico, cioè in cui si usa un'unica vocale (come nell'esempio, già visto, di Perec) è, in pratica, un lipogramma su più lettere, cioè un testo in cui non si possano usare tutte le altre vocali.
Un esempio di testo monovocalico in "o" (lipogramma in "a", "e", "i" ed "u") può venire dal seguente testo, Sfogo d'orco.
Voci correlate
Tautogramma
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Ludolinguistica |
2693 | https://it.wikipedia.org/wiki/Long%20Island%20%28disambigua%29 | Long Island (disambigua) |
Geografia
Antigua e Barbuda
Long Island – isola
Australia
Long Island – isola nel fiume Hawkesbury, Nuovo Galles del Sud
Long Island – isola dell'arcipelago Whitsunday, Queensland
Long Island – isola della Tasmania
Bahamas
Long Island – isola
Canada
Long Island – nome di varie isole
Namibia
Long Island – due isole (Nord e Sud) delle isole dei Pinguini
Nuova Zelanda
Long Island – nome di varie isole
Papua Nuova Guinea
Long Island – nome di varie isole
Stati Uniti d'America
Long Island – isola dell'Arcipelago Alexander, Alaska
Long Island – città della Contea di Phillips, Kansas
Long Island – città della Contea di Cumberland, Maine
Long Island – città della Contea di Campbell, Virginia
Long Island – isola dello Stato di New York
Altro
– peschereccio da traino a vapore acquistato dall'United States Navy il 18 aprile 1917 e venduto 1º dicembre 1919.
– portaerei di scorta, capoclasse dell'omonima classe e prima unità in quel ruolo, varata l'11 gennaio 1940 e venduta il 24 aprile 1947.
Long Island – cocktail, il cui nome completo è Long Island Ice Tea |
2699 | https://it.wikipedia.org/wiki/Poliziesco | Poliziesco | Il poliziesco è il genere, non solo letterario, che con il giallo più si è identificato nel corso degli anni, infatti negli altri sottogeneri o derivati del giallo (ad esempio il thriller o la spy story), il racconto delle indagini svolte non ha la stessa importanza fondamentale che ha nel poliziesco, dove invece quasi tutto è imperniato su questo elemento. Questo ampio genere letterario viene indicato in lingua inglese con il termine detective fiction, per evidenziare la presenza nel racconto di uno o più investigatori (dilettanti o professionisti) che svolgono un'indagine su un crimine.
Il genere poliziesco
Gli elementi principali che contraddistinguono il poliziesco sono:
un delitto (di qualsiasi natura) compiuto o in corso
uno o più investigatori
le indagini sul crimine svolte con sistemi scientifici
lo scioglimento finale dell'intreccio
Di norma la storia poliziesca narrata si conclude nel momento in cui terminano le indagini sul crimine. Il genere poliziesco non raccoglie solo i romanzi in cui le indagini sono condotte direttamente dalla polizia, o da un investigatore "dilettante" che adotta i sistemi tipici della polizia, ma anche quelli in cui la vicenda è rappresentata come sfida alle forze dell'ordine. In ambito anglosassone ci si riferisce a questo particolare ed ampio sottogenere del giallo con il termine detective fiction o detective story.
Proprio perché racconti d'indagine con metodi di polizia, anche molti romanzi del sottogenere deduttivo possono quindi essere classificati come polizieschi.
Volendo applicare una suddivisione netta fra i sottogeneri del giallo, appartengono al filone del poliziesco tutte le storie d'indagine con un antefatto delittuoso e con un'attività di ricerca per scoprirne l'autore, ed in particolare:
giallo deduttivo
hard boiled
noir
police procedural
Esistono altre possibili classificazioni del genere poliziesco, fra queste quella fornita dal critico bulgaro Cvetan Todorov, per il quale nella detective fiction esistono 3 principali sottogeneri fra loro correlati:
Whodunit (il classico giallo deduttivo)
Thriller
Suspense
Secondo Todorov a partire dalle regole del giallo deduttivo è possibile definire le caratteristiche del genere detective fiction, dato che sia il thriller sia il suspense sono sottogeneri derivati dal whodunit. Il whodunit presenta due storie, la storia di un crimine e la storia di un'indagine, e queste due storie - nella forma più pura di giallo deduttivo - non hanno nulla in comune: dove finisce la prima inizia la seconda.
Storia del poliziesco
Le origini
Essendo il poliziesco il primo e più antico fra i sottogeneri del giallo, la storia del poliziesco in gran parte coincide con la storia del giallo.
Al di fuori della letteratura occidentale esiste anche un'antica tradizione cinese di detective stories che comprende i romanzi Bao Gong An (in cinese 包公案) e Di Gong An (in cinese 狄公案) del XVIII secolo. Il secondo dei due è stato tradotto in inglese dal sinologo olandese Robert van Gulik, che riutilizzò in seguito anche lo stile ed i personaggi per scrivere una serie originale di romanzi con protagonista il giudice Dee. L'investigatore in questi romanzi è un giudice o un altro pubblico ufficiale basato comunque su un personaggio storico, quali ad esempio il giudice Bao (Bao Qingtian) o il giudice Dee (Di Renjie). Sebbene i personaggi storici sono vissuti in periodi precedenti (ad esempio durante i periodi delle dinastie Song o Tang) i romanzi sono spesso ambientati durante i successivi periodi Ming o Qing.
Nel 1557 viene pubblicata a Venezia la traduzione di Cristoforo Armeno in italiano di un testo in lingua persiana, Peregrinaggio di tre giovani figliuoli del re di Serendippo, un racconto che presenta alcuni elementi tipici del poliziesco e che a sua volta ispirò Voltaire per il racconto Il cane e il cavallo contenuto in Zadig del 1748.
Elementi che apparterranno al poliziesco si ritrovano anche nei romanzi gotici, genere molto in voga fra XVIII e XIX secolo. Risale alla fine del XVIII secolo il romanzo Caleb Williams (Things as They Are or The Adventures of Caleb Williams, 1794) dell'inglese William Godwin (1756-1836) che, sebbene non sia un poliziesco in senso moderno, presenta numerosi temi ricorrenti del genere: il delitto non spiegato, la fuga e l'inseguimento, l'indagine su basi psicologiche ed un epilogo a sorpresa. Uno dei più vicini precursori di Poe può essere considerato l'inglese Edward Bulwer-Lytton (1803-1873), che introduce nelle trame di alcuni dei suoi romanzi (ad esempio Pelham: or The Adventures of a Gentleman del 1828, The Disowned del 1829, Paul Clifford del 1830 e Eugene Aram del 1832) misteri da risolvere e criminali.
L'Ottocento
Sebbene il norvegese Maurits Hansen abbia scritto nel 1839 Mordet på Maskinbygger Rolfsen (L'assassinio del motorista Rolfsen), romanzo dalla struttura poliziesca che può essere considerato la prima detective story, l'origine ufficiale del genere tradizionalmente viene fatta coincidere con il racconto del 1841 I delitti della Rue Morgue di Edgar Allan Poe.
In questo e nei successivi racconti Il mistero di Marie Roget e La lettera rubata il protagonista è Auguste Dupin, il primo vero investigatore della storia della letteratura che diventerà l'archetipo per tutti i futuri investigatori della storia del giallo. Ispirati dallo Zadig di Voltaire e dalle memorie di Eugène-François Vidocq, i racconti con Auguste Dupin segnano l'inizio della storia del giallo deduttivo, che per circa un secolo è stato il genere poliziesco di maggior successo, in particolare fra il 1920 ed il 1940, epoca chiamata in seguito Età d'oro del giallo.
Altri esempi di indagini e situazioni tipiche del poliziesco si ritrovano nei romanzi degli autori inglesi Charles Dickens, soprattutto in Casa Desolata del 1853 ed Il mistero di Edwin Drood del 1870, rimasto incompiuto, e Wilkie Collins, in particolare La donna in bianco del 1859 e La pietra di Luna del 1868. Il nuovo genere si diffonde negli stessi anni anche al di fuori dell'ambito anglosassone: l'italiano Francesco Mastriani nel 1852 pubblicò a puntate il romanzo d'appendice Il mio cadavere, in cui compare la figura di un medico investigatore, il dottor Weiss; in Francia con i romanzi di Émile Gaboriau (fra cui L'affare Lerouge del 1863 ed Il dramma d'Orcival del 1867) e nei quali indaga Lecocq, poliziotto della Sûreté, creato anch'egli sul calco di Dupin. Anche nella letteratura russa si trovano esempi di poliziesco in senso lato, si pensi ad esempio al romanzo Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij che, pur non essendo in sé un vero e proprio giallo, contiene tuttavia al suo interno una vera e propria indagine poliziesca intorno al delitto perpetrato. Famosa per essere stata una delle più prolifiche autrici di romanzi gialli, ma anche una delle prime autrici di romanzi gialli nella seconda metà dell'Ottocento, nonché fra le prime a descrivere le vicende dal punto di vista dell'investigatore, è stata la scrittrice irlandese, naturalizzata australiana, Mary Fortune.
Alla fine dell XIX secolo la popolarità del poliziesco continua a crescere, non solo in Europa ma anche negli Stati Uniti dove, accanto ai romanzi di Anna Katharine Green fra cui Il caso Leavenworth del 1878, viene pubblicato nel 1886 The Old Detective's Pupil il primo dei romanzi dedicati al detective Nick Carter, un giallo che dà inizio a una serie molto popolare al limite della mercificazione ed opera di numerosi autori che adoperavano lo pseudonimo comune di Nicholas Carter.
Evento fondamentale e momento di svolta nella storia del poliziesco è la creazione nel 1887 da parte di Arthur Conan Doyle di Sherlock Holmes, il più famoso fra gli investigatori della letteratura, una figura "mitica" che ha superato i limiti del genere giallo. Sherlock Holmes, per il suo immediato e duraturo successo, si impone come modello di investigazione per tutti gli altri autori di polizieschi negli anni seguenti: ad esempio fra i più celebri epigoni di Holmes ci sono Hercule Poirot (il primo romanzo è del 1920), Philo Vance (1926), Ellery Queen (1929) e Nero Wolfe (1934).
Qualche anno dopo viene pubblicato con enorme successo in Gran Bretagna Il grande mistero di Bow (The Big Bow Mystery, 1891) un romanzo di Israel Zangwill che rappresenta una pietra miliare nella storia del poliziesco, dato che probabilmente è il primo vero mistero della camera chiusa, ossia un delitto apparentemente insolubile compiuto all'interno di una camera trovata chiusa. Questo particolare genere di enigma diverrà molto popolare nei decenni seguenti durante l'epoca d'oro del giallo classico, soprattutto grazie alle storie di John Dickson Carr (Le tre bare del 1935), Anthony Boucher (Tre volte sette del 1937) e Clayton Rawson (Morte dal cappello a cilindro del 1938).
Il Novecento
Il nuovo secolo inizia con lo straordinario e duraturo successo, prima in Gran Bretagna poi nel resto del mondo, ottenuto delle storie poliziesche di Edgar Wallace (1875-1932), a partire dal primo romanzo I quattro giusti (The Four Just Men del 1905), che per alcuni aspetti può essere considerato il prototipo del moderno thriller. I polizieschi di Wallace non rispettano alla lettera le regole e gli schemi fissati da Conan Doyle, dato che in essi alla narrazione dell'investigazione si mescolano elementi appartenenti a generi differenti, quali l'avventura ed il feuilleton.
Non c'è solo Wallace a portare diverse novità nel genere, fra i numerosi scrittori attivi in questo periodo ci sono Richard Austin Freeman (1862-1943), con le storie del dottor Thorndyke (il primo romanzo è L'impronta scarlatta del 1907), campione di detection scientifica; lo statunitense Jacques Futrelle con il suo investigatore il professor Augustus F.X. Van Dusen, alias la macchina pensante, (The Thinking Machine, titolo della raccolta di racconti, è del 1907); Mary Roberts Rinehart (1876-1958), prima autrice di gialli psicologici (famoso il suo La scala a chiocciola del 1908); ed il francese Gaston Leroux (1868-1927), creatore del giornalista-detective Rouletabille (esordio letterario Il mistero della camera gialla del 1908) e autore anche del celeberrimo Il fantasma dell'Opera (1911), romanzo che si spinge ben oltre i confini del poliziesco.
Sempre in Francia negli stessi anni fa la sua comparsa Arsène Lupin, il ladro-gentiluomo, quasi un alter ego di Sherlock Holmes ed esattamente come lui destinato a rimanere nell'immaginario collettivo. Lupin, creato nel 1905 da Maurice Leblanc (1864-1941), ed ancora legato alla tradizione del feuilletton, nel corso dei successivi decenni apparirà in numorosi racconti, romanzi ed opere teatrali; le sue avventure proseguiranno anche dopo la morte di Leblanc grazie ad altri scrittori (fra cui la coppia Pierre Boileau e Thomas Narcejac) e passeranno anche al cinema, alla televisione ed ai fumetti. Strettamente legato a Lupin ed alle sue atmosfere è Fantômas, il genio del male creato dalla coppia M. Allain e P. Souvestre ed apparso per la prima volta nell'omonimo romanzo nel 1911.
Altro scrittore fondamentale dell'"epoca eroica" del poliziesco è l'inglese Gilbert Keith Chesterton (1874-1936), autore dell'articolo Difesa del romanzo poliziesco, all'interno del saggio The Defendant (1901), del romanzo L'uomo che fu Giovedì (1907) e di una serie di antologie di racconti dedicati al mite Padre Brown, prete cattolico e detective dilettante che si affida più all'intuizione che alla deduzione sherlockiana per risolvere i casi. L'opera di Chesterton, importante al di là dei confini di genere, fu ammirata da numerosi intellettuali fra cui Jorge Luis Borges, Ernest Hemingway, Graham Greene e Franz Kafka. Da ricordare per l'originalità della trama è il romanzo La vedova del miliardario (Trent's Last Case, 1913) di Edmund Clerihew Bentley (1875-1956).
L'età d'oro del giallo classico (1920-1940)
Nel periodo compreso fra le due guerre mondiali (1920-40), il genere di storie poliziesche più popolari (principalmente nei paesi anglosassoni, ma anche nel resto del mondo) era una detective story nella quale un investigatore - di solito, ma non sempre, un dilettante esterno alla polizia - conduce delle indagini su un delitto avvenuto in circostanze misteriose in un ambiente "chiuso", delitto presumibilmente commesso da qualcuno appartenente ad un numero limitato di sospetti. Tale genere di storia poliziesca è nota come giallo classico (o giallo deduttivo, whodunnit in inglese). Nel giallo classico di solito lo scrittore narra la storia dal punto di vista di un testimone degli eventi che non riesce a seguire i percorsi logici e deduttivi dell'investigatore alle prese col mistero, conducendo così in valutazioni errate il lettore, il quale alla fine della storia sarà inevitabilmente sorpreso dalla spiegazione dei dettagli del delitto.
Benché anche le storie di Sherlock Holmes e dei suoi immediati epigoni si possano catalogare come gialli deduttivi, il termine più propriamente si riferisce alle storie del cosiddetto periodo d'oro, storie presentate anche come sfida intellettuale fra scrittore e lettore e per le quali valevano quindi un insieme di regole da rispettare (fra queste ci sono il Decalogo di Ronald Knox e le Venti regole per scrivere romanzi polizieschi di S. S. Van Dine).
Figura principale di questo periodo d'oro e del giallo classico in generale è Agatha Christie (1890-1976), detta la regina del giallo, inesauribile creatrice di romanzi-enigma che continuano a riscuotere, a distanza di numerosi anni dalla pubblicazione, grande successo in tutto il mondo. La sua attività letteraria inizia nel 1920 con il romanzo Poirot a Styles Court, prima indagine di Hercule Poirot, ispettore di polizia belga in pensione ed investigatore dalle formidabili capacità deduttive. Negli anni seguenti la Christie crea altri famosi detective, fra cui l'anziana Miss Marple (La morte nel villaggio del 1930) e la coppia Tommy e Tuppence (Avversario segreto del 1922, un mix fra spy-story e poliziesco), personaggi che ritorneranno regolarmente nel corso dei decenni a venire. Alcune storie della Christie non prevedono la presenza di un detective tradizionale e si concentrano sul mistero, fra queste da ricordare il celeberrimo Dieci piccoli indiani del 1940, probabilmente il primo romanzo che tratta di omicidi in serie. Il 1920 è anche l'anno dell'esordio letterario di un altro grande autore britannico del periodo d'oro, vale a dire l'irlandese Freeman Wills Crofts (1879-1957), che pubblica I tre segugi, un poliziesco che non punta a stupire il lettore con colpi di scena e con le qualità deduttive del detective, e che invece propone un'indagine attenta e meticolosa.
Accanto alla Christie si affermano numerose altre scrittrici di polizieschi di provenienza britannica, fra cui Dorothy L. Sayers (1893-1957), creatrice dell'aristocratico Lord Peter Wimsey (Peter Wimsey e il cadavere sconosciuto del 1923), Ngaio Marsh (1895-1982), Margery Allingham (1904-1966), Georgette Heyer (1902-1974) e Josephine Tey (1896-1952). Negli Stati Uniti fa il suo esordio letterario Mignon G. Eberhart (1899-1996), autrice in sessanta anni di numerosi polizieschi basati sul tema ricorrente della "eroina in pericolo" (primo romanzo Patient in Room 18 del 1929).
Il giallo enigma riscuote enorme successo anche negli Stati Uniti: nel 1926 appare La strana morte del signor Benson (The Benson Murder Case), prima indagine del raffinato Philo Vance; tre anni dopo esordisce Ellery Queen, nel doppio ruolo di scrittore ed investigatore. Il personaggio Ellery Queen, inizialmente presentato dai suoi autori quasi come un alter ego di Philo Vance - nel romanzo La poltrona n. 30 (The Roman Hat Mystery, 1929) e nei successivi scritti negli anni '30 - nel corso degli anni acquisirà un suo carattere originale.
Un altro fondamentale autore statunitense di nascita ed inglese di adozione è John Dickson Carr (1906-1977). Carr, creatore di Gideon Fell (Il cantuccio della strega, 1933) e Sir Henry Merrivale (La casa stregata, 1934) ed autore anche di gialli storici, dedicò tutta la sua attività letteraria ad ideare sempre nuove ed ingegnose soluzioni al problema del delitto impossibile.
La scuola hard boiled
Negli Stati Uniti verso la fine degli anni venti del Novecento, il periodo della grande depressione e del proibizionismo, il periodo di Al Capone e dei gangster, hanno grande successo le cosiddette riviste pulp, fra cui la celebre Black Mask. Le riviste pulp pubblicano storie "semplici" e violente, non ci sono enigmi impossibili ma storie di crimini, criminali e poliziotti che usano quasi gli stessi sistemi. Da queste storie e dalle loro atmosfere trae origine la grande svolta letteraria nel poliziesco con l'avvento del genere hard boiled, grazie ad autori come Dashiell Hammett (1894-1961), Raymond Chandler (1888-1959), Jonathan Latimer (1906-1983), Ross Macdonald (1915-1983) e Mickey Spillane (1918-2006).
Hammett, egli stesso detective dell'Agenzia Pinkerton e già autore di racconti per Black Mask, nel 1929 scrive il romanzo Piombo e sangue, dove il protagonista è Continental Op, un investigatore privato (un private eye), alle prese sì con un delitto, ma che deve confrontarsi soprattutto con un ambiente di criminali, mentre nel 1930 esce Il falcone maltese, prima avventura del personaggio più celebre di Hammett, il detective privato Sam Spade.
Il grande continuatore dell'opera di Hammett è Raymond Chandler, anch'egli scrittore per Black Mask ed autore di pochi ma fondamentali romanzi, fra cui Il grande sonno (1939), Addio mia amata (1940) ed Il lungo addio (1953). Rispetto ad Hammett, lo stile di Chandler è più raffinato e misurato e l'atmosfera delle sue storie ha un fondo di malinconia che si adatta benissimo al carattere di Philip Marlowe, l'investigatore solitario e disincantato protagonista dei suoi romanzi.
La scuola hard boiled riscuote successo anche al di fuori degli Stati Uniti, e ciò porta anche autori formatisi lontano dall'ambiente americano ad adottare per le proprie storie quello stile: un esempio è il britannico James Hadley Chase (1906-1985) che in più di quaranta anni di carriera letteraria - cominciata con il celebre Niente orchidee per miss Blandish (No Orchids For Miss Blandish) del 1939 - descrive crimini e criminali di un'America violenta mai conosciuta di persona. Anche un "autore classico" come Ellery Queen, a partire dagli anni sessanta, per adeguarsi alla nuova tendenza ed ai mutati gusti dei lettori, inizia a pubblicare un gran numero di romanzi hard boiled, in realtà scritti da altri autori.
Una voce nuova ed originale nel panorama poliziesco è stata quella dello statunitense Donald E. Westlake (1933-2008), anch'egli legato alla scuola hard boiled, sceneggiatore e autore sia di polizieschi violenti narrati dalla parte del criminale (Anonima carogne del 1962, primo romanzo del lungo ciclo dedicato al rapinatore Parker, firmato da Westlake con lo pseudonimo Richard Stark) sia di gialli più leggeri e ricchi di umorismo (Ma chi ha rapito Sassi Manoon? del 1968, Gli ineffabili cinque del 1970 e La danza degli aztechi del 1975).
Appartengono al classico hard boiled anche le indagini dello scalcinato detective privato Toby Peters, apparso per la prima volta nel 1977 nel romanzo Una pallottola per Erroll Flynn dello scrittore statunitense Stuart M. Kaminsky (1934-2009). I 24 romanzi con Toby Peters sono ambientati nella Los Angeles anni quaranta ed ogni indagine coinvolge uno o più personaggi famosi dell'epoca d'oro del cinema hollywoodiano.
Noir e Police procedural
Le storie, il linguaggio e lo stile della scuola hard boiled, la scuola dei duri, portano a una svolta nella storia del poliziesco che tutti i nuovi autori, anche quelli più legati al genere deduttivo, terranno presente.
Ad esempio i romanzi gialli di impianto classico dello scrittore statunitense Rex Stout (1886-1975), scritti nell'arco di quaranta anni fra il 1934 (La traccia del serpente) ed il 1975 (Nero Wolfe apre la porta al delitto), raccontano le brillanti indagini del corpulento ed ironico Nero Wolfe, investigatore privato assolutamente sui generis. Nero Wolfe svolge le sue indagini su delitti meno complicati di quelli raccontati ad esempio nei romanzi di S.S. Van Dine o di Ellery Queen e si avvale del fondamentale aiuto di Archie Goodwin, personaggio che riprende per alcuni aspetti la figura del detective delle storie hard boiled.
Direzione completamente diversa è invece quella scelta da Cornell Woolrich (1903-1968), anch'egli autore per le riviste pulp fin dal 1934 (Death Sits in a Dentist's Chair per Detective Fiction Weekly). Nelle sue opere Woolrich utilizza in maniera molto personale sia spunti hard boiled sia elementi più classici per creare un nuovo genere, detto in seguito noir, nel quale dominano i temi angosciosi della morte, dell'uomo solo nella metropoli e dell'amore impossibile (fra i suoi romanzi sono da ricordare La sposa era in nero del 1940 e Vertigine senza fine del 1947).
Il poliziesco nel periodo tra le due guerre mondiali parla generalmente in inglese, anche se esistono delle importanti eccezioni che provengono dal piccolo Belgio, vale a dire Stanislas-André Steeman (1908-1970) e, soprattutto, Georges Simenon (1903-1989), il creatore del commissario Maigret (il primo romanzo è Pietro il Lettone del 1931), poliziotto caratterizzato da uno stile diverso da quello dei colleghi anglosassoni e che adotta metodi di indagine originali, basati sull'istinto, sull'intuito e sull'analisi psicologica dei sospetti, piuttosto che sullo studio degli indizi e sulle deduzioni logiche, come è "norma" nel giallo classico.
La fine della seconda guerra mondiale porta altre novità nel poliziesco, una fra le più importanti è il police procedural, filone iniziato ufficialmente nel 1945 con V as in Victim di Lawrence Treat e portato al grande successo dall'italo-americano Ed McBain (1926-2005) con il ciclo dedicato alle indagini dell87º Distretto (primo romanzo L'assassino ha lasciato la firma del 1956). Il police procedural ha come obiettivo di mettere in evidenza i reali metodi di indagine della polizia e mette in grande risalto il lavoro di squadra piuttosto che l'abilità e le doti eccezionali di un singolo investigatore.
McBain non è solo l'autore dell87º Distretto: nel corso della sua lunga carriera scrive anche numerosi romanzi hard boiled, fra cui Bocche di fuoco del 1976 e L'altra parte della città del 1989, e una nuova serie dedicata all'avvocato Matthew Hope, iniziata con L'altra donna (Goldilocks) del 1978.
Un grande successo internazionale ha ottenuto lo statunitense James Ellroy (1948) le cui opere non possono essere catalogate con una semplice etichetta: a partire da Prega detective del 1981 per arrivare ad American Tabloid (1995) ed alla cosiddetta tetralogia di Los Angeles (1987-1992) Ellroy non solo racconta storie di criminali e poliziotti, ma si propone di rileggere la storia americana attraverso questi fatti.
Thriller e giallo storico
Nel secondo dopoguerra continua a crescere la popolarità del genere poliziesco anche al di là dei confini dei paesi anglo-sassoni: fanno il loro esordio nuovi scrittori le cui opere appartengono sia al genere tradizionale (classico deduttivo oppure hard-boiled), sia a generi considerati più moderni, come il thriller (dall'inglese to thrill, rabbrividire) connotato da una particolare carica di tensione.
Del 1962 è la prima avventura (Copritele il volto) dell'ispettore Adam Dalgliesh della scrittrice britannica P. D. James (1920-2014). Dalgliesh è una figura di poliziotto lontano dagli stereotipi del genere: nella finzione letteraria si presenta come un uomo dai modi gentili e dotato di grande sensibilità, oltre che famoso autore di numerosi volumi di poesie. Abbastanza simile al personaggio dell'ispettore Dalgliesh è la figura dell'ispettore Morse di Colin Dexter (1930), anch'egli britannico, la cui prima indagine, L'ultima corsa per Woodstock, è del 1975. Le storie di entrambi i detective sono state in seguito adattate in serial per la televisione.
Negli Stati Uniti le scuole hard-boiled e police-procedural si rinnovano passando attraverso le opere di Bill Pronzini (1943) - creatore del detective Senzanome, le storie di Matt Scudder scritte da Lawrence Block (1938), i polizieschi di Tony Hillerman (1925-2008), che aggiunge il tema etnico ai suoi romanzi nei quali indagano poliziotti appartenenti alla Navajo Tribal Police e i romanzi di Michael Connelly (1956) - creatore del detective Harry Bosch - la cui opera trae ispirazione anche da Raymond Chandler e Ross Macdonald.
Una svolta più radicale nel poliziesco americano la portano James Crumley (1939-2008) ed Edward Bunker (1933-2005). Crumley scrive hard-boiled estremamente violenti, fra cui il memorabile L'ultimo vero bacio del 1978, mentre il poliedrico Bunker, scrittore, attore e produttore cinematografico, porta il suo passato di criminale e la sua esperienza in carcere nei suoi romanzi (Come una bestia feroce del 1973 e Animal Factory del 1977).
Anche i polizieschi di Joe R. Lansdale, autore del ciclo di Hap & Leonard iniziato con Una stagione selvaggia del 1990, si discostano dalle strutture convenzionali, trattando anche argomenti inattesi, quali ad esempio la pedofilia e l'omosessualità. L'opera di Landsale si caratterizza per la presenza di crude descrizioni della realtà del Texas, però gli aspetti violenti, macabri e assurdi sono mitigati dall'umorismo.
L'ampio successo in termini di vendite e popolarità ottenuto dal thriller, un genere derivato dal poliziesco ma che non limita le sue ambientazioni alle storie prettamente di indagini, si riflette nei nuovi filoni del giallo letterario, fra cui il legal thriller (Il socio del 1991 di John Grisham) e le storie sui delitti dei serial killer (da ricordare Il silenzio degli innocenti del 1988 di Thomas Harris ed Il collezionista di ossa del 1997 di Jeffery Deaver).
A partire dagli anni 70 del XX secolo si è affermato ed è divenuto popolare il giallo storico, una variante del giallo di impianto classico, caratterizzata da un'ambientazione storica. Fra i numerosi autori che hanno pubblicato con successo gialli storici si ricordano Ellis Peters (1913-1995), Paul Doherty (1946) e Steven Saylor (1956).
Tra gli autori più recenti va ricordata Anne Perry (1938), autrice di due serie di gialli storici ambientati nella Londra della seconda metà del XIX secolo, una dedicata all'ispettore Thomas Pitt (primo romanzo Il boia di Cater Street del 1979), l'altra all'ispettore William Monk (primo romanzo Il volto di uno sconosciuto del 1990).
Le scuole nazionali
Il poliziesco in Italia
Come già detto a proposito delle origini del genere, l'esempio più antico nella letteratura in italiano di un racconto con elementi di poliziesco (in senso lato) può essere considerato Peregrinaggio di tre giovani figliuoli del re di Serendippo, raccolta di novelle in persiano tradotta da Cristoforo Armeno e pubblicata a Venezia nel 1557.
Un altro romanzo precursore del poliziesco è Il mio cadavere di Francesco Mastriani, pubblicato nel 1853 dall'editore Rossi di Genova. Ma il primo vero romanzo poliziesco in Italia è il romanzo Il cappello del prete (1887) del milanese Emilio De Marchi (1851-1901), una storia delittuosa ambientata a Napoli e caratterizzata anche dal punto di vista psicologico. Rimasto in ombra nei successivi decenni, il giallo italiano ritrova nuova linfa grazie ai romanzi di Augusto De Angelis (1888-1944), creatore del commissario De Vincenzi della Squadra mobile (Il banchiere assassinato, 1935). Le storie del commissario De Vincenzi, alter ego italiano del commissario Maigret, non ebbero grande successo, anche per l'ostilità del regime fascista al genere giallo, considerato un prodotto della cultura anglo-sassone. Finalità propagandistiche e di ordine pubblico spinsero infatti il regime fascista a far "scomparire" il crimine dalle cronache dei giornali e dalla letteratura, tanto che nel 1943 si arrivò addirittura ad imporre il sequestro in Italia di "tutti i romanzi gialli in qualunque tempo stampati e ovunque esistenti in vendita", con la chiusura anche della famosa collana dei gialli Arnoldo Mondadori Editore, visti con sospetto come una sorta di istigazione a sovvertire l'ordine costituito, e perché in contrasto con l'immagine positiva e integra della società italiana che il regime intendeva veicolare.
Scritto subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, il romanzo Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (prima pubblicazione nel 1946, in volume nel 1957) di Carlo Emilio Gadda (1893-1973) è un poliziesco "sperimentale" che va al di là dei confini del genere: adoperando un linguaggio originale che mescola elementi dialettali e lingua colta, Gadda si serve del giallo come strumento per ritrarre la Roma del periodo fascista.
Ricorre alla tecnica del giallo anche il siciliano Leonardo Sciascia (1921-1989), che a partire dagli anni sessanta scrive numerosi romanzi polizieschi (fra cui Il giorno della civetta del 1960 e A ciascuno il suo del 1966). Nei "gialli" di Sciascia la verità non è mai semplice come sembra all'apparenza e la soluzione dell'enigma non ha una funzione consolatoria, come avviene quasi sempre nei gialli classici della tradizione e nel lettore rimane la sensazione di una "giustizia tradita".
Il primo autore italiano ad ottenere riconoscimenti anche al di là dei confini nazionali è stato Giorgio Scerbanenco (1911-1969), il cui esordio nel genere risale al 1940 con il romanzo Sei giorni di preavviso, primo di una serie di cinque romanzi dedicati ad Arthur Jelling, archivista della polizia di Boston. Il grande successo di Scerbanenco si deve ai romanzi dedicati a Duca Lamberti, il primo dei quali è Venere privata del 1966.
Del 1978 è il romanzo Il caso Kodra scritto da Renato Olivieri che apre la saga del commissario Ambrosio (portato sullo schermo da Ugo Tognazzi nel celebre film I giorni del commissario Ambrosio diretto da Sergio Corbucci). Caratteristiche di questi romanzi sono il linguaggio scarno ed immediato, le malinconiche atmosfere milanesi e l'originale figura del personaggio principale, un poliziotto anch'egli malinconico ed introverso, dotato di profonda umanità ed indulgenza nei confronti delle debolezze della natura umana, mascherate dietro l'apparente disincanto e cinismo.
Risale al 1980 Il nome della rosa, giallo storico di Umberto Eco ambientato nel Medioevo, senza dubbio il poliziesco italiano di maggior successo internazionale, tradotto in numerose lingue. Con questo romanzo Eco affronta per la prima volta la narrativa e costruisce sulla struttura del classico giallo deduttivo un'opera ricca di continui riferimenti alla semiotica, all'analisi biblica, agli studi medievali, alla politica ed alla filosofia. Appartengono al giallo storico anche numerosi romanzi di Danila Comastri Montanari, il primo dei quali è Mors tua del 1990, ambientato nella Roma imperiale e con protagonista-investigatore il senatore Publio Aurelio Stazio.
A partire dagli anni 80 del XX secolo comincia una stagione di rinnovata popolarità e fortuna della narrativa poliziesca italiana, segnata non solo dal successo - anche internazionale - della narrativa di Andrea Camilleri e del suo personaggio più fortunato, il commissario Montalbano, ma anche dall'affermazione di un buon numero di nuovi autori, ciascuno caratterizzato da uno stile personale, fra cui Carlo Lucarelli, Loriano Macchiavelli, Gianrico Carofiglio, Giorgio Faletti, Massimo Carlotto e Enrico Teodorani. Come ha evidenziato Giuliana Pieri, il "nuovo" poliziesco italiano difficilmente può essere limitato ai confini del genere di fattura "artigianale" e di evasione e rientra a pieno titolo nella letteratura italiana "senza etichette".
Il poliziesco in Francia
Nel 1829 Balzac (1799-1850) pubblica Gli Sciuani (Les Chouans), un romanzo del ciclo la commedia umana che per certi aspetti preannuncia il poliziesco: in questo romanzo esordisce il personaggio di Corentin, presunto figlio naturale di Joseph Fouché, un poliziotto che assume anche il ruolo di agente segreto. Corentin ritorna anche nei successivi romanzi Une ténébreuse affaire, Splendeurs et misères des courtisanes e Les Petits Bourgeois.
Émile Gaboriau (1832-1873) pubblica nel 1863 il primo "vero" romanzo poliziesco francese, L'Affaire Lerouge, anche se a differenza del modello di Poe, l'opera di Gaboriau risente ampiamente dell'atmosfera melodrammatica tipica dei feuilletons del XIX secolo.
Negli anni seguenti, mentre nella narrativa anglosassone appare con Sherlock Holmes la figura del detective scientifico, razionale, quasi privo di emozioni e di vita familiare, in Francia i personaggi del poliziesco sono coinvolti in un continuo gioco di passioni e di ideologie. Da ricordare il detective Rouletabille di Gaston Leroux (1868-1927), che si ritrova ad indagare sulla storia della sua vita, ed il celeberrimo Arsène Lupin, il ladro gentiluomo creato nel 1905 da Maurice Leblanc (1864-1941). Alla medesima atmosfera ed ambientazione appartiene Fantômas, altro personaggio criminale creato nel 1911 dalla coppia Marcel Allain (1885-1969) e Pierre Souvestre (1874-1914), protagonista in un periodo di oltre cinquant'anni di 42 romanzi firmati prima dalla coppia Allain-Souvestre e poi dal solo Allain.
Il più importante autore del genere poliziesco in Francia è lo scrittore belga Georges Simenon (1903-1989), creatore del celeberrimo commissario Maigret, protagonista di decine di romanzi apparsi fra il 1931 ed il 1972. Maigret non somiglia al prototipo dell'investigatore del mondo anglosassone, in voga negli anni d'oro del giallo classico, è invece un uomo sanguigno dai gusti semplici, che usa un metodo personale basato sull'intuito per risolvere i delitti.
Totalmente diversi, per stile, contenuto ed atmosfera sono gli innumerevoli romanzi dedicati al commissario Sanantonio, pubblicati fra il 1949 ed il 2001 da Frédéric Dard (1921-2000), che hanno avuto un notevole successo anche fuori dalla Francia.
In anni più recenti ha ottenuto grande successo anche a livello internazionale l'opera della scrittrice Fred Vargas (1957), autrice di numerosi gialli con personaggi ricorrenti: da ricordare la serie dei Tre Evangelisti (fra cui Prima di morire addio del 1994) ed i romanzi dedicati al commissario Adamsberg della polizia di Parigi (L'uomo dei cerchi azzurri).
Appartiene invece al puro giallo classico l'opera letteraria dell'alsaziano Paul Halter (1956), considerato l'erede di John Dickson Carr per l'attenzione dedicata in tutti i suoi romanzi al delitto impossibile nelle sue diverse varianti.
Il poliziesco in Svezia
Durante il XIX secolo e l'inizio del XX secolo la maggior parte dei polizieschi pubblicati in Svezia erano traduzioni dall'inglese, dal francese e dal tedesco.
Fra le prime opere originali in svedese vanno ricordate la novella Skällnora Qvarn del 1838 di Carl Jonas Love Almquist e i pastiches sherlockiani scritti da Sture Stig, pseudonimo di Oscar Wagman (1849-1913).
Subito dopo la prima guerra mondiale appare la prima grande generazione di scrittori svedesi di poliziesco: sono da ricordare Iwan Aminoff (1868-1928), Samuel August Duse (1873-1933), Axel Essén (1880-1951), Harold Johnson (1886-1936), Gosta Palmcrantz (1888-1978), Julius Regis (1889-1925), Gunnar Serner (1886-1947), Otto Witt (1875-1923) e Harald Wagner (1885-1925).
Risale alla metà degli anni sessanta il primo grande successo internazionale del poliziesco svedese, a seguito della pubblicazione dei dieci romanzi con il commissario Martin Beck di Stoccolma, scritti dalla coppia Maj Sjöwall-Per Wahlöö.
Altri importanti scrittori svedesi di poliziesco e noti a livello internazionale sono Henning Mankell (1948-2015), autore dei romanzi col commissario Kurt Wallander, Jens Lapidus (1974), autore della Trilogia di Stoccolma, e soprattutto Stieg Larsson (1954-2004), autore della trilogia bestseller Millennium, pubblicata postuma a partire dal 2005.
Il poliziesco al cinema e in televisione
Dai racconti polizieschi sono stati tratti spesso plot per il cinema, la radio, la televisione e, meno frequentemente, per il teatro. In questo senso, questo tipo di letteratura ha generato una galleria pressoché sconfinata di personaggi, dal raffinato e sofisticato Philo Vance di S. S. Van Dine all'acuto Nero Wolfe di Rex Stout, dagli imperscrutabili Sam Spade di Dashiell Hammett e Philip Marlowe di Raymond Chandler, agli arguti Hercule Poirot e Miss Marple di Agatha Christie.
Alcuni personaggi, come il Commissario Maigret di Simenon, hanno ispirato svariate serie televisive in molti paesi europei (in Italia celebre quella interpretata da Gino Cervi). Anche il prete investigatore Padre Brown di Chesterton ha avuto diverse versioni televisive (quella italiana era interpretata da Renato Rascel).
Più strettamente televisive sono le serie dedicate alla giallista Jessica Fletcher, protagonista de La signora in giallo, al Tenente Colombo, a Kojak o al tedesco Derrick, senza dimenticare 87º Distretto, serie ideata dallo scrittore Evan Hunter, con lo pseudonimo di Ed McBain. Le serie più recenti che hanno riscosso successo televisivo sono molte: tra esse Law & Order, CSI, Criminal Minds, NCIS, Monk, The Mentalist, Castle, Bones, The Shield e Starsky & Hutch. Alcune di queste hanno avuto partecipazioni di famosi scrittori (ad esempio Patricia Cornwell in Criminal Minds, Jerry Stahl in CSI, Kathy Reichs in Bones).
Nel fumetto Alan Moore firma Top 10, serie imperniata su un distretto di polizia in una città di supereroi.
Da alcuni anni in Italia sono state prodotte serie televisive poliziesche di successo popolare incentrate sull'attività dei corpi dei Carabinieri e della Polizia di Stato: Il commissario Montalbano (tratto dai romanzi di Camilleri), Linda e il brigadiere, Don Matteo, Il maresciallo Rocca, Carabinieri, Distretto di Polizia, La squadra, Donna detective, La nuova squadra, Squadra antimafia - Palermo oggi e Maltese - il romanzo del commissario.
Note
Bibliografia
Cristina Bombieri, Poliziesco, Enciclopedia Europea Garzanti, 1979
Voci correlate
Giallo (genere)
Storia del giallo
Police procedural
Venti regole per scrivere romanzi polizieschi
Tipologia del romanzo poliziesco, saggio di Cvetan Todorov
Altri progetti
Collegamenti esterni
, panoramica storica sul poliziesco
di Gilbert Keith Chesterton
, panoramica storica sul poliziesco in Svezia
Letteratura gialla |
2704 | https://it.wikipedia.org/wiki/Medicina | Medicina | La medicina è la scienza che studia le malattie del corpo umano al fine di cercare di garantire la salute delle persone, in particolare riguardo alla definizione, prevenzione e cura delle malattie, oltre alle diverse modalità di alleviare le sofferenze dei malati (anche di coloro che non possono più guarire).
In collegamento con altre discipline quali, ad esempio la farmacia, l'infermieristica, la biologia, la chimica, la fisica, la psicologia e la bioingegneria, la medicina è presente in ambiti giuridici con la medicina legale o quella forense. Il termine "medicina" denota anche l'esercizio dell'attività professionale da parte di un medico. Nell'uso comune del termine può indicare semplicemente un farmaco.
Storia
Culture mesopotamiche ed egizia
I più vecchi testi di medicina mesopotamica vengono datati verso il II millennio a.C. Il più famoso testo giunto fino ai nostri tempi è il diario diagnostico scritto dal medico Esagil-kin-apli di Borsippa, vissuto durante il regno di Adad-apla-iddina (1069-1046 a.C.).
Le prime informazioni mediche egizie sono contenute nel papiro, il mezzo di scrittura degli egizi, di Edwin Smith. datate circa nel 3000 a.C.. Vigeva già allora una legislazione sanitaria e un'arte medica progredita, ricca di strumenti chirurgici ed elenchi di piante con proprietà medicinali.
A quei tempi era comune indicare come origine delle malattie eventi superstiziosi o l'implicazione di demoni, come riportato nel papiro di Ebers (datato nel 1550 a.C. circa). anche se nello stesso papiro si descriveva quello che in seguito verrà denominato tumore.
Grecia e Roma antica
Il primo medico greco conosciuto è stato Alcmeone di Crotone, vissuto intorno al V secolo a.C., autore del primo lavoro di anatomia. Ippocrate ha creato la sua scuola medica nella città di Cos. I greci hanno avuto diverse influenze dall'Egitto soprattutto in campo farmacologico e tale influenza diventò molto più chiara quando si aprì una scuola di medicina greca in Alessandria d'Egitto.
Nell'impero romano si videro distinguersi le prime specialità mediche quali tra le altre l'urologia e l'oftalmologia. Successivamente il popolo comprese che la cura dell'igiene preveniva l'insorgenza di molte malattie e ciò contribuì alla costruzione degli acquedotti. I chirurghi romani avevano molti attrezzi per lavorare, fra i quali scalpelli, cateteri ed estrattori per le frecce; per la cura del dolore usavano l'oppio e le scopolamine; e per lavare le ferite usavano l'aceto.
Galeno di Pergamo ha scritto più di 500 trattati sulla fisiologia, l'igiene, la dietetica, la patologia e la farmacologia, ed è accreditato come colui che scoprì il midollo spinale. Se Celso descrisse i quattro sintomi classici dell'infiammazione (rubor rossore, dolor dolore, calor calore e tumor gonfiore), Galeno ne osservò anche la limitazione funzionale (functio laesa). Notevole anche il trattato Procedimenti anatomici, basato sulla dissezione delle scimmie.
Nel Medioevo
Il decadimento dell'Impero romano contribuì alla regressione delle pratiche mediche come in genere di tutte le attività tecnico scientifiche ; furono i religiosi a tramandare il sapere dell'antica cultura consentendo così il risveglio della medicina, assieme alla scuola araba e a quella salernitana (1100). Nacquero le prime università mediche e nel 1300 la scuola bolognese aprì la prima scuola di anatomia.
La medicina medievale era un insieme di idee antiche e influenze spirituali: Claude Lévi-Strauss identificò tale commistione come un "complesso sciamanico".
Nel XIV secolo la medicina fu scossa da quella che in seguito venne chiamata la "morte nera", ovvero la peste bubbonica. Le teorie mediche prevalenti dell'epoca focalizzarono l'attenzione sulle spiegazioni religiose piuttosto che scientifiche, e ciò risultò del tutto inutile poiché circa un terzo della popolazione europea venne sterminato.
Rinascimento
Il diffondersi della stampa a caratteri mobili (XVI secolo), unita alla maggior possibilità di spostamento delle persone tra i centri di studio delle università europee, sempre più numerose ed in concorrenza tra loro, fornì un forte impulso alla scienza medica, portandola gradualmente ad adottare una metodologia non più legata all'osservanza dogmatica degli scritti degli antichi maestri, Ippocrate e Galeno in primis, ma ispirata sempre più fortemente ai nuovi principi del metodo scientifico. Divennero quindi più stretti i rapporti tra medicina e le scienze naturali: grazie a questa interdisciplinarità gli studiosi del periodo fondarono l'anatomia patologica e la fisiologia sperimentale, e una dopo l'altra vennero scoperte ed approfondite alcune basi fondamentali della fisiologia umana, tra i quali la circolazione sanguigna e linfatica.
Risalgono a quest'epoca i fondamentali studi sull'anatomia umana di Andreas van Wesel, meglio conosciuto come Andrea Vesalio (1514-1564) da lui riuniti nell'opera classica De humani corporis fabrica, opera continuata dall'allievo Gabriele Falloppio (1523-1562), e dai contemporanei Michele Serveto (1511-1553) e Realdo Colombo (1516-1559). Al medico francese Ambroise Paré (1510-1590) si devono importanti innovazioni nel campo della pratica chirurgica.
Età contemporanea
Negli ultimi secoli la medicina compie ulteriori passi sulla via dell'approccio rigorosamente scientifico, abbandonando definitivamente la matrice empirico-filosofica, approfittando anche dei progressi di altre discipline come fisiologia, biologia e chimica. Si passa così da una fase denominata da alcuni "medicina eroica", alla moderna medicina basata su prove di efficacia, contribuendo così, assieme ai miglioramenti nell'alimentazione e nell'igiene, alla diminuzione del tasso di mortalità, aumentando di conseguenza l'aspettativa di vita.
Alcune tappe fondamentali in questo processo di modernizzazione sono ricollegabili all'introduzione di metodologie di studio più efficaci e rigorose. Un esempio celebre è il primo uso documentato di trial clinici eseguiti nel 1747 dal medico della marina James Lind per la ricerca delle cause dello scorbuto tra i marinai inglesi, grazie al quale individuò nel succo di agrumi una cura ed un mezzo di prevenzione efficace. Altrettanto famosa è l'opera infaticabile di Florence Nightingale nella promozione dell'igiene come mezzo di prevenzione delle complicanze post-trattamento negli ospedali, utilizzando studi statistici in grado di comprovare l'efficacia di questi metodi, per l'epoca rivoluzionari.
Altre volte, scoperte importanti nel campo medico sono avvenute per caso, come per esempio quella di Alexander Fleming che nel 1928 constatò, alquanto meravigliato, la scomparsa di alcune colonie di stafilococco da una provetta grazie all'azione di una piccola muffa, verificando, in tal modo, il concetto di antagonismo batterico e di attività antibiotica, fondamentali per debellare le malattie infettive.
Spesso, soprattutto nei tempi moderni, le malattie vengono scoperte prima come un insieme di manifestazioni di sintomi che coinvolgono più organi e quindi denominate "sindromi", per poi, dopo un loro adeguato inquadramento, essere denominate malattie. Questo, ad esempio, è accaduto in casi noti come l'AIDS (acronimo di Acquired Immune Deficiency Syndrome), con la quale si definisce la sindrome in cui si riscontra un insieme di manifestazioni dovute alla deplezione di linfociti T, e la SARS, (acronimo di Severe Acute Respiratory Syndrome), una forma atipica di polmonite, provocata da uno specifico virus, apparsa per la prima volta nel novembre 2002 nella provincia del Guangdong in Cina, ed ha causato 813 morti al mondo per poi quasi sparire.
Il premio Nobel per la medicina fondato nel 1901, ha visto ogni anno ricompensare con tale riconoscimento prestigioso i medici per le loro scoperte. Ad esempio nel 1905 fu premiato Robert Koch per le sue importanti scoperte sulla tubercolosi, nel 1923 Frederick Grant Banting e John James Richard Macleod furono premiati per la scoperta dell'insulina, l'anno successivo fu scoperto da Willem Einthoven l'elettrocardiogramma. Fra gli italiani premiati si ricordano Camillo Golgi, Renato Dulbecco e Rita Levi-Montalcini.
Scienze di base della medicina
Anatomia umana: studio delle strutture fisiche del corpo umano.
Biologia molecolare: studio dei rapporti esistenti tra geni e proteine
Biochimica: studio della struttura e delle trasformazioni dei componenti delle cellule, come proteine, carboidrati, lipidi, acidi nucleici e altre biomolecole, per individuarne tutte le funzioni.
Citologia: studio della struttura della cellula e della fisiologia cellulare.
Embriologia umana: studio dei processi morfologici, cellulari e molecolari tramite i quali l'organismo umano cresce e si sviluppa prima della nascita.
Farmacologia: studio di come le sostanze chimiche interagiscono con i sistemi biologici e come possano apportare beneficio.
Tossicologia: studio di come le sostanze chimiche interferiscano con la corretta funzionalità dei sistemi biologici
Fisica medica: studio dell'applicazione di principi fisici alla medicina.
Fisiologia umana: studio delle varie funzioni organiche delle parti del corpo.
Genetica: studio dei geni, dell'ereditarietà e della variabilità genetica.
Genetica clinica o medica: studio e diagnosi delle malattie genetiche.
Genetica molecolare: studio a livello molecolare della struttura e della funzione dei geni.
Genetica delle popolazioni: studio delle caratteristiche genetiche delle popolazioni nel loro insieme, mediante metodi matematici e statistici.
Genomica: studio della struttura, del contenuto, della funzione e dell'evoluzione del genoma.
Istologia: studio dei tessuti, con particolare attenzione ai tessuti umani.
Immunologia: studio del sistema immunitario.
Medicina di laboratorio: indagini sui pazienti attraverso lo studio in un laboratorio di analisi dei loro materiali biologici.
Microbiologia: studio dei microorganismi e della loro interazione con l'organismo umano.
Batteriologia: studio dei batteri.
Parassitologia: studio dei parassiti.
Virologia: studio dei virus.
Neuroscienze: varie branche di studio del sistema nervoso, anche dal punto di vista psichico.
Patologia generale e cellulare: studio dei meccanismi eziopatogenetici alla base delle malattie e dei disordini organici, da un punto di vista cellulare e molecolare.
Fisiopatologia: studio dell'origine ed evoluzione delle patologie
Statistica medica: fondamentale per la pianificazione, la valutazione e l'interpretazione dei molteplici dati della ricerca medico-scientifica.
Epidemiologia: studio comparato delle malattie, con particolare riferimento alle epidemie.
Specialità e ripartizioni della medicina scientifica
Esistono tre tipologie in cui si racchiudono tutte le discipline mediche: le specializzazioni chirurgiche di tipo operativo, quelle internistiche e altre diverse di tipo diagnostico-clinico, e quelle analitico-tecniche di laboratorio.
Discipline internistiche
Allergologia e immunologia clinica: il medico specialista si chiama allergologo-immunologo; cura le allergie, studia il sistema immunitario e cura le malattie a esso relative.
Angiologia: diagnostica, cura e riabilita i pazienti affetti da malattie del sistema cardiovascolare e del sistema linfatico.
Cardiologia: il medico specializzato in tale disciplina si chiama cardiologo; studia tutte le patologie riguardanti il cuore e il sistema cardiocircolatorio.
Ematologia: il medico specializzato in tale disciplina si chiama ematologo; cura le malattie del sangue e degli organi emopoietici.
Endocrinologia: il medico specialista si chiama endocrinologo; studia le malattie relative al metabolismo ed alle ghiandole endocrine.
Gastroenterologia: il medico specialista si chiama gastroenterologo; studia le malattie gastrointestinali, quindi in particolare di organi quali l'esofago, lo stomaco, pancreas esocrino, l'intestino tenue e crasso, il colon, la milza, il retto e il fegato.
Infettivologia: il medico specialista si chiama infettivologo; studia le malattie infettive. Tale disciplina clinica integra aspetti sia immunologici che microbiologici delle infezioni.
Malattie tropicali: il medico specializzato è un infettivologo che appunto cura le infezioni ambientali tipiche dei tropici.
Medicina interna: il medico specialista si chiama internista e studia le patologie interne del corpo umano. Ha delle affinità con varie branche specialistiche, ma affronta i medesimi aspetti da un punto di vista più generale.
Medicina generale: il medico specializzato si chiama medico di medicina generale (o medico di famiglia), che si prende cura dei propri pazienti nel territorio. Ha affinità con la medicina interna, ma affronta le patologie in ambiente extra ospedaliero.
Nefrologia: il medico specializzato in tale disciplina si chiama nefrologo; studia le malattie dei reni dal punto di vista internistico, nonché i disordini degli elettroliti corporei, dell'equilibrio acido-base e l'ipertensione arteriosa.
Neurologia: il medico specializzato in tale disciplina si chiama neurologo; diagnostica e cura le patologie del sistema nervoso centrale e del sistema nervoso periferico. Differisce dalla neuropsichiatria in quanto si occupa esclusivamente di malattie organiche, senza indagare sulle possibili concause o conseguenze psichiche di una determinata disfunzione.
Oftalmologia (anche nota come oculistica): il medico specializzato in tale disciplina si chiama oftalmologo od oculista. Si occupa della prevenzione, della diagnosi, della cura e della correzione delle patologie oculari e dei difetti di vista. È una disciplina sia medica che chirurgica.
Oncologia: il medico specializzato in tale disciplina si chiama oncologo; studia i vari tumori che si ritrovano nel corpo umano.
Pneumologia: il medico specialista si chiama pneumologo; studia le malattie relative all'apparato respiratorio.
Reumatologia: il medico specialista si chiama reumatologo; studia le malattie delle articolazioni, del tessuto connettivo e di altri tessuti su base infiammatoria o autoimmune.
Tossicologia: il medico specialista si chiama tossicologo medico; si occupa della diagnosi e del trattamento delle intossicazioni acute e croniche, comprese quelle di tipo voluttuario (droghe d'abuso e alcol).
Discipline di laboratorio
Anatomia patologica, il cui medico si chiama anatomo-patologo e studia dal punto di vista macroscopico, microscopico e molecolare le patologie dei vari sistemi ed apparati. Si occupa anche degli accertamenti diagnostici su pazienti deceduti (autopsia o necroscopia).
Biochimica clinica, il medico specializzato in questa disciplina si chiama biochimico clinico, e studia le alterazioni biochimiche di natura patologica.
Ematologia, che si occupa delle alterazioni del sangue e degli organi che lo producono.
Farmacologia medica, lo specialista studia le relazioni tra farmaci e strutture molecolari.
Genetica medica, il cui specialista si occupa dell'interdipendenza tra gene e funzionalità organica. Questa disciplina medica differisce dalla genetica molecolare, che rappresenta una branca della biologia. Il medico specializzato si chiama infatti genetista clinico.
Medicina legale, branca che studia i numerosi aspetti della medicina legati alla legge, quali ad esempio l'accertamento di morte e delle sue cause, le lesioni personali derivanti da un reato, le tematiche connesse all'invalidità e altre.
Microbiologia e virologia clinica: studiano le infezioni dovute a microrganismi, come batteri, miceti, protozoi, virus o parassiti.
Neurofisiopatologia, il cui specialista individua i malfunzionamenti del sistema nervoso con varie tecniche strumentali; è inoltre competente nella neuroriabilitazione.
Patologia clinica, il cui specialista, il patologo, effettua su singoli casi clinici studi microscopici e macroscopici, prelevando tessuti e/o analizzando sangue e altri liquidi corporei. Le sue indagini comprendono l'analisi delle strutture chimico-molecolari e delle morfologie microbiologiche e immunologiche, nonché le analisi citologiche e istologiche.
Scienza dell'alimentazione, lo specialista si chiama dietologo e si dedica dal punto di vista medico alla diagnosi e cura di patologie derivate da disfunzioni dei processi di nutrizione, nonché alla prescrizione e/o elaborazione di diete sia per soggetti sani che affetti da patologie. Si occupa anche della prescrizione e del monitoraggio della terapia dietetica artificiale (nutrizione enterale/parenterale), anche se spesso queste attività possono essere svolte, in parte o totalmente, da altri medici specialisti e da dietisti ospedalieri.
A queste branche specialistiche della medicina possono accedere anche altri laureati oltre a quelli in medicina, come ad esempio i laureati in biologia, chimica, farmacia, scienze della nutrizione, ecc.
Altre discipline non chirurgiche
Anestesia e rianimazione, il medico specialista è l'anestesista-rianimatore: si occupa dell'anestesia e del risveglio del paziente in sala operatoria e dell'assistenza del paziente critico in rianimazione.
Dermatologia e venereologia, il medico specializzato in tale disciplina si chiama dermatologo, studia la cute umana.
Ematologia, si occupa della diagnosi e terapia delle malattie, che interessano sia la composizione del sangue sia gli organi che lo riproducono.
Fisica sanitaria, integra lo studio della fisica alla cura medica.
Geriatria, il medico specializzato in tale disciplina si chiama geriatra, si occupa degli anziani.
Igiene e medicina preventiva, lo specialista in questione suggerisce al paziente il modo migliore per non fare insorgere certe malattie.
Audiologia e foniatria, è la disciplina che si occupa delle patologie dalla voce e della comunicazione.
Medicina d'emergenza-urgenza, prepara il medico ad affrontare situazioni clinico-terapeutiche d'emergenza. È la specialità dei reparti di pronto soccorso.
Medicina del lavoro, i cui specialisti sono coloro che prevengono e diagnosticano le malattie da causa professionale, anche nella figura del medico competente, ed effettuano la sorveglianza sanitaria sui lavoratori.
Medicina dello spettacolo, branca della medicina che si occupa di prevenzione, diagnosi, trattamento (medico, chirurgico e/o psicologico) e la riabilitazione degli artisti del mondo della danza, del circo, della musica e delle arti della voce (canto, recitazione,) e delle arti miste (busking etc). Elabora inoltre percorsi di ricerca umanistica per “curare l'arte” in ciò totalmente differenziandosi, contrariamente a quanto in genere si pensi, dalla Medicina dello Sport e dalla Medicina del Lavoro, branche sorelle ma differenti in toto.
Medicina dello sport, disciplina che previene e cura le malattie derivate da una pratica sportiva compiuta in modo scorretto. Fra i suoi compiti più particolari, effettua servizio di vigilanza sulle possibilità di frode nel mondo dello sport.
Medicina di comunità, nuova disciplina, il cui specialista studia il paziente complesso prendendone in considerazione l'aspetto multidimensionale, in altre parole è un medico specialista della medicina di famiglia e di comunità, idoneo a ricoprire ruoli dirigenziali nell'area dell'assistenza sanitaria primaria (primary care).
Medicina fisica e riabilitativa, è la materia che si occupa del recupero delle abilità perse o non acquisite a causa di un evento patologico. Il medico specialista si chiama fisiatra.
Medicina nucleare, il cui specialista si occupa di diagnosi e terapia attraverso l'uso di isotopi radioattivi.
Neuropsichiatria infantile, si occupa dello sviluppo neuropsichico e dei suoi disturbi, neurologici e psichici, nell'età compresa fra zero e diciotto anni.
Pediatria, il medico specializzato in tale disciplina si chiama pediatra e si occupa delle patologie nei bambini e preadolescenti.
Psichiatria, si occupa della prevenzione, della cura e della riabilitazione dei disturbi mentali. Sul fronte terapeutico lo psichiatra ha la possibilità di esercitare la psicoterapia oltre all'utilizzo di tutti gli altri presidi medici quali la prescrizione farmacologica e le terapie fisiche (ad esempio la stimolazione magnetica transcranica).
Radiodiagnostica, il cui specialista si chiama radiologo, è una branca della medicina che si occupa di fornire immagini dell'interno del corpo umano, allo scopo di fornire informazioni utili alla diagnosi ("diagnostica per immagini").
Radioterapia, il cui medico specialista viene chiamato radioterapeuta, si occupa dell'utilizzo controllato delle radiazioni a scopo terapeutico (ad esempio, in ambito oncologico).
Statistica medica, che applica i metodi della statistica ai processi di interesse sanitario: l'evolvere di epidemie, malattie a contagio parziale, fattori di rischio in età specifiche, effetti benefici a lungo termine di terapie sperimentali, ecc.
Terapia intensiva, il medico che si occupa delle cure intensive del paziente critico si chiama intensivista, ed è uno specialista in anestesia e rianimazione.
Discipline chirurgiche
Cardiochirurgia, il medico specializzato in tale disciplina si chiama cardiochirurgo, ed effettua operazioni sul cuore.
Chirurgia dell'apparato digerente, svolge la sua azione chirurgica sullo stomaco, l'intestino tenue e crasso, il colon e il retto.
Chirurgia generale, la principale specialità chirurgica, che si occupa in particolare (ma non esclusivamente) di interventi in area addominale.
Chirurgia maxillo-facciale, si occupa delle lesioni congenite o traumatiche del volto.
Chirurgia odontostomatologica, lo specialista è un medico dentista e il suo sito di operazione è la bocca.
Chirurgia pediatrica, focalizzata sui pazienti di età pediatrica.
Chirurgia plastica, che cura le lesioni del derma e le alterazioni anatomiche (comprese le ustioni). Effettua anche interventi a scopo estetico.
Chirurgia toracica, che si occupa di interventi nel distretto toracico (esofago, polmoni, trachea e diaframma).
Chirurgia vascolare, che si occupa dell'intervento sui grossi vasi ed il sistema circolatorio.
Ginecologia e ostetricia, il cui medico specializzato si chiama ginecologo e si occupa della cura delle patologie dell'apparato riproduttivo in pazienti di sesso femminile, anche intervenendo chirurgicamente.
Neurochirurgia, il medico specializzato in tale disciplina si chiama neurochirurgo, e si occupa dell'intervento clinico per via chirurgica a livello di sistema nervoso centrale o periferico.
Chirurgia oftalmica, lo specialista si chiama oculista od oftalmologo, si occupa delle patologie dell'occhio e della relativa microchirurgia.
Ortodonzia o ortognatodonzia, trattasi di ortopedia del distretto facciale.
Ortopedia e traumatologia, lo specialista è l'ortopedico-traumatologo, che si occupa della gestione clinica dei traumi fisici, con particolare riferimento al sistema locomotore (scheletrico, tendineo, muscolare).
Otorinolaringoiatria, si occupa delle patologie interessanti le orecchie, le vie uditive, il naso e le prime vie respiratorie (faringe e laringe).
Radiochirurgia, specifica applicazione della radioterapia alternativa ad interventi chirurgici oncologici.
Urologia, il medico specialista si chiama urologo, e si occupa delle malattie di interesse chirurgico (ad esempio traumi, infezioni e tumori) dei reni, delle vie urinarie e dell'apparato genitale maschile.
Discipline di perfezionamento
Sono aree di ultra-specializzazione, oggetto di studio anche in corsi di perfezionamento o master. Queste sono le più note:
Discipline mediche
Allergologia e immunologia pediatrica avanzata, monitora le attività allergiche del sistema immunitario dei bambini
Andrologia, il cui specialista ha conoscenze di endocrinologia e urologia, studia in particolare le disfunzioni ormonali nel maschio
Anestesia d'emergenza, opera prevalentemente in contesti sociali degradati, dove non c'è abituale assistenza medica (specie nel Terzo Mondo)
Bioetica, studia il confine oltre a cui non è “etico” lo spingersi della ricerca scientifica. Serve inoltre a studiare e a comprendere le scoperte scientifiche in chiave comunitaria e psicosociale
Biofisica molecolare, studia i processi fisico-chimici delle macromolecole organiche
Biologia molecolare clinica, cerca di capire i rapporti molecolari tra proteine e geni
Bioinformatica: applicazioni biomediche
Chirurgia orale, specializzazione di Odontoiatria e ramo della Chirurgia maxillo-facciale, si occupa della terapia chirurgica minore del cavo orale.
Cure palliative
Diabetologia, subspecificazione dell'endocrinologia, studia le varie forme di diabete
Diagnostica ecografica, mezzo fondamentale di diagnosi medica per numerose patologie internistiche
Dietistica, sottosezione della scienza della nutrizione, il medico specialista si chiama dietologo
Elettrofisiologia ed elettrostimolazione cardiaca, fornisce al cardiologo le tecniche più avanzate di diagnostica elettrofisiologica
Epatologia, il cui specialista è un gastroenterelogo che focalizza la sua attenzione sulle patologie epatiche
Epidemiologia, studia i meccanismi di propagazione delle infezioni epidemiche e pandemiche e le classifica, cercando di prevenire effetti insormontabili. Il medico specialista solitamente è un infettivologo
Farmacogenomica
Fisiologia cellulare e molecolare, studia in generale il funzionamento del corpo umano dal punto di vista biomolecolare
Genetica forense, specificazione della genetica di laboratorio, opera in studi legali (per esempio identifica i legami di DNA)
Governo clinico ed economico delle strutture sanitarie, fornisce al medico gli strumenti manageriali più adeguati per la gestione della strumentazione clinica e per il mantenimento finanziario dell'azienda ospedaliera
immunoematologia, un indirizzo speciale della patologia clinica
Implantologia Dentale sub-sezione di Odontoiatria che si occupa della riabilitazione implanto-protesica odontoiatrica. L'implantologia dentale può essere esercitata dallo specialista di chirurgia maxillo-facciale all'interno del piano di cura definito da un odontoiatra.
Laserchirurgia dermatologica ed estetica, odontoiatrica, oftalmologica
Malattie neurodegenerative, il medico specializzato in tale disciplina è un neurologo abilitato alle terapie sperimentali per i disordini degenerativi del cervello, come la malattia di Alzheimer o la sindrome di Parkinson
Medicina aerospaziale, interviene per adattare il meglio possibile l'organismo in condizioni ambientali estreme (spazio extra-planetario)
Medicina estetica, disciplina medica che si occupa di correggere o eliminare gli inestetismi del corpo senza ricorrere alla chirurgia, ma con trattamenti poco invasivi. È esercitata dagli odontoiatri per i relativi tessuti facciali di mascelle e cavo orale.
Malattie neuromuscolari, il cui specialista è un neurologo che si interessa delle patologie muscolari di origine cerebrale
Medicina del sonno, cerca di curare i disturbi organici o psichici cronici del sonno
Medicina di montagna, il medico specializzato cerca di scoprire come l'ambiente di montagna possa influire sull'organismo
Medicina generale, il medico specializzato in questo ambito è il medico di medicina generale o medico di famiglia
Medicina scolastica, la cui attività viene rivolta soprattutto a chi frequenta le scuole dell'obbligo, si basa sull'individuazione di eventuali anomalie del normale sviluppo psicosomatico del ragazzo
Medicina subacquea, e la sua branca medicina iperbarica, studiano le prevenzione e il trattamento delle condizioni patologiche causate dell'entrata dell'essere umano nell'ambiente subacqueo
Neonatologia, lo specialista si chiama neonatologo, e presta cure mediche nei neonati
Neurobiologia cellulare e molecolare avanzata, studia i processi biomolecolari del cervello, occupandosi delle patologie derivate da alterazioni delle reti neurali e del corretto funzionamento fisiologico del sistema nervoso centrale
Neurofarmacologia, ricerca l'azione benefica di farmaci sul sistema nervoso centrale, con particolare attenzione per i disturbi cerebrali più debilitanti
Neurogenetica, cerca di scoprire i fattori genetici alla base delle neuropatie, delle malattie nervose e dei disturbi psichiatrici più gravi, come schizofrenia e disturbo bipolare
Neuroncologia, il cui specialista è un neurologo attento esclusivamente alla terapia sperimentale dei vari tumori cerebrali, anche con l'uso avanzato della radioterapia
Neuropsicologia, si occupa della riabilitazione di pazienti affetti da gravi malattie nervose. Il neuropsicologo è solitamente uno psicologo con formazione specialistica in quest'area, o un medico specialista con conoscenze di neurologia, fisiatria, psicologia e neuroscienze
Neurosonologia, si interessa della fisiologia cerebrovascolare, tramite l'uso di ecografie ed altri tipi di ultrasuoni
Ortognatodonzia Specializzazione di Odontoiatria, si occupa della crescita cranio-facciale tramite ortopedia mascellare e dell'occlusione dentale.
Oncoematologia, settore interdisciplinare dell'ematologia e dell'oncologia, solitamente relativo alla clinica delle leucemie, del plasmocitoma e dei linfomi
Patologia clinica renale, sezione interdisciplinare di nefrologia e patologia clinica
Patologia Orale sezione interdisciplinare di odontoiatria, chirurgia maxillo-facciale e dermatologia per diagnosi e terapia delle lesioni del cavo orale
Pedodonzia Riabilitazione odontoiatrica del paziente Pediatrico
Psichiatria forense, costituisce la parte medico-legale della psichiatria, e presenta delle affinità con la criminologia
Psicofarmacologia clinica, destinata a psichiatri e/o psicologi clinici per un'alta formazione nell'ambito farmacologico
Psicogeriatria, si occupa della cura psichiatrica, psicoterapeutica e riabilitativa di pazienti anziani affetti da patologie neuropsichiatriche o da difficoltà cognitive
Psiconcologia, branca speciale della psicologia clinica e della psichiatria, che si occupa del sostegno e del trattamento psicoterapeutico di pazienti affetti da cancro
Radiobiologia, si occupa gli effetti delle radiazioni, (sole od in associazione), su organismi viventi o su "substrati biologici"
Radiologia pediatrica, uso di radiazioni sia a scopo diagnostico che terapeutico su pazienti di età minore
Radioprotezione
Riflessoterapia, che tratta specificamente delle tecniche scientifiche di agopuntura, tradizionalmente ritenuta una pratica medica alternativa, soprattutto in occidente
Sedazione odontoiatrica sezione dell'odontoiatria che si occupa della gestione del paziente odontofobico.
Senologia, sottospecializzazione della ginecologia, interviene anche chirurgicamente
Statistica sanitaria
Storia della medicina
Terapia del dolore
Terapia intensiva pediatrica
Tossicologia forense, sottosezione della tossicologia medica, lo specialista agisce in particolare in ambito medico-legale
Trapianto delle cellule staminali, lo studio delle applicazioni terapeutiche delle cellule staminali
Virologia molecolare, parte della virologia clinica che si occupa delle alterazioni molecolari legate agli agenti virali (è questa la disciplina che, per esempio, studia i meccanismi di evoluzione dell'HIV)
Uroriabilitazione, il cui medico è un urologo e fisiatra che si interessa dell'aspetto riabilitativo
Vocologia, sottospecializzazione della foniatria, si occupa delle problematiche inerenti alla produzione della voce, anche per quanto riguarda la voce professionale ed artistica
Discipline chirurgiche
Chirurgia aortica, sezione aggiuntiva della vascolare
Chirurgia bariatrica, specifica applicazione della plastica su pazienti obesi gravi
Chirurgia colon-rettale, specificazione della chirurgia dell'apparato digerente
Chirurgia d'emergenza pediatrica, settore interdisciplinare della chirurgia d'urgenza e della chirurgia pediatrica
Chirurgia dei trapianti
Chirurgia della caviglia e del piede, è dedicata alla cura clinico-terapeutica e all'intervento chirurgico nelle zone suddette.
Chirurgia della mammella, ha delle assonanze con la senologia, ma al contrario di questa è una disciplina solamente chirurgica
Chirurgia della mano, interviene sui traumi fisici subiti dalla mano
Chirurgia d'urgenza, opera in concomitanza con la medicina d'emergenza, anche in condizioni di guerra.
Chirurgia epato-biliare, concentra la sua attività sul fegato, è un'applicazione della chirurgia generale
Chirurgia flebologica
Chirurgia laparoscopica, non è una specialità autonoma, ma una modalità applicativa specifica di varie discipline chirurgiche, basata sull'approccio mini-invasivo e l'uso di specifica strumentazione
Chirurgia linfatica, interviene microscopicamente sulle malattie linfatiche. Sottosezione della chirurgia vascolare
Chirurgia neonatale, specialità della pediatrica, basata solo su neonati
Chirurgia oncologica, asporta i vari tumori
Chirurgia refrattiva, specialità unicamente chirurgica dell'oculistica
Endocrinochirurgia, interviene sulle ghiandole endocrine, soprattutto tiroide e paratiroidi
Endoscopia operativa, tecnica microchirurgica di fondamentale supporto diagnostico per il chirurgo
Ginecologia oncologica, che riunisce aspetti della ginecologia e dell'oncologia
Microchirurgia, modalità applicativa prevalentemente usata dalla neurochirurgia e dall'oftalmologia: ricostruisce, cura e sostituisce tessuti a livello microscopico, con l'uso di avanzate apparecchiature
Neurochirurgia spinale, ulteriore specializzazione della neurochirurgia, opera solo sulla spina dorsale e sul midollo spinale
Neurotraumatologia, specificazione della neurochirurgia che opera su traumi subiti dal sistema nervoso centrale o periferico
Odontoiatria, settore che cura il cavo orale
Odontostomatologia legale, parte medico-legale della chirurgia odontostomatologica
Parodontologia clinica, branca dell'odontoiatria
Medicina alternativa
Al di fuori della medicina accademica, ci sono varie medicine alternative che utilizzano metodiche differenti da quelle della medicina scientifica. Queste pratiche terapeutiche sono definite alternative perché la loro effettiva validità non è stata stabilita scientificamente, e quindi si scostano dalla medicina che invece procede sempre al vaglio sperimentale e al rigoroso esame scientifico.
Le terapie alternative sono state oggetto di svariate critiche. Un esempio ne è l'omeopatia ad oggi priva di riscontro scientifico sia per ciò che concerne l'efficacia (ricondotta, laddove presente, dalla comunità scientifica all'effetto placebo) sia per ciò che riguarda i presunti meccanismi di funzionamento, in totale contrasto con le più elementari regole della chimica molecolare.
Secondo i medici alternativi l'ostilità accademica è dovuta, principalmente, ai reciproci interessi economici che legherebbero i medici ufficiali alle aziende bio-farmaceutiche. In particolare, l'industria farmaceutica costituirebbe un florido business che non tiene conto della salute del paziente; producendo farmaci che curano solo certi aspetti della malattia, causando però altri problemi, per i quali si potranno in seguito trovare altri farmaci da somministrare, gli unici a ricavare un qualche guadagno sarebbero i produttori, mentre i pazienti sarebbero costretti ad accettare questa condizione senza poter essere veramente curati. Questo fenomeno è noto come disease mongering.
D'altra parte anche il giro d'affari della medicina alternativa è imponente, con centinaia di migliaia di praticanti nelle svariate discipline, ed una stima di circa 50 miliardi di euro di spesa globale annua. Il fatto di utilizzare pratiche che allo stato attuale hanno dimostrato scarsa o nulla efficacia reale oltre all'effetto placebo, e, riguardo l'omeopatia, utilizzando farmaci privi di qualsiasi elemento attivo e per questo esenti dalle costose procedure di validazione e controllo richieste da farmaci allopatici, rende la medicina alternativa un'attività economicamente assai conveniente, quindi non esente dalle accuse di quegli stessi conflitti d'interessi che rivolge alla medicina basata su prove di efficacia.
Medicina in Italia
Strutture mediche
Ospedale, diviso in più dipartimenti, ognuno dei quali costituito da vari reparti, detti anche strutture complesse. All'interno di un reparto possono esserci anche unità operative semplici
Poliambulatorio
Cliniche e altre strutture private (es. studi privati dei medici liberi-professionisti)
Guardia medica, istituita presso l'ASL
ASL (o AUSL, USL), è un ente pubblico regionale, al quale compete l'organizzazione finanziaria e gestionale delle prestazioni sanitarie
Ambulatorio di medicina generale, è il primo accesso del cittadino al SSN
Consultorio
Sert o Ser.T (Servizio Tossico Alcoldipendenze), dedicati alla cura, alla prevenzione ed alla riabilitazione delle persone che hanno problemi conseguenti all'abuso di sostanze come le droghe o l'alcool che generano dipendenza dalle stesse.
Ufficio igiene, dove avvengono le vaccinazioni
Medicina di urgenza:
118 (Servizio Sanitario di Urgenza ed Emergenza Medica) è il numero telefonico attivo in Italia per la richiesta di soccorso medico per emergenza sanitaria
Pronto soccorso, il reparto dove vengono accolte le urgenze
Personale medico
Medico generico: una volta laureati in medicina e superato l'esame di Stato si diventa medici abilitati alla professione. Il medico generico non possiede formazione post laurea.
Medico di medicina generale: altrimenti chiamato medico di famiglia, è il medico chirurgo che ha conseguito la specializzazione in Medicina Generale della durata di 3 anni dopo aver effettuato un concorso a livello regionale. Dopo aver ottenuto il diploma entreranno in una graduatoria che anno per anno farà acquisire un punteggio utile per poter stipulare la convenzione con il SSN e aprire un ambulatorio di medicina generale.
Medico sostituto: sono i medici specializzati in medicina generale che non hanno ancora rilevato un ambulatorio o medici con la sola abilitazione o frequentanti il corso di specializzazione in medicina generale o altra specializzazione che sostituiscono il medico di medicina generale quando esso è in ferie o in malattia. Queste sostituzioni fanno acquisire punteggio utile per la graduatoria
Medico convenzionato: medico che opera in qualità di convenzionato. Possono essere impiegati nei reparti ospedalieri per limiti periodi temporali oppure a tempo pieno presso le strutture territoriali della ASL. Il massimo delle ore convenzionate è 38 a settimana
Medico libero professionista: può essere un medico generico ma più frequentemente è uno specialista, che opera privatamente dietro compenso nel proprio studio personale. Può essere anche convenzionato con il SSN per la propria branca specialistica pur esercitando nel proprio studio privato.
Odontoiatra: dentista, odontostomatologo
Dirigente medico: medico dipendente ospedaliero. I dirigenti medico di II livello (ex primari) coordinano le unità operative complesse (ex reparti). Può anche dirigere contemporaneamente un dipartimento.
Direttore sanitario: si tratta di un medico con competenze prettamente gestionali. Infatti si occupa del funzionamento della struttura ospedaliera, dell'avanzamento tecnico e qualitativo della strumentazione clinica, inoltre monitora l'operato complessivo dei vari dipartimenti
Ricercatore: i ricercatori medici (ma possono essere anche non medici) sono coloro che si occupano della continua ricerca e relativa scoperta in campo scientifico. Le loro ricerche, effettuate sempre in un gruppo, durano anni prima di venire pubblicate, e prima di ciò devono essere sottoposte ad una commissione di esperti che le giudica
Medico specializzando: è un medico che sta conseguendo una determinata specializzazione, prestando servizio di tirocinio obbligatorio presso l'ospedale universitario o ospedali convenzionati.
Personale infermieristico
Infermiere
Coordinatore infermieristico
Infermiere pediatrico
Ostetrico
Altre figure professionali
Assistente sanitario
Farmacista
Igienista dentale
Psicologo clinico
Fisioterapista
Massofisioterapista
Dietista
Logopedista
Ortottista
Ingegnere Biomedico
Tecnico di radiologia
Tecnico di laboratorio biomedico
Tecnico audiometrista
Tecnico audioprotesista
Operatore socio-sanitario
Educatore professionale socio sanitario
Tecnico della riabilitazione psichiatrica
Terapista occupazionale
Terapista della neuro e psicomotricità dell'età evolutiva
Formazione dei medici
Per esercitare la professione medica in Italia è necessario iscriversi al corso di Laurea a ciclo unico in Medicina e Chirurgia, la cui durata è 6 anni; per esercitare l'odontoiatria attualmente è necessario iscriversi al corso in Odontoiatria e Protesi Dentaria della durata di 6 anni. L'immatricolazione è possibile previo superamento del test d'ammissione, poiché questi corsi sono a numero chiuso.
Conseguita la laurea, dopo un tirocinio obbligatorio di tre mesi (un mese in un reparto chirurgico, un mese in un reparto di medicina e un mese presso l'ambulatorio di un medico di medicina generale), bisogna sostenere l'esame di Stato, superato il quale è possibile l'iscrizione presso l'Albo provinciale dei Medici Chirurghi e Odontoiatri. Nel 2020 la laurea in Medicina e Chirurgia diventa abilitante,viene eliminato quindi l'esame di stato.
Il medico può scegliere in quale disciplina specializzarsi frequentando, dopo il superamento dell'esame di ammissione, una Scuola di Specializzazione in ambito medico o chirurgico, di durata variabile (dai tre ai cinque anni, a seconda del tipo di specializzazione: in Italia la specializzazione in chirurgia generale e la specializzazione in neurochirurgia un tempo duravano sei anni, ora accorciate a cinque, le specialità mediche con alcune eccezioni durano quattro anni). La specializzazione in medicina generale dura tre anni e forma i medici di medicina generale (o medici di famiglia). In questo caso la programmazione è in base alle necessità della Regione.
Rispetto ad altri sistemi formativi, la differenza è evidente: ad esempio negli Usa, dove la qualifica accademica consiste in fasi progressive, il dottorato in medicina (che è differente dal dottorato di ricerca italiano) si ottiene, generalmente, dopo 8 anni di studi, perché vengono richiesti un bachelor of science, che dura 4 anni e altri 4 anni di scuola medica che non equivale al master (laurea magistrale italiana); in Italia, invece, il corso di medicina è a ciclo unico e dura 6 anni.
Il giuramento di Ippocrate è il giuramento che medici ed odontoiatri prestano prima di iniziare la professione.
I medici-chirurghi possono anche iscriversi a dei dottorati di ricerca, che esprimono competenze molto specifiche e avanzate e vengono destinati alla ricerca universitaria o a quella privata-aziendale. Il dottorato di ricerca rappresenta, anche per i medici, il più alto riconoscimento accademico, e generalmente, per molti, rappresenta una rampa di lancio per l'inserimento nell'ambiente universitario.
Specializzazione
Per quanto riguarda le specializzazioni (negli Stati Uniti si chiamano M.D.s., dopo il bachelor e la scuola medica) queste possono durare da tre fino a sette anni.
Conseguita l’abilitazione all’esercizio della professione di medico-chirurgo si può accedere a una delle Scuole di specializzazione post lauream dell’area sanitaria, che hanno lo scopo di formare specialisti. L'accesso dei medici è programmato, e si deve superare un concorso nazionale di ammissione per titoli ed esame bandito annualmente dal MIUR. Al termine del corso di studi, si consegue la specializzazione nelle varie discipline chirurgiche, non chirurgiche, internistiche, di laboratorio, o di perfezionamento.
Ad esempio, per specializzarsi in neurochirurgia, un medico americano dovrebbe studiare per altri 7 anni, che sommandosi con gli 8 precedenti, darebbero un totale di 15 anni di studi, mentre in Italia un neurochirurgo studierebbe al massimo per 12 anni (6 anni la laurea + 5 o 6 anni la specializzazione). In realtà il neurochirurgo americano studia la propria materia di specializzazione poco più del corrispettivo italiano; infatti nonostante il bachelor of science richiesto per entrare alla scuola medica possa anche non avere niente in comune con la medicina, lo studente deve comunque completare una serie di corsi detti pre-med (pre medical) che servono a provvedere lo studente con una base di conoscenze di chimica, biologia, matematica, fisica, e inglese.
Medicina e Stato
Lo Stato in quanto tale deve garantire e tutelare ai cittadini la salute pubblica, ha un ruolo molto importante per la medicina in Italia. Lo Stato ha previsto l'istituzione della tessera sanitaria per ogni persona, documento che quasi sostituisce il codice fiscale.
Diritti e doveri
Il legislatore è intervenuto più volte creando leggi che coinvolgono direttamente o indirettamente la medicina, istituendo una serie di diritti, che proteggono i pazienti, ma anche di doveri a cui vanno soggetti i medici durante la loro attività, il cui rispetto rientra nella deontologia medica.
Diritti riconosciuti, molti fra cui:
Legge sulla privacy, legge n. 675 del 31 dicembre 1996, che ha avuto la finalità di riconoscere il diritto del singolo sui propri dati personali, racchiudendo le operazioni di gestione riguardanti la raccolta, l'elaborazione, il raffronto, la cancellazione, la modificazione, la comunicazione o la diffusione dei dati di una persona.
Diritto alla salute, articolo 32 della costituzione italiana afferma che la salute è un diritto fondamentale della persona ma anche un interesse della collettività.
Consenso informato, in virtù dell'articolo 32 della Costituzione italiana dove sancisce che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, tale fondamento si combina con l'articolo 13 della costituzione dove si afferma il principio fondamentale della inviolabilità della libertà personale (art. 13).
Doveri dei medici, molti fra cui:
Obbligo di prestare soccorso, anche se il medico non si trova dentro la struttura ma assiste ad un'emergenza, articolo 8;
Obbligo del rispetto del segreto professionale, articolo 10, dove si evince che il medico deve mantenere il segreto su qualunque cosa gli venga affidata e su tutto quello che può conoscere in virtù della sua attività;
Obbligo di non arrecare danni fisici e/o psichici al paziente; articolo 18
Obbligo di rispettare l'uguaglianza a qualunque livello (di religione, di razza, di sesso, ecc) durante lo svolgimento del loro lavoro, ovvero di non avere preferenze, articolo 3;
Obbligo di non avere rapporti con i loro pazienti;
Obbligo di non accanirsi nella cura e di non effettuare anche su richiesta del paziente eventi che lo possano condurre alla morte (eutanasia), articolo 16 e 17
Menzione particolare per la legge sull'aborto che ha avuto un importante ruolo nella medicina italiana.
Enti ed organi medici statali
Lo Stato ha istituito molti enti ed amministrazioni che gestiscono i servizi medico-sanitari, sia a livello centrale (statale) che a livello periferico (regioni):
Servizio Sanitario Nazionale: denominato semplicemente SSN, non è un'unica amministrazione ma un insieme di enti ed organi che concorrono al raggiungimento degli obiettivi di tutela della salute dei cittadini. Lo compongono infatti:
Ministero della Salute, il ministero che sorveglia ed organizza la struttura sanitaria all'interno del paese
Vari enti ed organi a livello nazionale, quali il Consiglio superiore di sanità (CSS), l'Istituto Superiore di Sanità (ISS), l'Istituto Superiore per la Prevenzione e Sicurezza del Lavoro (ISPESL), l'Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali (ASSR), gli Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS), gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali e l'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA)
I Servizi sanitari regionali (SSR)
Inoltre, a livello nazionale, troviamo gli enti che prestano assistenza alle persone:
Istituto nazionale dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, l'INAIL, l'ente preposto al pagamento di indennizzi dovuti ad infortuni
Istituto nazionale della previdenza sociale, l'INPS, l'ente preposto al pagamento di pensioni ed indennizzi in caso di malattie
Medicina nel mondo
All'estero si possono notare differenze rispetto al sistema sanitario italiano:
Stati Uniti d'America: mentre in molti Paesi (tra cui l'Italia) il sistema sanitario è pagato dalla fiscalità generale, con una quota a carico dei cittadini che si sottopongono a visite ed esami (ticket), negli USA è incentrato su un sistema di polizze assicurative. Lo Stato interviene finanziando i meno abbienti e gli anziani.
Medicina nell'arte
Cinema
Letteratura
Molti famosi scrittori nei loro romanzi hanno descritto gli eventi più importanti nel campo medico avvenuti nella storia come fece Alessandro Manzoni, con la descrizione della peste a Milano, ma altri si sono dedicati alla medicina vedendola dal punto di vista psicologico, come il malato immaginario di Molière.
Pittura
Moltissime sono le raffigurazioni artistiche che comprendono soprattutto dipinti pervenuti a noi nel corso della storia.
Televisione
Molte serie tv dedicate alla medicina sono apparse nelle televisioni di tutto il mondo, negli ultimi anni si cerca di creare più verosimilmente l'ambiente medico, con una cura maggiore nella gestione di malattie ed emergenze, anche perché molti specialisti vengono consultati. Tale sforzo è stato premiato sia dal pubblico che dalla critica.
Ecco un elenco di alcune tra le più famose serie televisive dedicate alla medicina:
Dr. House - Medical Division
E.R. - Medici in prima linea
General Hospital
Grey's Anatomy
Private Practice
Scrubs
Un medico in famiglia
Chicago Med
The Good Doctor
The Resident
New Amsterdam
Doc - Nelle tue mani
Note
Bibliografia
Wulff Henrik R., Andur Pedersen Stig, Rosenberg Raben. Filosofia della medicina, (traduttore: Parodi A.), Ed. Cortina Raffaello. 1995
Cosmacini G. L'arte lunga. Storia della medicina dall'antichità a oggi, Ed. Giorgio – Laterza. 2003
Voci correlate
Anamnesi (medicina)
Bastone di Asclepio
Chirurgia
Dichiarazione di Alma Ata
Giuramento di Ippocrate
Eutenica
Metodo scientifico
Medico
Medicina ambientale
Medicina del lavoro
Medicina delle migrazioni
Medicina legale
Medicina dello sport
Medicina alternativa
Medicina naturopatica
Medicina veterinaria
Organizzazione Mondiale della Sanità
Premio Nobel per la medicina
Ruota di medicina
Storia della medicina
Altri progetti
Collegamenti esterni |
2705 | https://it.wikipedia.org/wiki/Mailing%20list | Mailing list | La mailing list, in italiano lista di distribuzione o elenco dei destinatari, è un servizio/strumento offribile da una rete di computer verso vari utenti e costituito da un sistema organizzato per la partecipazione di più persone ad una discussione asincrona o per la distribuzione di informazioni utili agli interessati/iscritti attraverso l'invio di email ad una lista di indirizzi di posta elettronica di utenti iscritti.
Rappresenta un metodo di comunicazione, tipicamente gestito da aziende, associazioni, organizzazioni o persone singole, in cui un messaggio e-mail inviato ad un sistema server viene inoltrato automaticamente in multicast alla lista di destinatari interessati: solitamente infatti gli utenti condividono un interesse o uno scopo, e quando ci sono novità, il gestore invia mail a tutta la lista per far nascere discussioni, commenti o condividere informazioni utili. Rappresenta, almeno al primo messaggio inviato dal gestore, un tipo di comunicazione “uno a molti” e con un grado di co-presenza inferiore a quello delle chat.
Il termine si trova indifferentemente nelle due forme, con o senza il trattino di separazione.
Funzionamento
Per inviare un messaggio a tutti gli iscritti, è normalmente sufficiente inviarlo ad uno speciale indirizzo elettronico che racchiude una lista, e il servizio provvede a diffonderlo a tutti i membri di quella lista. In questo modo, non è necessario conoscere gli indirizzi di tutti i membri per poter scrivere loro.
L'iscrizione e la rimozione di un indirizzo dalla lista può essere effettuata manualmente dall'amministratore, o direttamente dai membri tramite procedure automatiche, via web o via posta elettronica.
Una mailing list può avere un archivio dei messaggi accessibile via web.
Configurazione
Molti servizi di mailing list offrono numerose possibilità di configurazione.
L'amministratore della mailing list è la persona (o il gruppo di persone) che è responsabile delle scelte di configurazione. Per alcune liste esiste anche la figura del moderatore, che è la persona (o il gruppo di persone) che è responsabile di decidere quali messaggi debbano essere inoltrati e quali no. In molti casi le due figure coincidono, ma non è necessariamente così.
Tra le opzioni principali offerte dai vari servizi di mailing list, si possono citare le seguenti:
Iscrizione
L'iscrizione alla lista può essere libera (una lista pubblica e aperta a tutti e a cui ci si può iscrivere senza verifiche), controllata dal moderatore (l'utente chiede di essere iscritto, il moderatore valuta la richiesta), o bloccata (solo il moderatore può iscrivere nuovi membri). Inoltre normalmente una richiesta di iscrizione deve essere verificata per essere sicuri che sia autentica. Per fare questo, si invia all'indirizzo di posta di cui è stata richiesta l'iscrizione un messaggio con un codice casuale, che deve essere re-inviato al mittente per confermare la volontà di essere iscritti alla lista. In questo modo ci si assicura che il legittimo proprietario della casella di e-mail desideri davvero essere iscritto.
La rimozione di un indirizzo da una mailing list è normalmente libera e automatica.
Invio dei messaggi
Questa opzione serve a determinare chi può inviare messaggi alla lista. Ci sono liste totalmente aperte, in cui chiunque può inviare un messaggio, altre in cui l'invio dei messaggi è riservato agli iscritti, oppure ci sono liste moderate, in cui tutti i messaggi devono essere valutati da un moderatore e altre in cui solo alcuni possono inviare messaggi, e non è possibile alcuna discussione (dette più propriamente newsletter).
Caratteristiche dei messaggi
In molti sistemi di mailing list è possibile configurare filtri che bloccano i messaggi che non rispettano determinate caratteristiche: per dimensione (scarta o blocca i messaggi che superano una certa dimensione), per numero di destinatari (scarta o blocca i messaggi che hanno molti destinatari, per evitare la diffusione di indirizzi e-mail privati).
Inoltre è possibile modificare i messaggi agendo sugli allegati, ad esempio cancellando tutti gli allegati, o solo quelli di alcuni tipi MIME.
Archivio
Se il servizio comprende l'archiviazione automatica dei messaggi, si può decidere se l'archivio sia pubblico, accessibile solo ai membri o riservato all'amministratore.
Lista degli iscritti
Si può decidere se l'elenco degli iscritti alla lista debba essere pubblico (cosa che viene fatta raramente, per ragioni di privacy), accessibile solo ai membri o riservato all'amministratore.
Possibilità di disiscrizione
Gli utenti possono disiscriversi dalle comunicazioni della mailing list in qualsiasi momento, solitamente tramite l'utilizzo di un link sottostante alle comunicazioni.
Modalità digest
Normalmente i messaggi inviati alla lista vengono inviati immediatamente a tutti i membri. Alcuni membri possono però decidere di ricevere invece più messaggi tutti insieme. Questa è detta modalità digest. Il digest è un messaggio e-mail che contiene un insieme di messaggi alla lista, e può essere realizzato con MIME o semplicemente copiando il testo dei vari messaggi, e viene creato quando si verificano determinate condizioni, ad esempio sul numero di messaggi da inviare o sul tempo da cui questi sono fermi.
Regole di comportamento
Ogni mailing list è sottoposta a particolari regole di o da comportamento (vedi netiquette) a cui gli iscritti devono attenersi. Generalmente i messaggi devono obbligatoriamente trattare di un particolare argomento, per generico che possa essere. Molte mailing list sono moderate; in questo caso i messaggi inviati dagli iscritti vengono controllati da un moderatore prima di venire ritrasmessi agli altri iscritti.
Esempi di servizi newsletter
Note
Bibliografia
Voci correlate
E-mail
Forum (Internet)
Lettera (messaggio)
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2707 | https://it.wikipedia.org/wiki/Manitoba | Manitoba | Il Manitoba è una provincia del Canada occidentale, nelle Praterie canadesi, il cui capoluogo è Winnipeg. È confinante a nord con il Nunavut, a nord-est con la Baia di Hudson, a est con l'Ontario, a ovest con il Saskatchewan e a sud con gli stati statunitensi del Nord Dakota e del Minnesota. La provincia del Manitoba è entrata a far parte della Confederazione canadese il 15 luglio 1870.
Il Manitoba ha una superficie di . L'altitudine va dal livello del mare sulla Baia di Hudson, agli del monte Baldy. Gran parte del territorio del Manitoba è incluso nello Scudo canadese. Nel 2001 il Manitoba contava abitanti, di cui l'89% anglofoni e il resto suddivisi tra francofoni e amerindi.
Conosciuto nel mondo per l'alta qualità delle farine prodotte che, avendo un indice di forza molto alto, risultavano particolarmente adatte alla panificazione. Il termine manitoba è ormai divenuto sinonimo di farina forte qualsiasi sia il luogo di produzione. Simboli della provincia sono un uccello e un fiore: il grande gufo grigio (Strix nebulosa), e l'anemone pulsatilla. Come scritto sotto lo stemma, il motto del Manitoba è Gloriosus et Liber.
Geografia
Geografia fisica
Longitudinalmente il Manitoba è situato nella parte centrale del Canada, anche se viene considerato parte del Canada occidentale. Confina a ovest con il Saskatchewan, a est con l'Ontario, a nord con Nunavut, affacciandosi sulla Baia di Hudson, a sud con gli stati americani del Nord Dakota e Minnesota.
La provincia ha una lunga costa lungo la Baia di Hudson, e contiene il decimo lago d'acqua dolce più grande del mondo, il Lago Winnipeg, assieme ad altri due grandi bacini: il Lago Manitoba e il Lago Winnipegosis. I laghi del Manitoba coprono circa il 14,5% () della sua superficie provinciale. Il Lago Winnipeg è il lago più grande del Canada meridionale contenuto totalmente all'interno dei suoi confini. Sul lago si trovano molte isole disabitate. Ci sono migliaia di laghi di tutta la provincia, oltre a importanti corsi d'acqua come l'Assiniboine, il Caribou, Churchill, l'Hayes, il Nelson, il Red River del Nord, il Seal, il Whiteshell e il Winnipegl.
La maggior parte della popolazione del Manitoba abita nel sud. La regione si trova all'interno del letto di un lago glaciale preistorico: il Lago Agassiz. Il centro-sud della provincia è pianeggiante, con la presenza di poche colline. Tuttavia, vi sono molte zone collinari e rocciose, insieme con molte grandi dune moreniche risultanti dal ritiro dei ghiacciai. Il Monte Baldy è il punto più elevato a sul livello del mare, e la Baia di Hudson, sulla costa, il più basso al livello del mare. La parte settentrionale del Manitoba si trova all'interno dello Scudo canadese. Gran parte della provincia è scarsamente popolata, soprattutto il nord.
Solo nella parte meridionale della provincia è presente un'agricoltura di tipo estensivo con allevamenti bovini e coltivazioni cerealicole e dei semi oleosi. Il Manitoba possiede circa il 12% dei terreni agricoli canadesi.
Geografia antropica
Storia
Tre differenti tribù nativo americane abitavano la regione dell'odierno Manitoba (da Manitù, lo spirito universale amerindo) prima dell'arrivo degli europei. I Cree, gli Assiniboines e gli Ojibway. I primi erano a loro volta suddivisi in tre sottogruppi, ognuno con un loro differente dialetto e aspetti culturali peculiari; gli Swampy Cree, i Wood Cree e i Plain Cree. Le tribu degli Assiniboines erano alleate a quelle dei Cree. Schematicamente i Chippewya popolavano i territori più settentrionali, i Wood Cree i boschi centro-meridionali, i Plains Cree e gli Assiniboines l'area Sud-Occidentale e gli Objiwa le pianure Sud-Orientali.
I primi europei a giungere nell'odierno Manitoba furono i membri di una spedizione inglese guidata da Thomas Button nel 1612. Sbarcati sulle coste di fronte alla Baia di Hudson passarono l'inverno tra il 1612 e il 1613 sull'estuario del fiume Nelson, rivendicando la regione per la corona britannica. Successivamente un altro equipaggio, guidato da Luke Foxe e Thomas James, sbarcò sulle coste del Manitoba nel 1631.
Nel 1670 il re Carlo II cedette i diritti di commercio e amministrazione di questi territori alla Compagnia della Baia di Hudson. Essi entrarono a far parte dell'immenso territorio conosciuto come Terra di Rupert. Fra gli anni ottanta e novanta del 1600 britannici e francesi costituirono molte stazioni commerciali nella regione, ma questa vicinanza rappresentò ragione di conflitto e tensione crescente fra le due potenze coloniali. Nel 1690 la Compagnia della Baia di Hudson inviò Henry Helsey a esplorare le regioni meridionali del Manitoba, nella speranza che questi riuscisse a convincere alcune tribù native, che vivevano principalmente di caccia ai bisonti, a incominciare un primo commercio di pellame.
Nel 1731 Pierre Gaultier de Varennes, al comando di una spedizione composta da trafficanti e commercianti di pelli, partì da Montréal verso l'entroterra canadese, diretto verso le coste dell'Oceano Pacifico. Durante il suo percorso costruì diversi forti, soprattutto nella regione del Lago Superiore e del fiume Saskatchewan, e passò attraverso la regione meridionale del Manitoba. In queste terre fondò Fort Rouge nel 1738, nell'area dove oggi sorge Winnipeg. Varennes si preoccupò anche di stabilire relazioni amichevoli con le tribù native, per favorirne i commerci di pellame.
Nel 1763, dopo la sconfitta francese nella Guerra franco-indiana, la Francia si vide costretta a cedere la regione ai britannici. In conseguenza, per un periodo seppur breve, la Compagnia della Baia di Hudson usufruì di un monopolio commerciale nell'area che venne interrotto solo con la costituzione della Compagnia del Nord-Ovest negli anni '70 del 1700, ricostituita poi nel 1784 in seguito al suo fallimento. Nella sostanza la Compagnia della Baia di Hudson pur mantenendo il controllo amministrativo del territorio, per decreto del governo del Regno Unito, era obbligata a consentire alla Compagnia del Nord-Ovest a operare nella sua giurisdizione.
Nel 1811 la Compagnia della Baia di Hudson assegnò il controllo di un'ampia regione – ) – a Thomas Douglas. Negli anni immediatamente successivi in tale regione, compresa fra l'attuale Manitoba, il Saskatchewan, il Minnesota e il Nord Dakota e conosciuta con il nome di Colonia di Red River, Douglas favorì l'insediamento di numerosi coloni, prevalentemente di origine scozzese e irlandese, per poter dar sviluppo allo sfruttamento agricolo.
Sfortunatamente le ripetute piogge, le forti nevicate e le intense gelate compromisero i raccolti, e questo comportò un periodo di carestia. Gli alimenti incominciarono a scarseggiare e la situazione si aggravò quando nel 1815 la Compagnia della Baia di Hudson impedì ai nativo-americani di commerciare con la rivale Compagnia del Nord-Ovest che possedeva importanti basi operative nella parte Settentrionale della Colonia di Red River e dove tra l'altro si erano insediati principalmente i nuovi coloni.
La situazione precipitò quando la tribù dei Métis, alleata alla Compagnia del Nord-Ovest, attaccò i coloni di Red River. I Métis erano discendenti di popolazioni nativo americane e coloni europei, in prevalenza di lingua francese, che avevano come principale fonte di sostentamento il commercio di prodotti alimentari con la Compagnia del Nord-Ovest. Punto culminante fu la Battaglia di Seven Oaks che si concluse con la vittoria dei Métis, ma le ostilità continuarono fino al 1821, cioè fino a quando le due compagnie rivali si fusero.
Nel 1869 la Gran Bretagna cedette i territori controllati dalla Compagnia della Baia di Hudson al governo del Canada (la Confederazione canadese era nata solo due anni prima, nel 1867 quando la colonia britannica del Canada, il Nuovo Brunswick e la Nuova Scozia si unirono in un unico paese) e con essi anche i territori dell'odierna provincia del Manitoba. Le popolazioni Métis non videro di buon grado questa fusione, perché temevano l'assimilazione alla cultura anglofona che si preannunciava inevitabile. Nel 1869 Louis Riel guidò una rivolta a Fort Gary (l'attuale Winnipeg) che durò fino al 1870 e prese il nome di Ribellione di Red River. In quell'anno il governo canadese, nel tentativo di porre fine alla rivolta cedette ai Métis una Carta dei Diritti all'interno del Manitoba Act che nella sostanza creava il Manitoba. Anche se corrispondeva a solo il 5,6% dell'attuale territorio localizzato nell'area Sud-Est, il 15 maggio 1870 il Manitoba divenne la quinta provincia canadese.
Con l'elevazione al rango di provincia, il Manitoba incominciò ad attrarre un gran numero di nuovi coloni dalle altre regioni canadesi, e il rischio di assimilazione culturale dei Métis divenne sempre più pressante e attuale. In un lasso di tempo brevissimo, tra il 1871 e il 1881 la popolazione raddoppiò, passando da 25.228 a 68.260, e maggioritaria divenne la cultura anglofona. Il governo del Manitoba revocò molti dei diritti concessi con il Manitoba Act ai Métis. Fra le principali garanzie vi era l'accesso all'educazione in francese, ma questa lingua venne fatta passare in secondo piano negli istituti e nelle scuole della provincia. Conseguenza diretta fu che un gran numero di Métis decise di emigrare verso ovest, verso gli attuali Saskatchewan e Alberta.
Sul finire dell'Ottocento l'agricoltura divenne la fonte primaria della ricchezza della provincia, soprattutto per la coltivazione del grano. Il cereale divenne prodotto d'esportazione, soprattutto verso gli Stati Uniti, tanto che nel 1878 venne inaugurata una linea ferroviaria che collegava Winnipeg con Saint Paul nel Minnesota. Nel 1886, con il completamento della linea ferroviaria transcontinentale che collegava le città dell'Est canadese con Vancouver, Winnipeg divenne snodo ferroviario di primaria importanza, e questo favorì ulteriormente l'economia agraria che giovò dei nuovi collegamenti viari per i prodotti da esportare. Dal 1871 i limiti territoriali del Manitoba furono gradualmente estesi, verso nord e verso ovest. La provincia raggiunse l'attuale dimensione nel 1912.
Società
Evoluzione demografica
Città
Il Manitoba possiede un'unica grande città: Winnipeg, che è anche capitale provinciale. Nessun'altra cittadina supera i abitanti. Di seguito sono riportate in ordine di grandezza le prime 10 città.
Sport
Hockey su ghiaccio
Dal 1972 al 1996 sono esistiti i Winnipeg Jets, divenuti poi i Phoenix Coyotes. Dal 2011 è nata una nuova squadra, anch'essa chiamata Winnipeg Jets.
Football canadese
Per quanto riguarda lo sport, il Manitoba ha un team rappresentativo che gioca nella Canadian Football League, la lega professionistica del football canadese: i Winnipeg Blue Bombers.
Note
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Collegamenti esterni |
2708 | https://it.wikipedia.org/wiki/Matematica | Matematica | La matematica (dal greco: μάθημα (máthema), traducibile con i termini "scienza", "conoscenza" o "apprendimento"; μαθηματικός (mathematikós) significa "incline ad apprendere") è la disciplina che studia le quantità, i numeri, lo spazio, le strutture e i calcoli.
Col termine matematica di solito si designa la disciplina (e il relativo corpo di conoscenze) che studia problemi concernenti quantità, estensioni e figure spaziali, movimenti di corpi, e tutte le strutture che permettono di trattare questi aspetti in modo generale. La matematica fa largo uso degli strumenti della logica e sviluppa le proprie conoscenze nel quadro di sistemi ipotetico-deduttivi che, a partire da definizioni rigorose e da assiomi riguardanti proprietà degli oggetti definiti (risultati da un procedimento di astrazione, come triangoli, funzioni, vettori ecc.), raggiunge nuove certezze, per mezzo delle dimostrazioni, attorno a proprietà meno intuitive degli oggetti stessi (espresse dai teoremi).
La potenza e la generalità dei risultati della matematica le ha reso l'appellativo di regina delle scienze: ogni disciplina scientifica o tecnica, dalla fisica all'ingegneria, dall'economia all'informatica, fa largo uso degli strumenti di analisi, di calcolo e di modellazione offerti dalla matematica.
Descrizione
Evoluzione e finalità della matematica
La matematica ha una lunga tradizione presso tutti i popoli della storia antica e moderna; è stata la prima disciplina a dotarsi di metodi di elevato rigore e portata. Ha progressivamente ampliato gli argomenti della sua indagine e progressivamente ha esteso i settori ai quali può fornire aiuti computazionali e di modellazione. È significativo che, in talune lingue e in talune situazioni, al termine singolare si preferisca il plurale matematiche.
Nel corso della sua lunga storia e nei diversi ambienti culturali si sono avuti periodi di grandi progressi e periodi di stagnazione degli studi. Questo in parte è dovuto a singoli personaggi, capaci di dare apporti profondamente innovativi e illuminanti e di stimolare all'indagine matematica grazie alle loro doti didattiche. Si sono avuti anche periodi di arretramento delle conoscenze e dei metodi, specie in relazione a eventi distruttivi o a periodi di decadenza complessiva della vita intellettuale e civile. Negli ultimi 500 anni, per il miglioramento dei mezzi di comunicazione, è prevalsa la crescita del patrimonio di risultati e di metodi, dovuta alla natura stessa delle attività matematiche, tese alla esposizione precisa di problemi e soluzioni; ciò impone di comunicare col fine ultimo di chiarire ogni dettaglio delle costruzioni logiche e dei risultati (alcuni chiarimenti richiedono un impegno non trascurabile, talora molti decenni). Questo ha corrisposto alla definizione di un linguaggio, strumento esemplare per la trasmissione e la sistemazione delle conoscenze.
Non va dimenticato che nell'antichità (più precisamente nel periodo ellenistico), con "matematica" ci si riferisce ad un insieme di discipline (geometria, meccanica, ottica, idrostatica, astronomia, geografia matematica, teoria musicale e altre), ossia essa configurava nell'insieme una scienza – si veda al senso etimologico del termine – con rigorosa struttura logica interna e saldi rapporti con applicazioni, ossia avente connessioni con la tecnologia. La scienza antica si è estinta in alcune "ondate distruttive", progressivamente è rinata suddivisa in varie discipline più circoscritte.
Il linguaggio e il rigore matematico
Del linguaggio matematico moderno, fatto di simboli riconosciuti in tutto il mondo, la maggior parte è stata introdotta dopo il XVI secolo. Prima di allora la matematica era scritta usando parole, un processo faticoso che rallentava le scoperte matematiche. Eulero (1707-1783) è stato il responsabile di molte delle notazioni oggi in uso. La notazione matematica moderna rende molto più facile il lavoro del matematico, ma i principianti lo trovano scoraggiante. È estremamente compressa: pochi simboli contengono una grande quantità di informazioni; come le note musicali, la notazione matematica moderna ha una sintassi rigorosa (che in misura limitata varia da autore ad autore, e da disciplina a disciplina) e codifica informazioni difficili da scrivere in qualsiasi altro modo.
Il linguaggio matematico può essere difficile per i principianti. Parole come o e solo hanno precisi significati, più che nella lingua corrente. Inoltre, parole come aperto e campo hanno specifici significati matematici. Il gergo matematico comprende moltissimi termini tecnici, come omeomorfismo e integrabile, perché la matematica richiede assai più precisione del linguaggio quotidiano.
Nelle dimostrazioni matematiche è fondamentale il rigore. Per rigore si intende un utilizzo preciso e logico di teoremi già dimostrati, in modo che, analizzando la dimostrazione in profondità attraverso un processo a ritroso, si arrivi ad assiomi e definizioni universalmente accettati. Il livello di rigore richiesto in matematica è variato col tempo: i Greci richiedevano argomentazioni dettagliate, ma nel periodo di Isaac Newton il rigore utilizzato nelle dimostrazioni si era alleggerito. I problemi nati dalle definizioni usate da Newton hanno portato alla rinascita di una attenta analisi delle dimostrazioni nel corso del Diciannovesimo secolo. Il significato di rigore matematico non è sempre chiaro. Ad esempio i matematici continuano a discutere sull'opportunità di considerare valide le dimostrazioni effettuate attraverso computer: dato che lunghi calcoli sono difficili da verificare, tali dimostrazioni potrebbero essere considerate non sufficientemente rigorose.
Gli assiomi, nel pensiero tradizionale, erano considerati le "verità auto-evidenti", ma questa concezione comporta alcuni problemi. A livello formale, un assioma è solo una successione di simboli, che ha un significato intrinseco solo nel contesto di tutte le formule derivabili di un sistema assiomatico. L'obiettivo del programma di Hilbert è stato proprio quello di fornire l'intera matematica di una solida base assiomatica, ma secondo il teorema di incompletezza di Gödel una completa assiomatizzazione della matematica è impossibile. Nonostante ciò, la matematica è spesso immaginata consistere (per lo meno nel suo contenuto formale) nella teoria degli insiemi in una qualche assiomatizzazione, nel senso che ogni enunciato matematico, o dimostrazione, può essere scritto con formule esprimibili all'interno di tale teoria.
Matematica teorica e applicata
Le attività matematiche sono naturalmente interessate alle possibili generalizzazioni e astrazioni, in relazione alle economie di pensiero e ai miglioramenti degli strumenti (in particolare degli strumenti di calcolo) che esse sono portate a realizzare. Le generalizzazioni e le astrazioni quindi spesso conducono a visioni più approfondite dei problemi e stabiliscono rilevanti sinergie tra progetti di indagine inizialmente rivolti a obiettivi non collegati.
Nel corso dello sviluppo della matematica si possono rilevare periodi e ambienti nei quali prevalgono alternativamente atteggiamenti generali e valori riconducibili a due differenti generi di motivazioni e di approcci: le motivazioni applicative, con la loro spinta a individuare procedimenti efficaci, e le esigenze di sistemazione concettuale con la loro sollecitazione verso generalizzazioni, astrazioni e panoramiche strutturali.
Si tratta di due generi di atteggiamenti tra i quali si costituisce una certa polarizzazione; questa talora può diventare contrapposizione, anche astiosa, ma in molte circostanze i due atteggiamenti stabiliscono rapporti di reciproco arricchimento e sviluppano sinergie. Nel lungo sviluppo della matematica si sono avuti periodi di prevalenza di uno o dell'altro dei due atteggiamenti e dei rispettivi sistemi di valori.
Del resto la stessa nascita della matematica può ragionevolmente ricondursi a due ordini di interessi: da un lato le esigenze applicative che fanno ricercare valutazioni praticabili; dall'altro la ricerca di verità tutt'altro che evidenti, forse tenute nascoste, che risponde a esigenze immateriali, la cui natura può essere filosofica, religiosa o estetica.
Negli ultimi 30 o 40 anni tra i due atteggiamenti si riscontra un certo equilibrio non privo di tensioni riemergenti, ma con molteplici episodi di mutuo supporto. A questo stato di cose contribuisce non poco la crescita del mondo del computer, rispetto al quale il mondo della matematica presenta sia canali di collegamento (che è ormai assurdo cercare di interrompere) sia differenze, ad esempio differenze dovute a diverse velocità di mutazione e a diversi stili comunicativi, che proiettano le due discipline agli antipodi.
Argomenti principali
Cerchiamo ora di segnalare a grandi linee i temi dell'indagine matematica, illustrando una sorta di itinerario per un progressivo accostamento dei problemi, delle argomentazioni e delle sistemazioni teoriche.
Aritmetica
I primi problemi che inducono ad accostarsi alla matematica sono quelli che si possono affrontare con l'aritmetica elementare: i calcoli eseguibili con le quattro operazioni possono riguardare contabilità finanziarie, valutazioni di grandezze geometriche o meccaniche, calcoli relativi agli oggetti e alle tecniche che si incontrano nella vita quotidiana.
I più semplici di questi calcoli possono effettuarsi servendosi solo di numeri interi naturali, ma presto i problemi di calcolo richiedono di saper trattare i numeri interi relativi e i numeri razionali.
Algebra
I problemi aritmetici più semplici sono risolti mediante formule che forniscono risultati conseguenti. Ad esempio: l'area di un rettangolo con lati lunghi e è il loro prodotto . Complicando gli enunciati diventa necessario servirsi di equazioni.
Ad esempio: per il teorema di Pitagora, se un triangolo rettangolo ha i lati più corti (cateti) di lunghezza e , quello più lungo (ipotenusa) ha come lunghezza il numero positivo che risolve l'equazione:
.
Le equazioni più semplici sono le equazioni lineari, sia perché rappresentano le questioni geometriche più semplici, sia perché sono risolvibili con procedimenti standard.
Nelle formule e nelle equazioni conviene far entrare parametri con valori indeterminati: in tal modo si viene a disporre di strumenti di portata più generale, che permettono di conseguire evidenti economie di pensiero.
Ad esempio: in un triangolo rettangolo con cateti di
lunghezza e , la lunghezza dell'ipotenusa è il numero positivo tale che .
Per meglio valutare le formule e per risolvere molti tipi di equazioni è necessario sviluppare un calcolo letterale che permetta di rimaneggiarle. Le regole di questo calcolo letterale costituiscono la cosiddetta algebra elementare.
L'algebra moderna si occupa anche dello studio delle relazioni fra insiemi e delle strutture algebriche, cioè strutture che caratterizzano insiemi concreti (come i numeri) o astratti sui quali è stata definita una o più operazioni.
Geometria
Lo studio della geometria piana e spaziale riguarda inizialmente concetti primitivi: il punto, la retta, il piano. Combinando questi elementi nel piano o nello spazio si ottengono altri oggetti quali segmenti, angoli, angoli solidi, poligoni e poliedri.
Punto, retta, piano e spazio hanno dimensione rispettivamente 0, 1, 2 e 3. Tramite il calcolo vettoriale si definiscono e studiano spazi a dimensione più alta (anche infinita). Gli analoghi "curvi" di questi spazi "piatti" sono le curve e le superfici, di dimensione rispettivamente 1 e 2.
Uno spazio curvo in dimensione arbitraria si chiama varietà.
Dentro a questo spazio si possono spesso definire punti e rette (dette geodetiche), ma la geometria che ne consegue può non soddisfare gli assiomi di Euclide: una tale geometria è generalmente detta non euclidea. Un esempio è dato dalla superficie
terrestre, che contiene triangoli aventi tutti e tre gli angoli retti.
Analisi
L'analisi riguarda principalmente il calcolo infinitesimale, introduce la fondamentale nozione di limite, e quindi di derivata e integrale. Con questi strumenti sono analizzati i comportamenti delle funzioni, che spesso non hanno una descrizione esplicita ma sono soluzioni di una equazione differenziale, derivante ad esempio da un problema fisico.
Settori
Come riportato sopra, le discipline principali sviluppate all'interno della matematica sono nate dalla necessità di eseguire calcoli nel commercio, di capire i rapporti fra i numeri, di misurare la terra e di predire eventi astronomici. Questi quattro bisogni possono essere collegati approssimativamente con la suddivisione della matematica nello studio sulla quantità, sulla struttura, sullo spazio e sul cambiamento (cioè, aritmetica, algebra, geometria e analisi matematica). Oltre a queste, vi sono altre suddivisioni come la logica, la teoria degli insiemi, la matematica empirica di varie scienze (matematica applicata) e più recentemente allo studio rigoroso dell'incertezza.
Quantità
Lo studio sulle quantità incomincia con i numeri, in primo luogo con i numeri naturali (numeri interi non negativi) e tramite operazione aritmetiche su di essi. Le proprietà più profonde dei numeri interi sono studiate nella teoria dei numeri, di cui un esempio famoso è l'ultimo teorema di Fermat. La teoria dei numeri inoltre presenta due problemi non risolti, largamente considerati e discussi: la Congettura dei numeri primi gemelli e la congettura di Goldbach.
I numeri interi sono riconosciuti come sottoinsieme dei numeri razionali ("frazioni"). Questi, a loro volta, sono contenuti all'interno dei numeri reali, usati per rappresentare quantità continue. I numeri reali sono generalizzati ulteriormente dai numeri complessi. Queste sono i primi punti di una gerarchia dei numeri che continua a includere i quaternioni e gli ottonioni. L'analisi dei numeri naturali conduce inoltre ai numeri infiniti.
Strumenti
Strumenti informatici
Tra gli strumenti informatici negli ultimi anni si sono resi disponibili vari generi di pacchetti software volti ad automatizzare l'esecuzione di calcoli numerici, le elaborazioni simboliche, la costruzione di grafici e di ambienti di visualizzazione e, di conseguenza, volti a facilitare lo studio della matematica e lo sviluppo delle applicazioni che possano essere effettivamente incisive.
Particolare importanza ed efficacia vanno assumendo quelli che vengono chiamati sistemi di algebra computazionale o addirittura con il termine inglese Computer algebra systems, abbreviato con CAS.
Segnaliamo alcuni programmi open source o comunque gratuitamente disponibili per lo studio della matematica:
Strutture
Molti oggetti matematici, come gli insiemi di numeri e funzioni, mostrano la loro struttura interna e coerente. Le proprietà strutturali di questi oggetti sono investigate nello studio di gruppi, anelli, campi e altri sistemi astratti, i quali sono a loro volta oggetti. Questo è il campo dell'algebra astratta. In questo campo un concetto importante è rappresentato dai vettori, generalizzati nello spazio vettoriale, e studiati nell'algebra lineare. Lo studio di vettori combina tre tra le fondamentali aree della matematica: quantità, struttura, e spazio. Il calcolo vettoriale espande il campo in una quarta area fondamentale, quella delle variazioni.
Spazi
Lo studio dello spazio incomincia con la geometria, in particolare con la geometria euclidea. La Trigonometria poi combina simultaneamente spazio e numeri. Lo studio moderno dello spazio generalizza queste premesse includendo la Geometria non euclidea (che assume un ruolo centrale nella teoria della relatività generale) e la topologia. Quantità e spazio sono trattati contemporaneamente in geometria analitica, geometria differenziale, e geometria algebrica. Con la geometria algebrica si ha la descrizione di oggetti geometrici come insiemi di soluzioni di equazioni polinomiali combinando i concetti di quantità e spazio, e anche lo studio di gruppi topologici, i quali combinano a loro volte spazio e strutture. I gruppi di Lie sono usati per studiare lo spazio, le strutture e le variazioni. La Topologia in tutte le sue molte ramificazioni può essere considerata la zona di sviluppo più grande nella matematica del XX secolo e include la congettura di Poincaré e il controverso teorema dei quattro colori, di cui l'unica prova, eseguita a computer, non è mai stata verificata da un essere umano.
Matematica discreta
Matematica discreta è il nome comune per i campi della matematica utilizzati nella maggior parte dei casi nell'informatica teorica. Questa include teoria della computazione, teoria della complessità computazionale, e informatica teorica. La teoria della computazione esamina le limitazioni dei vari modelli di computer, compresi i modelli più potenti conosciuti - la Macchina di Turing. La teoria della complessità è lo studio delle possibilità di trattazione da parte di un calcolatore; alcuni problemi, nonostante siano teoricamente risolvibili attraverso un calcolatore, sono troppo costosi in termini di tempo o spazio tanto che risolverli risulta praticamente impossibile, anche prevedendo una rapida crescita delle potenze di calcolo. Infine la teoria dell'informazione si interessa della quantità di dati che possono essere immagazzinati su un dato evento o mezzo e quindi di concetti come compressione dei dati e entropia.
Come campo relativamente nuovo, la matematica discreta possiede un numero elevato di problemi aperti. Il più famoso di questi è il problema " P=NP?" uno dei problemi per il millennio.
Matematica applicata
La matematica applicata considera l'utilizzo della matematica teorica come strumento utilizzato per la risoluzione di problemi concreti nelle scienze, negli affari e in molte altre aree. Un campo importante della matematica è la statistica, la quale utilizza la teoria della probabilità e permette la descrizione, l'analisi, e la previsione di fenomeni aleatori. La maggior parte degli esperimenti, delle indagini e degli studi d'osservazione richiedono l'utilizzo della statistica (molti statistici, tuttavia, non si considerano come veri e propri matematici, ma come parte di un gruppo collegato a essi). L'analisi numerica investiga metodi computazionali per risolvere efficientemente una vasta gamma di problemi matematici che sono, in genere, troppo grandi per le capacità di calcolo umane; essa include lo studio di vari tipi di errore che generalmente si verificano nel calcolo.
{| style="border:1px solid #ddd; text-align:center; margin: auto;" cellspacing="13"
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| Fisica matematica || Fluidodinamica matematica || Ottimizzazione || Probabilità || Statistica || Matematica finanziaria || Teoria dei giochi
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Note
Bibliografia
Letture introduttive
Richard Courant, Herbert Robbins, Ian Stewart (1996): What Is Mathematics?: An Elementary Approach to Ideas and Methods, 2nd ed., Oxford University Press, ISBN 0-19-510519-2 [trad. it. Che cos'è la matematica, seconda edizione riveduta da Ian Stewart, Bollati Boringhieri, 2000].
Gian-Carlo Rota (1997): Indiscrete Thoughts, Birkhäuser, ISBN 0-8176-3866-0.
Keith Devlin (2000): The Language of Mathematics: Making the Invisible Visible, Owl Books, ISBN 0-8050-7254-3 [trad. it. Il linguaggio della matematica, Bollati Boringhieri, 2002].
Timothy Gowers (2002): Mathematics, a very short introduction, Oxford University Press, ISBN 0-19-285361-9 - trad. italiana Matematica - un'introduzione, Giulio Einaudi (2004).
Philip J. Davis e Reuben Hersh: The Mathematical Experience. Birkhäuser, Boston, Mass., (1980).
Riccardo Bersani - Ennio Peres: Matematica, corso di sopravvivenza TEA Pratica 2002 1* Edizione Ponte delle Grazie Milano ISBN 88-502-0104-4.
Philip J. Davis: Il mondo dei grandi numeri Zanichelli, Matematica Moderna, 1968.
Boris de Rachewiltz: Egitto Magico Religioso, edizioni Terra di Mezzo, capitolo: l'universo matematico, il culto di Maat, dea astratta della verità e della Giustizia.
Approfondimenti
Morris Kline (1981): Mathematics - The loss of Certainty. Oxford University Press (1980) (esposizione di livello medio dei cambiamenti di concezione della matematica che si sono imposti nel XX secolo.).
Björn Engquist, Wilfried Schmid eds. (2001): Mathematics Unlimited - 2001 and beyond, Springer. Raccolta di una ottantina di articoli di matematici militanti sullo stato corrente e sulle prospettive della ricerca matematica.
Voci correlate
Quantità
Numero
Numeri naturali
Pi Greco
Numeri interi
Numeri razionali
Numeri reali
Numeri complessi
Numeri ipercomplessi
Quaternioni
Ottetti
Sedenioni
Numeri iperreali
Numeri surreali
Numeri ordinali
Numeri cardinali
Numeri p-adici
Successioni di interi
Costanti matematiche
Nome dei numeri
Infinito (matematica)
Strutture
Algebra astratta
Teoria dei numeri
Geometria algebrica
Gruppo (matematica)
Monoide
Analisi Matematica
Topologia
Algebra lineare
Teoria dei grafi
Algebra universale
Teoria delle categorie
Spazi
Topologia
Geometria
Trigonometria
Geometria algebrica
Geometria differenziale
Topologia differenziale
Topologia algebrica
Algebra lineare
Geometria frattale
Teoria della misura
Analisi funzionale
Teoremi e congetture famose
Ultimo teorema di Fermat
Ipotesi di Riemann
Ipotesi del continuo
Complessità P e NP
Congettura di Goldbach
Congettura dei numeri primi gemelli
Teoremi di incompletezza di Gödel
Congettura di Poincaré
Argomento diagonale di Cantor
Teorema di Pitagora
Teorema del limite centrale
Teorema fondamentale del calcolo integrale
Teorema fondamentale dell'algebra
Teorema fondamentale dell'aritmetica
Teorema dei quattro colori
Lemma di Zorn
Identità di Eulero
Congettura di Scholz
Teorema del punto fisso di Brouwer
Congettura di Collatz
Teorema di Dandelin
Teorema di Lagrange
Congettura abc
Fondamenti e metodi
Filosofia della matematica
Intuizionismo matematico
Costruttivismo matematico
Fondamenti della matematica
Logica matematica
Teoria dei modelli
Teoria assiomatica degli insiemi
Theorem-proving
Matematica inversa
Simboli matematici
Logica
Matematica e storia
Storia della matematica
Panoramica storica delle notazioni matematiche
Cronologia della matematica
Storia dell'insegnamento della matematica
Matematica discreta
Calcolo combinatorio
Combinatorica
Teoria della computazione
Crittografia
Teoria dei grafi
Teoria dei giochi
Teoria dei codici
Persone, premi e competizioni
Medaglia Fields
Premio Nevanlinna
Premio Abel
Premio Bartolozzi
Premio Caccioppoli
Premio Tricerri
Premio Vinti
Premio Fichera
Premio Clay
Premio Schock
Premio Steele
Premio Balzan
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Comunità della matematica
Organismi associativi dei matematici
Matematica su Internet
Encyclopaedia of Mathematics
Documentazione della matematica
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Matematica ricreativa
Etnomatematica
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Discalculia
Acalculia
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Altro
Problemi irrisolti in matematica
Altri progetti
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2709 | https://it.wikipedia.org/wiki/Metodo%20forza%20bruta | Metodo forza bruta | Metodo forza bruta (anche ricerca esaustiva), nella sicurezza informatica, indica un algoritmo di risoluzione di un dato problema che consiste nel verificare tutte le soluzioni teoricamente possibili fino a che si trova quella effettivamente corretta. Il suo principale fattore positivo è che esso consente teoricamente di trovare sempre la soluzione corretta ma, per contro, questa è sempre la soluzione più lenta o dispendiosa: viene utilizzato come ultima risorsa sia in crittanalisi, sia in altre parti della matematica, ma solamente in quei casi in cui esso sia l'unico procedimento conosciuto o nei casi in cui altri algoritmi più performanti, tipo l'attacco a dizionario, abbiano fallito.
Descrizione
Utilizzo in crittoanalisi
In ambito crittanalitico, questo metodo si utilizza in genere per trovare la chiave di un sistema che impiega un cifrario per individuare il quale non si conosca alcun attacco migliore ed è noto appunto come attacco di forza bruta. Questo fu, ad esempio, il metodo utilizzato dal controspionaggio polacco per decifrare i messaggi tedeschi della macchina Enigma, ideata da Arthur Scherbius. Per ottenere il risultato, infatti, essi utilizzarono la famosa Bomba ideata da Marian Rejewski, una speciale macchina calcolatrice in grado di sottoporre il messaggio cifrato ad un attacco di forza bruta, fino a trovare la soluzione. La macchina venne poi perfezionata dagli inglesi, grazie al contributo del grande matematico Alan Turing.
Questi primi rudimentali e mastodontici calcolatori erano lentissimi, se paragonati agli attuali computer, e potevano impiegare interi mesi per decifrare un breve messaggio. In tempi più recenti, per supplire alla sempre maggiore velocità dei computer disponibili in commercio, divenne necessario utilizzare chiavi di dimensione sempre maggiore. Questa crescita delle dimensioni della chiave è sostenibile, dato che mentre lo spazio delle chiavi (e quindi il tempo necessario per un attacco forza bruta) aumenta esponenzialmente con la lunghezza della chiave (come O(2n), per la precisione), il tempo di cifratura e decifrazione in genere ha poca dipendenza dalla lunghezza della chiave. Per fare un esempio, utilizzando chiavi di 256 bit, AES è più veloce del Data Encryption Standard (DES), che può utilizzare solamente chiavi da 56 bit.
Un esempio pratico di attacco di forza bruta è quello di tentare di aprire una valigetta con serratura a combinazione provando tutte le possibili combinazioni delle rotelle numerate, che in genere sono solo tre e contengono ognuna una cifra da 0 a 9; le combinazioni totali, ossia i numeri da 000 a 999, sono in tutto 1.000, e altrettanti sono i tentativi massimi necessari per trovare la combinazione esatta. Per aumentare la protezione della valigetta da questo tipo di attacchi è possibile aumentare il numero di ruote numerate; siccome il numero di combinazioni in questo caso cresce secondo le potenze di dieci, con una ruota in più le possibili combinazioni passano da 1.000 a 10.000. Bisogna prestare attenzione però al trade off, cioè il rapporto tra tempo-memoria e tempo-processori: come spiegato da Daniel J. Bernstein nell'articolo riportato, un calcolatore con 232 processori è incomparabilmente più veloce del corrispondente calcolatore seriale di pari costo.
Utilizzo in sicurezza informatica
Nell'ambito della sicurezza informatica, questo metodo si utilizza soprattutto per trovare la password di accesso a un sistema. La differenza principale tra attaccare una chiave crittografica e attaccare una password è che la prima è solitamente stata generata in modo totalmente casuale mentre una password, per la sua stessa natura di dover essere ricordata e inserita da esseri umani, è generalmente meno densa di informazioni. Utilizzando una parola italiana di 8 caratteri come password, la sua sicurezza (il numero di possibilità che un attaccante deve testare) non è di 263 tentativi (una sicurezza equivalente a una chiave casuale di 64 bit) ma piuttosto il numero totale di parole italiane di 8 caratteri (una sicurezza equivalente a meno di 16 bit). È quindi palese l'importanza di utilizzare password molto lunghe (spesso chiamate passphrase) oppure generate casualmente; queste due scelte non fanno altro che barattare la facilità di memorizzazione con la lunghezza e il tempo necessario per inserire manualmente la password.
Quando sul sistema è possibile un attacco offline, ovvero quando l'attacco si può eseguire su una copia di lavoro locale del sistema da attaccare, si può compensare la lentezza di esecuzione con la quantità di risorse; laddove un singolo computer possa "provare" 100.000 chiavi al secondo, due computer possono provarne il doppio e così via (la velocità aumenta linearmente con le risorse utilizzate). Questa caratteristica ha motivato, nei recenti anni, molti attacchi "distribuiti" sfruttando solo i cicli inutilizzati di migliaia e migliaia di comuni computer (Internet facilita di molto l'organizzazione di questo tipo di attacchi). Questo ovviamente non è applicabile a sistemi informatici dove sia possibile esclusivamente un attacco online, né a sistemi che utilizzino protezioni fisiche quali lucchetti metallici; non è ovviamente possibile velocizzarne l'apertura provando due o più chiavi alla volta.
Voci correlate
Attacco a dizionario
Crittografia
Enigma (crittografia)
Password
Potenza di due
Rafforzamento della chiave
Sicurezza informatica
Limite di Bremermann
Collegamenti esterni
Daniel Bernstein, Understanding brute force
Analisi numerica
Tecniche di attacco informatico
Metodi crittanalitici |
2710 | https://it.wikipedia.org/wiki/Media%20%28statistica%29 | Media (statistica) | In statistica, la media è un singolo valore numerico che descrive sinteticamente un insieme di dati. Esistono diversi tipi di media che possono essere scelte per descrivere un fenomeno: quelle più comunemente impiegate sono le tre cosiddette medie pitagoriche (aritmetica, geometrica e armonica). Nel linguaggio ordinario, con il termine media si intende comunemente la media aritmetica. È l'indice di posizione più usato.
Definizione generale di Chisini
Oscar Chisini ha formalizzato una definizione generale di media ampiamente accettata, che riflette la relatività del concetto di media rispetto al particolare fenomeno in analisi.
Dato un campione di numerosità e una funzione in variabili, la media delle rispetto a è definita come quell'unico numero , se esiste, tale che sostituendolo a tutte le variabili il valore della funzione rimane inalterato:
Le medie comunemente impiegate (aritmetica, geometrica, armonica, di potenza) sono casi particolari ottenibili tramite questa definizione, per una funzione opportuna.
Media aritmetica
La media aritmetica è il tipo di media impiegato più comunemente e quello al quale, con il termine "media", si fa in genere riferimento nel parlare comune. Viene usata per riassumere con un solo numero un insieme di dati su un fenomeno misurabile (per esempio, l'altezza media di una popolazione).
Viene calcolata sommando tutti i valori a disposizione e dividendo il risultato per il numero complessivo dei dati.
La formula della media aritmetica semplice per elementi è:
Nel caso in cui si disponga della distribuzione di frequenze del fenomeno (carattere) misurato è possibile calcolare più agilmente la media aritmetica a partire dalle seguente formula:
dove è il numero di modalità assunte dal carattere rappresenta la -esima modalità di e la corrispondente frequenza assoluta. Essendo poi , ne deriva che:
dove rappresenta la frequenza relativa della -esima modalità del carattere
La media aritmetica ponderata (o media pesata) viene calcolata sommando i valori in analisi, ognuno moltiplicato per un coefficiente (detto anche peso) che ne definisce l'"importanza", e dividendo tutto per la somma dei pesi (quindi è una combinazione lineare convessa dei dati in analisi). Alla luce di questa definizione, la media aritmetica semplice è un caso particolare di media aritmetica pesata nella quale tutti i valori hanno peso unitario.
La formula generale per la media pesata è quindi:
dove è il peso del termine -esimo.
Si dimostra facilmente che la media aritmetica è un indice di posizione, in quanto aggiungendo o moltiplicando tutti i valori per una stessa quantità la media stessa aumenta o è moltiplicata per quella stessa quantità. Come tutti gli indici di posizione, la media aritmetica fornisce l'ordine di grandezza dei valori esistenti e permette di conoscerne la somma dei valori (moltiplicando la media per il numero di elementi).
Oltre che in matematica, la media aritmetica è ampiamente impiegata in svariati campi, quali economia, sociologia e nella maggior parte delle discipline accademiche.
Nonostante la media aritmetica sia spesso usata per fare riferimento alle tendenze, non fornisce un dato statistico robusto in quanto risente notevolmente dei valori anomali (outlier). Per questo si considerano spesso anche altri indici, come la mediana, che sono più robusti rispetto ai valori anomali e si fa un'analisi comparata. Un tentativo di ridurre l'effetto dei valori estremi nel calcolo della media aritmetica è costituito dalla trimmed mean, ovvero un particolare calcolo della media nel quale si considera solo una certa percentuale dei valori più centrali, tralasciando i valori agli estremi di questi. È comune, per esempio, il calcolo della trimmed mean al 50%, che consiste nella media aritmetica del 50% dei valori più centrali, tralasciando dunque il 25% dei valori più piccoli e il 25% di quelli più grandi.
Proprietà della media aritmetica
La media aritmetica gode delle seguenti proprietà:
la somma degli scarti di ciascun valore di dalla media aritmetica è nulla:
la somma del quadrato degli scarti di ciascun valore di da una costante è minima quando è pari alla media aritmetica:
la media aritmetica relativa ad un collettivo di unità suddiviso in sottogruppi disgiunti può essere calcolata come la media ponderata delle medie dei sottogruppi, con pesi pari alla loro numerosità: dove ed rappresentano rispettivamente la media aritmetica e la numerosità dell'-esimo sottogruppo;
la media aritmetica di un carattere ottenuto a partire dalla trasformazione lineare di un carattere è uguale a , dove è la media aritmetica del carattere .
Esempio
Dati cinque numeri:
la loro media aritmetica è data da:
Media ponderata
Per calcolare la media ponderata di una serie di dati di cui ogni elemento proviene da una differente distribuzione di probabilità con una varianza nota, una possibile scelta per i pesi è data da:
La media ponderata in questo caso è:
e la varianza della media ponderata è:
che si riduce a quando tutti i .
Il significato di tale scelta è che questa media pesata è lo stimatore di massima verosimiglianza della media delle distribuzioni di probabilità nell'ipotesi che esse siano indipendenti e normalmente distribuite con la stessa media.
Media geometrica
La media geometrica di termini è la radice -esima del prodotto degli valori:
Sfruttando le proprietà dei logaritmi, l'espressione della media geometrica può essere resa trasformando i prodotti in somme e le potenze in prodotti:
Dalla precedente scrittura si ricava anche una proprietà della media geometrica: il logaritmo della media geometrica è uguale alla media aritmetica dei logaritmi. Infatti, svolgendo il logaritmo su entrambi i lati dell'uguaglianza e ricordando che , si ottiene:
Nel caso si disponga della distribuzione di frequenze della variabile, è possibile calcolare più facilmente la media geometrica attraverso la seguente formula:
dove è il numero delle modalità assunte dalla variabile , rappresenta la -esima modalità di e la corrispondente frequenza assoluta. Dalla precedente si ottiene anche:
Analogamente al caso della media aritmetica, attribuendo un peso ai termini si può calcolare la media geometrica ponderata:
La media geometrica può essere vista anche come media aritmetico-armonica. Definendo infatti due successioni:
e convergono alla media geometrica di e .
Infatti le successioni convergono ad un limite comune. Si può infatti osservare che:
Lo stesso ragionamento può essere applicato sostituendo le medie aritmetica e armonica con una coppia di medie generalizzate di ordine finito e opposto.
La media geometrica si applica a valori positivi. Ha un chiaro significato geometrico: ad esempio la media geometrica di due numeri è la lunghezza del lato di un quadrato equivalente ad un rettangolo che abbia i lati di modulo pari ai due numeri. Lo stesso vale in un numero di dimensioni superiore. La media geometrica trova impiego soprattutto dove i valori considerati vengono per loro natura moltiplicati tra di loro e non sommati. Esempio tipico sono i tassi di crescita, come i tassi d'interesse o i tassi d'inflazione.
Una caratteristica è che valori piccoli (rispetto alla media aritmetica) sono molto più influenti dei valori grandi. In particolare, è sufficiente la presenza di un unico valore nullo per annullare la media.
Esempio
Dati cinque numeri:
la loro media geometrica è data da:
Media armonica
La media armonica di termini è definita come il reciproco della media aritmetica dei reciproci:
Per praticità di calcolo si può applicare la seguente formula, ottenuta tramite le proprietà di somme e prodotti:
Se a un insieme di dati è associato un insieme di pesi , è possibile definire la media armonica ponderata come:
La media armonica semplice rappresenta un caso particolare, nel quale tutti i pesi hanno valore unitario.
La media armonica è fortemente influenzata dagli elementi di modulo minore: rispetto alla media aritmetica risente meno dell'influenza di outlier grandi, ma è influenzata notevolmente dagli outlier piccoli.
Esempio
Dati cinque numeri:
la loro media armonica è data da:
Media di potenza
La media di potenza (o media generalizzata o media di Hölder o media -esima) rappresenta una generalizzazione delle medie pitagoriche. È definita come la radice -esima della media aritmetica delle potenze di esponente degli valori considerati:
Molte altre medie sono casi particolari della media generalizzata, per opportuni valori di :
media aritmetica, per ;
media geometrica, per ;
media armonica, per ;
media quadratica, per (usata soprattutto in presenza di numeri negativi per eliminare i segni);
media cubica, per .
Inoltre:
Ad ogni termine può essere associato un coefficiente detto peso, in genere rappresentato dalla frequenza oppure da un valore il quale descrive l'importanza (oggettiva o soggettiva) che il singolo elemento riveste nella distribuzione. Se ai dati in esame si assegna un insieme di pesi , tali che , è possibile definire la media pesata:
Media aritmetico-geometrica
La media aritmetico-geometrica (AGM) di due numeri reali positivi e è definita come limite comune di due successioni definite come segue.
Si determinano la media aritmetica e la media geometrica di e
.
Quindi si itera il procedimento, sostituendo ad e a . In questo modo si ottengono due successioni:
Le due successioni sono convergenti e hanno limite comune, detto media aritmetico-geometrica di e , indicata come o talvolta come .
La media geometrica di due numeri è sempre minore della media aritmetica, di conseguenza è una successione crescente, è decrescente e si ha (le disuguaglianze sono strette se ).
Quindi è un numero compreso fra la media aritmetica e la media geometrica di e .
Inoltre, dato un numero reale , vale la relazione
Esiste anche un'espressione in forma integrale di :
dove rappresenta l'integrale ellittico completo di prima specie:
Inoltre, poiché la media aritmetico-geometrica converge piuttosto rapidamente, la formula precedente è utile anche nel calcolo degli integrali ellittici.
Il reciproco della media aritmetico-geometrica di e è chiamata costante di Gauss, in onore del matematico tedesco Carl Friedrich Gauss.
Media integrale
Una generalizzazione del concetto di media a distribuzioni continue prevede l'uso di integrali.
Supponiamo di avere una funzione , integrabile. Allora si può definire la media come:
Data inoltre una funzione tale che , detta peso, si può definire la media integrale pesata come:
Più in generale data una funzione dove è un insieme sul quale è definita una funzione di integrazione, si definisce la media come:
Media temporale
La media temporale, spesso usata nella trattazione di segnali, è chiamata componente continua. Si tratta della media integrale calcolata in un intervallo di tempo tendente all'infinito.
.
per:
Note
Bibliografia
Voci correlate
Valore atteso
Variabile
Varianza
Covarianza
Mediana
Moda
Momento (statistica)
Trimmed mean
Disuguaglianza tra media aritmetica e media geometrica
Collegamenti esterni
Calcolo della media pesata - Sito italiano che permette di eseguire online il calcolo della media, anche pesata, di una serie di dati.
Calcolo della media ponderata - Sito che permette il calcolo della media ponderata e aritmetica con possibilità di grafici e statistiche.
Indici di posizione
Psicometria |
2711 | https://it.wikipedia.org/wiki/Merano | Merano | Merano (IPA: , Meran in tedesco, Maran in ladino) è un comune italiano di abitanti, capoluogo della comunità comprensoriale del Burgraviato, nella provincia autonoma di Bolzano, in Trentino-Alto Adige.
Geografia fisica
Territorio
Capoluogo della Comunità comprensoriale del Burgraviato, è circondata dalle montagne (1500–3330 m) e si trova nel fondovalle all'inizio di quattro importanti valli: la Val Venosta, la Val Passiria, la Val d'Adige e la Val d'Ultimo.
Attraversata dal torrente Passirio che confluisce nell'Adige, si trova alle pendici del Gruppo Tessa (fino a , confine con l'Austria) e dell'Altopiano del Salto (fino a m).
A sud Merano dista 30 km dal capoluogo di provincia, Bolzano, al quale è collegata da una superstrada a 4 corsie, conosciuta come "MeBo", e da una linea ferroviaria. A ovest comincia la Val Venosta, con la ferrovia della Val Venosta, a sud-ovest la Val d'Ultimo e a nord-est la Val Passiria.
Alla periferia di Merano sorgono il paese e il castello di Tirolo (Dorf Tirol, Schloss Tirol) da cui prende nome la regione storica del Tirolo.
Quartieri
Merano è divisa in diversi quartieri. Il vecchio nucleo di Merano con il centro storico e il quartiere Steinach si trovano sulla riva destra orografica del Passirio; le frazioni di Maia Alta (Obermais' ') e Maia Bassa (Untermais), si trovano di fronte sulla riva sinistra del fiume. Quarazze (Gratsch) e Labers sono distretti rurali: il primo occupa l'estremo nord-ovest dell'area urbana ai piedi delle pendici del gruppo Tessa, mentre Labers si estende sulle pendici del Montezoccolo (Tschögglberg in tedesco) a est. Sinigo, con la sua zona industriale e commerciale, è separata dal resto della città a sud.
Turismo
Considerato luogo di cura sin dal XIX secolo, Merano era inizialmente orientata verso un turismo per la terza età, grazie al clima mite e alla quiete che la caratterizzano. Nel XX secolo e particolarmente negli ultimi due decenni questa tendenza è cambiata soprattutto grazie a un'offerta più variegata e all'arrivo del turismo nazionale e internazionale che ha raggiunto e superato quello dei paesi germanofoni facendo notevolmente scendere l'età media dei suoi visitatori.
Origini del nome
Il toponimo è attestato come Mairania nell'857, nel 1242 come Meran e nel 1317 come stat ze Meran ("città di Merano"). Dal XV secolo prevale la forma auf der Meran. Il toponimo è un prediale derivato da Marius + anum, come attestano anche molti altri esempi italiani; la e è facilmente spiegata come -arj- > -ajr- > -er-; la forma tedesca Meran, per l'accento non ritratto, riflette una germanizzazione piuttosto recente.
Storia
In epoca romana la zona dell'attuale Merano è detta Maia e si trova sul confine tra la provincia della Rezia e la Regio X Venetia et Histria, ai margini settentrionali del municipium di Trento. In epoca tardo-antica vi si sviluppa il castrum Maiense, un insediamento fortificato localizzato a partire dalla rocca dell'attuale castel San Zeno (Zenoburg). Nella cappella del castrum furono sepolti san Valentino di Rezia (alla fine del V secolo) e san Corbiniano di Frisinga (attorno al 730). È invece del 857 la prima menzione del nome di Mairania.
Merano si sviluppa notevolmente sotto la famiglia d'arme divenuta allora proprietaria del castello di Tirolo. La dinastia assume il nome di conti del Tirolo nel corso del Duecento, in particolare con Alberto III di Tirolo e con Mainardo II di Tirolo-Gorizia, quando l'antico nucleo urbanistico assume la sua caratteristica fisionomia. Di quel periodo rimane l'imponente torre Ortenstein (anche nota come torre delle Polveri - Pulverturm - perché usata dal XVI secolo come deposito di esplosivi), sede un tempo del burgravio principesco.
Merano diviene città nel corso del XIII secolo e acquisisce diritti cittadini nel 1317. Nel XIV secolo, grazie anche ai privilegi concessi da Leopoldo III, divenuto per eredità anche Conte del Tirolo, si sviluppa molto il settore commerciale. Ne è anche testimone l'attività intensa di notai nel Tre e Quattrocento.
Con il trasferimento della sede dei nuovi conti d'Asburgo ad Innsbruck nel 1420 la città perde la sua primaria importanza come centro economico, pur rimanendo formalmente capitale della contea del Tirolo fino al 1848. Solo con le guerre di liberazione del Tirolo del 1809, guidate da Andreas Hofer della Passiria, Merano ritorna al centro dell'attenzione: sul monte Benedetto (Segenbühel), sopra Merano, i tirolesi combattono vittoriosamente una battaglia contro i Francesi e i Bavaresi nell'ambito della guerriglia da loro condotta contro le truppe franco-bavaresi, che alla fine di una lunga battaglia combattuta al Bergisel di Innsbruck, Andreas Hofer, non ottenuto il promesso appoggio dell'imperatore asburgico, perde per nettissima inferiorità di forze la battaglia finale e verrà pochi mesi dopo giustiziato a Mantova, mentre la figlia dell'imperatore d'Austria va in sposa a Napoleone quale pegno di pace.
Nella seconda metà dell'Ottocento Merano diviene un importante luogo di cura e villeggiatura dell'Impero austro-ungarico, grazie anche al collegamento ferroviario inaugurato nel 1881 e completato con la stazione ferroviaria su disegno di von Chabert del 1905. Conseguentemente la città si espande al di fuori del perimetro delle mura su modelli urbanistici di derivazione viennese e salisburghese e con l'apporto dell'urbanista tedesco Theodor Fischer.Anna Pixner-Pertoll, Ins Licht gebaut: Die Meraner Villen, ihre Gärten und die Entwicklung der Stadt (1860–1920), Bolzano, Edition Raetia 2009. Dopo la prima guerra mondiale Merano, come tutta la parte meridionale del Tirolo, viene annessa all'Italia. Tra le due guerre vi viene realizzato l'ippodromo di Maia.
Merano ha un'antica tradizione turistica. Molti sono infatti gli ospiti della politica e della cultura che hanno passato le loro vacanze nella città, per esempio l'imperatrice Sissi e gli scrittori Franz Kafka e Gottfried Benn. Questo soprattutto perché scienziati e medici hanno sempre consigliato la città per il suo clima mite e quasi mediterraneo e per la qualità dell'aria. Nel 1914 viene ampliato il Kurhaus, opera dell'architetto Friedrich Ohmann che era legato alla Secessione viennese.
Le prime corse di cavalli a Merano risalgono al 1896 e la creazione di un primo ippodromo al 1900. Dopo un decennio di crisi, una nuova imponente struttura per la corsa ad ostacoli è realizzata e aperta agli appassionati nel 1935. Il Gran Premio Merano è abbinato ad una ricca lotteria nazionale.
A differenza di Bolzano, il volto di Merano non viene stravolto dal fascismo italiano. Inoltre, nel corso della seconda guerra mondiale, Meran non subisce bombardamenti, per via del fatto che viene considerata una zona adibita al ricovero dei malati di guerra. La città è a lungo amministrata (fino al 1935) dal sindaco e poi podestà Maximilian Markart, che sa conservarne la vocazione turistica internazionale. Gli interventi pubblici sono tesi per lo più a sviluppare le strutture esistenti, come nel caso dell’ampliamento dell’ippodromo di Maia, o a dare attuazione ad antiche aspirazioni, come negli studi per la realizzazione della città termale.
Se si prescinde dal caso di Sinigo, la frazione meridionale sorta attorno alla bonifica del fondovalle e alla fabbrica della Montecatini, gli investimenti per l’edilizia popolare saranno spesso tardivi e comunque non inquadrabili in un progetto di promozione dell’immigrazione.
Tra le due guerre Merano riprende il suo volto di città internazionale. Negli anni ’30 diviene meta di molte famiglie ebree in fuga dal resto d’Europa. Questa situazione va in crisi a partire dal 1938 e soprattutto dopo il settembre 1943.
A metà settembre 1943 scattano i rastrellamenti degli ebrei. A seguito delle leggi razziali italiane del 1938, la popolazione ebraica della provincia, residente in maggioranza a Merano, si era già oltremodo assottigliata. I più si erano trasferiti altrove e in città erano rimaste circa sessanta persone. Ventidue di esse (seguite poi da altre) sono arrestate dal SOD (Sicherheits- und Ordnungsdienst) per ordine delle SS e avviate, il 16 settembre, ai campi di sterminio. Si tratta della prima deportazione di ebrei avvenuta su territorio italiano.
Merano non subisce attacchi aerei (tranne quello su Sinigo all’inizio di aprile del 1945). Già nei primi anni di guerra infatti alcuni alberghi meranesi sono trasformati in ospedali militari. Dopo l’occupazione tedesca Merano diviene città ospedaliera, meta per i feriti provenienti dal fronte italiano. Nel 1944 essa viene dichiarata formalmente “città ospedaliera” (Lazarettstadt), una qualifica che assicura particolare salvaguardia in base alle convenzioni internazionali. Merano è perciò rifugio sicuro per diverse personalità e attività segrete, centro tra l’altro della rete di distribuzione di denaro falso nota come operazione Bernhard.
Dopo la distruzione degli impianti norvegesi Norsk-Hydro di Vemork, che producono l’acqua pesante destinata ai progetti tedeschi per realizzare la bomba atomica, nel novembre 1943 un gruppo di scienziati tedeschi visita lo stabilimento di Sinigo e la centrale di Marlengo per verificare se l’impianto di elettrolisi della Montecatini sia tecnicamente adatto alla produzione di acqua pesante. Malgrado il parere negativo, a Sinigo avrà comunque luogo una piccola produzione del prezioso liquido.
La fabbrica di Sinigo viene bombardata il 4 aprile del 1945, non a causa dell’acqua pesante, ma per la produzione di metanolo.
La guerra si conclude con un inutile fatto di sangue dai contorni mai del tutto chiariti. Il 30 aprile 1945 a Merano i militari tedeschi aprono il fuoco su due cortei di persone che intendevano festeggiare la fine del conflitto. Otto morti e molti feriti.
Anche dopo il 1945 Merano è una delle mete più frequentate dai turisti in Alto Adige.
A Merano si trova il museo provinciale del turismo "Touriseum", ospitato nel castel Trauttmansdorff, al quale è annesso il giardino botanico, uno dei più belli in Italia. A dicembre 2005 sono state riaperte le Terme di Merano con annesso un hotel a quattro stelle. Nel corso del 2017 la città di Merano ha festeggiato i 700 anni dalla introduzione del suo primo ordinamento civico, con una serie di mostre e manifestazioni storiche durate 365 giorni.
Stemma
Lo stemma mostra l'aquila tirolese, seduta su un muro con quattro pezzi di merlatura ghibellina e tre arcate che simboleggiano la città. L'insegna è conosciuta dal XIV secolo; il sigillo più vecchio risale al 1353 e quello a colori al 1390. In un'immagine del 1759 l'aquila viene raffigurata con una corona e una ghirlanda verde d'onore, il cosiddetto Ehrenkränzel. Nel 1911 fu concesso uno stemma simile, ma con le arcate con i cancelli aperti sopra un prato di trifoglio. Tale aspetto venne confermato anche nel 1928, ma nel 1973 si decise di tornare allo stemma precedente.
Monumenti e luoghi d'interesse
Architetture religiose
Tra le chiese storiche di Merano il Duomo di San Nicolò, con la cappella di Santa Barbara, la chiesa di Santo Spirito (già chiesa dell'Ospedale), quelle di Santa Maria del Conforto e di San Vigilio a Maia Bassa. Risalgono al Novecento la chiesa di Santa Maria Assunta e la chiesa di San Giusto a Sinigo.
Nel centro della città si trovano anche il convento dei Cappuccini e l'ex convento delle Clarisse.
Architetture civili
Kurhaus
Progettato nel 1873 dall'architetto Josef Czerny, il Kurhaus (casa di cura) venne inaugurato il 14 novembre 1874 e ristrutturato successivamente tra il 1913 e il 1914 dall'architetto Friedrich Ohmann. È di Ohmann il progetto della grande sala "Kursaal" della rotonda. L'edificio è stato sottoposto ad un radicale restauro negli anni '80, e ora presenta 13 sale e permette di ospitare fino a 1000 persone.
Mura e Porte
Verso la fine del XIII secolo la città fu dotata di mura citate anche nel primo ordinamento cittadino del 1317. Esse racchiudevano l'attuale centro storico e, nella parte meridionale, fungevano anche da difesa contro le piene del torrente Passirio che non aveva argini. I passaggi attraverso le mura avvenivano esclusivamente in quattro porte.
Ponte Romano
Il Ponte Romano (Steinerner Steg) è il ponte più antico ancora conservato della città di Merano, risalendo al 1617. Fu edificato sul luogo dove in precedenza erano esistiti altri ponti, per lo più realizzati in legno. È chiuso al traffico e collega il quartiere Steinach a Maia Alta superando il torrente Passirio.
Teatro Civico
Inaugurato nel 1900 è un teatro civico realizzato su progetto dell'architetto Martin Dülfer (1859-1942) di Monaco di Baviera e si contraddistingue per le forme eclettiche da fine secolo, ispirate allo Jugendstil internazionale. Nel periodo del fascismo fu intitolato a Giacomo Puccini.
Stazione di Merano
Eretta in stile architettonico Jugendstil viennese su modello del von Chabert con piazza antistante disegnata dall'urbanista Theodor Fischer.
Architetture militari
A Merano esistono le caserme:
"Ugo Polonio" in via Cadorna, oggetto di una ristrutturazione totale a cura della Provincia autonoma di Bolzano nel quadro di un protocollo di intesa con il Ministero della Difesa;
"Francesco Rossi", dove dal 2014 sono stati costruiti alloggi per il personale militare;
"Cesare Battisti", via Palade;
"Villa Acqui" in via O. Huber, oggi sede della Agenzia delle Entrate;
inizialmente chiamata "Venosta", poi dedicata al capitano degli Alpini "Leone Bosin", caduto in Albania nel 1941 e medaglia d'argento al valore militare, la struttura venne realizzata negli anni 1938-1939 e ha chiuso nel 1991 lasciando nei pressi del raccordo stradale con la MeBo il terreno libero riconvertito oggi a zona produttiva. L'amministrazione comunale di Merano nel giugno 2016 ha posizionato una targa commemorative presso l'incrocio fra via Zuegg e via Brogliati alla memoria di Bosin;
il 1º aprile 1946 a Merano si ricostituisce il 6º Reggimento Alpini.
Merano è stata sede della Brigata alpina "Orobica" fino al 1991; ora invece è di stanza il Reggimento Logistico "Julia", unità logistica operativa dell'Esercito Italiano il cui Comando è dislocato alla caserma "Battisti".
Passeggiate
Merano è una città che possiede passeggiate molto sviluppate, in posizione panoramica. La più famosa è la passeggiata Tappeiner, che a mezza costa del Monte Benedetto collega Quarazze a castel San Zeno. Da questa passeggiata è facilmente raggiungibile la Torre delle Polveri e anche la passeggiata Gilf, che si snoda sui due lati del Passirio poco prima del suo ingresso in città.
Società
Ripartizione linguistica
La popolazione meranese è grosso modo, per metà di madrelingua italiana e per metà di madrelingua tedesca:
Prima dell'approvazione del Pacchetto per l'Alto Adige Merano era una città a maggioranza italiana (58,6% al censimento del 1961).
Religione
A Merano vive una piccola comunità ebraica con una propria sinagoga, inaugurata nel 1901 ed un piccolo museo. Vi sono anche una chiesa dedicata al culto russo-ortodosso, completata nel 1897 all'interno della Casa Borodine su progetto dell'architetto Tobias Brenner e dedicata a San Nicola taumaturgo e, dalla seconda metà dell'Ottocento, una comunità e una chiesa evangelica luterana, eretta nel 1885 su progetto dell'architetto Johann Vollmer di Berlino e preceduta da una casa di preghiera (Bethaus) del 1862, fondata da Thilo von Tschirsky nel quartiere di Steinach. Un tempo c'erano una chiesetta anglicana e una piccola comunità anglo-americana.
La bellissima Chiesa Evangelica è tra i monumenti più apprezzati e visitati della città. La religione evangelica ha un rapporto speciale con questo territorio, se si pensa che alcune Radio locali sono in seguito diventate celebri e seguite sia in zona che in Europa, in particolare la già citata ERF Radio che dispone ormai di un numero considerevole di sale di registrazione e diffusione di programmi religiosi e culturali prodotti e diffusi in diverse lingue ovunque nel continente europeo.
Evoluzione demografica
Etnie e minoranze straniere
Secondo dati ISTAT i cittadini stranieri a Merano al 1º gennaio 2018 sono risultati 6.570 (16,2% tra tutti i residenti), in aumento di 218 unità rispetto all'anno precedente.
Le prime dieci comunità sono risultate quelle provenienti da:
Albania, 985
Germania, 520
Kosovo, 452
Repubblica di Macedonia, 439
Marocco, 420
Pakistan, 380
Romania, 373
India, 217
Ucraina, 221
Slovacchia, 211
Cultura
Dal 1986 a Merano si svolgono le Settimane Musicali Meranesi, ideate nel 150º anniversario della fondazione della città come luogo di cure termali. Il Festival si svolge all´interno del padiglione del Kurhaus dove orchestre di fama internazionale si alternano nel corso della estate musicale.
MeranoJazz è un importante festival jazz organizzato dal comune di Merano che si svolge annualmente nel mese di luglio, a partire dal 1997. La programmazione si concentra su noti musicisti e formazioni della scena nazionale e mondiale. Dal 2002 comprende la Mitteleuropean Jazz Academy, un workshop per musicisti jazz che, all'interno di un contesto internazionale, mira ad unire concettualmente l'area culturale italiana e tedesca, coinvolgendo insegnanti delle due aree linguistiche. Inoltre, ogni anno è presente presso la Jazz Academy un artist in residence di fama mondiale.
La città di Merano è dal 1993 sede del Meraner Lyrikpreis (premio di poesia lirica di Merano), uno dei più prestigiosi premi letterari in lingua tedesca. Fra i vincitori della competizione biennale, scelti da una giuria internazionale, si annoverano Kurt Drawert, Kathrin Schmidt, Jürgen Nendza, Oswald Egger, Michael Donhauser, Ulrike Almut Sandig e Uwe Kolbe.
Dal 1995 la città è sede del Premio letterario internazionale Merano-Europa (narrativa e traduzione), promosso nelle lingue italiana e tedesca dall'Associazione culturale Passirio Club Merano in collaborazione con Edizioni alphabeta Verlag e Südtiroler Künstlerbund.
Nel 2017 l'Amministrazione comunale meranese candida la città per il titolo di "Capitale italiana della cultura 2020" con il motto "Una piccola Europa d'Italia". Il 15 gennaio 2018 viene reso noto dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che Merano è fra le dieci città finaliste assieme ad Agrigento, Bitonto, Casale Monferrato, Macerata, Nuoro, Parma, Piacenza, Reggio Emilia e Treviso.
Eventi
Merano è stata sede della finale del concorso di bellezza Miss Italia del 1952 quando vinse Eloisa Cianni (1932).
Dal 2014 al 2017 ha ospitato la finale del concorso nazionale di body art, Rabarama Skin Art Festival.
Musei
Il museo del turismo Touriseum è stato inaugurato nel 2003 e mostra l'evoluzione storica del turismo in Alto Adige.
Il museo delle Donne (Frauenmuseum) fornisce una visione d'insieme sulle diverse epoche della storia della donna.
Kunst Meran/Merano Arte è un museo di arte contemporanea gestito da un'associazione senza scopo di lucro. Si trova sotto i portici.
Il museo civico è il più antico museo dell'Alto Adige. È stato riaperto nel 2015 nella nuova sede di Palais Mamming.
Media
Nel comune c'è la sede italiana della radio ERF Südtirol.
Economia
Con 16.913 occupati in 3.946 posti di lavoro Merano viene a essere la seconda città della provincia, dopo Bolzano, come offerta lavorativa. Tre aziende della città hanno più di 250 lavoratori ciascuna.
Artigianato
Per quanto riguarda l'artigianato, importante e rinomata è la produzione di mobili d'arte, di arredamenti tipici campagnoli, di strumenti musicali, di legatoria in pelle e di abbigliamento.
Infrastrutture e trasporti
La principale infrastruttura storicamente utilizzata per i collegamenti con Merano, oltre allo stesso fiume Adige utilizzato fin dall'antichità, è la strada statale dello Stelvio da cui proprio in tale città si dirama la statale del Passo di Giovo.
La stazione di Merano è gestita da Rete Ferroviaria Italiana ed è servita dai collegamenti regionali per Malles Venosta e Bolzano svolti da SAD e Trenitalia nell'ambito del contratto di servizio stipulato con la Provincia autonoma di Bolzano.
Il trasporto pubblico urbano è gestito dalla SASA, che gestisce il trasporto pubblico urbano anche a Bolzano. I nodi d'interscambio delle autolinee sono Piazza Stazione, Via IV Novembre (di fronte a Piazzale Prader) e Via Andreas Hofer, di fronte alla stazione ferroviaria di Merano.
Fra il 1908 e il 1956 era inoltre attiva una rete tranviaria costituita da una linea urbana fra la stazione e piazza Fontana e una extraurbana fra piazza del Teatro e Foresta, nelle adiacenze della birreria Forst. Gestita da altro concessionario, fra il 1906 e il 1950 nella stessa piazza del Teatro aveva inoltre capolinea la tranvia Lana-Merano.
Negli anni 2000 è stato dato il via alla costruzione di piste ciclabili dell'Alto Adige; a Merano ad esempio transita la ciclabile della Val Venosta, che dal passo di Resia conduce a Bolzano oltre alla ciclabile della Val Passiria che conduce a San Leonardo in Passiria.
Dal 25 novembre del 2019 a Merano è iniziata la prima sperimentazione su scala nazionale di un autobus elettrico a conduzione autonoma. La sperimentazione è nata dal progetto Mentor, finanziato dal programma di cooperazione europea Interreg V/A Italia-Svizzera, con capofila i comuni di Merano e Briga-Glis, in Svizzera.
Amministrazione
Gemellaggi
Sport
Nel 1981 è stata la sede del Campionato del mondo di scacchi con la sfida tra Anatolij Evgen'evič Karpov e Viktor L'vovič Korčnoj che vide prevalere il primo con il punteggio di 6 a 2 con 10 patte. Una variante della Difesa Slava prende il nome dalla città di Merano.
Il 6 giugno 1984 la 18ª tappa del Giro d'Italia si è conclusa a Merano con la vittoria di Bruno Leali.
Il 2 giugno 1986 a Merano con la 22ª tappa sul circuito cittadino per un totale di 108 km vinta da Eric Van Lanker si conclude il 96º Giro d'Italia con la vittoria di Roberto Visentini.
Il 6 giugno la 15ª tappa Spondigna - Merano 2000 del 71º Giro si è conclusa a Falzeben.
il 7 giugno partenza della 16ª tappa del Giro d'Italia Merano Innsbruck attraversando il Passo del Rombo
Il 4 giugno 1994 la 14ª tappa del Giro d'Italia 1994 si è conclusa a Merano con la vittoria di Marco Pantani.
La squadra cittadina di pallamano, l'SC Meran Handball, ha conquistato lo scudetto 2004/05. Gioca nella palestra in via Karl-Wolf.
La squadra di hockey su ghiaccio, l'H.C. Merano ha vinto nella sua storia due scudetti (1985/86 e 1998/99). Il ghiaccio di casa è il MeranArena, in via Palade 46.
Nel calcio è presente la squadra del F.C. Maia Alta (Obermais) nata nel 1972, che milita nel campionato di Eccellenza e il Football Club Merano Calcio, nato nel 2002 dalla fusione tra lU.S. Merano Sinigo e lF.C. Fortuna Merania, che milita nel campionato provinciale di Promozione. Nel 2013 è nata una nuova società, l’A.S.D. Olimpia Holiday Merano, dopo un distacco di molti allenatori dall’F.C. Merano Calcio e dall’unione con la società amatoriale Holiday Merano. Nel 2017, è la società che conta il maggior numero di bambini e ragazzi di tutto il Burgraviato. Nel 2016 l'U.S. Sinigo è stata rifondata ed ha mantenuto gli storici colori biancoverdi.
Nel calcio a 5 la società cittadina più rappresentativa è il Gruppo Amici Bubi Merano Calcio a 5. Fondata nel 1982, quattro anni più tardi raggiunse la semifinale scudetto. Uno tra i suoi più importanti portieri fu Enrico Torneri, il quale si confrontò anche contro Diego Armando Maradona.
Nel basket, il Charly Merano ha vinto il titolo regionale di Serie D 2007-08 ed è stato ripescato in C2 Veneto dopo aver perso lo spareggio contro la Pol. Impa Casier (TV).
Merano ospita l'ippodromo di Maia a Maia Bassa.
Nel campo della Formula 1 Merano è nota per aver dato i natali all'attuale team principal della scuderia americana Haas F1 Team Günther Steiner.
Note
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Patrick Rina, Veronika Rieder (a cura di): Kafka a Merano. Cultura e politica intorno al 1920. Con contributi di Helena Janeczek, Ulrike Kindl, Guido Massino, Hannes Obermair, Reiner Stach et al., Bolzano, Edition Raetia, 2020. ISBN 978-88-7283-744-3
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Voci correlate
Stazione di Merano
Porte di Merano
Teatro civico di Merano
Castel Tirolo
Touriseum e giardini di castel Trauttmansdorff
Cimitero militare italiano di Merano
Cimitero militare austro-ungarico di Merano
Coro Concordia
Ferdinand Gamper, il mostro di Merano
Merano WineFestival
Sentieri d'acqua meranesi
Mediateca Multilingue
Villa Marchetti
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Collegamenti esterni |
2712 | https://it.wikipedia.org/wiki/Mar%20Tirreno | Mar Tirreno | Il mar Tirreno è la porzione del mar Mediterraneo occidentale che si estende a occidente della penisola italiana fino alle coste della Corsica e della Sardegna e al canale di Sardegna. Può essere suddiviso in alto e basso Tirreno o anche in Tirreno settentrionale, centrale e meridionale.
Storia
Prende il nome dall'appellativo Tirreni (Tyrsenoi o Tyrrhenoi), l'etnonimo con il quale i Greci chiamavano gli Etruschi i cui territori nell'VIII secolo a.C. a nord si estendevano fino alla foce dell'Arno nei pressi di Pisa, e che nei due secoli successivi ampliarono il loro raggio d'azione fino alla foce del fiume Magra in Liguria, mentre a sud si estendevano fino alla Campania, detta per questo anche Etruria Campana.
Le prime attestazioni dei Tirreni nei testi degli autori greci si trovano nella Teogonia di Esiodo (VIII secolo a.C.) e nell'inno omerico a Dioniso (VII-VI secolo a.C.).
Nella Teogonia di Esiodo:
Nell'inno omerico a Dioniso dove i Tirreni vengono ritratti come pirati:
Secondo la leggenda della fondazione di Roma, il mar Tirreno e più precisamente la costa laziale costituisce l'approdo di Enea in fuga da Troia, secondo quanto riporta lEneide di Virgilio. Nel Medioevo è teatro delle azioni delle repubbliche marinare di Gaeta e Amalfi. In epoca contemporanea Anzio è invece teatro dello sbarco degli alleati durante la seconda guerra mondiale, poco prima dell'armistizio di Cassibile, e dell'inizio della Resistenza italiana contro il nazifascismo.
Geografia
Confini
È compreso fra la Corsica, la Sardegna, la Sicilia, la Calabria, la Basilicata, la Campania, il Lazio e la Toscana; è collegato al mar Ionio tramite lo stretto di Messina ed è diviso dal mar Ligure dall'isola d'Elba, con il canale di Corsica a ponente e il canale di Piombino a levante. A meridione e a sud-ovest confina anche con il canale di Sicilia e il canale di Sardegna.
Il confine fra mar Tirreno e mar Ligure è quindi costituito dalla linea immaginaria che congiunge capo Corso all'isola d'Elba e al canale di Piombino, lungo il 43º parallelo. Tale suddivisione è ritenuta valida dall'Istituto idrografico della Marina Militare Italiana, che usa perlopiù Mar Ligure nei portolani relativi alla costa toscana settentrionale.
Tuttavia, nella percezione comune e secondo una tradizione radicata, prevale l'idea che il confine settentrionale tra il mar Ligure e il mar Tirreno sia situato alla foce del Magra, in Liguria, e che quindi tutta la costa toscana si affacci sul Tirreno. Questa versione tradizionale dei confini ha portato a varie conseguenze: vicino a Pisa negli anni trenta è stata fondata dal regime fascista una località balneare denominata Tirrenia; il quotidiano di Livorno si chiama Il Tirreno, mentre Viareggio e Castiglioncello sono popolarmente definite le Perle del Tirreno. Occorre tuttavia considerare che nelle carte dell'Ottocento il mare che bagnava la Toscana era talvolta chiamato semplicemente Mare Toscano.
L'Organizzazione idrografica internazionale, in un suo documento del 1953 tuttora in vigore, adotta come confine la linea che congiunge capo Corso (in Corsica) con l'isola Tinetto (nel Golfo della Spezia). Pertanto, tutta la costa toscana e il golfo della Spezia farebbero parte del mar Tirreno.
Questo confine è in via di ridefinizione: la stessa Organizzazione ha pubblicato nel 1985 una bozza del documento definitivo sui limiti dei mari che fa coincidere il confine sud-orientale del mar Ligure con quello lungo il 43º parallelo Nord da Capo Corso a Piombino.
Il confine fra il mar Tirreno e il resto del mar Mediterraneo è costituito dalla linea immaginaria che congiunge capo Boeo a Marsala in Sicilia con capo Teulada in Sardegna.
Alto a basso Tirreno
Il mar Tirreno si può suddividere in mar Tirreno settentrionale o Alto Tirreno che va dall'arcipelago toscano alle coste orientali della Corsica, il nord-ovest della Sardegna fino alle coste del Basso Lazio comprendendo poco meno di un 1/3 della superficie marina e basso Tirreno o Tirreno meridionale che va dal basso Lazio fino alle coste settentrionali della Sicilia e il canale di Sardegna, comprendendo poco più dei 2/3 della superficie marina.
Caratteristiche
Il Tirreno si trova vicino alla faglia che divide l'Africa dall'Europa; di conseguenza le catene montuose sottomarine e i vulcani attivi abbondano. I principali fiumi che vi sfociano, in gran parte a regime torrentizio, da nord a sud, sono: l'Ombrone, il Tevere, il Garigliano e il Volturno e la sua profondità massima è di in una fossa vicino all'isola di Ponza. È un mare poco pescoso, sicché i suoi porti sono generalmente utilizzati per il trasporto dei passeggeri e delle merci. I principali sono Bastia, Piombino, Civitavecchia, Cagliari, Olbia, Napoli, Salerno, Milazzo, Palermo, Trapani e Gioia Tauro, che è il più grande terminal per trasbordo del mar Mediterraneo.
Isole e arcipelaghi
Oltre alle isole maggiori che ne delimitano approssimativamente i confini, il Tirreno è caratterizzato dalla presenza di più di un arcipelago.
Nella parte settentrionale si hanno le isole dell'arcipelago Toscano (Elba, Pianosa, Montecristo, Giglio, Giannutri e Formiche di Grosseto), eccetto la Gorgona e la Capraia che sono bagnate dal Mar Ligure. Nel 1996 le isole dell'arcipelago Toscano sono entrate a far parte del Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano, grazie al quale sono salvaguardate le sette isole maggiori dell'arcipelago e i fondali con tutta l'importante fauna. È attualmente il più grande parco marino d'Europa.
Nella parte centrale del Tirreno si trova invece l'arcipelago Ponziano (o isole Ponziane), del quale fanno parte Ponza, Palmarola, Gavi, Zannone, Ventotene e Santo Stefano, e largo delle coste campane si trova l'Arcipelago Campano: Capri, Procida, Ischia e altre isole minori.
Al largo delle coste della Sicilia troviamo l'isola di Ustica e altri due arcipelaghi: di fronte alla città di Milazzo in Sicilia si trovano invece le isole Eolie: Stromboli, Alicudi, Filicudi, Lipari, Salina, Vulcano e Panarea, infine a ovest rispetto a Trapani si trovano le isole Egadi, composto da tre isole: Levanzo, Favignana e Marettimo.
Sulla costa nordorientale della Sardegna si trova l'arcipelago di La Maddalena, composto dalle due isole principali di La Maddalena e Caprera e da un gran numero di isolotti minori; alcuni chilometri più a sud si trovano l'imponente sagoma di Tavolara e l'isola Molara. Altre isole importanti sono l'Asinara, l'isola di San Pietro e Sant'Antioco.
Per la posizione isolata più di un'isola ha ricoperto ruoli di penitenziario (Pianosa, Santo Stefano) o di luogo ospite di esuli volontari ed esiliati per motivi politici (Napoleone Buonaparte all'isola d'Elba, Augusto e Tiberio a Capri, Sandro Pertini, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi a Ventotene, Giuseppe Garibaldi a Caprera).
Promontori e penisole
Capo Corso
Promontorio di Piombino
Promontorio di Punta Ala
Promontorio dell'Argentario
Promontorio del Circeo
Penisola sorrentina
Capo Vaticano
Monte Orlando
Golfi
Golfo di Follonica
Golfo di Gaeta
Golfo di Napoli
Golfo di Salerno
Golfo di Policastro
Golfo di Sant'Eufemia
Golfo di Palermo
Golfo di Castellammare
Golfo di Cagliari
Golfo di Orosei
Golfo di Olbia
Golfo di Porto Vecchio
Coste
Costiera maremmana
Litorale laziale
Costiera castellammarese
Costiera sorrentina
Costiera amalfitana
Costiera cilentana
Riviera dei Cedri
Costa degli Dei
Costa Viola
Costa Smeralda
Attività vulcanica sottomarina
Il Tirreno è un'area geologicamente molto attiva. I principali vulcani sono
I monti Lametini
Vavilov
Palinuro
Marsili, il più grande
I Campi Flegrei
A questi vanno poi aggiunti quei vulcani che, raggiungendo la superficie dell'acqua, hanno dato origine alle Isole Eolie e all'isola d'Ischia, nonché altre isole nate da vulcani ormai spenti (come Ustica o l'Arcipelago Ponziano).
Principali località turistiche
Cefalù
Costa Smeralda
Castellammare del Golfo
San Vito Lo Capo
Arcipelago di La Maddalena
Porto Cervo
Porto Rotondo
Villasimius
Costa Rei
Arcipelago toscano
Follonica
Orbetello
Santa Marinella
Ladispoli
Anzio
Nettuno
Sabaudia
San Felice Circeo
Terracina
Sperlonga
Gaeta
Baia Domizia
Mondragone
Isola d'Ischia
Capri
Sorrento
Positano
Amalfi
Vietri sul Mare
Paestum
Agropoli
Castellabate
Palinuro
Policastro Bussentino
Sapri
Maratea
Scalea
Diamante
Pizzo Calabro
Tropea
Scilla
Isole Eolie
Favignana
Ustica
Galleria d'immagini
Note
Voci correlate
Mar Mediterraneo
Mare Adriatico
Mar di Sardegna
Mar Ionio
Mar Ligure
Altri progetti
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2715 | https://it.wikipedia.org/wiki/Ministero%20%28Italia%29 | Ministero (Italia) | Il ministero è, nell'ordinamento Italiano, la struttura di vertice dell'Amministrazione statale preposta ad amministrare un determinato settore della pubblica amministrazione.
Storia
Il modello cavouriano dei ministeri
L'epoca fascista
L'avvento della Costituzione
La "riforma Bassanini" del 1999
Il numero e le deleghe dei ministri sono variate nel tempo da 20 a 25 unità circa, compresi i Ministri senza portafoglio.
Il primo tentativo di riforma organica della Presidenza del Consiglio, della struttura del Consiglio dei Ministri e dell'ordinamento dei ministeri fu quello elaborato da Franco Bassanini, ministro della funzione pubblica nel governo Prodi I con il decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300. Tale provvedimento ha delineato un nuovo assetto dell'organizzazione ministeriale, muovendo in tre diverse direzioni.
Innanzitutto, fu operata una riduzione degli apparati ministeriali: i ministeri sono divenuti dodici; il personale è stato raggruppato in un ruolo unico, in modo da assicurarne la mobilità; si è sancito il principio della flessibilità nell'organizzazione, stabilendo — salvo che per quanto attiene al numero, alla denominazione, alle funzioni dei ministeri e al numero delle loro unità di comando — una ampia delegificazione in materia.
In secondo luogo, in un'ottica policentrista, venivano istituite dodici Agenzie indipendenti (da non confondere con le Autorità amministrative indipendenti), con funzioni tecnico-operative che richiedono particolari professionalità e conoscenze specialistiche, nonché specifiche modalità di organizzazione del lavoro.
In terzo luogo, si è provveduto alla concentrazione degli uffici periferici dell'amministrazione statale con la creazione degli Uffici Territoriali del Governo (UTG), che hanno assorbito le Prefetture.
I 12 ministeri previsti erano:
Ministero degli affari esteri, che attende ai rapporti internazionali
Ministero dell'interno, che ha attribuzioni differenziate: tutela della sicurezza pubblica, protezione civile, cittadinanza e immigrazione, funzionamento degli enti locali
Ministero della giustizia, che si occupa prevalentemente dell'amministrazione degli organi giudiziari, svolgendo anche le funzioni dell'ufficio di Guardasigilli
Ministero della difesa, che è preposto alla gestione delle forze armate
Ministero dell'economia e delle finanze, che provvede essenzialmente alla politica di gestione della spesa, di bilancio e fiscale, nonché delle entrate finanziarie dello Stato
Ministero delle attività produttive, che esercita le attribuzioni in materia di industria, commercio e artigianato, rapporti commerciali con l'estero, comunicazioni, turismo
Ministero delle politiche agricole e forestali, che esercita le competenze in materia di agricoltura, trasformazione agroalimentare, gestione delle foreste e della pesca, sia in campo nazionale sia in campo europeo
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, che sovrintende alla promozione, alla conservazione e al recupero delle condizioni ambientali e del patrimonio naturale nazionale
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, che si occupa della politica delle infrastrutture, gestisce e organizza il sistema dei trasporti
Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, che è competente in materia di lavoro, previdenza sociale, tutela della salute e coordinamento dei servizi sanitari regionali
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che amministra il sistema formativo pubblico scolastico, il sistema formativo pubblico universitario e la ricerca scientifica e tecnologica
Ministero per i beni e le attività culturali, che assicura la tutela, la promozione e la valorizzazione del patrimonio culturale e delle attività culturali
Le 12 agenzie previste erano:
Agenzia di protezione civile (Interno)
Agenzia delle entrate (Economia e finanze)
Agenzia delle dogane (Economia e finanze)
Agenzia del territorio (Economia e finanze)
Agenzia del demanio (Economia e finanze)
Agenzia industrie difesa (Difesa)
Agenzia per le normative ed i controlli tecnici (Attività produttive)
Agenzia per la proprietà industriale (Attività produttive)
Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici (Ambiente e tutela del territorio)
Agenzia dei trasporti terrestri e delle infrastrutture (Infrastrutture e trasporti)
Agenzia per la formazione e l'istruzione professionale (Lavoro, salute e politiche sociali - Istruzione, università e ricerca)
Agenzia per il servizio civile (Presidenza del Consiglio dei ministri)
Era previsto che la riforma entrasse in vigore con la XIV Legislatura, ma non entrò mai in vigore integralmente, poiché il II Governo Berlusconi la modificò alla sua entrata in carica. I ministeri aumentarono e solo alcune delle agenzie furono costituite: l'Agenzia per la Protezione Civile, che venne poi abolita e riconfluì nel vecchio Dipartimento della Protezione Civile, le Agenzie del Ministero dell'Economia (Agenzia delle Entrate, Agenzia delle Dogane, Agenzia del Territorio, Agenzia del Demanio), istituite nel 1999, in deroga alla generale entrata in vigore della Riforma Bassanini nel 2001, l'Agenzia per la Protezione dell'Ambiente e per i servizi Tecnici (APAT) e l'Agenzia Industrie Difesa, istituite nel 2001.
Lo spacchettamento del 2001
Con il decreto legge n. 217/2001, convertito nella legge n. 317/2001 (governo Berlusconi II), il numero dei ministeri è stato aumentato a 14:
il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali è stato diviso in Ministero della salute e Ministero del lavoro e delle politiche sociali
dal Ministero delle attività produttive è stato separato il Ministero delle comunicazioni
Lo spacchettamento del 2006
Con il decreto legge n. 181/2006 convertito nella legge 233/2006 (governo Prodi II), il numero dei ministeri è stato aumentato a 18:
il Ministero delle attività produttive diventa Ministero dello sviluppo economico da cui si è separato il Ministero del commercio internazionale
il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca è stato diviso in Ministero della pubblica istruzione e Ministero dell'università e della ricerca
il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è stato diviso in Ministero delle infrastrutture e Ministero dei trasporti
il Ministero del lavoro e della politiche sociali è stato diviso in Ministero del lavoro e della previdenza sociale e Ministero della solidarietà sociale
Il ritorno della "Bassanini" nel 2007
All'interno della legge finanziaria 2008, sull'onda della polemica sul numero record dei membri del governo e sui costi della politica, viene ripristinato dalla XVI legislatura lo spirito della "riforma Bassanini" varata nel 1999 e sino ad allora più volte emendata, ristabilendo in 12 il numero dei ministeri:
Ministero degli affari esteri
Ministero dell'interno
Ministero della giustizia
Ministero della difesa
Ministero dell'economia e delle finanze
Ministero dello sviluppo economico
Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali
Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca
Ministero per i beni e le attività culturali
Viene inoltre fissata a 60 unità la quota massima di ministri, ministri senza portafoglio, viceministri e sottosegretari compresi della formazione di governo. Nella composizione del governo Berlusconi IV viene data attuazione a tale disposizione.
Le modifiche del 2009
Con la legge 13 novembre 2009 n. 172 il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali viene suddiviso in due: il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero della salute, portando a 13 il numero dei dicasteri e a 63 il numero massimo totale dei membri del governo. Tale numero è stato poi elevato a 65 dall'art. 15, co. 3 bis, del Decreto Legge 30 dicembre 2009, n. 159, convertito in l. n. 26 del 2010.
Le modifiche dei governi Letta e Renzi
Nel 2013 il Ministero per i beni e le attività culturali assorbe le competenze riguardanti le politiche per il turismo e assume la nuova denominazione di Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.
Nel 2014 anche il nome del Ministero degli affari esteri cambia in Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
Le modifiche dei governi Conte I e II
Nel 2018, durante il governo Conte I, le competenze riguardanti le politiche per il turismo passano dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, che di conseguenza diventa Ministero delle politiche agricole alimentari, forestali e del turismo. Nel 2019, con il secondo governo Conte, la delega al turismo torna nuovamente al MiBAC, che ha così riassunto la denominazione di Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo.
Dal 28 dicembre dello stesso anno il governo annuncia lo scorporo del MIUR, dando vita a due ministeri indipendenti: il Ministero dell'istruzione e il Ministero dell'università e della ricerca. Tali dicasteri diventano operativi a partire dal 10 gennaio 2020, portando così a 14 il numero dei ministeri.
Le modifiche nel governo Draghi
Per effetto del decreto-legge n. 22 del 2021, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è stato ridenominato Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili; il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha assunto il nome di Ministero della transizione ecologica, al quale sono state altresì attribuite le competenze in materia energetica in precedenza assegnate al Ministero dello sviluppo economico; il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo è stato "spacchettato" in due distinti dicasteri, il Ministero della cultura e il Ministero del turismo, portando così a 15 il numero dei ministeri in funzione nel governo Draghi.
Le modifiche nel governo Meloni
Con il governo Meloni i dicasteri sono rimasti 15, ma cinque di essi hanno parzialmente cambiato funzione e, di conseguenza, anche denominazione:
il Ministero dello sviluppo economico è divenuto Ministero delle imprese e del made in Italy,
il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali è divenuto Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste,
il Ministero della transizione ecologica è divenuto Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica,
il Ministero dell'istruzione è divenuto Ministero dell'istruzione e del merito,
il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili è tornato alla precedente denominazione di Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Struttura tipica
Generalmente, la struttura è costituita dai seguenti organi e uffici:
ministro;
sottosegretario;
gabinetto del ministro;
consiglio di amministrazione;
segretario generale;
dipartimento, direzione generale, reparto, divisione, sezione.
Ministro
Il ministro (dal latino minister [minus] che significa servo, ovvero, servitore dello Stato per quel determinato ambito) è il capo del ministero ed è membro del corpo politico. Propone al Consiglio dei ministri la nomina dei dirigenti con funzioni generali, dirige l'azione amministrativa e adotta le decisioni di maggiore importanza.
Vi sono anche ministri detti senza portafoglio, perché questi dicasteri non hanno autonomia di spesa (ad esempio, il Ministro per i rapporti con il Parlamento).
A ogni ministro è affidato un singolo Ministero che deve occuparsi dei problemi relativi ad alcuni temi specifici (es: ministero della giustizia, della difesa, ecc.).
Sottosegretario
Anch'egli è prescelto nell'ambito del corpo politico e si chiama così perché il ministro è segretario di Stato. Esso è, però, organo ausiliario, non vicario del ministro: cioè aiuta il ministro, ma non agisce in sua vece.
Al sottosegretario (o ai sottosegretari, perché ce n'è più di uno per ministero, anche se il loro numero è variabile) non spettano competenze proprie, ma solo quelle che vengono loro delegate dal ministro. Se a un sottosegretario sono conferite deleghe relative all'intera area di competenza di una o più strutture dipartimentali, può essergli attribuito il titolo di vice-ministro.
Gabinetto del ministro
È composto dal capo di gabinetto, dall'ufficio legislativo e dalla segreteria particolare, ognuno con un suo capo. Con il variare dei Governi (ministri e, di conseguenza, sottosegretari) variano anche i componenti del gabinetto. Il gabinetto ha funzioni di ausilio del ministro e di coordinamento.
Consiglio di amministrazione
Presieduto dal ministro e composto da direttori generali e da rappresentanti eletti dal personale, ha una struttura stabile e compiti che riguardano l'organizzazione del lavoro nel ministero.
Segretario generale
È presente solo in alcuni ministeri (ad esempio, Ministero degli affari esteri e della difesa) e ha compiti di coordinamento.
Dipartimento, direzione generale, divisione
Sono le articolazioni organizzative interne del ministero. Ve ne sono diverse in ogni ministero.
Il dipartimento è la struttura di primo livello di alcuni ministeri (alternativa a quella basata sulle direzioni generali) e della Presidenza del consiglio; possono a loro volta raggruppare più direzioni centrali, divisioni, sezioni e uffici.
Ministeri della Repubblica Italiana
Attualmente i dicasteri presenti nel governo della Repubblica Italiana sono 15. Tutti i ministeri hanno sede a Roma.
Le funzioni di alcune strutture della Presidenza del Consiglio, come dipartimenti o uffici, possono poi essere affidate ad appositi ministri senza portafoglio, benché con funzioni e denominazioni differenti da governo a governo, spesso a causa di accorpamenti o divisioni tra diverse deleghe, le quali possono pure essere affidate anche a sottosegretari o anche titolari di ministeri con portafoglio anziché a specifici ministri senza portafoglio. Nello specifico, tuttavia, praticamente tutti i governi dagli anni 1950 in poi hanno sempre annoverato ministri per i rapporti con il Parlamento e ministri per la pubblica amministrazione. In maniera simile, sin dall'entrata in funzione delle 15 regioni a statuto ordinario nel 1970 si sono quasi sempre avuti ministri per gli affari regionali, e sin dagli anni 1980 ministri per gli affari europei, per i rapporti con le istituzioni della CEE e poi UE.
Questa la situazione nell'attuale governo Meloni:
Note
Bibliografia
Voci correlate
Agenzia governativa
Costituzione della Repubblica Italiana
Ministro della Repubblica Italiana
Ministro senza portafoglio
Ministeri del governo italiano soppressi o accorpati
Referendum abrogativi in Italia del 1993
Italia
Reato ministeriale
Collegamenti esterni
Normattiva-il portale della legge vigente è il sito a cura della Repubblica Italiana ove sono consultabili tutte le leggi vigenti, sia quelle pubblicate nella Gazzetta Ufficiale, sia quelle facenti parte la legislazione regionale, sia le leggi approvate in attesa di pubblicazione
Governo dell'Italia |
2717 | https://it.wikipedia.org/wiki/Made%20in%20Italy | Made in Italy | il Made in Italy è un'indicazione di provenienza che indica l'origine di un bene in base alle disposizioni comunitarie in materia di origine non preferenziale di un prodotto ed in questo caso riferite ai prodotti che hanno origine in Italia.
Secondo uno studio di mercato realizzato da Statista in Made-In-Country-Index (MICI) 2017, e pubblicato da Forbes il 27/03/2017, Made in Italy oggi è censito al 7º posto in termini di reputazione tra i consumatori di tutto il mondo. KPMG, censiva nel 2012 il Made in Italy quale terzo marchio al mondo per notorietà dopo Coca Cola e Visa.
Storia
Storicamente Made in Italy era un'espressione in lingua inglese apposta dai produttori italiani, specie dagli anni ottanta in poi, nell'ambito di un processo di rivalutazione e difesa dell'italianità del prodotto, al fine di contrastare la falsificazione della produzione artigianale e industriale italiana, soprattutto nei quattro tradizionali settori di moda, cibo, arredamento e meccanica (automobili, disegno industriale, macchinari e navi), in italiano noti anche come "Le quattro A" da Abbigliamento, Agroalimentare, Arredamento e Automobili.
All'estero, infatti, i prodotti italiani avevano nel tempo guadagnato una fama, con corrispondente vantaggio commerciale. Erano generalmente riconosciute al prodotto italiano medio, o quantomeno ci si attendeva che esso presentasse, notevoli qualità di realizzazione, cura dei dettagli, fantasia del disegno e delle forme, durevolezza. I prodotti italiani erano storicamente stati associati a qualità, alta specializzazione e differenziazione, eleganza e provenienza da famosi settori industriali italiani tradizionali.
Prime basi delle norme con l'accordo di Madrid del 14 aprile 1891 recepito e ratificato in Italia con la L. n. 676 del 1967 con il quale si sanciva che apposizione del “made in…” consentiva di individuare l’esatto luogo di fabbricazione di un determinato prodotto ed è pertanto riconducibile all’accertamento dell’origine del medesimo.
Dal 1999, il marchio Made in Italy ha cominciato ad essere promosso da vari enti ed associazioni, come lIstituto per la Protezione, la Promozione e la Preservazione dell'origine dei prodotti agroalimentari e vitivinicoli Made in Italy, 100ITA, lIstituto per la Tutela dei Produttori Italiani, lAssociazione Made in Italy, il Comitato Made in Italy, lAssociazione Italian Sounding, lAssociazione Nazionale per la Tutela della Finestra Made in Italy, Food Italy Certification, ItalCheck oltre che da parte di tutte le Associazioni di Categoria delle Imprese dei diversi settori, dai Consorzi di Tutela e Garanzia ed in primis dagli Organi Governativi che sono intervenuti regolandone l'utilizzo in base a specifiche leggi dello stato che ha avocato alle preposte autorità le attività di verifica e tutela.
A far chiarezza tra disposizioni datate e di dubbia applicabilità pratica sembra essere finalmente giunto il legislatore che, con la Legge Finanziaria 2004 (L. n. 350 del 2003) pubblicata sul supplemento ordinario n. 196/L alla Gazzetta Ufficiale del 27 dicembre 2003 ha stabilito che chi scrive “made in Italy” su qualsiasi merce che non sia stata fabbricata in Italia rischia la reclusione fino ad un anno e la pena è aumentata se si tratta di alimenti o bevande.
La L. n. 350 del 2003, che ha praticamente riscritto la disciplina dell’etichettatura sull’origine delle merci, ha infatti previsto che “L’importazione e l’esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza costituisce reato ed è punita ai sensi dell’articolo 517 del c.p.”.
Apporre la bandiera italiana, la dicitura Italy o made in Italy su un prodotto è possibile per riferirsi alla parte imprenditoriale del produttore, mentre quella produttiva (manifatturiera, coloro che materialmente lavorano il prodotto) vera e propria può trovarsi ovunque. Basta quindi che il prodotto sia «pensato o disegnato» quando non totalmente gestito da un imprenditore italiano, per potersi tranquillamente fregiare di tale marchio, anche se questo manufatto è costruito in un qualsiasi altro luogo.
Nel 2009 è stata emanata una legge per tutelare il made in Italy: il decreto legge nº 135 del 25 settembre 2009 contiene l'art. 16 dal titolo Made in Italy e prodotti interamente italiani.
Il marchio "Made in Italy" è diventato fondamentale per le esportazioni italiane ed è così noto a livello mondiale da essere considerata una categoria commerciale a sé stante.
Nel gennaio 2014 il Google Cultural Institute in collaborazione col governo italiano e con la Camera di Commercio italiana ha lanciato un progetto online per promuovere il Made in Italy mostrando molti famosi prodotti italiani usando la tecnologia dello showroom virtuale.
Requisiti di legge
Il 1º maggio 2016 è entrato in vigore il nuovo Codice Doganale dell’Unione (CDU), con le relative disposizioni (DCU), che hanno sostituito il vecchio Codice Doganale Comunitario (CDC). La nuova normativa ha portato talune novità in materia di origine. L’individuazione dell’esatta origine della merce è indispensabile dal punto di vista doganale in quanto necessaria per l’applicazione delle misure di politica commerciale che colpiscono solo le merci originarie di alcuni paesi. È altresì collegato al concetto di origine il cosiddetto marchio di origine o “Made in del prodotto”. È evidente che tale marchio, pur non avendo nessuna rilevanza tributaria, ha un effetto sensibile nella fase di commercializzazione, poiché, agendo sulla qualità percepita del prodotto, può arrivare ad orientare le scelte di acquisto dei consumatori. La definizione del Paese di origine di un bene si basa sulle disposizioni comunitarie in materia di origine non preferenziale della merce.
Tali disposizioni sono contenute nel Regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio che istituisce il nuovo Codice Doganale dell'Unione (d’ora in poi CDU o semplicemente Codice) entrato in vigore nel 1º maggio 2016. Al suo interno, la sezione 1 del Capo 2 (Titolo II), negli artt. dal 59 al 63, individua il quadro normativo afferente l’origine non preferenziale. In particolare, gli articoli 31 e 32 del Regolamento Delegato (UE) 2446/2015, in attuazione dell’art. 60 del CDU rispettivamente nei paragrafi 1 e 2, individuano i due criteri di riferimento per definire l’origine non preferenziale, in maniera analoga a quanto precedentemente disposto dal vecchio Codice Doganale Comunitario.
Secondo quanto regolamentato dall'art.16 della legge 166 del 2009 (Decreto legge 135, 25 settembre 2009 - Parlamento Italiano) solo i prodotti totalmente fatti in Italia (cioè progettati, fabbricati e confezionati in Italia) possono fregiarsi dei marchi 100% Made in Italy, 100% Italia, tutto italiano, in qualsiasi linguaggio essi espressi, con o senza la bandiera italiana. Ogni abuso è punito dalla legge.
Con la Legge Reguzzoni erano state introdotte disposizioni in materia di commercializzazione di prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri. In particolare la legge istituisce, in tali settori, un sistema di etichettatura obbligatoria dei prodotti, che evidenzi il luogo di origine di ciascuna fase di lavorazione assicurando così la tracciabilità dei prodotti stessi. Inoltre si consente l'uso dell'indicazione "Made in Italy" esclusivamente per i prodotti le cui fasi di lavorazione abbiano avuto luogo prevalentemente nel territorio italiano.
Settori produttivi
Settori merceologici in cui l'espressione Made in Italy è indicativa:
arredo
arte
automobili
motori automobilistici
disegno industriale
motociclette
biciclette
veicoli commerciali
gioielleria
oreficeria
argenteria
orologeria
ceramica
maiolica
porcellana
vetro
cristallo
occhiali
pelletteria
abbigliamento
sartoria
calzature
pasta
pizza
pasticceria
biscotti
gelateria
carni
insaccati
formaggi
bibite
vini e spumanti
olio di oliva
liquori
birra
industria tessile
industria cinematografica
Una menzione speciale merita Ferrari: secondo Brand Finance viene considerato nel 2020 marchio più influente e forte nel mondo, nel 2021 è al secondo posto sorpassata da WeChat.
Riferimenti legislativi
Legge 350/2003;
modificata dalla legge nº 99 del 23 luglio 2009 (art. 4 comma 49, art. 17 comma 4);
modificata dal decreto legge nº 135 del 25 settembre 2009(art. 16) poi convertito in legge nº 166 del 20 novembre 2009.
Legge nº 55 dell'8 aprile 2010.
Note
Voci correlate
Certificazione 100% Made in Italy
Marcatura CE
Decreto Ronchi
Design italiano
Marchio Unico Nazionale
Italian Sounding
Altri progetti
Collegamenti esterni
Marchio Unico Nazionale - Certificazione Origine e Tipicità Italiana - Organismo di Certificazione accreditato presso ACCREDIA
Design italiano
Economia d'Italia
Liste relative all'Italia
Italia |
2720 | https://it.wikipedia.org/wiki/Marco%20tedesco | Marco tedesco | Il marco tedesco è stato dal 1948 la valuta ufficiale inizialmente della cosiddetta Trizona (l'area della Germania al termine della seconda guerra mondiale sotto il controllo di Francia, Stati Uniti d'America e Regno Unito), poi, dal 1949, della Repubblica Federale di Germania e di Berlino Ovest fino alla riunificazione nel 1990 e la valuta ufficiale della Germania da allora fino all'introduzione dell'euro nel 1999. Era suddiviso in 100 Pfennig.
La valuta utilizzata nella Repubblica Democratica Tedesca era, invece, il "marco della Repubblica Democratica Tedesca".
Il termine marco era utilizzato nella lingua tedesca per le valute, che è in uso dal XII secolo. Il marco diventò valuta ufficiale della Germania dopo la riunificazione del 1871. In realtà, però, fino all'inizio del XX secolo coesistettero diverse valute all'interno della nazione.
Storia
Valute con il nome di marco sono state usate in Germania fin dall'unificazione del 1870. Una prima crisi del marco si ebbe durante la Repubblica di Weimar (Reichsmark), con l'iperinflazione degli anni venti.
Il marco tedesco venne poi introdotto nel 1948 dalle potenze occidentali al termine della seconda guerra mondiale. Questa mossa, che aveva il fine di proteggere le zone occidentali della Germania dall'inflazione, irritò le autorità comuniste, che interruppero tutte le comunicazioni con l'Ovest (strade, ferrovie e canali), portando al blocco di Berlino del 1948.
Il 1º gennaio 1999 entrò in vigore l'euro, il cui tasso di cambio irrevocabile con il marco era stato fissato il giorno precedente in 1,95583 marchi per 1 euro. Da quel momento il marco rimase in vigore solo come espressione non decimale dell'euro, anche se monete e banconote continuavano a essere denominate in marchi. Per tutte le forme di pagamento "non-fisiche" (trasferimenti elettronici, titoli, ecc.), invece, da quella data si adottò solo l'euro.
Il 1º gennaio 2002 entrarono in circolazione le monete e banconote in euro. Al contrario delle altre valute, non si ebbe alcuna fase di doppia circolazione.
Le vecchie monete e banconote in marchi possono ancora essere cambiate in euro, senza limite di tempo.
Monete
La prima serie fu emessa dalla Bank deutscher Länder nel 1948 e 1949. Dal 1950 l'iscrizione Bundesrepublik Deutschland (Repubblica Federale di Germania) apparve sulle monete.
Esempi di conversione:
5,20 EUR = 5,20 EUR × 1,95583 DEM/EUR ≈ 10,17 DEM
22,80 DEM = 22,80 DEM ÷ 1,95583 DEM/EUR ≈ 11,66 EUR
Note
Voci correlate
Marco (peso)
Goldmark
Papiermark
Pfennig
Rentenmark
Reichsmark
Marco della Repubblica Democratica Tedesca
Altri progetti
Collegamenti esterni
Banconote storiche della Germania
Valute sostituite dall'euro
Monetazione tedesca
Marco |
2721 | https://it.wikipedia.org/wiki/Microsoft | Microsoft | Microsoft Corporation (in precedenza Micro-Soft Company, comunemente Microsoft) è un'azienda multinazionale statunitense d'informatica con sede a Redmond nello Stato di Washington (Stati Uniti). Creata da Bill Gates e Paul Allen il 4 aprile 1975, cambiò nome il 25 giugno 1981, per poi assumere nuovamente nel 1983 l'attuale denominazione.
Microsoft è una delle più importanti al mondo nel settore, nonché una delle più grandi produttrici di software al mondo per fatturato, e anche una delle più grandi aziende per capitalizzazione azionaria, circa 2288 miliardi di dollari nel 2022; attualmente sviluppa, produce, supporta e vende, o concede in licenza, computer software, elettronica di consumo, personal computer e servizi; i suoi prodotti software più noti sono la linea di sistemi operativi Microsoft Windows, la suite di produttività personale Microsoft Office e i browser Internet Explorer e Edge; in ambito hardware invece i suoi prodotti più conosciuti sono la famiglia di console Xbox e i prodotti Microsoft Surface.
Storia
Anni settanta
La storia della Microsoft Corporation ha inizio nel 1975, quando Bill Gates e Paul Allen propongono alla Micro Instrumentation and Telemetry Systems (MITS), società che ha sviluppato uno dei primi microcomputer, l'Altair 8800, di utilizzare il linguaggio di programmazione BASIC che secondo Allen e Gates funziona su quella macchina. In effetti la versione del Basic sviluppata da Allen e Gates funziona e nel febbraio dello stesso anno la diedero in licenza alla MITS, della quale Paul Allen diventa direttore del software.
Contemporaneamente nell'aprile del 1976 nasce la Apple, fondata da Steve Jobs e Steve Wozniak. Ad Albuquerque Allen e Gates danno vita a Micro-soft, dopo che Gates ha abbandonato gli studi presso l'Università di Harvard. Intanto Allen decide di lasciare il posto alla MITS per dedicarsi interamente al nuovo progetto e i due lanciano la prima campagna pubblicitaria denominata The Legend of Micro-Kid. Microsoft decide di implementare il linguaggio Basic in modo tale da poterlo vendere ad altri distributori come General Electric, Citibank e NCR, estendendo le funzionalità del personal computer alle esigenze scientifiche e gestionali. A ostacolarne la vendita ad altri distributori è tuttavia la stessa MITS, che fa di tutto per impedirne la distribuzione. Dopo una battaglia legale Microsoft ha la meglio, ottenendo la libertà di vendere autonomamente il prodotto ad altre aziende interessate. Nel 1980 venne aperto il primo ufficio internazionale della società in Giappone, denominato ASCII Microsoft (in seguito diventato Microsoft Giappone).
Anni ottanta
Nel 1980 la Microsoft mette in commercio il suo primo prodotto hardware: la Z80 Card (o SoftCard), il microprocessore ideato da Federico Faggin su circuito stampato che una volta inserito nel computer Apple II consente di far girare su quella macchina migliaia di programmi disponibili per la classe di computer 8080/CP/M con piccole modifiche. Inoltre Gates acquista per dalla Seattle Computer Products un sistema operativo "veloce e sporco", il QDOS (Quick and Dirt Operating System), che sarà alla base del futuro MS-DOS, destinato a diventare uno standard nell'ambito dei personal computer grazie alla potenza economica di IBM e al senso degli affari di Gates. Egli ha infatti ottenuto da Tim Paterson (che aveva realizzato il Q-Dos), un accordo di licenza non esclusivo, che gli consente la possibilità di rivendere il prodotto. In seguito Microsoft chiude il cerchio comprando tutti i diritti della Seattle Computer Products, assumendo alle sue dipendenze lo stesso Paterson.
Nel 1981 l'azienda diventa una compagnia privata con Gates in qualità di presidente e Paul Allen come vice presidente esecutivo. La compagnia si chiama Microsoft Inc. e risiede a Washington.
Nel 1982 Microsoft, a causa della difficoltà di reperimento di personale qualificato nel Nuovo Messico, decide di spostare la propria sede a Bellevue (Washington) e di aprirne una anche in Europa (Belgio). Vince nel frattempo il premio ICP Million Dollar Award e conclude accordi con Phillips, ICL e altri importanti OEM.
Nel 1983 Microsoft introduce l'uso del mouse nel proprio software e crea Word per MS-DOS 1.00. Gli abbonati di PC World trovano incluso nella rivista un floppy con una versione demo del programma Microsoft Word: è la prima volta che un magazine include un floppy disk e molti pensano che ne sia gratuito l'uso. È il momento buono per svelare un nuovo prodotto: Microsoft Windows, un'estensione del MS-DOS che fornisce un ambiente operativo di tipo grafico. Windows dispone della capacità di gestire finestre che consentono all'utente di vedere più programmi non correlati tra loro simultaneamente.
Microsoft apre succursali in Francia, Germania e Inghilterra, specializzandole per vendite sul mercato europeo. In questi anni l'azienda annuncia di aver scelto l'Irlanda come Paese in cui installare il suo primo stabilimento produttivo al di fuori degli Stati Uniti, stabilimento dedicato alla produzione e distribuzione dei prodotti in tutta Europa. Celebra il suo decimo anniversario mettendo in vendita la prima versione del suo ambiente grafico Windows al costo di circa 99 dollari.
La sede si trasferisce poi in un nuovo complesso composto di quattro edifici a Redmond, sempre nello Stato di Washington. Nello stesso anno riceve il premio Washington State Governor's Export Award per la categoria delle società di servizio. Nel 1987 porta a conclusione l'acquisizione della Forethought Inc., una società di software applicativo che aveva sviluppato PowerPoint e che era il distributore esclusivo di FileMaker Plus, il più venduto database per Macintosh.
Anni novanta
I prodotti Microsoft vengono tradotti in tredici lingue, tra cui l', il , l', il e il . Intanto esce il nuovo Windows 3.0, prima in classifica dal primo giorno di vendita: in un solo anno vengono vendute più di quattro milioni di copie. Il secondo anno si passa a sei milioni, con un totale di 5000 applicazioni commerciali. Al suo quindicesimo anniversario Microsoft è la prima compagnia di software per personal computer che supera un miliardo di dollari di vendite ogni anno. Nasce anche la Microsoft Windows Computing Marketing Program, la più ampia campagna di marketing mai realizzata da Microsoft. Gates rivela la sua visione del futuro dei computer coniando al COMDEX una celebre frase: «L'informazione sulla punta delle dita». Si riorganizzano le operazioni internazionali: l'Europa viene divisa in tre regioni e il resto del mondo in quattro, mentre gli impiegati fuori dagli Stati Uniti salgono a 2866.
Risale a quest'epoca l'inizio di un lungo contenzioso con il principale concorrente di MS-DOS, il DR-DOS sviluppato dall'inglese Digital Research, successivamente acquisto da Novell e infine da Caldera. Accusati di aver inserito in una versione beta di Windows 3.1 del codice (noto come AARD) che visualizza dei falsi errori di funzionamento nel caso venga rilevato DR-Dos come sistema operativo, Microsoft lotta a lungo in sede legale fino al patteggiamento di un accordo a fine gennaio 2000, di cui non sono noti gli estremi, poco prima dell'inizio del processo (definito per il 1º febbraio).
Nel 1992 il presidente George H. W. Bush premia Gates con la National Medal of Technology per l'attività svolta, riconoscendogli l'intuizione relativa al personal computer per casa e ufficio, oltre alla perizia tecnica e di gestione manageriale nel creare una compagnia a livello mondiale e al contributo per lo sviluppo dell'industria dei personal computer.
Debutta ufficialmente Windows NT 3.1, un potente sistema operativo creato per soluzioni di tipo client-server. Nel 1995 la rivista Fortune attribuisce a Microsoft il titolo di "Compagnia più innovativa operante negli Stati Uniti". Nel 1994 Microsoft conta dipendenti e ricavi per 4,64 miliardi di dollari. Nel 1995 debutta Windows 95, che vende un milione di copie nei primi quattro giorni negli Stati Uniti. Viene inaugurato il Museo Microsoft, il cui scopo è quello di mostrare agli impiegati la cultura, i prodotti, la presenza internazionale e i contributi alla comunità attraverso una guida cronologica, video chioschi e prodotti esposti. MSN, la nuova rete network di Microsoft lanciata il 24 agosto 1995, raggiunge quota membri iscritti nei suoi primi tre mesi di servizio, diventando così uno dei maggiori fornitori di servizi internet. Gates pubblica il suo primo libro intitolato The Road Ahead, che tradotto in venti lingue per un milione e mezzo di copie in prima tiratura getta uno sguardo sulle nuove tecnologie che guidano quotidianamente il modo di lavorare, di giocare e di vivere orientati al futuro. Sempre nel 1995 esce Internet Explorer per Windows 95, il primo browser che supporta funzioni multimediali avanzate e capacità di grafica 3D; viene proposto in dodici lingue diverse. Nel 1998 è il turno di Windows 98. La diffusione capillare dei sistemi operativi di Gates permette a Microsoft di fatto di imporre i propri formati come standard.
Le tattiche e gli accordi commerciali utilizzati da Microsoft per aumentare le proprie quote di mercato vengono spesso criticate e anche accusate di illegalità e di abuso di posizione dominante e illeciti. Una parte di tali strategie saranno poi confermate negli Halloween documents (1998), dei quali Microsoft ammetterà l'autenticità. Ugualmente fonte di critica sono comportamenti interpretati da molti come volti a limitare e contrastare l'affermazione del software Open Source o di standard non-proprietari come l'Open Document Format. Tali circostanze in varie occasioni comportano casi di critica e forte opposizione alla società, alle sue politiche e ai suoi prodotti relativi, in particolare su Internet. I dipendenti salgono a e i ricavi ammontano a 14,48 miliardi di dollari.
Anni duemila
Il 1999 è l'anno in cui viene lanciato Office 2000 e Microsoft .NET, un nuovo framework di programmazione per Windows. Nel 2001 Microsoft mette in commercio Windows XP.
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Nel 2006 esce Windows Vista.
Il 27 giugno 2008 Gates decide di lasciare la carica di chief software architect, rimanendo comunque presidente onorario della società e consulente dei progetti più importanti. A prendere il suo posto è Steven Anthony Ballmer, imprenditore e informatico statunitense, che già dal gennaio del 2000 ricopriva il ruolo di amministratore delegato dell'azienda. Nel gennaio 2009 Microsoft licenzia 5000 dipendenti, decidendo allo stesso tempo di aprire una piccola catena di negozi per la vendita al dettaglio dei suoi prodotti: infatti il 22 ottobre è stato aperto il primo negozio della catena a Scottsdale (Arizona) e lo stesso giorno viene messo sul mercato il successore di Windows Vista, ovvero Windows 7.
Anni 2010 - 2020
L'11 maggio 2011 Microsoft acquista Skype per un valore di 8,5 miliardi di dollari. Il 26 ottobre 2012 debutta ufficialmente Windows 8. Nel settembre 2013 Microsoft acquista la divisione Devices & Services di Nokia, azienda produttrice di cellulari, per circa 7,2 miliardi di dollari.
Il 15 settembre 2014 Microsoft ufficializza l'acquisizione della casa produttrice di videogiochi Mojang e di tutte le proprietà intellettuali della compagnia per una cifra pari a 2,5 miliardi di dollari.
Nel 2015, insieme a Naval Group, avvia il progetto Natick.
A partire dal 29 luglio 2015 è disponibile al pubblico Windows 10, con oltre quattordici milioni di installazioni nelle prime 24 ore dal rilascio e oltre 200 milioni nei primi sei mesi. Questo successo è dovuto soprattutto alla possibilità di aggiornamento gratuito da sistemi Windows 8.1 Update e Windows 7 SP1.
Il 16 novembre 2016 Microsoft diviene membro platinum della Linux Foundation.
Il 13 giugno 2016 Microsoft acquista il servizio web di rete sociale LinkedIn per 26,2 miliardi di dollari, rendendola la seconda acquisizione più importante per il gruppo di Redmond. Il 4 giugno 2018 Microsoft preleva il sistema per la gestione dello sviluppo di software GitHub per 7,5 miliardi di dollari in azioni.
Il 21 Settembre 2020 Microsoft acquista il gruppo ZeniMax Media per 7,5 miliardi di dollari, di fatto questo acquisto avviene il giorno precedente alla disponibilità di prevendita delle nuove console next-gen in arrivo il 10 Novembre. Questa mossa fa pensare a molti utenti la possibilità di esclusive, come per esempio quelle di Bethesda Softworks come Fallout, The Elder Scrolls, oltre che sulle console del gruppo di Redmond anche la disponibilità dei titoli sin dal Day One sul servizio Xbox Game Pass.
Microsoft avvia una collaborazione esclusiva, nel novembre 2020, con Younited Credit in Francia per la realizzazione di un programma dedicato alla Xbox All Access, esteso nel 2021 anche al mercato italiano grazie a una partnership con il rivenditore GameStop.
Il 18 gennaio 2022 Microsoft ufficializza l'acquisizione della casa di videogiochi americana Activision Blizzard per 68.7 miliardi di dollari, ciò che la rende l'acquisizione più costosa nella storia del gruppo di Seattle.
Attività
I suoi prodotti principali sono il sistema operativo desktop Microsoft Windows e la suite di produttività personale Microsoft Office, per i quali è al primo posto nel rispettivo mercato. Altre linee di produzione comprendono: sistemi di sviluppo software (IDE e compilatori), DBMS, periferiche di input (tastiere e mouse), console di gioco (Xbox, Xbox 360, Xbox One e Xbox Series X), periferiche di gioco (joystick e cloche per il pilotaggio di velivoli, volanti e altro), smartphone Lumia, tablet computer Surface, nonché videogiochi (sviluppati sotto il marchio Microsoft Games Studios) e il dispositivo Microsoft PixelSense.
Microsoft collabora con la omonima fondazione filantropica, che amministra un patrimonio di circa 1,5 miliardi di dollari.
È membro dell'organizzazione di standardizzazione ECMA International (European Computer Manufacturers Association).
Prodotti
Nella sua storia Microsoft ha commercializzato numerosi prodotti, dai più famosi sistemi operativi (basti solo pensare a Windows o a Windows Mobile, diventato poi Windows Phone, che con l'approdo di Windows 10, ha preso il nome di Windows 10 Mobile) oppure ad applicazioni per l'ufficio (Microsoft Office) e per lo sviluppo (come Visual Basic .NET). Molto importante anche il settore dei videogiochi (Xbox e le successive generazioni, Halo e Age of Empires) e il settore hardware (Zune, Surface Pro e successivi, la recente acquisizione di Nokia, il nuovo visore Microsoft HoloLens). Vasta anche la gamma di prodotti specifici per il settore business a cominciare da Windows Server.
Nel mondo
Microsoft Italia
Microsoft è presente in Italia a partire dagli anni '80, con sede a Milano nella Microsoft House, e con un'altra sede a Roma nel quartiere dell'EUR. L'azienda è composta da circa 860 dipendenti con una media di età di circa 35 anni e collabora con aziende alleate.
Microsoft Italia ha vinto nel 2010 il Great Place to Work, conferito dal Great Place to Work Institute. Diverso è il posizionamento sulle classifiche di altri premi conferiti dalla società Cesop Communication. Si tratta del Best Awareness in cui Microsoft Italia si è classificata 4ª nel 2009. Ha ottenuto la 6ª posizione nella classifica per il Best Employer of Choice. Infine si è collocata all'8º per quanto concerne il Best Corporate Brand.
Logo
Sicurezza
Microsoft Security Essentials
Windows Defender
Note
Bibliografia
Wendy Goldman Rohm, "Il rapporto Microsoft", Garzanti 1999, ISBN 88-11-73868-7.
Sabbatini Pierluigi, "La concorrenza come bene pubblico. Il caso Microsoft", Laterza 2000.
Costa Stefano, "Antitrust e software: il caso Microsoft", Carocci 2004.
De Luca Gabriele, "Microsoft monstrum", Malatempora 2005.
Mingardi A.; Zanetto P., "Colpirne uno per educarne cento. Il caso Microsoft e il futuro della concorrenza in Europa", Rubbettino 2005.
Gnassi B.; Noury R., "La rete che cattura. Il ruolo di Yahoo!, Microsoft e Google nelle violazioni dei diritti umani in Cina", EGA 2007.
Voci correlate
CLSID
Bing
Critiche a Microsoft
LinkedIn
Linux
Microsoft BASIC
Microsoft Windows
Microsoft Expression
Microsoft Mobile
Microsoft Office
Microsoft Store
Microsoft Student Partners
Most Valuable Professional
MSN
Nomi in codice Microsoft
Patch Tuesday
Windows Live
Windows Phone
Windows Phone 7
Xbox 360
Altri progetti
Collegamenti esterni
Aziende software statunitensi |
2723 | https://it.wikipedia.org/wiki/Mano%20invisibile | Mano invisibile | La mano invisibile è una metafora creata dall'economista Adam Smith per rappresentare il ruolo della Provvidenza (in qualche modo immanente), per virtù della quale all'interno del libero mercato la ricerca egoistica del proprio interesse, che è favorevole non soltanto a se stessi, ma anche all'interesse dell'intera società, porta l'intero sistema economico al cosiddetto equilibrio economico generale.
Successivamente, dopo Léon Walras e Vilfredo Pareto, è stata normalmente intesa come metafora dei meccanismi economici che regolano l'economia di mercato in modo tale da garantire che il comportamento dei singoli consumatori e imprenditori, teso alla ricerca della massima soddisfazione individuale, conduca al benessere dell'intera società, attraverso il soddisfacimento dei propri desideri personali.
Adam Smith si pose questo problema proprio per capire come funzionava il mercato
La mano invisibile in Adam Smith
L'espressione viene usata da Adam Smith in vari luoghi di tre delle sue opere maggiori, e più precisamente in Storia dell'astronomia, Teoria dei sentimenti morali e infine nella più celebre Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni chiamata, più popolarmente, la Ricchezza della nazioni. Il concetto di mano invisibile è legato a quello che Smith nomina risultato non intenzionale: gli individui generano ordine sociale e sviluppo economico nonostante non agiscano con l'intenzione di generarlo, ma con quella di perseguire il proprio interesse personale. Esiste quindi una mano invisibile che fa sì che le società e le loro economie siano in equilibrio e si sviluppino. Non c'è tuttavia in Adam Smith una sistematizzazione del concetto di homo oeconomicus, ovvero di un soggetto individualista e perfettamente razionale: il concetto di mano invisibile non è utilizzato da Smith per sostenere l’ottimalità di un mercato concorrenziale basato sul meccanismo della domanda e dell’offerta, come spesso il concetto appare riproposto in ambito mediatico e divulgativo.
Storia dell'astronomia
Nella Storia dell'astronomia (pubblicata postuma nei Saggi filosofici e risalente probabilmente al 1750), scrive:
In questo passo, la "mano invisibile di Giove" è una metafora dell'ordine impresso dall'unico vero Dio ai fenomeni naturali.
Teoria dei sentimenti morali
La mano invisibile compare nel seguente passo della Teoria dei sentimenti morali (1759):
Anche in questo passo, nonostante Smith tratti di un argomento economico (la distribuzione della ricchezza), la «mano invisibile» che conduce i proprietari terrieri a «fare quasi la stessa distribuzione delle cose necessarie alla vita che sarebbe stata fatta se la terra fosse stata divisa in parti uguali tra tutti i suoi abitanti» è strettamente correlata alla Provvidenza che «non dimenticò né abbandonò quelli che sembravano essere stati lasciati fuori dalla spartizione».
Smith spiegherà poi nella Ricchezza delle nazioni perché vede la mano invisibile operare efficacemente sui proprietari terrieri, non anche su commercianti e manifatturieri.
Ricchezza delle nazioni
Nel Libro IV della Ricchezza delle nazioni (1776), Smith critica i tradizionali «sistemi di economia politica», il «sistema del commercio» (mercantilismo) e il «sistema dell'agricoltura» (fisiocrazia). Il mercantilismo sosteneva la necessità che lo Stato si arricchisse favorendo le esportazioni e limitando le importazioni. Nel Capitolo II Smith afferma che tali artifici non possono arrecare alcun beneficio, perché l'attività produttiva generale della società non può mai superare quella che il capitale della società può impiegare, le restrizioni alle importazioni possono solo deviare una parte del capitale in una direzione in cui altrimenti non sarebbe andato, e non è affatto detto che tale deviazione arrechi benefici. E prosegue:
L'«inclinazione naturale» di cui Smith parla in questo passo appare l'effetto della «mano invisibile di Giove», ovvero della «Provvidenza», piuttosto che il risultato di un meccanismo economico quale la concorrenza perfetta in un libero mercato, come sarà poi teorizzato da molti dopo Léon Walras e Vilfredo Pareto.
Smith è chiaramente «liberista», come mostra un passo poco successivo a quello appena citato:
Tuttavia, quando si pone espressamente il problema della convergenza tra interesse del singolo e interesse della società, Smith opera alcune importanti distinzioni; inoltre, così come nella Teoria dei sentimenti morali non ritiene che il principio di simpatia renda tutti gli uomini virtuosi, nella Ricchezza delle nazioni non ritiene quella «inclinazione naturale» sufficiente a rendere concretamente possibile il libero commercio.
Smith scrive prima che la rivoluzione industriale si sia pienamente affermata. Basti ricordare che la macchina a vapore venne perfezionata solo dopo il 1776 (l'eccentrico venne brevettato nel 1781, il movimento parallelo nel 1784, il volano regolatore nel 1788), oppure che Smith esalta la produzione di lana inglese (Libro I, Cap. I) e ignora completamente il cotone.
Vede nell'agricoltura, più che nella manifattura, la vera fonte della ricchezza:
L'estensione delle colture porta ad un aumento sia delle rendite dei proprietari terrieri (maggiore domanda di terra) sia dei salari (maggiore domanda di lavoro).
Da ciò segue che l'interesse di coloro che vivono di rendita e di salario «è strettamente e inseparabilmente connesso all'interesse generale della società» (Libro I, Cap. XI, p. 252).
L'estensione del commercio e della manifattura, invece, comporta una riduzione dei profitti (maggiore offerta, minori prezzi):
Quindi:
Nella Teoria dei sentimenti morali aveva osservato che, nonostante la forza dei sentimenti morali, non tutti gli uomini sono virtuosi:
Nella Ricchezza delle nazioni, come la virtù, anche il libero mercato è solo un ideale:
La mano invisibile nell'Economia del benessere
Il primo teorema dell'economia del benessere afferma che qualsiasi sistema economico perfettamente concorrenziale raggiunge un equilibrio Pareto-ottimale, ovvero una situazione in cui non è possibile incrementare l'utilità di un agente, senza ridurre quella di almeno un altro agente.
Tale teorema, che sostituisce le leggi del mercato alle «inclinazioni naturali» di Smith, viene spesso considerato come una formulazione analitica della metafora della mano invisibile
La mano invisibile viene pertanto assunta, sia dai sostenitori che dai critici del liberismo e del neoliberismo, come il principio fondamentale di tali dottrine
Tuttavia, i lavori di Sen, Scarf, Debreu e Sonnenschein hanno dimostrato come tali teoremi siano falsi nei mercati reali, mancando il requisito della concorrenza perfetta.
Restano utilizzabili per una teoria economica "matematicamente corretta", sia la teoria dei giochi sia l'econofisica ove non richiedano ipotesi non presenti nel mondo reale.
La scoperta delle esternalità mise definitivamente in crisi l'illusione della mano invisibile di Smith, dimostrando come il perseguimento dei fini individuali causasse dei costi nascosti che vengono scaricati sulla società, generando inefficienze che possono essere corrette solo con l'intervento pubblico (anche solo un intervento squisitamente legislativo).
Critiche
Il concetto nella sua presunta efficacia è stato criticato dall'economista John Maynard Keynes nel XX secolo. A fondamento della sua teoria economica Keynes ha posto il concetto che qualunque sistema economico lasciato completamente libero a se stesso, pur raggiungendo un equilibrio in un certo lasso di tempo, porta a inevitabili distorsioni del sistema (ad esempio in termini di redistribuzione di ricchezza) se soggetto unicamente all'interesse privato egoistico dei singoli fino al caso limite di produrre grandi crisi economiche, come accadde anche nella grande depressione. Da cui la necessità di un sostegno interventista statale correttivo sull'economia attraverso la politica economica in sistemi detti a economia mista.
Note
Bibliografia
Adam Smith. An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations. 1776
Arrow, K. J. e Hurwicz, L., "On the stability of the competitive equilibrium", Econometrics, n. 22, pp 522–552, 1958
Scarf, H. E., An analysis of markets with a large number of participants, 1962, Princeton University Conference Paper. Presente in Recent Advances in Game Theory, Philadelphia, The Ivy Curtis Press, 1962 ISBN 0-691-07902-1 (ristampa)
Sen, A. K. The Impossibility of a Paretian Liberal, Journal of Political Economy, n. 78, 1970, pp 152–157.
Sen, A. K. The Impossibility of a Paretian Liberal: Reply, Journal of Political Economy, n. 79, 1971, pp 1406–1407.
Voci correlate
Capitalismo
Economia
Libero mercato
Liberismo
Vilfredo Pareto
Teoremi dell'economia del benessere
Teorema dell'impossibilità di Arrow
Léon Walras
Equilibrio economico generale
Collegamenti esterni
Sito personale di Herbert Scarf
Storia del pensiero economico
Metafore |
2726 | https://it.wikipedia.org/wiki/Mysticeti | Mysticeti | I Misticeti (Mysticeti ) sono un sottordine di Cetacei, rappresentato dalle balenottere, dalla megattera, dalla caperea, dalla balena grigia e dalle balene propriamente dette.
Le specie viventi del sottordine Mysticeti, cioè dei Cetacei muniti di fanoni, sono piuttosto poche. Il carattere più appariscente di questi grossi Mammiferi è la totale assenza di denti, salvo qualche abbozzo nel feto, sostituiti da una struttura nuova e assolutamente originale, i fanoni. L'insieme dei fanoni costituisce un sistema per filtrare i minuscoli organismi zooplanctonici, il krill, che le balene ingeriscono in grandi quantità.
Evoluzione
È opinione degli esperti che la culla dei Misticeti sia stato il Sud Pacifico occidentale, dove i fecondi depositi di zooplancton negli strati oligocenici e la presenza di fossili delle prime forme progenitrici suggeriscono una possibile evoluzione del fanone e un adattamento a un'alimentazione imperniata sull'uso di un filtro. Di qui si sarebbe poi avuta un'irradiazione nel Pacifico e nell'Indo-Pacifico lungo linee di elevata produttività nel tardo Cenozoico, anche se si ha motivo di pensare che l'originaria area di distribuzione delle balenottere fosse incentrata nelle acque calde e temperate del Nord Atlantico.
Le prime balene comparvero nell'Eocene superiore (circa 37 - 36 milioni di anni fa). Il più antico cetaceo accostato ai misticeti è Mystacodon, dell'Eocene superiore del Perù; di poco posteriore (circa 34 milioni di anni fa) è Llanocetus, i cui resti fossili sono stati ritrovati in Antartide. Le prime balene possedevano denti veri e propri, eredità dei loro antenati che, al contrario dei fanoni presenti nelle specie odierne. La specie oligocenica Aetiocetus cotylalveus è considerata un importante passaggio intermedio tra le balene dotate di denti e le balene dotate di fanoni. Questa specie venne scoperta nel 1964 in Oregon. Nei primi anni novanta in Australia vennero recuperati i fossili di Janjucetus hunderi, poi descritti nel 2006; questo animale possedeva denti acuminati e si suppone che cacciasse pesci e calamari, così come prede più grandi (forse squali o altri cetacei). Questi fossili indicano che le antiche balene erano predatori, e solo dopo milioni di anni si evolsero in specie prive di denti acuminati simili a quelle che oggi conosciamo.
Uno studio più recente (Deméré et al., 2008) ha identificato fori palatali (impronte di vasi sanguigni nelle ossa, che collegano i fanoni alle mascelle) nel palato di un misticeto dentato, Aetiocetus weltoni. Gli scienziati ritengono che questa antica balena possedeva sia fanoni che denti, ed è un esempio di ruolo adattativo intermedio tra i misticeti primitivi (e dentati) e i più evoluti misticeti senza denti. Un altro animale dotato di denti e fanoni è Mammalodon del Miocene.
Le prime balene dotate esclusivamente di fanoni apparvero nell'Oligocene superiore (come Eomysticetus e Micromysticetus). Probabilmente queste balene non potevano ancora utilizzare l'ecolocazione, poiché in nessun fossile di questi animali è stata rinvenuta alcuna prova, conservata nei crani e nella regione dell'orecchio, che mostri gli adattamenti associati all'ecolocazione (presenti invece nelle forme attuali).
Tra l'Oligocene e il Miocene i misticeti andarono incontro a una notevole radiazione evolutiva, e si separarono in due rami principali: da una parte un clado comprendente le balenottere (Balaenopteridae), dal corpo più slanciato, e dall'altra un gruppo in cui sono presenti anche le vere balene (Balaenidae), dalla testa enorme e rigonfia. Nel corso del Pliocene le balene continuarono ad accrescere le loro specializzazioni. Tra i generi più importanti di questo periodo evolutivo si segnalano le balenottere primitive Archaebalaenoptera ed Eobalaenoptera, la "minuscola" balena Balaenella, il primitivo Titanocetus rinvenuto a San Marino e l'antica balena grigia Eschrichtioides.
La famiglia dei cetoteriidi (Cetotheriidae), in passato ritenuta ancestrale a tutti i misticeti, è attualmente considerata più vicina alle balenottere che non alle vere e proprie balene.
Descrizione
La balena grigia, unico membro della famiglia Eschrichtiidae, è confinata al Pacifico settentrionale. La contraddistinguono un rostro delicatamente arcuato piuttosto ristretto, due (di rado quattro) corti solchi golari e l'assenza di pinna dorsale.
Le snelle, idrodinamiche balenottere, appartenenti alla famiglia Balaenopteridae (che annovera anche la megattera), evidenziano una serie di pieghe golari che si espandono all'ingestione di acqua satura di plancton e successivamente si contraggono forzando l'acqua contro i fanoni. In questo modo il plancton rimane imprigionato nel fitto reticolo fibroso che forma i bordi interni sfrangiati dei fanoni.
La megattera si distingue dalle altre balenottere per la corporatura piuttosto massiccia, i solchi golari minori di numero e più grossolani, e una coppia di robuste natatoie molto lunghe. La testa, la mandibola e il margine delle pinne pettorali sono ricoperti di nodosità irregolari dentellate e seghettate alla linea d'inserzione. Le balenottere, a eccezione di quella tropicale di Bryde, frequentano gli oceani di tutto il mondo; la megattera ha un ristretto areale artico; la balena franca si rinviene soltanto nel Nord Atlantico; la balena pigmea abita i mari australi.
Due delle tre specie che compongono la famiglia Balaenidae, la balena franca e la balena boreale, hanno testa molto più voluminosa, sino a un terzo della lunghezza totale del corpo, rostro lungo e stretto con la parte superiore vistosamente arcuata a differenza delle ossa della mandibola. Rimane così uno spazio riempito dalle immense labbra inferiori che spuntano dalla mandibola e recingono gli affusolati fanoni appesi ai bordi del rostro. Soltanto la balena pigmea possiede una pinna dorsale, mentre in tutte e tre le specie le sette vertebre cervicali sono fuse in un unico blocco.
Classificazione tassonomica
ORDINE Cetacea
Sottordine Mysticeti
** Famiglia Balaenidae
Genere Balaena
Balena della Groenlandia, Balaena mysticetus
Genere Eubalaena
Balena franca nordatlantica, Eubalaena glacialis
Balena franca nordpacifica, Eubalaena japonica
Balena franca australe, Eubalaena australis
Famiglia Balaenopteridae
Sottofamiglia Balaenopterinae
Genere Balaenoptera
Balenottera comune, Balaenoptera physalus
Balenottera boreale, Balaenoptera borealis
Balenottera di Bryde (balenottera di Eden), Balaenoptera edeni
Balenottera azzurra, Balaenoptera musculus
Balenottera minore boreale, Balaenoptera acutorostrata
Balenottera minore australe (balenottera minore antartica), Balaenoptera bonaerensis
Balenottera di Omura, scoperta nel novembre 2003
Balenottera di Rice, Balaenoptera ricei
Sottofamiglia Megapterinae
Genere Megaptera
Megattera, Megaptera novaeangliae
Famiglia Eschrichtiidae
Genere Eschrichtius
Balena grigia, Eschrichtius robustus
Famiglia Neobalaenidae
Genere Caperea
Caperea, Caperea marginata
Classificazione tassonomica delle forme estinte
Il simbolo "†" denota generi e famiglie estinti.
Sottordine Mysticeti: Balene
Famiglia †Aetiocetidae
† Aetiocetus
† Ashorocetus
† Chonecetus
† Morawanocetus
† Willungacetus
Famiglia †Aglaocetidae
† Aglaocetus
† Isanacetus
† Pinocetus
Famiglia Balaenidae: Balene franche e balena comune
Balaena
†Balaenella
†Balaenotus
†Balaenula
Eubalaena
†Eucetites
†Morenocetus
Famiglia Balaenopteridae: Balenottere e megattera
†Archaebalaenoptera
Balaenoptera
†Cetotheriophanes
†Diunatans
†Mauicetus
Megaptera
†Notiocetus
†Parabalaenoptera
†Plesiobalaenoptera
†Praemegaptera
†Protororqualus
†Famiglia Cetotheriidae
†Cephalotropis
†Cetotherium
†Herpetocetus
†Hibacetus
†Joumocetus
†Metopocetus
†Mixocetus
†Nannocetus
†Palaeobalaena
†Piscobalaena
†Plesiocetopsis
†Titanocetus
†Famiglia Cetotheriopsidae
†Cetotheriopsis
†Micromysticetus
†Famiglia Diorocetidae
†Amphicetus
†Diorocetus
†Plesiocetus
†Thinocetus
†Uranocetus
†Famiglia Eomysticetidae
†Eomysticetus
†Tohoraata
†Yamatocetus
Famiglia Eschrichtiidae
†Archaeschrichtius
†Eschrichtioides
Eschrichtius: Balena grigia
†Gricetoides
†Megapteropsis
†Famiglia Llanocetidae
†Llanocetus
†Famiglia Mammalodontidae
†Janjucetus
†Mammalodon
Famiglia Neobalaenidae: Balena franca pigmea
Caperea
†Famiglia Pelocetidae
†Cophocetus
†Halicetus
†Parietobalaena
†Pelocetus
†Eobalaenoptera
Famiglia incertae sedis
†Amphitera
†Burtinopsis
†Idiocetus
†Imerocetus
†Isocetus
†Mesocetus
†Mioceta
†Otradnocetus
†Peripolocetus
†Piscocetus
†Siphonocetus
†Tiphyocetus
†Tretulias
†Ulias
Note
Bibliografia
Deméré, T., McGowen, M., Berta, A., Gatesy, J. (2008), Morphological and Molecular Evidence for a Stepwise Evolutionary Transition from Teeth to Baleen in Mysticete Whales. Systematic Biology, 57(1), 15-37.
Voci correlate
Odontoceti (comprendenti tra l'altro capodoglio e delfino)
Altri progetti
Collegamenti esterni
Cetacei
Taxa classificati da Edward Drinker Cope |
2730 | https://it.wikipedia.org/wiki/Mollusca | Mollusca | I molluschi (Mollusca , 1797) costituiscono il secondo phylum del regno animale per numero di specie (il primo phylum è costituito dagli artropodi), con specie note. Sono animali marini, ma alcune specie hanno colonizzato le acque dolci come, ad esempio, i Bivalvi ed i Gasteropodi, ed alcune specie di questi ultimi si sono adattate anche all'ambiente terrestre. Sono divisi in 8 classi e sembrano aver colonizzato tutti i biomi terrestri, ad eccezione dell'alta montagna.
Etimologia
L'etimologia del termine si deve al latino mollis "molle", in quanto non possiedono un endoscheletro, ma un corpo muscolarizzato ed una particolare struttura rigida di supporto chiamata conchiglia.
Vengono chiamati anche malacozoi, dal greco μαλακός "molle" e ζῷον "animale".
Anatomia
È difficile descrivere unitariamente i molluschi date le numerose modificazioni che sono intervenute nel corso del tempo all'interno del phylum ad influenzarne la morfologia generale. Originariamente i precursori di questi animali non dovevano essere tanto diversi dai Monoplacofori, dai quali si pensa si siano irradiate le altre classi.
In generale i molluschi sono animali triblastici, bilateri, protostomi, schizocelomati, con capo, piede e conchiglia variamente sviluppati. La conchiglia, aspetto più rappresentativo del phylum, in alcuni casi si è persa, come in molti Cefalopodi, in una fascia ridotta di Gasteropodi e nell'intera classe degli Aplacofori.
La maggior parte degli organi è situata in un sacco dei visceri, o massa viscerale, in posizione dorsale rispetto al piede muscoloso, come ad esempio gli apparati escretore, digerente, circolatorio e genitale, tutti ben sviluppati, più un organo addetto alla formazione della conchiglia: il pallio (o mantello), piega cutanea dorsale che poggia sui derivati mesodermici ed è a diretto contatto con la conchiglia.
Questa è composta solitamente da tre strati: l'ipòstraco, formato da cristalli laminari di aragonite, l'ostraco, formato da cristalli prismatici di calcite e il periostraco, lo strato più esterno, costituito da materiale organico corneo, perlopiù proteico (il componente più noto del periostraco è la scleroproteina conchiolina, anche nota come 'conchina' o 'perlucina', le cui fibre contribuiscono a determinare le proprietà meccaniche della madreperla).
Lo spazio compreso fra il pallio e la conchiglia, intorno alla zona in cui sono a diretto contatto, prende il nome di cavità palleale, area nella quale trovano alloggio gli organi per la respirazione, nella maggioranza dei casi rappresentati da branchie (chiamate per la loro forma ctenidi).
Nei molluschi la respirazione branchiale diviene una necessità inderogabile poiché, proprio per via della conchiglia, poca superficie cutanea è a contatto col mezzo acquatico e non è sufficiente per una respirazione affidata in via esclusiva a scambi gassosi attraverso il derma.
L'apparato per l'escrezione comprende metanefridi e nefrostomi corrispondenti a quelli degli anellidi. Nella cavità buccale di molti molluschi (Aplacofori, Poliplacofori, Gasteropodi, Monoplacofori, Scafopodi) è presente la radula, una struttura che varia da specie a specie e la cui forma più comune è quella di una lingua muscolosa che funge da nastro per varie fila di denti chitinosi, grazie ai quali i molluschi raschiano dal substrato le particelle alimentari. Negli Aplacofori, per esempio, non è visibile una struttura a nastro, ma piuttosto una serie di dentelli sorretti dalla faringe: questi molluschi non posseggono pertanto alcuna muscolatura specializzata, al contrario delle specie caratterizzate dalla presenza dellodontoforo (il nastro complesso con denti chitinosi discusso poc'anzi), le quali necessitano giocoforza di muscoli protrattori e retrattori per muovere il nastro della radula. Altre specie invece, come i Bivalvi, non posseggono affatto la radula, che poco gioverebbe al loro sistema alimentare sospensivoro. Nei molluschi con odontoforo i denti sono prodotti continuamente da uno strato di cellule specializzate localizzate in prossimità del nastro: gli odontoblasti.
I molluschi sono in grado di produrre feci solide: in altri phyla marini i rifiuti possono essere eliminati nell'acqua e, anche se liquidi, non producono disturbo all'animale, ma nei molluschi lo sbocco anale è situato nella maggioranza dei casi entro la cavità palleale, dove sono situati anche gli organi per la respirazione; se le feci fossero cioè poco compatte, finirebbero col venir risucchiate dal circolo d'acqua diretto alle branchie, con immaginabili conseguenze.
Sistema nervoso
L'innervazione è un carattere tassonomico molto importante in questo phylum. Al pari di tutti i Protostomi, i Molluschi hanno un sistema nervoso di chiara impostazione gastroneurale, molto diversificato nell'ambito del phylum. Troviamo per la precisione due tipi estremi di organizzazione, non separabili tuttavia con diagnosticità: un sistema nervoso cordonale, con i soli gangli cerebrali, e un sistema nervoso gangliare, con molti gangli specializzati nell'innervazione di specifici distretti del corpo.
Sistema nervoso cordonale
Il sistema nervoso cordonale, il più semplice, qualifica le classi di molluschi meno complesse come Anfineuri, raggruppamento non monofiletico comprendente Monoplacofori, Poliplacofori, Solenogastri e Caudofoveati, accomunati dal fatto di avere un sistema nervoso costituito essenzialmente da quattro cordoni nervosi longitudinali, privi di gangli, regolati da un'unica massa nervosa costituente il ganglio sopraenterico, situato al di sopra della porzione anteriore dell'intestino e costituito da due gangli sopraesofagei (Aplacofori).
Anteriormente alla massa nervosa, possono uscire alcune paia di sottili nervi cerebrali mentre da ciascun lato del ganglio si dipartono tre paia di connettivi: cerebrolaterali, cerebroboccali (mediani), cerebropedali (ventrali), due dei quali si prolungano posteriormente nei quattro cordoni longitudinali.
Nei Poliplacofori il ganglio sopraenterico è sostituito da un cingolo periesofageo, provvisto anche di gangli boccali accessori, dal quale si dipartono i quattro cordoni citati, che prendono il nome in questo caso di ventrali e viscero-palleali.
Nei Monoplacofori il sistema nervoso presenta andamento scalariforme (accenno di metameria) con 10 paia di nervi che raggiungono il piede. All'anello circumenterico che circonda il tubo digerente seguono due cordoni nervosi che si uniscono posteriormente formando una sorta di anello; i due cordoni circolari orizzontali (cordone laterale superiore e cordone pedale inferiore) sono uniti da varie commissure, ovvero dei ponti nervosi tra i gangli che creano delle interconnessioni; quando queste commissure sono numerose lo sviluppo dei gangli è ridotto: ciò è una caratteristica tipica dei taxa più primitivi quali Aplacofori, Monoplacofori e Poliplacofori.
Sistema nervoso gangliare
Il sistema nervoso gangliare lo ritroviamo nelle principali classi del phylum (Gasteropodi, Bivalvi, Scafopodi, Cefalopodi); esso consta nella sua organizzazione tipica (ancestrale) di otto gangli principali simmetrici ed uniti da commessure trasversali.
Lo schema di base è pressoché simile in tutte le specie:
coppia di gangli cerebrali sopraesofagei, che innervano gli organi di senso del capo;
connettivi longitudinali diretti ai gangli pedali, pleurali e parietali (cerebrospinali, pleuroparietali o cerebroparietali, cerebropedali);
gangli pedali sottoesofagei, che innervano il piede attraverso due cordoni pedali scalariformi agangliari (i gangli pedali e cerebrali costituiscono, con le loro commessure e connettivi, il cingolo periesofageo);
coppia di gangli pleurali sopraesofagei, che innervano il mantello e gli organi di senso ad esso correlati;
coppia di gangli parietali, che innervano parte del sacco dei visceri e gli organi ad esso correlati;
coppia di gangli viscerali, che innervano parte del sacco dei visceri.
Questo schema di base può naturalmente variare da gruppo a gruppo.
Nei Cefalopodi, ad esempio, il sistema nervoso appare centralizzato nel capo ed è in relazione con gangli stellati localizzati internamente al mantello e ai nervi viscerali, uniti da una commessura e diretti ai visceri e ai gangli gastrico-branchiali. Inoltre, nervi stomatogastrici collegano i gangli boccali al ganglio gastrico. In alcuni molluschi decapodi (calamari e affini in particolar modo) assoni dorsali giganti permettono rapide contrazioni del mantello e scatti sorprendenti. Più semplice è la condizione dei Bivalvi, nei quali si assiste quasi sempre (protobranchi a parte) alla fusione di due coppie di gangli che danno luogo ai gangli cerebropleurali, che innervano i palpi labiali, l'adduttore anteriore e parte del mantello, mentre i pedali si trovano alla base del piede e sono uniti ad essi tramite connettivi. I parietali ed i viscerali (spesso fusi) restano uniti dalle solite commessure e provvedono all'innervazione dei visceri, delle branchie, dell'adduttore posteriore, dell'altra parte del mantello, dei sifoni e degli organi di senso palleali. Peraltro, anche nei soli gasteropodi, osserviamo vari livelli di complessità del sistema nervoso. Famiglie molto primitive (Haliotidae, Patellidae) presentano un'organizzazione assai poco complessa, mentre in molti altri prosobranchi il sistema nervoso assume l'aspetto a gangli plurimi già visto.
Chiastoneuria
Si è accennato alla torsione del sacco dei visceri, fenomeno che causa il ripiegamento dell'anello nervoso cerebro-viscerale, originariamente simmetrico, che si rigira attorno al canale alimentare assumendo una forma ad 8 (chiastoneuria o streptoneuria). Il risultato di questa tendenza evolutiva caratterizza i gasteropodi Streptoneuri (Prosobranchi), contrapposti agli altri gasteropodi Eutineuri (Opistobranchi e Polmonati), i quali non manifestano streptoneuria in seguito alla ulteriore detorsione del sacco viscerale.
Questa torsione avviene nel passaggio tra lo stadio larvale e quello adulto, in corrispondenza dello stadio di larva veliger, in cui la massa viscerale (insieme a pallio e conchiglia) ha una rotazione di 180°: questa torsione avviene grazie ad un muscolo retrattore asimmetrico che si forma nella larva, di solito sul lato destro della conchiglia, passa poi sopra l'intestino nella porzione dorsale e si attacco in alto a sinistra, dietro il capo, con alcune congiunzioni anche a livello del piede. Le contrazioni di questo muscolo portano ad una rotazione di 90°, con una durata che varia dai pochi minuti alle diverse ore; si ha poi una seconda fase più lunga (che necessita di una crescita differenziale dei tessuti) seguita da una rotazione di ulteriori 90° che vede la torsione dei gangli viscerali, i quali assumono la cosiddetta disposizione ad 8 (anche nota come streptoneuria). La condizione detorta prende invece il nome di eutineuria.
Tra i Polmonati e gli Opistobranchi, la tendenza alla torsione non è più visibile attraverso la sovrapposizione dei cordoni nervosi perché l'anello viscerale risulta estremamente accorciato ed i gangli ad esso correlati vengono ad essere più o meno incorporati in un cingolo periesofageo costituito da 9 grossi gangli, corrispondenti a quelli tipici, con i due viscerali fusi. Tale tendenza verso la cefalizzazione dei centri nervosi la si osserva anche in altri gruppi di molluschi piuttosto evoluti, come i Cefalopodi, ove la massa gangliare viene addirittura racchiusa in una capsula protettiva cartilaginea.
Organi di senso
Per quanto concerne gli organi di senso, i molluschi presentano sempre cellule sensitive e gustative, oltre che statocisti (Bivalvi, Cefalopodi) ed organi chemiorecettori particolari, come gli osfradi (una coppia di organi innervati dai gangli parietali, allogati nella cavità palleale, vicino alle branchie, aventi funzione sia chemiorecettrice che meccanorecettrice, deputati a saggiare la corrente d'acqua che andrà ad irrorare le branchie e a rilevare la presenza di sostanze alimentari disciolte).
Riguardo alle statocisti, innervate dai gangli cerebrali, probabilmente il modello più complesso è quello fornitoci dai Cefalopodi, in prossimità del cervello dei quali è perfino presente un organo dell'equilibrio paragonabile ai canali semicircolari del nostro orecchio interno. Esse constano di un corpo calcareo in relazione a nervi e forniscono informazioni sulla posizione nello spazio dell'animale; risultano assenti nelle classi di molluschi Anfineuri.
Nei Bivalvi e nei Cefalopodi sono presenti efficienti organi tattili, consistenti in cellule sensoriali sparse sulla superficie del corpo, particolarmente abbondanti lungo il margine del mantello e all'estremità dei sifoni e, per i Gasteropodi, sui tentacoli del capo.
Riguardo alla vista, nei Molluschi troviamo tutti gli stadi di complessità a partire da ammassi poco evoluti di cellule fotosensibili (addirittura assenti in gruppi del tutto ciechi, come gli Scafopodi ed i Monoplacofori) ad occhi veri e propri, paragonabili quanto a complessità solo a quelli dei Vertebrati. La vista può avere sia la funzione di localizzare la preda, o i nemici, o i conspecifici, (e questo vale per specie che dispongono di apparati visivi assai efficienti), ma soprattutto per orientarsi in relazione alla luce, discorso valido in special modo per le specie scavatrici (Olividae, Naticidae) in cui gli occhi tendono addirittura a regredire. Nelle Patellidae gli occhi sono molto semplici ed appaiono come fossette pigmentate aperte, prive di lente e cornea ed innervate dai gangli cerebrali; in Prosobranchi più evoluti (Trochus, Haliotis, Turbo) la vescicola ottica è munita di apertura stretta, piena di un umore vitreo. Nei Gasteropodi ancor più evoluti, l'occhio viene ad essere chiuso da una cornea formata da un epitelio bistratificato. Negli Eteropodi, pelagici, troviamo occhi tubolari telescopici, provvisti di una grossa lente e superficie retinica pieghettata; in questo gruppo la vista assume una funzione importante nella cattura della preda a discapito dell'osfradio, che regredisce (eccezione fra i Gasteropodi), e ciò spiega la raffinatezza degli organi per la vista in questi animali.
Ma è fra i Cefalopodi che troviamo la massima espressione riguardo a questo aspetto, poiché in essi si viene a formare una struttura globulare fornita di lente, contenuta all'interno di un'orbita entro la quale può parzialmente ruotare; trattasi nella fattispecie di occhi eversi, nei quali (contrariamente a quanto accade nei vertebrati) i raggi luminosi colpiscono direttamente le cellule fotosensibili e non vengono riflessi da una superficie, essendo l'estremità sensitiva delle cellule recettrici orientate verso il foro della pupilla. L'accomodamento visivo è attuato allontanando o avvicinando il cristallino dalla retina e permette una notevole raffinatezza visiva, tanto che questi molluschi sono in grado di discriminare chiaramente forme e colori diversi, basando sulla vista gran parte delle loro attività. A conferma di ciò vi è la tendenza alla regressione di altri sistemi sensoriali. Nautilus a parte, infatti, l'osfradio viene perso ed al suo posto rimane una fossetta olfattoria al di sotto dell'occhio.
Seppur meno evoluti degli organi visivi dei Cefalopodi, le serie di occhi di alcuni Bivalvi (es. Pectinidae) rappresentano un efficiente sistema visivo costituito da una lunga sequenza di occhi che fuoriescono dalla fessura delle valve.
Tipici dei Poliplacofori sono gli esteti, organi di senso costituiti da pori situati nelle piastre calcaree e colmati da cellule di natura sensoriale dotati alla loro estremità distale di strutture a forma di lente. Tali esteti danno informazioni circa i movimenti dell'acqua e sull'intensità luminosa e sono in comunicazione fra loro attraverso una rete di fibrille nervose decorrenti in canalicoli. Gli esteti si presentano in due tipi diversi: il macroesteta ed il microesteta, differenti dal punto di vista delle dimensioni; a seconda della specie, inoltre, il numero e la distribuzione dei microesteti attorno ai macroesteti può variare.
Origine
Un possibile albero filogenetico dei molluschi, a partire dai Lofotrocozoi, è stato proposto da Sigwart e Sutton nel 2007:
La ricostruzione delle prime fasi della storia evolutiva dei molluschi è complessa. Infatti i loro più antichi progenitori molto raramente si fossilizzarono essendo privi di conchiglia. Successivamente, invece, le testimonianze abbondano, proprio per la facilità di fossilizzazione delle conchiglie.
Esistono nondimeno dei fossili significativi, lasciati dalle parti molli nelle sabbie di Ediacara e del Mar Bianco. Kimberella è ritenuta da molti studiosi (non tutti) uno di tali progenitori. Aveva uno strato dorsale ispessito, simile a una conchiglia nella forma, ma non mineralizzato.
Embriologicamente, i molluschi sono affini agli anellidi, come questi sono schizoceli protostomi e si sviluppano tipicamente per segmentazione spirale dell'uovo fecondato (a parte i Cefalopodi, che dispongono di uova più ricche di vitello), inoltre, molte gastrule dei molluschi si sviluppano in trocofore simili a quelle degli Anellidi, il che lascerebbe presupporre una certa affinità. Spesso la trocofora è seguita da un'ulteriore fase larvale planctonica filtrante chiamata veliger, dotata di un piede, un mantello, una conchiglia abbozzata ed un organo natatorio bilobato detto velo. I "fossili viventi" appartenenti alla classe dei Monoplacofori, i quali presentano tracce di metameria, hanno indotto gli studiosi ad ipotizzare una notevole vicinanza filogenetica fra Anellidi e Molluschi, anche se le ripetizioni dei monoplacofori non sono omologhe alla segmentazione degli Anellidi. Probabilmente i due gruppi iniziarono a divergere circa 600 milioni di anni fa, specializzandosi nello scavo dei substrati gli Anellidi e nello strisciare sul fondo i Molluschi. Così facendo, mentre gli Anellidi svilupparono un corpo metamerico allungato, dotato di compartimenti celomatici spaziosi, pieni di liquido, costituendo un'efficiente macchina scavatrice con movimento serpeggiante e peristaltico, i primi molluschi persero via via la maggior parte del celoma, limitato alla sola cavità pericardica e agli spazi delle gonadi e dei nefridi comunicanti con questa, e svilupparono un corpo molle e compatto, utile per strisciare sul fondo del mare.
Durante ogni anno di vita, il mollusco forma una nuova banda della sua conchiglia, solcata da centinaia di finissime linee di accrescimento che registrano il ciclo diurno delle maree. Il conteggio delle linee sottili presenti nell'ultima banda di accrescimento annuale della conchiglia ci dà un'indicazione approssimativa della stagione, o addirittura del mese, in cui è avvenuta la morte dei mollusco.
Sistematica
A prima vista, una chiocciola, una seppia e una vongola sembrano notevolmente diverse: solo uno studio più accurato può rivelare che le loro strutture sono variazioni di uno stesso piano fondamentale. La classificazione sistematica maggiormente plausibile, nonostante le divergenti opinioni degli studiosi, è schematizzata di seguito:
Subphylum Aculiferi (Aculifera):
Classe Solenogastri (Solenogastres)
Classe Caudofoveati (Caudofoveata)
Classe Poliplacofori (Polyplacophora)
Subphylum Conchiferi (Conchifera):
Classe Monoplacofori (Monoplacophora)
Classe Gasteropodi (Gastropoda)
Classe Bivalvi (Bivalvia)
Classe Scafopodi (Scaphopoda)
Classe Cefalopodi (Cephalopoda)
Classe Rostroconchi (Rostroconchia) †
Classe Helcionelloida †
Classe Tentaculita †
Note
Bibliografia
Altri progetti
Collegamenti esterni
Conchology.be, Shell Encyclopedia
Molluscs, Encyclopedia of Life
Molluschi, Atlante di Zoologia degli Invertebrati, Università degli Studi di Torino
Taxa classificati da Georges Cuvier |
2731 | https://it.wikipedia.org/wiki/Magnoliopsida | Magnoliopsida | La classe delle dicotiledoni (Magnoliopsida) comprende piante a fiore nel cui seme l'embrione è fornito di due cotiledoni.
Caratteristiche
Le dicotiledoni comprendono piante sia erbacee che legnose, generalmente provviste di un apparato radicale seminale con radici a fittone o talora fascicolate, a crescita continua, più o meno ramificate, con la presenza o meno di radici avventizie.
La struttura primaria del fusto è eustelica con fasci collaterali aperti ad anello, con presenza di cambio cribro-vascolare e accrescimento secondario.
Le foglie sono distinte in picciolo e lamina, con margini di forma varia; le nervature sono reticolate. I fiori sono tetrameri o pentameri con verticilli di 4 o 5 pezzi e provvisti di perianzio, generalmente distinto in calice (sepali) e corolla (petali); sono simmetrici o irregolari.
Il seme e la plantula sono provvisti di due cotiledoni. Le dicotiledoni hanno i petali a gruppi di 4-5 o di loro multipli.
Filogenesi
Recentemente, in base ad analisi cladistiche e di sequenziamento del DNA cloroplastico, mitocondriale e nucleare, è stata messa in discussione la distinzione adottata finora che divideva le Angiosperme in due classi, le Liliopsida (monocotiledoni) e le Magnoliopsida (dicotiledoni), (Olmstead et al. 1992a, Chase et al. 1993, Doyle 1996, 1998, Doyle et al. 1994, Donoghue y Doyle 1989, Graham y Olmstead 2000, Mathews y Donoghue 1999, Savolainen et al. 2000, Soltis et al. 2000, Zimmer et al. 2000, Hilu et al. 2003, Zanis et al. 2003) in quanto si riteneva che la separazione tra le due classi datasse dal Cretaceo; attualmente si ritiene che solo le monocotiledoni derivino da antenati comuni a tutta la classe (classe monofiletica), mentre le dicotiledoni deriverebbero da due o più gruppi con origine differente, formando quindi un gruppo parafiletico e i caratteri già menzionati sarebbero plesiomorfi all'interno delle angiosperme. In questo modo si distinguono:
Il gruppo delle Eudicotiledoni caratterizzate da polline con tre solchi (tricolpato) e che comprende la maggior parte delle famiglie inserite nelle Magnoliopsida
Un piccolo gruppo che in parte viene inserito dalla classificazione classica nella sottoclasse delle Magnoliidae, e include le famiglie che hanno conservato caratteri primitivi, il polline ha un solo solco (monosulcato), e che vengono ulteriormente suddivise in:
Piante legnose arboree o arbustive con foglie più o meno coriacee ( ad esempio le magnolie)
Gruppo eterogeneo di piante erbacee a foglie sottili, con caratteri che ricordano le Liliopsida, di cui in realtà rappresenterebbero il gruppo ancestrale (esempi di questo gruppo sono le Nymphaeaceae e le Aristolochiaceae)
Suddivisione
La suddivisione in due sottoclassi, Metaclamidee (o Simpetale) e Archiclamidee, proposta dal botanico polacco Adolf Engler alla fine dell'Ottocento, non è più ritenuta valida.
Nel sistema Cronquist (1981) la classe Magnoliopsida è suddivisa in 6 sottoclassi, per un totale di 64 ordini:
Sottoclasse Asteridae comprendente gli ordini:
Asterales – 1 famiglia
Callitrichales – 2 famiglie
Calycerales – 1 famiglia
Campanulales – 6 famiglie
Dipsacales – 4 famiglie
Gentianales – 4 famiglie
Lamiales – 5 famiglie + Scrophulariales – 12 famiglie
Plantaginales – 1 famiglia
Polemoniales – 1 famiglia
Rubiales Rubiali – 1 famiglia
Solanales – 7 famiglie
Sottoclasse Caryophyllidae comprendente gli ordini:
Caryophyllales – 12 famiglie
Plumbaginales – 1 famiglia
Polygonales – 1 famiglia
Sottoclasse Dilleniidae comprendente gli ordini:
Batales – 1 famiglia
Capparales – 6 famiglie
Diapensiales – 1 famiglia
Dilleniales – 2 famiglie
Ebenales – 5 famiglie
Ericales – 7 famiglie
Lecythidales – 1 famiglia
Malvales – 6 famiglie
Nepenthales – 3 famiglie
Primulalales – 3 famiglie
Salicales – 1 famiglia
Theales – 13 famiglie
Violales – 21 famiglie
Sottoclasse Hamamelididae (spesso in forma non corretta: Hamamelidae) comprendente gli ordini:
Casuarinales – 1 famiglia
Daphniphyllales – nessuna famiglia
Didymelales – nessuna famiglia
Eucommiales – 1 famiglia
Fagales – 3 famiglie
Hamamelidales – 6 famiglie
Juglandales – 3 famiglie
Leitneriales – 1 famiglia
Myricales – 1 famiglia
Trochodendrales – 2 famiglie
Urticales – 6 famiglie
Sottoclasse Magnoliidae comprendente gli ordini:
Aristolochiales – 1 famiglia
Illicales – 2 famiglie
Laurales – 4 famiglie
Magnoliales – 14 famiglie
Nymphaeales – 4 famiglie
Papaverales – 2 famiglie
Piperales – 3 famiglie
Ranunculales – 7 famiglie
Sottoclasse Rosidae comprendente gli ordini:
Apiales – 2 famiglie
Celastrales – 11 famiglie
Cornales – 5 famiglie
Euphorbiales – 6 famiglie
Fabales – 1 famiglia
Geraniales – 5 famiglie
Haloragales – 4 famiglie
Linales – 3 famiglie
Myrtales – 12 famiglie
Podostemales – 2 famiglie
Polygalales – 7 famiglie
Proteales – 1 famiglia
Rafflesiales – 3 famiglie
Rhamnales – 4 famiglie
Rhizophorales – 1 famiglia
Rosales – 20 famiglie
Santalales – 12 famiglie
Sapindales Terebintali – 16 famiglie
Note
Bibliografia
Sherwin Carlquist. Comparative wood anatomy: systematic, ecological, and evolutionary aspects of dicotyledon wood. Berlin, Springer, 1988. ISBN 0-387-18827-4.
Melvil Dewey. Classificazione decimale Dewey, 21. ed. it.. Classe 583: Magnoliopsida (Dicotiledoni). Roma, Associazione italiana biblioteche, 2000. ISBN 88-7812-057-X.
Altri progetti
Collegamenti esterni |
2732 | https://it.wikipedia.org/wiki/Angiosperme | Angiosperme | Le angiosperme (Angiospermae, Lindl.) sono una vasta divisione di piante delle spermatofite, che comprende piante annue o perenni con il massimo grado di evoluzione: in questa definizione rientrano le piante con fiore vero e con seme protetto da un frutto. Sono note anche sotto il nome di magnoliofite (Magnoliophyta Cronquist, Takht. & W.Zimm., 1966), denominazione utilizzata dal Sistema Cronquist.
Il Codice Internazionale di Nomenclatura Botanica (ICBN) permette, per i taxa di rango superiore alla famiglia, di usare indipendentemente nomi descrittivi tradizionali come Angiospermae o regolarmente derivati da un genere "tipo" come Magnoliophyta, che deriva dal genere Magnolia.
Compaiono nel registro fossile nel Cretaceo inferiore (circa 130 milioni di anni fa). Anche se alcuni autori hanno proposto alcuni esempi di angiosperme pre-cretaciche (ad esempio Sanmiguelia lewisi, dal Triassico superiore (circa 215 milioni di anni fa) del Nord America), la attribuzione di questi fossili alle angiosperme rimane controversa.
In un tempo relativamente breve le angiosperme, grazie alla loro estrema varietà morfologica e fisiologica, sono diventate il gruppo di piante più vasto e diversificato del nostro pianeta: con circa specie oggi viventi, che corrispondono ad oltre l'80% di tutti i vegetali terrestri, le angiosperme sono presenti in tutti i grandi biomi terrestri, dai deserti alle foreste pluviali. La ragione principale di tale successo evolutivo sembra essere legata soprattutto ad una trasformazione nella capillarità delle foglie che migliorò la loro efficacia fotosintetica.
Descrizione
Le angiosperme si distinguono perché i loro semi sono avvolti da un frutto, che li protegge e ne facilita la disseminazione. Il nome significa infatti "seme protetto" (dal Greco αγγειον, ricettacolo, e σπερμα, seme).
Il raggruppamento comprende una varietà di piante erbacee, arbustive o arboree: si passa da alberi alti anche 100 metri (Myrtaceae) fino a minuscole piante erbacee (Araceae) di meno di 2 millimetri.
Il fiore delle angiosperme è una struttura più complessa degli strobili delle Pinofite, che condividono con le prime la riproduzione per mezzo di semi. Le angiosperme si distinguono dalle Gimnosperme anche per la presenza di trachee vere e proprie unite a canali più grandi e specializzati, gli "elementi dei vasi", che rendono più efficiente il trasporto idrico, e per essere l'unica divisione che comprende piante erbacee in senso proprio.
Le angiosperme presentano il fenomeno della "doppia fecondazione", così chiamato perché all'interno dell'ovario avvengono due fecondazioni: uno dei due nuclei spermatici contenuti nel granulo pollinico (trasportati all'interno dell'ovario attraverso il tubetto pollinico) una volta raggiunto l'ovario, feconda la cellula proendospermatica (diploide, diventerà triploide, dando origine all'endosperma del seme); l'altro nucleo invece feconda l'oosfera (che darà vita a uno zigote).
Le Angiosperme, letteralmente “piante con seme protetto”, sono così chiamate perché il loro seme è contenuto nel frutto. Sono comunemente indicate come latifoglie, per il carattere delle foglie a lamina variamente espansa. A esse appartengono tutte le piante con fiori e vengono divise in due gruppi, le monocotiledoni e le dicotiledoni, in base alla presenza di una o due foglie embrionali nei loro semi. Essendosi ben adattate a qualunque clima, dominano tutti gli ambienti terrestri.
Biologia
Le angiosperme sono nate come piante specializzate nella impollinazione zoogama. Tuttavia, nel corso dell'evoluzione molte di esse sono tornate all'impollinazione ad opera di agenti non biologici, soprattutto il vento. I fiori sono allora diventati piccoli, numerosi e poco appariscenti. L'impollinazione anemofila è apparsa indipendentemente in numerosi gruppi di angiosperme sia monocotiledoni (Poaceae) che dicotiledoni (Salicaceae, Fagaceae).
La capacità delle angiosperme di stabilire sinergie con gli insetti e altri animali, nei processi di impollinazione e di disseminazione, è una delle ragioni del loro successo evolutivo. Piante e animali sono stati protagonisti di un fenomeno di coevoluzione che ha consentito loro di raggiungere gli attuali livelli di elevata biodiversità.
Classificazione filogenetica APG IV
La classificazione APG IV pubblicata nel 2016 dall'Angiosperm Phylogeny Group suddivide le angiosperme nei seguenti cladi:
clade angiosperme
clade Angiosperme basali
ordine Amborellales
ordine Nymphaeales
ordine Austrobaileyales
clade Mesangiosperme
clade Magnoliidi
ordine Canellales
ordine Laurales
ordine Magnoliales
ordine Piperales
linea indipendente (independent lineage)
ordine Chloranthales
clade Monocotiledoni
ordine Acorales
ordine Alismatales
ordine Asparagales
ordine Dioscoreales
ordine Liliales
ordine Pandanales
ordine Petrosaviales
clade Commelinidi
ordine Arecales
ordine Commelinales
ordine Poales
ordine Zingiberales
clade probabili affini delle eudicotiledoni (probable sister of eudicots)
ordine Ceratophyllales
clade Eudicotiledoni
ordine Buxales
ordine Proteales
ordine Ranunculales
ordine Trochodendrales
clade Eudicotiledoni centrali (core eudicots)
ordine Gunnerales
ordine Dilleniales
clade Superrosidi
ordine Saxifragales
clade Rosidi
ordine Vitales
clade Eurosidi I (o fabidi)
ordine Cucurbitales
ordine Fabales
ordine Fagales
ordine Rosales
ordine Zygophyllales
clade COM
ordine Celastrales
ordine Malpighiales
ordine Oxalidales
clade Eurosidi II (o malvidi)
ordine Brassicales
ordine Crossosomatales
ordine Geraniales
ordine Huerteales
ordine Malvales
ordine Myrtales
ordine Picramniales
ordine Sapindales
clade Superasteridi
ordine Berberidopsidales
ordine Caryophyllales
ordine Santalales
clade Asteridi
ordine Cornales
ordine Ericales
clade Euasteridi I (o lamiidi)
ordine Boraginales
ordine Garryales
ordine Gentianales
ordine Icacinales†
ordine Lamiales
ordine Metteniusales†
ordine Solanales
ordine Vahliales
clade Euasteridi II (o campanulidi)
ordine Apiales
ordine Aquifoliales
ordine Asterales
ordine Bruniales
ordine Dipsacales
ordine Escalloniales
ordine Paracryphiales
Classificazione tradizionale di Cronquist
Le angiosperme vengono classificate in base al sistema Cronquist nel seguente modo:
Dicotiledoni (Magnoliopsida)
Asterales
Callitrichales
Calycerales
Campanulales
Dipsacales
Gentianales
Lamiales (o Scrophulariales)
Plantaginales
Polemoniales
Rubiales
Solanales
Caryophyllidae comprendente gli ordini:
Caryophyllales
Plumbaginales
Polygonales
Dilleniidae comprendente gli ordini:
Batales
Capparales
Diapensiales
Dilleniales
Ebenales
Ericales
Lecythidales
Malvales
Nepenthales
Primulales
Salicales
Sarraceniales
Theales
Violales
Hamamelididae comprendente gli ordini:
Casuarinales
Daphniphyllales
Didymelales
Eucommiales
Fagales
Hamamelidales
Juglandales
Leitneriales
Myricales
Trochodendrales
Urticales
Magnoliidae comprendente gli ordini:
Aristolochiales
Illiciales
Laurales
Magnoliales
Nymphaeales
Papaverales
Piperales
Ranunculales
Rosidae comprendente gli ordini:
Apiales
Celastrales
Cornales
Euphorbiales
Fabales
Geraniales
Haloragales
Linales
Myrtales
Podostemales
Polygalales
Proteales
Rafflesiales
Rhamnales
Rhizophorales
Rosales
Santalales
Sapindales
Monocotiledoni (Liliopsida)
Alismatidae comprendente gli ordini:
Alismatales
Hydrocharitales
Najadales
Triuridales
Arecidae comprendente gli ordini:
Arales
Arecales
Cyclanthales
Pandanales
Commelinidae comprendente gli ordini:
Commelinales
Cyperales
Eriocaulales
Hydatellales
Juncales
Restionales
Typhales
Liliidae comprendente gli ordini:
Liliales
Orchidales
Zingiberidae comprendente gli ordini:
Bromeliales
Zingiberales
Note
Voci correlate
Gimnosperme (classificazione tradizionale)
Pinophyta (nuova classificazione cladistica delle piante con fiore semplice)
Macrosporogenesi
Altri progetti
Collegamenti esterni
L. Watson and M.J. Dallwitz (1992 onwards). The families of flowering plants: descriptions, illustrations, identification, information retrieval. http://delta-intkey.com |